§ 98.1.39562 - Circolare 24 giugno 1998, n. 165/E .
Riordino della disciplina dei redditi di capitale e dei redditi diversi. Decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461 .


Settore:Normativa nazionale
Data:24/06/1998
Numero:165

§ 98.1.39562 - Circolare 24 giugno 1998, n. 165/E .

Riordino della disciplina dei redditi di capitale e dei redditi diversi. Decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461 .

 

Emanata dal Ministero delle finanze. Pubblicata nella Gazz. Uff. 20 luglio 1998, n. 167, S.O.

 

Premessa

Nella Gazzetta Ufficiale n. 2 del 3 gennaio 1998 è stato pubblicato il decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, concernente il riordino della disciplina tributaria dei redditi di capitale e dei redditi diversi.

Tale normativa è stata emanata - come specificato nella stessa titolazione del provvedimento in oggetto - sulla base della delega contenuta nell'art. 3, comma 160, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, le cui linee generali possono riassumersi nei seguenti punti:

A) revisione della disciplina dei redditi di capitale e diversi sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:

a.1) definizione delle categorie dei redditi di capitale e dei redditi diversi secondo una nozione economico-strutturale, in luogo di una definizione strettamente giuridico-formale di esse. In base alla predetta delega, la definizione di reddito di capitale non deve più ripetere necessariamente la nozione civilistica di frutto civile, ma può solo poggiare su di essa, riprendendo i caratteri strutturali della categoria civilistica di frutto civile, definendo cioè come redditi di capitale quei proventi che derivano da un impiego di capitale secondo uno schema produttivo analogo a quello civilistico di frutto. Tale scelta comporta necessariamente l'introduzione di norme di chiusura nella categoria dei redditi diversi, con funzione di eliminare forme di elusione e, ove necessario, di definirne la categoria in contrapposizione con quella dei redditi di capitale;

a.2) revisione delle singole fattispecie di reddito di capitale previste dall'attuale articolo 41 del T.U.I.R. (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) al fine di meglio definire il contenuto di ciascuna di esse in conformità alla definizione generale della categoria come sopra indicata e, dunque, in base a una nozione economico-strutturale e non necessariamente giuridico-formale delle singole ipotesi reddituali;

a.3) tassazione delle plusvalenze derivanti da qualunque forma di cessione di partecipazione in società o enti, residenti o non residenti;

a.4) estensione dell'imposizione alle plusvalenze derivanti dalla cessione di ogni altro valore mobiliare, di valute e di metalli preziosi;

a.5) estensione dell'imposizione ai proventi, redditi o differenziali derivanti dai nuovi strumenti finanziari, sia traslativi che non traslativi, sia con che senza attività sottostanti;

a.6) introduzione, entro limiti di tempo e d'importo prestabiliti, di franchigie per le plusvalenze derivanti da cessioni di valute ed eventualmente di obbligazioni, onde evitare l'assoggettamento a imposizione di operazioni non significative;

a.7) distinta definizione delle basi imponibili per i redditi di capitale e i redditi diversi di natura finanziaria (guadagni di capitale), prevedendosi la conferma, per i redditi di capitale, della tassazione al lordo e, per i redditi diversi (guadagni di capitale), della tassazione al netto delle spese di produzione del reddito, nonché delle eventuali minusvalenze o perdite realizzate;

B) distinzione, agli effetti della dichiarazione e del regime impositivo, delle plusvalenze e degli altri redditi diversi (guadagni di capitale) in due categorie: la prima comprendente le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate, individuate sia in ragione del diritto di voto sia in ragione dell'entità della partecipazione; la seconda comprendente gli altri guadagni di capitale. Da tale distinzione derivano due "masse" in cui confluiscono separatamente tutte le plusvalenze, le minusvalenze e le perdite realizzate nell'anno. L'eventuale eccedenza delle minusvalenze o delle perdite rispetto alle plusvalenze realizzate può essere, sempre distintamente per le due "masse" sopra indicate, portata in deduzione dalle plusvalenze della stessa specie realizzate negli anni successivi, ma non oltre il quarto;

C) previsione, sempre distintamente per le due "masse", di forme di imposizione sostitutiva per le plusvalenze nette realizzate nell'anno, applicando aliquote più elevate alle plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni qualificate. Per quanto concerne, invece, le altre plusvalenze o guadagni di capitale, previsione della possibilità di optare per un'imposizione "a monte", senza obbligo di successiva dichiarazione, a condizione di avvalersi di intermediari autorizzati chiamati ad applicare l'imposta sostitutiva su ciascuna plusvalenza realizzata. Tale facoltà di opzione può essere concessa solo a certe condizioni volte ad evitare abusi, quale in particolare la stabilità del rapporto con l'intermediario incaricato del prelievo dell'imposta sostitutiva;

D) con riferimento ai redditi della seconda "massa", previsione della possibilità di optare per una forma di tassazione "a monte" nel caso di patrimoni affidati in gestione ai soggetti di cui al D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, con applicazione della stessa imposta sostitutiva prevista nel precedente punto C) sui risultati netti maturati in ciascun periodo d'imposta. Previsione, anche nell'ambito di tale disciplina opzionale, della possibilità di compensare i risultati negativi di un periodo d'imposta con quelli positivi dei successivi periodi, ovviamente non oltre il quarto;

E) possibilità di rendere compatibile il regime di tassazione sui redditi maturati di cui al precedente punto D) con la tassazione sui redditi realizzati di cui al precedente punto C). A tal fine sono previsti dei meccanismi correttivi di equivalenza (cosiddetto "equalizzatore") tra i due momenti impositivi. Tali meccanismi vanno introdotti a carico dei redditi tassati in base al realizzo;

F) estensione, per ovvie ragioni perequative, del regime di cui al punto D) agli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari, con conseguente abolizione della disciplina "patrimoniale" attualmente vigente;

G) revisione delle aliquote delle ritenute sui redditi di capitale e della imposizione sostitutiva sui redditi diversi secondo i seguenti criteri direttivi:

g.1) per quanto concerne le ritenute sui redditi di capitale, previsione di aliquote comprese tra un minimo del 12,50 per cento ed un massimo del 27 per cento, anche ai fini di un loro accorpamento;

g.2) differenziazione tra aliquote minima e massima in ragione della qualità del reddito, nel rispetto dei principi costituzionali in materia di tutela del risparmio (art. 47 della Costituzione), favorendo gli investimenti a più lungo termine e i prodotti finanziari oggetto di offerta al pubblico;

g.3) applicazione della ritenuta a titolo d'imposta sui redditi di capitale solo nei confronti dei soggetti (persone fisiche o meno) non esercenti imprese commerciali e dei soggetti non residenti;

g.4) applicazione delle medesime aliquote per le imposte sostitutive di cui al precedente punto C) e, in particolare, dell'aliquota più elevata sulle plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni qualificate e di quella minore su tutti gli altri guadagni di capitale, ivi compresi quelli conseguiti nelle forme di cui ai precedenti punti D) ed F);

g.5) possibilità per i soggetti non esercenti imprese commerciali di optare per l'applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, nella stessa misura prevista per l'aliquota più ridotta (12,50 per cento) sugli utili societari;

H) completamento della disciplina attraverso la revisione della normativa sul cosiddetto monitoraggio fiscale, introducendo tutte le modifiche necessarie a realizzare un effettivo controllo dei redditi di capitale e diversi, sia di fonte interna che estera;

I) coordinamento della nuova disciplina non solo con la legge 25 marzo 1991, n. 102, concernente la tassazione dei cosiddetti capital gains - con particolare riguardo alle soluzioni dei problemi di carattere transitorio conseguenti al passaggio tra il nuovo e il precedente regime di tassazione - ma anche con le disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi, con il decreto legislativo 1 aprile 1996, n. 239, e con il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

In conformità ai suddetti principi e criteri direttivi, il testo del decreto legislativo n. 461 del 1997 è stato suddiviso in quattro titoli, riguardanti rispettivamente:

- il titolo I, la "riforma dei redditi di capitale e dei redditi diversi" (articoli da 1 a 4);

- il titolo II, la "disciplina dell'imposta sostitutiva sui redditi di capitale e sugli altri redditi" (articoli da 5 a 11);

- il titolo III, il "riordino delle ritenute e delle imposte sostitutive sui redditi di capitale" (articoli 12 e 13); il titolo IV, le "disposizioni finali e transitorie" (articoli da 14 a 16).

Nella seduta del Consiglio dei Ministri del 3 giugno 1998 è stato definitivamente approvato un ulteriore decreto legislativo con il quale, fermo restando l'impianto della riforma operata e l'entrata in vigore delle relative disposizioni, sono state introdotte alcune modifiche al decreto legislativo n. 461 del 1997 volte essenzialmente a:

1. semplificare gli adempimenti degli operatori e dei contribuenti interessati, in particolare per la scelta del regime di tassazione dei rapporti in corso alla data di entrata in vigore della riforma dei redditi di capitale e dei redditi diversi;

2. coordinare le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 461 del 1997 con quelle contenute in altri provvedimenti con i quali è stata attuata la riforma fiscale, e in particolare con il decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, per quanto riguarda il sistema delle comunicazioni degli intermediari previsto nel decreto in esame e quello delle dichiarazioni dei redditi, dell'IVA e dei sostituti d'imposta.

Con la presente circolare viene illustrata la nuova disciplina dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria al fine di assicurare da parte degli Uffici una uniforme applicazione delle relative disposizioni.

 

 

Capitolo I

Disciplina dei redditi di capitale. Individuazione e determinazione

1.1 Le fattispecie costituenti redditi di capitale.

1.1.1 Generalità

Come già accennato in premessa, nel fissare i principi e i criteri direttivi cui attenersi in tema di riordino della disciplina dei redditi di capitale, il legislatore delegante ha disposto, tra l'altro, che tale riordino deve essere realizzato mediante "una puntuale definizione delle singole fattispecie di reddito, prevedendo norme di chiusura volte a ricomprendere ogni provento derivante dall'impiego di capitale".

La struttura della categoria dei redditi di capitale non ha quindi subito modifiche. Essa continua ad essere articolata in una elencazione di fattispecie tipiche produttive di redditi di capitale, che sono indicate nelle lettere da a) a g-quater) dell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R. e in una disposizione finale "...avente funzione definitoria della categoria e di chiusura", la quale è contenuta nella lettera h) di tale articolo.

L'attuazione del suddetto principio ha comunque comportato la revisione dell'elenco delle fattispecie attualmente contemplate dall'art. 41, comma 1, del T.U.I.R. e, nel contempo, una riformulazione della disposizione finale.

Ciò impone un esame analitico delle singole fattispecie di reddito.

1.1.2 La fattispecie prevista dalla lettera a) del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R.

La lettera a) del comma 1 dell'art. 41, nel testo risultante anteriormente alle modifiche operate con il decreto legislativo n. 461 del 1997, stabilisce che sono redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti compresa la differenza tra la somma percepita alla scadenza e quella data a mutuo o in deposito.

La modifica apportata a tale disposizione è esclusivamente di ordine sistematico poiché è stato soltanto eliminato il riferimento alla "differenza tra la somma percepita alla scadenza e quella data a mutuo o in deposito" che, essendo relativo alla determinazione della base imponibile, è stato inserito nel comma 1 dell'art. 42.

1.1.3 La fattispecie prevista dalla lettera b) del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R.

La lettera b) del comma 1 dell'art. 41, nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate con il decreto legislativo n. 461 del 1997, stabilisce che sono redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi delle obbligazioni e titoli similari e degli altri titoli diversi dalle azioni e titoli similari, compresa la differenza tra la somma percepita o il valore normale dei beni ricevuti alla scadenza e il prezzo di emissione.

Anche con riferimento a questa fattispecie va segnalata l'eliminazione del riferimento ai proventi costituiti dalla "differenza tra la somma percepita o il valore normale dei beni ricevuti alla scadenza e il prezzo di emissione" che, essendo anche in questo caso relativo alla determinazione della base imponibile, è stato inserito nel comma 1 dell'art. 42.

La disposizione in esame è stata modificata anche per includere, tra le fattispecie produttive di redditi di capitale, i "certificati di massa". La modifica ha carattere sistematico e tende a ricomprendere espressamente tra i redditi di capitale i proventi derivanti dai certificati di massa che, ai sensi dell'art. 5 del decreto-legge n. 512 del 1983, convertito dalla legge n. 649 del 1983, sono già soggetti ad uno specifico regime di imposizione alla fonte.

Si ricorda che i certificati di massa sono documenti offerti in sottoscrizione al pubblico e che, pur essendo rappresentativi di crediti, non costituiscono titoli di credito.

Per quanto riguarda, invece, la nozione di "titoli similari alle obbligazioni" si ricorda che essa, nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate con il decreto legislativo n. 461 del 1997, è desumibile dall'art. 41, comma 2, del T.U.I.R., così come modificato dall'art. 7, comma 11, del decreto-legge n. 323 del 1996, convertito dalla legge n. 425 del 1996 - che ha abrogato la lettera a) della norma in esame - e dall'art. 2, comma 159, della legge n. 662 del 1996 - che ha modificato la lettera c) del comma 2, dello stesso art. 41 del T.U.I.R.

In base alla suddetta disposizione si consideravano similari alle obbligazioni:

- i buoni fruttiferi emessi da società esercenti la vendita a rate di autoveicoli, autorizzate ai sensi dell'articolo 29 del regio decreto-legge 15 marzo 1927, n. 436, convertito dalla legge 19 febbraio 1928, n. 510 (art. 41, comma 2, lettera b);

- i titoli in serie o di massa che contengono l'obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in essa indicata, con o senza la corresponsione di proventi periodici, e che non attribuiscono ai possessori alcun diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione dell'impresa emittente o dell'affare in relazione al quale siano stati emessi né di controllo sulla gestione stessa. Si tratta di titoli offerti in sottoscrizione al pubblico (art. 41, comma 2, lett. c).

L'art. 1, comma 4, del decreto legislativo n. 461 del 1997 ha sostituito la lettera c) del comma 2 dell'art. 41, eliminando l'espressione "titoli in serie o di massa" e sostituendola con quella "titoli di massa".

Non si ritiene che la modifica abbia portata innovativa poiché la categoria dei titoli in serie non è diversa da quella dei titoli di massa. Sostanzialmente i due termini, "in serie" e "di massa", sono stati utilizzati come sinonimi per individuare i titoli emessi in notevoli quantità, con caratteri di omogeneità e in base ad un'unica operazione economica e per contrapporli ai titoli individuali, così denominati perché emessi per operazioni singole. La modifica quindi è volta esclusivamente ad individuare con maggior precisione l'ambito di applicazione della norma in esame, che deve considerarsi riferita ai titoli oggettivamente idonei alla circolazione presso il pubblico.

Per completezza di trattazione si ricorda che la nozione di titoli similari alle azioni è individuata dall'art. 41, comma 2, del T.U.I.R. la quale precisa che si considerano tali i titoli di partecipazione al capitale di enti, diversi dalle società, soggetti all'IRPEG. Tale disposizione non ha subito modifiche.

1.1.4 La fattispecie già prevista dalla lettera b-bis) del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R.

Un'ipotesi particolare di reddito di capitale, ricompresa espressamente nell'art. 41 del T.U.I.R., nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate con il decreto legislativo n. 461 del 1997, era quella prevista dalla lettera b-bis) relativa ai proventi derivanti dalle cessioni a termine di obbligazioni e titoli similari, e in particolare da quelli derivanti dalle c.d. operazioni pronti contro termine.

Questa fattispecie non era prevista nell'originaria formulazione del T.U.I.R. ma era stata in esso inserita successivamente per effetto dell'art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 378 del 1992, convertito dalla legge n. 437 del 1992, relativamente ai contratti stipulati a decorrere dal 18 settembre 1992.

Ai fini della determinazione della base imponibile, la lettera b-bis) dell'art. 41 distingueva due ipotesi:

- la prima riguardava le vere e proprie operazioni pronti contro termine, quelle in cui la cessione a termine è contestuale alla stipula dell'acquisto a pronti;

- la seconda riguardava il caso in cui la cessione a pronti e quella a termine non sono contestuali. In questo secondo caso il legislatore poneva una sorta di presunzione assoluta in base alla quale la cessione a termine si considerava comunque attuata in collegamento con un acquisto a pronti.

Nel primo caso la base imponibile era costituita dalla differenza tra il corrispettivo globale della cessione e quello dell'acquisto.

Nel secondo caso la base imponibile era costituita dalla differenza tra il corrispettivo globale della cessione e il valore di mercato del titolo alla data della stipula del contratto a termine.

Il valore di mercato doveva essere documentato dal venditore; in mancanza i proventi erano determinati in misura pari al 25 per cento su base annua applicato al corrispettivo globale della cessione.

Dal corrispettivo globale di cessione erano comunque sottratti i redditi maturati nel periodo di valenza del contratto, soggetti a ritenuta alla fonte o ad imposta sostitutiva, al fine di evitare una doppia tassazione.

Tale disposizione è stata abrogata dal provvedimento di riforma. I proventi derivanti dalle operazioni di pronti contro termine su titoli obbligazionari sono comunque considerati redditi di capitale ai sensi della successiva lettera g-bis), mentre i redditi derivanti dalle operazioni di cessione a termine sono considerati redditi diversi ai sensi della lettera c-ter) del comma 1 dell'art. 81 del T.U.I.R.

1.1.5 La fattispecie prevista dalla lettera c) del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R.

Sono redditi di capitale anche le rendite perpetue e le prestazioni annue perpetue di cui agli articoli 1861 e 1869 del codice civile. Tale disposizione non ha subito modifiche.

1.1.6 La fattispecie prevista dalla lettera d) del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R.

Un'altra fattispecie di redditi di capitale è costituita dai compensi derivanti dalla prestazione di fideiussioni o altre garanzie.

Tale disposizione non ha subito modifiche.

1.1.7 La fattispecie prevista dalla lettera e) del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R.

Sono redditi di capitale anche gli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti all'IRPEG, salvo il disposto della lettera d) del comma 2 dell'art. 49.

Ai sensi di quest'ultima disposizione se la partecipazione agli utili spetta ai promotori ed ai soci fondatori di società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, il reddito relativo costituisce un'ipotesi di reddito di lavoro autonomo.

Va sottolineato che anche i compensi corrisposti ai lavoratori dipendenti sotto forma di partecipazione agli utili, ai sensi dell'art. 48 del T.U.I.R., nonché i compensi percepiti entro i limiti dei salari correnti maggiorati del 20 per cento, dai lavoratori soci delle cooperative di cui all'articolo 47, comma 1, lettera a), del T.U.I.R., non costituiscono redditi di capitale, bensì, rispettivamente, redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

Tale disposizione non ha subito modifiche.

1.1.8 La fattispecie prevista dalla lettera f) del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R.

La lettera f) della disposizione in esame, nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 461 del 1997, stabilisce che costituiscono redditi di capitale anche gli utili derivanti dai contratti di associazione in partecipazione e dai contratti indicati nel primo comma dell'art. 2554 del codice civile, compresa la differenza tra la somma percepita o il valore normale dei beni ricevuti alla scadenza e le somme o il valore normale dei beni apportati, salvo il disposto della lettera c) del comma 2 dell'art. 49.

Tale disposizione risulta sostanzialmente immutata essendo stato semplicemente eliminato il riferimento ai proventi costituiti "dalla differenza tra la somma percepita o il valore normale dei beni ricevuti alla scadenza e le somme o il valore normale dei beni apportati" che, in quanto relativo alla determinazione della base imponibile, è stato inserito nel comma 1 dell'art. 42.

1.1.9 La fattispecie prevista dalla lettera g) del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R.

La lettera g) del comma 1 dell'art. 41, nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate con il decreto legislativo n. 461 del 1997, include tra i redditi di capitale gli utili corrisposti ai mandanti o fiducianti e ai loro aventi causa dalle società o dagli enti che hanno per oggetto la gestione, nell'interesse collettivo di pluralità di soggetti, di masse patrimoniali costituite con somme di denaro e beni affidati da terzi o provenienti dai relativi investimenti, compresa la differenza tra l'ammontare ricevuto alla scadenza e quello affidato in gestione.

In sostanza, si assoggettano a tassazione come redditi di capitale gli utili derivanti dalle cosiddette gestioni collettive di masse patrimoniali di terzi.

Anche in tal caso, il riferimento ai proventi costituiti dalla "differenza tra l'ammontare ricevuto alla scadenza e quello affidato in gestione" è stato eliminato ed inserito nel comma 1 dell'art. 42.

Tale disposizione è stata riformulata al fine di individuare più compiutamente la fattispecie di reddito che si voleva attrarre a tassazione (quella dei proventi derivanti dalla gestione collettiva in monte di masse patrimoniali) prescindendo dalla configurazione civilistica del rapporto intercorrente tra il soggetto gestore ed i soggetti gestiti. Tale riformulazione è stata operata per evitare che la qualificazione di questi redditi come redditi di capitale possa essere posta in dubbio ogniqualvolta il rapporto non sia configurabile come un rapporto di mandato.

La fattispecie impositiva della lettera g) dell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R. riveste notevole rilievo in quanto l'ipotesi principale di gestione collettiva in monte di masse patrimoniali è costituita proprio dagli organismi d'investimento collettivo del risparmio. Peraltro, come meglio si vedrà più avanti, i redditi derivanti dalla partecipazione agli O.I.C.V.M., di diritto italiano e lussemburghese, non concorrono a formare il reddito complessivo del partecipante in quanto il risultato maturato attraverso la gestione è assoggettato ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi direttamente in capo alla società di gestione. Pertanto, la predetta fattispecie impositiva è rilevante soprattutto per i proventi derivanti dalla partecipazione ad organismi di investimento collettivo di valori mobiliari (O.I.C.V.M.) di diritto estero, diversi da quelli lussemburghesi storici, i quali non potendo essere assoggettati ad imposizione presso la società di gestione estera sono assoggettati ad imposizione a carico dei partecipanti.

1.1.10 La fattispecie prevista dalla lettera g-bis) del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R.

La lettera g-bis) è stata introdotta nel corpo dell'art. 41 dal provvedimento in esame ed ha ad oggetto i proventi derivanti dalle operazioni di pronti contro termine e riporto su titoli e valute.

Essa trae, almeno parzialmente, origine da due fattispecie impositive già esistenti: quella della succitata lettera b-bis) del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R. e quella della lettera c-ter) del comma 1 dell'art. 81 del medesimo testo unico. La prima di tali due fattispecie riconduceva infatti a tassazione come redditi di capitale i proventi derivanti dalla cessione a termine di obbligazioni e titoli similari non soltanto nel caso in cui la cessione fosse isolata in quanto le obbligazioni non erano state precedentemente acquistate o erano ancora da acquistare, ma anche nel caso in cui la cessione si inquadrava in un'operazione di pronti contro termine in quanto le obbligazioni fossero state acquistate contestualmente alla cessione. La seconda fattispecie impositiva riconduceva, invece, a tassazione tra i redditi diversi le plusvalenze derivanti dalla cessione a termine di valute, nonché quelle derivanti da contratti che assumono a riferimento valori a termine delle valute per la determinazione del corrispettivo.

