§ 98.1.35731 - Circolare 23 aprile 1996, n. 98/E .
La nuova disciplina del processo tributario.


Settore:Normativa nazionale
Data:23/04/1996
Numero:98


Sommario
Art. 1 
Art. 2 
Art. 3 
Art. 4 
Art. 5 
Art. 6 
Art. 7 
Art. 8 
Art. 9 
Art. 10 
Art. 11 
Art. 12 
Articolo 2, comma 2, del decreto-legge 15 marzo 1996, n. 123. 
Art. 13 
Art. 14 
Art. 15 
Art. 16 
Art. 17 
Art. 18 
Art. 19 
Art. 20 
Art. 21 
Art. 22 
Art. 23 
Art. 24 
Art. 25 
Art. 26 
Art. 27 
Art. 28 
Art. 29 
Art. 30 
Art. 31 
Art. 32 
Art. 33 
Art. 34 
Art. 35 
Art. 36 
Art. 37 
Art. 38 
Art. 39 
Art. 40 
Art. 41 
Art. 42 
Art. 43 
Art. 44 
Art. 45 
Art. 46 
Art. 47 
Art. 48 
Art. 49 
Art. 50 
Art. 51 
Art. 52 
Art. 53 
Art. 54 
Art. 55 
Art. 56 
Art. 57 
Art. 58 
Art. 59 
Art. 60 
Art. 61 
Art. 62 
Art. 63 
Art. 64 
Art. 65 
Art. 66 
Art. 67 
Art. 68 
Art. 69 
Art. 70 
Art. 71 
Art. 72 
Art. 73 
Art. 74 
Art. 75 
Art. 76 
Art. 77 
Art. 78 
Art. 79 
Art. 80 


§ 98.1.35731 - Circolare 23 aprile 1996, n. 98/E .

La nuova disciplina del processo tributario.

 

Emanata dal Ministero delle finanze.

 

Premessa

In attuazione dell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 recante delega della legge al Governo della Repubblica per l'emanazione di provvedimenti concernenti la revisione della disciplina e dell'organizzazione del contenzioso tributario, sono stati emanati il decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, e il decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

Il primo di detti decreti legislativi reca l'ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria, nonché l'organizzazione degli uffici di collaborazione; il decreto legislativo n. 546 del 1992 contiene invece disposizioni sul processo tributario.

Con la presente circolare vengono esaminate analiticamente le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 346 del 1992 al fine di fornire ai dipendenti uffici elementi conoscitivi volti ad assicurare una corretta e puntuale difesa dell'Amministrazione dinanzi agli organi del contenzioso tributario.

Al fine di assicurare l'uniforme applicazione delle disposizioni sopra richiamate, si riporta, per ciascun articolo del decreto legislativo in esame, il testo del provvedimento aggiornato con le modificazioni ed integrazioni intervenute nonché il relativo commento, che sarà, nel prosieguo, eventualmente integrato alla luce anche degli orientamenti giurisprudenziali che verranno a formarsi.

 

 

Titolo I

Disposizioni generali

Capo I

Del giudice tributario e suoi ausiliari

Art. 1

Gli organi della giurisdizione tributaria.

1. La giurisdizione tributaria è esercitata dalle commissioni tributarie provinciali e dalle commissioni tributarie regionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545.

2. I giudici tributati applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile.

Com'è noto, la giurisdizione tributaria ha per oggetto la cognizione delle controversie che insorgono nell'ambito del rapporto tributario concernente le materie elencate al successivo articolo 2.

La norma in commento, superando le precedenti perplessità in ordine alla natura giurisdizionale delle Commissioni tributarie, sorte a seguito di contrastanti pronunce giurisprudenziali, attribuisce, in modo chiaro e definitivo, alle nuove Commissioni tributarie provinciali e regionali l'esercizio della giurisdizione tributaria.

Le Commissioni tributarie provinciali, aventi sedi in ciascun capoluogo di provincia, sono giudici di prima istanza, mentre le commissioni tributarie regionali, aventi sede nel capoluogo di regione, sono giudici di appello.

I nuovi organi di giustizia tributaria sono individuati nel decreto 31 dicembre 1992, n. 545, concernente l'ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria nonché l'organizzazione degli uffici di collaborazione.

Il legislatore delegato, così come afferma la relazione ministeriale al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ha volutamente evitato di prendere posizione sulla nota questione della natura della giurisdizione tributaria, se cioè essa debba essere intesa quale attività tendente all'annullamento di atti ovvero all'accertamento di rapporti.

Il nuovo processo tributario è disciplinato secondo i caratteri propri del processo civile, salvo alcune peculiarità connesse alla specificità della materia tributaria.

Il comma 2 dell'articolo in esame indica le regole che governano il nuovo processo tributario, prevedendo espressamente che la particolare disciplina è contenuta nel decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 emanato in attuazione della delega prevista dall'articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413.

Il testo normativo, sistematicamente organizzato, si compone di ottanta articoli, raggruppati in tre titoli, divisi in capi e sezioni.

In particolare, il titolo I detta disposizioni generali sul giudice tributario e sulle parti del processo. Il titolo Il regola il procedimento dinanzi alla commissione tributaria provinciale e i mezzi di impugnazione, i procedimenti cautelare e conciliativo, nonché l'esecuzione delle sentenze. Il titolo III, infine, reca disposizioni finali e transitorie.

La disciplina si completa, per quanto non espressamente previsto, con un ampio rinvio a tutte le norme del codice di procedura civile (e non soltanto a quelle del libro I, come contemplato dal previdente sistema) compatibili con quelle proprie del processo tributario.

Tale rinvio è, però, subordinato alle seguenti condizioni:

a) che nessuna norma del decreto legislativo n. 546 del 1992 disciplini la fattispecie sia pure mediante interpretazione estensiva;

b) che la norma processualcivilistica, astrattamente applicabile alla fattispecie, sia compatibile con quelle del decreto legislativo medesimo.

Per l'accertamento di compatibilità soccorre il principio. enunciato della Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass. S.U. 16 gennaio 1986, n. 210) secondo il quale, in primo luogo, l'indagine deve tendere ad accertare se anche nel processo tributario possa configurarsi una situazione processuale avente le medesime caratteristiche di quella oggetto delle disposizioni richiamate ed, in secondo luogo, se la disciplina risultante sia o meno compatibile con le norme del processo tributario e dell'ordinamento tributario in generale.

Il giudizio di compatibilità avrà esito positivo non solo quando non vi è contrasto assoluto tra le norme, ma anche quando l'applicazione della norma richiamata non comporti una disarmonia non giustificata.

 

 

     Art. 2

Oggetto della giurisdizione tributaria.

1. Sono soggette alla giurisdizione delle commissioni tributarie le controversie concernenti:

a) le imposte sui redditi;

b) l'imposta sul valore aggiunto, tranne i casi di cui all'articolo 70 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ed i casi in cui l'imposta è riscossa unitamente all'imposta sugli spettacoli;

c) l'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili;

d) l'imposta di registro;

e) l'imposta sulle successioni e donazioni;

f) le imposte ipotecaria e catastale;

g) l'imposta sulle assicurazioni;

g-bis) il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi;

h) i tributi comunali e locali;

i) ogni altro tributo attribuito dalla legge alla competenza giurisdizionale delle commissioni tributarie.

2. Sono inoltre soggette alla giurisdizione tributaria le controversie concernenti le sovraimposte e le imposte addizionali nonché le sanzioni amministrative, gli interessi ed altri accessori nelle materie di cui al comma 1.

3. Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale.

La giurisdizione delle Commissioni tributarie è limitata tassativamente alle materie indicate nell'articolo 2 risultando abrogata dall'articolo 71 la norma (articolo 11, comma 5, del decreto legge 13 maggio 1991, n. 151 convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 202) che attribuiva alle commissioni la competenza a conoscere dei ricorsi contro il ruolo o l'avviso di mora anche in materie diverse da quelle elencate nel D.P.R. n. 636 del 1972.

Si rammenta in proposito che rientrano nell'ambito delle imposte sui redditi altre imposte oltre quelle disciplinate dal T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, quali:

1) l'imposta sostitutiva per l'esclusione dei beni strumentali dal patrimonio di enti non commerciali (articolo, 58 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 articolo 62 del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331 convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427);

2) l'imposta sostitutiva per l'esclusione dei beni strumentali dal patrimonio delle imprese individuali (articolo 58 della legge 30 dicembre 1991, n. 413);

3) l'imposta sostitutiva sui fondi comuni di investimento mobiliare aperti (articolo 9 della legge 23 marzo 1983, n. 77);

4) l'imposta sostitutiva sui fondi comuni di investimento mobiliare chiusi (articolo 11 della legge 14 agosto 1993, n. 344);

5) l'imposta sostitutiva sulle società a capitale variabile (articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 84, e successive modificazioni e integrazioni);

6) l'imposta sostitutiva sui fondi comuni di investimento immobiliare chiusi (articolo 15 della legge 25 gennaio 1994, n. 86, e successive modificazioni e integrazioni);

7) l'imposta sostitutiva sui proventi degli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (articolo 10-ter della legge 23 marzo 1983, n. 77);

8) l'imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei beni (articolo 3 della legge 29 dicembre 1990, n. 408 articolo 25 della legge 30 dicembre 1991, n. 413);

9) l'imposta sostitutiva su riserve e fondi in sospensione di imposta (articolo 8 della legge 29 dicembre 1990, n. 408; articolo 22 del decreto legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito dalla legge 22 marzo 1995, n. 85);

10) l'imposta sostitutiva sui conferimenti previsti dalla legge 30 luglio 1990, n. 218 (artt. 23 e 24 del decreto legge 23 febbraio 1995, n. 41 convertito dalla legge 22 marzo 1995, n. 85);

11) l'imposta sostitutiva sulle plusvalenze (artt. 2 e 3 del decreto legge 28 gennaio 1991, n. 27, convertito dalla legge 25 marzo 1991, n. 102);

12) l'imposta sostitutiva sugli scioglimenti agevolati delle società di comodo (articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni);

13) l'imposta sostitutiva dell'Irpeg, dell'Irpef e dell'Ilor sui maggiori o minori valori iscritti (articolo 4, comma 2, del decreto legge 28 febbraio 1996, n. 93)

14) l'imposta sostitutiva sulle nuove iniziative produttive (articolo 1 del decreto legge 10 giugno 1994, n. 357, convertito dalla legge 8 agosto 1994, n. 489);

15) l'imposta sostitutiva sui fondi pensione (articolo 14 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni e integrazioni).

Per quel che concerne l'imposta sul valore aggiunto, occorre sottolineare che la stessa esula dalla giurisdizione delle Commissioni tributarie nei casi di controversie relative ad operazioni di importazione, atteso il rinvio contenuto nell'articolo D.P.R. n. 633 del 1972 al 70 delle disposizioni sul contenzioso in materia doganale ovvero relative alle ipotesi in cui l'imposta è riscossa, ai sensi dell'articolo 74, comma quinto, del cennato D.P.R. n. 633 del 1972, unitamente all'imposta sugli spettacoli.

Nell'ambito delle controversie relative all'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili vanno ricomprese quelle concernenti sia l'INVIM decennale che quella dovuta a seguito di trasferimenti, nonché le controversie instaurate dall'acquirente riguardanti il privilegio previsto dall'articolo 28 del D.P.R. n. 643 del 1972.

Nell'ambito delle controversie relative alle imposte di registro e di successione concernenti i trasferimenti dei veicoli da trascrivere al pubblico registro automobilistico va ricompresa l'imposta erariale di trascrizione di cui alla legge 23 dicembre 1977, n. 952, in quanto strettamente connessa a dette imposte e soggetta al medesimo regime di accertamento e riscossione per espresso richiamo contenuto nella citata legge.

Per quanto attiene ai tributi comunali e locali di cui alla lettera h) dell'articolo in commento, si precisa che rientrano nella giurisdizione delle commissioni tributarie.

a) Tributi comunali:

1) l'imposta comunale sugli immobili (I.C.I. decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504), compresa quella relativa all'anno 1993, riscossa dagli uffici dell'Amministrazione finanziaria. Nonostante che l'articolo 15 del medesimo decreto legislativo n. 504 del 1992 limiti la competenza delle commissioni tributarie di primo e di secondo grado solo a taluni provvedimenti ivi indicati, è da ritenere che la competenza delle nuove commissioni tributarie provinciali e regionali è estesa a tutti i provvedimenti indicati nell'articolo 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992;

2) l'imposta comunale per l'esercizio di imprese e di arti e professioni (OCIAPI decreto legge 2 marzo 1989, n. 66, convertito dalla legge 24 aprile 1989, n. 144), già attribuita alla competenza delle commissioni tributarie dall'articolo 42-ter del decreto legge 23 febbraio 1998, n. 41 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85;

3) l'imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni (decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507);

4) la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni (decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507);

5) la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507);

6) il canone o diritto per i servizi relativi alla raccolta, all'allontanamento, la depurazione e lo scarico delle acque (decreto legge 17 marzo 1995, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio 1995, n. 172.)

Non sono, viceversa, attribuite alla competenza delle commissioni provinciali e regionali, restando pertanto ferma la disciplina del relativo contenzioso, le controversie relative ai seguenti tributi comunali:

1) addizionale comunale sul consumo dell'energia elettrica (decreto legge 28 febbraio 1983, n. 55 - convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1983, n. 131 in quanto per le relative controversie si applicano le disposizioni sul contenzioso dell'imposta erariale sul consumo di energia elettrica che a norma dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 546 del 1992, non è attribuita alla giurisdizione delle commissioni tributarie;

2) tasse sulle concessioni comunali (decreto legge 10 novembre 1978, n. 702, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 gennaio 1979, n. 3) in quanto la disciplina del relativo contenzioso è la stessa delle tasse delle concessioni governative, che, ai sensi del citato articolo 2 del decreto legislativo n. 546 del 1992, non è attribuita alla competenza delle commissioni tributarie, in quanto è da ritenere prevalente la disposizione contenuta nella norma speciale rispetto a quella della norma generale.

b) Tributi provinciali:

1) il tributo provinciale per l'esercizio delle funzioni di tutela, protezione e igiene dell'ambiente (decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504);

2) la tassa per l'occupazione delle aree pubbliche delle province (decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507);

3) l'addizionale provinciale all'imposta erariale di trascrizione (decreto legislativo 28 dicembre 1995, n. 549).

Non è attribuita alla competenza delle commissioni, per gli stessi motivi dell'addizionale comunale:

1) l'addizionale provinciale sul consumo dell'energia elettrica (decreto legge 28 febbraio 1993, n. 55, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1983, n. 131.)

c) Tributi regionali:

1) il tributo speciale per il conferimento dei rifiuti nelle discariche (legge 28 dicembre 1995, n. 549.)

Per gli altri tributi regionali la competenza delle commissioni tributarie va valutata alla luce del disposto dell'articolo 6 della legge 16 maggio 1970, n. 281, secondo cui avverso l'accertamento e la riscossione, nonché per il rimborso dei tributi regionali, fatta salva l'azione giudiziaria avanti i giudici ordinari, può essere proposto, in luogo dei ricorsi previsti dalle leggi relative ai corrispondenti tributi erariali e comunali, il ricorso in via amministrativa al presidente della giunta regionale.

Ne consegue, pertanto, che, per i tributi regionali che prevedono un corrispondente tributo erariale o comunale, il cui contenzioso sia di competenza delle commissioni tributarie, il relativo contenzioso potrà, a scelta dal ricorrente, essere proposto dinanzi alle predette commissioni ovvero utilizzando gli altri mezzi alternativi previsti dal citato articolo 6.

Allo stato, l'unico tributo regionale che si trovi in tale situazione è la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche regionali (legge 16 maggio 1970, n. 281, e decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507.)

Non sono, pertanto, attribuiti alla competenza delle commissioni tributarie gli altri tributi delle regioni a statuto ordinario, in quanto o non è prevista attribuzione o non esiste il corrispondente tributo erariale o comunale, ovvero, se esiste, non è attribuito il relativo contenzioso alle commissioni tributarie.

Si elencano, per migliore comprensione, detti tributi:

- Addizionale regionale all'imposta di consumo sul gas metano e relativa imposta sostitutiva (decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398);

- Addizionale regionale sui canoni statali per le utenze di acqua pubblica (legge 5 gennaio 1994, n. 36);

- Imposta regionale sulla benzina per autotrazione (decreto legislativo del 21 dicembre 1990, n. 398; legge 28 dicembre 1995, n. 549);

- Imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo (decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398; legge 28 dicembre 1995, n. 549);

- Imposta regionale sulle concessioni statali per l'occupazione e l'uso dei beni del patrimonio indisponibile (decreto legge 5 ottobre 1990, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494);

- Tassa di abilitazione all'esercizio professionale (D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616);

- Tassa regionale per il diritto allo studio universitario (legge 28 dicembre 1995, n. 549);

- Tasse automobilistiche regionali (decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504);

- Tasse sulle concessioni regionali (decreto legislativo 22 giugno 1991, n. 230.)

Infine, per i tributi propri delle Regioni a statuto speciale, occorre precisare che le norme istitutive ne disciplinano il relativo contenzioso con modalità del tutto simili a quelle previste nella citata legge n. 281 del 1970 e, comunque, non interessanti la competenza delle commissioni tributarie.

Il comma 1 dell'articolo 2 in esame, alla lettera i), reca una disposizione residuale, in base alla quale rientra nella giurisdizione delle Commissioni ogni altro tributo devoluto dalla legge a detti organi. Tale norma consente di ricondurre nell'ambito di detto articolo anche le controversie relative alle imposte attribuite dalle singole leggi istitutive alla giurisdizione delle Commissioni tributarie previdenti.

Pertanto, le nuove Commissioni tributarie sono competenti a decidere in ordine alle controversie concernenti:

- l'imposta straordinaria immobiliare - ISI - (decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359);

- l'imposta straordinaria sui depositi bancari (decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359);

- l'imposta straordinaria su beni di lusso (decreto legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438);

- la SOCOF (articolo 21, decreto legge 28 febbraio 1983, n. 55, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1983, n. 131);

- l'imposta sul patrimonio netto delle imprese (decreto legge 30 settembre 1992, n. 394, convertito dalla legge 26 novembre 1992, n. 461.)

A differenza di quanto disposto dalla previdente disciplina, l'articolo 2 in commento prevede espressamente, al comma 2, che la competenza delle nuove Commissioni si estende ad ogni accessorio delle imposte citate nel comma 1 del medesimo articolo 2. Pertanto, le Commissioni tributarie sono competenti, oltre che in ordine alle controversie concernenti le pene pecuniarie e le soprattasse relative alle imposte esaminate, anche in ordine alla applicabilità delle sanzioni accessorie quali, ad esempio, quella della sospensione della licenza e della chiusura dell'esercizio per violazione ripetuta dell'obbligo di emissione dello scontrino fiscale.

Non possono, invece, considerarsi accessori dell'imposta le somme dovute dall'Amministrazione finanziaria a seguito di danno per svalutazione monetaria su importi indebitamente percepiti; le relative controversie, pertanto, devono essere instaurate dinanzi al giudice ordinario.

Occorre sottolineare, infine, che, per consolidata giurisprudenza, devono ritenersi riconducibili alla giurisdizione delle Commissioni tributarie anche le controversie tra sostituto e sostituito d'imposta in ordine alle legittimità ed alla misura delle ritenute alla fonte applicate.

 

 

     Art. 3

Difetto di giurisdizione.

1. Il difetto di giurisdizione delle commissioni tributarle è rilevato, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo.

2. È ammesso il regolamento preventivo di giurisdizione previsto dall'articolo 41, primo comma, del c.p.c.

La giurisdizione e la competenza sono due istituti distinti; per tale motivo nel nuovo processo tributario vengono trattati separatamente.

Il difetto di giurisdizione è sempre proponibile dalle parti e rilevabile d'ufficio dal giudice, in ogni stato e grado del processo, finché non sia intervenuto il giudicato.

Ai sensi dell'articolo 324 c.p.c., si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per Cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 395 c.p.c

Nel nuovo processo tributario è ammesso il regolamento preventivo di giurisdizione previsto dall'articolo 41 primo comma, del codice di procedura civile, il quale così dispone: "Finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può chiedere alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione di cui all'articolo 37. L'istanza si propone con ricorso a norma degli e seguenti e produce gli articoli 364 e seguenti e prodotti gli effetti di cui all'articolo 367.

Il regolamento di giurisdizione è il mezzo che permette di ottenere una decisione definitiva e vincolante sui limiti della giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria o dei giudici speciali.

L'istanza si propone con ricorso diretto alle sezioni unite della Corte di Cassazione, quale organo supremo, senza che sulla questione di giurisdizione si pronuncino i giudici investiti della causa.

Il ricorso deve essere sottoscritto da un avvocato ammesso al patrocinio davanti alla Corte di Cassazione e iscritto all'apposito albo. Tale sottoscrizione è prevista a pena d'inammissibilità ex articolo 365 del codice di procedura civile.

Il regolamento di giurisdizione ha carattere preventivo e deve essere proposto prima che la causa sia decisa nel merito in primo grado. La richiesta deve provenire dalla parte, in quanto è escluso che il regolamento possa essere promosso d'ufficio.

La proposizione del ricorso per regolamento di giurisdizione non produce automaticamente la sospensione del processo ai sensi dell'articolo 367 del codice di procedura civile. La sospensione è pronunciata mediante ordinanza del giudice a quo, il quale concede la predetta sospensione soltanto se ritiene che l'istanza non è inammissibile o se non reputa che la contestazione della giurisdizione è manifestamente infondata. il giudice verifica la sussistenza delle condizioni per la proponibilità del regolamento.

L'articolo 367, secondo comma, del c.p.c. prevede che se la Corte di Cassazione dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, le parti debbono riassumere il processo entro il termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione della sentenza.

 

 

     Art. 4

Competenza per territorio.

1. Le commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti degli uffici delle entrate o del territorio del Ministero delle finanze ovvero degli enti locali ovvero dei concessionari del servizio di riscossione, che hanno sede nella loro circoscrizione; se la controversia è proposta nei confronti di un centro di servizio è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso.

2. Le commissioni tributarie regionali sono competenti per le impugnazioni avverso le decisioni delle commissioni tributarie provinciali, che hanno sede nella loro circoscrizione.

L'unico criterio che regola la competenza nel processo tributario è quello territoriale, non avendo alcun rilievo, per le caratteristiche proprie del processo, il criterio della competenza per valore e per materia. Tale competenza è da qualificare come inderogabile.

La competenza riguarda i rapporti fra i giudici dello stesso ordine, la distribuzione delle controversie fra gli stessi e, di conseguenza, l'ambito di giurisdizione ad essi spettante.

La giurisdizione realizza l'attuazione del diritto al caso concreto. I limiti esterni della giurisdizione del giudice tributario sono rappresentati dalla materia indicata dall'articolo 2 del decreto in esame. Da ciò consegue che, mentre le questioni di competenza si pongono fra giudici dello stesso ordine (ad esempio, fra giudici tributari), le questioni di giurisdizione concernono i rapporti fra giudici di ordine diverso (ad esempio, giudici tributari e giudici ordinari).

Il criterio della competenza è fissato con riguardo al giudice di primo grado, in quanto la competenza del giudice di appello è consequenziale a quella fissata in primo grado.

L'unico criterio applicabile è quello territoriale, essendo distribuita la competenza fra i giudici di prima istanza in relazione al luogo ove hanno sede gli uffici delle entrate o del territorio del Ministero delle Finanze, ovvero degli enti locali, ovvero dei concessionari del servizio di riscossione che hanno emesso l'atto da impugnare.

Quando la controversia è promossa avverso gli atti emanati dal Centro di servizio, è competente la commissione tributaria nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio tributario al quale spettano le attribuzioni sul tributo in contestazione.

Il collegamento essenziale che esiste tra le commissioni tributarie e l'ufficio finanziario giustifica la qualificazione della competenza territoriale come funzionale ed inderogabile.

 

 

     Art. 5

Incompetenza.

1. La competenza delle commissioni tributarie è inderogabile.

2. L'incompetenza della commissione tributaria è rilevabile, anche d'ufficio, soltanto nel grado al quale il vizio si riferisce.

3. La sentenza della commissione tributaria che dichiara la propria incompetenza rende incontestabile l'incompetenza dichiarata e la competenza della commissione tributaria in essa indicata, se il processo viene riassunto a norma del comma 5.

4. Non si applicano le disposizioni del codice di procedura civile sui regolamenti di competenza.

5. La riassunzione del processo davanti alla commissione tributaria dichiarata competente deve essere effettuata a istanza di parte nel termine fissato nella sentenza o in mancanza nel termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza stessa. Se la riassunzione avviene nei termini suindicati il processo continua davanti alla nuova commissione, altrimenti si estingue.

L'articolo in esame, nel disporre che la competenza delle commissioni tributarie è inderogabile, stabilisce, altresì, che l'incompetenza territoriale della commissione tributaria ritenuta è rilevabile, anche d'ufficio, soltanto nel grado al quale il vizio si riferisce. L'incompetenza, se non rilevata innanzi alla Commissione tributaria ritenuta incompetente, non è più rilevabile nei successivi gradi del giudizio.

La sentenza della commissione tributaria che dichiara la propria incompetenza rende incontestabile l'incompetenza dichiarata e la competenza della commissione tributaria in essa indicata, purché il processo venga riassunto davanti alla commissione tributaria dichiarata competente.

Il comma 3 dell'articolo in esame ricalca il contenuto dell'articolo 44 del codice di procedura civile, con una differenza di rilievo rispetto alla suddetta disposizione, derivante dal fatto che nel processo tributario, essendo espressamente non applicabili le disposizioni processualcivilistiche sui regolamenti di competenza (comma 4), la sentenza che dichiara l'incompetenza del giudice che l'ha pronunciata non è impugnabile con l'istanza di regolamento per dirimere gli eventuali conflitti di competenza.

L'onere della riassunzione incombe alle parti e la relativa istanza deve essere presentata nel termine fissato nella sentenza, o in mancanza, nel termine di sei mesi dalla comunicazione, a cura della segreteria, della sentenza stessa, pena l'estinzione del processo.

L'estinzione del processo non comporta l'estinzione del diritto d'azione e, quindi, del diritto a ricorrere, purché tale diritto venga esercitato entro il termine di decadenza. Se la riassunzione avviene nei termini di cui sopra, il processo continua davanti alla nuova commissione tributaria dichiarata competente. La disciplina della riassunzione riproduce quella dettata dall'articolo 50 del codice di procedura civile.

Alla determinazione della competenza del giudice di prima istanza consegue la competenza anche del giudice d'appello.

 

 

     Art. 6

Astensione e ricusazione dei componenti delle commissioni tributarie.

1. L'astensione e la ricusazione dei componenti delle commissioni tributarie sono disciplinate dalle disposizioni del codice di procedura civile in quanto applicabili.

2. Il giudice tributario ha l'obbligo di astenersi e può essere ricusato anche nel caso di cui all'articolo 13, comma 3, e in ogni caso in cui abbia o abbia avuto rapporti di lavoro autonomo ovvero di collaborazione con una delle parti.

3. Sulla ricusazione decide il collegio al quale appartiene il componente della commissione tributaria ricusato, senza la sua partecipazione e con l'integrazione di altro membro della stessa commissione designato dal suo presidente.

L'articolo contempla espressamente gli istituti della astensione e della ricusazione del giudice, richiamando nel comma 1 la relativa disciplina processualcivilistica

Pertanto, a norma dell'articolo 51 c.p.c. il giudice tributario avrà l'obbligo (astensione obbligatoria) di astenersi nei casi in cui:

- abbia interesse nella controversia o in altra vertente su identica questione di diritto;

- egli stesso o la moglie sia parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o sia convivente o commensale abituale di una delle parti o alcuno dei suoi difensori;

- egli stesso o la moglie abbia controversia pendente o grave inimicizia o rapporti di debito o credito con una delle parti (escluso l'ufficio dell'Amministrazione Finanziaria) o alcuno dei suoi difensori;

- abbia dato consiglio nella controversia, oppure ne abbia conosciuto come magistrato in altro grado del processo o vi abbia prestato assistenza come consulente tecnico;

- sia tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; sia amministratore o gerente di un ente di un'associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.

Il comma 2 della disposizione in esame stabilisce, tra l'altro, che il giudice ha l'obbligo di astenersi nelle ipotesi in cui:

- abbia o abbia avuto rapporti di lavoro autonomo o di collaborazione con una delle parti. Per lavoro autonomo deve intendersi qualsiasi attività di lavoro non subordinato, sia abituale che occasionale; inoltre dalla formulazione della disposizione emerge che il rapporto professionale può avere qualunque oggetto, non solo di consulenza tributaria.

Per quanto attiene, invece, alla "collaborazione", è da ritenere che rientri in tale nozione non solo la collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 49, comma 2, lett. a), del T.U.I.R. ma anche qualsiasi attività di lavoro subordinato;

- abbia fatto parte di una commissione per l'assistenza tecnica gratuita che ha esaminato controversie attinenti al processo in cui è chiamato a giudicare.

Inoltre, in applicazione del II comma dell'articolo 51 c.p.c., il giudice tributario dovrà astenersi ogni qualvolta ravvisi gravi ragioni di convenienza (astensione facoltativa).

Ciascuna delle parti, negli stessi casi in cui il giudice ha l'obbligo di astenersi, può proporre la ricusazione mediante ricorso motivato, da presentarsi ai sensi dell'articolo 52 c.p.c. (cioè due giorni prima dell'udienza, se al ricusante è noto il nome dei componenti il collegio giudicante, e prima dell'inizio della trattazione della discussione in caso contrario).

Il ricorso sospende il giudizio ed è deciso con ordinanza non impugnabile emanata dal collegio cui appartiene il giudice ricusato, il quale viene sostituito da un altro giudice della stessa commissione, su designazione del presidente.

Trovano applicazione gli articoli 53 e 54 c.p.c., anche per quel che concerne l'obbligo di riassunzione del giudizio, ad istanza di parte entro il termine perentorio di sei mesi.