Anche in questo caso le plusvalenze derivanti dalla cessione a termine delle valute erano tassate come redditi diversi, tanto nel caso in cui la cessione fosse stata posta in essere nel contesto di un'operazione di pronti contro termine, quanto nel caso in cui fosse invece isolata in quanto non fosse stata preceduta o seguita dall'acquisto della valuta.

Con l'introduzione della nuova fattispecie impositiva della lettera g-bis) dell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R. i proventi delle operazioni di pronti contro termine su valute non sono più ricondotti a tassazione tra i redditi diversi, ma tra i redditi di capitale, insieme ai proventi delle operazioni di pronti contro termine su obbligazioni e titoli similari. Attraverso le operazioni di pronti contro termine, infatti, le parti non intendono trasferire la proprietà dei titoli e del denaro ovvero delle valute e delle lire a titolo definitivo, ma soltanto a titolo temporaneo. Pertanto, per i soggetti che non esercitano attività di impresa, esse non danno luogo ad una duplice cessione a titolo oneroso, bensì ad una duplice operazione di impiego di capitale.

Per converso, i proventi derivanti dalla cessione a termine di obbligazioni e titoli similari non sono più ricondotti a tassazione tra i redditi di capitale, ma, come si vedrà, tra i redditi diversi, insieme alle plusvalenze derivanti dalla cessione a termine di valute. La cessione di titoli, anche quando l'esecuzione sia rinviata alla scadenza di un termine futuro, non costituisce una operazione d'impiego del capitale, ma una operazione di cessione a titolo oneroso in quanto comporta pur sempre il trasferimento contro corrispettivo della proprietà dei titoli. Viceversa le plusvalenze derivanti dai contratti che prendono a riferimento valori a termine delle valute per la determinazione del corrispettivo rimangono tassabili come redditi diversi ma unitamente ai redditi derivanti dagli altri contratti derivati.

Pur nascendo dall'accorpamento delle fattispecie impositive della lettera b-bis) dell'art. 41, comma 1, e della lettera c-ter) dell'art. 81 del T.U.I.R. la nuova fattispecie impositiva della lettera g-bis) dell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R., presenta una portata più ampia di tali disposizioni in quanto è volta ad attrarre ad imposizione i proventi delle operazioni di pronti contro termine, non più soltanto nel caso in cui abbiano ad oggetto valute ed obbligazioni e titoli similari, ma anche nel caso in cui abbiano ad oggetto ogni altro tipo di titolo di credito e, quindi, anche titoli rappresentativi di quote di fondi comuni d'investimento, titoli atipici, certificati di deposito e quant'altro. Tale scelta di carattere legislativo risponde evidentemente all'esigenza di non differenziare il trattamento fiscale delle operazioni di pronti contro termine in funzione del tipo di titoli di credito su cui siano state stipulate. Oltre alle operazioni di pronti contro termine su titoli e valute, la fattispecie impositiva della lettera g-bis) include espressamente tra i redditi di capitale anche i proventi dei contratti di riporto su titoli e su valute. Tale inclusione si giustifica in quanto si è ritenuto che anche il riporto, al pari del pronti contro termine, non dia luogo, per i soggetti che non esercitano attività di impresa, ad una duplice cessione a titolo oneroso, bensì ad un duplice impiego di capitale. Anche in questo caso infatti le parti, impegnandosi a ritrasferire a termine le attività finanziarie ed il denaro che si siano trasferite a pronti, intendono assicurarsi in sostanza, l'una, la proprietà temporanea dei titoli o delle valute, e l'altra la proprietà temporanea del denaro.

1.1.11 La fattispecie prevista dalla lettera g-ter) del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R.

La fattispecie impositiva contenuta nella lettera g-ter) dell'articolo 41, in base alla quale sono redditi di capitale i proventi derivanti dal mutuo di titoli garantito, è stata anch'essa inserita nel citato articolo dal decreto legislativo n. 461 del 1997. L'inserimento dei menzionati proventi tra i redditi di capitale non ha portata innovativa in quanto gli stessi erano già inquadrabili in detta categoria reddituale sulla base della lettera a) dell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R., che assoggettava ad imposizione, insieme agli interessi e altri proventi dei "depositi e conti correnti", anche gli "interessi e gli altri proventi dei mutui", o, comunque, sulla base della successiva lettera h) di tale articolo, che assoggettava ad imposizione i proventi in misura definita derivanti dall'impiego di capitale. La sua introduzione nasce dalla esigenza sistematica conseguente alla scelta di differenziare il trattamento fiscale dei proventi del mutuo di titoli garantito, rispetto ai proventi derivanti dai mutui di denaro, nonché dai mutui di titoli non garantiti, assicurando ad essi un regime più favorevole. Come infatti si dirà nel prosieguo sui compensi derivanti dal mutuo garantito di titoli è stata confermata l'applicabilità della ritenuta a titolo d'imposta.

1.1.12 La fattispecie prevista dalla lettera g-quater) del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R.

La terza nuova fattispecie impositiva che è stata inserita nell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R., concerne i redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione. Com'è chiarito dalla relazione illustrativa al decreto legislativo n. 461 del 1997, anche tale previsione non ha portata innovativa essendo la stessa diretta ad ovviare all'imperfetto coordinamento esistente tra le disposizioni che individuano le figure tipiche di reddito di capitale e quelle che definiscono le regole di determinazione del reddito. Infatti, sebbene il comma 4 dell'art. 42 del T.U.I.R. stabilisca appositi criteri per la determinazione dei redditi compresi nei capitali corrisposti sulla base di contratti di assicurazione sulla vita, di tali redditi non era fatta specifica menzione nell'elencazione delle fattispecie imponibili di cui all'art. 41, comma 1, del T.U.I.R.

1.1.13 La fattispecie prevista dalla lettera h) del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R.

Ai sensi di tale disposizione, nel testo risultante a seguito della modifica effettuata dal decreto-legge n. 557 del 1993, erano redditi di capitale gli altri interessi non aventi natura compensativa e ogni altro provento in misura definita derivante dall'impiego di capitale.

In base a ciò venivano inclusi nei redditi di capitale:

- gli interessi, diversi da quelli espressamente previsti dalle lettere precedenti, che non avessero natura compensativa;

- ogni altro provento in misura definita derivante dall'impiego di capitale.

Relativamente agli interessi va sottolineato che con l'esclusione degli interessi di "natura compensativa" si era inteso evitare un'astratta e generalizzata imponibilità di tutti gli interessi in quanto tali.

Si ricorda che l'Amministrazione finanziaria ha sempre escluso l'imponibilità degli interessi per ritardato rimborso d'imposta (cfr. circolare n. 40/8/403 del 22 dicembre 1980) e degli interessi sui depositi cauzionali (cfr. circolare n. 24 del 19 maggio 1979).

La disciplina appena esaminata in materia di interessi andava e va tutt'ora comunque coordinata con quella posta dall'art. 6, comma 2, del T.U.I.R. secondo cui gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati.

Ciò comporta che gli interessi appena citati sono redditi della stessa categoria dei crediti cui si riferiscono e ad essi si applica la medesima disciplina applicabile ai crediti: così, ad esempio, gli interessi per dilazione di pagamento maturati relativamente ad un credito vantato per una prestazione di lavoro autonomo sono redditi di lavoro autonomo e non redditi di capitale e pertanto, ai fini dell'imposta personale, sono sottoposti al regime della ritenuta proprio dei redditi di lavoro autonomo.

Come sopra accennato, in attuazione di uno specifico criterio direttivo, la fattispecie di chiusura della lettera h) dell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R. è stata riformulata nel modo seguente: "h) gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l'impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.".

Le modifiche apportate sono finalizzate ad assicurare che tale disposizione possa effettivamente esplicare una funzione di chiusura della categoria reddituale in esame considerato che la lettera h) dell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R. vigente prima delle modifiche apportate con il decreto legislativo n. 467 del 1997 non riusciva pienamente ad esplicare questa funzione in quanto non riconduceva a tassazione tutti i redditi derivanti dall'impiego del capitale, ma soltanto quelli che si caratterizzavano per il fatto di essere stabiliti "in misura definita".

Una prima modifica apportata alla fattispecie impositiva della lettera h) dell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R. è costituita dalla eliminazione del predetto requisito. Pertanto, sono inquadrabili tra i redditi di capitale sulla base di tale fattispecie impositiva non soltanto i redditi che siano determinati o predeterminabili, ma anche quelli variabili in quanto la relativa misura non sia collegata a parametri prefissati.

L'eliminazione del requisito della misura definita, se indubbiamente consentiva di restiT.U.I.R.e alla fattispecie impositiva della lettera h) il rango di vera e propria disposizione di chiusura, rischiava peraltro di renderla eccessivamente ampia. Qualora si fosse apportata questa sola modifica, l'accertamento di che cosa è reddito di capitale sarebbe venuto a dipendere esclusivamente dall'individuazione del significato del concetto di "impiego di capitale" che era eccessivamente indeterminato. Opportunamente, invece, il legislatore ha esplicitato il significato da attribuire a tale concetto, qualificando come redditi di capitale compresi nella lettera in esame quelli che comunque discendono da "rapporti" aventi per oggetto l'impiego di capitale.

Costituiscono quindi redditi di capitale soltanto quei redditi derivanti da rapporti che trovano fonte in atti che abbiano come funzione obiettiva quella di impiego del capitale. Non possono ritenersi tassabili come redditi di capitale, ma lo sono come redditi diversi, le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso dei titoli e delle altre attività finanziarie indicate nelle lettere da c) a c-quinquies) dell'art. 81, comma 1, del T.U.I.R. in quanto i contratti attraverso i quali può essere posta in essere la cessione a titolo oneroso di tali attività non costituiscono contratti di impiego del capitale, ma contratti di scambio.

Sulla base della nuova formulazione della lettera h) dell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R. emerge oramai chiaro che per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l'esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito. Conseguentemente, possono essere attratti ad imposizione sulla base di tale disposizione non soltanto quei proventi che sono giuridicamente qualificabili come frutti civili ai sensi dell'art. 820 del codice civile e cioè quei proventi che si conseguono come corrispettivo del godimento che altri abbia di un capitale, ma anche tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che, pur se non riconducibile tra quelli precedentemente menzionati, presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale.

Va, inoltre, rilevato che non tutti i rapporti che hanno ad oggetto l'impiego di capitale, sono considerati come produttivi di redditi di capitale ai sensi della lettera h) dell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R. Tale disposizione esclude, infatti, dal novero dei redditi di capitale i proventi derivanti da rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto. Come emerge dalla relazione illustrativa la detta esclusione si è resa necessaria per non attrarre a tassazione tra i redditi di capitale anche i proventi derivanti da rapporti che, pur comportando l'impiego del capitale, abbiano natura aleatoria in quanto diano luogo alla produzione di differenziali positivi e negativi. È questo ad esempio il caso del cosiddetto contratto di "cross currency swap" e cioè di quel particolare tipo di contratto attraverso il quale le parti si scambiano due capitali espressi in due valute diverse e si impegnano ad effettuare lo scambio in senso inverso a termine, liquidandosi a scadenze periodiche il differenziale esistente tra i tassi d'interesse delle due valute concambiate.

Va, inoltre, osservato che la fattispecie impositiva della lettera h) dell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R. non attrae più autonomamente ad imposizione anche "gli interessi non aventi natura compensativa". Sulla base della nuova formulazione della disposizione in esame le fattispecie di interessi che non siano inquadrabili in nessuna delle precedenti lettere del predetto articolo rimangono pertanto tassabili come redditi di capitale soltanto se ed in quanto derivino da rapporti che abbiano per oggetto l'impiego di capitale. Da ciò ne deriva che deve ritenersi esclusa la riconducibilità in tale categoria degli interessi derivanti da rapporti che non trovino fonte in un atto di impiego del capitale, quali appunto gli interessi su crediti d'imposta.

 

 

1.2 Determinazione dei redditi di capitale.

1.2.1 Generalità

Con l'art. 2 del provvedimento in esame si è provveduto a revisionare l'art. 42 del T.U.I.R., che ha ad oggetto la determinazione dei redditi di capitale. Tale revisione si sostanzia in modificazioni di carattere quasi esclusivamente tecnico-sistematico della norma in relazione alla tipologia dei singoli redditi individuati nell'art. 41 dello stesso testo unico.

Sono rimaste sostanzialmente inalterate, pertanto, le regole fondamentali di determinazione dei redditi di capitale e, tra di esse, anche quella secondo cui i redditi di capitale sono costituiti dall'ammontare degli interessi, utili o altri proventi percepiti nel periodo d'imposta, senza alcuna deduzione. Rimangono quindi indeducibili dai redditi di capitale le spese che il contribuente abbia sostenuto per conseguire i redditi medesimi.

Con la disposizione di cui all'art. 2, comma 1, lettera a), del provvedimento in oggetto sono stati aggiunti, dopo il primo periodo del comma 1 dell'art. 42 del T.U.I.R., altri cinque periodi. Con il primo di essi (nuovo secondo periodo) si è provveduto a racchiudere in una sola norma l'inciso - attualmente previsto nelle lettere a), b), f) e g) dell'art. 41 del T.U.I.R. - riguardante l'inclusione nei redditi di capitale anche della differenza tra il prezzo di emissione o la somma o il valore normale dei beni impiegati, apportati o affidati in gestione e la somma percepita o il valore normale dei beni ricevuti alla scadenza.

Inoltre, sempre con il nuovo secondo periodo del comma 1 dell'articolo in esame si è provveduto a confermare il criterio - già presente nell'art. 5, comma 1, del decreto-legge 28 giugno 1995, n. 250, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 agosto 1995, n. 349 - secondo cui qualora la differenza tra la somma percepita o il valore normale dei beni ricevuti alla scadenza e il prezzo di emissione dei titoli o certificati indicati nell'art. 41, comma 1, lettera b), del T.U.I.R. sia determinabile, in tutto o in parte, in funzione di eventi o parametri non ancora certi o determinati alla data di emissione dei titoli o certificati, la parte di detto importo, proporzionalmente riferibile al periodo di tempo intercorrente tra la data di emissione e quella in cui l'evento o il parametro assumono rilevanza ai fini della determinazione della differenza in questione, si considera interamente maturata in capo al possessore a tale ultima data.

1.2.2 Determinazione dei redditi di capitale della lettera g)

Particolare importanza assume la disposizione contenuta nel comma 4-bis dell'art. 42 del T.U.I.R. introdotta con la lettera b) del comma 1 dell'art. 2 del provvedimento in oggetto.

Tale disposizione ha dettato appositi criteri in base ai quali stabilire per quale parte i redditi conseguibili attraverso O.I.C.V.M. derivano dalla partecipazione a tali organismi e costituiscono, quindi, redditi di capitale, ai sensi della lettera g) dell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R. e per quale parte derivano, invece, dalla negoziazione e costituiscono quindi plusvalenze, ai sensi della lettera c-ter) dell'art. 81, comma 1, del T.U.I.R. In particolare, secondo tale disposizione le somme od il valore normale dei beni distribuiti dagli O.I.C.V.M., nonché le somme od il valore normale dei beni percepiti in sede di cessione delle partecipazioni costituiscono proventi e, quindi, redditi di capitale per un importo corrispondente alla differenza positiva tra l'incremento di valore registrato dalle azioni o quote, rilevato alla data della distribuzione, riscatto, liquidazione o cessione e l'incremento di valore registrato dalle medesime azioni o quote, rilevato alla data di sottoscrizione o acquisto. L'incremento delle azioni o quote alle date indicate è desunto dall'ultimo prospetto predisposto dalla società di gestione o dalla SICAV. In tal caso, per incremento di valore deve intendersi il maggior valore assunto dalle azioni o quote rispetto al valore delle predette azioni o quote all'avvio dell'organismo.

Sulla base della particolare regola così stabilita il reddito di capitale è commisurato quindi all'apprezzamento di valore che le quote degli O.I.C.V.M. abbiano subito rispetto al valore di emissione nel periodo intercorrente tra la data di acquisizione della partecipazione e la data della distribuzione ovvero della dismissione della stessa partecipazione. Soltanto per tale parte infatti i redditi conseguibili attraverso la sottoscrizione delle partecipazioni negli O.I.C.V.M. possono ritenersi ricollegabili al rapporto di impiego del capitale che lega il gestore ai singoli gestiti. Per la parte in cui eccedano l'apprezzamento di valore subito dalle quote, tali redditi non costituiscono redditi di capitale, ma plusvalenze in quanto trovano fonte nel maggior valore di mercato delle quote.

Qualora attraverso la partecipazione ad un O.I.C.V.M., di diritto italiano o lussemburghese storico sia conseguita una minusvalenza il partecipante dovrà stabilire per quale parte tale minusvalenza derivi dalla partecipazione all'O.I.C.V.M. e per quale parte derivi, invece, dalla negoziazione, utilizzando i criteri dettati dal comma 4-bis dell'art. 42 del T.U.I.R. Tale distinzione si rende necessaria in quanto le minusvalenze derivanti dalla partecipazione a O.I.C.V.M., non possono ritenersi deducibili dalle plusvalenze e dagli altri redditi diversi conseguiti dal partecipante, essendo già deducibili nella determinazione del risultato maturato di gestione.

Nella stesura originaria della disposizione, i particolari criteri di determinazione dei proventi derivanti dalle partecipazioni ad O.I.C.V.M. dettati dal comma 4-bis dell'art. 42 del T.U.I.R. volti ad individuare la quota di provento assoggettabile a tassazione quale reddito di capitale e quella che costituisce plusvalenza, non erano destinati a trovare applicazione, indistintamente, nei confronti di tutti gli O.I.C.V.M., ma soltanto nei confronti degli O.I.C.V.M., soggetti all'imposta sostitutiva sul risultato maturato di gestione. Per realizzare un maggior coordinamento tra il regime di tassazione di tali O.I.C.V.M. con gli O.I.C.V.M., di diritto estero, l'art. 1 del decreto che ha corretto il decreto legislativo n. 461 del 1997 ha eliminato il riferimento all'imposta sostitutiva sul risultato maturato di gestione ed ha reso quindi applicabile tale disposizione anche a tali ultimi organismi.

In questo modo, è stata resa omogenea l'imposizione dei proventi derivanti dalla partecipazione a fondi esteri con quella applicata ai fondi soggetti ad imposta sostitutiva, assoggettando a imposizione i redditi di capitale di cui all'articolo 41, comma 1, lettera g), del testo unico delle imposte sui redditi, in maniera distinta rispetto ai redditi diversi previsti dall'articolo 81, comma 1, lettera c-ter), dello stesso testo unico. Ne consegue che il reddito di capitale così individuato deve seguire le regole impositive previste dall'articolo 42 del testo unico (tassazione con applicazione della ritenuta all'atto della percezione del provento medesimo senza alcuna deduzione e rilevanza del cambio soltanto in tale ultimo momento) ed il reddito diverso deve essere individuato solo se, per effetto del rimborso o della cessione, ricorre una delle fattispecie previste dal nuovo articolo 81, comma 1, lettera c-ter), del testo unico.

Come già precisato, le disposizioni concernenti l'imposizione dei proventi degli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari italiani consentono, infatti, di distinguere la parte di provento che costituisce reddito di capitale (art. 42, comma 4-bis, del T.U.I.R. inserito dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 461 del 1997) da quella che costituisce reddito diverso (art. 81, comma 1, lett. c-ter), del T.U.I.R., inserito dall'art. 3, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 461 del 1997).

Per coerenza sistematica, quindi, la medesima distinzione è stata estesa alle parti di O.I.C.V.M. esteri per i quali la parte di provento che è reddito di capitale deve essere tassata con le disposizioni previste per tali redditi (nel caso delle imprese, comunque tassazione personale; in ogni altro caso, ritenuta a titolo d'imposta o imposizione sostitutiva per gli organismi di investimento conformi alle direttive comunitarie, ovvero ritenuta a titolo di acconto e comunque tassazione personale progressiva qualora si tratti di organismi di investimento non conformi alle direttive comunitarie) mentre la parte di provento, eventualmente conseguita, che costituisce reddito diverso, deve essere tassata secondo le disposizioni di cui agli articoli 5 e 6 del decreto legislativo n. 461 del 1997 e, quindi, mediante indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi oppure, se ne ricorrono i presupposti, mediante l'applicazione dell'imposta sostitutiva da parte dell'intermediario. L'aver qualificato come reddito di capitale quello derivante dalla partecipazione all'organismo di investimento esclude che il soggetto tenuto ad operare la ritenuta ai sensi dell'articolo 10-ter, comma 1, della legge n. 77 del 1983 sia tenuto ad applicare anche il prelievo su eventuali plusvalenze.

Qualora attraverso la partecipazione ad un O.I.C.V.M. di diritto estero sia conseguita una minusvalenza, tale minusvalenza anche per la parte in cui sulla base dei criteri dettati dal comma 4-bis dell'articolo 42 del T.U.I.R. sia riferibile alla partecipazione all'O.I.C.V.M., diversamente da quanto si è precisato per le minusvalenze conseguite dalla partecipazione ad un O.I.C.V.M. di diritto italiano o lussemburghese storico, devono ritenersi integralmente deducibili ai sensi della lettera c-ter) dell'articolo 81, comma 1, del T.U.I.R., essendo i proventi derivanti dalla partecipazione a tali organismi integralmente tassabili in capo al percipiente.

Va precisato che l'aver individuato in modo unitario il reddito di capitale quale reddito che viene conseguito in relazione al rapporto di partecipazione all'organismo comporta che la fattispecie impositiva si realizza esclusivamente all'atto della percezione dei relativi proventi così come previsto dal comma 1 dell'articolo 42 del T.U.I.R. Quindi, in caso di percezione di un provento in valuta estera rileva soltanto il cambio alla data in cui il provento stesso è percepito. Inoltre, eventuali passaggi all'interno dell'organismo stesso, non comportando la materiale percezione dei proventi, non realizzano alcun presupposto impositivo. D'altra parte, qualificare detti passaggi quali cessioni, e come tali suscettibili di imposizione, avrebbe comportato l'introduzione di una disciplina difforme rispetto a quella prevista negli ordinamenti di settore che regolano il rapporto di partecipazione a tali organismi e che risultano fissati sulla base anche di direttive comunitarie, alle quali l'ordinamento italiano si è già adeguato fin dal 1992.

1.2.3 Determinazione dei redditi di capitale di cui alle lettere g-bis) e g-ter)

Con i periodi dal terzo al quinto inseriti nel comma 1 dell'art. 42 del T.U.I.R. sono stati dettati appositi criteri per la determinazione dei proventi derivanti dalle operazioni di pronti contro termine e riporto su titoli e su valute (terzo e quarto periodo), nonché di quelli derivanti dal mutuo di titoli garantito (quinto periodo).

Tali criteri ricalcano, ma solo parzialmente, quelli già dettati per il pronti contro termine su obbligazioni e titoli similari nonché su valute, rispettivamente, dalla lettera b-bis) dell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R. e dalla lettera c-ter) dell'art. 81, comma 1, del medesimo testo unico. Essi sono stati infatti debitamente rivisti in quanto sulla base della nuova lettera g-bis) dell'art. 41, comma 1, del T.U.I.R. sono divenuti tassabili come redditi di capitale non più soltanto i proventi che il cedente a termine consegue cedendo i titoli o la valuta ad un prezzo, a corso secco, superiore al prezzo di acquisto a pronti, ma anche quelli che consegue il cessionario a termine, acquistando i titoli o la valuta ad un prezzo, a corso secco, inferiore a quello di cessione a pronti. Tale disposizione è infatti formulata nel senso di attrarre ad imposizione i proventi dei riporti e dei pronti contro termine su titoli e su valute indipendentemente da quale delle due parti consegue un guadagno attraverso l'operazione.

In accoglimento di una richiesta avanzata dalla Commissione parlamentare dei Trenta la tassabilità dei proventi conseguiti dal compratore a termine è stata tuttavia esclusa quando il pronti contro termine ed il riporto sono stipulati con titoli non rappresentativi di partecipazioni, quali principalmente obbligazioni e titoli similari. La Commissione ha, infatti, ritenuto che diversamente, si sarebbe dato luogo ad una doppia imposizione economica in quanto tali proventi si sarebbero resi tassabili in capo al compratore a termine, nonostante che il cedente a termine non sarebbe stato legittimato a portarli in deduzione dall'importo degli interessi ed altri proventi tassabili a suo carico, per effetto del divieto di deducibilità dei costi dai redditi di capitale.

Sulla base dei nuovi criteri dettati dal comma 1 dell'art. 42 del T.U.I.R. i proventi delle operazioni di pronti contro termine e riporto su titoli e su valute devono essere determinati calcolando la differenza positiva tra i prezzi globali di trasferimento dei titoli e delle valute. Qualora tali operazioni siano poste in essere su titoli non rappresentativi di partecipazioni, dalla differenza così ottenuta devono essere scomputati gli interessi e gli altri proventi maturati nel periodo di durata del rapporto, con esclusione dei redditi esenti dalle imposte sui redditi. Per effetto di questo particolare meccanismo di determinazione della base imponibile gli eventuali proventi conseguiti dal cessionario a termine, sono destinati a rimanere intassabili, ogniqualvolta il pronti contro termine ed il riporto siano stipulati su titoli non rappresentativi di partecipazioni. Qualora infatti tali titoli siano acquistati a termine ad un prezzo a corso secco, inferiore al prezzo a corso secco a cui siano stati ceduti a pronti, il risultato che si ottiene, scomputando dalla differenza tra i prezzi globali di trasferimento gli interessi ed altri proventi maturati nel periodo di durata del rapporto, è sempre negativo.

Per quanto attiene all'individuazione degli interessi e altri proventi che, in quanto esenti dalle imposte sui redditi, devono essere scomputati dalla differenza tra i prezzi globali di trasferimento si precisa che per tali devono intendersi soltanto i proventi che siano oggettivamente esenti e non anche, quindi, quelli esenti nei confronti dei soggetti non residenti.

Per quanto concerne le operazioni di prestito di titoli garantito di cui all'art. 41, comma 1, lettera g-ter), del T.U.I.R., la disposizione contenuta nel quinto periodo del comma 1, dell'art. 42 del T.U.I.R. stabilisce che nei relativi proventi si comprende, oltre al compenso del mutuo, anche il controvalore degli interessi e degli altri proventi dei titoli, non rappresentativi di partecipazioni, maturati nel periodo di durata del rapporto.

Al riguardo, la relazione illustrativa precisa che tale disciplina trova applicazione con riferimento sia ai titoli rientranti nella normativa recata dal decreto legislativo 1 aprile 1996, n. 239, che ai titoli esclusi da tale normativa; inoltre, qualora nel corso dell'operazione venga a scadenza una cedola ed il mutuatario provveda a retrocede al mutuante l'intero valore della cedola medesima, nessuna ritenuta deve essere effettuata sulla quota parte della somma retrocessa al mutuante corrispondente agli interessi maturati prima dell'accensione del prestito. In tal modo la nuova normativa ribadisce quella attuale, in quanto conferma che se nella operazione in parola il soggetto che presta i titoli è un nettista, secondo la disciplina recata dal decreto legislativo da ultimo richiamato, questi continua ad essere soggetto all'imposta sostitutiva anche sui ratei di interessi maturati durante tutta la durata del prestito, anche se di fatto non avviene alcuno scambio di ratei. Con tale disciplina viene eliminata, quindi, ogni possibilità di utilizzare questa operazione con finalità elusive. Nello stesso tempo, per i prestiti che hanno ad oggetto obbligazioni, se l'operazione si svolge a cavallo della cedola, l'importo della stessa deve essere retrocesso al lordo e anche in questo caso gli interessi maturati durante il periodo di valenza del contratto vengono assoggettati ad imposta se il soggetto che ha prestato i titoli è un nettista.

Con riferimento alla garanzia che il soggetto che prende in prestito i titoli (borrower) offre al soggetto che li cede in prestito (lender) la nuova disposizione recata dal comma 2 dell'articolo 2 del provvedimento in oggetto - che riproduce nella sostanza la norma di cui all'articolo 7, comma 3, del decreto-legge 8 gennaio 1996, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 marzo 1996, n. 110, concernente il regime fiscale dei beni dati in garanzia nell'ambito dell'operazione di prestito titoli - mantiene inalterata l'attuale disciplina riguardante il pegno irregolare. Viene infatti ribadito che nel caso in cui le somme o i beni offerti in garanzia dal borrower siano costituiti in pegno irregolare e su di essi non vengano compiuti atti di disposizione, il regime fiscale applicabile sui proventi dei beni dati in garanzia rimane quello del borrower. La disposizione in commento chiarisce, tra l'altro, che non si considera atto di disposizione tanto l'immissione di somme o di titoli in conti o depositi vincolati intestati al creditore pignoratizio (lender), ove risulti chiaro che le somme o i titoli siano esplicitamente riferibili al soggetto costituente il pegno (borrower), quanto l'utilizzo di tali somme o beni da parte del mutuante ai fini della costituzione di garanzie nell'ambito di altri contratti di prestito titoli, sempre a condizione comunque che la controparte non compia atti di disposizione sui beni costituiti in pegno.

Si segnala inoltre che la disposizione antielusiva contenuta nel comma 3 dell'articolo del provvedimento in esame stabilisce che nei rapporti sopra considerati - cioè pronti contro termine, riporto e prestito titoli - il cessionario a pronti, il riportatore e il mutuatario hanno diritto al credito d'imposta sui dividendi soltanto qualora tale diritto sarebbe spettato al cedente a pronti, al riportato e al mutuante.

1.2.4 Determinazione dei redditi di capitale di cui alle lettere a), b), c), d), e), f), g-quater e h)

Per quanto concerne le fattispecie costituenti redditi di capitale di cui alle lettere a), b),c), d), e), f), g-quater) e h), si precisa che il decreto legislativo n. 461 del 1997, salvo quanto già detto nel paragrafo 1.2.1 relativamente alle differenze tra il prezzo di emissione o la somma o il valore normale dei beni impiegati, apportati o affidati in gestione e la somma percepita o il valore normale dei beni ricevuti alla scadenza, non ha apportato modifiche alla determinazione della base imponibile.

Con riferimento alla determinazione degli interessi e altri proventi che maturano "pro rata temporis" sui titoli obbligazionari e similari si precisa che essi vanno calcolati seguendo i correnti usi di mercato.

 

 

Capitolo II

Disciplina dei redditi diversi di natura finanziaria. Individuazione e determinazione

2.1 Le fattispecie costituenti redditi diversi.

2.1.1 Generalità

Come già precisato, la legge di delega ha imposto una nuova definizione dei redditi di capitale e dei redditi diversi dando prevalenza, nell'individuazione delle fattispecie imponibili, più agli effetti giuridici sostanziali che alla configurazione civilistica formale. Pertanto, la nuova definizione di reddito di capitale qualifica come redditi di capitale tutti quei proventi che derivano da rapporti aventi per oggetto l'impiego di capitale secondo uno schema produttivo analogo a quello civilistico (art. 820, comma 3 del codice civile, cioè i corrispettivi periodici che si ritraggono dalla cosa per il godimento che altri ne abbia). Nella categoria dei redditi diversi, che, come noto, assume una funzione complementare anche con riferimento ai redditi di capitale, sono, invece, stati inquadrati tutti i redditi che costituiscono guadagni di capitale. A tal fine, è stato previsto, tra l'altro, con riferimento alla categoria dei redditi diversi:

a) la revisione della disciplina dei redditi derivanti da cessioni di partecipazioni in società o enti, di altri valori mobiliari, nonché di valute e metalli preziosi;

b) l'introduzione di norme volte ad assoggettare ad imposizione i proventi derivanti da strumenti finanziari, con o senza attività sottostanti;

c) la possibilità di prevedere esclusioni, anche temporanee, dalla tassazione oppure franchigie;

d) l'introduzione di norme di chiusura volte ad evitare arbitraggi fiscali tra fattispecie produttive di redditi di capitali o diversi e quelle produttive di risultati economici equivalenti.

In aderenza a tali principi, il legislatore ha provveduto, quindi, ad ampliare la sfera di imponibilità dei redditi diversi di cui all'art. 81 del T.U.I.R., articolando le varie tipologie reddituali su quattro disposizioni di tipo analitico ed una quinta disposizione con funzione di chiusura. Per meglio comprendere la nuova disciplina è opportuno prendere le mosse da quella vigente anteriormente all'entrata in vigore della riforma.

2.1.2 La disciplina dei redditi diversi di natura finanziaria in vigore prima della riforma operata con il D.Lgs. n. 461 del 1997

Come noto, il regime tributario delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni sociali è stato per la prima volta specificamente disciplinato dall'articolo 3 del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853, convertito dalla legge 17 febbraio 1985, n. 17, che ha inquadrato le plusvalenze stesse tra i redditi diversi di cui all'articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597. La anzidetta norma è stata illustrata con circolare della soppressa Direzione generale delle imposte dirette n. 16 del 10 maggio 1985.

In seguito, la menzionata previsione normativa è stata riprodotta, con alcune modifiche, nell'articolo 81 del T.U.I.R., recante l'elencazione tassativa delle fattispecie reddituali che costituiscono redditi diversi. In tale categoria rientrano, come è noto, i redditi che non sono compresi nelle altre categorie reddituali di cui all'articolo 6 del medesimo testo unico. Si tratta di una disposizione di carattere residuale, che raccoglie una tipologia variegata ed eterogenea di redditi, privi di collegamento fra loro perché accomunati solo:

- dalla circostanza che tutti determinano un incremento di ricchezza;

- dalla carenza dei requisiti che caratterizzano le altre categorie reddituali.

Nel comma 1 dell'articolo 81 è contenuto un principio di carattere generale in base al quale le fattispecie ivi elencate costituiscono redditi diversi se non sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni e di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente. Pertanto, possono essere possessori di redditi diversi: le persone fisiche residenti, purché il reddito non sia conseguito nell'esercizio di attività d'impresa, arti o professioni o in qualità di lavoratore dipendente; le società semplici e i soggetti ad essi equiparati ai sensi dell'articolo 5 del T.U.I.R.; gli enti non commerciali indicati nella lettera c) del comma 1 dell'articolo 87 del T.U.I.R., se l'operazione da cui deriva il reddito non è effettuata nell'esercizio di impresa commerciale; le persone fisiche non residenti senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, quando il reddito si considera prodotto nel medesimo territorio ai sensi dell'articolo 20 del T.U.I.R.; le persone fisiche non residenti con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, se il reddito è prodotto nel territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 20 del T.U.I.R. al di fuori dalla stabile organizzazione; le società semplici e i soggetti ad esse equiparati ai sensi dell'articolo 5 del T.U.I.R. non residenti, se il reddito è prodotto, ai sensi dell'articolo 20 del T.U.I.R., nel territorio dello Stato; le società e gli enti commerciali non residenti senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, se il reddito si considera prodotto nel territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 20 del T.U.I.R.; le società e gli enti commerciali non residenti con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, per il reddito prodotto al di fuori della stabile organizzazione; gli enti non commerciali non residenti senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, se il reddito, ai sensi dell'articolo 20 del T.U.I.R., si considera prodotto nel territorio dello Stato; gli enti non commerciali non residenti con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, per il reddito prodotto al di fuori della stabile organizzazione.

Va ricordato che una delle novità concernenti i redditi diversi nel sistema delineato con l'entrata in vigore del T.U.I.R. era costituita dalla soppressione della precedente previsione concernente la presunzione relativa (che cioè ammette la prova contraria) riguardante le plusvalenze conseguite mediante operazioni speculative. Tale soppressione era stata operata proprio per disancorare la tassabilità dalla verifica dell'intento speculativo ed ha consentito un progressivo allargamento del concetto di plusvalenza e, quindi, delle fattispecie contenute nell'articolo in questione.

Tra le plusvalenze elencate tassativamente nell'articolo 81 del T.U.I.R. assumevano particolare rilievo quelle derivanti dalla cessione di partecipazioni sociali di cui alla lettera c) del comma 1 del citato articolo; si ricorda che detta disposizione ha subito nel corso del tempo numerose modifiche. L'originaria lettera c) disciplinava "le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali, escluse quelle acquisite per successione o donazione, superiori al 2, al 10 o al 25 per cento del capitale della società secondo che si tratti di azioni ammesse alla borsa o al mercato ristretto, di altre azioni o di partecipazioni non azionarie, se il periodo intercorso tra la data dell'ultimo acquisto a titolo oneroso, o dell'ultima sottoscrizione per ammontare superiore a quello spettante in virtù del diritto di opzione, e la data della cessione non è superiore a cinque anni. La percentuale di partecipazione è determinata tenendo conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici mesi ancorché nei confronti di soggetti diversi; si considerano cedute per prime le partecipazioni acquisite in data più recente". Le percentuali del 10 e del 25 per cento furono ridotte al 5 e al 15 per cento con l'articolo 7, comma 5, della legge n. 67 del 1988.

Successivamente, l'articolo 3, comma 6, del decreto-legge 28 gennaio 1991, n. 27 (sostitutivo del D.L. 27 novembre 1990, n. 350 e del D.L. 28 settembre 1990, n. 267, entrambi non convertiti), convertito dalla legge 25 marzo 1991, n. 102, ha sostituito la lettera c) dell'articolo 81 con due distinte disposizioni contraddistinte dalle lettere c) e c-bis). La lettera c) così sostituita differiva dalla precedente in quanto era stata eliminata la previsione esonerativa relativa al periodo di detenzione della partecipazione (se il periodo intercorso tra la data dell'ultimo acquisto a titolo oneroso, o dell'ultima sottoscrizione per ammontare superiore a quello spettante in virtù del diritto di opzione, e la data della cessione non è superiore a cinque anni). Va peraltro, precisato che il limite della percentuale del 15 per cento è stato poi ridotto al 10 per cento dall'articolo 1, comma 1, lettera l), del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133.

La lettera c-bis), invece, prevedeva "le plusvalenze diverse da quelle imponibili ai sensi della lettera c), realizzate mediante cessione a titolo oneroso di azioni, quote rappresentative del capitale o del patrimonio e di altre partecipazioni analoghe, nonché di certificati rappresentativi di partecipazioni in società, associazioni, enti ed altri organismi nazionali ed esteri, di obbligazioni convertibili, diritto di opzione ed ogni altro diritto, che non abbia natura di interesse, connesso ai predetti rapporti, ancorché derivanti da operazioni a premio e da compravendita a pronti o a termine. Non si tiene conto delle plusvalenze realizzate se il periodo di tempo intercorso tra la data dell'acquisto o della sottoscrizione per ammontare superiore a quello spettante in virtù del diritto di opzione e la data della cessione è superiore a quindici anni; si considerano cedute per prime le partecipazioni acquisite in data più recente". Le disposizioni concernenti le modalità di determinazione delle plusvalenze di cui alle citate lettere c) e c-bis) e i criteri di tassazione erano contenuti nel predetto decreto-legge n. 27 del 1991.

La disciplina relativa alla cessione di partecipazioni, così come modificata del citato decreto-legge n. 27 del 1991, è stata illustrata con circolari della soppressa Direzione generale delle imposte dirette n. 22 del 22 ottobre 1990 e n. 14 dell'11 aprile 1991.

Va precisato, inoltre, che ai sensi dell'articolo 7 del decreto-legge 9 settembre 1992, n. 372, convertito dalla legge 5 novembre 1992, n. 429, l'imposta sostitutiva sulle plusvalenze non era dovuta per le plusvalenze realizzate ai sensi della lettera c-bis) dell'art. 81 mediante cessione a titolo oneroso di valori mobiliari quotati nei mercati regolamentati italiani a decorrere dal 9 novembre 1992 e fino alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dall'articolo 18 della legge 29 dicembre 1990, n. 408. Successivamente era stato previsto che in ogni caso la sospensione delle imposte in questione non potesse andare oltre una certa data (31 dicembre 1992); l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 23 maggio 1994, n. 308, convertito dalla legge 22 luglio 1994, n. 458, ha stabilito che la disposizione contenuta nel citato articolo 7 del decreto-legge n. 372 del 1992 si dovesse applicare fino all'entrata in vigore dei provvedimenti di riordino dei redditi di capitale e diversi (quindi fino al 1° luglio 1998, data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 461 del 1997). Per le cessioni qualificate, invece, è sempre rimasta in vigore la disciplina recata dal predetto decreto-legge n. 27 del 1991.

L'articolo 3 del decreto-legge 17 settembre 1992, n. 378, convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 437, ha, poi, inserito nel comma 1 dell'articolo 81, la lettera c-ter), subito sostituita con l'articolo 67, comma 1, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 (che reiterava il precedente decreto legge n. 513 del 1992, e decreto legge n. 131 del 1993), convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, nella quale sono state previste le plusvalenze realizzate mediante cessione a termine di valute estere ovvero conseguite attraverso altri contratti che assumono, anche in modo implicito, valori a termine di valute come riferimento per la determinazione del corrispettivo. Nella stessa lettera è stato precisato che per le cessioni a termine le suddette plusvalenze erano costituite dalla differenza tra il corrispettivo della cessione e quello dell'acquisto della valuta ceduta, se l'acquisto è contestuale alla stipula del contratto a termine, e, negli altri casi, dalla differenza tra il corrispettivo della cessione e il valore della valuta ceduta, al cambio a pronti vigente alla data della stipula del contratto. Per gli altri contratti le plusvalenze erano costituite dalla differenza tra il valore a termine della valuta assunto come riferimento e il corrispettivo dell'acquisto della valuta, se l'acquisto è contestuale alla stipula del contratto, e, negli altri casi, dalla differenza tra il suddetto valore e quello a pronti della valuta, al cambio vigente alla data di stipula del contratto. Non erano considerate plusvalenze quelle conseguite attraverso contratti uniformi a termine negoziati nei mercati regolamentati di cui all'articolo 23 della legge 2 gennaio 1991, n. 1.

Infine, l'articolo 4 del decreto-legge 29 settembre 1997, n. 328, convertito dalla legge 29 novembre 1997, n. 410, ha apportato alcune modifiche al decreto-legge n. 27 del 1991 e ha sostituito, con effetto dal 1° ottobre 1997, la lettera c) dell'articolo 81, comma 1, del T.U.I.R., riguardante il regime tributario delle plusvalenze, conseguite da soggetti non esercenti attività di impresa, derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate. In quest'ultima formulazione (antecedente, dunque, alle modifiche del decreto legislativo n. 461 del 1997) la lettera c) del comma 1 dell'articolo 81 prevedeva le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali nonché di diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni, qualora le partecipazioni, i diritti o i titoli ceduti rappresentino complessivamente una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 2, al 5 o al 10 per cento, secondo che si tratti di azioni negoziate in mercati regolamentati, altre azioni o di partecipazioni non azionarie. Per i diritti o i titoli attraverso cui possono essere acquisite partecipazioni si tiene conto delle percentuali potenzialmente ricollegabili alle predette partecipazioni. La percentuale di partecipazione è sempre determinata tenendo conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici mesi, ancorché nei confronti di soggetti diversi; si considerano cedute per prime le partecipazioni, i diritti o i titoli acquisiti in data più recente. Sono escluse le partecipazioni, i diritti o i titoli acquistati per successione.

Ricostruita l'evoluzione normativa delle disposizioni concernenti i guadagni di capitale, è opportuno esaminare i regimi di tassazione concernenti le plusvalenze realizzate fino al 30 giugno 1998 in quanto gli stessi si rendono applicabili anche ai corrispettivi ad esse riferibili percepiti successivamente a tale data (cfr. art. 14, comma 4, del D.Lgs. n. 461 del 1997).

2.1.2.1 Regime analitico

Il regime analitico, disciplinato dall'articolo 2 del decreto-legge n. 27 del 1991, prevede l'obbligo di indicare nella dichiarazione dei redditi le plusvalenze e/o le minusvalenze, diverse da quelle conseguite nell'esercizio di imprese commerciali, realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di azioni, quote rappresentative del capitale o del patrimonio e di altre analoghe partecipazioni, nonché dei certificati rappresentativi di partecipazione in società, associazioni, enti o altri organismi nazionali ed esteri, di obbligazioni convertibili, diritti di opzione e ogni altro diritto, che non abbia la natura di interesse, connesso ai predetti rapporti, anche se derivanti da operazioni a premio e da compravendita a pronti o a termine.

Il regime analitico è obbligatorio per le partecipazioni "qualificate" ossia per quelle partecipazioni sociali superiori al 2, al 5 o al 10 per cento del capitale della società, a seconda che si tratti di azioni ammesse alla borsa o al mercato ristretto, di altre azioni o di partecipazioni non azionarie.

Le predette plusvalenze sono assoggettate ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 25 per cento; detta imposta deve essere versata dal contribuente nei termini e con le modalità previsti per il pagamento a saldo delle imposte derivanti dalla dichiarazione stessa.