Nel caso non sia stato presentato ricorso di ricusazione, la pronuncia del collegio nel merito della questione su cui verte il processo è valida e non può eccepirsi, in sede di impugnazione, l'esistenza di una delle cause di cui al presente articolo 6.

 

 

     Art. 7

Poteri delle commissioni tributarie.

1. Le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributati ed all'ente locale da ciascuna legge d'imposta.

2. Le commissioni tributarie, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica. I compensi spettanti ai consulenti tecnici non possono eccedere quelli previsti dalla legge 8 luglio 1980, n. 319, e successive modificazione integrazioni .

3. È sempre data alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia.

4. Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale.

5. Le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all'oggetto dedotto in giudizio, salva l'eventuale impugnazione nella diversa sede competente.

L'articolo in esame, sostanzialmente riproduttivo dell'articolo 35 del D.P.R. n. 636 del 1972, attribuisce alle commissioni tributarie i poteri istruttori di approfondimento nei limiti dei fatti dedotti in giudizio dalle parti.

Si precisa che rispetto alla previdente disciplina normativa che non limitava l'esercizio dei poteri istruttori delle Commissioni tributarie, la nuova disposizione riduce l'esercizio stesso ai casi di indagine sui soli fatti dedotti dalle parti.

In particolare, il collegio giudicante ha le stesse facoltà di accesso, di richiesta dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari e agli enti locali dalle singole leggi di imposta.

Inoltre, la commissione tributaria può richiedere, nei casi di particolare complessità tecnica, relazioni esplicative alla P.A. o rapporti alla Guardia di Finanza.

Può disporsi anche la nomina di un consulente tecnico di ufficio, per il quale trovano applicazione le relative norme del c.p.c.(articoli da 62 a 64 e da 191 a 197).

Non sono applicabili gli artt. 198, 199 e 200 c p.c., non essendo ammissibile un tentativo di conciliazione delle parti operato dal consulente tecnico di ufficio, stante l'apposita disciplina dell'istituto della conciliazione giudiziale completamente delineata dall'articolo 48.

Il comma 3 dell'articolo in esame dispone che la Commissione tributaria può ordinare, in ogni momento, alle parti il deposito di qualunque tipo di documento che assuma rilevanza ai fini della decisione.

Tra i documenti che possono essere richiesti ai contribuenti, ricoprono una notevole importanza le scritture contabili, la regolare tenuta delle quali è imposta dalla legge come obbligo per molti contribuenti.

Il rifiuto di esibire i documenti richiesti può essere interpretato dal giudice in senso negativo alla parte, in applicazione dell'analogo principio, dettato nelle norme del processo civile (articoli 116 e 118 c.p.c.).

Sono esclusi dai mezzi di prova nel processo tributario sia il giuramento che la prova testimoniale.

Infine, l'ultimo comma dell'articolo 7 attribuisce alle Commissioni tributarie il potere di disapplicare i regolamenti o gli atti generali rilevanti ai fini della decisione, limitatamente all'oggetto dedotto in giudizio senza alcun potere di invalidazione dell'atto illegittimo medesimo.

 

 

     Art. 8

Errore sulla norma tributaria.

1. La commissione tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce.

La Commissione tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie nei casi in cui vi sia una grave incertezza sull'interpretazione della norma a fondamento della pretesa dell'Amministrazione finanziaria.

Tale disposizione riproduce quanto statuito dall'articolo 39-bis del D.P.R. n. 636 del 1972, il quale recepiva un principio già dettato dalle leggi concernenti i singoli tributi (articolo 55, quinto comma, del D.P.R. 29 settembre 1993, n. 600, in materia di imposte dirette, ed articolo 48, settimo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in materia di imposta sul valore aggiunto).

Per "sanzioni non penali" si intendono le pene pecuniarie, le sanzioni accessorie, nonché le soprattasse, in quanto anche queste ultime, come affermato dalle SS.UU. della Corte di Cassazione (sentenza n. 5246 del 6 maggio 1993) hanno natura afflittiva e non meramente risarcitoria.

L'incertezza interpretativa può essere rilevata dal giudice anche se non dedotta in giudizio dal contribuente, ma deve trattarsi di incertezza oggettiva - come, ad esempio, nei casi di divergenze di contenuto tra atti ufficiali dell'Amministrazione - non anche di incertezza derivante da condizioni soggettive del ricorrente.

Non può ravvisarsi alcuna incertezza sulla portata della norma nei casi in cui sulla stessa si sia formato un orientamento giurisprudenziale consolidato.

 

 

     Art. 9

Organi di assistenza alle commissioni tributarie.

1. Il personale dell'ufficio di segreteria assiste la commissione tributaria secondo le disposizioni del c.p.c. concernenti il cancelliere.

2. Le attività dell'ufficiale giudiziario in udienza sono disimpegnate dal personale ausiliario addetto alla segreteria.

Le Commissioni tributarie sono assistite, nello svolgimento delle loro attività, dal personale dell'ufficio di segreteria di cui gli articoli 35 e seguenti del decreto legislativo n. 545 del 1992.Tutto il personale appartenete alla segreteria è equiparato dalla legge al cancelliere del processo civile; pertanto trovano applicazione gli articoli 57, 58 e 60 del codice di procedura civile.

Inoltre, il personale di segreteria rilascia copie ed estratti autentici dei documenti prodotti, nonché svolge ogni altra funzione che gli è attribuita dal decreto legislativo n. 546 del 1992 o dalle norme del codice di procedura civile.

Il solo personale ausiliario, per contro, è chiamato a svolgere le funzioni dell'ufficiale giudiziario in udienza.

Sono escluse, invece, le mansioni dell'ufficiale giudiziario fuori dall'udienza, quali la notifica degli ,atti, che deve avvenire a norma dell'articolo 16 decreto legislativo n. 546 del 1992.

 

 

Capo II

Delle parti e della loro rappresentanza e assistenza in giudizio

     Art. 10

Le parti.

1. Sono parti nel processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l'ufficio del Ministero delle finanze o l'ente locale o il concessionario del servizio di riscossione che ha emanato l'atto impugnato o non ha emanato l'atto richiesto ovvero, se l'ufficio è un centro di servizio, l'ufficio delle entrate del Ministero delle finanze al quale spettando le attribuzioni sul rapporto controverso.

Con tale disposizione il legislatore ha inteso individuare i soggetti aventi la capacità di essere parte nel processo tributario.

Il difetto di legittimazione è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio (cosiddetta "legitimatio ad causam").

Innanzi tutto la norma prende in considerazione il ricorrente, che costituisce la parte attiva del processo, in quanto titolare dell'azione o legittimato alla impugnazione.

La figura dei ricorrente coincide, il più delle volte, con quella del contribuente, ossia con quel soggetto debitore del tributo, sia che egli agisca contro un atto dell'ufficio sia che agisca per il rimborso di somme pagate senza che sia intervenuto un atto.

In taluni casi, peraltro, la veste di ricorrente è assunta da soggetti diversi dal contribuente, quali il destinatario della sanzione, che può essere soggetto diverso dall'obbligato per il tributo, ovvero il sostituto d'imposta, che ha "legitimatio ad causam" per vicende inerenti al rapporto di sostituzione.

La norma considera, altresì, parte del processo l'ufficio o l'ente che ha emanato l'atto impugnato o non ha emanato l'atto richiesto. Può trattarsi, in primo luogo, degli uffici del Ministero delle finanze competenti all'amministrazione del tributo di cui si controverte (l'ufficio delle entrate per tutti i tributi statali, eccetto quelli doganali; l'ufficio del territorio per le operazioni catastali e in parte per l'imposta ipotecaria). Si fa presente che, fino all'istituzione degli uffici unici delle entrate, la veste di parte deve essere assunta dagli uffici distrettuali delle imposte dirette o dagli Uffici provinciali IVA o dagli Uffici del Registro a seconda delle rispettive competenze.

Per quanto concerne gli atti provenienti dai Centri di Servizio, la disposizione precisa che parte del processo è l'ufficio che ha competenza in merito al rapporto controverso, ossia l'Ufficio delle entrate (attualmente l'ufficio distrettuale delle imposte dirette).

Va precisato che ai sensi dell'articolo 18, comma 2, lett. c), la parte resistente deve essere sempre menzionata nel ricorso, a pena di inammissibilità.

Oltre agli uffici finanziari, la norma considera parte nel processo l'ente locale, ossia il comune o la provincia, ovvero la regione, in relazione ai tributi di rispettiva competenza, nonché il concessionario del servizio di riscossione.

Per quanto concerne quest'ultimo, si fa presente che lo stesso è parte del processo tributario quando oggetto della controversia sia l'impugnazione di atti a lui direttamente riferibili, nel senso che trattasi di errori imputabili allo stesso concessionario (errori connessi alla compilazione e alla intestazione della cartella di pagamento o degli avvisi di mora, alla notificazione degli stessi atti, etc.).

 

 

     Art. 11

Capacità di stare in giudizio.

1. Le parti diverse da quelle indicate nei commi 2 e 3 possono stare in giudizio anche mediante procuratore generale o speciale. La procura speciale, se conferita al coniuge e ai parenti o affini entro il quarto grado ai soli fini della partecipazione all'udienza pubblica può risultare anche da scrittura privata non autenticata.

2. L'ufficio del Ministero delle finanze nei cui confronti è proposto il ricorso sta in giudizio direttamente o mediante l'ufficio del contenzioso della direzione regionale o compartimentale ad esso sovraordinata.

3. L'ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso sta in giudizio mediante l'organo di rappresentanza previsto dal proprio ordinamento.

L'articolo in esame disciplina la capacità processuale per le parti diverse dall'ufficio del Ministero delle finanze o dall'ente locale.

La capacità processuale (o "legitimatio ad processum") si sostanzia nell'attitudine del soggetto che ha la titolarità dell'azione a proporre la domanda e a compiere validamente gli atti processuali; la stessa, pertanto, è riconnessa alla capacità di agire. Nel diritto processuale, teoricamente, la "laegitimatio ad causam" e "ad processum" dovrebbero coincidere facendo capo, di regola, allo stesso soggetto; quando questa identità non si verifica (es: minore di età, fallito, persone giuridiche, trattandosi di soggetti ai quali non è riconosciuta la capacità di stare in giudizio), il legislatore ricorre all'istituto della rappresentanza legale.

Le parti summenzionate possono stare in giudizio mediante procuratore generale o speciale. La procura è, di regola, conferita con atto pubblico o per scrittura privata autenticata; nel caso in cui i destinatari siano il coniuge ed i parenti o affini entro il quarto grado, la procura, ai soli fini della partecipazione all'udienza pubblica, potrà risultare anche da scrittura privata non autenticata.

Per quanto concerne la parte resistente, se trattasi dell'ufficio del Ministero delle finanze che è parte ai sensi dell'articolo 10, la norma prevede che esso possa stare in giudizio direttamente nella persona del titolare o di un delegato, ovvero avvalendosi della rappresentanza dell'ufficio del contenzioso della direzione regionale o compartimentale sovraordinata.

In questo caso non si prevede, pertanto, una rappresentanza volontaria, bensì è prevista una rappresentanza legale alternativa.

Per quanto riguarda, invece, l'ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso, esso può stare in giudizio legalmente per il tramite degli organi competenti alla rappresentanza, previsti dal proprio ordinamento (ai sensi dell'articolo 36 della legge 8 giugno 1990, n. 142, per il comune, il sindaco o il suo delegato; per la provincia, il presidente della provincia o il suo delegato; per la regione, il presidente della regione o il suo delegato).

Relativamente al comune, va aggiunto che, qualora la controversia riguardi l'imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni o la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche ed il relativo servizio di accertamento e riscossione sia stato affidato in concessione a norma degli articoli 25 e 52 del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, legittimato a stare in giudizio sarà lo stesso concessionario che, in forza del citato articolo 25 del decreto legislativo del 1993, subentra al comune in tutti i diritti ed obblighi inerenti la gestione del servizio.

Il concessionario della riscossione può stare in giudizio per mezzo del proprio rappresentante legale ovvero del collettore della concessionaria del servizio di riscossione.

 

 

     Art. 12

L'assistenza tecnica.

1. Le parti, diverse dall'ufficio del Ministero delle finanze o dall'ente locale nei cui confronti è stato proposto il ricorso, devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato.

2. Sono abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, se iscritti nei relativi albi professionali, gli avvocati, i procuratori legali, i dottori commercialisti, i ragionieri e i periti commerciali. Sono altresì abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, se iscritti nei relativi albi professionali, i consulenti del lavoro, per le materie concernenti le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente ed assimilati e gli obblighi di sostituto di imposta relativi alle ritenute medesime, gli ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti edili, i dottori agronomi, gli agrotecnici e i periti agrari, per le materie concernenti l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale. In attesa dell'adeguamento alle direttive comunitarie in materia di esercizio di attività di consulenza tributarla e del conseguente riordino della materia, sono, altresì, abilitati alla assistenza tecnica, se iscritti in appositi elenchi da tenersi presso le direzioni regionali delle entrate, i soggetti indicati nell'articolo 63, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la subcategoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioniere limitatamente alle materie concernenti le imposte di registro, di successione, i tributi locali, l'IVA, l'Irpef l'Ilor, l'Irpeg nonché i dipendenti delle associazioni delle categorie rappresentate nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (C.N.E.L.) e i dipendenti delle imprese, o delle loro controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, primo comma, numero 1), limitatamente alle controversie nelle quali sono parti, rispettivamente, gli associati e le imprese o loro controllate, in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioneria e della relativa abilitazione professionale; con decreto del Ministro delle finanze sono stabilite le modalità per l'attuazione delle disposizioni del presente periodo. Sono inoltre abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie i funzionari delle associazioni di categoria che, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, risultavano iscritti nell'elenco tenuto dalla Intendenza di finanza competente per territorio, ai sensi della, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636.

3. Ai difensori di cui al comma 2 deve essere conferito l'incarico con atto pubblico o con scrittura privata autenticata od anche in calce o a margine di un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa è certificata dallo stesso incaricato. All'udienza pubblica l'incarico può essere conferito oralmente e se ne dà atto a verbale.

4. L'ufficio del Ministero delle finanze, nel giudizio di secondo grado, può essere assistito dall'Avvocatura dello Stato.

5. Le controversie di valore inferiore a 5.000.000 di lire, anche se concernenti atti impositivi dei comuni e degli altri enti locali, nonché i ricorsi di cui all'articolo 10 del D.P.R. 28 novembre 1980, n. 787, possono essere proposti direttamente dalle parti interessate, che, nei procedimenti relativi, possono stare in giudizio anche senza assistenza tecnica. Per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste. Il presidente della commissione o della sezione o il collegio possono tuttavia ordinare alla parte di munirsi di assistenza tecnica fissando un termine entro il quale la stessa è tenuta, a pena di inammissibilità, a conferire l'incarico a un difensore abilitato.

6. I soggetti in possesso dei requisiti richiesti nel comma 2 possono stare in giudizio personalmente senza l'assistenza di alti difensori.

     Articolo 2, comma 2, del decreto-legge 15 marzo 1996, n. 123.

In attesa della formazione degli elenchi da tenersi presso le direzioni regionali delle entrate ai sensi dell'articolo 12, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, sono abilitati a prestare assistenza tecnica i soggetti appartenenti alle categorie ivi indicate a condizione che attestino nel ricorso, a pena di inammissibilità, il possesso dei requisiti richiesti.

Le disposizioni contenute nell'articolo 12 costituiscono una delle più importanti innovazioni del nuovo processo tributario, in quanto, in attuazione della delega contenuta nelle lettere i) e t) dell'articolo 30 della legge n. 413 del 1991, introducono l'obbligo dell'assistenza tecnica da parte di un difensore abilitato.

L'obbligo di assistenza tecnica è stato previsto per le parti del processo diverse dall'ufficio del Ministero delle finanze e dall'ente locale; pertanto, obbligati all'assistenza tecnica sono, oltre al concessionario del servizio di riscossione, anche l'intervenuto e il chiamato in giudizio.

In tema di assistenza, è necessario effettuare una distinzione, sulla base del dettato normativo, tra la abilitazione a carattere generale, che è attribuita alle categorie degli avvocati, procuratori legali, dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali, purché iscritti nei relativi albi, e la abilitazione a carattere limitato e specifico riconosciuta, in relazione a determinate materie, a soggetti esperti in materia tributaria, iscritti in albi o in ruoli o in elenchi speciali.

In relazione alle categorie che hanno abilitazione limitata, si fa presente che i consulenti del lavoro, iscritti nel relativo albo professionale, sono abilitati a prestare assistenza tecnica nelle controversie in materia di ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente ed assimilati

(artt. 23 e 24 del D.P.R n. 600 del 1973) e in relazione ai connessi obblighi dei sostituti d'imposta (dichiarazione Mod. 770); gli ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti edili, i dottori agronomi, gli agrotecnici e i periti agrari hanno abilitazione limitatamente alle controversie in materia catastale; i soggetti che alla data del 30 settembre 1993 risultavano iscritti nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura per la subcategoria tributi, possono prestare assistenza nelle sole materie attinenti alle imposte di registro, di successione, ai tributi locali, all'IVA, all'Irpef, all'Ilor ed all'Irpeg; i dipendenti delle associazioni di categoria rappresentate nel CNEL e i dipendenti delle imprese, o delle loro controllate, purché in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza, in economia e commercio o equipollenti ovvero del diploma di ragioneria con relativa abilitazione professionale (non è richiesta l'iscrizione agli albi professionali), hanno competenza per le controversie nelle quali siano parti, rispettivamente, gli associati delle cennate associazioni, le imprese e le loro controllate.

Una abilitazione generale, in tema di assistenza, è altresì attribuita ad altre categorie di soggetti. Trattasi, in particolare, degli impiegati delle ex carriere dirigenziali, direttiva e di concetto dell'Amministrazione finanziaria e degli ufficiali della Guardia di finanza, collocati a riposo dopo almeno venti anni di servizio effettivo, sempreché iscritti in appositi elenchi tenuti presso le Direzioni regionali delle entrate, nonché dei funzionari delle associazioni di categoria che alla data del 15 gennaio 1993 erano iscritti nell'elenco tenuto dalle soppresse Intendenze di Finanza ai sensi dell'articolo 30, terzo comma, del D.P.R. n. 636 del 1972.

Il comma 2 dell'articolo 2 del decreto legge 15 marzo 1996, n. 123, reca la disposizione secondo la quale, fino alla formazione degli elenchi di cui al comma 2, terzo periodo, dell'articolo in commento, i soggetti appartenenti alle categorie indicate in quest'ultima norma sono abilitati a prestare assistenza tecnica. I predetti soggetti sono tenuti ad attestare nel ricorso, a pena di inammissibilità, il possesso dei requisiti richiesti.

Il comma 3 dell'articolo in commento detta delle regole sulla procura alle liti, mutuate in gran parte dall'articolo 83 del codice di procedura civile. In particolare, ai difensori abilitati la procura deve essere conferita con atto pubblico o con scrittura privata autenticata.

La procura stessa può essere rilasciata anche a margine o in calce ad un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa del conferente deve essere autenticata dallo stesso incaricato del patrocinio.

Secondo le regole generali della procedura civile, la procura alle liti può essere generale e, quindi, riferirsi ad una serie indefinita di processi, oppure speciale, cioè conferita per un determinato giudizio o per una sua fase.

La procura speciale, se nell'atto non è espressa una volontà diversa, si presume riferita ad un unico grado del processo.

La norma nulla dice a proposito del momento di conferimento della procura. Tuttavia, atteso che il ricorso deve contenere il conferimento dell'incarico e deve essere sottoscritto dal difensore tecnico, si ritiene applicabile l'articolo 125, ultimo comma, del c.p.c., a mente del quale la procura non può essere rilasciata in data successiva alla notificazione dell'atto di ricorso.

Il comma 4 stabilisce che l'Avvocatura dello Stato può assistere l'Ufficio del Ministero delle finanze, nei giudizi di secondo grado.

Il comma 5 esclude, in linea di principio, l'obbligo di assistenza tecnica delle parti diverse dall'ufficio finanziario e dall'ente locale, per le cause in cui si controversia di tributi di valore inferiore a lire cinque milioni. Si precisa che l'articolo 2, comma 1, lettera a),del decreto legge ha inserito nel comma 5 dell'articolo in esame un periodo con il quale si fornisce la definizione di valore della lite. In base alla nuova previsione normativa, per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.

È opportuno rilevare che la menzionata formulazione normativa è sostanzialmente riproduttiva dell'articolo 2-quinquies, comma 4, lett. b), del decreto legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni dalla legge 30 novembre 1994, n. 656. Quest'ultima disposizione ha già formato oggetto di chiarimento da parte questa Amministrazione con circolare n. 197/E del 30 novembre 1994 cui si rinvia.

È previsto, peraltro, che il Presidente della commissione o della sezione, o il collegio possano, per le menzionate controversie per le quali non è obbligatoria l'assistenza tecnica, ove lo ritengano opportuno, ordinare alle parti di dotarsi di difensore abilitato. In tal caso viene fissato un termine alla parte per conferire il relativo incarico. Trattasi di un termine la cui inosservanza determina l'estinzione del giudizio per inattività delle parti.

Il comma 6 dell'articolo in commento, in parallelo a quanto disposto dall'articolo 86 del codice di procedura civile, stabilisce che i professionisti abilitati all'assistenza tecnica possono stare in giudizio personalmente, senza l'ausilio di altri difensori, qualora la controversia pendente innanzi alla Commissione tributaria li riguardi direttamente.

 

 

     Art. 13

Assistenza tecnica gratuita.

1. È assicurata innanzi alle commissioni tributarie ai non abbienti l'assistenza tecnica gratuita, secondo le di disposizioni del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282, e successive modificazioni e integrazioni. L'attività gratuita di assistenza tecnica è obbligatoria per tutti i soggetti indicati nell'articolo 12, comma 2.

2. È costituita presso ogni commissione tributaria la commissione per l'assistenza tecnica gratuita, composta da un presidente di sezione, che la presiede, da un giudice tributario designato dal presidente della commissione, nonché da tre iscritti negli albi o elenchi di cui all'articolo 2, comma 2, designati al principio di ogni anno a turno da ciascun ordine professionale del capoluogo in cui ha sede la commissione, e dalla direzione regionale delle entrate. Per ciascun componente è designato anche un membro supplente. Al presidente e ai componenti non spetta alcun compenso. Esercita le funzioni di segretario un funzionario dell'ufficio di segreteria della commissione tributaria.

3. Le commissioni per l'assistenza tecnica gratuita si pronunziano in unico grado e i giudici tributari che ne fanno parte hanno l'obbligo di astenersi nei processi riguardanti controversie da loro esaminate quali componenti di tali commissioni

4. La sorveglianza di cui all'articolo 4, primo e secondo comma, del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282 è esercitata dal presidente della commissione tributaria.

La novità introdotta nel nuovo processo tributario di rendere obbligatoria l'assistenza tecnica ha comportato l'esigenza di assicurare una forma di difesa gratuita altrettanto obbligatoria anche per i non abbienti.

Tale norma si basa sulle disposizioni del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282, e successive modificazioni ed integrazioni, ove è stabilito che per poter usufruire delle condizioni di ammissibilità a tale beneficio occorre che sussistano particolari situazioni e precisamente lo stato di povertà, inteso come impossibilità da parte del ricorrente di sopperire alle spese e il "fumus boni iuris", ossia la non manifesta infondatezza della pretesa.

Il comma 2 istituisce, così come avviene per i procedimenti civili, penali e amministrativi, una Commissione per l'assistenza tecnica gratuita; quest'ultima, presente presso ogni Commissione provinciale e regionale, ha il compito di risolvere le eventuali questioni relative all'ammissibilità dell'assistenza gratuita in un unico grado.

A tale fine, le parti interessate, ai sensi dell'articolo 18 del citato R.D. n. 3282 del 1923 devono presentare una apposita istanza diretta al presidente della competente commissione per il gratuito patrocinio.

La commissione, ai sensi dell'articolo 20 del menzionato R.D. n. 3282 del 1923 prima di provvedere alla domanda ne darà avviso alla parte avversa, concedendo un termine per una eventuale opposizione.

Nei casi di urgenza, secondo quanto stabilito dall'articolo il presidente può concedere in via provvisoria il richiesto gratuito patrocinio, salvo sottoporre l'istanza alla commissione nella prima adunanza.

Per i giudici - ai quali non spetta alcun compenso - vi è l'obbligo di astenersi dalla funzione giudicante nei processi riguardanti quei soggetti per i quali si è deliberato sul diritto al gratuito patrocinio.

Per i giudizi da trattarsi in sede di legittimità, l'ammissione al gratuito patrocinio è regolata da una Commissione speciale istituita presso la corte di Cassazione.

Il comma 4 della norma in commento stabilisce che la sorveglianza di cui all'articolo 4, primo e secondo comma, del R.D. n. 3282 del 1923, è esercitata dal presidente della commissione tributaria.

 

 

     Art. 14

Litisconsorzio ed intervento.

1. Se l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi.

2. Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l'integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza.

3. Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell'atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso.

4. Le parti chiamate si costituiscono in giudizio nelle forme prescritte per la parte resistente, in quanto applicabili.

5. I soggetti indicati nei commi 1 e 3 intervengono nel processo notificando apposito atto a tutte le parli e costituendosi nelle forme di cui al comma precedente.

6. Le parti chiamate in causa o intervenute volontariamente non possono impugnare autonomamente l'atto se per esse al momento della costituzione è già decorso il termine di decadenza.

L'articolo in commento, su espressa previsione della legge-delega, mutua, nel processo tributario, istituti propri del diritto processuale civile, quali il litisconsorzio e l'intervento.

A tal proposito giova ricordare che si realizza il litisconsorzio quando vi è una pluralità di parti che interagiscono nello stesso rapporto processuale.

Nell'ambito dello stesso istituto si distinguono il litisconsorzio attivo (più attori contro un solo convenuto: es. in caso di ricorso proposto congiuntamente dal venditore e dal compratore dell'immobile il cui valore dichiarato sia stato rettificato dall'ufficio del registro con avviso di accertamento di valore notificato ad entrambi ovvero nei casi di controversie concernenti il rimborso di ritenute alla fonte tra sostituto e sostituito), il litisconsorzio passivo (più convenuti contro un solo attore: es. in caso di riconosciuta legittimazione processuale sia della direzione regionale delle entrate che respinge l'istanza di rimborso sia dell'ufficio titolare del potere impositivo - in tal senso cfr. Cass. 18 febbraio 1992, n. 204) e quello misto (più attori contro più convenuti).

Nel diritto processuale civile si distingue anche il litisconsorzio "necessario" da quello "facoltativo", ricorrendo il primo quando espressamente la legge dispone che più soggetti debbano agire o essere convenuti nello stesso processo o quando una decisione giudiziale, proprio per il modo in cui è stata formulata la stessa domanda giudiziale, è efficace solo se pronunciata nei confronti di una pluralità di soggetti. Tali soggetti, congiuntamente, hanno titolo per assumere la veste processuale di attori o di convenuti. Ricorre invece la figura del litisconsorzio facoltativo quando, per ragioni di convenienza pratica, più azioni vengano esercitate nello stesso processo pur potendo, in altri casi similari, ciascuna formare oggetto di esame separato.

L'articolo 14, comma 1, mutua la previsione di litisconsorzio necessario disposta dall'art. 102 del codice di procedura civile.

Detta disposizione stabilisce che quando l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti tanto che la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi, tutti i legittimi contraddittori devono essere parti nello stesso processo. Ne consegue che il ricorso deve essere proposto (e notificato) nei confronti di tutti i soggetti inscindibilmente collegati, tanto è vero che, ai sensi del comma 2 dell'articolo in commento, se a ciò non si è provveduto, viene ordinata l'integrazione del contraddittorio mediante la chiamata in causa entro un termine perentorio. Circa l'inscindibilità tra più soggetti richiamata dalla norma, si precisa che trattasi di una necessaria compresenza nel rapporto processuale di una pluralità di soggetti che costituiscono un'unica parte del processo medesimo.

Pertanto, qualora uno di tali soggetti non sia presente nel processo viene meno anche il concetto stesso di parte processuale, con la conseguenza che la controversia non può essere decisa limitatamente ai soggetti che hanno dato vita al rapporto processuale. Pertanto, in assenza di alcuno di tali soggetti si deve provvedere all'integrazione del contraddittorio; a tale adempimento deve provvedere la parte che ha interesse alla prosecuzione del giudizio, mediante la loro chiamata in causa, attraverso la notificazione del ricorso introduttivo del giudizio e del provvedimento della commissione che ordina l'integrazione del contraddittorio (o di un atto che riproduca integralmente il contenuto del ricorso introduttivo e che riporti gli estremi del documento della commissione tributaria). Successivamente il ricorso (o diverso atto notificato al litisconsorte necessario) deve essere depositato in giudizio a cura della parte che ha eseguito la notificazione entro il termine perentorio stabilito dal giudice, il quale, una volta verificata la regolarità della notificazione del ricorso al litisconsorte, fisserà la data dell'udienza di trattazione, che sarà comunicata alle parti a cura della segreteria della commissione tributaria. In caso di mancata integrazione del contraddittorio, ai sensi dell'articolo 45, comma 1, il processo si estingue.

Nello stesso articolo in commento, è anche richiamata l'ipotesi del litisconsorzio facoltativo attraverso gli istituti dell'intervento volontario e della chiamata in giudizio, sia su istanza di parte, sia per ordine del giudice.

Per intervento volontario si intende far riferimento all'iniziativa spontanea di un terzo, che, potendo risentire indirettamente delle conseguenze di una sentenza emessa in un processo nel quale non è parte, ha interesse allo svolgimento e all'esito del processo medesimo.

Il comma 4 prevede che le parti chiamate, sia in caso di litisconsorzio necessario che di litisconsorzio facoltativo, debbano costituirsi in giudizio con le modalità prescritte dal successivo articolo 23 per la parte resistente (in quanto applicabili) ovverosia mediante deposito del proprio fascicolo nella segreteria della commissione entro il termine di sessanta giorni da quello di notificazione dell'atto di chiamata.

Per quanto concerne l'intervento volontario, in caso di litisconsorzio sia necessario che facoltativo, il comma 5 precisa che lo stesso si realizza mediante un atto scritto che deve essere notificato a tutte le parti e tramite la successiva costituzione in giudizio dell'interveniente.

Tale costituzione deve avvenire nelle stesse forme, sopra cennate, prescritte per il chiamato in causa con la differenza che, ovviamente, il termine del sessanta giorni decorre dall'ultima avvenuta notificazione dell'atto d'intervento.

L'intervento, nel silenzio della norma, deve ritenersi consentito in qualsiasi momento nel corso del giudizio, a condizione che, comunque, la costituzione dell'interveniente avvenga almeno venti giorni liberi prima dell'udienza. Tale termine di venti giorni liberi è desumibile dall'articolo 32, comma 1, del provvedimento in commento.

Il comma 6 dell'articolo in esame esclude che le parti chiamate in causa e gli interventori volontari possano impugnare autonomamente l'atto, già oggetto del ricorso principale, se al momento in cui essi si sono costituiti era già decorso il termine decadenziale per l'impugnazione.

In tale ipotesi il loro ingresso in giudizio assume i connotati dell'intervento adesivo dipendente (ad adiuvandum), come definito dalla elaborazione della dottrina processualcivilistica. Infatti, chiamati ed interventori possono esclusivamente offrire al giudice elementi nuovi connessi ai motivi di impugnazione già proposti, mentre non hanno possibilità di dedurre, ampliando il "thema decidendum", motivi d'impugnazione loro propri.

 

 

     Art. 15

Spese del giudizio.

1. La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza.

La commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell'articolo 92, secondo comma, del c.p.c.

2. I compensi agli incaricati dell'assistenza tecnica sono liquidati sulla base delle rispettive tariffe professionali. Agli iscritti negli elenchi di cui all'articolo 12, comma 2, si applica la tariffa vigente per i ragionieri.

2-bis. Nella liquidazione delle spese a favore dell'ufficio del Ministero delle finanze, se assistito da funzionari dell'Amministrazione, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del 20% degli onorari di avvocato ivi previsti. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza.

In tema di spese processuali la norma in esame introduce una rilevante innovazione. Essa stabilisce, infatti, per la prima volta, la regola della soccombenza alle spese del giudizio, in virtù della quale il soccombente è condannato al pagamento delle spese processuali secondo la normativa stabilita dagli articoli 91, 92, 93, 94 e 97 c.p.c. Le spese sono liquidate con la sentenza, tenendo anche conto di quelle anticipate per eventuali consulenze tecniche disposte nel corso del processo, sulla base della presentazione, da parte del difensore, della nota spese di cui all'articolo 75 delle disposizioni attuative del codice di procedura civile, con distinta indicazione di onorari e spese in relazione agli articoli della tariffa, tenendo conto della complessità della lite e del suo valore economico.

La Commissione tributaria ha la facoltà di dichiarare le spese compensate in tutto o in parte ai sensi dell'art. 92 c.p.c., ove ricorrano dei giusti motivi, rimessi alla valutazione discrezionale del giudice tributario. La compensazione delle spese di giudizio può essere altresì dichiarata qualora vi sia soccombenza parziale o reciproca.

Si precisa che la condanna a rimborsare le spese del giudizio pronunciata nei confronti dell'ufficio del Ministero delle finanze o dell'ente locale non comporta il pagamento delle somme stesse da parte del personale che rappresenta e difende l'Ufficio, bensì da parte dell'Amministrazione di appartenenza, fermo restando in ogni caso, per quest'ultima, la possibilità di rivalersi nelle ipotesi previste dalla legge.

Il comma 2 della disposizione in esame, dopo aver precisato che per la liquidazione dei compensi relativi all'assistenza dev'essere applicata la già cennata regola processualcivilistica che impone il riferimento alle tariffe professionali di appartenenza, definisce i criteri utilizzabili per la determinazione dei compensi afferenti all'assistenza resa dai soggetti appartenenti alle categorie tassativamente indicate dall'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo, n. 546 del 1992, per le quali non esistono tariffe professionali codificate. In tale ipotesi viene previsto che, ai fini della liquidazione, deve farsi riferimento alla tariffa vigente per i ragionieri.

Il successivo comma 2-bis chiarisce che per la liquidazione delle spese di lite a favore degli uffici del Ministero delle finanze si applica la tariffa degli avvocati e procuratori con la riduzione del 20 per cento degli onorari degli avvocati. Viene inoltre stabilito che la riscossione delle somme dovute dalle parti private sarà effettuata mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza del giudice tributario.

 

 

     Art. 16

Comunicazioni e notificazioni.

1. Le comunicazioni sono fatte mediante avviso della segreteria della commissione tributaria consegnato alle parti, che ne rilasciano immediatamente ricevuta, o spedito a mezzo del servizio postale in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento. Le comunicazioni all'ufficio del Ministero delle finanze ed all'ente locale possono essere fatte mediante trasmissione di elenco in duplice esemplare, uno dei quali, immediatamente datato e sottoscritto per ricevuta, è restituito alla segreteria della commissione tributaria.

La segreteria può anche richiedere la notificazione dell'avviso da parte dell'ufficio giudiziario o del messo comunale nelle forme di cui al comma seguente.

2. Le notificazioni sono fatte secondo le norme degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, salvo quanto disposto dall'articolo 17.

3. Le notificazioni possono essere fatte anche direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell'atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento ovvero all'ufficio del Ministero delle finanze ed all'ente locale mediante consegna dell'atto all'impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia.

4. L'ufficio del Ministero delle finanze e l'ente locale provvedono alle notificazioni anche a mezzo del messo comunale o di messo autorizzato dall'amministrazione finanziaria, con l'osservanza delle disposizioni di cui al comma 2.

5. Qualunque comunicazione o notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data della spedizione; i termini che hanno inizio dalla notificazione o dalla comunicazione decorrono dalla data in cui l'atto è ricevuto.

 

 

     Art. 17

Luogo delle comunicazioni e notificazioni.

1. Le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all'atto della sua costituzione in giudizio. Le variazioni del domicilio o della residenza o della sede hanno effetto dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata notificata alla segreteria della commissione e alle parti costituite la denuncia di variazione.

2. L'indicazione della residenza o della sede e l'elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo.

3. Se mancano l'elezione di domicilio o la dichiarazione della residenza o della sede nel territorio dello Stato o se per la loro assoluta incertezza la notificazione o la comunicazione degli atti non è possibile, questi sono comunicati o notificati presso la segreteria della commissione.

Gli articoli 16 e 17 contengono la disciplina delle comunicazioni e delle notificazioni degli atti del processo.

L'articolo 16 recepisce quasi integralmente l'articolo 32 del D.P.R. n. 636 del 1972 distinguendo l'istituto della comunicazione da quello della notificazione.

Il connotato tipico che nel processo civile caratterizza la notificazione rispetto alla comunicazione è costituito dalla intermediazione necessaria di un ufficiale giudiziario o di un messo.

Tale connotato tipico perde di efficacia per quanto concerne le comunicazioni e le notificazioni degli atti del processo tributario, atteso che oltre alle forme tipiche di notificazione sono previste forme atipiche, come avviene quando per la trasmissione si ricorre all'impiego del servizio postale o quando destinatario dell'atto è l'ufficio finanziario.

Le comunicazioni sono fatte mediante avviso della segreteria della commissione tributaria, il quale viene consegnato alle parti che ne rilasciano ricevuta con l'indicazione della data.

L'articolo 16 prevede, inoltre, che le suddette comunicazioni possano essere fatte anche tramite l'utilizzo del servizio postale in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento.

La segreteria della Commissione tributaria, quando destinatario è l'ufficio del Ministero delle finanze oppure l'ente locale, può effettuare le comunicazioni trasmettendo un elenco in duplice esemplare, uno dei quali, immediatamente datato e sottoscritto per ricevuta, deve essere restituito alla segreteria stessa.

Con la comunicazione si provvede a dare la notizia di un atto o di un fatto, come avviene quando si comunica l'avviso di trattazione della causa oppure l'avviso di rinvio nei casi previsti dall'articolo 31, secondo comma.

Di regola le comunicazioni devono essere fatte alle parti costituite; in taluni casi previsti dalle norme le comunicazioni devono farsi alla parte del processo anche non costituita.

Secondo quanto stabilito all'articolo 17, comma 1, le comunicazioni devono essere effettuate, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto. In mancanza dell'elezione di domicilio esse vanno fatte nella residenza dichiarata dalla parte nell'atto di costituzione in giudizio.

Le eventuali variazioni riguardo alla elezione di domicilio, alla residenza dichiarata o alla sede, hanno effetto dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata notificata la denuncia di variazione alla segreteria della commissione tributaria e alle parti costituite.

Quando mancano o sono assolutamente incerte sia l'elezione di domicilio o la dichiarazione di residenza oppure la sede nel territorio dello Stato, le comunicazioni relative agli atti del processo vanno fatte presso la segreteria della commissione tributaria.

Quando per la comunicazione ci si avvale del servizio postale essa si considera effettuata nella data di spedizione, mentre i termini che hanno inizio dalla comunicazione medesima decorrono dalla data in cui l'atto è ricevuto.

La notificazione è uno strumento essenziale ed indispensabile al fine di portare a conoscenza dei destinatari determinati atti. Essa rappresenta, inoltre, il mezzo necessario per l'instaurazione del contraddittorio e per la realizzazione dell'esercizio del diritto di difesa.

Per poter ritenere valida la notificazione è sufficiente che l'atto sia entrato nella disponibilità del destinatario dopo che siano state compiute tutte le formalità previste dalla legge.

Soggetto attivo della notificazione è colui che dà impulso al processo notificatorio, mentre destinatario è colui nei confronti del quale si vuol portare a conoscenza l'atto. Consegnatario è colui al quale viene consegnata materialmente la copia dell'atto stesso.

Caratteristica saliente della notificazione è il rilascio o la consegna di una copia conforme all'originale dell'atto da notificarsi.

L'articolo 16, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992 prevede che le notificazioni sono fatte secondo le norme degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, salvo quanto disposto dall'articolo 17.

Le notificazioni possono essere fatte anche direttamente o a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell'atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento.

Le notificazioni all'ufficio del Ministero delle finanze, all'ente locale o al concessionario del servizio di riscossione possono essere effettuate mediante consegna dell'atto all'impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia.

L'ufficio del Ministero delle finanze e l'ente locale possono provvedere alle notificazioni anche tramite il messo comunale o comunque possono avvalersi di un messo autorizzato dall'Amministrazione finanziaria, purché vengano rispettate le disposizioni contenute negli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile salvo quanto disposto dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 546 del 1992.

Si precisa che, relativamente alle notificazioni effettuate nei confronti delle persone giuridiche, devono essere osservate le modalità previste dall'articolo 145 c.p.c. Circa il luogo in cui devono essere eseguite le notificazioni quando le stesse non si siano potute effettuare a mani del diretto interessato, si ricorda, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, che occorre individuare il domicilio eletto o, in mancanza, la residenza o la sede dichiarata dalla parte all'atto della sua costituzione in giudizio.

Inoltre, sempre in base al disposto di cui all'articolo 17, comma 1, le eventuali variazioni che dovessero intervenire con riguardo al domicilio eletto o alla residenza o alla sede dichiarata, avranno effetto dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata notificata la denuncia di variazione alla segreteria della commissione e alle parti costituite.

Qualora manchi o sussista una assoluta incertezza in ordine all'elezione di domicilio o alla dichiarazione di residenza o alla sede nel territorio dello Stato e la notificazione degli atti non è possibile, questi devono essere notificati presso la segreteria della commissione.

Come precisato dal comma 2 dell'articolo 17, l'indicazione della residenza o della sede e l'elezione di domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo.

Se la notificazione viene effettuata tramite l'utilizzo del servizio postale assume rilevanza la data della spedizione; per i termini che hanno inizio dalla notificazione la decorrenza si avrà dalla data in cui l'atto è stato ricevuto.

Si ricorda che, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 160 c.p.c., la notificazione è nulla soltanto se non sono state osservate le disposizioni circa la persona alla quale la copia deve essere consegnata, oppure se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data.

 

 

Titolo II

Il processo

Capo I

Il procedimento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale

Sezione I

Introduzione del giudizio

     Art. 18

Il ricorso.

1. Il processo è introdotto con ricorso alla commissione tributaria provinciale.

2. Il ricorso deve contenere l'indicazione.

a) della commissione tributaria cui è diretto;

b) del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza o sede legale o del domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, nonché del codice fiscale;

c) dell'ufficio del Ministero delle finanze o dell'ente locale o del concessionario del servizio di riscossione nei cui confronti il ricorso è proposto;

d) dell'atto impugnato e dell'oggetto della domanda;

e) dei motivi.

3. Il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore del ricorrente e contenere l'indicazione dell'incarico a norma dell'articolo 12, comma 3, salvo che il ricorso non sia sottoscritto personalmente, nel qual caso vale quanto disposto dall'articolo 12, comma 5. La sottoscrizione del difensore o della parte deve essere apposta tanto nell'originale quanto nelle copie del ricorso destinate alle altre parti, fatto salvo quanto previsto dall'articolo, 14, comma 2.

4. Il ricorso è inammissibile se manca o è assolutamente incerta una delle indicazioni di cui al comma 2, ad eccezione di quella relativa al codice fiscale, o non è sottoscritto a norma del comma precedente.

Il giudizio tributario è introdotto mediante "ricorso" che non è più scisso in due atti materiali distinti (originale per la commissione tributaria e copia per l'ufficio), ma ritrova la sua unitarietà pur conservando la duplice funzione di chiamata in giudizio dell'ufficio che ha emesso l'atto impugnato e di domanda di tutela giurisdizionale rivolta al giudice.

Quanto al suo contenuto, il secondo comma elenca gli elementi essenziali, soggettivi ed oggettivi, i quali, pertanto, ad eccezione di quello relativo al codice fiscale del ricorrente o del suo legale rappresentante, non possono essere omessi, o risultare assolutamente incerti, a pena di inammissibilità del ricorso stesso ai sensi del quarto comma della norma in commento.

Si rammenta in proposito che molti dei prescritti elementi obbligatori sono fra loro concettualmente ricollegabili (ad esempio, l'oggetto della domanda all'atto cui la controversia si riferisce e ai motivi dell'impugnazione, e viceversa) e che quindi la mancanza o l'assoluta incertezza delle richieste indicazioni non può che essere valutata in relazione al contenuto complessivo del ricorso.

In ordine ai motivi, la riforma ha mantenuto (comma 2, lett. e); comma 4) la inammissibilità del ricorso che ne risulti privo - c.d. ricorso interruttivo - e pertanto può ritenersi ancora attuale l'indirizzo giurisprudenziale affermatosi sotto la disciplina previgente in materia di difetto di motivi (comprendente anche l'ipotesi di "insufficienza") e di ricerca degli stessi nell'ambito del ricorso.

Ai fini di una adeguata difesa in giudizio, si rammenta inoltre che il ricorrente che non abbia sviluppato tutti i motivi di impugnazione nel ricorso introduttivo, essendosi limitato ad eccepire soltanto alcuni vizi dell'atto impositivo con riserva di ulteriori eccezioni, non avrà più la possibilità di riaprire successivamente, con memorie aggiuntive, l'ambito della controversia, a meno che non ricorra l'ipotesi prevista dall'articolo 24 di cui si dirà in seguito.

Sempre in tema di contenuto del ricorso, tra le novità di rilievo si segnala la sua sottoscrizione (tanto nell'originale quanto nelle copie del ricorso stesso destinate alle altre parti) da parte del difensore del ricorrente con l'indicazione del relativo incarico (comma 3), salvo che questi non sia abilitato a stare personalmente in giudizio ai sensi dell'articolo 12, commi 5 e 6, nel qual caso occorre che sia sottoscritto dalla parte ricorrente o dal suo legale rappresentante.

La mancanza di sottoscrizione rientra tra le cause di inammissibilità del ricorso stabilite dall'ultimo comma della norma in esame.

Si soggiunge, al riguardo, che nei casi in cui è richiesta l'assistenza tecnica obbligatoria, tutta l'attività processuale deve portare, di regola, la sottoscrizione del difensore del ricorrente per potersi ritenere giudizialmente ammissibile.

 

 

     Art. 19

Atti impugnabili e oggetto del ricorso.

1. Il ricorso può essere proposto avverso:

a) l'avviso di accertamento del tributo;

b) l'avviso di liquidazione del tributo;

c) il provvedimento che irroga le sanzioni;

d) il ruolo e la cartella di pagamento;

e) l'avviso di mora;

f) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell'articolo 2, comma 3;

g) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti;

h) il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;

i) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie.

2. Gli atti espressi di cui al comma 1 devono contenere l'indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto e della commissione tributaria competente, nonché delle relative forme da osservare ai sensi dell'articolo 20.

3. Gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo.

In attuazione della direttiva contenuta nell'articolo 30, lettera c), della legge 30 dicembre 1991, n. 413, (legge delega) l'articolo 19 identifica gli atti e i rapporti tributari dei quali il giudice tributario è chiamato a conoscere. Rispetto alla disciplina previgente (articolo 16 del D.P.R 26 ottobre 1972, n. 636), la norma in esame contiene anche l'esplicita indicazione di alcuni atti conclusivi di un procedimento, o sub-procedimento, che un consolidato indirizzo giurisprudenziale ha ritenuto autonomamente impugnabili per il fatto di avere come causa l'affermazione di un'obbligazione tributaria e di incidere concretamente nella sfera giuridica del soggetto passivo del tributo.

Oltre l'avviso di accertamento del tributo, l'avviso di liquidazione del tributo, il provvedimento che irroga la sanzione, l'avviso di mora ed ogni altro atto per il quale la legge ne prevede l'autonoma impugnabilità, sono pertanto impugnabili anche le cartelle di pagamento - unitamente al ruolo - nonché gli atti relativi alle operazioni catastali di cui all'articolo 2, comma 3, nonché il diniego di agevolazioni e il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari (comma 1).

Quanto al primo atto preso in considerazione dalla norma in rassegna, si rammenta che la legislazione attuale fa riferimento all'atto di accertamento adoperando espressioni sempre omogenee per significato, ma letteralmente differenziate fra loro.

A tal fine occorre considerare, per le imposte sui redditi, "l'avviso di accertamento" (articolo 42 del D.P.R. n. 600 del 1973); per l'IVA, la "rettifica delle dichiarazioni" ovvero l'accertamento induttivo" (articolo 54 del D.P.R. n. 633 del 1972); per l'imposta di registro, l'avviso di notifica e di liquidazione della maggiore imposta" (articolo 52 del D.P.R. n. 131 del 1986; per l'Invim, "l'accertamento imponibile",(ex articolo 20 del D.P.R. n. 643 del 1972).

L'avviso di liquidazione del tributo è, com'è noto, l'atto che si pone nella fase intermedia fra il procedimento di accertamento e quello di riscossione, ed ha la funzione di quantificare la pretesa fiscale accertata ed eventualmente consolidata.

Il provvedimento che irroga le sanzioni ha ovviamente per oggetto sanzioni tributarie di natura amministrativa, quali, ad esempio, soprattasse e pene pecuniarie. Si rammenta in proposito che anche quando le predette sanzioni siano comminate con lo stesso provvedimento di accertamento o di liquidazione, detto provvedimento mantiene una autonomia concettuale e una specifica rilevanza ai fini dell'impugnazione dell'atto, per cui l'impugnazione dell'accertamento non può comprendere di per sé anche quella del provvedimento "de quo" se il ricorrente non lo abbia specificamente contestato.

Quanto al ruolo e alla cartella di pagamento, si è già detto che, con riferimento a quest'ultimo atto, la relativa impugnabilità costituisce una novità della riforma, in entrambi i casi si tratta di titoli esecutivi finalizzati alla riscossione coattiva del tributo e degli accessori.

L'avviso di mora costituisce il prodromo dell'avvio della procedura di esecuzione forzata. Anche se in certi casi ha una funzione ripetitiva del ruolo, in altri può assumere il contenuto e l'efficacia di atto impositivo, come ad esempio avviene quando non sia stato preceduto dalla notifica della cartella di pagamento o addirittura dell'avviso di accertamento.

Gli atti relativi alle operazioni catastali indicati all'articolo, 2, comma 3, sono quelli riguardanti la intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo nonché la consistenza, il classamento delle singole unità urbane e l'attribuzione della rendita catastale.

Circa il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie od interessi o altri accessori non dovuti, si evidenzia che la formulazione tecnica della norma mira a conferire al silenzio dell'Amministrazione per novanta giorni dalla domanda di restituzione il valore di provvedimento negativo autonomamente impugnabile, venendo così ad attribuire a tale inerzia un significato tipico.

In tema di diniego, revoca di agevolazioni o di rigetto di domande di definizione agevolata, si evidenzia che la norma in rassegna non consente la autonoma impugnabilità di un provvedimento tacito di rifiuto, ma richiede, a tal fine, un provvedimento espresso da parte della Amministrazione.

Il comma 2 della norma in esame, riproduce sostanzialmente quanto contenuto nel corrispondente comma secondo dell'articolo 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, come sostituito dall'articolo 7 del D.P.R. 3 novembre 1981, n. 739.

Si richiama l'attenzione degli uffici sulla necessità di indicare esattamente negli atti potenzialmente impugnabili da essi emanati tutti gli elementi ivi prescritti (termine di impugnativa, commissione tributaria competente, forme per la proposizione del ricorso), assolvendo così ad un preciso obbligo determinato dal dettato normativo (cfr. articolo 19, comma 2).

Il comma 3 afferma il principio della autonoma impugnabilità (per vizi propri) degli atti sopra elencati; in deroga è stabilito che l'impugnazione di un atto possa estendersi anche ad altri atti precedenti che, pur impugnabili, non siano stati impugnati per difetto di notifica. Conseguentemente, il giudizio riguarderà, in questo caso, sia i vizi del primo atto non notificato sia quelli del secondo atto notificato.

 

 

     Art. 20

Proposizione del ricorso.

1. Il ricorso è proposto mediante notifica a norma del commi 2 e 3 del precedente articolo 16.

2. La spedizione del ricorso a mezzo posta dev'essere fatta in plico raccomandata senza busta con avviso di ricevimento. In tal caso il ricorso s'intende proposto al momento della spedizione nelle forme sopra indicate.

3. Resta fermo quanto disposto dall'articolo 10 del D.P.R. 28 novembre 1980, n. 787, sui centri di servizio.

La disposizione in esame regola in termini assolutamente nuovi la proposizione del ricorso, come espressamente imposti dall'articolo 30, lettera g), n. 1, della citata legge delega. Rispetto alla normativa previgente, che prevedeva forme differenziate di proposizione dei ricorsi a seconda dei vari gradi di giudizio, l'articolo 20 detta in materia una disciplina uniforme, cosicché il ricorso va proposto, tanto per il primo grado quanto per il secondo, mediante notifica a norma degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile (salvo quanto disposto dall'articolo 17 del presente decreto) o mediante consegna (dietro rilascio di ricevuta) o mediante spedizione a mezzo posta (in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento) alla parte nei cui confronti è diretto.

Quanto alla spedizione a mezzo posta del ricorso, il comma 2, dopo aver dettagliatamente prescritto le forme in cui deve avvenire l'inoltro tramite servizio postale (in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento), prevede che esso si intende proposto al momento della spedizione qualora le stesse siano state puntualmente rispettate; in tal caso farà fede il timbro postale dell'ufficio accettante.

In deroga alla generale disciplina di proposizione del ricorso sinora esposta (comma 3) per i ricorsi contro i ruoli formati dai centri di servizio è stata mantenuta la particolare disciplina di proposizione del ricorso prevista dall'articolo 10 del D.P.R. 28 novembre 1980, n. 787.

Si rammenta, in proposito, che il ricorso contro i predetti ruoli si propone mediante spedizione dell'originale al centro di servizio, con le modalità previste dall'articolo in esame e nei termini indicati nel successivo articolo 21, e con successivo deposito, da eseguirsi decorsi almeno sei mesi e non oltre due anni dalla data di invio dell'originale, di altro esemplare in carta libera alla segreteria della commissione tributaria adita.

 

 

     Art. 21

Termine per la proposizione del ricorso.

1. Il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell'atto impugnato. La notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo.

2. Il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all'articolo 19, comma 1, lettera g), può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d'imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto. La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

L'articolo in esame non offre novità di contenuti se si tien conto, anzitutto, che il carattere di perentorietà del termine di impugnativa, espressamente previsto a pena di inammissibilità (60 giorni dalla notificazione dell'atto impugnato), era già ritenuto tale dalla giurisprudenza, fatta comunque salva la sospensione feriale dei termini (dal 1° agosto al 15 settembre di ciascun anno) di cui alla legge 7 ottobre 1969, n. 742, applicabile (per ius receptum) anche al processo tributario.

Si evidenzia in proposito che l'intempestività del ricorso attiene ad un presupposto processuale e come tale è sempre rilevabile, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio.

Il comma 2 stabilisce i termini per la proposizione del ricorso contro il rifiuto tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie, interessi ed altri accessori ritenuti non dovuti.

Quanto alla decorrenza del termine "a quo", la disposizione in esame prevede che il ricorso non possa essere proposto prima di novanta giorni dalla data di presentazione della domanda di restituzione (a sua volta proposta nei termini stabiliti da ciascuna legge d'imposta, ovvero - in mancanza - entro due anni dal pagamento, ovvero dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione, se posteriore).

Quanto al termine "ad quem" il ricorso in argomento può essere proposto entro i termini di prescrizione ordinaria decennale.

Si ricorda, infine, che l'articolo 2, comma 5, del decreto-legge 15 marzo 1996, n. 23, ha abrogato il comma 4 dell'articolo 1 del decreto-legge 26 settembre 1995, n. 403, convertito dalla legge 20 novembre 1995, n. 495, che prevedeva la sospensione per centoventi giorni del termine di impugnativa degli avvisi di accertamento nella ipotesi in cui il contribuente avesse presentato istanza di accertamento con adesione.

 

 

     Art. 22

Costituzione in giudizio del ricorrente.

1. Il ricorrente, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena d'inammissibilità deposita, nella segreteria della commissione tributaria adita, l'originale del ricorso notificato a norma degli artt. 137 e seguenti del c.p.c ovvero copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale.

2. L'inammissibilità del ricorso è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche se la parte resistente si costituisce a norma dell'articolo seguente.

3. In caso di consegna o spedizione a mezzo di servizio postale la conformità dell'atto depositato a quello consegnato o spedito è attestata conforme dallo stesso ricorrente. Se l'atto depositato nella segreteria della commissione non è conforme a quello consegnato o spedito dalla parte nei cui confronti il ricorso è proposto, il ricorso è inammissibile e si applica il comma precedente.

4. Unitamente al ricorso ed ai documenti previsti al comma 1, il ricorrente deposita il proprio fascicolo, con l'originale o la fotocopia dell'atto impugnato, se notificato, ed i documenti che produce, in originale o fotocopia.

5. Ove sorgano contestazioni il giudice tributario ordina l'esibizione degli originali degli atti e documenti. di cui ai precedenti commi.

Il ricorso proposto con le modalità previste dall'articolo 20 e nei termini stabiliti dall'articolo 21, non crea ancora il contatto tra il ricorrente e il giudice. Perché ciò avvenga è necessario un ulteriore atto di impulso che il ricorrente ha l'onere di compiere per far proseguire il processo; tale atto è la costituzione in giudizio" e rappresenta una delle novità più rilevanti della legge di riforma.

La costituzione è, dunque, l'atto con cui il ricorrente (o più in generale, la parte, poiché, come vedremo nell'articolo successivo, essa riguarda anche l'ufficio nei cui confronti è stato proposto il ricorso) si presenta, in modo formale, nel processo davanti alla commissione tributaria. Nella sua pratica concretezza essa non è altro che il deposito del ricorso e del proprio fascicolo, con i documenti rispettivamente indicati nei commi 1 e 4, nella segreteria della commissione tributaria adita.

L'importanza di tale atto si manifesta in tutta evidenza poiché il ricorrente (già diventato parte per effetto della notificazione del ricorso), costituendosi, diviene ufficialmente ed attivamente presente nel processo instaurando un rapporto diretto anche con il giudice.

Si evidenzia, in proposito, che il termine di costituzione in giudizio del ricorrente (30 giorni dalla proposizione del ricorso) è previsto a pena di inammissibilità del ricorso, rilevabile, come per tutti i casi in cui essa si verifica, anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio senza alcuna possibilità di sanatoria, neanche (diversamente da quanto avviene nel rito ordinario) con la costituzione in giudizio della controparte (comma 2).

Identica sanzione è prevista per la difformità dell'atto depositato nella segreteria da quello consegnato o spedito a mezzo di servizio postale alla parte nei cui confronti sia stato proposto il ricorso (comma 3).

Al riguardo, si ritiene, nel silenzio della legge, che la difformità debba esser tale da incidere sul contenuto essenziale del ricorso; deve cioè riguardare gli elementi fondamentali che lo costituiscono: la domanda al giudice tributario e i motivi che la sostengono.

È opportuno precisare che in caso di deposito in segreteria della copia del ricorso consegnato o spedito per posta la stessa è esente dall'imposta di bollo in base a quanto disposto dall'articolo 5, secondo comma, della tabella allegata al D.P.R 26 ottobre 1972, n. 642.

Si rammenta, infine, che nell'ambito del nuovo processo, come nella previgente disciplina, il segretario assiste la commissione tributaria secondo le disposizioni del codice di procedura civile concernenti il cancelliere (articolo 9, comma 1) ed, ovviamente, secondo le relative disposizioni attuative di cui al regio decreto 18 novembre 1041, n. 1368. Pertanto, al momento della costituzione, egli ha il potere di verificarne la regolarità in relazione, e limitatamente, alle precipue funzioni certificative che svolge (articolo 74, ultimo comma, disp. att. del codice di procedura civile).

 

 

     Art. 23

Costituzione in giudizio della parte resistente.

1. L'ufficio del Ministero delle finanze, l'ente locale o il concessionario del servizio di riscossione nei cui confronti è stato proposto il ricorso si costituiscono in giudizio entro sessanta giorni dal giorno in cui il ricorso è stato notificato, consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale.