A seguito delle modifiche operate dall'articolo 4, comma 2, del decreto-legge n. 328 del 1997, le plusvalenze da indicare in dichiarazione non sono solo quelle derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali qualificate ma anche quelle derivanti dalla cessione di diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni.

Pertanto, ai fini del computo di dette percentuali si deve tenere conto non solo delle partecipazioni cedute, ma anche dei diritti (es. diritti di opzione, warrant) o titoli (es. obbligazioni convertibili) ceduti attraverso cui possono essere acquisite le partecipazioni medesime.

La percentuale di partecipazione è determinata tenendo conto di tutte le cessioni effettuate nel corso dei dodici mesi che precedono l'ultima cessione di titoli o diritti anche se le cessioni sono effettuate nei confronti di soggetti diversi.

Considerato che l'articolo 21, comma 23, della legge n. 449 del 1997 ha stabilito che l'articolo 4, comma 2, del decreto-legge n. 328 del 1997 si applica alle operazioni effettuate a decorrere dal 1° ottobre 1997, con specifico riferimento al calcolo della percentuale rilevante in caso di cessioni, effettuate a partire dal 1° ottobre 1997, di titoli o diritti attraverso i quali possono essere potenzialmente acquisite le partecipazioni di cui all'articolo 81, comma 1, lettera c), del T.U.I.R., si precisa che detti titoli o diritti devono essere sommati alle partecipazioni cedute prima del 1° ottobre 1997, sia nel caso in cui alla medesima data risultino già superate le percentuali che qualificano le partecipazioni, sia nel caso in cui dette percentuali vengano superate per effetto di ulteriori cessioni poste in essere a partire dal 1° ottobre 1997.

Si ricorda che, secondo la disciplina vigente prima della riforma operata con il decreto legislativo n. 461 del 1997 (e di fatto anticipata, con effetto dal 1° ottobre 1997, dal più volte citato art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 358 del 1997), le cessioni di diritti d'opzione, warrant e obbligazioni convertibili erano ricomprese nella lettera c-bis) del comma 1 dell'articolo 81 e quindi erano imponibili mediante l'applicazione del regime analitico o di quello forfetario, indipendentemente dalla quota di capitale rappresentata dal diritto ceduto (cfr. circolare n. 73/E del 27 maggio 1994).

La lettera c) dell'articolo 81, anche dopo le modifiche del decreto-legge n. 328 del 1997, ribadisce che: «Sono escluse le partecipazioni, i diritti o i titoli acquisiti per successione». Pertanto, come avveniva prima di tale intervento normativo, la cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate ottenute a seguito di successione ricade nella previsione della lettera c-bis) del medesimo articolo 81.

L'imposta sostitutiva non è dovuta, fino all'entrata in vigore del riordino del trattamento tributario dei redditi di capitale e diversi, per le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di valori mobiliari quotati nei mercati regolamentati italiani di cui alla lettera c-bis), comma 1, dell'articolo 81 del T.U.I.R., nonché per le cessioni di partecipazioni, titoli o diritti di cui al medesimo articolo 81, comma 1, lettera c-bis), diversi da quelli negoziati nei mercati regolamentati italiani, detenute per un periodo superiore a 15 anni.

La plusvalenza relativa alle cessioni delle partecipazioni di cui alle lettere c) e c-bis) del comma 1 dell'articolo 81, è costituita dalla differenza tra il corrispettivo percepito, comprensivo degli interessi per dilazioni di pagamento, ed il prezzo pagato all'atto del precedente acquisto ovvero, se l'acquisto è avvenuto per successione, il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato ai fini della relativa imposta; per le partecipazioni ricevute in donazione, si fa riferimento al prezzo che è stato pagato all'atto dell'ultimo acquisto avvenuto a titolo oneroso, ovvero al valore definito dal precedente titolare o, in mancanza, a quello da lui dichiarato agli effetti dell'imposta di successione. In ogni caso, il prezzo è aumentato di ogni altro costo inerente alla partecipazione ceduta (bolli, commissioni, imposte, con esclusione degli oneri finanziari) ed è diminuito delle somme o del valore normale dei beni ricevuti a titolo di ripartizione delle riserve e altri fondi di cui all'articolo 44, comma 1, del T.U.I.R.

Ai fini della determinazione delle plusvalenze o delle minusvalenze, ai sensi dell'articolo 2, comma 5, del citato decreto-legge n. 27 del 1991, il costo fiscalmente riconosciuto può essere adeguato in base ad un coefficiente pari al tasso di variazione della media dei valori dell'indice mensile dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati rilevati nell'anno in cui è avvenuto l'acquisto, a condizione che, tra la cessione e l'acquisto, siano intercorsi non meno di 12 mesi. Tuttavia, limitatamente alle plusvalenze divenute imponibili per effetto del decreto-legge n. 27 del 1991, comprese le plusvalenze su partecipazioni sociali possedute al 28 gennaio 1991 da meno di cinque anni e cedute dopo il compimento del quinquennio, a richiesta dell'interessato, può essere assunto per la determinazione del prezzo di acquisto di titoli, quote o diritti quotati in borsa o negoziati al mercato ristretto, quello risultante dalla media dei prezzi di compenso o dei prezzi fatti nel corso dell'anno 1990, della borsa valori di Milano, o, in difetto, delle borse presso cui i titoli sono quotati; per gli altri titoli, quote o diritti non quotati può essere assunto, a richiesta dell'interessato, il valore alla data del 28 gennaio 1991, risultante da apposita valutazione peritale.

L'imposta sostitutiva del 25 per cento è commisurata all'ammontare delle plusvalenze al netto delle minusvalenze. Se l'ammontare di queste ultime supera quello delle plusvalenze, la differenza può essere computata in diminuzione dei redditi della stessa specie realizzati nei successivi periodi d'imposta, ma non oltre il quinto.

2.1.2.2 Regime forfetario

Il regime forfetario, disciplinato dall'articolo 3 del decreto-legge n. 27 del 1991, rappresenta il regime opzionale di tassazione delle plusvalenze realizzate in ciascuna operazione qualora il contribuente si avvalga di intermediari. Tale regime prevede l'applicazione di un'imposta sostitutiva nella misura del 15 per cento su una plusvalenza presuntivamente fissata originariamente dal citato decreto-legge n. 27 del 1991 pari al 7 per cento del corrispettivo pattuito. Il decreto-legge n. 328 del 1997 ha innalzato la percentuale del 7 per cento al 14 per cento per le operazioni poste in essere dal 30 settembre 1997.

La predetta opzione, da esercitare all'atto della prima cessione effettuata nel periodo d'imposta, è valida per tutte le operazioni che vengono poste in essere nello stesso periodo d'imposta, ma non può essere esercitata per le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali di cui alla lettera c) del comma 1 dell'articolo 81 del T.U.I.R., ad eccezione di quelle acquisite per successione.

L'opzione è pertanto ammessa nei seguenti casi:

1. per le cessioni di partecipazioni non qualificate;

2. per le cessioni di partecipazioni, titoli o diritti anche se rappresentano una partecipazione qualificata acquisiti per successione.

Le plusvalenze relative alle partecipazioni per le quali si è verificato il superamento delle predette percentuali di cui alla lettera c) devono essere assoggettate al regime analitico. L'eventuale imposta sostitutiva pagata in misura forfetaria sulle cessioni effettuate anteriormente al superamento delle percentuali costituisce un credito d'imposta da portare, in sede di dichiarazione dei redditi, in diminuzione dall'imposta sostitutiva calcolata secondo il metodo ordinario.

 

 

2.2 La disciplina in vigore con la riforma operata con il D.Lgs. n. 461 del 1997.

Come si è già avuto modo di rilevare, il decreto legislativo n. 461 del 1997 ha mantenuto l'inserimento dei guadagni di capitale nell'ambito dell'articolo 81 del T.U.I.R. e, pertanto, resta fermo l'ambito dei soggetti, indicati nel paragrafo 2.2, che possono esserne possessori. Al riguardo, si precisa che nel caso in cui le operazioni di cui trattasi sono poste in essere per il tramite di società fiduciarie continuano a trovare applicazione i chiarimenti forniti con la circolare n. 22 del 1990. Si segnala, inoltre, che anche le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, possono essere comprese tra i destinatari delle disposizioni in discorso qualora siano inquadrabili tra i soggetti elencati nel precedente paragrafo 2.2.

Come già anticipato, le disposizioni del decreto legislativo in commento introducono le seguenti fattispecie imponibili:

- plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di titoli diversi da quelli partecipativi e dai certificati di massa;

- plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute immesse in depositi e conti correnti;

- plusvalenze derivanti dalla cessione di metalli preziosi, allo stato grezzo o monetato;

- redditi derivanti dalla cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari, di rapporti produttivi di redditi di capitale e di strumenti finanziari, nonché proventi realizzati mediante rapporti attraverso i quali possono essere conseguiti differenziali positivi o negativi in dipendenza di un evento incerto.

Per quanto concerne, in particolare, le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di titoli partecipativi - la cui imponibilità è stata ovviamente confermata - le differenze di maggior rilievo, che verranno nel prosieguo analiticamente esaminate, consistono:

- nell'abolizione del regime forfetario di determinazione della plusvalenza. Anche le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate sono soggette alla determinazione analitica della base imponibile;

- nell'adozione di nuovi criteri per individuare le cessioni di partecipazioni qualificate. Al riguardo si osserva che, in aggiunta al criterio della percentuale di partecipazione al capitale o al patrimonio della società o dell'ente, è stato introdotto anche quello della percentuale di voto esprimibile nelle assemblee ordinarie. Inoltre, tra le cessioni rilevanti ai fini di cui trattasi sono state incluse anche quelle riguardanti i titoli o i diritti attraverso i quali possono essere acquisite le partecipazioni. Infine, è stata soppressa la norma che escludeva da tassazione le plusvalenze realizzate mediante cessione di partecipazioni non qualificate di cui alla lettera c-bis) dell'art. 81 del T.U.I.R. possedute da più di 15 anni;

- nella fissazione di nuove aliquote dell'imposta sostitutiva in misura pari al 27 per cento, se trattasi di cessione di partecipazioni qualificate, e al 12,50 per cento, se trattasi di cessione di partecipazioni non qualificate;

- nella possibilità di compensare le plusvalenze con le minusvalenze nell'ambito delle due masse;

- nella soppressione del criterio della rivalutazione del costo o del valore di acquisto, tranne quanto è stabilito per il regime transitorio;

- nella irrilevanza, ai fini del computo delle partecipazioni qualificate, della circostanza che le partecipazioni siano state acquisite per successione;

- nella introduzione, ai fini dell'applicazione del criterio della rilevanza delle cessioni nell'arco dei dodici mesi, del principio in base al quale si deve riferimento al momento in cui il contribuente, anche per un sol giorno, possieda una percentuale superiore a quelle previste nella lettera c).

In relazione a quanto sopra, con l'art. 3 del provvedimento in oggetto sono state apportate le conseguenti modifiche all'art. 81 del T.U.I.R.

Le disposizioni riguardanti la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso, rispettivamente, di partecipazioni sociali qualificate (art. 81, comma 1, lett. c) e di ogni altra partecipazione o diritto di natura partecipativa (art. 81, comma 1, lett. c-bis), pur avendo conservato l'originario ambito applicativo, sono state riformulate.

È stata inoltre soppressa la disposizione che, nel testo antecedente alle modifiche apportate con il decreto legislativo n. 461 del 1997, era volta a sottoporre a imposizione i proventi derivanti dalla cessione a termine di valute e dai contratti che prendono a riferimento valori a termine delle valute per la determinazione del corrispettivo (trattasi dell'attuale lettera c-ter). Al posto di tale disposizione sono state introdotte tre nuove norme - contraddistinte rispettivamente dalle lettere c-ter), c-quater) e c-quinquies) - allo scopo di ricondurre a tassazione tra i redditi diversi le plusvalenze derivanti dalla cessione di titoli non partecipativi, di certificati di massa, di quote di partecipazione a O.I.C.V.M., di valute e di metalli preziosi (la prima), i redditi conseguiti attraverso contratti derivati ed altri contratti a termine (la seconda) e, infine, i proventi derivanti dalla cessione a titolo oneroso di contratti produttivi di redditi di capitale, crediti pecuniari e strumenti finanziari, nonché i redditi derivanti da contratti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto (la terza).

Scopo precipuo di tali modifiche è quello di rendere omogeneo il trattamento tributario dei redditi in questione con quello dei redditi di capitale.

Per completezza di trattazione si ritiene opportuno ricordare che l'art. 37-bis, introdotto nel D.P.R. n. 600 del 1973 dall'art. 7 del decreto legislativo 8 ottobre 1997, n. 358, stabilisce al comma 1 che sono inopponibili all'Amministrazione finanziaria gli atti fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi e divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi altrimenti indebiti, e al comma 3, lettera f), individua tra le fattispecie rilevanti a tali fini anche le operazioni aventi ad oggetto i beni e i rapporti di cui all'art. 81, comma 1, lettere da c) a c-quinquies), del T.U.I.R. Al riguardo, ai fini della valorizzazione dei titoli e degli strumenti, - anche per quanto concerne quelli posseduti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 461 del 1997 - l'Amministrazione finanziaria potrà assumere anche criteri analoghi a quelli già individuati dalla Consob per quanto attiene lo scostamento massimo dai prezzi di borsa. Si rinvia, per ulteriori chiarimenti, in ordine all'applicazione della norma antielusiva al contenuto della circolare 19 dicembre 1997, n. 320/E.

2.2.1 Plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate

La nuova formulazione dell'art. 81, comma 1, lettera c), del T.U.I.R. considera cessioni di partecipazioni qualificate le cessioni a titolo oneroso di partecipazioni al capitale o al patrimonio di:

- società di persone ed equiparate residenti nel territorio dello Stato di cui all'articolo 5 del T.U.I.R. (con la sola esclusione delle associazioni tra artisti e professionisti);

- società ed enti commerciali residenti nel territorio dello Stato (art. 87, comma 1, lettere a) e b), del T.U.I.R.). Sono in ogni caso esclusi dalla previsione normativa in esame gli enti non commerciali residenti nel territorio dello Stato; pertanto, le cessioni di partecipazione al patrimonio di tali soggetti, indipendentemente dalla quota percentuale di esso, sono ricomprese nella lettera c-bis);

- società ed enti non residenti nel territorio dello Stato (art. 87, comma 1, lett. d), del T.U.I.R.), nel cui ambito sono compresi anche le associazioni tra artisti e professionisti e gli enti non commerciali.

Si rileva che la cessione di partecipazioni è da considerare cessione di partecipazione qualificata allorquando la stessa abbia ad oggetto partecipazioni, titoli e diritti che rappresentino una percentuale superiore al 2 o al 20 per cento dei diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria, ovvero al 5 o al 25 per cento del capitale o del patrimonio, secondo che si tratti, rispettivamente, di titoli quotati in mercati regolamentati italiani o esteri o di altre partecipazioni. Analogo criterio si applica in caso di partecipazioni al capitale o al patrimonio di società ed enti non residenti nel territorio dello Stato.

Si ricorda che sono considerate cessioni a titolo oneroso le compravendite (sia a pronti che a termine) e le permute; inoltre, ai sensi dell'articolo 9, comma 5, del T.U.I.R., ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso si applicano anche agli atti che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e ai conferimenti in società.

Per quanto riguarda, invece, il riferimento ai mercati regolamentati si ricorda che tale previsione normativa è già presente nel T.U.I.R. e precisamente negli articoli 9, comma 4, lett. c), 61, comma 3, e 66, comma 1-bis). In tale nozione vanno ricompresi non solo la borsa ed il mercato ristretto, ma ogni altro mercato disciplinato da disposizioni normative; più specificamente, si intende far riferimento ai mercati regolamentati di cui al decreto legislativo 23 luglio 1996, n. 415, nonché a quelli di Stati appartenenti all'OCSE, istituiti, organizzati e disciplinati da disposizioni adottate o approvate dalle competenti autorità in base alle leggi in vigore nello Stato in cui detti mercati hanno sede.

Si precisa, inoltre, che speciali disposizioni sono dettate relativamente alle plusvalenze e alle minusvalenze nelle ipotesi di scissioni di società, per le quali l'articolo 123-bis, comma 3, del T.U.I.R. stabilisce che le azioni o le quote ricevute in concambio non costituiscono corrispettivo delle azioni annullate per effetto dell'operazione. Sono parimenti irrilevanti ai fini di cui trattasi le azioni o quote ricevute in concambio in relazione ad operazioni di fusioni societarie. Le medesime precisazioni valgono anche nel caso di operazioni infracomunitarie di cui all'art. 2, comma 5, del decreto legislativo n. 544 del 1992 (fusione, scissione, conferimenti di attivo, ecc.). Non costituiscono, inoltre, atti di realizzo gli scioglimenti della comunione con divisione in natura e senza conguaglio in denaro (articolo 1111 del codice civile).

Va, inoltre, ricordato che, a norma dell'articolo 41 del T.U.I.R., costituiscono redditi di capitale (e, quindi, non sono compresi nella disciplina dei redditi diversi) i proventi derivanti da riporto, operazioni di pronti contro termine e mutuo di titoli garantito. A norma, invece, dell'articolo 44, comma 3, del T.U.I.R. danno luogo a redditi di capitale (e non a redditi diversi) quelli compresi nei rimborsi degli investimenti aventi natura partecipativa a seguito di recesso o esclusione del socio o della liquidazione della società, in quanto le lettere c) e c-bis) dell'art. 81, a differenza della successiva lettera c-ter), non comprendono tra i presupposti di realizzo delle plusvalenze anche il rimborso di partecipazioni.

È opportuno sottolineare che innovando rispetto alla formulazione della norma vigente ante riforma - che fa esclusivo riferimento alle "partecipazioni sociali" - il legislatore menziona nel nuovo testo normativo le partecipazioni al capitale o al patrimonio con la conseguenza che, a far data dal 1° luglio 1998, potranno dar luogo a cessioni di partecipazioni qualificate, qualora siano superate le predette percentuali, anche quelle in enti commerciali diversi dalle società.

Si rileva, inoltre, che il legislatore, avvalendosi della facoltà concessagli dalla delega, ha adottato come criterio base per l'individuazione delle partecipazioni qualificate quello del diritto di voto esercitabile nell'assemblea ordinaria.

Nella relazione illustrativa del provvedimento in esame viene chiarito che tale scelta (che vale, ovviamente, solo per i soggetti forniti di organo assembleare, applicandosi, invece, per quelli privi di detti organi, il criterio della partecipazione al capitale o al patrimonio) si giustifica in considerazione del fatto che il criterio del diritto di voto è quello che meglio consente di identificare le partecipazioni che, assicurando il comando o il controllo sulla gestione della società o dell'ente partecipato, non possono essere considerate come un mero investimento di carattere finanziario, in quanto comportano un effettivo coinvolgimento nella gestione. Infatti, è solo attraverso l'esercizio dei diritti di voto, e non attraverso la semplice partecipazione al capitale, che tale controllo o comando può essere esercitato. È appena il caso di ricordare che per l'esercizio del diritto di voto non è indispensabile la piena proprietà del titolo, essendo sufficiente anche il possesso del solo diritto di usufrutto, sempreché ovviamente non sia stato espressamente convenuto, ai sensi dell'art. 2352 del codice civile, che il diritto di voto debba essere esercitato dal nudo proprietario.

Per contro, sempre nella citata relazione, viene sottolineato come i soggetti che acquistano azioni di risparmio (le quali sono state espressamente escluse dall'ambito delle partecipazioni qualificate, anche per corrispondere ad una espressa raccomandazione della Commissione parlamentare) pongano in essere soltanto un investimento di carattere meramente finanziario, anche nel caso in cui tali azioni rappresentino una percentuale di partecipazione al capitale superiore ai limiti stabiliti dalla norma. Conseguentemente, le cessioni di azioni di risparmio o di diritti che consentono l'acquisizione di azioni di risparmio non si cumulano con le cessioni di azioni ordinarie o di diritti che consentono l'acquisizione di azioni ordinarie: dette cessioni, quindi, non solo rimangono sempre soggette all'imposta sostitutiva del 12,50 per cento, ma non rilevano ai fini del calcolo delle cessioni riguardanti le partecipazioni qualificate, salvo che, naturalmente, non ne sia stata consentita la convertibilità.

Come già accennato in precedenza, in via succedanea e concorrenziale al citato criterio del diritto di voto, il legislatore ha inoltre disposto che costituiscono in ogni caso cessioni di partecipazioni qualificate quelle che rappresentano una percentuale di partecipazione al capitale o al patrimonio della società partecipata particolarmente consistente: tale percentuale è stata fissata in misura superiore al 5 o al 25 per cento, secondo che si tratti di titoli quotati in mercati regolamentati, italiani o esteri, o di altre partecipazioni, azionarie e non. Ciò consente di assoggettare alla disciplina in esame anche le partecipazioni in società che sono prive dell'organo assembleare (società di persone, enti commerciali e società o altri organismi esteri).

Alla stregua di quanto precede, per aversi cessione di partecipazione qualificata è sufficiente che la partecipazione ceduta superi, nell'arco di dodici mesi, anche uno soltanto dei due limiti percentuali sopra indicati. Tale disposizione assume particolare rilievo con riferimento alle azioni privilegiate (solo nel caso in cui danno diritto al voto nell'assemblea straordinaria), le quali possono comunque consentire un controllo della compagine sociale. È per tale motivo che, a differenza delle azioni di risparmio - le cui cessioni, come già accennato, sono comunque escluse dalla disposizione in esame per inquadrarsi nella disposizione di cui alla lettera c-bis) dell'art. 81 - per le azioni privilegiate si può verificare l'ipotesi della cessione di partecipazione qualificata qualora essa rappresenti una percentuale di partecipazione al capitale superiore al 5 o al 25 per cento.

Alle cessioni di partecipazioni qualificate sono equiparate le cessioni di titoli o diritti (ad esempio: warrants di sottoscrizione e di acquisto, opzioni di acquisto di partecipazioni, diritti d'opzione ex artt. 2441 e 2495 del codice civile, obbligazioni convertibili, ecc.) attraverso cui possono essere acquistate le predette partecipazioni e cioè quelle che rappresentino almeno il 2 o il 20 per cento dei diritti di voto ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento, secondo che si tratti di titoli quotati o di altre partecipazioni.

Pertanto, si può verificare un'ipotesi di cessione di partecipazione qualificata anche nel caso in cui vengano ceduti titoli o diritti che, autonomamente considerati o che insieme alle altre partecipazioni cedute, rappresentino una percentuale di diritti di voto e di partecipazione superiori ai limiti indicati.