2. La costituzione della parte resistente è fatta mediante deposito presso la segreteria della commissione adita del proprio fascicolo contenente le controdeduzioni in tante copie quante sono le parti in giudizio e i documenti offerti in comunicazione.

3. Nelle controdeduzioni la parte resistente espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e indica le prove di cui intende valersi, proponendo altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio e instando, se del caso, per la chiamata di terzi in causa.

L'ufficio del Ministero delle finanze, l'ente locale o il concessionario del servizio di riscossione nei cui confronti è stato proposto il ricorso e che a seguito di ciò è divenuto parte, o più precisamente parte resistente, si trova, a questo punto, nella condizione di dover scegliere tra il restare inerte (ma pur sempre parte nel processo e destinatario dei provvedimenti del giudice), o l'assumere invece una partecipazione attiva al processo.

L'atto che la parte resistente ha l'onere (non l'obbligo) di compiere se vuole assumere siffatta partecipazione è la "costituzione in giudizio , ossia un atto del tutto analogo a quello della costituzione del ricorrente, con le sole differenze conseguenti al fatto che essa entra in un processo il cui oggetto è già stato determinato dallo stesso in relazione all'atto impugnato ed ai motivi di ricorso.

La costituzione si effettua mediante deposito presso la segreteria della commissione adita di un fascicolo contenente le controdeduzioni, in tante copie quante sono le parti in giudizio, e i documenti offerti in comunicazione (con la "memoria di costituzione" la parte resistente espone le sue difese, indica le prove di cui intende avvalersi, propone le eccezioni, processuali e di merito, non rilevabili d'ufficio, propone la chiamata di terzi in causa (comma 3).

Anche se l'inerzia dell'ufficio non è affatto sufficiente, in linea di diritto, per condurre all'automatico accoglimento della domanda del ricorrente (attesa la sua facoltà di non difendersi e di non partecipare al giudizio), è appena il caso di evidenziare che essa potrà, soltanto in linea pratica, giovare al ricorrente in quanto, ovviamente, questi avrà più facilità nel determinare il convincimento del giudice sia in diritto che in fatto.

Sulla base delle considerazioni che precedono, è quindi necessario che l'ufficio si costituisca in giudizio in quanto portatore di concreti interessi erariali in contestazione, perciò meritevoli della più ampia tutela in sede giurisdizionale, a meno che non ritenga di dover procedere (in applicazione di un generale principio del diritto amministrativo, fatto proprio dall'articolo 68, comma 1, del D.P.R. 27 marzo 1992, n. 287) all'autoannullamento o alla revoca dell'atto impugnato riconosciuto il legittimo o infondato, non essendo, peraltro, ancora emanati i decreti indicanti gli organi dell'Amministrazione finanziaria competenti per l'esercizio del suddetto potere, previsti dall'articolo 2-quater del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito con modificazione dalla legge 30 novembre 1994, n. 656.

In tal caso, il relativo motivato provvedimento sarà immediatamente comunicato al ricorrente ed alla segreteria della commissione adita, anche al fine di evitare la prosecuzione del processo con la condanna alle spese di giudizio seguenti l'eventuale soccombenza, ai sensi dell'articolo 15, comma 1, della legge di riforma del processo tributario.

Quanto al termine di costituzione in giudizio della parte resistente, esso è di sessanta giorni da quello in cui il ricorso è stato notificato o ricevuto a mezzo del servizio postale (comma 1 dell'articolo in commento).

Anche se per l'inosservanza di detto termine non è prevista, come nel giudizio civile ordinario, la contumacia del resistente non costituito o precise preclusioni a suo carico (eccezion fatta per la chiamata di terzi in causa, ai sensi dell'ultimo comma), si raccomandano tuttavia gli uffici, salvo quanto poc'anzi detto, di costituirsi ugualmente entro i sessanta giorni come sopra specificato.

Si è infatti dell'avviso che la lettura sistematica della legge di riforma (che avremo occasione di richiamare in seguito) conduca a ritenere la costituzione tempestiva sicura garanzia di pienezza di difesa, oltre che di speditezza del processo.

Per il momento è sufficiente ricordare, in linea generale, che chi si costituisce tardivamente, o non si costituisce, non può opporsi agli atti precedenti alla costituzione compiuti dalle altre parti, né ha diritto alla notificazione dei normali atti processuali dei quali ricevono comunicazione o hanno immediata conoscenza le parti costituite.

In tal senso, l'articolo 31, comma 1, espone l'ufficio non costituito al pregiudizio di non ricevere l'avviso di trattazione, con l'ovvia conseguenza dell'impedimento oggettivo a costituirsi, sia pure tardivamente, ex articolo 32, comma 2 (mediante deposito di memoria illustrativa fino a dieci giorni liberi prima dalla data di trattazione), privandolo altresì della facoltà di chiedere la discussione in pubblica udienza, articolo 33, comma 1.

Si aggiunge, inoltre, che l'inerzia della parte resistente può trasformarsi in una causa di ritardo e di aggravio del processo (difficilmente conciliabile con il principio di speditezza e celerità perseguito dalla legge di riforma), allorquando la sua "prima" difesa - orale in pubblica udienza ex - articolo 34, comma 1, dia legittimazione al ricorrente di richiedere un rinvio della discussione a norma del comma 3.

Infine, la mancata costituzione in giudizio può assumere rilevanza allorquando la causa prosegua in grado di appello, poiché in tale giudizio non si potranno presentare le domande e le eccezioni non proposte nel primo grado (articolo 57).

 

 

     Art. 24

Produzione di documenti e motivi aggiunti.

1. I documenti devono essere elencati negli atti di parte cui sono allegati ovvero, se prodotti separatamente, in apposita nota sottoscritta da depositare in originale ed in numero di copie in carta semplice pari a quello delle altre parti.

2. L'integrazione dei motivi di ricorso, resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione, è ammessa entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l'interessato ha notizia di tale deposito.

3. Se è stata già fissata la trattazione della controversia, l'interessato, a pena di inammissibilità, deve dichiarare, non oltre la trattazione in camera di consiglio o la discussione in pubblica udienza, che intende proporre motivi aggiunti. In tal caso la trattazione o l'udienza debbono essere rinviate ad altra data per consentire gli adempimenti di cui al comma seguente.

4. L'integrazione dei motivi si effettua mediante atto avente i requisiti di cui all'articolo 18 per quanto applicabile. Si applicano l'articolo 20, commi 1 e 2, l'articolo 22, commi 1, 2, 3 e 5, e l'articolo 23, comma 3.

L'articolo in esame, dopo aver regolato le modalità di presentazione dei documenti (comma 1), introduce una rilevante novità in tema di proponibilità di nuovi motivi d'impugnazione ad integrazione di quelli già dedotti con il ricorso introduttivo. Rispetto al passato, la ammissibilità della c.d. "memoria integrativa" è subordinata al verificarsi di una condizione dipendente da una precisa attività processuale della controparte: il deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione (comma 2). Si rammenta in proposito che la norma de qua non prevede alcuna comunicazione dell'avvenuto deposito di documenti e memorie a cura della segreteria e che quindi la sua conoscenza rientra nel generale onere delle parti di seguire le reciproche attività processuali mediante la consultazione del fascicolo processuale.

Si evidenzia che la "memoria integrativa", con gli elementi di novità che comporta in ordine ai motivi, ha più la struttura del ricorso che quella della "memoria illustrativa" di cui, ad esempio, all'articolo 32, comma 2.

A norma dell'ultimo comma, l'integrazione dei motivi, debitamente sottoscritta dal difensore del ricorrente, deve essere perciò proposta con le stesse modalità previste per il ricorso introduttivo, con conseguente notifica a tutte le parti in causa e successivo deposito nella segreteria della commissione.

 

 

     Art. 25

Iscrizione del ricorso nel registro generale. Fascicolo d'ufficio del processo e fascicoli di parte.

1. La segreteria della commissione tributaria iscrive il ricorso nel registro generale e forma il fascicolo d'ufficio del processo, inserendovi i fascicoli del ricorrente e delle altre parti, con gli atti e i documenti prodotti, nonché, successivamente, gli originali dei verbali di udienza, delle ordinanze e dei decreti e copia delle sentenze.

2. I fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d'ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo. Le parti possono ottenere copia autentica degli atti e documenti contenuti nei fascicoli di parte e d'ufficio. I richiedenti diversi dall'ufficio tributario devono corrispondere le spese del rilascio delle copie mediante applicazione e annullamento da parte della segreteria di marche da bollo nella misura stabilita con decreto del Ministro delle finanze in base al costo del servizio.

3. La segreteria sottopone al presidente della commissione tributaria il fascicolo del processo appena formato.

L'articolo in esame disciplina le modalità che la segreteria della commissione tributaria deve osservare per l'iscrizione del ricorso nel ruolo generale e per la formazione del fascicolo d'ufficio.

Tale fascicolo, comprensivo dei fascicoli di parte, deve contenere anche i verbali di udienza, le ordinanze, i decreti e copia delle sentenze.

Le parti possono richiedere copia autentica degli atti e documenti contenuti nei fascicoli corrispondendo, se trattasi di parti diverse dall'ufficio tributario, le spese per il rilascio delle copie medesime.

La segreteria, dopo aver formato il fascicolo d'ufficio, sottopone lo stesso al presidente della commissione perché provveda all'assegnazione del ricorso.

 

 

     Art. 26

Assegnazione del ricorso.

1. Il presidente della commissione tributaria assegna il ricorso ad una delle sezioni; al di fuori dei casi di cui all'articolo 29, comma 1, il presidente della commissione potrà assumere gli opportuni provvedimenti affinché i ricorsi concernenti identiche questioni di diritto a carattere ripetitivo vengano assegnati alla medesima sezione per essere trattati congiuntamente.

La norma conferisce al Presidente della commissione tributaria, per ragioni di economia organizzativa, la facoltà di assegnare alla stessa sezione le controversie concernenti identiche questioni di diritto a carattere ripetitivo affinché il Presidente della stessa possa valutare l'opportunità di riunione dei ricorsi per la trattazione congiunta.

La fattispecie si differenzia notevolmente da quella prevista dall'articolo 29 (che, come vedremo, risponde ad ipotesi di connessione giuridica), trattandosi qui di controversie che sebbene di identico contenuto sono processualmente indipendenti.

 

 

Sezione II

L'esame preliminare del ricorso

     Art. 27

Esame preliminare del ricorso.

1. Il presidente della sezione, scaduti i termini per la costituzione in giudizio delle parti, esamina preliminarmente il ricorso e ne dichiara l'inammissibilità nei casi espressamente previsti, se manifesta.

2. Il presidente, ove ne sussistano i presupposti, dichiara inoltre la sospensione, l'interruzione e l'estinzione del processo.

3. I provvedimenti di cui ai commi precedenti hanno forma di decreto e sono soggetti a reclamo innanzi alla commissione.

La sezione seconda, composta dagli articoli da 27 a 29, reca la disciplina della fase preliminare alla trattazione della controversia.

L'esame preliminare del ricorso risponde ad una esigenza di economia del procedimento poiché, al fine di evitare la trattazione della causa, prevede che il Presidente della sezione possa decidere con decreto, soggetto a reclamo innanzi alla commissione, le questioni relative alla inammissibilità, se manifesta, nonché alla interruzione, sospensione o estinzione del processo prima ancora (ed è questa la novità rispetto al passato) che il ricorso venga messo in discussione a norma dell'articolo 30.

L'esame preliminare corrisponde ad un potere proprio dei Presidenti di sezione ed è normalmente spettante anche a quelli delle commissioni regionali in sede di giudizio d'appello, ai sensi dell'articolo 55 del decreto legislativo in commento.

 

 

     Art. 28

Reclamo contro i provvedimenti presidenziali.

1. Contro i provvedimenti del presidente è ammesso reclamo da notificare alle altre parti costituite nelle forme di cui articolo 20, commi 1 e 2, entro il termine perentorio di giorni trenta dalla loro comunicazione da parte della segreteria.

2. Il reclamante, nel termine perentorio di quindici giorni dall'ultima notificazione, a pena d'inammissibilità rilevabile d'ufficio, effettua il deposito secondo quanto disposto dall'articolo 22, comma 1, osservato anche il comma 3 dell'articolo richiamato.

3. Nei successivi quindici giorni dalla notifica del reclamo le altre parti possono presentare memorie.

4. Scaduti i termini, la commissione decide immediatamente il reclamo in camera di consiglio.

5. La commissione pronuncia sentenza se dichiara l'inammissibilità del ricorso o estinzione del processo; negli altri casi pronuncia ordinanza non impugnabile nella quale sono dati i provvedimenti per la prosecuzione del processo.

Per proporre reclamo contro i decreti emessi ai sensi della precedente norma, l'articolo 28, di nuova introduzione, stabilisce la stessa procedura prevista per la proposizione del ricorso, con termini differenti. Si richiama in proposito l'attenzione degli uffici resistenti sui commi 1 e 3, in virtù dei quali essi acquisiscono il diritto alla notifica del reclamo "de quo" (con connessa facoltà di presentare memorie) solo se ritualmente costituiti in giudizio: ciò in applicazione del generale principio processuale civilistico in base al quale la parte non costituita non ha diritto, di regola, alla notificazione dei normali atti processuali antecedenti la decisione finale.

Dalla formulazione del comma 4 si evince che, relativamente ai reclami avverso i provvedimenti del presidente, le parti non possono chiedere la discussione in pubblica udienza, in quanto è prevista esclusivamente la trattazione in Camera di consiglio.

 

 

     Art. 29

Riunione dei ricorsi.

1. In qualunque momento il presidente della sezione dispone con decreto la riunione dei ricorsi assegnati alla sezione da lui presieduta che hanno lo stesso oggetto o sono fra loro connessi.

2. Se i processi pendono dinanzi a sezioni diverse della stessa commissione il presidente di questa, di ufficio o su istanza di parte o su segnalazione dei presidenti delle sezioni, determina con decreto la sezione davanti alla quale i processi devono proseguire, riservando a tale sezione di provvedere ai sensi del comma precedente.

3. Il collegio, se rileva che la riunione dei processi connessi ritarda o rende più gravosa la loro trattazione, può, con ordinanza motivata, disporne la separazione.

L'istituto della riunione dei ricorsi assolve alla duplice funzione di favorire una maggiore economia dei procedimenti e di evitare la formazione di giudicati difformi.

A differenza dell'articolo 34 previgente, in cui erano elencati i casi possibili di connessione oggettiva tra i ricorsi, il legislatore ha inserito una fattispecie aperta (i ricorsi che hanno lo stesso oggetto o sono fra loro connessi), lasciando alla discrezionalità del giudice l'esame dei presupposti della connessione (comma 1).

Si ricorda al riguardo che la connessione (che si ha quando più cause hanno in comune alcuni elementi, soggettivi od oggettivi) è un concetto generico che viene comunemente utilizzato dalla giurisprudenza quando non ricorra una più specifica qualificazione del rapporto intercedente fra le varie cause e che pertanto essa può riferirsi a situazioni processuali di vario genere.

In vista di un agevole impulso alla riunione dei ricorsi (a norma del comma 2) nel quadro generale ed unitario della tutela degli interessi erariali esercitata dall'Amministrazione nei singoli procedimenti, si raccomandano gli uffici di predisporre idonea rubricazione degli affari aventi identico oggetto o fra loro connessi, pendenti davanti alla stessa commissione, tale da consentire una pronta individuazione degli stessi.

 

 

Sezione III

La trattazione della controversia

     Art. 30

Nomina del relatore e fissazione della data di trattazione.

1. Se non ritiene di adottare preliminarmente i provvedimenti di cui all'articolo 27, il presidente, scaduto in ogni caso il termine per la costituzione delle parti, fissa la trattazione della controversia secondo quanto previsto dagli articoli 33 e 34 e nomina il relatore.

2. Resta salvo quanto disposto dall'articolo 5, comma 1, lettera a), del D.L. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165.

La sezione terza, composta dagli articoli da 30 a 35, contiene la disciplina della trattazione del ricorso. La norma in esame non ha introdotto alcuna innovazione sostanziale rispetto al passato e il comma 2 conferma l'iter preferenziale per la trattazione di controversie potenzialmente idonee a garantire un maggior gettito.

In particolare, in base al menzionato comma 2, almeno una udienza per ogni mese e per ciascuna sezione è riservata alla trattazione di controversie per le quali l'ammontare dei tributi accertati e delle conseguenti soprattasse e pene pecuniarie non sia inferiore a cento milioni di lire; un'altra udienza per ogni mese e per ciascuna sezione è altresì riservata comunque alla trattazione di controversie nei confronti di società con personalità giuridica.

In proposito si raccomandano le segreterie di evidenziare nel registro generale dei ricorsi e sul fascicolo d'ufficio del processo, di cui all'articolo 25, le controversie di maggiore rilevanza economica (cento milioni), o che comunque interessino le società con personalità giuridica, onde consentire al Presidente della commissione un'agevole individuazione degli affari alla cui trattazione il legislatore ha riservato almeno una udienza al mese.

 

 

     Art. 31

Avviso di trattazione.

1. La segreteria dà comunicazione alle parti costituite della data di trattazione almeno trenta giorni liberi prima.

2. Uguale avviso deve essere dato quando la trattazione sia stata rinviata dal presidente in caso di giustificato impedimento del relatore, che non possa essere sostituito, o di alcuna delle parti o per esigenze del servizio.

La regolare costituzione del contraddittorio è un principio fondamentale del processo in generale.

In quello tributario, la comunicazione dell'avviso di trattazione dell'udienza ne rappresenta il presupposto processuale in difetto del quale la sentenza eventualmente pronunciata è da ritenersi nulla, come per gli altri tipi di processo.

Il comma 1 prevede la comunicazione dell'avviso di trattazione, da parte della segreteria, soltanto alle parti ritualmente costituite: occorre pertanto che gli uffici diano tempestivo corso alla costituzione nei termini stabiliti dall'articolo 23, comma 1 (60 giorni dalla notifica o dalla ricezione del ricorso) poiché in tal modo si assicurano, come già osservato sub articolo 23, la conoscenza ufficiale degli atti del processo in vista di una adeguata difesa degli interessi ivi coinvolti.

È appena il caso di precisare che i "termini liberi", a differenza dei termini normali, si computano senza considerare né il "dies a quo" (giorno iniziale) né il "dies ad quem" (giorno finale), e che quindi fra la ricezione della comunicazione e l'udienza di trattazione devono intercorrere trenta giorni interi.

Inoltre, nell'ipotesi di processo con pluralità di parti regolarmente costituite si ricorda che, alla luce di un consolidato orientamento giurisprudenziale, l'avviso di trattazione deve essere comunicato a tutti i coobbligati non potendosi ravvisare l'esistenza di una sorta di reciproca rappresentanza processuale tra di essi.

Il comma 2 prevede, infine, che uguale avviso debba esser dato per i casi di rinvio della trattazione ivi indicati.

 

 

     Art. 32

Deposito di documenti e di memorie.

1. Le parti possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione osservato l'articolo 24, comma l.

2. Fino a dieci giorni liberi prima della data di cui al precedente comma ciascuna delle parti può depositare memorie illustrative con le copie per le altre parti.

3. Nel solo caso di trattazione della controversia in camera di consiglio sono consentite brevi repliche scritte fino a cinque giorni liberi prima della data della camera di consiglio.

Nell'ambito del nuovo processo la lettura sistematica di questa disposizione con l'articolo 23, comma 1 (che prevede la costituzione in giudizio dell'ufficio nei cui confronti sia stato proposto ricorso entro 60 giorni dalla notifica o dalla ricezione dello stesso) e 30, comma 1 (che dispone che il Presidente di sezione "scaduto il termine per la costituzione delle parti", fissa la trattazione della controversia), lascia intendere che la trattazione della controversia non può mai essere fissata anteriormente al predetto termine di 60 giorni.

L'articolo in esame, nella fase processuale intercorrente tra la data di comunicazione dell'avviso di trattazione e la data di fissazione dell'udienza pubblica o della deliberazione in camera di consiglio, prevede che le parti possano produrre ulteriori documenti (comma 1) o scambiarsi ulteriori scritti difensivi (commi 2 e 3). Si ritiene in proposito che il legislatore, con le espressioni "memorie illustrative" (da depositarsi fino a dieci giorni liberi prima della data di trattazione) e "brevi repliche" (consentite fino a cinque giorni prima), abbia inteso evidenziare come questa sia una fase di precisazioni in cui le parti possono sviluppare motivi già dedotti ma non proporre motivi aggiunti (salvo, per il ricorrente, il disposto dell'articolo 24, comma 2).

Pertanto, la natura degli scritti difensivi in argomento sembra essere più affine alle "memorie conclusionali (che l'articolo 190 del codice di procedura civile, nel testo ancora vigente, prevede nel giudizio civile ordinario) che non, per quanto riguarda l'ufficio, alla memoria di costituzione per resistere al ricorso da depositarsi, ex articolo 23, commi 1 e 2, entro sessanta giorni dalla notifica o ricezione dello stesso.

La norma in commento non prevede alcuna comunicazione alla parte interessata, a cura della segreteria, della avvenuta presentazione di documenti e di memorie illustrative; si raccomandano pertanto gli uffici di tenere un comportamento processualmente attivo e diligente e di seguire l'attività della controparte attraverso la consultazione del fascicolo processuale.

 

 

     Art. 33

Trattazione in camera di consiglio.

1. La controversia è trattata in camera di consiglio salvo che almeno una delle parti non abbia chiesto la discussioni in pubblica udienza, con apposita istanza da depositare nella segreteria e notificare alle altre parti costituite entro il termine di cui all'articolo 32, comma 2.

2. Il relatore espone al collegio, senza la presenza delle parti, i fatti e le questioni della controversia.

3. Della trattazione in camera di consiglio è redatto processo verbale dal segretario.

L'articolo in esame introduce una nuova disciplina che (per esigenze di economia processuale) prevede, come regime normale, la trattazione in camera di consiglio piuttosto che in pubblica udienza, salvo apposita istanza di parte da depositare nella segreteria e notificare alle altre parti "costituite" almeno dieci giorni liberi prima della data di trattazione (comma 1). Nella nuova configurazione normativa il regime pubblico o meno della trattazione è quindi rimesso alla volontà delle parti.

Poiché si è dell'avviso che la discussione orale in pubblica udienza possa garantire una difesa più completa, si raccomandano gli uffici resistenti di avanzare comunque la relativa istanza in presenza di opposti indirizzi giurisprudenziali su presupposti di fatto o questioni di diritto, quando le controversie siano di rilevante interesse economico (cento milioni) o quando riguardino società con personalità giuridica.

 

 

     Art. 34

Discussione in pubblica udienza.

1. All'udienza pubblica il relatore espone al collegio i fatti e le questioni della controversia e quindi il presidente ammette le parti presenti alla discussione.

2. Dell'udienza è redatto processo verbale dal segretario.

3. La commissione può disporre il differimento della discussione a udienza fissa, su istanza della parte interessata, quando la sua difesa tempestiva, scritta o orale, è resa particolarmente difficile a causa dei documenti prodotti o delle questioni sollevate dalle altre parli. Si applica l'articolo 31, comma 2, salvo che il differimento sia disposto in udienza con tutte le parti costituite presenti.

Nel quadro di una lettura sistematica della norma in esame con gli articoli 23, commi 1 e 2, e 32, comma 2, sembra non possa ritenersi possibile che l'ufficio non costituito si presenti all'udienza pubblica per ivi costituirsi, per la prima volta, depositando controdeduzioni scritte. A tale conclusione si perviene nonostante che il comma 1 dell'articolo in esame disponga che le parti presenti (la norma non dice "parti costituite") siano ammesse alla discussione.

Ai sensi del comma 3 la parte potrà anche, in caso di particolare difficoltà della difesa a causa dei documenti prodotti o delle questioni sollevate dalle altre parti, chiedere un differimento della discussione a udienza fissa e in tale ipotesi (come nell'ipotesi che il differimento venga richiesto dal ricorrente), per effetto degli articoli 31 e 32, si ritiene che possa depositare documenti e memorie nei termini di cui all'articolo 32.

 

 

     Art. 35

Deliberazioni del collegio giudicante.

1. Il collegio giudicante, subito dopo la discussione in pubblica udienza o, se questa non vi è stata, subito dopo l'esposizione del relatore, delibera la decisione in segreto nella camera di consiglio.

2. Quando ne ricorrono i motivi la deliberazione in camera di consiglio può essere rinviata di non oltre trenta giorni.

3. Alle deliberazioni del collegio si applicano le disposizioni di cui all'artt. 276 e seguenti del c.p.c.. Non sono tuttavia ammesse sentenze non definitive o limitate solo ad alcune domande.

L'articolo in esame disciplina la deliberazione del collegio giudicante disponendo che la stessa debba intervenire in segreto in camera di consiglio subito dopo la discussione in pubblica udienza ovvero subito dopo l'esposizione del relatore (qualora non vi sia la pubblica udienza).

Il comma 2 dell'articolo in esame riproduce sostanzialmente l'articolo, secondo comma, del D.P.R. n. 636 del 1972 prevedendo la possibilità, sussistendone i motivi, di rinviare la deliberazione in camera di consiglio di non oltre 30 giorni dalla trattazione della controversia.

Si evidenzia la norma contenuta nel comma 3 dell'articolo in esame, di nuova introduzione, anche se in passato la giurisprudenza aveva già dichiarato applicabile l'articolo 276 del codice di procedura civile (regolante l'ordine in cui le questioni dibattute debbano essere risolte) al processo tributario e, avuto riguardo alla sua peculiare struttura, ritenuto esclusa la possibilità di sentenze non definitive, o limitate solo ad alcune domande, per evitare gli inconvenienti derivanti dal frazionamento dei giudizi.

Si rammenta, inoltre, che ai sensi dell'articolo 76, comma primo, del codice di procedura civile, alle deliberazioni in camera di consiglio possono partecipare soltanto i giudici che abbiano assistito alla discussione.

 

 

Sezione IV

La decisione della controversia

     Art. 36

Contenuto della sentenza.

1. La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano ed è intestata alla Repubblica italiana.

2. La sentenza deve contenere:

1) l'indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei loro difensori se vi sono;

2) la concisa esposizione dello svolgimento del processo;

3) le richieste delle parti;

4) la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto;

5) il dispositivo.

3. La sentenza deve inoltre contenere la data della deliberazione ed è sottoscritta dal presidente e dall'estensore.

L'articolo in esame stabilisce quale debba essere il contenuto della sentenza ricalcando sostanzialmente la corrispondente norma del codice di procedura civile (articolo 132).

 

 

     Art. 37

Pubblicazione e comunicazione della sentenza.

1. La sentenza è resa pubblica, nel testo integrale originale, mediante deposito nella segreteria della commissione tributaria entro trenta giorni dalla data della deliberazione. Il segretario fa risultare l'avvenuto deposito apponendo sulla sentenza la propria firma e la data.

2. Il dispositivo della sentenza è comunicato alle parti costituite entro dieci giorni dal deposito di cui al precedente comma.

L'articolo in esame riproduce senza modifiche di rilievo il previgente articolo 38 del D.P.R. n. 636 del 1972.

Quanto alla attestazione del deposito della sentenza da parte del segretario, si ricorda che essa ha funzione certificativa della data del deposito la quale è peraltro rilevante ai fini della decorrenza dei termini di impugnazione.

Il comma 2 prevede la comunicazione del dispositivo, da parte del segretario, limitatamente alle parti "costituite", non potendosi ovviamente estendere a chi sia rimasto volontariamente estraneo al processo.

 

 

     Art. 38

Richiesta copie e notificazione della sentenza.

1. Ciascuna parte può richiedere alla segreteria copie autentiche della sentenza e la segreteria è tenuta a rilasciarle entro cinque giorni dalla richiesta, previa corresponsione delle spese a norma dell'articolo 25, comma 2.

2. Le parti hanno l'onere di provvedere direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti a norma degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile depositando, nei successivi trenta giorni, l'originale o copia autentica dell'originale notificato, nella segreteria, che ne rilascia ricevuta e l'inserisce nel fascicolo d'ufficio.

3. Se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza, si applica l'articolo 327, comma 1, c.p.c. Tale disposizione non si applica se la parte non costituita dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell'avviso di fissazione d'udienza.

L'articolo in esame, ai commi 2 e 3, presenta due disposizioni di rilievo riguardanti rispettivamente la previsione dell'onere (quindi non più facoltà) delle parti di provvedere direttamente alla notifica della sentenza nonché l'applicabilità dell'istituto della decadenza dall'impugnazione - ex articolo 327 del codice di procedura civile - per il decorso annuale dalla relativa pubblicazione (già comunque affermata per la previgente disciplina, dopo oscillante giurisprudenza, dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite: cfr. sentenza 10 gennaio 1992, n. 202 e sentenza 20 gennaio 1992, n. 668 e sentenza n. 660).

La disciplina così articolata corrisponde alla direttiva espressa nella delega contenuta nell'articolo 30, lettera g), numero 3, parte seconda, della legge n. 413 del 1991.

Nel processo tributario si avrà, pertanto, un termine d'impugnativa breve, di sessanta giorni, che decorre, ex articolo 51, comma 1, dalla notifica della sentenza e un termine di impugnativa lungo di un anno e 46 giorni che decorre, ex articolo 327, comma 1, del codice di procedura civile, dalla sua pubblicazione (coincidente con il deposito nella segreteria), indipendentemente dalla notificazione.

Il termine di un anno e 46 giorni discende da sospensione feriale dei termini previsti dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742. Si soggiunge inoltre che, in concomitanza dei due termini, quello lungo ha la prevalenza; pertanto, scaduto il predetto termine di un anno e 46 giorni la sentenza diverrà inoppugnabile anche se è ancora in corso il termine breve di sessanta giorni dalla notifica della stessa.

Sebbene il legislatore non abbia collegato alcun effetto al mancato adempimento dell'onere di comunicare il dispositivo della sentenza entro dieci giorni dal deposito (a norma dell'articolo 37, comma 2), si raccomandano le segreterie di rispettare puntualmente il suddetto termine nonché gli uffici, in qualità di parte processuale, di essere particolarmente attenti e diligenti, informandosi per tempo sul deposito della sentenza per evitare il rischio di decadere dal diritto di impugnarla.

Si richiama, infine, l'attenzione sul secondo periodo del comma 3 dell'articolo in commento in base al quale, scaduto l'anno e 46 giorni dal deposito della sentenza, l'inoperatività della decadenza dalla impugnazione è ammessa solo se la parte "non costituita" dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e per nullità della comunicazione dell'avviso di trattazione della controversia.

 

 

Sezione V

Sospensione, interruzione ed estinzione del processo

     Art. 39

Sospensione del processo.

1. Il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio.

L'istituto della sospensione del processo gode di una espressa regolamentazione in seguito al dettato della legge delega (articolo 30, lett. g), n. 3, della legge n. 413 del 1991), in quanto sotto la vigenza del D.P.R n. 636 del 1972 si ricorreva alla applicazione a dell'articolo 295, del codice di procedura civile.

Con il nuovo rito si è avvertita l'esigenza di prevedere ipotesi tassative in quanto l'istituto della sospensione del processo tributario può verificarsi solo quando ricorrano, alternativamente o cumulativamente, le seguenti ipotesi:

- sia proposta querela di falso;

- si presenti una questione pregiudiziale che attenga allo stato o alla capacità delle persone fisiche (esclusa l'ipotesi che si tratti della capacità di stare in giudizio sulla quale deciderà il collegio stesso).

Infatti, sia la querela di falso che le questioni di stato e capacità della persona sono di competenza esclusiva del giudice ordinario, non potendo, pertanto, il giudice tributario intervenire sulla materia.

La querela di falso è disciplinata nell'ambito del codice di procedura civile e pertanto, in mancanza di una diversa regolamentazione nel decreto legislativo in commento, è necessario far riferimento alle norme processuale civilistiche. Si ricorda, pertanto, che la querela di falso è una domanda giudiziale che viene rivolta, ai sensi dell'articolo 221 c.p.c., al tribunale, al fine di accertare la falsità di un documento che la controparte vuole utilizzare in un determinato processo. Per documento si intende una semplice scrittura privata o una scrittura privata autenticata o un atto pubblico.

Non costituisce invece causa di sospensione del processo tributario una questione pregiudiziale sulla capacità di stare in giudizio delle persone, autonomamente decisa dalla commissione tributaria ed il cui accertamento negativo provoca una interruzione del processo.

In ordine ad ogni altra questione che si presenti come pregiudiziale per la decisione della lite fiscale, deve esprimersi "incidenter tantum" il giudice tributario.

Non sembra applicabile al processo tributario l'articolo 296 c.p.c., che prevede la sospensione della lite su istanza di parte; infatti, non si ravvisa una "ratio" che giustifichi la possibilità delle parti di concordare tra loro la sospensione del processo.

Si ha, invece, sospensione necessaria del processo nel caso di rimessione alla Corte Costituzionale di una questione di legittimità costituzionale di una norma che abbia rilevanza nel giudizio tributario, e nei casi di regolamento preventivo di giurisdizione o di proposizione di ricorso per ricusazione del giudice ai sensi dell'articolo 52 c.p.c. previsto dall'articolo 3, comma 2.

La causa di sospensione viene meno quando sia passata in giudicato la sentenza del giudice civile che decide sulla querela di falso o quella che definisce la controversia sullo stato o sulla capacità delle persone.

 

 

     Art. 40

Interruzione del processo.

1. Il processo è interrotto se, dopo la proposizione del ricorso, si verifica:

a) il venir meno, per morte o altre cause, o la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti, diversa dall'ufficio tributario, o del suo legale rappresentante o la cessazione di tale rappresentanza;

b) la morte, la radiazione o sospensione dall'albo o dall'elenco di uno dei difensori incaricati a sensi dell'articolo 12.

2. L'interruzione si ha al momento dell'evento se la parte sta in giudizio personalmente e nei casi di cui al comma 1, lettera b). In ogni altro caso l'interruzione si ha al momento in cui l'evento è dichiarato o in pubblica udienza o per iscritto con apposita comunicazione del difensore della parte a cui l'evento si riferisce.

3. Se uno degli eventi di cui al comma 1 si avvera dopo l'ultimo giorno per il deposito di memorie in caso di trattazione della controversia in camera di consiglio o dopo la chiusura della discussione in pubblica udienza, esso non produce effetto a meno che non sia pronunciata sentenza e il processo prosegua davanti al giudice adito.

4. Se uno degli eventi di cui al comma 1, lettera a), si verifica durante il termine per la proposizione del ricorso il termine è prorogato di sei mesi a decorrere dalla data dell'evento. Si applica anche a questi termini la sospensione prevista dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742.

L'istituto dell'interruzione del processo ha la funzione di consentire una corretta ed effettiva estrinsecazione del principio del contraddittorio tra le parti. Ne consegue che è stata prevista una interruzione dell'attività processuale allorquando una parte, in particolare il contribuente, non possa più "stare in giudizio".

L'articolo in esame prevede che il processo sia interrotto, dopo il verificarsi della proposizione del ricorso, nel casi in cui si verifichi:

- la morte o la perdita, per qualunque causa, della capacità di stare in giudizio della parte o del suo legale rappresentante o la cessazione di tale rappresentanza;

- la morte, la radiazione o sospensione dall'albo o dall'elenco di uno dei difensori incaricati ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 546 del 1992.

Gli eventi di cui sopra sono irrilevanti nel caso si verifichino durante il giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione.

Perché si abbia interruzione del processo, l'evento deve verificarsi dopo la proposizione del ricorso (cioè successivamente alla notifica di tale provvedimento ai sensi dell'articolo 16, o alla data di spedizione dello stesso risultante dal timbro postale apposto sulla raccomandata) e prima della conclusione del processo (ovvero l'ultimo giorno per il deposito delle memorie).

Qualora, invece, gli eventi di cui alla lettera a) del comma 1 del citato articolo 40, si verifichino prima della presentazione del ricorso, ma durante la pendenza dei termini per la presentazione del medesimo, tali termini sono prorogati di sei mesi dalla data dell'evento.

Se durante la decorrenza del termine di 60 giorni per la proposizione della impugnazione avverso la sentenza, regolarmente notificata, della commissione tributaria provinciale, sopravviene la morte oppure la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante legale o la cessazione di tale rappresentanza, il termine per impugnare è interrotto e comincia a decorrere nuovamente dal giorno in cui, ai sensi dell'articolo 328 c.p.c., la notifica della sentenza venga rinnovata.

Tale rinnovazione può essere fatta, ai sensi dell'articolo 328, secondo comma, c.p.c., agli eredi collettivamente e impersonalmente nell'ultimo domicilio del defunto. Se dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (articolo 328, terzo comma, c.p.c.) si verifica alcuno degli eventi sopra descritti, il termine di cui all'articolo 327, comma 1, c.p.c., è prorogato per tutte le parti di sei mesi dal giorno dell'evento.

I fatti che riguardano la persona del legale rappresentante (nei casi di interdetto, di inabilitato o di minore) non rivestono alcuna rilevanza nel caso colpiscano il rappresentante volontario. Parimenti, non assume rilievo alcuno la cessazione di tale rappresentanza.

Si ha inoltre interruzione del processo, oltreché per morte della persona fisica, anche per estinzione di quella giuridica; non si può parlare di interruzione invece, in caso di messa in liquidazione di una società, in quanto in questo caso la persona giuridica viene meno solo con la definizione di tutti i rapporti giuridici che ad essa facevano capo comprese le pendenze in giudizio.

L'effetto interruttivo può verificarsi al momento dell'evento che ne è presupposto o al momento della dichiarazione di tale evento che avviene o nella pubblica udienza o con apposita comunicazione scritta del difensore della parte cui l'evento si riferisce. Nella prima ipotesi in cui l'evento interruttivo è di immediata efficacia, l'interruzione del processo si verifica quando la parte sta in giudizio personalmente o quando la causa interruttiva riguarda invece il difensore.

Ai sensi del comma 3 dell'articolo in commento, l'effetto interruttivo non si verifica nelle ipotesi in cui il contraddittorio sia ormai esaurito ovverosia dopo l'ultimo giorno utile per la produzione di memorie nel caso di decisione in camera di consiglio e dopo la chiusura della discussione nell'ipotesi di pubblica udienza, salvo che la commissione, anziché pronunciare la sentenza, faccia proseguire il processo, con la conseguente necessità di ripristinare il contraddittorio.

 

 

     Art. 41

Provvedimenti sulla sospensione e sull'interruzione del processo.

1. La sospensione è disposta e l'interruzione è dichiarata dal presidente della sezione con decreto o dalla commissione con ordinanza.

2. Avverso il decreto del presidente è ammesso reclamo ai sensi della articolo 28.

È competenza della commissione tributaria, senza che vi sia iniziativa delle parti, accertata l'esistenza di una causa di sospensione, disporla o con decreto del presidente di sezione - se la causa si rileva prima della fissazione dell'udienza di trattazione - o con ordinanza da parte del collegio negli altri casi.

L'interruzione del processo, invece, non richiede alcuna attività di accertamento e, pertanto, è dichiarata dal presidente con decreto o dal collegio con ordinanza, a seconda della fase del processo in cui si è verificato l'evento interruttivo.

Avverso il decreto presidenziale di sospensione e di interruzione è ammesso reclamo ai sensi dell'articolo 28, mentre, qualora vi provvedesse direttamente l'organo collegiale, si porrà unicamente un problema di impugnazione della sentenza intervenuta. Non è estensibile alla fattispecie in esame la norma processuale civilistica che dispone che i provvedimenti di sospensione del processo civile possono essere impugnati soltanto con il regolamento di competenza, in quanto tale istituto è estraneo alla procedura del processo tributario.

 

 

     Art. 42

Effetti della sospensione e dell'interruzione del processo.

1. Durante la sospensione e l'interruzione non possono essere compiuti atti del processo.

2. I termini in corso sono interrotti e ricominciano a decorrere dalla presentazione dell'istanza di cui all'articolo seguente.

L'articolo in esame disciplina gli effetti della sospensione e dell'interruzione, concretizzandoli nel divieto di compiere qualsiasi attività processuale. Di conseguenza, in caso contrario, lo svolgimento di atti del processo determina l'invalidità degli stessi, ivi compresa la sentenza.

Pur nel silenzio della legge, si ritiene che, per esigenze di economia processuale, tutti gli atti processuali compiuti anteriormente alla sospensione o interruzione del processo sono fatti salvi.

Deve, peraltro, ritenersi ammissibile la proposizione dei provvedimenti cautelari, in analogia con quanto disposto dall'articolo 669-quater, comma 2, c.p.c.

Inoltre, la sospensione e l'interruzione del processo comportano l'interruzione dei termini in corso che riprenderanno a decorrere dalla data di presentazione al presidente di sezione dell'istanza di trattazione di cui all'articolo 43.

 

 

     Art. 43

Ripresa del processo sospeso o interrotto.

1. Dopo che è cessata la causa che ne ha determinato la sospensione il processo continua se entro sei mesi da tale data viene presentata da una delle parti istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione, che provvede a norma dell'articolo 30.

2. Se entro sei mesi da quando è stata dichiarata l'interruzione del processo la parte colpita dall'evento o i suoi successoti o qualsiasi altra parte presentano istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione, quest'ultimo provvede a norma del comma precedente.

3. La comunicazione di cui all'articolo 31, oltre che alle altre parti costituite nei luoghi indicati dall'articolo 17, deve essere fatta alla parte colpita dall'evento o ai suoi successori personalmente. Entro un anno dalla morte di una delle parti la comunicazione può essere effettuata agli eredi collettivamente o impersonalmente nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza dichiarata dal defunto risultante dagli atti del processo. La parte colpita dall'evento o i suoi successori possono costituirsi anche solo presentando documenti o memorie o partecipando alla discussione assistiti, nei casi previsti, da difensore incaricato nelle forme prescritte.

Nel caso di sospensione, la norma in commento prevede che, entro sei mesi dalla cessazione della causa di sospensione, una delle parti deve presentare istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione, che provvederà di conseguenza. In caso contrario, il processo si estingue per inattività delle parti ai sensi del successivo articolo 45.

Nel caso di ripresa del processo interrotto, invece, l'istanza di trattazione va presentata entro sei mesi dalla data del provvedimento di dichiarazione della interruzione.

L'istanza di trattazione deve contenere gli elementi indispensabili per consentire al presidente di sezione di assumere i provvedimenti necessari. Pertanto, sarà opportuno indicare in detta istanza gli estremi del processo sospeso o interrotto, la causa e gli estremi del provvedimento di sospensione o interruzione, il motivo che giustifichi la ripresa del processo.

Una volta presentata l'istanza di trattazione, il presidente di sezione fissa la trattazione della controversia, nominando il relatore.

La comunicazione della trattazione, oltre che alle parti costituite, deve farsi anche alle parti non costituite che sono state colpite dall'evento o ai suoi successori: infatti la norma, al comma 3, specifica che entro un anno dalla morte di una delle parti la comunicazione può essere effettuata agli eredi collettivamente o impersonalmente nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza dichiarata dal defunto risultante dagli atti processuali. Si evidenzia pertanto che per la parte colpita dall'evento o per i suoi successori non è richiesta una specifica forma di costituzione, essendo sufficiente la mera produzione di documenti o memorie o la stessa partecipazione alla discussione, in caso di pubblica udienza, tramite l'assistenza del difensore (qualora sia necessaria).

 

 

     Art. 44

Estinzione del processo per rinuncia al ricorso.

1. Il processo si estingue per rinuncia al ricorso.

2. Il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti salvo diverso accordo fra loro. La liquidazione è fatta dal presidente della sezione o dalla commissione con ordinanza non impugnabile, che costituisce titolo esecutivo.

3. La rinuncia non produce effetto se non è accettata dalle parti costituite che abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del processo.

4. La rinuncia e l'accettazione, ove necessaria, sono sottoscritte dalle parli personalmente o da loro procuratori speciali, nonché, se vi sono, dai rispettivi difensori e si depositano nella segreteria della commissione.

5. Il presidente della sezione o la commissione, se la rinuncia e l'accettazione, ove necessaria, sono regolari, dichiarano l'estinzione del processo. Si applica l'ultimo comma dell'articolo seguente.

Il processo tributario si estingue per:

- rinuncia al ricorso;

- inattività delle parti;

- cessazione della materia del contendere.

L'articolo 44 regola la prima ipotesi ed in particolare stabilisce che la rinuncia al ricorso deve essere fatta per iscritto e sottoscritta dalle parti personalmente o dai loro procuratori speciali e dai difensori, e deve essere depositata nella segreteria della commissione. Termine ultimo per la rinuncia è la data di udienza di trattazione, mentre non è ammessa una rinuncia verbale fatta nella udienza pubblica.

L'effetto principale della rinuncia al ricorso è dato dall'estinzione del processo, dichiarata dal presidente di sezione o dalla commissione, a seconda della fase del giudizio.

La rinuncia è valida solo se accettata dalle parti costituite che abbiano interesse alla prosecuzione del processo con atto anch'esso sottoscritto e depositato presso la segreteria della commissione.

In caso di litisconsorzio necessario la rinuncia è inefficace, qualora non sia presentata da tutte le parti intervenute, mentre nel caso di litisconsorzio facoltativo la rinuncia che non provenga da tutte le parti non provoca l'estinzione della lite.

Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo un diverso accordo tra loro, mentre nel caso di più parti che abbiano espresso la loro volontà di rinunciare alla controversia, le stesse rispondono solidalmente delle spese da rimborsare.

La liquidazione è fatta dal presidente di sezione o di commissione, con ordinanza non impugnabile che costituisce titolo esecutivo; la Corte di Cassazione (Sent. 17 ottobre 1992, n. 11407 e 13 giugno 1992, n. 254) ha ritenuto l'analogo provvedimento emanato dal giudice civile impugnabile in Cassazione e tale mezzo di gravame sembra doversi estendere anche al processo tributario.

 

 

     Art. 45

Estinzione del processo per inattività delle parti.

1. Il processo si estingue nei casi in cui le parti alle quali spetta di proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo.

2. Le spese del processo estinto a norma del comma 1 restano a carico delle parti che le hanno anticipate.

3. L'estinzione del processo per inattività delle parti è rilevata anche d'ufficio solo nel grado di giudizio in cui si verifica e rende inefficaci gli atti compiuti.

4. L'estinzione è dichiarata dal presidente della sezione con decreto o dalla commissione con sentenza. Avverso il decreto del presidente è ammesso reclamo alla commissione che provvede a norma dell'articolo 28.

Ricorre la fattispecie dell'estinzione del processo per inattività delle parti qualora le stesse non abbiano provveduto a compiere determinati atti di proseguimento, riassunzione o integrazione del giudizio entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice.

Il processo si estingue nei casi in cui le parti non adempiano a quanto richiesto dalla legge entro un termine perentorio.

Ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992 si ha estinzione del processo per inattività delle parti nel caso di:

- liticonsorzio necessario e le parti non ricorrenti non si siano costituite entro il termine stabilito dal giudice (articolo 14, comma 2);

- sospensione, per qualsiasi motivo, del processo e mancata riassunzione dello stesso entro il termine di legge (articolo 43, comma 2);

- interruzione del processo e mancata riassunzione dello stesso entro i termini di legge (articolo 43, comma 2).

L'estinzione del processo per inattività delle parti è rilevabile anche d'ufficio, ma solo nel grado di giudizio in cui si verifica; se il processo prosegue perché l'estinzione non è stata rilevata, la sentenza emanata è valida e l'estinzione non può essere eccepita in sede di impugnazione della stessa (comma 3).

A differenza dell'ipotesi contemplata nell'articolo 44 (estinzione del processo per rinuncia), nel caso in commento le spese di lite restano a carico della parte che le ha sostenute, non applicandosi il principio della soccombenza, considerato che ogni parte può compiere le attività che impediscono l'effetto estintivo.

Ai sensi del comma 4, l'estinzione viene dichiarata dal presidente della sezione con decreto, reclamabile a norma dell'articolo 28, o dalla commissione con sentenza.

 

 

     Art. 46

Estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.

1. Il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge o in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere.

2. La cessazione della materia del contendere è dichiarata, salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge, con decreto del presidente o con sentenza della commissione. Il provvedimento presidenziale è reclamabile a norma dell'articolo 28.

3. Le spese del giudizio estinto a norma del comma 1 restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diverse disposizioni di legge.

Ulteriore ipotesi di estinzione del processo è quella che si verifica in caso di cessazione della materia del contendere; in tal caso l'estinzione può essere totale o parziale.

Rientrano in tale previsione ad esempio la fattispecie della "definizione delle pendenze tributarie" (c.d. condono) o quando viene ritirato o viene annullato l'atto impugnato da parte dello stesso ufficio tributario che lo ha emesso.

L'effetto estintivo opera automaticamente e, salvo quanto diversamente disposto dalle singole norme di legge, viene dichiarato con decreto del presidente reclamabile ai sensi dell'articolo 28, o dalla commissione con sentenza. La disposizione prevede inoltre, al comma 3, che le spese di giudizio restino a carico della parte che le ha anticipate, fatte salve diverse disposizioni di legge.

Un'altra ipotesi di estinzione del giudizio è rinvenibile nell'istituto della conciliazione giudiziale che è espressamente disciplinato nel successivo articolo 48.

 

 

Capo II

I procedimenti cautelare e conciliativo

     Art. 47

Sospensione dell'atto impugnato.

1. Il ricorrente, se dall'atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla commissione provinciale competente la sospensione dell'esecuzione dell'atto stesso con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato notificata alle altre parti e depositato in segreteria sempre che siano osservate le disposizioni di cui all articolo 22.

2. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima.

3. In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, con lo stesso decreto, può motivatamente disporre la provvisoria sospensione dell'esecuzione fino alla pronuncia del collegio.

4. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile.

5. La sospensione può anche essere parziale e subordinata alla prestazione di idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa, nei modi e termini indicati nel provvedimento.

6. Nei casi di sospensione dell'atto impugnato la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia.

7. Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado.

8. In caso di mutamento delle circostanze la commissione su istanza motivata di parte può revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza, osservate per quanto possibile le forme di cui ai commi 1, 2 e 4.

La proposizione del ricorso non ha effetto sospensivo dell'atto impugnato.

L'articolo in commento consente, tuttavia, al ricorrente la facoltà di chiedere alla commissione provinciale competente la sospensione dell'atto impugnato mediante la proposizione di una apposita istanza motivata, allorquando dall'atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile.

L'istanza può essere contenuta nel medesimo atto di ricorso, oppure può essere presentata mediante un atto separato.

In tale ultima ipotesi l'atto contenente l'istanza di sospensione deve essere notificato all'altra parte secondo le disposizioni contenute nei commi 2 e 3 dell'articolo 16 e depositato, unitamente alla prova dell'avvenuta notificazione, presso la segreteria della commissione tributaria competente.

Il deposito dell'atto separato contenente la istanza di sospensione può avvenire solo successivamente alla costituzione in giudizio del ricorrente secondo le disposizioni dell'articolo 22.

Infatti a seguito della presentazione dell'istanza di sospensione sorge nel processo principale un procedimento incidentale e quindi la cognizione sull'istanza di sospensione presuppone che il rapporto processuale si sia regolarmente instaurato.

La istanza di sospensione può riguardare solamente alcuni tra gli atti impugnabili indicati dall'articolo 19. In particolare essa è ammissibile per l'avviso di accertamento dei tributi, nelle sue varie forme di rettifica delle dichiarazioni, di accertamento d'ufficio e di accertamento valori, per l'avviso di liquidazione del tributo, per il provvedimento che irroga la sanzione, per il ruolo e la cartella di pagamento e per l'avviso di mora.

Non sono invece suscettibili di essere sospesi il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi od altri accessori non dovuti o il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari.

Con l'ordinanza di sospensione, infatti, non può imporsi all'amministrazione finanziaria un obbligo di "facere". Condizioni per la concedibilità della sospensione della esecutività dell'atto impugnato sono:

a) il "fumus boni iuris": il ricorso, anche a seguito di una cognizione necessariamente sommaria, deve apparire ammissibile e fondato;

b) il pericolo di danno grave ed irreparabile: la esecuzione del provvedimento può essere sospesa solo se ne derivi concretamente all'istante un danno grave e non più riparabile anche in presenza di una decisione definitiva a lui favorevole.

Nella valutazione dei presupposti di concedibilità della sospensione della esecutività dell'atto impugnato bisogna tener conto non solo dell'interesse del ricorrente, ma anche di quello dell'amministrazione finanziaria o dell'ente locale impositore circa la perdita delle garanzie patrimoniali nelle more della definizione del giudizio principale od anche la maggiore difficoltà della esazione futura del credito erariale.

Il comma 2 dell'articolo in esame dispone che il presidente fissa con proprio decreto la trattazione dell'istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile.

La segreteria della commissione comunicherà mediante avviso, secondo le disposizioni contenute negli articoli, 16 e 17, alle parti, almeno dieci giorni liberi prima, la data della udienza in camera di consiglio di discussione della sospensione.

In tale udienza le parti ovvero i loro difensori tecnici od i rappresentanti dell'ufficio del Ministero delle finanze o dell'ente locale impositore sono ammessi a svolgere le proprie ragioni a favore o contro la concessione del provvedimento di sospensione; successivamente il Collegio, nel segreto della camera di consiglio, si pronuncia con ordinanza succintamente motivata e non impugnabile.

Nel silenzio della norma è da ritenere che tale ordinanza debba essere notificata, a cura del ricorrente, all'ufficio titolare del tributo per i conseguenti provvedimenti di tolleranza.

Del pari se l'impugnativa attiene al ruolo e alla cartella di pagamento o all'avviso di mora, detta ordinanza di sospensione od il decreto presidenziale di sospensione, nell'ipotesi in cui l'Amministrazione finanziaria o l'ente locale non fossero parte del giudizio, devono essere comunicati a questi ultimi a cura del concessionario che è parte in giudizio: ciò per consentire all'ufficio impositore di adottare i necessari adempimenti contabili.

In ipotesi di eccezionale urgenza, cioè quando il pericolo del danno grave e irreparabile è così imminente da non consentire l'espletamento della procedura camerale, il presidente, valutati i presupposti del "fumus boni iuris" e del danno, in assenza di contraddittorio tra le parti, può concedere, con il medesimo decreto di fissazione della trattazione dell'istanza di sospensione, in via provvisoria, la sospensione della esecutività dell'atto impugnato sino alla celebrazione dell'udienza camerale.

La sospensione concessa "inaudita altera parte, per decreto presidenziale, è riesaminata nell'udienza camerale ed il Collegio, sentite le parti, può confermarla, revocarla o modificarla.

Il provvedimento di sospensione, sia esso emesso sotto forma di ordinanza o di decreto presidenziale, può imporre al ricorrente un versamento di una somma a titolo di cauzione oppure la presentazione di una fideiussione bancaria od assicurativa.

In tale ipotesi il provvedimento sospensivo deve anche precisare i modi ed i termini di prestazione delle cennate garanzie, quali ad esempio l'importo delle somme da versare nonché il modo ed il termine di versamento, gli elementi dell'atto di fideiussione con particolare riguardo alle somme da garantire, alla durata della garanzia, ecc.

Al puntuale rispetto del termini e del modi dettati dal giudice tributario è subordinata la efficacia del provvedimento sospensivo.

Pertanto ove il ricorrente non dovesse puntualmente adempiere gli oneri posti a suo carico, l'Ufficio del Ministero delle finanze o l'ente locale impositore può dare esecuzione al provvedimento impugnato.

Gli effetti dell'atto impugnato possono essere sospesi, ovviamente ricorrendone i presupposti, in tutto od in parte.

La concessione della sospensione dell'esecutività dell'atto impugnato impone una più rapida definizione del processo. In tale ipotesi, infatti, la trattazione del merito della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla data della pronuncia di sospensione.

L'ordinanza di sospensione, per espresso dettato legislativo, non è impugnabile, bensì è soltanto revocabile in caso di mutamento della situazione di fatto esistente al momento della emanazione.

In questa ultima ipotesi occorre la presentazione di una apposita istanza di revoca al medesimo giudice tributario che ha emanato il provvedimento sospensivo, depositata nei modi e nei termini previsti per la istanza di sospensione, a seguito della quale sorgerà un nuovo procedimento incidentale del tutto simile al procedimento previsto per l'esame dell'istanza di sospensione sopra descritto.

Oltre la sospensione, in via giudiziale, della esecutività dell'atto impugnato, il ricorrente ha la possibilità di chiedere la cennata sospensione anche in via amministrativa ai sensi dell'articolo 39, comma 1, del D.P.R 29 settembre 1973, n. 602.

Infatti quest'ultima norma, originariamente abrogata dall'articolo 71 del decreto legislativo n. 546 del 1992, è stata nuovamente resa vigente ed efficace con la modificazione del cennato articolo 71 introdotta dal decreto-legge 15 marzo 1996, n. 123 (cfr. articolo 2, comma 1, lett. h).

Inoltre, in via amministrativa, è possibile chiedere la sospensione:

- ai sensi dell'articolo 56, comma 1, lettera a), del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, così come modificato dall'articolo 3, comma 135, lettera c), della legge 28 dicembre 1995, n. 549, della riscossione, prima della emanazione della sentenza di 1° grado, del terzo della maggiore imposta di registro accertata;

- per il combinato disposto del sopracitato articolo 56, comma 1, lettera a), del D.P.R. n. 131 del 1986 e dell'articolo 13 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347, della riscossione del terzo della maggiore imposta catastale ed ipotecaria accertata;

- per il combinato disposto del più volte menzionato articolo 56, comma 1, lettera a), del D.P.R. n. 131 del 1986 e degli articoli 21 e 31 del D.P.R. 26 ottobre 1992, n. 543, della riscossione del terzo della maggiore imposta I.N.V.I.M. accertata;

- ai sensi dell'articolo 40, comma 2, del decreto legislativo 31 ottobre 1992, n. 346, della riscossione, prima della emanazione della sentenza di 1° grado, del terzo della imposta complementare di successione o donazione accertata.

Circa la riscossione coattiva a mezzo ruoli dell'imposta sul valore aggiunto, dell'imposta di registro, dell'imposta di successione e donazione, dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili, di cui all'articolo 67, commi 1 e 2, lettera a), del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, si avverte che, per effetto dell'abrogazione espressa, operata dall'articolo 71, dell'articolo 11, comma 5, del decreto legge 13 maggio 1991, n 151, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 202, non è più possibile richiedere la sospensione in via amministrativa delle cennate iscrizioni a ruolo, fermo restando per tali fattispecie la sola tutela cautelare prevista dall'articolo 47.

Infine, sempre in via amministrativa, il ricorrente può chiedere la sospensione prevista dal comma 4 dell'articolo 10 del D.P.R. 28 novembre 1980, n. 787, al Centro di Servizio nella ipotesi in cui abbia impugnato la iscrizione a ruolo operata dal precitato ufficio.

In tale ipotesi la sospensione giudiziale non può essere richiesta neanche dopo il decorso di sei mesi dalla data di proposizione del ricorso. Infatti il comma 6 del predetto articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 787 del 1980 stabilisce che decorsi sei mesi dalla data della spedizione del ricorso alla commissione tributaria, la sospensione può essere richiesta unicamente a norma dell'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1979, n. 602.

Va precisato che nessuna possibilità di sospensione in via amministrativa della esecutività degli atti impugnati è prevista dalle vigenti disposizioni sui tributi comunali e locali.

 

 

     Art. 48

Conciliazione giudiziale.

1. Ciascuna delle parti con l'istanza prevista nell'articolo 33, può proporre all'altra parte la conciliazione totale o parziale della controversia.

2. Il tentativo di conciliazione può essere esperito all'udienza anche dalla commissione.

3. Se la conciliazione ha luogo, viene redatto apposito processo verbale, nel quale sono indicate le somme dovute a titolo d'imposta, di sanzioni e di interessi. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto da effettuare entro venti giorni dalla data dell'udienza.