Per espressa previsione della disposizione in esame, nel caso di cessione di titoli o diritti attraverso cui possono essere acquisite le partecipazioni, la percentuale dei diritti di voto e di partecipazione dev'essere calcolata prendendo a riferimento la percentuale dei diritti di voto e di partecipazione potenzialmente ricollegabile alle partecipazioni che possono essere acquisite attraverso i predetti titoli o diritti.

Per quanto riguarda le cessioni di diritti reali di godimento e, in particolare, del diritto di usufrutto e della nuda proprietà, si conferma quanto in passato chiarito dalla soppressa Direzione Generale delle imposte dirette con la circolare n. 16 del 1985, nella quale è stato precisato che in tali casi la percentuale di capitale sociale rappresentata dalla partecipazione ceduta va calcolata con riferimento alla parte del valore nominale delle partecipazioni corrispondente al rapporto tra il valore dell'usufrutto o della nuda proprietà e il valore della piena proprietà.

 

Percentuale ceduta = 

 

valore nominale azioni x valore usufrutto o nuda proprietà 

 

 

valore piena proprietà 

 

Il valore dell'usufrutto e quello della nuda proprietà si determinano secondo i criteri indicati dagli articoli 46 e 48 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro).

Sempre per quanto attiene alla percentuale di diritti di voto e di partecipazione, è stata riprodotta, anche nella formulazione della nuova norma, la regola secondo cui agli effetti della sua determinazione si deve tener conto di tutte le cessioni effettuate nell'arco di dodici mesi, ancorché nei confronti di soggetti diversi. Pertanto, in occasione di ogni cessione si devono considerare tutte le cessioni che hanno avuto luogo nei dodici mesi dalla data di essa, anche se ricadenti in periodi d'imposta diversi.

L'applicazione della regola che impone di tener conto di tutte le cessioni effettuate nei 12 mesi è stata tuttavia subordinata alla condizione che il contribuente possieda, almeno per un giorno, una partecipazione superiore alle percentuali sopra indicate. È stata in tal modo recepita una raccomandazione della Commissione parlamentare, oltre che per esigenze di semplificazione, anche per quel che concerne i rapporti con gli intermediari che gestiscono patrimoni.

Conseguentemente, fintanto che il contribuente non possieda una partecipazione superiore alle suddette percentuali, tutte le cessioni effettuate nel corso dei dodici mesi, anche se complessivamente superiori alle predette percentuali per effetto di reiterate operazioni di acquisto e di vendita, non possono considerarsi cessioni di partecipazioni qualificate. Per contro, dal momento in cui sia stata superata, come possesso, una delle predette percentuali, le cessioni effettuate nei dodici mesi successivi sono considerate cessioni di partecipazioni qualificate se a loro volta sono superiori alle percentuali stesse, e ciò fino a quando non siano trascorsi dodici mesi dal momento in cui il possesso della partecipazione da parte del contribuente sia sceso al di sotto della percentuale prevista dalla norma.

Come già accennato, con la riforma sono configurabili come cessioni di partecipazioni qualificate, anche le cessioni di partecipazioni, diritti, e titoli acquisiti per successione.

2.2.2 Plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate

Nel caso in cui le partecipazioni, i titoli o i diritti ceduti rappresentino una percentuale complessiva di diritti di voto ovvero una percentuale di partecipazione al capitale o al patrimonio - determinata con i criteri precedentemente illustrati - pari o inferiore alle indicate percentuali, le plusvalenze realizzate attraverso la loro cessione, pur non essendo inquadrabili tra le partecipazioni qualificate, rimangono, come nella disciplina in vigore prima della riforma, comunque imponibili sulla base della disposizione contenuta nella lettera c-bis) dell'art. 81, comma 1, del T.U.I.R. Tale disposizione, infatti, è volta a ricondurre a tassazione tra i redditi diversi le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di tutte quelle partecipazioni, titoli o diritti che attribuiscono il diritto di acquistare partecipazioni, che non risultino imponibili in base alla disposizione di cui alla lettera c) del medesimo articolo a causa del mancato raggiungimento delle percentuali minime di diritti di voto e di partecipazione al capitale o al patrimonio ivi previste, ovvero perché la cessione ha ad oggetto azioni di risparmio non convertibili e quote di partecipazione in enti non commerciali residenti, indipendentemente, per queste ultime due ipotesi, dalla percentuale di partecipazione al capitale o al patrimonio che le stesse rappresentano.

Dal combinato disposto delle lettere c) e c-bis) dell'art. 81 del T.U.I.R. risulta evidente, ancorché ciò non risulti espressamente come richiesto dalla Commissione parlamentare, che l'eventuale cessione di partecipazioni in enti non commerciali residenti ricade esclusivamente nella disposizione in esame e non può quindi mai rientrare nell'ambito applicativo della lettera c) del predetto art. 81. Va osservato, inoltre, che per espressa previsione normativa restano escluse anche dalla lettera c-bis) le plusvalenze realizzate mediante cessioni di partecipazioni al capitale o al patrimonio delle associazioni tra artisti e professionisti di cui all'articolo 5, comma 3, del T.U.I.R., residenti nel territorio dello Stato. Al riguardo si precisa che restano comunque assoggettate a tassazione, sia pure ad altro titolo, le somme attribuite ai soci o agli associati in caso di recesso dalla società o associazione.

2.2.3 Plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso o dal rimborso di titoli e certificati di massa non aventi natura partecipativa. Plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute o rivenienti da depositi o conti correnti. Plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di metalli preziosi e di quote di partecipazione ad organismi d'investimento collettivo

In attuazione della disposizione recata dalla lettera b) della legge delega citata in premessa, nell'art. 81 del T.U.I.R. è stata sostituita la lettera c-ter). Con la nuova formulazione della lettera in esame vengono inclusi tra i redditi diversi anche le plusvalenze realizzate mediante:

a) la cessione a titolo oneroso, ovvero il rimborso, di titoli o certificati di massa, diversi da quelli di natura partecipativa, con esclusione dei titoli rappresentativi di merci;

b) la cessione a termine o il prelievo da depositi e conti correnti di valute estere;

c) la cessione a titolo oneroso di metalli preziosi allo stato grezzo o monetato;

d) la cessione a titolo oneroso o il rimborso di quote di partecipazione ad organismi di investimento collettivo.

Per quanto riguarda le cessioni di cui alla precedente lettera a) va osservato che l'uso strumentale del termine "titoli" in contrapposizione a quello di "certificati di massa" lascia intendere che il legislatore ha inteso riferirsi ai titoli di credito. Pertanto, vengono assoggettate a imposizione, come redditi diversi, le plusvalenze derivanti dalla cessione di ogni tipo di titolo non avente natura partecipativa (esclusi soltanto, come già precisato, i titoli rappresentativi di merci), e quindi sia i titoli di massa (ad esempio, le obbligazioni e i titoli similari, ivi compresi i certificati di partecipazione ad organismi d'investimento, aperti o chiusi, mobiliari o immobiliari, ed i titoli atipici, quali i certificati rappresentativi di contratti di associazione in partecipazione, ecc.), sia i titoli individuali (quali, ad esempio, i certificati di deposito, le cambiali e le accettazioni bancarie, ecc.).

Peraltro, ribadendo un criterio già adottato nella formulazione del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R., il legislatore ha inoltre equiparato ai titoli veri e propri anche i "certificati di massa" che sono documenti offerti in sottoscrizione al pubblico o comunque potenzialmente idonei alla circolazione presso il pubblico e che, pur essendo rappresentativi di crediti, non costituiscono titoli di credito. La ragione di tale equiparazione va ricercata nel fatto - posto in evidenza nella relazione illustrativa del provvedimento in oggetto - che la cessione di tali certificati costituisce generalmente lo strumento per far circolare i crediti da essi rappresentati, senza l'osservanza delle forme previste per la loro cessione.

Per quanto concerne l'esclusione dei titoli rappresentativi di merci dal novero dei titoli la cui cessione dà luogo a plusvalenze imponibili, nella relazione illustrativa è stato precisato che tale esclusione trova giustificazione nel fatto che, dal momento in cui il legislatore ha previsto di non sottoporre a imposizione come redditi diversi le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di merci, sarebbe stato illogico attrarre ad imposizione le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso dei predetti titoli, essendo evidente che tali plusvalenze trovano fonte nel maggior valore assunto dalle merci.

Attesa la formulazione della norma in esame, si osserva che l'emergenza di una plusvalenza (o di una minusvalenza) può verificarsi non solo in caso di cessione a titolo oneroso, ma anche a seguito del rimborso dei titoli e dei certificati suddetti, come accade, ad esempio, quando un titolo o certificato sia stato acquistato a un prezzo inferiore (per l'ipotesi della plusvalenza) o superiore (per l'ipotesi della minusvalenza) al valore nominale e sempreché il rimborso sia avvenuto a tale valore.

Con riferimento alle valute estere (lettera b) dell'elencazione che precede), anch'esse, come già detto, previste nella nuova lettera c-ter), il legislatore ha inteso assoggettare a imposizione solo le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso delle valute di cui sia stata acquisita e mantenuta la disponibilità per fini di mero investimento.

Considerato tuttavia che sarebbe stato alquanto problematico accertare di volta in volta quando la disponibilità della valuta sia stata acquisita e mantenuta per finalità d'investimento finanziario, il legislatore ha stabilito che tale finalità deve ritenersi esistente per presunzione assoluta di legge in due diverse ipotesi e cioè nelle ipotesi in cui la valuta sia stata ceduta a termine ovvero immessa su depositi o conti correnti.

Alla cessione a titolo oneroso della valuta il legislatore ha equiparato anche il prelievo dal conto corrente o dal deposito. L'introduzione di tale equiparazione è giustificata dalla considerazione che quando la valuta è uscita dal conto corrente o dal deposito, non è più possibile stabilire se e in che momento essa è stata successivamente ceduta.

Per evitare tuttavia di attrarre a tassazione fattispecie non significative, con la disposizione di cui al comma 1-ter dell'art. 81 del T.U.I.R. è stato previsto - in attuazione della norma di delega che consentiva l'introduzione di franchigie - che la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di valute rivenienti da depositi e conti correnti si ha solo nel caso in cui la giacenza in valuta nei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente sia superiore a 100 milioni di lire per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d'imposta in cui la plusvalenza è stata realizzata. Il valore in lire della giacenza in valuta va calcolato secondo il cambio vigente all'inizio del periodo di riferimento, e cioè al 1° gennaio dell'anno in cui si verifica il presupposto di tassazione (prelievo), verificando altresì che in tale anno la anzidetta giacenza si sia protratta per almeno sette giorni lavorativi continui. Resta inteso che, qualora non risulti integrata la condizione precedentemente individuata, non si rendono deducibili neppure le minusvalenze eventualmente realizzate.

Relativamente, infine, alle plusvalenze realizzate mediante cessioni di metalli preziosi (ad esempio, oro, argento o platino), si sottolinea che il legislatore ha posto la condizione che gli stessi siano allo stato grezzo o monetato (ad esempio, lingotti, pani, verghe, bottoni e granuli). Sono, quindi, escluse le cessioni di metalli preziosi lavorati come, ad esempio, i gioielli.

2.2.4 Redditi derivanti da contratti derivati e da altri contratti a termine di natura finanziaria

Con la disposizione di cui alla lettera c-quater) dell'art. 81 del T.U.I.R. vengono, per la prima volta in modo unitario, attratti a imposizione i redditi realizzati mediante l'utilizzo dei contratti derivati e degli altri contratti a termine di natura finanziaria.

La particolarità della disposizione in esame è che la stessa identifica le fattispecie che intende sottoporre a tassazione sulla base degli effetti giuridici che i contratti sono volti a produrre, anziché mediante le denominazioni con le quali vengono di solito individuati nella prassi corrente, denominazioni che sovente generano incertezza, essendo stato acclarato che talvolta con le stesse denominazioni vengono individuate tipologie di contratti fra loro differenti e che, per contro, con denominazioni diverse sono individuate identiche tipologie di contratti.

Per questi motivi il legislatore ha ritenuto opportuno distinguere - sulla base degli effetti giuridici che ne scaturiscono - due diverse categorie di contratti a termine e cioè:

- quella dei contratti a termine di tipo traslativo, che sono quelli da cui deriva l'obbligo di cedere o acquistare a termine strumenti finanziari, valute estere, metalli preziosi o merci. Rientrano, ad esempio, in questa categoria:

a) i futures su titoli, merci, valute, ecc., e cioè quei contratti derivati standardizzati con i quali le parti si impegnano a vendere o comprare a termine determinate attività;

b) le options su titoli e valute e cioè quei contratti derivati che attribuiscono ad una delle parti, dietro pagamento di un premio la facoltà, da esercitare entro un dato termine o alla scadenza di esso, di acquistare o vendere determinate attività a un prezzo prestabilito;

c) i contratti derivati su altri contratti derivati (ad esempio: opzioni su futures, "swap options", ecc.);

d) le vendite a termine, sempreché naturalmente eseguibili in forma differenziale;

- quella dei contratti a termine di tipo differenziale, che sono quelli da cui deriva l'obbligo di effettuare o ricevere a termine uno o più pagamenti commisurati a tassi d'interesse, a quotazioni o valori di strumenti finanziari, di valute estere, di metalli preziosi, di merci e ad ogni altro parametro di natura finanziaria. Rientrano, ad esempio, in tale categoria:

a) i futures su indici;

b) le options su indici;

c) i contratti di swap su interessi (cross currency swap e interest rate swap) e il contratto di swap indicizzato alla lira (index lira swap).

2.2.5 Plusvalenze ed altri proventi realizzati mediante la cessione di crediti pecuniari, rapporti produttivi di redditi di capitale e strumenti finanziari, nonché redditi derivanti da contratti aleatori

La disposizione in esame risponde ad una funzione di chiusura, essendo volta a includere tra i redditi diversi tutte quelle plusvalenze e quei proventi di natura finanziaria che potrebbero altrimenti sfuggire all'imposizione perché non inquadrabili in alcuna delle disposizioni dell'art. 81 del T.U.I.R. precedentemente esaminate.

La norma in rassegna contempla due distinte fattispecie. La prima riguarda le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante la cessione a titolo oneroso ovvero la chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale e mediante la cessione a titolo oneroso ovvero il rimborso di crediti pecuniari o di strumenti finanziari. Questa disposizione si pone con funzione di chiusura rispetto alla lettera c-ter) dell'art. 81 del T.U.I.R., in quanto volta a evitare che il contribuente si possa sottrarre a quella previsione impositiva ricorrendo all'espediente di far circolare, in luogo dei titoli e certificati ivi previsti, i crediti pecuniari ed i rapporti rappresentati da detti titoli e certificati. La seconda fattispecie ha ad oggetto i differenziali positivi o negativi in dipendenza di un evento incerto e si pone quale norma di chiusura rispetto alla lettera c-quater) dell'art. 81 del T.U.I.R., in quanto finalizzata ad evitare che i differenziali positivi dei contratti derivati, conseguiti mediante la cessione o l'estinzione anticipata di tali contratti, o degli altri contratti aleatori di natura finanziaria, non inquadrabili nella stessa lettera c-quater) perché privi delle caratteristiche richieste da tale disposizione, possano sfuggire a imposizione.

 

 

2.3 Determinazione delle plusvalenze e degli altri redditi di cui all'art. 81, comma 1, lettere da c) a c-quinquies), del T.U.I.R.

2.3.1 Generalità

Per quanto concerne la determinazione dei redditi diversi di natura finanziaria il legislatore delegato ha dettato una disciplina alquanto articolata, includendola nell'art. 82 del T.U.I.R., sebbene i redditi in questione non siano soggetti all'imposizione ordinaria, ma ad una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi.

Conseguentemente, con l'art. 4, comma 1, del provvedimento in rassegna sono state apportate all'articolo 82 del predetto testo unico le modifiche necessarie per fissare i criteri di determinazione delle plusvalenze e degli altri redditi di natura finanziaria esaminati nei precedenti paragrafi. A tal fine, il comma 1-bis è stato soppresso e i commi 3 e 4 sono stati sostituiti con sei nuovi commi, nei quali sono state in parte trasfuse anche alcune delle disposizioni ora presenti nel decreto-legge 28 gennaio 1991, n. 27, convertito dalla legge 25 marzo 1991, n. 102, che, come già detto, a far data dal 1° gennaio 1998, è abrogato.

Ciò premesso, si ritiene di dover preliminarmente sottolineare che il legislatore ha ripartito - come già anticipato in premessa e come emerge chiaramente dalla formulazione dei nuovi commi 3 e 4 dell'art. 82 del T.U.I.R. - i redditi di natura finanziaria di cui alle lettere da c) a c-quinquies) dell'art. 81, comma 1, del medesimo testo unico in due masse distinte ai fini del pertinente regime impositivo.

La prima di tali masse è disciplinata dal nuovo comma 3 dell'art. 82 del T.U.I.R. ed è costituita dalla somma algebrica delle plusvalenze e delle minusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso delle partecipazioni qualificate di cui alla lettera c) del comma 1 dell'art. 81 del medesimo testo unico.

La seconda delle suddette masse è disciplinata dal comma 4 del predetto art. 82 ed è costituita dalla somma algebrica delle plusvalenze e delle minusvalenze di cui alle lettere c-bis) e c-ter) del citato art. 81, derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate (art. 81, lett. c-bis) e dalla cessione a titolo oneroso ovvero dal rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di quote di partecipazione ad organismi d'investimento collettivo, di metalli preziosi allo stato grezzo o monetato e dalla cessione a termine di valute estere o rivenienti da depositi e conti correnti (art. 81, lett. c-ter), nonché dai redditi e dalle perdite derivanti da contratti derivati (art. 81, lett. c-quater) e dalle plusvalenze e altri proventi derivanti dalla cessione di crediti pecuniari, di contratti produttivi di redditi di capitale e di strumenti finanziari e, infine, dai proventi costituiti dai differenziali positivi dei contratti aleatori (art. 81, lett. c-quinquies).

Nel caso in cui all'interno di ciascuna delle due predette masse l'ammontare delle minusvalenze (o perdite) sia superiore a quello delle plusvalenze (o redditi), l'eccedenza è portata in deduzione, fino a concorrenza, dalle plusvalenze dei periodi d'imposta successivi, ma non oltre il quarto, a condizione che tale situazione sia evidenziata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta in cui essa si è verificata.

Per effetto di questa distinzione, quindi, le minusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate (quelle cioè della prima massa) non possono essere portate in deduzione dalle plusvalenze e dagli altri redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate, di titoli non partecipativi, certificati, valute, metalli preziosi, crediti pecuniari e altri strumenti finanziari (quelli cioè della seconda massa) e viceversa.

Va, inoltre, precisato, in via generale, che ogni qual volta le disposizioni utilizzano il termine "corrispettivo" o quello di rimborso, deve intendersi ovviamente il corrispettivo o il rimborso in denaro o in natura e che, in quest'ultimo, caso per la determinazione dell'equivalente in denaro si rendono applicabili i criteri indicati nell'articolo 9 del T.U.I.R.

2.3.2 Base imponibile dei redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni, titoli, certificati, valute e metalli preziosi

Per quanto concerne le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni, qualificate e non qualificate, di diritti e titoli attraverso i quali possono essere acquistate le partecipazioni (cfr. art. 81, comma 1, lettere c) e c-bis) del T.U.I.R.), nonché di titoli non rappresentativi di partecipazioni, di certificati di massa, di valute, di quote di partecipazione a O.I.C.V.M. e di metalli preziosi di cui alla lettera c-ter) del comma 1 dell'art. 81 del medesimo testo unico, il legislatore ha stabilito criteri comuni per la loro determinazione.

Ai sensi del comma 5 dell'art. 82 del T.U.I.R., le plusvalenze da assoggettare all'imposta sostitutiva devono essere determinate in modo analitico. Esse sono costituite dalla differenza tra il corrispettivo percepito (ovvero la somma o il valore normale dei beni rimborsati) ed il costo (ovvero il valore) d'acquisto, aumentato di ogni onere inerente alla loro produzione, compresa l'imposta di successione e donazione, con esclusione degli interessi passivi.

Dal raffronto di tali elementi emerge innanzitutto come il legislatore abbia inteso confermare il principio di cassa ai fini dell'imponibilità dei redditi in questione, principio che trova ulteriore conferma nella disposizione contenuta nella lettera f) del nuovo comma 6 dell'art. 82 del T.U.I.R., secondo cui nei casi di dilazione o rateazione del pagamento del corrispettivo la plusvalenza è determinata con riferimento alla parte del costo o del valore di acquisto proporzionalmente corrispondente alle somme percepite nel periodo d'imposta.

In secondo luogo, il legislatore ha altresì confermato il criterio - già presente nell'art. 2 del citato decreto-legge n. 27 del 1991 - secondo cui nel caso di acquisto per successione si assume come costo di acquisto il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti di tale imposta. La nuova disposizione stabilisce tuttavia che a detti valori il contribuente deve aggiungere il valore normale dei titoli esenti dal tributo successorio ad essi attribuibile alla data di apertura della successione.

Nel caso di acquisto per donazione il contribuente deve assumere il costo del donante e, cioè, quello che il donante avrebbe assunto come costo o valore di acquisto se, invece di donare l'attività finanziaria di cui abbia il possesso, l'avesse ceduta a titolo oneroso. È stata quindi mantenuta la disciplina attualmente vigente prevista per i casi di acquisto a titolo gratuito, ciò al fine di evitare che la donazione possa essere utilizzata come strumento per aumentare il costo di carico delle attività finanziarie.

Altro criterio desunto dal citato decreto-legge n. 27 del 1991 è quello concernente le azioni, quote ed altre partecipazioni acquisite a seguito di delibere di aumento gratuito del capitale. Par tale ipotesi è stata infatti confermata la regola, già enunciata nell'art. 2, comma 2, del decreto-legge testé citato, secondo cui il costo unitario è determinato ripartendo il costo originario sul numero complessivo delle azioni, quote o partecipazioni di compendio. In pratica, il costo delle azioni possedute prima dell'aumento va ripartito anche sulle azioni ricevute gratuitamente in modo che tutte le partecipazioni del compendio (quelle acquistate prima dell'aumento e quelle acquistate dopo) abbiano un identico costo unitario. Qualora, invece, l'aumento di capitale sia avvenuto a pagamento, se le azioni sono state sottoscritte in virtù dell'esercizio di un diritto di opzione già spettante sulla base delle azioni possedute e, quindi, già incorporato nel titolo originariamente posseduto, si ritiene sia applicabile il criterio del riparto prima esposto per gli aumenti gratuiti di capitale. Se, invece, le nuove azioni sono state sottoscritte in seguito all'acquisto separato di diritti di opzione, il costo è costituito da quanto pagato in sede di sottoscrizione, aumentato del costo del diritto di opzione, entrambi determinati in base ad idonea documentazione. Ai fini della determinazione della plusvalenza derivante dalla cessione di diritti di opzione il costo di questi si determina con le modalità indicate nella circolare n. 16 del 1985.