Per le modalità di versamento si applica l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1994, n. 592. Le predette modalità possono essere modificate con decreto del ministro delle finanze, di concerto con il ministro del tesoro. In difetto di versamento entro il predetto termine si applica l'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e non si applica il comma 7 del presente articolo.

4. La conciliazione può aver luogo solo davanti alla commissione provinciale e non oltre la prima udienza.

5. Qualora una delle parti abbia proposto la conciliazione e la stessa non abbia luogo nel corso della prima udienza, la commissione può assegnare un termine, non superiore a sessanta giorni, per la formulazione di una proposta ai sensi del comma 6.

6. L'ufficio può, sino alla data di trattazione in camera di consiglio, ovvero fino alla discussione in pubblica udienza, depositare una proposta di conciliazione alla quale l'altra parte abbia previamente aderito. Se l'istanza è presentata prima della fissazione della data di trattazione, il presidente della commissione, se ravvisa la sussistenza del presupposti e delle condizioni di ammissibilità, dichiara con decreto l'estinzione del giudizio. La proposta di conciliazione e il decreto tengono luogo del processo verbale di cui al comma 3. Il decreto è comunicato alle parti e il versamento delle somme dovute deve essere effettuato entro venti giorni dalla data della comunicazione.

Nell'ipotesi in cui la conciliazione non sia ritenuta ammissibile il presidente della commissione fissa la trattazione della controversia. Il provvedimento del presidente è depositato in segreteria entro dieci giorni dalla data di presentazione della proposta.

7. In caso di avvenuta conciliazione le sanzioni amministrative si applicano nella misura di un terzo del minimo delle somme dovute. La conciliazione, comunque, non dà luogo alla restituzione delle somme già versate all'ente impositore.

La conciliazione giudiziale ha una funzione deflattiva del contenzioso tributario. Essa si presenta come un ulteriore strumento appositamente predisposto per favorire una definizione concordataria non ancora matura in fase precontenziosa, ma suscettibile di realizzazione in sede contenziosa anche attraverso la fattiva opera di collaborazione e di incentivazione da parte degli organi giudicanti.

Tale istituto è già vigente nell'ordinamento tributario essendo stato previsto dall'articolo 2-sexies del decreto legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, che ha introdotto l'articolo 20-bis al previgente D.P.R. n. 636 del 1972.

Nella originaria formulazione il legislatore aveva previsto la conciliabilità delle sole controversie tributarie che coinvolgevano questioni non risolvibili in base a prove certe.

Successivamente, con decreto legge 26 settembre 1995, n. 403, convertito dalla legge 20 novembre 1995, n. 495, fu modificato il presupposto di ammissibilità della conciliazione giudiziale statuendosi che essa poteva essere esperita nei soli casi in cui era possibile la definizione dell'accertamento con adesione del contribuente di cui agli articoli 2-bis e 2-ter del decreto legge 30 settembre 1994 n. 564, convertito dalla legge 30 novembre 1994, n. 656.

La conciliazione giudiziale ha sostituito l'istituto del cosiddetto esame preventivo della controversia, previsto dallo stesso articolo 48, da più parti criticato a causa della sua equivoca natura e non chiara disciplina.

L'attuale configurazione dell'istituto in esame consente che tutte le controversie tributarie possono formare oggetto della conciliazione giudiziale; unico limite è quello che essa non può dar luogo alla restituzione di somme già versate.

Il risultato economico dell'accordo conciliativo, pertanto, non può mai essere tale da generare l'obbligo per l'Amministrazione finanziaria della restituzione di somme già precedentemente versate dal ricorrente, a qualsiasi titolo, in relazione al rapporto tributario oggetto della controversia.

La conciliazione giudiziale può essere conclusa solo davanti alla commissione provinciale, sia in udienza che fuori udienza.

Nell'una e nell'altra ipotesi il giudice tributario ha solo un potere di sindacato di legittimità nel senso che può accertare la regolarità della proposta conciliativa e la assenza di cause di inammissibilità previste dalla legge.

La conciliazione giudiziale è esperita in udienza quando una delle parti abbia manifestato all'altra, con l'istanza di trattazione in pubblica udienza, la volontà di conciliare in tutto o in parte la controversia tributaria, oppure quando il giudice tributario, motu proprio, inviti le parti a conciliarsi, ovvero quando l'ufficio abbia depositato, dopo la data di fissazione dell'udienza di trattazione e prima che questa sia stata celebrata in camera di consiglio o in pubblica udienza, una proposta scritta preconcordata con il ricorrente.

In tale ipotesi, ove sia raggiunto l'accordo conciliativo, viene redatto un apposito processo verbale che costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute in base all'accordo medesimo.

Tali somme debbono essere versate entro venti giorni dalla data dell'udienza in cui è stata raggiunta la conciliazione.

Allorquando una delle parti abbia proposto all'altra la conciliazione e questa non sia avvenuta durante la prima udienza, il Collegio può concedere un termine non superiore a sessanta giorni affinché l'Ufficio del Ministero delle finanze o l'ente locale impositore depositi in segreteria, nel termine concesso, una proposta di conciliazione a cui il ricorrente abbia preventivamente aderito.

Trattasi di un potere discrezionale accordato al giudice tributario in relazione a quelle ipotesi in cui è fortemente presumibile che le parti possano conciliarsi, anche se ciò non è avvenuto in udienza.

Il procedimento conciliativo fuori udienza si instaura con il deposito, effettuato da parte dell'ufficio prima della fissazione della data di trattazione, di una proposta preconcordata con il contribuente.

In tale ipotesi il presidente della commissione, accertata la legittimità della proposta, dichiara, con decreto, la estinzione del giudizio.

Detto decreto, unitamente alla proposta conciliativa preconcordata, ha il medesimo valore del processo verbale di conciliazione avvenuta in udienza, cioè è titolo per la riscossione delle somme dovute in base alla definizione conciliativa.

Nella ipotesi, invece, che il controllo di legittimità della proposta preconcordata dovesse avere esito negativo, il presidente di commissione fissa la trattazione della controversia con proprio provvedimento che depositerà in segreteria entro dieci giorni dalla data di deposito della proposta stessa.

La conciliazione giudiziale può essere totale o parziale a seconda che definisca tutta la controversia o parte di essa. Conseguentemente la proposta conciliativa può riguardare tutta o parte della materia del contendere.

In particolare la proposta scritta dell'Ufficio di cui al comma 6 dell'articolo 48 in esame deve contenere:

- la indicazione della Commissione tributaria adita;

- i dati identificativi dell'Ufficio del Ministero delle finanze e del ricorrente;

- la manifestazione della volontà di conciliare, con la indicazione esatta degli elementi oggetto della proposta conciliativa ed i relativi termini economici;

- la liquidazione delle somme dovute in base alla conciliazione giudiziale;

- una succinta motivazione delle ragioni che hanno indotto l'Ufficio ad avanzare la proposta di conciliazione;

- l'accettazione incondizionata del ricorrente di tutti gli elementi della proposta nonché delle somme liquidate;

- la data, la sottoscrizione del titolare dell'Ufficio e la sottoscrizione autografa del ricorrente.

Per effetto dell'intervenuto accordo conciliativo, sia in udienza che fuori udienza, le sanzioni amministrative, le soprattasse e le pene pecuniarie si riducono ad un terzo del minimo dovuto.

La esecuzione dei versamenti delle somme dovute in base alla conciliazione avverrà come di seguito specificato:

- il versamento delle somme dovute per la conciliazione delle controversie tributarie in materia di imposte sui redditi è effettuato al concessionario della riscossione competente secondo il domicilio fiscale del contribuente al momento del versamento, utilizzando la distinta di versamento mod. 8, modulario F, riscossione n. 8 o il bollettino di conto corrente postale mod. 11, modulario F, riscossione n. 11;

- per il versamento al concessionario della riscossione delle somme dovute sono istituiti i seguenti codici tributo:

a) 4452 Irpef e relativi interessi - conciliazione;

b) 2452 Irpeg e relativi interessi - conciliazione;

c) 3452 Ilor e relativi interessi - conciliazione;

d) 1114 altre imposte dirette e sostitutive e relativi interessi - conciliazione;

e) 1652 soprattasse e pene pecuniarie - conciliazione.

- le persone fisiche e le società di persone possono effettuare il versamento delle somme dovute anche mediante delega alle banche, utilizzando la delega di pagamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 25 settembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 228 del 29 settembre 1995, contraddistinta da grafica color azzurro, utilizzando gli stessi codici previsti per il versamento al concessionario della riscossione, e cioè:

a) 4452 Irpef e relativi interessi - conciliazione;

b) 3452 Ilor e relativi interessi - conciliazione;

c) 1114 altre imposte dirette e sostitutive e relativi interessi - conciliazione;

d) 1652 soprattasse e pene pecuniarie - conciliazione.

Gli interessi sono versati cumulativamente ai tributi cui si riferiscono. Il periodo di riferimento da riportare sui modelli di versamento al concessionario o l'anno di imposta da indicare sui modelli di delega bancaria è l'anno per il quale è sorta la contestazione.

Per i tributi diversi dalle imposte sui redditi i versamenti delle somme dovute in base alla conciliazione sono effettuati secondo le disposizioni previste da ciascuna legge di imposta.

Infine, se le somme dovute in base alla conciliazione giudiziale non sono versate nei venti giorni, le sanzioni amministrative sono dovute per il loro intero ammontare e l'ufficio iscrive a ruolo speciale, a titolo definitivo, tutte le somme ai sensi dell'articolo 14 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e contestualmente le eventuali somme iscritte precedentemente a ruolo a titolo provvisorio dovranno essere sgravate.

 

 

Capo III

Le impugnazioni

Sezione I

Le impugnazioni in generale

     Art. 49

Disposizioni generali applicabili.

1. Alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del c.p.c., escluso l'articolo salvo quanto disposto nel presente decreto.

L'articolo in esame richiama espressamente le disposizioni contenute nel capo 1 del titolo III del libro II del codice di procedura civile.

Si precisa, tuttavia, che la disposizione in commento esclude espressamente l'applicabilità al processo tributario della norma contenuta nell'articolo 337 del c.p.c

L'impugnazione è uno strumento posto a disposizione della parte che intende rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti da una sentenza.

Attraverso l'impugnazione la legge concede alle parti la possibilità di operare un controllo sulla sentenza, affidandone l'esame ad un giudice diverso ed in alcuni casi allo stesso giudice che ha pronunziato la sentenza impugnata (es. revocazione).

L'esercizio dell'impugnazione è limitato nel tempo, considerato che una volta decorso il tempo previsto dalla legge la sentenza acquista autorità di cosa giudicata.

Oggetto dell'impugnazione sono i provvedimenti aventi contenuto decisorio.

Le impugnazioni sono soggette al principio della iniziativa di parte. L'interesse all'impugnazione è dato dalla soccombenza, totale o parziale, nella causa, avuto riguardo alle situazioni contenute nella sentenza.

I termini previsti dalla legge per le impugnazioni sono perentori.

 

 

     Art. 50

I mezzi d'impugnazione.

1. Salvo quanto previsto all'articolo 48, comma 5, i mezzi per impugnare le sentenze delle commissioni tributarie sono l'appello, il ricorso per cassazione e la revocazione.

I mezzi di impugnazione delle sentenze delle Commissioni tributarie sono l'appello, il ricorso per cassazione e la revocazione.

L'appello è il rimedio concesso contro le sentenze delle Commissioni tributarie provinciali ed il ricorso per Cassazione il mezzo per impugnare le sentenze delle Commissioni tributarie regionali.

Inoltre, come mezzo di impugnazione straordinario è prevista la revocazione, per i motivi tassativamente elencati dall'articolo 395 del codice di procedura civile.

Non è ammissibile come mezzo di impugnazione il regolamento di competenza, essendo espressamente esclusa la proponibilità di esso dall'articolo 5, comma 4, del decreto legislativo in commento.

 

 

     Art. 51

Termini d'impugnazione.

1. Se la legge non dispone diversamente il termine per impugnare la sentenza della commissione tributaria è di sessanta giorni, decorrente dalla sua modificazione ad istanza di parte, salvo quanto disposto dall'articolo 38, comma 3.

2. Nel caso di revocazione per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'articolo 395 del c.p.c. il termine di sessanta giorni decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o sono state dichiarate false le prove o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza che accerta il dolo del giudice.

Il termine per proporre le impugnazioni è lo stesso di quello previsto dall'articolo 22 del D.P.R. n. 60 del 1972 e cioè 60 giorni.

L'articolo 51 in commento prevede che la sentenza deve essere notificata ad istanza di parte, salvo quanto disposto dall'articolo 38, terzo comma, dello stesso decreto; in base a quest'ultima disposizione, se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza, si applica l'articolo 327, primo comma, del codice di procedura civile.

La decorrenza del termine lungo di un anno e 46 giorni (tale computo risulta dall'applicazione della legge 7 ottobre 1969, n. 742) per impugnare la sentenza si ha dalla data di pubblicazione della sentenza, vale a dire dal momento del suo deposito in segreteria (cfr. articolo 37, comma 1).

Il termine breve (sessanta giorni) decorre dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte e, nel caso di revocazione per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 6) dell'articolo 395, del codice di procedura civile, il termine decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o sono state dichiarate false le prove o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza che accerta il dolo del giudice.

Il termine lungo di un anno e 46 giorni non è applicabile nelle ipotesi in cui la parte non costituita dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell'avviso di fissazione d'udienza.

Condizione per poter impugnare è che esista un provvedimento considerato dalla legge come impugnabile, avverso il quale la parte intende far valere delle censure.

Data la esistenza di un provvedimento impugnabile occorre verificare, in primo luogo, se sussista un interesse della parte alla modifica, totale o parziale, del provvedimento stesso e se la parte è legittimata alla impugnazione. Il difetto di uno dei predetti requisiti comporta la dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione medesima.

La legittimazione all'impugnazione è data al soggetto in relazione al fatto che lo stesso abbia assunto la qualità di parte nella precedente fase del processo, in quanto, non essendo ammessa nel processo tributario l'opposizione di terzo, non possono mai essere parti del giudizio di impugnazione soggetti che non siano stati presenti nel precedente giudizio.

Ne consegue che legittimato ad impugnare la sentenza è soltanto chi è stato parte nel processo in cui la sentenza è stata pronunciata.

L'interesse ad impugnare è, invece, determinato dalla soccombenza totale o parziale nella causa. Tale interesse va valutato con riferimento alla utilità giuridica che alla parte che impugna può derivare dall'accoglimento del gravame.

 

 

Sezione II

Il giudizio di appello davanti alla commissione tributaria regionale

     Art. 52

Giudice competente e legittimazione ad appellare.

1. La sentenza della commissione provinciale può essere appellata alla commissione regionale competente a norma dell'articolo 4, comma 2.

Il comma 1 dell'articolo in esame individua la competenza territoriale del giudice d'appello e cioè della commissione tributaria regionale. La commissione tributaria regionale è competente a giudicare le impugnazioni proposte avverso le sentenze delle commissioni tributarie provinciali che hanno sede nella propria circoscrizione.

Il comma 2 dell'articolo medesimo è stato soppresso dall'articolo 2, comma 1, lettera e), del decreto legge 15 marzo 1996, n. 123 (Disposizioni urgenti in materia di contenzioso tributario e di differimento di termini per la definizione di liti fiscali pendenti).

La disposizione abrogata prevedeva che gli uffici periferici del Dipartimento delle entrate dovevano essere previamente autorizzati alla proposizione dell'appello principale dal responsabile del servizio contenzioso della competente direzione regionale delle entrate e che gli uffici del territorio dovevano essere previamente autorizzati alla proposizione dell'appello principale dal responsabile del servizio contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio.

La suddetta autorizzazione occorreva soltanto per la proposizione dell'appello principale e non già anche per la proposizione dell'appello incidentale. L'autorizzazione era richiesta per la valida proposizione dell'appello da parte degli uffici finanziari.

 

 

     Art. 53

Forma dell'appello.

1. Il ricorso in appello contiene l'indicazione della commissione tributaria a cui è diretto, dell'appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, l'esposizione sommaria dei fatti, l'oggetto della domanda ed i motivi specifici dell'impugnazione. Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto a norma dell'articolo 18, comma 3.

2. Il ricorso in appello è proposto nelle forme di cui all'articolo 20, commi 1 e 2, nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado e deve essere depositato a norma dell'articolo 22, commi 1, 2 e 3.

3. Subito dopo il deposito del ricorso in appello, la segreteria della commissione tributaria regionale chiede alla segreteria della commissione provinciale la trasmissione del fascicolo del processo, che deve contenere copia autentica della sentenza.

L'appello è un mezzo di impugnazione che può condurre ad un integrale riesame della controversia.

Considerate le caratteristiche dell'appello, il quale per sua natura consiste nel riesame del giudizio di primo grado, il relativo giudizio non può mai essere affidato allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

Infatti, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 52, la sentenza della commissione provinciale può essere appellata innanzi alla commissione regionale competente a norma dell'articolo 4, comma 2. L'articolo 4, comma 2, a sua volta, prevede che le commissioni tributarie regionali sono competenti per le impugnazioni avverso le decisioni delle commissioni tributarie provinciali, che hanno sede nella loro circoscrizione.

Ai sensi di quanto prevede il comma 1 dell'articolo 51, il termine per impugnare la sentenza della commissione tributaria è di sessanta giorni, che decorre dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, salvo quanto disposto dall'articolo 38, comma 3. Da ciò deriva che, se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza alla controparte, si rende applicabile l'articolo 327 c.p.c. che prevede la decadenza dalla possibilità di impugnare decorso un anno dalla pubblicazione della sentenza.

Il comma 2, della norma in esame prevede che il ricorso in appello è proposto nelle forme di cui all'articolo 20, commi 1 e 2, nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado e deve essere depositato a norma dell'articolo 22, commi 1, 2, e 3, agevole rilevare che anche per il giudizio di appello, così come previsto per l'introduzione del giudizio di primo grado, la fase processuale inizia con la notificazione, consegna o spedizione (in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento) dell'atto di appello medesimo.

La proposizione dell'atto di appello deve avvenire nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado.

È inoltre richiesto il deposito dell'atto di appello nella segreteria della commissione regionale adita entro il termine perentorio di trenta giorni, a pena di inammissibilità.

Subito dopo il deposito del ricorso in appello, la segreteria della commissione tributaria regionale chiede alla segreteria della commissione provinciale la trasmissione del fascicolo del processo, che deve contenere copia autentica della sentenza (articolo 53, comma 3).

I requisiti richiesti dall'articolo 53 per quanto concerne il contenuto del ricorso in appello, sono:

a) l'indicazione della commissione tributaria a cui è diretto;

b) l'indicazione dell'appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto;

c) gli estremi della sentenza impugnata;

d) l'esposizione sommaria dei fatti;

e) l'oggetto della domanda;

f) i motivi specifici dell'impugnazione.

La norma citata prevede, inoltre, che il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto a norma dell'articolo 18, comma 3.

Non è richiesta l'allegazione della sentenza impugnata, posto che è la segreteria della commissione tributaria regionale che chiede alla segreteria della commissione tributaria provinciale la trasmissione del fascicolo del processo, il quale deve contenere la copia autentica della sentenza medesima.

L'indicazione dei motivi specifici dell'impugnazione costituisce un requisito essenziale dell'atto di appello, posto che la funzione di essa è proprio quella di determinare esattamente il "quantum appellatum".

Ciò comporta che non è assolutamente consentito che il ricorso in appello contenga una richiesta generica di riforma della sentenza impugnata sulla base di una non specifica doglianza di erroneità in fatto e in diritto della stessa oppure un rinvio tout court alle difese approntate in primo grado. Occorre, invece, che le censure siano esposte con sufficiente chiarezza, atteso che non è possibile fare riserva di presentare i motivi di appello in un momento successivo o, addirittura, nella eventuale fase di discussione in pubblica udienza.

Altro requisito richiesto, a pena d'inammissibilità, è l'indicazione dell'oggetto della domanda, vale a dire la richiesta di riforma o di annullamento totale o parziale della sentenza pronunciata in primo grado, la quale viene a determinare una eventuale restrizione dell'oggetto del giudizio rispetto a quello di primo grado.

È espressamente previsto che il ricorso in appello è inammissibile se non è sottoscritto, a norma dell'articolo 18, comma 3, dal difensore dell'appellante e se non reca il conferimento dell'incarico.

Si ricorda che il predetto incarico deve essere dato con atto pubblico o con scrittura privata autenticata od anche in calce o a margine di un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa è certificata dallo stesso incaricato.

 

 

     Art. 54

Controdeduzioni dell'appellato e appello incidentale.

1. Le parti diverse dall'appellante debbono costituirsi nei modi e termini di cui all'articolo 23 depositando apposito atto di controdeduzioni.

2. Nello stesso atto depositato nei modi e termini di cui al precedente comma può essere proposto, a pena d'inammissibilità, appello incidentale.

Il comma 1 dell'articolo in esame dispone che le parti diverse dall'appellante debbono costituirsi nei modi e termini di cui all'articolo 23 depositando apposito atto di controdeduzioni. Nello stesso atto può essere proposto, a pena d'inammissibilità, appello incidentale.

Il tempo costituisce il solo criterio per distinguere tra appello principale e appello incidentale. Ciò che rileva è il solo fattore temporale e non già le denominazioni che possono aver impiegato le parti. Deve considerarsi principale l'impugnazione proposta per prima.

L'impugnazione incidentale, ovviamente, può essere proposta soltanto da chi vi abbia interesse e tale interesse sussiste se e nei limiti in cui la parte sia rimasta soccombente. Di conseguenza, non deve proporre appello incidentale la parte che abbia interesse non alla riforma, ma alla conferma della sentenza impugnata.

Si parla anche di impugnazione incidentale tardiva per indicare che essa è proposta oltre il termine ordinario, vale a dire oltre il termine previsto per la proposizione dell'impugnazione in via principale. Infatti, nel caso in cui avverso la sentenza vengano proposte due impugnazioni entro il termine ordinario, sebbene in tempi diversi, ci si trova di fronte a due appelli del tutto autonomi e ciò comporta che l'inammissibilità dell'impugnazione proposta per prima non determina anche l'inammissibilità di quella proposta successivamente, purché la stessa sia tempestiva. Se, viceversa, l'impugnazione principale viene dichiarata inammissibile, ne deriva che se la seconda impugnazione non è tempestiva (cosiddetta incidentale tardiva) l'inammissibilità travolge anche essa.

Da quanto sopra esposto, si evince che l'appello incidentale tardivo può proporsi quando la parte viene rimessa in termini dall'impugnazione principale.

 

 

     Art. 55

Provvedimenti presidenziali.

1. Il presidente e i presidenti di sezione della commissione tributaria regionale hanno poteri corrispondenti a quelli del presidente e dei presidenti di sezione della commissione tributaria provinciale.

L'articolo in esame prevede che il presidente e i presidenti di sezione della commissione tributaria regionale dispongono degli stessi poteri attribuiti al presidente e ai presidenti di sezione della commissione tributaria provinciale.

 

 

     Art. 56

Questioni ed eccezioni non riproposte.

1. Le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale, che non sono specificamente riproposte in appello, s'intendono rinunciate. Le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale che non sono specificamente riproposte in appello si intendono rinunciate. La norma sostanzialmente riproduce quello che è il contenuto della disposizione dell'articolo 346 del codice di procedura civile, con l'unica differenza che tale ultima norma fa riferimento alle domande ed eccezioni, anziché alle "questioni ed eccezioni".

La comminatoria della decadenza dalle domande e dalle eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado e non espressamente riproposte in appello è basata sul presupposto di una presunzione assoluta dì rinuncia alle medesime.

 

 

     Art. 57

Domande ed eccezioni nuove.

1. Nel giudizio d'appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio. Possono tuttavia essere chiesti gli interessi maturati dopo la sentenza impugnata.

2. Non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d'ufficio.

Pur non essendo possibile proporre domande nuove non proposte in prima istanza, ciò nonostante è consentito al giudice di appello pronunciarsi su domande proposte in prime cure sulle quali il giudice non si sia pronunciato.

Per verificare quando si è in presenza di una domanda nuova occorre fare riferimento agli elementi costitutivi di essa, vale a dire ai soggetti, al petitum ed alla causa petendi.

Ai sensi di quanto dispone il secondo comma dell'articolo in esame, non possono proporsi nuove eccezioni nel giudizio di appello che non siano rilevabili anche d'ufficio.

L'eccezione è il mezzo di cui una parte si avvale per contrastare le domande della controparte. La proposizione delle eccezioni di merito comporta un ampliamento dell'oggetto del giudizio e, di conseguenza, ciò è vietato in quanto la nuova eccezione comporta un ampliamento del "thema decidendum" derivante dalla conoscenza da parte del giudice dì appello di fatti nuovi rispetto a quelli prospettati in prima istanza.

 

 

     Art. 58

Nuove prove in appello.

1. Il giudice d'appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile.

2. È fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti.

Il comma 1 dell'articolo in esame dispone che il giudice d'appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile.

La norma tuttavia consente, al comma 2, la produzione di documenti in appello. Ciò comporta che essendo il processo tributario un processo essenzialmente documentale, l'ostacolo derivante dalla impossibilità di produrre nuove prove in appello subisce dei temperamenti per effetto della produzione di nuovi documenti.

 

 

     Art. 59

Rimessione alla commissione provinciale.

I. La commissione tributaria regionale rimette la causa alla commissione provinciale che ha emesso la sentenza impugnata nei seguenti casi:

a) quando dichiara la competenza declinata o la giurisdizione negata dal primo giudice;

b) quando riconosce che nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato;

c) quando riconosce che la sentenza impugnata, erroneamente giudicando, ha dichiarato estinto il processo in sede di reclamo contro il provvedimento presidenziale;

d) quando riconosce che il collegio della commissione tributaria provinciale non era legittimamente composto;

e) quando manca la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice di primo grado.

2. Al di fuori dei casi previsti al comma precedente la commissione tributaria regionale decide nel merito previamente ordinando, ove occorra, la rinnovazione di atti nulli compiuti in primo grado.

3. Dopo che la sentenza di rimessione della causa al primo grado è formalmente passata in giudicato, la segreteria della commissione tributaria regionale, nei successivi trenta giorni, trasmette d'ufficio il fascicolo del processo alla segreteria della commissione tributaria provinciale, senza necessità di riassunzione ad istanza di parte.

In via eccezionale la sentenza di appello non ha efficacia sostitutiva e non riesamina il merito della causa, il che avviene nelle ipotesi contemplate dall'articolo 59, il quale prevede che, il giudice di appello non può che rimettere la causa alla commissione tributaria provinciale che ha emesso la sentenza impugnata, quando:

a) dichiara la competenza declinata o la giurisdizione negata dal primo giudice;

b) riconosce che nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato;

c) riconosce che la sentenza impugnata, erroneamente giudicando, ha dichiarato estinto il processo in sede di reclamo contro il provvedimento presidenziale;

d) riconosce che il collegio della commissione tributaria provinciale non era legittimamente composto;

e) manca la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice di primo grado.

Naturalmente, i casi precitati costituiscono delle eccezioni in quanto normalmente il giudice di secondo grado decide il merito della controversia ordinando, qualora lo ritenga necessario, la rinnovazione degli atti nulli compiuti in primo grado.

L'ampliamento espresso delle ipotesi di rimessione, previste dall'articolo 59, elimina ogni dubbio sorto nel sistema previgente sulla tassatività o meno dei casi di rimessione e sulla opportunità dell'integrazione analogica con i casi di rimessione contemplati dagli articoli 353 e 354 del codice di procura civile.

Dopo che la sentenza di rimessione della causa al primo grado è formalmente passata in giudicato, è espressamente disposto (articolo 59, comma 3) che la segreteria della commissione tributaria regionale, nei successivi trenta giorni, trasmette d'ufficio il fascicolo del processo alla segreteria della commissione tributaria provinciale, senza necessità di riassunzione ad istanza di parte.

 

 

     Art. 60

Non riproponibilità dell'appello dichiarato inammissibile.

1. L'appello dichiarato inammissibile non può essere riproposto anche se non è decorso il termine stabilito dalla legge.

L'articolo in esame riproduce la norma contenuta nell'articolo 358 c.p.c.

Anche nel processo tributario, dunque, trova attuazione il principio della "consumazione dell'impugnazione", il quale si traduce nella regola che preclude la riproposizione dell'appello dichiarato inammissibile.

 

 

     Art. 61

Norme applicabili.

1. Nel procedimento d'appello si osservano in quanto applicabili le norme dettate per il procedimento di primo grado, se non sono incompatibili con le disposizioni della presente sezione.

Nel giudizio d'appello devono essere osservate, in quanto applicabili, le norme dettate per il giudizio di primo grado, sempre che le norme predette non siano incompatibili con il giudizio de quo.

Tra gli istituti previsti nell'ambito del giudizio di primo grado che risultano non applicabili al giudizio di appello vi è, ad esempio, il procedimento incidentale ai fini della sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato, ex articolo 47, posto che l'efficacia del procedimento è espressamente limitata temporalmente a non oltre la sentenza di primo grado nonché il procedimento conciliativo di cui al precedente articolo 48.

 

 

Sezione III

Il ricorso per cassazione

     Art. 62

Norme applicabili.

1. Avverso la sentenza della commissione tributaria regionale può essere proposto ricorso per cassazione per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell'articolo 360, comma 1, c.p.c.

2. Al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto.

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale può essere proposto ricorso per Cassazione ai sensi dell'articolo 360 del codice di procedura civile ed al relativo procedimento si applicano le norme del codice stesso in quanto compatibili con le norme contenute nel presente decreto.

Il termine per proporre ricorso per Cassazione è di 60 giorni dalla notifica della sentenza e in caso di mancata notifica si applica il termine lungo di cui all'articolo 327, primo comma, del codice di procedura civile.

Il ricorso per Cassazione, a differenza dell'appello, non dà luogo ad una nuova valutazione del merito della causa, bensì ad una revisione delle attività processuali che hanno portato alla sentenza impugnata, nonché del giudizio di diritto reso con la sentenza stessa.

La Corte di Cassazione è giudice supremo della legalità delle sentenze emesse dai giudici di merito. La cognizione di essa è limitata al giudizio di diritto, sostanziale e processuale, ed è rivolta alla eliminazione degli errori di diritto che viziano la sentenza impugnata.