Per quanto concerne il riferimento al "valore di acquisto", nella relazione illustrativa viene precisato che con esso il legislatore ha inteso chiarire che, qualora le attività finanziarie oggetto di cessione al momento dell'acquisto sono state assoggettate a tassazione quale reddito in natura, ai fini del calcolo della plusvalenza o della minusvalenza derivante dalla successiva cessione si deve assumere quale valore di acquisto il valore che è stato considerato ai fini della determinazione del reddito in natura. In tal modo si evita di assoggettare a imposizione, sotto forma di plusvalenza, redditi che sono già stati sottoposti a tassazione presso lo stesso soggetto ad altro titolo.

Un discorso analogo va fatto per le ipotesi di successiva cessione da parte di lavoratori dipendenti di azioni ricevute in relazione al rapporto di lavoro. Si ricorda che in base all'articolo 48, comma 1, del T.U.I.R. costituiscono reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori percepiti in relazione al rapporto di lavoro dipendente e che per la determinazione in denaro dei beni e dei servizi offerti ai dipendenti o ai familiari dei dipendenti si deve far ricorso ai criteri di determinazione del valore normale contenuti nell'articolo 9 del T.U.I.R., salvo alcune deroghe espressamente contenute nei commi 3 e 4 dello stesso articolo 48. Si ricorda, inoltre, che ai sensi del comma 1, lettera g), del medesimo articolo 48, ferma restando la qualificazione di "compenso in natura", non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente il valore delle azioni di nuova emissione sottoscritte dai dipendenti ai sensi degli articoli 2349 e 2441, ultimo comma, del codice civile. Analoga esclusione è prevista se tali azioni sono emesse da società che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa. A questo riguardo, nella circolare n. 326/E del 23 dicembre 1997, cui si rinvia per ulteriori chiarimenti in merito alla disciplina dei redditi di lavoro dipendente, è stato precisato che la previsione della non concorrenza alla formazione del reddito in caso di sottoscrizione di azioni di società che direttamente o indirettamente controllano l'impresa o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa, va intesa nel senso che deve trattarsi delle medesime azioni disciplinate nelle due norme citate del codice civile, ma che, in deroga alle stesse disposizioni del codice civile richiamate, vengano offerte in sottoscrizione ai dipendenti delle società controllate o controllanti e che ad analoga conclusione si deve pervenire quando il soggetto che emette le azioni nuove non sia tenuto al rispetto delle norme del codice civile, ad esempio, perché residente all'estero. In quest'ultimo caso, l'esclusione dalla tassazione come reddito di lavoro dipendente sarà possibile soltanto con riferimento alle azioni che sulla base della legislazione estera vigente costituiscono l'equivalente di quelle emesse ai sensi dell'articolo 2349 e 2441, ultimo comma, del codice civile. È ora opportuno precisare che in caso di successiva cessione da parte del dipendente delle azioni di qualunque tipo acquisite in relazione al rapporto di lavoro dipendente, ai fini della determinazione della plusvalenza o minusvalenza, va assunto il valore delle azioni alla data in cui sono state acquisite dal dipendente quale reddito in natura, determinato a norma dell'articolo 9 del T.U.I.R., senza attribuire alcun rilievo alla circostanza che l'importo relativo abbia o meno concorso a formare il reddito di lavoro dipendente.

Come già anticipato, sempre il comma 5 dell'art. 82 del T.U.I.R. stabilisce che ai fini della determinazione della plusvalenza o della minusvalenza il costo o valore d'acquisto deve essere aumentato di ogni onere inerente alla loro produzione. Ciò implica che il contribuente può imputare ad incremento del costo di acquisto tutte le spese e gli oneri strettamente inerenti all'acquisto delle attività finanziarie della cui cessione si tratta (ad esempio: l'imposta di successione e donazione, le spese notarili, le commissioni d'intermediazione, la tassa sui contratti di borsa, ecc.), ad eccezione degli interessi passivi dei quali il legislatore ha espressamente sancito l'esclusione; devono, pertanto, assumersi ai fini della determinazione del costo, a differenza di quanto affermato con circolare n. 14 del 1991, gli oneri finanziari diversi dagli interessi. Al riguardo è utile sottolineare come, con specifico riferimento al costo di acquisto dei titoli partecipativi, nella relazione illustrativa sia stato chiarito che tale costo deve intendersi comprensivo anche dei versamenti, in denaro o in natura, a fondo perduto o in conto capitale, nonché della rinuncia ai crediti vantati nei confronti della società da parte dei soci o partecipanti.

Per espressa previsione normativa (art. 82, comma 6, lettera b), qualora vengano superate le percentuali di diritti di voto o di partecipazione indicate nella lettera c), i corrispettivi percepiti anteriormente al periodo d'imposta si considerano percepiti nel periodo d'imposta in cui le percentuali sono superate.

Per le partecipazioni nelle società indicate dall'articolo 5 del T.U.I.R., diverse da quelle immobiliari o finanziarie, il comma 5 dell'articolo 82, nel riprodurre il contenuto del comma 1-bis dello stesso articolo vigente fino alla data del 30 giugno 1998, stabilisce che il costo è aumentato o diminuito dei redditi e delle perdite imputate al socio e dal costo si scomputano, fino a concorrenza dei redditi già imputati, gli utili distribuiti al socio. In tal modo i redditi della società già tassati per trasparenza in capo ai soci non sono assoggettati nuovamente a tassazione quali plusvalenze da cessione.

Poiché la soppressione della disciplina contenuta nella citata legge n. 102 del 1991 - riguardante la tassazione dei capital gains - comporta altresì la soppressione della disposizione contenuta nell'art. 2, comma 5 di tale legge (la quale stabiliva che, ai fini della determinazione delle plusvalenze o delle minusvalenze, il costo fiscalmente riconosciuto poteva essere rivalutato in base al tasso di variazione della media dei valori dell'indice mensile dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati rilevati nell'anno in cui si è verificata la cessione rispetto a quella dei medesimi valori rilevati nell'anno in cui è avvenuto l'acquisto, sempreché tra la cessione e l'acquisto siano trascorsi almeno dodici mesi), ne deriva che per la tassazione delle plusvalenze secondo la nuova disciplina il costo o valore d'acquisto delle partecipazioni va assunto nel suo importo effettivo e, quindi, senza procedere al predetto adeguamento. Nella fattispecie, l'unica eccezione è rappresentata dalle disposizioni di carattere transitorio di cui all'art. 14 del provvedimento in esame, concernente il regime fiscale delle partecipazioni che il contribuente già possiede alla data di entrata in vigore del provvedimento medesimo.

Per quanto concerne la determinazione della base imponibile delle plusvalenze derivanti dalla cessione a termine di valute, il legislatore ha confermato l'attuale normativa secondo cui la plusvalenza è pari alla differenza tra il corrispettivo percepito a fronte della cessione (determinato in funzione del cambio a termine) ed il valore delle valute calcolato in base al cambio a pronti vigente alla data di stipula del contratto di cessione. In pratica, la plusvalenza (o minusvalenza) è costituita dalla differenza tra il corrispettivo percepito e il costo della valuta come sopra determinato.

Nel caso, invece, di cessione a pronti di valute estere prelevate da depositi e conti correnti, la base imponibile è pari alla differenza tra il corrispettivo della cessione ed il costo della valuta, rappresentato dal cambio storico calcolato sulla base del criterio "L.I.F.O.", costo che deve essere documentato dal contribuente. Qualora non sia possibile determinare il costo per mancanza di documentazione, si deve far riferimento al minore dei cambi mensili determinati con decreto del Ministro delle finanze nel periodo d'imposta in cui la plusvalenza è stata conseguita.

Per quanto concerne la determinazione della base imponibile della cessione a titolo oneroso di titoli diversi da quelli partecipativi essa è determinata per differenza tra il prezzo di cessione ed il costo di acquisto, calcolato sulla base del criterio del "L.I.F.O." ed incrementato degli oneri strettamente inerenti. Qualora la cessione derivi dall'esercizio in forma specifica di una "opzione", la plusvalenza è determinata tenendo conto del premio pagato o incassato, il cui importo deve essere, quindi, dedotto o aggiunto al corrispettivo percepito.

Sempre in tema di determinazione della base imponibile delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di titoli non partecipativi si fa presente che ai sensi del nuovo comma 6 dell'art. 82 del T.U.I.R., dal corrispettivo percepito (o dalla somma rimborsata) si scomputano i redditi di capitale maturati ma non ancora riscossi e quindi sia quelli a maturazione periodica (gli interessi) che quelli a maturazione non periodica (i proventi degli organismi d'investimento collettivo del risparmio). Questa disposizione si giustifica in base al fatto che i redditi di capitale rimangono imponibili come tali ed è coerente con il principio affermato dall'art. 6, comma 2, ultimo periodo, del medesimo testo unico, ai sensi del quale l'incasso si deve considerare intervenuto anche quando il relativo controvalore economico non sia conseguito presso il debitore originario ma dal cessionario sotto forma di maggior corrispettivo di cessione dei titoli o dei certificati di massa su cui esso sia maturato.

Per espressa statuizione di tale disposizione, il suddetto principio non si applica tuttavia agli utili derivanti dalla cessione di partecipazioni in società ed enti soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche in quanto - come emerge chiaramente anche dal comma 6-bis dell'art. 14 del T.U.I.R. - tali utili sono sempre imponibili a carico del soggetto che li ha materialmente riscossi, anche se tale soggetto non rivestiva la qualifica di socio al momento di approvazione della delibera di distribuzione. È questa l'unica fattispecie di reddito di capitale per la quale non trova applicazione la suddetta disposizione.

Qualora il costo di acquisto delle attività finanziarie indicate nelle lettere c), c-bis) e c-ter) dell'art. 81 del T.U.I.R. ovvero il corrispettivo percepito attraverso la loro cessione o rimborso sia espresso in valuta, agli effetti del calcolo delle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla negoziazione delle predette attività finanziarie, devono ritenersi applicabili i criteri dettati dal comma 2 dell'art. 9 del medesimo testo unico.

Per le valute estere prelevate da depositi e conti correnti si assume come corrispettivo il valore normale della valuta alla data di effettuazione del prelievo.

Per quanto concerne, infine, la determinazione della base imponibile delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di metalli preziosi, in mancanza della documentazione del costo di acquisto le stesse sono determinate in misura pari al 25 per cento del corrispettivo della cessione.

2.3.3 Base imponibile dei redditi derivanti dai contratti derivati e da altri contratti a termine di natura finanziaria

La disciplina riguardante la determinazione dei redditi e delle perdite derivanti dai rapporti di cui all'art. 81, comma 1, lettera c-quater), del T.U.I.R. è contenuta nell'art. 82, comma 7, del medesimo testo unico, che non ha precedenti nell'attuale legislazione, in quanto la tassazione in forma unitaria dei redditi in esame rappresenta una novità assoluta della delega in materia di riordino del regime fiscale delle rendite finanziarie.

La disposizione da ultimo citata stabilisce che i predetti redditi sono costituiti dal risultato che si ottiene facendo la somma algebrica sia dei differenziali, positivi o negativi, che degli altri proventi ed oneri che il contribuente ha percepito o ha sostenuto in relazione a ciascuno dei rapporti di cui alla citata disposizione dell'art. 81, lett. c-quater). Ciò implica una compensazione sia dei differenziali positivi e negativi che dei redditi e delle perdite relativi a ciascun contratto rientrante nell'ambito della disposizione in rassegna.

Analogamente a quanto previsto per la determinazione delle plusvalenze e minusvalenze, anche per la determinazione dei redditi e delle perdite realizzati mediante i contratti a termine di natura finanziaria rientranti nell'ambito applicativo della disposizione in esame si deve far riferimento al periodo di imposta in cui ne avviene la percezione. Ciò si desume chiaramente dalla disposizione di cui al comma 7 dell'art. 82 del T.U.I.R. che al riguardo stabilisce che i differenziali positivi o negativi ed i proventi e gli oneri da sommare algebricamente tra loro sono soltanto quelli percepiti o sostenuti in relazione a ciascun contratto.

Al riguardo si ritiene utile sottolineare che la fattispecie impositiva definita dall'art. 81, lettera c-quater), del T.U.I.R. fa riferimento ai redditi "...realizzati...", con ciò lasciando intendere che non è sufficiente il semplice pagamento o incasso, ma occorre altresì che tali pagamenti e riscossioni abbiano carattere di definitività. Ebbene, con riferimento ai rapporti di cui trattasi non è sufficiente, ai fini dell'imposizione fiscale, che in relazione ai differenziali, proventi ed oneri in questione il contribuente abbia sostenuto dei pagamenti o abbia incassato delle somme, essendo necessario che tali pagamenti e incassi abbiano il carattere della definitività, in quanto il contratto sia stato chiuso, eseguito o ceduto.

Questo aspetto è stato evidenziato nella relazione illustrativa del provvedimento in esame, laddove si afferma che non devono concorrere a formare l'utile o la perdita derivante dall'utilizzo dei contratti derivati e degli altri contratti a termine tutti quei pagamenti e incassi che adempiano ad una funzione di garanzia, quali, ad esempio, i pagamenti e gli incassi che conseguano all'addebitamento o all'accreditamento dei cosiddetti margini, salvo che naturalmente non abbiano acquisito natura di pagamento definitivo perché il contratto è stato chiuso o ceduto.

Nel caso in cui un contratto derivato di tipo traslativo che comporti la consegna dell'attività sottostante sia eseguito mediante tale consegna e non già mediante il pagamento del differenziale, il provento imponibile va determinato secondo le disposizioni - già esaminate - concernenti le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di titoli, strumenti finanziari o di valute estere.

Tra i proventi e gli oneri che concorrono a formare il reddito o la perdita complessivamente realizzata mediante l'utilizzo dei contratti derivati e degli altri contratti a termine rientranti nell'ambito applicativo dell'art. 81, lettera c-quater), del T.U.I.R. devono essere inclusi anche i premi pagati e riscossi su opzioni, sia di tipo traslativo che differenziale, in quanto anche essi costituiscono veri proventi ed oneri. Ai sensi del comma 7 dell'art. 82 del T.U.I.R., i premi in questione non devono concorrere a formare il reddito o la perdita nel periodo d'imposta in cui essi sono stati riscossi o pagati, ma nel periodo d'imposta in cui l'opzione è stata esercitata ovvero è scaduto il termine per il suo esercizio, in quanto - come precisa al riguardo la relazione illustrativa - è solo con il venir meno dell'opzione che può considerarsi effettivamente compiuta l'operazione economica ad essa sottesa.

L'applicabilità di questa regola è stata esclusa, peraltro, nel caso in cui l'opzione sia stata chiusa anticipatamente mediante la stipula di una opzione eguale e contraria per la stessa scadenza, come pure nel caso in cui l'opzione sia stata ceduta a terzi. In dette ipotesi, infatti, ai fini dell'imputazione dei premi non è necessario attendere la scadenza del termine stabilito per l'esercizio del diritto d'opzione, in quanto con il verificarsi di tali eventi i premi assumono i caratteri previsti per la loro imponibilità come proventi o per la loro deducibilità come oneri.

2.3.4 Base imponibile delle plusvalenze e dei proventi derivanti dalla cessione di crediti, contratti e strumenti finanziari ovvero da contratti aleatori

Ai fini della determinazione delle plusvalenze e degli altri proventi realizzati mediante la cessione a titolo oneroso o la chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale e mediante la cessione a titolo oneroso ovvero il rimborso di crediti pecuniari o di strumenti finanziari, nonché quelli realizzati mediante rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto di cui all'art. 81, comma 1, lettera c-quinquies), del T.U.I.R., con la disposizione di cui al comma 8 dell'art. 82 del T.U.I.R. sono stati dettati criteri in parte analoghi a quelli previsti per la determinazione delle plusvalenze di cui alle lettere da c) a c-ter) del predetto articolo 81.

La disposizione in esame stabilisce, infatti, che i redditi in questione sono costituiti dalla differenza positiva tra i corrispettivi percepiti (ovvero le somme rimborsate) ed i corrispettivi pagati (ovvero le somme corrisposte), aumentate di ogni onere inerente alla loro produzione, con esclusione degli interessi passivi. Da ciò deriva che nei casi di specie, diversamente da quanto previsto per la determinazione delle plusvalenze di cui alle predette lettere da c) a c-ter) dell'art. 81, non è ammessa la deducibilità delle minusvalenze e dei differenziali negativi, in quanto l'ipotesi della deducibilità avrebbe potuto prestarsi a manovre elusive.

2.3.5 Applicazione dell'equalizzatore

Come già anticipato in premessa, con riferimento alle forme del risparmio gestito - la cui disciplina è contenuta negli artt. 7 e 8 del provvedimento in oggetto - il legislatore ha introdotto uno speciale regime di tassazione delle plusvalenze e dei redditi di natura finanziaria, che si fonda sul criterio della maturazione e che, quindi, comporta una anticipazione dell'imposizione rispetto ai regimi di tassazione ordinario e semplificato (sono quelli, rispettivamente, della dichiarazione dei redditi e del risparmio amministrato), i quali si basano invece sull'opposto criterio del realizzo.

Come si vedrà meglio in sede di esame dei predetti articoli 7 e 8, l'adozione del criterio della maturazione implica che l'imposta sostitutiva non viene applicata sulle plusvalenze e gli altri redditi diversi realizzati nell'ambito della gestione, ma sul risultato di gestione maturato al termine di ciascun periodo d'imposta.

Per evitare che l'introduzione del criterio della maturazione possa costiT.U.I.R.e un disincentivo all'adozione del regime di tassazione previsto per lo strumento del risparmio gestito, il legislatore delegante ha previsto, con la disposizione di cui all'art. 3, comma 160, lettera h), della legge n. 662 del 1996, l'introduzione di meccanismi correttivi volti a rendere equivalente la tassazione del risultato delle gestioni con quella dei redditi diversi conseguiti in base al realizzo.

In attuazione di tale principio, con la disposizione contenuta nell'art. 82, comma 9, del T.U.I.R. è stato introdotto uno specifico meccanismo di compensazione (cosiddetto "equalizzatore") la cui funzione è quella di rendere equivalenti, sotto il profilo finanziario, il regime di tassazione basato sul criterio del realizzo e quello basato sul criterio della maturazione.

In particolare, la disposizione sopra richiamata prevede che le plusvalenze e le minusvalenze, i differenziali positivi e negativi, nonché i proventi e gli oneri di cui alle lettere c-bis), c-ter), c-quater) e c-quinquies), per i quali sia superiore a dodici mesi il periodo intercorrente tra la data di acquisizione e quella di cessione, chiusura o rimborso delle partecipazioni, titoli, certificati, strumenti finanziari, crediti o rapporti devono essere corretti tenendo conto di un fattore di rettifica finalizzato a rendere equivalente la tassazione in base alla realizzazione con quella in base alla maturazione.

Tale meccanismo viene determinato annualmente con decreto del Ministro delle finanze, tenendo conto di una serie di parametri ed elementi specificamente indicati nella norma. I predetti parametri tengono conto del periodo di possesso, del momento del pagamento dell'imposta, dei tassi di rendimento dei titoli di Stato, delle quotazioni dei titoli negoziati in mercati regolamentati e di ogni altro elemento che possa influenzare la determinazione del valore delle attività finanziarie produttive dei redditi tassabili in base alla maturazione.

2.3.6 Disciplina delle plusvalenze e dei redditi diversi di natura finanziaria dei soggetti non residenti

Relativamente ai soggetti non residenti l'articolo 1 del decreto legislativo in esame apporta alcune modifiche all'art. 20, comma 1, lettera f), del T.U.I.R.

Al riguardo si ricorda che la precedente formulazione di quest'ultima disposizione normativa considerava prodotti in Italia i redditi diversi derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato o relativi a beni che si trovano nel territorio stesso. La medesima disposizione, inoltre, con riferimento alla cessione di partecipazioni in società residenti, considerava in ogni caso esistenti nel territorio dello Stato le partecipazioni in società a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice.

Con la suddetta modifica dell'art. 20, comma 1, lettera f), del T.U.I.R. il legislatore ha inteso ampliare la presunzione assoluta di territorialità al fine di ricomprendere tra le partecipazioni che si considerano esistenti nel territorio dello Stato, oltre alle partecipazioni in società a responsabilità limitata, in accomandita semplice e in nome collettivo residenti, anche quelle in società per azioni o in accomandita per azioni residenti e, conseguentemente, attrarre alla sfera impositiva le plusvalenze realizzate dai non residenti sulle partecipazioni possedute in società residenti di ogni tipo, indipendentemente dal fatto che i titoli rappresentativi delle predette partecipazioni siano depositati in Italia.

Con la stessa disposizione il legislatore ha stabilito tuttavia che la presunzione assoluta di territorialità così introdotta non opera per le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate di cui alla lettera c-bis) dell'art. 81 del T.U.I.R., se queste sono negoziate nei mercati regolamentati. Pertanto, tali plusvalenze non si considerano in ogni caso come prodotte nel territorio dello Stato, anche se le partecipazioni in parola siano detenute in Italia.

In merito alla disposizione in esame va innanzitutto precisato che con il termine "partecipazione" il legislatore ha inteso riferirsi alla nozione recata dall'art. 81 del T.U.I.R. (espressamente richiamato dall'art. 20 dello stesso testo unico) e, pertanto, in essa debbono ricomprendersi non solo le azioni e ogni altra partecipazione al patrimonio delle società di persone (con la sola esclusione delle associazioni tra artisti e professionisti), delle società di capitali e degli enti commerciali, ma anche i diritti ed i titoli attraverso cui possono essere acquistate dette partecipazioni.

Un'ulteriore importante innovazione introdotta dal provvedimento in esame è quella contenuta nel comma 5 dell'articolo 5 con il quale è stato previsto un apposito regime di esenzione per le plusvalenze e i redditi indicati nelle lettere da c-bis) a c-quinquies) dell'art. 81 del T.U.I.R., e quindi per tutti i redditi diversi derivanti da operazioni finanziarie, con esclusione delle plusvalenze derivanti da cessioni a titolo oneroso di partecipazioni qualificate.

Tale regime si applica sia ai soggetti che risiedono in Paesi con i quali sono in vigore Convenzioni contro le doppie imposizioni che consentono lo scambio di informazioni necessarie per accertare il requisito della residenza - con esclusione dei soggetti residenti in paesi o territori con regime fiscale privilegiato individuati nel D.M. 24 aprile 1992 - sia agli enti ed organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia.

In relazione a tale disposizione si osserva che i requisiti sopra elencati sono del tutto identici a quelli stabiliti dall'art. 6 del decreto legislativo 1 aprile 1996, n. 239 per consentire ai non residenti di percepire gli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari ivi menzionati senza l'applicazione dell'imposta sostitutiva introdotta dal medesimo provvedimento.