L'elencazione dei motivi di ricorso contenuta nell'articolo 360 c.p.c. è analitica e tassativa.

Il ricorso è ammesso solo contro gli errori di diritto contenuti nella sentenza, che possono essere di due tipi:

a) errores in judicando (vizi di giudizio), che sono gli errori in cui è incorso il giudice nel giudizio di diritto;

b) errores in procedendo, che sono gli errori di carattere procedurale.

L'articolo 62 prevede espressamente che avverso la sentenza della commissione tributaria regionale può essere proposto ricorso per cassazione per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell'articolo 360, primo comma, del codice di procedura civile.

Possono essere impugnate con ricorso per Cassazione soltanto le sentenze emanate dalle commissioni tributarie regionali:

a) per motivi attinenti alla giurisdizione;

b) per violazione delle norme sulla competenza;

c) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (trattasi di un caso di errore in judicando);

d) per nullità della sentenza o del procedimento;

e) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio.

Il giudizio di Cassazione è un giudizio delimitato e vincolato dai motivi di ricorso i quali sono diretti ad individuare gli errori della sentenza impugnata.

La violazione o falsa applicazione di norme di diritto costituisce il motivo per eccellenza del ricorso per Cassazione.

L'errore di diritto compiuto dal giudice di merito può essere cassato dal giudice di legittimità, il quale deve garantire il principio di nomofilachia previsto dall'articolo 65 dell'ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12), vale a dire deve assicurare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge.

L'errore di diritto può consistere o nella errata individuazione della norma che deve essere applicata oppure nella errata sussunzione della fattispecie nell'ambito di una norma correttamente individuata ed interpretata.

Quando la Cassazione accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto enuncia il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi, ovvero decide il merito della causa qualora ritenga che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto. Il principio di diritto è vincolante per il giudice di rinvio.

Il ricorso è rivolto alla Corte e deve essere sottoscritto da un avvocato iscritto nell'albo dei cassazionisti e munito di procura speciale, a pena d'inammissibilità.

Il ricorso deve essere notificato all'altra parte entro 60 giorni dalla notifica della sentenza o, se questa non è stata notificata entro un anno dalla pubblicazione. Esso va depositato presso la cancelleria della Corte, a pena d'improcedibilità, entro 20 giorni dall'ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto.

Per resistere al gravame avversario la parte a cui fu notificato il ricorso se intende contraddire deve proporre controricorso, esponendo le ragioni giuridiche atte a dimostrare l'infondatezza delle censure mosse dal ricorrente. Se vuole impugnare a sua volta la sentenza deve proporre con l'atto contenente il controricorso il proprio ricorso incidentale.

 

 

     Art. 63

Giudizio di rinvio.

1. Quando la Corte di Cassazione rinvia la causa alla commissione tributaria provinciale o regionale la riassunzione deve essere fatta nei confronti di tutte le parti personalmente entro il termine perentorio di un anno dalla pubblicazione della sentenza nelle forme rispettivamente previste per i giudizi di primo e di secondo grado in quanto applicabili.

2. Se la riassunzione non avviene entro il termine di cui al comma precedente o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio l'intero processo si estingue.

3. In sede di rinvio si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti alla commissione tributaria a cui il processo è stato rinviato. In ogni caso, a pena d'inammissibilità, deve essere prodotta copia autentica della sentenza di cassazione.

4. Le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata e non possono formulare richieste diverse da quelle prese in tale procedimento, salvi gli adeguamenti imposti dalla sentenza di cassazione.

5. Subito dopo il deposito dell'atto di riassunzione, la segreteria della commissione adita richiede alla cancelleria della Corte di Cassazione la trasmissione del fascicolo del processo.

L'articolo in esame dispone che la Corte di Cassazione rinvia la causa alla commissione tributaria regionale che ha pronunciato la sentenza cassata o rinvia alla commissione tributaria provinciale quando rileva una nullità del giudizio di primo grado per cui il giudice di appello avrebbe dovuto rimettere le parti al primo giudice.

La parte che vi ha interesse deve procedere alla riassunzione del giudizio, che deve essere fatta nei confronti di tutte le parti personalmente, nel termine perentorio di un anno dalla pubblicazione della sentenza di cassazione, nelle forme rispettivamente previste per i giudizi di primo e di secondo grado in quanto applicabili.

Le parti non possono formulare richieste differenti da quelle fatte nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata, in quanto conservano la stessa posizione processuale che avevano in detto procedimento.

La Corte, a seconda dei casi, cassa senza rinvio oppure cassa con rinvio ed il processo in tale ipotesi prosegue innanzi ad un altro giudice.

La riassunzione, nella ipotesi di cassazione con rinvio, deve avvenire nel termine di un anno dalla pronuncia della Corte, altrimenti il processo si estingue.

Se la cassazione con rinvio è determinata dalla riscontrata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, la Corte enuncia il principio al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi.

Nel giudizio di rinvio vanno osservate le norme stabilite per il procedimento davanti alla commissione tributaria a cui il processo è stato rinviato.

Deve essere prodotta, a pena d'inammissibilità, la copia autentica della sentenza di cassazione.

Una volta che la parte abbia provveduto al deposito dell'atto di riassunzione, la segreteria della commissione tributaria adita richiederà alla cancelleria della Corte di Cassazione la trasmissione del fascicolo del processo.

 

 

Sezione IV

La revocazione

     Art. 64

Sentenze revocabili e motivi di revocazione.

1. Contro le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate è ammessa la revocazione ai sensi dell'articolo 395 del c.p.c.

2. Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l'appello possono essere impugnate per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'articolo 395 del c.p.c. purché la scoperta del dolo o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di cui al numero 6 dell'articolo 395 del c.p.c. siano posteriori alla scadenza del termine suddetto.

3. Se i fatti menzionati nel comma precedente avvengono durante il termine per l'appello il termine stesso è prorogato dal giorno dell'avvenimento in modo da raggiungere i sessanta giorni da esso.

Con la domanda di revocazione il soccombente denuncia allo stesso giudice che ha emesso la sentenza gli errori in cui è incorso nel giudicare in fatto, purché tali errori rientrino nell'elencazione tassativa prevista dall'articolo 395 del codice di procedura civile.

La revocazione è, come il ricorso per cassazione, un mezzo limitato di impugnazione; entrambi i mezzi presuppongono un giudizio chiuso.

I motivi di revocazione enucleati dall'articolo 395 c.p.c., sono:

1) il dolo della parte;

2) le prove false;

3) il ritrovamento, dopo la sentenza, di uno o più documenti decisivi;

4) l'erronea supposizione di un fatto;

5) la contrarietà a un precedente giudicato;

6) il dolo del giudice.

La dottrina suole distinguere tra revocazione ordinaria (nn. 4 e 5 dell'articolo 395), la cui proponibilità impedisce il passaggio in giudicato della sentenza, e revocazione straordinaria (nn. 1, 2, 3 e 6 dell'articolo 395), che può proporsi anche dopo la formazione del giudicato.

Mentre i motivi per cui può essere proposta la revocazione ordinaria sono palesi, i motivi di revocazione straordinaria sono occulti.

Il n. 1 dell'articolo 395, prevede come motivo di revocazione che la sentenza sia l'effetto del dolo di una parte a danno dell'altra. Tale ipotesi si verifica quando il raggiro o l'artificio sono tali da paralizzare la difesa dell'avversario.

La prova della falsità, ex articolo 395, n. 2), deve essere precostituita alla domanda di revocazione e l'accertamento giudiziale della falsità della prova deve essere contenuto in una sentenza passata in giudicato prima della domanda di revocazione.

L'articolo 395, n. 3), prevede quale motivo di revocazione il ritrovamento dopo la sentenza di uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario.

Dal tenore letterale della norma si ricava che la mancata produzione del documento deve essere imputata o a forza maggiore" o a "fatto dell'avversario". L'onere della prova incombe al soccombente.

Occorre che si tratti di un documento decisivo e tale requisito costituisce una condizione per l'ammissibilità della revocazione.

Si è in presenza del motivo di cui all'articolo 395, n. 4, quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa o, viceversa, quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita. È richiesto che il fatto non deve aver costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e può anche riguardare una materiale svista che abbia indotto il giudice a ritenere risultante dagli atti la sussistenza di un fatto che non esiste.

Costituisce motivo di revocazione il fatto che la sentenza sia contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione (articolo 395, n. 5).

Può essere impugnata per revocazione la sentenza che è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato (articolo 395, n. 6). Il dolo del giudice deve essere accertato con sentenza (penale) passata in giudicato, onde la revocazione segue senza che vi sia bisogno di alcun ulteriore accertamento.

 

 

     Art. 65

Proposizione della impugnazione.

1. Competente per la revocazione è la stessa commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata.

2. A pena di inammissibilità il ricorso deve contenere gli elementi previsti dall'articolo 53, comma 1, e la specifica indicazione del motivo di revocazione e della prova dei fatti di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 nonché del giorno della scoperta o della falsità dichiarata o del recupero del documento. La prova della sentenza passata in giudicato che accerta il dolo del giudice deve essere data mediante la sua produzione in copia autentica.

3. Il ricorso per revocazione è proposto e depositato a norma dell'articolo 53, comma 2.

Giudice competente per la revocazione è la stessa Commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata.

Il ricorso deve contenere a pena d'inammissibilità:

a) l'indicazione della Commissione tributaria a cui è diretto;

b) l'indicazione del ricorrente e delle altre parti del giudizio;

c) gli estremi della sentenza impugnata;

d) la specifica indicazione del motivo di revocazione e della prova dei fatti di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'articolo 395 del codice di procedura civile, nonché del giorno della scoperta o della falsità dichiarata o del recupero del documento.

Nel caso di revocazione per il motivo previsto dall'articolo 395 c.p.c., n. 6 (dolo del giudice), la prova della sentenza passata in giudicato che accerta il dolo del giudice deve essere data mediante la sua produzione in copia autentica.

Il ricorso per revocazione è proposto mediante la notifica di esso ad impulso della parte soccombente (a norma del commi 2 e 3 dell'articolo 16 del decreto in commento) nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio.

L'impugnazione potrà essere proposta avverso le sentenze per le quali è scaduto il termine per l'appello ed è soggetta al termine di sessanta giorni, decorrenti dalla scoperta del dolo o della falsità dichiarata o dal recupero del documento o dal passaggio in giudicato della sentenza di cui al numero 6 dell'articolo 395 del codice di procedura civile. Se tali fatti avvengono durante il termine per l'appello, il termine stesso è prorogato dal giorno dell'avvenimento in modo da raggiungere i sessanta giorni da esso.

Il ricorso deve essere depositato, a pena d'inammissibilità, entro trenta giorni dalla proposizione nella segreteria della Commissione tributaria adita. È richiesto il deposito dell'originale del ricorso notificato a norma degli articolo 137 e seguenti del codice di procedura civile ovvero copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale.

 

 

     Art. 66

Procedimento.

1. Davanti alla commissione tributaria adita per la revocazione si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti ad essa in quanto non derogate da quelle della presente sezione.

La norma in esame non presenta aspetti problematici, in quanto stabilisce che nel giudizio di revocazione che si svolge innanzi alla commissione tributaria adita vanno osservate le norme previste per il procedimento davanti ad essa se le stesse non risultano derogate da quelle che regolano il giudizio "de quo".

 

 

     Art. 67

Decisione.

1. Ove ricorrano i motivi di cui all'articolo 395 del c.p.c. la commissione tributaria decide il merito della causa e detta ogni altro provvedimento conseguenziale.

2. Contro la sentenza che decide il giudizio di revocazione sono ammessi i mezzi d'impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione.

Quando la Commissione riscontra la sussistenza dei motivi di revocazione decide il merito della causa e detta ogni altro provvedimento conseguenziale.

La decisione sul giudizio di revocazione è data con sentenza.

Contro la sentenza che decide il giudizio di revocazione sono ammessi i mezzi d'impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione.

 

 

Capo IV

L'esecuzione delle sentenze delle commissioni tributarle

     Art. 68

Pagamento del tributo e delle sanzioni pecuniarie in pendenza del processo.

1. Anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d'imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato:

a) per i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso;

b) per l'ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso;

c) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale.

Per le ipotesi indicate nelle precedenti lettere a), b) e c) gli importi da versare vanno in ogni caso diminuiti di quanto già corrisposto.

2. Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d'ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza.

3. Le imposte suppletive e le sanzioni pecuniarie debbono essere corrisposte dopo l'ultima sentenza non impugnata o impugnate solo con ricorso in cassazione.

L'articolo in esame sancisce il principio della provvisoria esecuzione delle sentenze delle commissioni tributarie e gradua la determinazione degli importi da versare in relazione all'esito della decisione ed al grado dell'organo giudicante.

In particolare la citata norma stabilisce che:

a) dopo la sentenza della Commissione tributaria provinciale, con la quale è stato respinto il ricorso, il ricorrente deve versare i due terzi del tributo con i relativi interessi e previa detrazione di somme eventualmente già pagate;

b) in ipotesi invece di accoglimento parziale del ricorso, sempre con sentenza della Commissione tributaria provinciale, il ricorrente deve versare l'intero ammontare stabilito, con la medesima sentenza se inferiore o pari ai due terzi dell'importo del tributo controverso, ovvero una somma pari ai due terzi dell'importo del tributo controverso, ovviamente detratte le somme già eventualmente versate ed aumentata degli interessi dovuti per legge;

c) la sentenza della Commissione tributaria regionale rende esigibile la differenza dell'ammontare stabilito con la stessa sentenza e la parte di tributo controverso già versato in base alle decisioni di primo grado.

Le citate somme saranno iscritte a ruolo a titolo provvisorio secondo l'articolo 15 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per l'imposta sul valore aggiunto le disposizioni di cui all'articolo 60, secondo comma, articoli 63 e 67 del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, per l'imposta sul valore aggiunto e le altre imposte indirette.

A tale riguardo va avvertito che la norma in esame ha reso inoperanti tutte le disposizioni ad essa non conformi o contrarie concernenti l'esazione dei singoli tributi in dipendenza delle decisioni delle Commissioni tributarie.

Pertanto non sono più applicabili, per le imposte dirette, le disposizioni contenute nel secondo comma dell'articolo 15 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per l'imposta sul valore aggiunto, le disposizioni di cui all'articolo 60, secondo comma, numeri 2, 3 e 4, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per l'imposta di registro, le disposizioni contenute nell'articolo 56, primo comma, lettera a), del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nella parte in cui graduano il pagamento del tributo in relazione alle decisioni di primo e secondo grado e, per l'imposta di successione e donazione, le disposizioni contenute nell'articolo 40, comma 2, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, sempre concernenti la graduazione della riscossione in base a decisioni.

Restano comunque valide ed efficaci, perché non interessate dalla norma in argomento, le disposizioni che consentono l'esazione parziale e provvisoria dei tributi dopo la notificazione dell'atto di accertamento e prima della emanazione della decisione di primo grado. Ad esempio, quella prevista dall'articolo 15, primo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, quella ipotizzata dall'articolo 60, comma secondo, numero 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, quella prevista dall'articolo 56, primo comma, lettera a), del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, e quella stabilita dall'articolo 40, comma 2, prima parte, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346.

Così pure restano valide ed efficaci le disposizioni che riguardano le iscrizioni a titolo definitivo di cui all'articolo 14 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

Tuttavia sia le iscrizioni a ruolo a titolo definitivo di cui al citato articolo 14, sia la riscossione parziale e provvisoria dei tributi dopo la notifica dell'atto di accertamento, prima della emanazione della sentenza di primo grado possono essere eseguite solo se non è intervenuta la sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato.

L'articolo 68, comma 2, tratta delle decisioni favorevoli al ricorrente e dispone che in ipotesi di accoglimento del ricorso, il tributo corrisposto in eccedenza, con i relativi interessi, deve essere rimborsato d'ufficio, cioè senza la necessità di un'apposita istanza di rimborso, nel termine di novanta giorni dalla notificazione della sentenza.

Il successivo comma 3 dispone che le imposte suppletive, cioè quelle liquidate successivamente alla liquidazione del tributo principale e tendenti ad una correzione di errori commessi dall'Ufficio impositore, e le pene pecuniarie sono corrisposte dopo l'ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso per cassazione.

Ciò significa che dette somme sono esigibili solo dopo che la sentenza della Commissione tributaria provinciale è divenuta definitiva, oppure dopo la pubblicazione della sentenza della Commissione tributaria regionale.

 

 

     Art. 69

Condanna dell'ufficio al rimborso.

1. Se la commissione condanna l'ufficio del Ministero delle finanze o l'ente locale o il concessionario del servizio di riscossione al pagamento di somme, comprese le spese di giudizio liquidate ai sensi dell'articolo 15 e la relativa sentenza è passata in giudicato, la segreteria ne rilascia copia spedita in forma esecutiva, a norma dell'articolo 475 del c.p.c., applicando per le spese l'articolo 25, comma 2.

La sentenza di condanna dell'ufficio del Ministero delle finanze o dell'ente locale impositore o del concessionario del servizio di riscossione (quest'ultimo incluso per effetto dell'articolo 2, comma 1, lettera r), del decreto legge 15 marzo 1996, n. 123) al pagamento di somme dovute, sia essa emessa dalla Commissione tributaria provinciale, o in grado di appello dalla Commissione tributaria regionale, non è immediatamente esecutiva, essa può essere eseguita solo con il passaggio in giudicato, cioè quando si siano esauriti tutti i gradi del giudizio, o quando, per scadenza dei termini, non è più impugnabile.

In tale ipotesi la Segreteria della Commissione che l'ha emessa, a richiesta dell'interessato o del suo difensore tecnico, rilascia copia spedita in forma esecutiva a norma dell'articolo 475 del codice di procedura civile, apponendo su di essa la seguente formula:

Repubblica italiana in nome della legge

"Comandiamo a tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti ed a chiunque spetti, di mettere a esecuzione il presente titolo, al pubblico ministero di darvi assistenza, e a tutti gli ufficiali della forza pubblica di concorrervi, quando ne siano legalmente richiesti ".

La sentenza delle Commissioni tributarie provinciali e regionali spedita in forma esecutiva è titolo per le azioni esecutive previste dal codice di procedura civile.

Trattasi, come è noto, della espropriazione forzata: mobiliare presso il debitore o presso terzi e immobiliare previste dal libro III, titolo I e II del c.p.c.

 

 

     Art. 70

Giudizio di ottemperanza.

1. Salvo quanto previsto dalle norme del codice di procedura civile per l'esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo, la parte che vi ha interesse può richiedere l'ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza della commissione tributaria passata in giudicato mediante ricorso da depositare in doppio originale alla segreteria della commissione tributaria provinciale, qualora la sentenza passata in giudicato sia stata da essa pronunciata, e in ogni altro caso alla segreteria della commissione tributaria regionale.

2. Il ricorso è proponibile solo dopo la scadenza del termine entro il quale è prescritto dalla legge l'adempimento dall'ufficio del Ministero delle finanze o dall'ente locale dell'obbligo posto a carico della sentenza o, in mancanza di tale termine, dopo trenta giorni dalla loro messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario e fino a quando l'obbligo non sia estinto.

3. Il ricorso indirizzato al presidente della commissione deve contenere la sommaria esposizione dei fatti che ne giustificano la proposizione con la precisa indicazione, a pena di inammissibilità, della sentenza passata in giudicato di cui si chiede l'ottemperanza, che deve essere prodotta in copia unitamente all'originale o copia autentica dell'atto di messa in mora notificato a norma del comma precedente, se necessario.

4. Uno dei due originali del ricorso è comunicato a cura della segreteria della commissione all'ufficio del Ministero delle finanze o all'ente locale obbligato a provvedere.

5. Entro venti giorni dalla comunicazione l'ufficio del Ministero delle finanze o l'ente locale può trasmettere le proprie osservazioni alla commissione tributaria, allegando la documentazione dell'eventuale adempimento.

6. Il presidente della commissione tributaria, scaduto il termine di cui al comma precedente, assegna il ricorso alla sezione che ha pronunciato la sentenza. Il presidente della sezione fissa il giorno per la trattazione del ricorso in camera di consiglio non oltre novanta giorni dal deposito del ricorso e ne viene data comunicazione alle parti, almeno dieci giorni liberi prima, a cura della segreteria.

7. Il collegio, sentite le parti in contraddittorio ed acquisita la documentazione necessaria, adotta con sentenza i provvedimenti indispensabili per l'ottemperanza in luogo dell'ufficio del Ministero delle finanze o dell'ente locale che li ha omessi e nelle forme amministrative per essi prescritti dalla legge, attenendosi agli obblighi risultanti espressamente dal dispositivo della sentenza e tenuto conto della relativa motivazione. Il collegio, se lo ritiene opportuno, può delegare un proprio componente o nominare un commissario al quale fissa un termine congruo per i necessari provvedimenti attuativi e determina il compenso a lui spettante secondo le disposizioni della legge 8 luglio 1980, n. 319, e successive modificazioni e integrazioni.

8. Il collegio, eseguiti i provvedimenti di cui al comma precedente e preso atto di quelli emanati ed eseguiti dal componente delegato o dal commissario nominato, dichiara chiuso il procedimento con ordinanza.

9. Tutti i provvedimenti di cui al presente articolo sono immediatamente esecutivi.

10. Contro la sentenza di cui al comma 7 è ammesso soltanto ricorso in Cassazione per inosservanza delle norme sul procedimento.

Con il passaggio in giudicato della sentenza, all'interessato, oltre alla esecuzione forzata, è offerto anche il rimedio del giudizio di ottemperanza e cioè la presentazione di un ricorso diretto alla Commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato tendente ad ottenere il coatto adempimento degli obblighi sanciti dalla sentenza stessa.

Il giudizio di ottemperanza ha un duplice oggetto: in primo luogo accerta se vi sia stato o meno il fatto dell'inottemperanza, in secondo luogo cerca di rendere effettivo, mediante l'adozione di idonei provvedimenti, l'ordine di esecuzione contenuto nella sentenza.

Il giudizio di ottemperanza alle sentenze tributarie si propone mediante il deposito di un ricorso, in doppio originale, nella segreteria della Commissione tributaria provinciale, se questa ha pronunciato la sentenza da ottemperare, ovvero alla segreteria della Commissione tributaria regionale negli altri casi.

Il ricorso può essere proposto solo quando è scaduto il termine previsto dalla legge per l'adempimento degli obblighi posti dalla sentenza a carico dell'ufficio del Ministero delle finanze o dell'ente locale impositore, o, in mancanza di uno specifico termine, dopo trenta giorni dalla data della messa in mora eseguita a mezzo di Ufficiale giudiziario.

Il ricorso, rivolto al presidente della Commissione, deve contenere la esposizione dei fatti che giustificano la proposizione del giudizio di ottemperanza e la precisa indicazione della sentenza di cui si domanda l'ottemperanza, di cui dovrà essere allegata copia.

Inoltre dovrà essere allegata al ricorso copia autentica dell'atto di messa in mora se questa è stata eseguita per mancanza del termine legale per l'adempimento.

La segreteria della Commissione tributaria adita provvederà a comunicare all'ufficio del Ministero delle finanze o all'ente locale interessato uno dei due originali del ricorso, i quali entro venti giorni dalla data della comunicazione possono trasmettere, mediante memorie, le loro osservazioni e produrre, in allegato alle stesse, i documenti comprovanti l'eventuale adempimento alla sentenza oggetto di ottemperanza.

Decorso il termine di venti giorni, il presidente della Commissione assegna il procedimento alla sezione che ha emesso la sentenza da ottemperare. Il presidente di sezione fissa la data dell'udienza di trattazione in camera di consiglio del ricorso per una data che non vada oltre il novantesimo giorno dal deposito in segreteria del ricorso per il giudizio di ottemperanza.

La segreteria della Commissione comunica alle parti, almeno dieci giorni prima, la data dell'udienza di trattazione.

Nella udienza camerale di trattazione, il collegio, sentite le parti, ed acquisiti i documenti necessari, adotta con sentenza i provvedimenti indispensabili per dare piena attuazione alla sentenza non ottemperata dall'ufficio del Ministero delle finanze o dall'ente locale impositore, rispettando le forme amministrative dei provvedimenti da assumere ed il dispositivo della sentenza in ottemperanza.

Il collegio, inoltre, può delegare un proprio componente, o nominare un commissario, per l'attuazione dei provvedimenti da adottare.

In tale ipotesi, fissa un termine entro il quale il componente delegato od il commissario "ad acta" debbono compiere i provvedimenti attuativi della sentenza ineseguita.

Il Collegio, infine, eseguiti i provvedimenti di attuazione della sentenza inottemperata e preso atto di quelli emanati dal componente delegato o dal commissario "ad acta", dichiara con ordinanza la chiusura dei procedimento di ottemperanza.

 

 

Titolo III

Disposizioni finali e transitorie

     Art. 71

Norme abrogate.

1. Sono abrogati l'articolo 288 del T.U. 14 settembre 1931, n. 1175, per la finanza locale, l'articolo 1, gli articoli da 15 a 45 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e successive modificazioni e integrazioni, l'articolo 19, commi 4 e 5, e l'articolo 20 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 638, l'articolo 24 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639, gli articoli 63, comma 5, e 68, comma 3, del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, l'articolo 4, comma 8, del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, convertito nella legge 24 aprile 1989, n. 144, l'articolo 11, comma 5, del D.L. 13 maggio 1991, n. 151, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 202.

2. È inoltre abrogata ogni altra norma di legge non compatibile con le disposizioni del presente decreto.

Con l'articolo in commento il legislatore ha avvertito l'esigenza di procedere all'abrogazione, espressa o tacita, di alcune norme, esistenti alla data di insediamento delle nuove Commissioni tributarie, divenute incompatibili col nuovo rito.

Infatti, al comma 1, oltre all'abrogazione espressa delle disposizioni procedurali contenute nel D.P.R. n. 636 del 1972, viene prevista la soppressione, a far data dal 1° aprile 1996, di alcune norme disciplinanti la competenza degli organi amministrativi in materia di tributi locali e la facoltà degli stessi di concedere la sospensione dei ruoli. In particolare, dalla predetta data, sono soppressi:

- l'articolo 288 del testo unico per la finanza locale concernente il ricorso avverso gli errori materiali dei ruoli relativi ai tributi locali;

- l'articolo 1 e gli articoli da 15 a 45 del D.P.R. n. 636 del 1972 recante la previgente disciplina del contenzioso tributario. A tale riguardo va evidenziato che l'articolo 49, comma 1, del decreto legislativo n. 545 del 1992 ha espressamente abrogato le restanti norme da 2 a 14 del citato D.P.R. n. 636 del 1972. Si precisa che le norme del menzionato D.P.R. n. 636 del 1972 continuano ad applicarsi alla commissione tributaria centrale, giusta quanto disposto dal comma 2 del citato articolo 49 del decreto legislativo n. 545 del 1992 e dall'articolo 75, comma 1, del decreto legislativo in rassegna;

- l'articolo 19, commi 4 e 5, e l'articolo 20 del D.P.R. n. 638 del 1972 concernenti le impugnazioni degli avvisi di accertamento dei tributi comunali e provinciali non soppressi e notificati a decorrere dal 1° gennaio 1974;

- l'articolo 24 del D.P.R. n. 639 del 1972 riguardante il ricorso avverso gli atti di accertamento dell'imposta comunale sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni;

- l'articolo 63, comma 5, e l'articolo 68, comma 3, del D.P.R. n. 43 del 1988, concernenti i ricorsi contro le risultanze dei ruoli relativi alla riscossione coattiva dei tributi locali;

- l'articolo 4, comma 8, del decreto legge n. 66 del 1989, convertito dalla legge n. 144 del 1989 disciplinante il contenzioso relativo all'imposta comunale per l'esercizio di imprese, arti e professioni (I.C.I.A.P.), peraltro modificato dall'articolo 42-ter, comma 2, del decreto legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85;

- l'articolo 11, comma 5, del decreto legge n. 151 del 1991, convertito dalla legge n. 202 del 1991, riguardante il ricorso avverso i ruoli, formati ai sensi dell'articolo 67, comma 2, lett. a), del D.P.R. n. 43 del 1988 contro i relativi avvisi di mora. Al riguardo si rinvia a quanto chiarito nel commento all'articolo 2 ed all'articolo 47.

Il comma 2 dell'articolo in commento, con opportuna norma di chiusura, abroga ogni altra disposizione incompatibile con quelle contenute nel decreto legislativo n. 546 del 1992, recependo il principio sancito dall'articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale (preleggi al codice civile) che dispone, in base al principio della successione delle leggi nel tempo, l'abrogazione per incompatibilità delle precedenti disposizioni modificate dalle nuove norme.

Alla luce di tale principio si deve, pertanto, considerare incompatibile con le norme del decreto legislativo n. 546 del 1992, il disposto dell'articolo 5, comma 4, del decreto legge 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 1990, n. 165, che prevede una modalità di definizione agevolata delle controversie pendenti innanzi alle Commissioni tributarie il cui importo complessivo non risulti superiore a lire dieci milioni attraverso il pagamento di una somma pari al 90% dei tributi ancora controversi e delle residue somme per soprattasse e per sanzioni pecuniarie.

La stessa norma prevede, inoltre, che tale definizione possa realizzarsi fino a quando non sia intervenuta la decisione della Commissione tributaria di il grado.

Poiché questa definizione agevolata è prevista per le controversie incardinate dinanzi alle Commissioni tributarie di I e II grado che, ai sensi dell'articolo 49, comma 1, del decreto n. 545 del 1992, sono soppresse alla data di insediamento delle Commissioni provinciali e regionali, tale procedura si considera abrogata per incompatibilità col nuovo rito.

 

 

     Art. 72

Controversie pendenti davanti alle commissioni tributarie di primo e di secondo grado.