La stessa disposizione precisa, tra l'altro, che ai fini della sussistenza del requisito della residenza si deve far riferimento alle norme contenute nelle singole convenzioni.

A tale proposito occorre considerare che con il decreto ministeriale 4 settembre 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 19 settembre 1996 ed integrato dal successivo decreto ministeriale 25 marzo 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, è stato approvato l'elenco degli Stati con i quali risulta attuabile lo scambio di informazioni; conseguentemente, il regime di esenzione previsto dall'art. 5, comma 5, del provvedimento in esame si applica nei confronti dei soggetti residenti negli Stati medesimi.

Si precisa, tuttavia, che l'esenzione in esame non spetta a quei soggetti che, pur essendo residenti in alcuni Stati indicati nei citati decreti D.M. 4 settembre 1996 e D.M. 25 marzo 1998, sono inclusi altresì nel decreto ministeriale 24 aprile 1992, concernente l'individuazione dei Paesi con regime fiscale privilegiato.

Più precisamente, come era stato già specificato ai fini della procedura di esonero stabilita per i soggetti non residenti dal citato decreto legislativo n. 239 del 1996, sono escluse dall'agevolazione le seguenti categorie di soggetti:

- per le Filippine, le società finanziarie multinazionali, con riferimento alle attività direzionali;

- per Malta, le società i cui proventi affluiscono da fonti estere quali quelle di cui al "Malta International Business Activity Act" del 30 giugno 1989 e successive modificazioni ed integrazioni;

- per Singapore, le società i cui proventi affluiscono da fonti estere.

Per quanto concerne gli enti e gli organismi internazionali, il regime di esenzione si applica nel caso in cui i relativi Accordi istitutivi siano stati ratificati in Italia, a prescindere dalla condizione che gli enti stessi fruiscano di totale esenzione dalla generalità delle imposte in Italia in virtù degli Accordi istitutivi medesimi o di altri Accordi ad essi pertinenti.

Conclusivamente, si osserva che per quanto riguarda i redditi diversi in esame, i soggetti non residenti sono tutti indistintamente esenti dall'imposizione in Italia relativamente alle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate in società residenti, se dette partecipazioni sono negoziate in mercati regolamentati, sia italiani che esteri. Per quanto riguarda, invece, le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate non negoziate in mercati regolamentati e gli altri redditi di cui alle lettere da c-ter) a c-quinquies) del comma 1 dell'art. 81 del T.U.I.R., i soggetti non residenti fruiscono del regime di non imponibilità soltanto se ricorrono le condizioni sopra citate.

Va, altresì, sottolineato che il suesposto regime di esenzione trova il proprio fondamento in una norma di carattere interno, quale, appunto, l'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo n. 461 del 1997, che prescinde dalla sussistenza di apposite disposizioni contenute nelle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni sul reddito.

Pertanto, va da sé qualora le Convenzioni fiscali prevedano la tassazione esclusiva delle plusvalenze nello Stato di residenza del beneficiario, dette plusvalenze saranno esentate anche se la norma interna ne disponga l'imponibilità.

 

 

Capitolo III

Imposta sostitutiva sui redditi diversi di natura finanziaria

3.1 Generalità.

Come già accennato in premessa, insieme all'obiettivo della completezza dell'imposizione sui redditi di natura finanziaria, il legislatore ha perseguito anche quello della neutralità, sia con riferimento alle aliquote che alle basi imponibili, nella tassazione di tali redditi. Questo obiettivo è stato realizzato mediante l'assoggettamento dei redditi in questione ad un prelievo il più possibile uniforme, il che ha comportato l'abbandono dell'imposizione progressiva e l'adozione di un'imposizione sostitutiva.

Il legislatore ha previsto la possibilità che il contribuente assolva il tributo sui redditi diversi di natura finanziaria sia mediante dichiarazione dei redditi, sia per il tramite di intermediari abilitati, evitando in tal modo la redazione della dichiarazione stessa relativamente ai redditi così tassati. Al riguardo va sottolineato che il ricorso del contribuente agli intermediari non può consistere in una prestazione di tipo occasionale, ma richiede l'instaurazione di un rapporto duraturo con l'intermediario, che si ottiene mediante una espressa manifestazione di volontà del contribuente ("opzione"), che lo vincola per almeno un intero periodo d'imposta e che presuppone, quindi, uno stabile rapporto di mandato o di deposito.

Avuto riguardo a quanto precede, nell'ambito della disciplina in rassegna si possono distinguere i seguenti regimi:

a) quello della "dichiarazione", che va considerato come il regime ordinario e che trova applicazione nei casi in cui il contribuente consegue i proventi dei suoi investimenti finanziari senza subire l'imposizione a monte per non essersi avvalso dell'intervento degli intermediari finanziari. Le caratteristiche di questo regime sono:

- la tassazione in base al realizzo dei redditi diversi di natura finanziaria di cui all'art. 81 del T.U.I.R., che vengono assoggettati all'imposta sostitutiva da parte del contribuente in occasione della presentazione della dichiarazione dei redditi;

- la possibilità di compensare le plusvalenze con le minusvalenze e di riportare a nuovo le minusvalenze eccedenti;

- l'applicazione del meccanismo dell'equalizzatore previsto dal comma 9 dell'art. 82 del T.U.I.R.;

- l'applicazione della disciplina riguardante il monitoraggio fiscale, sia interno che esterno, prevista dagli articoli 10 e 11 del provvedimento in oggetto;

b) quello, opzionale, del "risparmio amministrato", che presuppone - al pari del regime del "risparmio gestito" di cui alla successiva lettera c) - una espressa richiesta da parte del contribuente. Questo regime comporta l'imposizione degli stessi redditi di cui alla precedente lettera a) ad opera degli intermediari abilitati (banche, società di intermediazione mobiliare ed altri soggetti individuati in appositi decreti ministeriali ai sensi dell'art. 6, comma 1, del provvedimento in oggetto, in corso di emanazione) e richiede l'instaurazione di uno specifico rapporto implicante il deposito, per l'amministrazione e la custodia, dei valori mobiliari che generano i proventi imponibili. Le caratteristiche di questo regime sono:

- la tassazione in base al realizzo, per ciascuna operazione, dei redditi diversi, con applicazione, da parte degli intermediari abilitati, delle imposte sostitutive;

- la possibilità di compensare le plusvalenze con le minusvalenze precedentemente conseguite presso lo stesso intermediario e di riportare a nuovo le eccedenze negative;

- l'esclusione dall'applicazione di questo stesso regime per le plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni qualificate, le quali rimangono sempre soggette al regime della dichiarazione dei redditi;

- l'applicazione del meccanismo dell'equalizzatore cui s'è fatto cenno nella precedente lett. a);

- l'esclusione dal monitoraggio fiscale, sia interno che esterno, assicurando in tal modo al contribuente l'anonimato;

c) quello, opzionale, del "risparmio gestito" presso un soggetto abilitato ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1996, n. 415. A tal fine il contribuente instaura con un intermediario qualificato (una banca, una società di intermediazione mobiliare, una società fiduciaria iscritta nell'albo di cui al citato decreto legislativo n. 415 del 1996, residenti in Italia, nonché a stabili organizzazioni in Italia di banche o di imprese d'investimento non residenti iscritte nel predetto albo) un rapporto di gestione del patrimonio affidato a detti intermediari. Le caratteristiche di questo regime sono:

- l'esclusione del risultato della gestione dall'assoggettamento alle imposte sui redditi;

- la tassazione, sulla base del principio della maturazione, dei redditi di capitale e dei redditi diversi imputati al patrimonio gestito;

- l'esclusione da tale regime delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate, le quali rimangono soggette al regime della dichiarazione dei redditi;

- la determinazione algebrica del risultato netto assoggettabile all'imposta sostitutiva da parte dell'intermediario, con conseguente compensazione tra componenti positivi (redditi di capitale, plusvalenze e altri redditi diversi) e negativi (minusvalenze e spese);

- l'esclusione dal risultato di gestione dei redditi che concorrono a formare il reddito complessivo, dei redditi esenti e di quelli soggetti a ritenuta d'imposta o ad imposta sostitutiva;

- il riporto a nuovo dei risultati negativi di gestione;

- l'esclusione dal monitoraggio fiscale, sia interno che esterno, assicurando anche in tal caso al contribuente l'anonimato.

Per quanto concerne le norme applicabili in materia di accertamento e riscossione delle imposte sostitutive non dichiarate e non versate dai contribuenti, il comma 6 dell'articolo in commento rinvia alle disposizioni previste in materia di imposte sui redditi, precisando tuttavia che la maggiore imposta sostitutiva accertata è riscossa mediante iscrizione nei ruoli suppletivi ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

Benché la disposizione non faccia alcun riferimento al contenzioso tributario, sembra evidente che eventuali contestazioni siano di competenza delle commissioni tributarie e che, più in generale, si renda applicabile la disciplina contenuta nel decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (cfr. anche circolare n. 98/E del 23 aprile 1996.) Va sottolineato, infatti, che il sistema delineato dalla riforma comporta l'applicazione di una imposta sostitutiva la quale, salvo le deroghe espressamente stabilite nelle disposizioni istitutive, mantiene tutta la disciplina prevista per l'imposta che va a sostiT.U.I.R.e e, quindi, a seconda del soggetto passivo, l'imposta sul reddito delle persone fisiche o quella sulle persone giuridiche, con esclusione soltanto delle eventuali previsioni che risultino incompatibili con l'applicazione dell'imposta sostitutiva stessa. È appena il caso di rilevare che nelle ipotesi che saranno illustrate successivamente, nelle quali l'imposta sostitutiva è determinata e applicata da un intermediario, si renderanno applicabili, ove compatibili, anche le disposizioni procedimentali relative alle ritenute d'acconto per quanto non previsto espressamente dalle specifiche disposizioni.

 

 

3.2 Applicazione dell'imposta sostitutiva in base al regime della dichiarazione.

L'art. 5 del provvedimento in rassegna fissa le regole che i contribuenti devono osservare, in occasione della presentazione della dichiarazione annuale, per determinare e versare l'imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sugli altri redditi di natura finanziaria di cui alle lettere da c) a c-quinquies) dell'art. 81 del T.U.I.R.

Le operazioni che hanno generato minusvalenze o perdite vanno indicate nella dichiarazione dei redditi soltanto se il contribuente intende avvalersi della facoltà di compensazione con le plusvalenze e gli altri redditi di cui alle lettere da c) a c-quinquies) dell'art. 81 del T.U.I.R., realizzati nel periodo d'imposta, ovvero del riporto in avanti delle medesime.

Per quanto concerne le plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni qualificate di cui all'art. 81, comma 1, lettera c), del T.U.I.R., il comma 1 dell'articolo in esame stabilisce innanzitutto che tali plusvalenze, al netto delle relative minusvalenze, devono essere assoggettate all'imposta sostitutiva del 27 per cento. La stessa disposizione ribadisce, inoltre, il principio - peraltro già affermato dalla vigente normativa in materia con riferimento all'imposta sostitutiva trattenuta dagli intermediari professionali sulla base del cosiddetto "regime forfetario" di cui all'art. 3, comma 5, del decreto-legge n. 27 del 1991 - secondo cui l'imposta sostitutiva pagata con riguardo alle cessioni di partecipazioni non qualificate effettuate prima del superamento delle percentuali di qualificazione, ma rientranti nel calcolo della cessione che ha comportato detto superamento, è portata in detrazione dall'imposta sostitutiva dovuta ai sensi della norma in esame. Poiché il comma 1 dell'art. 5 del decreto legislativo n. 461 del 1997 si riferisce genericamente alla "imposta sostitutiva", si ritiene che sia ammessa in detrazione dall'imposta sostitutiva del 27 per cento sia l'imposta sostitutiva del 12,50 per cento pagata ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 5, che quella pagata anteriormente al 1° luglio 1998 sulla base del decreto legge n. 27 del 1991.

Il comma 2 dell'articolo in esame stabilisce, poi, che sui redditi indicati nelle lettere da c-bis) a c-quinquies) del comma 1 dell'art. 81 del T.U.I.R., determinati secondo i criteri fissati nell'art. 82 dello stesso testo unico, ovviamente al netto delle relative minusvalenze, differenze negative o perdite, il contribuente è tenuto a versare l'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con l'aliquota del 12,50 per cento.

Conformemente a quanto previsto dalla legge di delega, il comma 3 dell'articolo in esame stabilisce che le plusvalenze e gli altri redditi di cui ai commi 1 e 2 dello stesso articolo devono essere indicati distintamente nella dichiarazione dei redditi, il che impedisce di utilizzare le minusvalenze di una massa per compensare le plusvalenze dell'altra massa e viceversa.

La stessa disposizione stabilisce, inoltre, che con uno o più decreti del Ministro delle finanze possono essere previsti particolari adempimenti ed oneri di documentazione riguardanti la determinazione dei redditi in questione e precisa, infine, che l'obbligo di dichiarazione non sussiste per le plusvalenze e gli altri proventi per i quali il contribuente ha esercitato l'opzione per l'applicazione del regime del cosiddetto risparmio amministrato di cui all'art. 6 del provvedimento in oggetto.

Al riguardo si ritiene che i decreti ministeriali in questione non possano essere che quelli con i quali sono approvati i modelli di dichiarazione annuale dei redditi, essendo quella la sede propria per informare i contribuenti circa l'esigenza o meno di conservare, per esibire o trasmettere a richiesta dell'Amministrazione finanziaria la documentazione relativa agli elementi positivi e negativi dei redditi dichiarati.

Per quanto concerne il versamento dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sui redditi di cui sopra, il comma 4 dell'articolo in commento stabilisce che esso va effettuato nei modi previsti per il versamento delle imposte sui redditi dovute a saldo in base alla dichiarazione dei redditi, dal che si ricava che nella fattispecie non sono ipotizzabili versamenti in acconto.

 

 

3.3 Applicazione dell'imposta sostitutiva in base al regime del risparmio amministrato.

3.3.1 Presupposti di applicazione

L'art. 6 del provvedimento in oggetto attribuisce ai contribuenti individuati nel precedente paragrafo 3.1 la facoltà di optare per l'applicazione di un regime semplificato dell'imposta sostitutiva di cui all'art. 5 - che disciplina, come noto, l'applicazione dell'imposta sostitutiva da parte dello stesso contribuente sulla base della propria dichiarazione annuale - su ciascuna delle plusvalenze realizzate ai sensi delle lettere c-bis) e c-ter) del comma 1 dell'art. 81 del T.U.I.R., come modificato dall'art. 3 del provvedimento medesimo.

Per espressa previsione dell'art. 6, comma 1, del provvedimento in oggetto, tale regime riguarda le singole plusvalenze realizzate - ad esclusione soltanto di quelle derivanti dalla cessione a titolo oneroso ovvero dal prelievo di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti - e può essere applicato anche alle plusvalenze, ai differenziali positivi e agli altri proventi realizzati mediante i contratti derivati di cui alla lettera c-quater) dell'art. 81 del T.U.I.R. e mediante i rapporti e le cessioni di cui alla lettera c-quinquies) dello stesso articolo, a condizione che nei predetti rapporti o cessioni intervengano come intermediari professionali o come controparti gli stessi intermediari sopra menzionati.

Questo regime comporta che l'applicazione e il versamento dell'imposta sostitutiva del 12,50 per cento sui predetti proventi e plusvalenze sono effettuati dagli intermediari abilitati indicati dalla norma in commento (trattasi delle banche e delle società di intermediazione mobiliare residenti in Italia, delle stabili organizzazioni in Italia delle banche e delle imprese di investimento non residenti ed altri soggetti individuati, ai sensi del comma 1 dell'art. 6 del più volte citato decreto legislativo n. 461 del 1997, con apposito decreto interministeriale in corso di emanazione) e, conseguentemente, solleva i contribuenti dall'obbligo di includere i proventi e le plusvalenze di cui sopra nelle proprie dichiarazioni dei redditi.

Con riferimento alla predetta ipotesi di esclusione dall'applicabilità del regime in rassegna alle plusvalenze relative a depositi in valuta, la relazione illustrativa osserva che tale esclusione si giustifica in base alla particolare complessità ed onerosità che inevitabilmente presenterebbe la procedura di applicazione dell'imposta da parte degli intermediari in siffatta ipotesi. Conseguentemente, nei casi di specie permane l'obbligo del contribuente di includere nella propria dichiarazione dei redditi le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso e prelievi di valute.

Sempre con riferimento alle ipotesi di esclusione dall'ambito applicativo del regime del risparmio amministrato è appena il caso di ricordare che, in conformità a quanto stabilito dalla legge di delega, non possono mai rientrare nel regime del risparmio amministrato le plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate di cui all'art. 81, comma 1, lettera c), del T.U.I.R.

Come già anticipato, ai fini dell'applicazione del regime in esame non è sufficiente rivolgersi in modo occasionale ai predetti intermediari, ma è necessario invece che, nel caso delle plusvalenze o degli altri proventi derivanti da titoli, quote o certificati, tali titoli, quote o certificati, siano dati in custodia o in amministrazione a questi ultimi e, nel caso dei proventi derivanti dai contratti derivati e dai contratti attraverso cui possono essere conseguiti redditi diversi, che sia intrattenuto un rapporto di deposito o conto corrente.

Va peraltro, sottolineato che è possibile riscontrare fattispecie per le quali la sussistenza di uno stabile rapporto con l'intermediario è comunque verificabile anche in assenza di formale contratto di custodia o di amministrazione, quando si tratti di titoli, quote o certificati che non possono formare oggetto di autonoma circolazione senza l'intervento dell'intermediario medesimo (ad esempio, titoli non cartolarizzati).

3.3.2 Modalità di esercizio e revoca dell'opzione

Per quanto concerne specificamente le modalità di esercizio del diritto di opzione, il comma 2 dell'art. 6 in commento dispone innanzitutto che il contribuente esercita tale opzione rilasciando all'intermediario una comunicazione scritta in tal senso. La comunicazione û per la quale non sono previste particolari formalità - può essere effettuata contestualmente al conferimento dell'incarico all'intermediario e all'apertura del deposito o del conto corrente ovvero, per i rapporti già in essere, in qualsiasi momento dell'anno, ma in quest'ultimo caso, con effetto dal periodo d'imposta successivo, salvo quanto precisato in via transitoria per i rapporti già in essere alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame. Per i rapporti di cui alla lettera c-quater) e per i rapporti e le cessioni di cui alla lettera c-quinquies) del comma 1 dell'art. 81 del T.U.I.R., l'opzione può essere esercitata all'atto della conclusione, nel periodo d'imposta, del primo contratto da cui trae origine l'intervento dell'intermediario ed ha effetto immediato.

Per i soggetti non residenti il regime semplificato di applicazione dell'imposta sostitutiva di cui all'art. 5 costituisce il regime naturale poiché è applicato anche in mancanza di esercizio dell'opzione, salva la facoltà del contribuente di rinunciare a tale regime con effetto dalla prima operazione successiva. Ciò consente l'immediata applicazione per i soggetti non residenti del regime in esame evitando quindi agli stessi l'esercizio dell'opzione, ferma restando la facoltà di revoca. È stato, inoltre, stabilito che la revoca possa essere esercitata anche dagli intermediari non residenti relativamente ai rapporti di custodia, amministrazione e deposito ad essi intestati e sui quali siano detenute attività finanziarie di terzi; in tal caso gli intermediari non residenti sono tenuti ad assolvere gli obblighi di comunicazione di cui all'art. 10 e devono nominare, quale rappresentante a detti fini, uno degli intermediari di cui all'art. 6, comma 1. La previsione in questione è volta a disciplinare la rinuncia al regime in esame in presenza di intermediari non residenti che risultino intestatari di rapporti di custodia, amministrazione e deposito, cosiddetti "omnibus", sui quali siano detenute attività finanziarie di terzi. In tal caso, considerato che gli intermediari residenti non sono in grado di fornire all'Amministrazione finanziaria né i nominativi dei beneficiari dei proventi delle attività finanziarie dagli stessi detenute né, talvolta, i controvalori delle operazioni effettuate, è stato introdotto l'obbligo per gli intermediari non residenti, in caso di rinuncia al regime in esame, di nominare un rappresentante fiscale tenuto agli obblighi di comunicazione previsti dall'art. 10.

Si precisa, altresì, che in linea con quanto disposto dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 239 del 1996, i soggetti non residenti, come ad esempio Euroclear e Cedel, che aderiscono direttamente ai sistemi di gestione accentrata di titoli - gestiti dalla Banca d'Italia, per ciò che concerne i titoli di Stato, e dalla Monte Titoli s.p.a., per gli altri titoli - sono da considerarsi equiparati alle banche italiane anche per ciò che riguarda il prelievo per l'imposta sostitutiva eventualmente da operare sui redditi diversi conseguiti dai propri depositanti. Pertanto, ove per i titoli depositati nei citati sistemi di gestione a nome dei predetti soggetti non residenti si renda applicabile il regime del risparmio amministrato di cui all'articolo 6 del decreto legislativo in esame, saranno i soggetti non residenti aderenti ai sistemi di gestione accentrata di titoli ad effettuare - attraverso il loro rappresentante fiscale in Italia nominato ai sensi del citato articolo 9, comma 2, del decreto legislativo n. 239 del 1996 - tutti gli adempimenti connessi con l'applicazione ed il versamento dell'imposta sostitutiva. Qualora invece si renda applicabile il regime della dichiarazione, gli stessi soggetti non residenti effettueranno - sempre per il tramite del proprio rappresentante fiscale - le comunicazioni previste dall'articolo 10. Nessun adempimento in termini di effettuazione e di versamento dell'imposta sostitutiva, né in termini di segnalazione ai sensi dell'articolo 10, dovrà essere svolto dai soggetti residenti gestori dei sistemi accentrati di deposito titoli, i quali oltretutto, non sono a conoscenza delle informazioni necessarie per l'effettuazione dei citati adempimenti.

Per i soggetti residenti, relativamente ai rapporti in essere alla data del 1° luglio 1998, anche se cointestati, l'imposta sostitutiva è applicata dagli intermediari, anche in assenza di qualsiasi opzione del contribuente, salva la facoltà di quest'ultimo di rinunciare a tale regime mediante apposita comunicazione da effettuare entro il 30 settembre 1998, con effetto dal 1° luglio dello stesso anno.

Ai sensi del comma 2 dell'articolo in rassegna l'opzione svolge efficacia per tutto il periodo d'imposta e può essere revocata entro la scadenza di ciascun anno solare, con effetto per il periodo d'imposta successivo. Si ritiene, quindi, che l'opzione esercitata in un periodo d'imposta abbia effetto anche per i periodi d'imposta successivi, salvo che il contribuente non ne effettui la revoca, nel qual caso la revoca ha effetto dal periodo d'imposta successivo a quello in cui è stata comunicata all'intermediario.