1. Le controversie pendenti dinanzi alle commissioni tributarie di primo e di secondo grado previste dal D.P.R 26 ottobre 1972, n. 636, alla data d'insediamento delle commissioni tributarie provinciali e regionali, sono ad esse rispettivamente attribuite, tenuto conto, quanto alla competenza territoriale, delle rispettive sedi. La segreteria della commissione tributaria provinciale o regionale dà comunicazione alle parti della data di trattazione almeno trenta giorni liberi prima. La consegna o spedizione del ricorso o dell'atto di appello alla segreteria della Commissione tributaria di primo o secondo grado, ai sensi degli articoli 17, comma primo, e 22, comma secondo, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, equivale a costituzione in giudizio del ricorrente ai sensi degli articoli 2 e 53, comma 2. La parte resistente può effettuare la costituzione in giudizio entro il termine di cui all'articolo 32, comma 1.

2. Se alla data indicata al comma 1 pendono termini per la proposizione di ricorsi secondo le norme previgenti, detti ricorsi sono proposti alle commissioni tributarie provinciali entro i termini previsti dal presente decreto, che decorrono dalla suddetta data. Se alla data indicata al comma 1 pendono termini per impugnare decisioni delle commissioni tributarie di primo e di secondo grado, dette impugnazioni sono proposte secondo le modalità e i termini previsti dal presente decreto, che decorrono dalla suddetta data.

3. Se i termini per il compimento di atti processuali diversi dai ricorsi secondo le norme vigenti, alla data di cui ai commi 1 e 2, sono ancora pendenti, tali atti possono essere compiuti nei termini previsti dal presente decreto, che decorrono dalla suddetta data.

4. Le segreterie delle commissioni tributarie di primo e di secondo grado indicate nel comma 1 provvedono a trasmettere i fascicoli relativi alle controversie pendenti alle segreterie delle commissioni provinciale o regionale rispettivamente competenti.

5. Le segreterie delle commissioni tributarie di primo e di secondo grado indicate nel comma 1 continuano a funzionare, solo per gli adempimenti di cui al comma 4, anche oltre la data indicata nel comma 1 articolo 2, comma 3, del decreto legge 15 marzo 1996, n. 123

Se alla data di insediamento delle Commissioni tributarie provinciali o regionali è stato depositato il solo dispositivo della decisione emessa dalla commissione tributarie di primo o di secondo grado, la sentenza è depositata, ai sensi dell'articolo 38 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, entro il 30 maggio 1996

La formulazione originaria dell'articolo in commento è stata modificata dal D.L. 15 marzo 1996, n. 123.

Il comma 1 della norma in rassegna dispone il passaggio automatico - senza necessità di alcuna attività di parte - alle nuove commissioni provinciali e regionali delle controversie tributarie pendenti, dinanzi alle cessate commissioni tributarie di primo e secondo grado, alla data del 1° aprile 1996.

Per controversia pendente si intende quella per la quale è stato presentato alle soppresse Commissioni tributarie ricorso che non è stato deciso alla data di insediamento dei nuovi organi giurisdizionali.

Per effetto della cennata norma, dunque, le controversie tributarie pendenti dinanzi alle commissioni tributarie di II grado sono devolute alle commissioni tributarie provinciali, mentre quelle pendenti dinanzi alle commissioni tributarie di II grado sono trasferite alle commissioni tributarie regionali.

Circa l'esatta individuazione della commissione tributaria competente soccorre il criterio della territorialità, nel senso che sarà competente a proseguire il giudizio pendente in primo grado, la commissione provinciale nel cui territorio ha sede l'ufficio del Ministero delle finanze o l'ente locale impositore o il concessionario del servizio di riscossione che ha emesso l'atto impugnato, ovvero che ha denegato il rimborso, mentre sarà competente a proseguire, in grado d'appello, il giudizio pendente in secondo grado, la commissione regionale nel cui territorio aveva sede la cessata commissione tributaria di primo grado che aveva emesso la decisione impugnata.

Con l'articolo 2, comma 1, lett. g), del decreto legge 15 marzo 1996, n. 123, sono stati aggiunti tre periodi al comma 1 dell'articolo 72 in rassegna. In particolare, il primo periodo stabilisce l'obbligo per le segreterie delle Commissioni tributarie provinciali e regionali a cui sono pervenuti i giudizi pendenti alla data del l° aprile 1996, di comunicare alle parti la data della trattazione della controversia almeno trenta giorni liberi prima.

Tale disposizione si è resa necessaria in quanto, disponendo l'articolo 31 del decreto legislativo n. 546 del 1992, che l'avviso di trattazione viene comunicato alle sole parti costituite, sia il ricorrente sia la parte resistente non avrebbero avuto conoscenza dell'udienza di trattazione, non essendo prevista la costituzione delle parti con il previgente rito.

Inoltre, sempre al fine di evitare per i giudizi pendenti i pregiudizi processuali che potrebbero derivare alle parti per effetto delle nuove regole processuali, il citato decreto legge n. 123 del 1996, integrando il comma 1 dell'articolo in commento, ha previsto che la costituzione in giudizio delle parti, di cui agli artt. 22 e 53, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992, in quanto atto processuale previsto dal nuovo rito, possa ritenersi effettuata, per il ricorrente e per l'appellante, con le previgenti regole e cioè mediante la consegna o spedizione del ricorso o dell'atto di appello alla segreteria della Commissione tributaria ai sensi dell'articolo 17, comma primo, e 22, comma secondo, del D.P.R. n. 636 del 1972, mentre al resistente ed all'appellato è stata concessa la facoltà di costituirsi entro il termine di venti giorni liberi prima della data di trattazione.

Per il generale principio della conservazione degli atti giuridici, ed in particolare di quelli processuali, l'attività processuale concernente i giudizi trasferiti riprende dalla fase in cui il giudizio stesso si trova al momento della "trasmigratio".

Un caso particolare che merita di essere segnalato concerne l'ipotesi in cui il contribuente abbia impugnato, ai sensi dell'articolo 22 del D.P.R. n. 636 del 1972, decisioni di primo grado mediante spedizione o consegna, in data antecedente al 1° aprile 1996, dell'atto di appello alla segreteria della commissione tributaria che ha emesso la decisione e questa ultima non abbia notificato, ai sensi del quinto comma del citato articolo 22, entro la predetta data, l'atto di appello alla controparte.

In tale ipotesi, si ritiene che il processo tributario sia entrato nel secondo grado del giudizio e, quindi, la controversia può considerarsi pendente alla data del 1° aprile 1996 in secondo grado, anche se l'appellato non ne abbia avuto conoscenza.

Pertanto le cennate controversie, alla data del 1° aprile 1996, sono devolute alle commissioni tributarie regionali competenti e la segreteria della commissione tributaria di primo grado avrà cura di trasmettere il fascicolo alla segreteria della commissione tributaria regionale che, ai sensi dell'articolo 72, comma 1, secondo periodo, darà comunicazione alle parti della data di trattazione almeno trenta giorni liberi prima.

Inoltre, va chiarito che l'appellato non subisce alcun pregiudizio processuale dal fatto che abbia avuto conoscenza del giudizio solo alla data della ricezione dell'avviso di trattazione, in quanto lo stesso può costituirsi, secondo quanto disposto dal comma 1 del citato articolo 72, sino a venti giorni liberi prima della data di trattazione della controversia; in tale circostanza, può essere proposto appello incidentale secondo quanto stabilito dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 546 del 1992.

Il comma 2 dell'articolo in esame, modificato dal succitato decreto legge n. 123 del 1996, detta disposizioni in ordine ai termini per proporre ricorsi o per impugnare le decisioni di controversie nel regime transitorio.

La predetta disposizione stabilisce che, qualora alla data del l° aprile 1996 pendano i termini e si intenda proporre ricorso o impugnare la decisione, occorre osservare i seguenti adempimenti:

- il ricorso introduttivo del giudizio va proposto dinanzi alla competente commissione provinciale, mentre quello relativo al grado di appello va proposto dinanzi alla competente commissione regionale;

- i termini per proporre il ricorso introduttivo del giudizio, nonché i termini per impugnare la decisione, iniziano a decorrere "ex novo", secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo n. 546 del 1992, a partire dal 1° aprile 1996, a nulla rilevando eventuali periodi di tempo già trascorsi prima della citata data.

Si precisa che, qualora alla predetta data del l° aprile 1996 sia intervenuta una decisione della commissione tributaria di secondo grado e alla stessa data pendano i termini per l'impugnativa, quest'ultima può essere proposta solo dinanzi alla commissione tributaria centrale ai sensi del comma 1 del successivo articolo 75.

Secondo il comma 3, qualora alla data del 1° aprile 1996 pendano i termini per compiere atti processuali diversi dai ricorsi (istanze, controdeduzioni, deposito documenti, memorie, ecc.) previsti dalle disposizioni del D.P.R. n. 636 del 1972, i predetti atti possono essere compiuti nei termini previsti dalla nuova legge, con decorrenza dal 1° aprile 1996.

I commi 4 e 5 dell'articolo in rassegna dettano regole riguardanti l'attività delle segreterie delle cessate commissioni tributarie di I e II grado.

In particolare, è stabilito che dette segreterie provvederanno a trasmettere i fascicoli relativi alle controversie pendenti dinanzi alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado alle competenti commissioni tributarie provinciali e regionali, e che le stesse, per lo svolgimento di tale attività, continueranno a funzionare anche dopo la data del l° aprile 1996.

Al fine di un corretto adempimento dell'obbligo di trasmissione dei fascicoli in argomento e di un univoco comportamento di tutte le segreterie interessate si raccomanda a quest'ultime:

- di formare, in duplice copia, un elenco dei fascicoli delle controversie pendenti, ove, per ciascun fascicolo, saranno indicati il numero del procedimento, i dati identificativi del ricorrente e dell'ufficio resistente, nonché i documenti e gli atti acquisiti al fascicolo;

- di trasmettere alle segreterie delle nuove Commissioni tributarie i fascicoli corredati dal suddetto elenco, formulato in duplice copia, di cui una copia sarà sottoscritta, in segno di ricevuta, dal direttore della segreteria della commissione tributaria ricevente, mentre l'altra copia resterà agli atti della segreteria della commissione tributaria che ha trasmesso i fascicoli stessi.

Infine si ricorda che, secondo quanto disposto dal comma 3 dell'articolo 2 del citato decreto legge n. 123 del 1996, nella ipotesi in cui alla data del l° aprile 1996 sia stato emesso solo il dispositivo e non sia stata ancora depositata la decisione (comprensiva sia del dispositivo che della motivazione), la sentenza (rectius: decisione), sottoscritta dal Presidente del collegio e dal relatore, va depositata entro il 30 maggio 1996 presso la segreteria della Commissione tributaria che ha emesso il dispositivo, la quale provvederà a trasmetterla alla Commissione tributaria competente unitamente al relativo fascicolo. Si rileva infine che, in tal caso, dalla data di deposito della decisione presso la segreteria, decorrono i termini per proporre l'impugnazione. Si precisa che, qualora entro la predetta data non venga effettuato il deposito della decisione, la controversia dovrà formare oggetto di trattazione "ex novo" dinanzi alla commissione tributaria provinciale o regionale territorialmente competente.

 

 

     Art. 73

Istanza di trattazione.

(Articolo interamente abrogato dall'articolo 69 del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427)

Si precisa che, per effetto dell'abrogazione di tale disposizione operata dal decreto legge n. 331 del 1993, il passaggio delle controversie pendenti dinanzi alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado alle Commissioni tributarie provinciali e regionali, avviene d'ufficio, senza presentazione dell'istanza di trattazione.

 

 

     Art. 74

Controversie pendenti davanti alla Corte di Appello.

1. Alle controversie che alla data di cui all'articolo 72 pendono davanti alle Corti di Appello o per le quali pende il termine per l'impugnativa davanti allo stesso organo, continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, e successive modificazioni e integrazioni,

La presente disposizione mantiene in vigore la disciplina dettata dall'articolo 40 del D.P.R. n. 636 del 1972, che permette l'impugnazione, dinanzi alla Corte di Appello, della decisione della Commissione tributaria di secondo grado entro 90 giorni decorrenti dalla data di scadenza del termine di 60 giorni per ricorrere dinanzi alla Commissione tributaria Centrale.

Pertanto, alla data del 1° aprile 1996, possono verificarsi le seguenti ipotesi:

a) le controversie per le quali è già stato proposto il ricorso dinanzi alla Corte d'Appello, proseguono dinanzi allo stesso organo ai sensi dell'articolo 40 del D.P.R. n. 636 del 1972;

b) le controversie per le quali pendono i termini per proporre ricorso allo stesso organo possono essere impugnate dinanzi alla Corte d'Appello entro il suddetto termine di 90 giorni, che decorrerà ordinariamente senza il beneficio di alcuna interruzione.

Va precisato che alla data del l° aprile 1996 deve essere già scaduto il termine di 60 giorni per impugnare la decisione della commissione tributaria di secondo grado dinanzi alla commissione tributaria centrale e deve essere in corso il successivo termine di 90 giorni per proporre ricorso alla Corte di Appello.

Da ciò consegue che il certificato comprovante l'avvenuta decorrenza del termine di 60 giorni previsto per l'impugnativa dinanzi alla Commissione Tributaria Centrale (cfr. articolo 40, primo comma, ultimo periodo, del D.P.R. n. 636 del 1972) deve essere già stato rilasciato anteriormente alla data del 10 aprile 1996 da parte della segreteria della Commissione tributaria che ha emesso la decisione impugnata.

 

 

     Art. 75

Controversie pendenti davanti alla Commissione tributaria centrale.

1. Alle controversie che alla data di cui all'articolo 72 pendono davanti alla Commissione tributaria centrale o per le quali pende il termine per l'impugnativa davanti allo stesso organo, continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, e successive modificazioni e integrazioni.

2. Relativamente alle controversie pendenti o per le quali pende il termine alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, il ricorrente e qualsiasi altra parte sono tenuti, entro sei mesi dalla predetta data, a proporre alla segreteria della Commissione tributaria centrale apposita istanza di trattazione contenente gli estremi della controversia e del procedimento. L'istanza potrà essere sottoscritta dalla parte o dal suo precedente difensore, se nominato, e deve essere notificata o spedita o consegnata alla segreteria della Commissione tributaria centrale nei modi previsti dall'articolo 20; in difetto, il giudizio davanti alla Commissione tributaria centrale si estingue. L'estinzione è dichiarata dal presidente della sezione, dopo aver verificato che non sia stata depositata in segreteria l'istanza di trasmissione del fascicolo alla cancelleria della Corte di Cassazione a seguito della richiesta di esame a norma del comma seguente. Contro il decreto del presidente, di cui viene data comunicazione alle parti, è ammesso reclamo al collegio nei modi e nei termini previsti dall'articolo 28.

3. Le parti che hanno proposto ricorso alla Commissione centrale, anziché presentare l'istanza di trattazione di cui al comma precedente, possono chiedere nello stesso termine l'esame da parte della Corte di Cassazione ai sensi dell'articolo 360 del c.p.c. convertendo il ricorso alla Commissione tributaria centrale in ricorso per Cassazione contro la decisione impugnata, osservate per il resto tutte le norme del c.p.c. per il procedimento davanti alla Corte di Cassazione.

4. Se non è stato richiesto l'esame da parte della corte di cassazione e l'istanza di trattazione è presentata nei termini, il procedimento prosegue davanti alla Commissione tributaria centrale, che provvede alla sua definizione mediante deposito della decisione entro i termini di cui all'articolo 42, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, applicando le disposizioni vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Le stesse disposizioni si applicano per i ricorsi presentati alla Commissione tributaria centrale successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.

5. Comma abrogato dall'articolo 69, comma 3, del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427

6. La segreteria della Commissione tributaria centrale continua a funzionare anche oltre il termine di cui al comma 4 per trasmettere i fascicoli dei processi alla cancelleria della Corte di Cassazione o alle commissioni tributarie regionale o provinciale.

La disciplina transitoria delle controversie tributarie pendenti innanzi la Commissione tributaria centrale ha subito modificazioni ad opera dell'articolo 69 del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 437, e dall'articolo 1 del decreto legge 23 novembre 1993, n. 471, convertito dalla legge 26 gennaio 1994, n. 44.

L'originaria formulazione della disposizione in esame teneva conto della circostanza che l'intera riforma del contenzioso tributario sarebbe diventata operativa alla data del 1° ottobre 1993.

Inoltre, poiché la riforma ha comportato l'abolizione della Commissione tributaria centrale, si rendeva necessario assicurare la prosecuzione dei giudizi pendenti o per i quali pendevano i termini innanzi allo stesso organo, con le medesime regole del sistema pre-riforma, senza soluzione di continuità ovvero, in alternativa, consentire al ricorrente di incardinare il giudizio innanzi alla Corte di Cassazione.

Pertanto, contrariamente a quanto previsto per le altre disposizioni transitorie, il termine di riferimento, sia per la determinazione del momento della pendenza della controversia, sia per individuare il periodo di decorrenza dei termini per impugnare, nonché il "dies a quo" per la presentazione dell'istanza di trattazione o per la riconversione del ricorso in Cassazione, era riferito alla data del 15 gennaio 1993 (momento di entrata in vigore del decreto legislativo n. 546 del 1992).

Infatti, l'originaria formulazione dell'articolo 80 dello stesso decreto legislativo prevedeva, per le disposizioni contenute nell'articolo 75, una deroga rispetto alla data di efficacia di tutte le norme contenute nello stesso decreto legislativo fissata al momento di insediamento delle Commissioni tributarie e anticipava l'operatività della norma alla data di entrata in vigore del cennato decreto legislativo.

Pertanto alcune disposizioni contenute nell'articolo in commento, con particolare riferimento ai commi 2, 3 e 4 che disciplinano la riassunzione del procedimento dinanzi allo stesso organo attraverso la presentazione dell'istanza di trattazione, hanno già trovato attuazione.

Successivamente, per effetto dell'articolo 69 del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, il legislatore è intervenuto nuovamente sul dettato legislativo modificando l'inciso alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo", contenuto nel comma 1 dell'articolo in commento, con l'inciso "alla data di cui all'articolo 72". Pertanto, a seguito di tale modifica, qualora alla data del 1° aprile 1996, le controversie pendano dinanzi alla Commissione tributaria centrale o, alla predetta data, penda il termine per l'impugnativa davanti allo stesso organo, continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nel D.P.R. n. 636 del 1972. Conseguentemente, le controversie medesime sono esaminate dalla Commissione tributaria centrale senza l'obbligo di presentazione dell'istanza di trattazione qualora la pendenza o il termine per l'impugnativa siano sorti successivamente alla data del 15 gennaio 1993.

Va, infine, rilevato che, qualora alla data del l° aprile 1996 siano pendenti i termini per impugnare la decisione delle commissioni tributarie di secondo grado, il ricorso deve essere presentato, anche successivamente a detta data, alle segreterie delle commissioni di secondo grado che hanno emesso la decisione impugnata; queste ultime nel curare gli adempimenti previsti dall'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 636 del 1972 devono, tra l'altro, provvedere a trasmettere i relativi fascicoli alla commissione tributaria centrale.

A tale conclusione si perviene in base a quanto disposto dal comma 1 dell'articolo 75, ove si stabilisce che continuano ad applicarsi, anche per le controversie per le quali pendono i termini di impugnativa alla data del 1° aprile 1996, le disposizioni del D.P.R. n. 636 del 1972, ivi compresa quella contenuta nell'articolo 25, terzo comma, dello stesso decreto ove si afferma che il ricorso deve essere presentato alla segreteria della commissione che ha emesso la decisione impugnata.

 

 

     Art. 76

Controversie in sede di rinvio.

1. Se alla data prevista dall'articolo 72, a seguito di sentenza della Corte di Cassazione o di Corte d'Appello o a seguito di decisione della Commissione tributaria centrale pendono i termini per la riassunzione del procedimento di rinvio davanti alle commissioni tributarie di primo o di secondo grado, detti termini decorrono da tale data e la riassunzione va fatta davanti alla commissione tributaria provinciale o regionale competente.

2. Il termine per la riassunzione davanti alla Corte d'Appello non subisce modifiche.

3. Se alla data prevista all'articolo 72, a seguito di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, pende il termine per la riassunzione davanti alla Commissione tributaria centrale, detto termine decorre da tale data e la riassunzione va fatta davanti alla commissione tributaria regionale competente.

4. Se la riassunzione non avviene nei termini, o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio, l'intero processo si estingue.

5. Se alla data indicata nei commi precedenti pendono i giudizi di rinvio davanti alla commissione tributaria di primo o di secondo grado si applicano le disposizioni di cui all'articolo 72, comma 4.

L'articolo in esame tratta del regime transitorio delle controversie in sede di rinvio.

In particolare, il comma 1 disciplina le ipotesi in cui alla data dell'11 aprile 1996 siano pendenti i termini per riassumere le controversie rinviate dalla Corte di Cassazione o dalla Corte di Appello o dalla Commissione tributaria centrale alle Commissioni tributarie di I e II grado.

In tali ipotesi, il termine si interrompe ed inizia a decorrere "ex novo" dal 1° aprile 1996; in tal caso le controversie vanno riassunte, rispettivamente, dinanzi alle Commissioni tributarie provinciali e regionali secondo le rispettive competenze territoriali. La disposizione in esame non prevede l'ipotesi in cui, alla data dell'11 aprile 1996, penda il termine per la riassunzione di un giudizio di rinvio dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado a seguito di rimessione del giudizio stesso da parte della Commissione tributaria di secondo grado; in tal caso è da ritenere che detta riassunzione debba essere effettuata entro 60 giorni dalla comunicazione della segreteria della Commissione o dalla notificazione della decisione con la quale si dispone il rinvio.

Si precisa, inoltre, che, qualora il rinvio avvenga sulla base di una sentenza emessa da un organo giurisdizionale ordinario, la riassunzione va fatta entro un anno e 46 giorni dalla pubblicazione della sentenza (cfr. articolo 392 c.p.c.).

Per quanto riguarda l'eventuale riassunzione davanti alla Corte d'Appello, si precisa che i termini per effettuarla non subiscono interruzioni in conseguenza dell'entrata in vigore della nuova normativa, in quanto dinanzi a tale organo sono comunque applicabili le norme del c.p.c.

Infine, se alla data del 1°aprile 1996, pendono termini per riassumere controversie rinviate dalla Corte di Cassazione alla Commissione tributaria centrale, dette controversie vanno riassunte innanzi alle competenti Commissioni tributarie regionali e la decorrenza dei termini viene computata dal 1° aprile 1996.

La mancata riassunzione nei termini delle controversie tributarie sopraindicate comporta l'estinzione dell'intero giudizio.

Per quanto riguarda i giudizi di rinvio già pendenti davanti alle Commissioni di primo o di secondo grado, il comma 5 dell'articolo in commento rinvia a quanto disposto dall'articolo 72, comma 4. Pertanto, le segreterie delle suddette Commissioni provvedono a trasmettere d'ufficio i fascicoli relativi alle controversie di rinvio alle segreterie delle Commissioni tributarie provinciali e regionali rispettivamente competenti.

 

 

     Art. 77

Procedimento contenzioso amministrativo davanti all'Intendenza di finanza o al Ministero delle finanze.

1. Le controversie relative ai tributi comunali e locali indicati nell'articolo 2, lettera h), per le quali era previsto il ricorso all'intendente di finanza o al Ministro delle finanze, se non ancora definite alla data di insediamento delle nuove commissioni, continuano ad essere decise in sede amministrativa dai suddetti organi secondo le relative disposizioni, ancorché abrogate ai sensi dell'articolo 71.

L'articolo 77 stabilisce che le controversie relative ai tributi comunali e locali indicati nell'articolo 2, lettera h), per le quali era previsto il ricorso all'intendente di finanza o al Ministro delle finanze, qualora non ancora definite alla data di insediamento delle nuove commissioni, continuano ad essere decise in sede amministrativa dai suddetti organi secondo le relative previgenti disposizioni, pur se le stesse vengono abrogate dall'articolo 71 del decreto legislativo in commento.

Dette controversie sono quelle instaurate, per quanto riguarda il merito, in base alle disposizioni dell'articolo 20 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 638, e dell'articolo 20 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639, e, per quanto attiene alla riscossione, in base all'articolo 288 del R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, come modificato dall'articolo 63 del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43.

Pertanto, le controversie in materia di tributi comunali e locali, pendenti alla data di insediamento delle nuove commissioni, continuano ad essere decise in sede amministrativa dai competenti organi di primo e secondo grado presso cui i relativi ricorsi sono stati presentati.

Relativamente alle controversie conseguenti ad avvisi di accertamento non ancora impugnati, si precisa che se detti atti sono impugnati entro il 31 marzo 1996, i relativi ricorsi devono essere presentati presso gli organi del contenzioso amministrativo, secondo la normativa vigente fino al 31 marzo, mentre se impugnati dal successivo 1° aprile, detti ricorsi andranno presentati, entro il termine di 60 giorni decorrenti dal 11 aprile 1996, alle competenti commissioni provinciali secondo le disposizioni del comma 2 dell'articolo 72, trattandosi di controversie non ancora instaurate alla data di insediamento delle nuove commissioni tributarie.

 

 

     Art. 78

Controversie già di competenza delle commissioni comunali per i tributi locali.

1. Le controversie già di competenza in primo grado delle commissioni comunali per i tributi locali, se alla data d'insediamento delle nuove commissioni pendono davanti all'autorità giudiziaria ordinaria, i relativi giudizi proseguono in questa sede.

2. Le controversie di cui al comma 1, che alla data indicata non pendono davanti all'autorità giudiziaria ordinaria e non sono già state definite, qualunque sia il grado in cui si trovano al momento della sentenza della Corte Costituzionale 27 luglio 1989, n. 451, debbono essere riattivate da parte degli enti impositori interessati mediante trasmissione dei relativi atti e documenti alla commissione tributaria provinciale competente entro il termine di mesi sei dalla data anzidetta; altrimenti ogni pretesa dell'ente impositore s'intende definitivamente abbandonata.

L'articolo 78 riguarda le controversie in materia di tributi locali già di competenza, in primo grado, delle commissioni comunali per i tributi locali ed, in secondo grado, della sezione speciale della giunta provinciale amministrativa.

Se alla data di insediamento delle nuove Commissioni tributarie le suddette controversie pendono davanti all'autorità giudiziaria ordinaria, proseguono in quella sede.

Laddove tali controversie alla data del 27 luglio 1989 - data della sentenza della Corte Costituzionale n. 451 che dichiarava incostituzionali le disposizioni relative alla composizione dei predetti organi - non erano state definite, debbono essere riattivate da parte degli enti impositori interessati al rapporto tributario in contestazione.

La riattivazione andrà effettuata, a cura dell'ente impositore, mediante la trasmissione degli atti e documenti inerenti la controversia alla competente Commissione tributaria provinciale entro il termine perentorio di mesi sei, decorrenti dalla data di insediamento delle nuove commissioni, e cioè entro il 30 settembre 1996, dandone comunicazione al contribuente, tenuto a costituirsi in giudizio ai sensi dell'articolo 22. La decorrenza del suddetto termine senza che la controversia sia stata riattivata comporterà pertanto l'abbandono definitivo di ogni pretesa tributaria da parte degli enti impositori relativamente alle controversie in questione.

 

 

     Art. 79

Norme transitorie.

1. Le disposizioni di cui agli articoli 57, comma 2, e 58, comma 1, non si applicano ai giudizi già pendenti in grado d'appello davanti alla commissione tributaria di secondo grado e a quelli iniziati davanti alla commissione tributaria regionale se il primo grado si è svolto sotto la disciplina della legge anteriore.

2. Nei giudizi davanti alla commissione tributaria provinciale o regionale riguardanti controversie già pendenti davanti ad alti organi giurisdizionali o amministrativi la regolatizzazione della costituzione delle parti secondo le nuove norme sulla assistenza tecnica è disposta, ove necessario, secondo le modalità e nel termine perentorio fissato dal presidente della sezione o dal collegio rispettivamente con decreto o con ordinanza da comunicare alle parti a cura della segreteria.

L'articolo in esame reca norme di raccordo tra il precedente e il nuovo rito.

In particolare, il comma 1 dispone che non opera il divieto di domande ed eccezioni nuove di cui all'articolo 57, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché il divieto di disporre nuove prove in appello di cui all'articolo 58, comma 1, del medesimo decreto legislativo, per le controversie di secondo grado devolute alle nuove commissioni tributarie regionali o iniziate innanzi alle stesse quando il relativo giudizio di primo grado è stato celebrato con il precedente rito.

In buona sostanza, il legislatore ha inteso non applicare il divieto dello "ius novorum", proprio del nuovo rito, a quelle controversie che hanno già percorso un grado di giudizio sotto la previgente disciplina.

Il successivo comma 2 conferisce al Presidente di sezione o al collegio la facoltà di valutare l'opportunità di disporre la regolarizzazione della costituzione della parte secondo le nuove norme sull'assistenza tecnica prevista dall'articolo 12. Si precisa che il presidente o il collegio possono discrezionalmente esonerare le parti dall'obbligo di assistenza tecnica anche nelle ipotesi in cui la stessa è obbligatoria.

La regolarizzazione è disposta con decreto del Presidente di sezione; se invece è disposta dal collegio lo stesso provvede con ordinanza.

I cennati provvedimenti saranno comunicati a cura delle segreterie alle parti che dovranno provvedere, osservando le modalità ed il termine in essi previsti, pena l'estinzione del giudizio per inattività delle parti, ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo n. 546 del 1992.

 

 

     Art. 80

Entrata in vigore.

1. Il presente decreto entra in vigore il 15 gennaio 1993.

2. Le disposizioni del presente decreto hanno effetto dalla data di insediamento delle commissioni tributarie provinciali e regionali.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana). È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

L'articolo in esame distingue il momento di entrata in vigore del provvedimento da quello di efficacia delle norme in esso contenute. Infatti, mentre il comma 1 fissa l'entrata in vigore del provvedimento alla data del 15 gennaio 1993, il comma 2 ne dispone l'operatività alla data unica di insediamento delle commissioni tributarie provinciali e regionali. Si ricorda che, secondo il disposto dell'articolo, 42, comma 1, del decreto legislativo n. 545 del 1992, come modificato, da ultimo, dall'articolo 1, comma 1, lett. a), del decreto legge 26 settembre 1995, n. 403, convertito dalla legge 20 novembre 1995, n. 425, tale data è fissata al 1° aprile 1996.