Nel caso in cui il contribuente intrattenga contemporaneamente una pluralità di rapporti con un medesimo intermediario, l'opzione può riguardare tutti i contratti o altri rapporti intrattenuti o alcuni soltanto di essi. Inoltre, in ipotesi di contratti cointestati l'opzione, per essere efficace, deve necessariamente essere esercitata da tutti gli intestatari e perde efficacia solo se viene espressamente revocata da tutti gli intestatari (cfr. D.M. 22 maggio 1998, pubblicato nella G.U. n. 132 del 9 giugno 1998). Al riguardo si precisa inoltre che ai fini dell'esercizio dell'opzione in discorso è necessario che tutti i cointestatari abbiano i requisiti per l'applicazione del regime amministrato.

Come già anticipato, l'opzione può essere esercitata sia contestualmente, che successivamente alla stipula del contratto o all'instaurazione del rapporto: nel primo caso, l'opzione ha effetto immediato; nel secondo caso, ha effetto dal primo giorno dell'anno successivo a quello in cui è stata esercitata l'opzione, salvo che per le fattispecie previste dall'art. 81, comma 1, lettere c-quater) e c-quinquies) per le quali l'opzione può essere esercitata anche al momento della conclusione del primo contratto, come specificamente stabilito dal comma 2 dell'articolo in esame.

Per quanto concerne le modalità con cui va esercitata l'opzione, appare evidente che qualora l'opzione sia esercitata contestualmente al conferimento dell'incarico o all'instaurazione del rapporto, il contratto può essere integrato con un'apposita indicazione in questo senso; in ogni altro caso risulterà da apposito atto scritto.

Analoga procedura vale anche per quanto concerne la revoca dell'opzione e i suoi effetti. Viene infatti stabilito che se la revoca è manifestata prima della conclusione del contratto o del rapporto, gli effetti dell'opzione si protraggono fino al termine del periodo d'imposta in corso, a meno che prima di tale data il contratto o il rapporto non siano stati risolti.

Per quanto concerne gli obblighi di conservazione delle dichiarazioni riguardanti l'esercizio e la revoca dell'opzione si ritiene che gli intermediari debbano osservare le disposizioni dell'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

3.3.3 Le modalità di applicazione dell'imposta sostitutiva

Per quanto concerne le modalità con le quali viene applicata l'imposta sostitutiva da parte degli intermediari incaricati, il comma 3 dell'articolo in esame stabilisce che, in via di massima, l'imposta sostitutiva è dovuta su ciascuna plusvalenza, differenziale positivo o provento che il contribuente ha realizzato. Con riferimento alla determinazione della base imponibile dei redditi in questione, la disposizione in commento ha previsto che nel caso in cui l'intermediario non sia in possesso dei dati e delle informazioni necessarie per calcolare l'ammontare delle plusvalenze e degli altri redditi di natura finanziaria, egli li deve chiedere al contribuente prima dell'effettuazione dell'operazione e che il contribuente è tenuto a comunicare all'intermediario i dati e le informazioni da quest'ultimo richiestegli, trasmettendogli altresì la pertinente documentazione, anche in copia; in mancanza di tale documentazione il contribuente è tenuto a consegnare all'intermediario una dichiarazione sostitutiva nella quale attesti i dati e le informazioni richiestegli. Qualora il contribuente non adempia alle richieste dell'intermediario in una delle forme dianzi indicate, quest'ultimo sospende l'esecuzione delle operazioni cui è tenuto in relazione all'incarico ricevuto, fintanto che il contribuente non gli avrà fornito i dati e le informazioni necessarie per l'applicazione dell'imposta.

La stessa disposizione di cui al comma 3 stabilisce che nel caso in cui il contribuente abbia fornito all'intermediario un'errata comunicazione dei dati necessari per il calcolo della plusvalenza o del provento finanziario tassabile e che da ciò sia derivato un omesso o non sufficiente versamento dell'imposta sostitutiva, la differenza tra quanto effettivamente dovuto e quanto versato deve essere recuperata unicamente nei confronti del contribuente, con applicazione delle sanzioni previste dal successivo comma 11.

3.3.4 La base imponibile

Per la determinazione della plusvalenza, differenziale positivo o provento percepito dal contribuente l'intermediario deve innanzitutto applicare le regole generali previste per ciascuna delle fattispecie reddituali ricadenti nel regime del risparmio amministrato, secondo le previsioni dell'art. 82 del T.U.I.R., ivi compresa quella relativa alla rilevanza degli oneri inerenti alla produzione dei redditi di cui trattasi.

Al riguardo si precisa che non appaiono fiscalmente rilevanti gli oneri non strettamente inerenti alla produzione delle plusvalenze e, in particolare, quelli sostenuti in relazione al rapporto di custodia ed amministrazione dei titoli.

La regola secondo cui i redditi di capitale maturati ma non riscossi, diversi da quelli derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti all'IRPEG, si scomputano dal corrispettivo percepito o dalla somma rimborsata, nonché dal costo o valore di acquisto assume, com'è evidente, particolare rilievo nel caso di titoli obbligazionari e similari.

Con la disposizione contenuta nel comma 4 dell'articolo in commento viene indicato il criterio contabile da seguire per determinare il costo da assumere per calcolare la base imponibile delle plusvalenze, dei differenziali e dei proventi (esclusi quelli realizzati a seguito della cessione a termine delle valute) nel caso in cui i titoli o gli altri valori mobiliari della stessa specie ed aventi eguali caratteristiche (quali, ad esempio, le azioni ordinarie della società Alfa, le obbligazioni della società Beta rappresentative di un unico prestito, e così via) siano stati acquistati dal contribuente in date successive ed a prezzi diversi. Ebbene, qualora ricorra questa ipotesi, si assume come costo o valore di acquisto quello medio ponderato relativo a ciascuna categoria omogenea di attività finanziaria, il che consente all'intermediario di disporre di un unico valore da prendere a riferimento ai fini della determinazione delle plusvalenze o delle minusvalenze e degli altri redditi diversi. Nulla è invece innovato per quanto concerne le plusvalenze derivanti dalla cessione a termine delle valute estere, la cui determinazione è pari alla differenza tra il corrispettivo della cessione e il valore della valuta al cambio a pronti accertato alla data di stipula del contratto, come stabilito dall'art. 82 del T.U.I.R. precedentemente esaminato.

3.3.5 Il riporto di minusvalenze, perdite e differenziali negativi

Analogamente a quanto previsto nell'ambito del regime della dichiarazione, anche per il regime del risparmio amministrato il comma 5 dell'articolo in commento prevede che nel caso in cui siano state realizzate minusvalenze, perdite e differenziali negativi gli intermediari incaricati computano in deduzione, fino a loro concorrenza, l'importo delle predette minusvalenze, perdite e differenziali negativi dalle plusvalenze, proventi e differenziali positivi realizzati nelle successive operazioni poste in essere nell'ambito del rapporto intrattenuto con l'intermediario stesso, nello stesso periodo d'imposta ed in quelli successivi, ma non oltre il quarto.

Con il medesimo comma 5 è stato stabilito che, per l'ipotesi in cui il contribuente abbia revocato l'opzione oppure abbia chiuso il rapporto di custodia, amministrazione o deposito, le minusvalenze, le perdite e i differenziali eccedenti che non hanno trovato compensazione possono essere portati in deduzione, sempre non oltre il quarto periodo d'imposta rispetto a quello del realizzo, dalle plusvalenze, proventi e differenziali positivi realizzati nell'ambito di un altro rapporto di amministrazione, custodia e deposito intestato agli stessi soggetti titolari del rapporto di provenienza e, in alternativa, dalle plusvalenze, differenziali positivi e proventi che il contribuente dichiari secondo le modalità ordinarie previste dall'art. 82, comma 4, del T.U.I.R. precedentemente esaminato. A quest'ultimo fine, gli intermediari sono tenuti a rilasciare ai contribuenti un'apposita certificazione dalla quale risultino tutti i dati e le informazioni necessarie a consentire la deduzione delle predette minusvalenze, perdite e differenziali negativi.

Le plusvalenze e gli altri redditi diversi, così come le minusvalenze e le perdite, derivanti da attività finanziarie che risultino intestate a più soggetti debbono essere attribuite pro quota secondo gli ordinari principi civilistici. Resta inteso che per le attività finanziarie la cui titolarità è ascrivibile ad un solo soggetto, ancorché esse siano immesse in un dossier cointestato, le plusvalenze o minusvalenze derivanti dalle suddette attività non sono compensabili con quelle distintamente riferibili agli altri cointestatari.

3.3.6 Il trasferimento di strumenti finanziari

Ai sensi e per gli effetti del comma 6 dell'art. 6 in commento si considera cessione a titolo oneroso anche il trasferimento dei titoli, quote o certificati o rapporti ad un altro deposito, rapporto di custodia o amministrazione sempre in regime amministrato, ma intestati a soggetti diversi dagli intestatari del rapporto di provenienza, o ad un rapporto di gestione di cui all'art. 7, salvo che il trasferimento non sia avvenuto per successione o donazione. In tal caso la plusvalenza, il provento, la minusvalenza o la perdita realizzate mediante il trasferimento sono determinate con riferimento al valore normale, alla data del trasferimento, dei titoli, quote certificati o rapporti trasferiti e gli intermediari, tenuti al versamento dell'imposta, possono sospendere l'esecuzione delle operazioni fino a che non ottengano dal contribuente provvista per il versamento dell'imposta dovuta. Gli intermediari rilasciano al contribuente apposita certificazione dalla quale risulti il valore dei titoli, quote, certificati o rapporti trasferiti.

Ai sensi del comma 8 dell'articolo in esame nel caso di prelievo dei titoli, quote, certificati o rapporti o di loro trasferimento a rapporti di custodia o di amministrazione intestati agli stessi soggetti intestatari dei rapporti di provenienza e comunque di revoca dell'opzione, per il calcolo della plusvalenza, reddito, minusvalenza o perdita, ai fini dell'applicazione dell'imposta sostitutiva di cui all'art. 5 si assume il costo o valore determinati ai sensi del comma 3 e 4 dell'articolo in esame e si applica il comma 12 sulla base di apposita certificazione rilasciata dai soggetti di cui al comma 1.

3.3.7 Il possesso di partecipazioni qualificate

Il comma 8 dell'articolo in commento disciplina l'ipotesi in cui nell'ambito di un rapporto di amministrazione si realizzi in capo al contribuente il possesso di titoli partecipativi per percentuali superiori a quelle previste dalla lettera c) del comma 1 dell'art. 81. Tale computo va effettuato tenendo conto sia delle partecipazioni possedute nell'ambito di rapporti di risparmio amministrato, sia di quelle possedute nell'ambito di rapporti di risparmio gestito, sia di quelle per le quali non sia stata esercitata alcuna opzione per regimi di tassazione alternativi a quello della dichiarazione. In caso di superamento delle predette percentuali la disposizione in esame stabilisce che il contribuente non può esercitare l'opzione e che, nel caso in cui l'opzione sia stata esercitata, la stessa perde effetto, limitatamente alle partecipazioni per le quali si è verificato il suddetto superamento. Per l'ipotesi in cui il detto superamento sia avvenuto dopo l'esercizio dell'opzione si applica la disciplina di cui al comma 7 dianzi esaminata ai fini dell'applicazione dell'imposta nei modi ordinari da parte del contribuente con riferimento alle plusvalenze o minusvalenze successivamente realizzate, come previsto dall'art. 5, comma 1, del provvedimento in oggetto per le cessioni a titolo oneroso di partecipazioni qualificate. In questo caso il contribuente è tenuto a comunicare agli intermediari incaricati, che non siano in grado di verificare la predetta circostanza in base agli elementi in loro possesso, l'avvenuto superamento delle percentuali entro quindici giorni dalla data in cui ciò è avvenuto oppure all'atto della prima cessione, se essa è avvenuta precedentemente. In pratica, con tale procedimento la plusvalenza viene determinata sulla base dei corrispettivi complessivamente conseguiti nell'arco dei 12 mesi successivi al superamento delle percentuali in termini di possesso, da cui va dedotto il costo medio ponderato dei titoli ceduti. Inoltre, nel caso in cui successivamente al momento in cui si è verificato l'avveramento della condizione del possesso della partecipazione qualificata, siano state cedute (di regola, nel periodo di tempo intercorrente tra tale momento e la comunicazione cui è tenuto il contribuente) partecipazioni su cui sia stato applicato il regime fiscale previsto per le cessioni di partecipazioni non qualificate di cui alla lettera c-bis) dell'art. 81 del T.U.I.R., i relativi proventi vanno aggiunti a quelli conseguiti a seguito della cessione della partecipazione qualificata e il costo di riferimento dedotto (quello medio ponderato) va confermato, in quanto non è possibile rideterminare un costo medio ponderato che non tiene conto di eventuali acquisti successivi. Va da sé che dall'imposta sostitutiva così determinata deve essere dedotta quella corrisposta per le cessioni di partecipazioni non qualificate.

La stessa disposizione stabilisce poi che in caso di indebito esercizio dell'opzione o di omessa comunicazione agli intermediari da parte del contribuente si applica la sanzione amministrativa dal 2 al 5 per cento del valore delle partecipazioni, titoli o diritti posseduti.

3.3.8 Le modalità di versamento

Per quanto concerne il versamento da parte degli intermediari dell'imposta sostitutiva dovuta dai contribuenti, il comma 9 dell'articolo in commento stabilisce che il versamento deve essere effettuato al concessionario della riscossione ovvero alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato entro il quindicesimo giorno del secondo mese successivo a quello in cui l'imposta è stata applicata. A tal fine gli intermediari trattengono l'importo del tributo da versare da ciascun reddito realizzato ovvero ne ricevono provvista dal contribuente. Ai fini dell'esatta individuazione del termine di versamento, la norma in esame stabilisce che per le operazioni effettuate con l'intervento degli intermediari autorizzati ad operare nei mercati regolamentati l'operazione deve considerarsi effettuata entro il termine previsto per le relative liquidazioni periodiche. È stato infine previsto che gli intermediari sono tenuti a rilasciare ai contribuenti un'attestazione del versamento entro il mese successivo a quello in cui è stato effettuato.

Con il comma 10 dell'articolo in esame è stato disposto che gli intermediari devono comunicare all'Amministrazione finanziaria, negli stessi termini previsti per la presentazione della dichiarazione in qualità di sostituto d'imposta, l'ammontare complessivo delle plusvalenze e degli altri proventi e quello delle imposte sostitutive applicate nell'anno solare precedente.

Per quanto concerne le disposizioni in materia di accertamento e di riscossione dell'imposta sostitutiva non dichiarata e non versata dagli intermediari, nonché per l'eventuale contenzioso, si rinvia a quanto precisato nel precedente paragrafo 3.1.

3.3.9 L'equalizzatore

L'ultimo comma dell'articolo in commento disciplina le modalità applicative dell'equalizzatore di cui all'art. 82, comma 9, del T.U.I.R. alle plusvalenze ed agli altri redditi di natura finanziaria realizzati nell'ambito del regime semplificato. A tal fine, nell'intento di contenere la quantità di dati che gli intermediari debbono elaborare è stato previsto un criterio analogo a quello adottato per l'identificazione del valore di costo da contrapporre ai corrispettivi conseguiti - consistente nella media ponderata dei prezzi di acquisto - criterio che consente di far riferimento, per ogni categoria omogenea di titoli e valori mobiliari, ad una determinata data media ponderata di acquisto in base alla quale si individua il coefficiente di equalizzazione da applicare a ciascuna operazione di realizzo. Il calcolo della data media ponderata di acquisto va eseguito considerando l'anno civile (365 giorni). Ad esempio, se 2000 azioni Alfa sono state comprate il 10 dicembre 1998 ed altre 1000 azioni Alfa sono state acquistate il 9 gennaio 1999, si considera che le 3000 azioni sono state tutte acquistate il 20 dicembre 1998.

 

 

3.4 Applicazione dell'imposta sostitutiva sul risultato maturato delle gestioni individuali di portafoglio.

Conformemente a quanto previsto dall'art. 3, comma 160, lettera g), della legge 23 dicembre 1996, n. 160, con l'art. 7 del provvedimento in oggetto viene disciplinato il regime di imposizione applicabile ai redditi di capitale e diversi conseguiti, nell'ambito delle gestioni individuali di portafoglio, da parte dei contribuenti indicati nel precedente paragrafo 3.1, e cioè da parte delle persone fisiche non esercenti attività produttive di redditi d'impresa o comunque relativamente a beni non relativi all'impresa, dei soggetti IRPEG esenti dalla relativa imposta, delle società semplici e dei soggetti ad esse equiparati, nonché degli enti non commerciali.

Il nuovo regime reca una profonda innovazione nel sistema di tassazione delle gestioni individuali di patrimoni. Le disposizioni vigenti, infatti, attuano il prelievo impositivo considerando ciascun reddito di capitale e diverso conseguito dal contribuente nell'ambito della gestione patrimoniale; risulta quindi del tutto irrilevante - ai fini impositivi - che il reddito sia conseguito nell'ambito di una gestione di patrimoni ovvero al di fuori di essa dovendosi comunque osservare le regole ordinarie di imposizione dei redditi nonché - ove previsti - gli adempimenti di rilevazione e segnalazione all'Amministrazione finanziaria di tutti i dati rilevanti ai fini dell'accertamento (modelli RAD, redazione della dichiarazione del sostituto d'imposta, obblighi di rilevazione e segnalazione dei flussi finanziari da o verso l'estero di importo superiore a 20 milioni di lire).

Nel dare attuazione alle disposizioni contenute nell'articolo 3, comma 160, lettere g) ed n) della legge n. 662 del 1996, il legislatore delegato ha introdotto significativi elementi di novità rispetto alle disposizioni previgenti.

In primo luogo è stata attribuita, ai fini tributari, una specifica rilevanza al rapporto contrattuale intrattenuto tra il contribuente ed un intermediario finanziario abilitato alla prestazione del servizio di gestione individuale di patrimoni. In tal modo è stata superata l'impostazione vigente che perviene alla tassazione di ogni singolo reddito conseguito dal contribuente ed è stato introdotto un regime tributario che prevede l'applicazione di una imposta sostitutiva del 12,50 per cento sul reddito complessivo netto maturato nell'ambito del contratto di gestione di patrimoni intrattenuto con l'intermediario.

In secondo luogo muovendo dalla considerazione che il risultato della gestione maturato viene tassato con una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, sono state riviste le disposizioni che regolano gli obblighi di rilevazione e segnalazione di dati e notizie all'Amministrazione finanziaria, limitando la loro operatività alle sole fattispecie suscettibili di uno specifico interesse ai fini dell'accertamento in quanto idonee a generare redditi che devono essere indicati dal contribuente nella dichiarazione dei redditi. Pertanto, per le operazioni che comportano il conseguimento di redditi che concorrono a formare il risultato della gestione soggetto ad imposta sostitutiva, dette comunicazioni non sono più previste (art. 10, comma 4, del D.Lgs. n. 461 del 1997 e articolo 27, comma 6, del D.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall'articolo 12, comma 4 del D.Lgs. n. 461 del 1997).

L'art. 7 del decreto legislativo n. 461 del 1997 da attuazione a questi principi e disciplina l'imposta sostitutiva sul risultato della gestione.

Il comma 1 dell'articolo 7 in commento attribuisce ai contribuenti che hanno conferito ad un gestore, abilitato ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1996, n. 415, l'incarico di gestire masse patrimoniali, costituite da somme di denaro o da beni non relativi all'impresa, la facoltà di optare per l'applicazione, da parte del gestore medesimo, dell'imposta sostitutiva del 12,50 per cento sul risultato maturato delle gestioni individuali di portafoglio, comprensivo sia dei redditi di capitale di cui all'art. 41, che dei redditi diversi di cui all'art. 81, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies), del T.U.I.R. e, quindi, con esclusione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate.

Giova in primo luogo premettere che il riferimento agli incarichi di gestione conferiti ai sensi del decreto legislativo n. 415 del 1996 deve essere inteso nella sua accezione civilistica e cioè nel senso che possono fruire del regime tributario previsto dall'articolo 7 in commento soltanto i proventi (redditi di capitale e redditi diversi) che afferiscono alle operazioni e gli strumenti finanziari che, sulla base della normativa di settore, possono essere oggetto di una gestione individuale di patrimoni; risulta quindi escluso che tale regime possa trovare applicazione anche per i proventi di attività finanziarie eventualmente acquisite dal gestore in violazione della normativa che ne disciplina l'attività.

Inoltre, il riferimento a somme e beni non relativi all'impresa lascia chiaramente intendere che il trattamento fiscale in commento non può trovare applicazione quando i redditi derivanti dalla gestione afferiscono a masse patrimoniali appartenenti ad imprese commerciali, perché in tal caso detti redditi concorrono a formare il reddito d'impresa secondo le disposizioni contenute nel Capo VI del Titolo I del T.U.I.R.

La disciplina in rassegna non si applica neppure in relazione ai proventi relativi alle masse patrimoniali appartenenti ai fondi comuni d'investimento - sia aperti che chiusi, sia mobiliari che immobiliari - alle Sicav e ai fondi pensione, in quanto soggetti a diverse e specifiche imposte sostitutive delle imposte sui redditi.

L'opzione prevista dall'articolo 7, comma 1, deve essere esercitata mediante comunicazione ai soggetti abilitati alla prestazione del servizio di gestione individuale di patrimoni ai sensi del decreto legislativo n. 415 del 1996. L'articolo 1, comma 2, del decreto del Ministro delle finanze D.M. 22 maggio 1998, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 132 del 9 giugno 1998, prevede che i soggetti destinatari della comunicazione sono le banche, le società di intermediazione mobiliare e le società fiduciarie iscritte nell'albo di cui al predetto decreto legislativo, residenti in Italia, nonché alle stabili organizzazioni in Italia di banche e di imprese di investimento non residenti, iscritte nel predetto albo.

Inoltre, per quanto concerne l'esercizio e la revoca dell'opzione, il comma 2 dell'articolo in esame stabilisce che i contribuenti interessati, salvo quanto previsto in via transitoria per i contratti in essere alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, possono optare per l'applicazione dell'imposta sostitutiva del 12,50 per cento sul risultato della gestione a condizione che sia rilasciata al gestore un'apposita comunicazione sottoscritta dal contribuente all'atto della stipula del contratto, nel qual caso l'opzione ha effetto immediato. Ciò porta ad escludere che il particolare regime in esame - che, come si vedrà meglio in seguito, implica in certi casi la posizione di "lordista" del gestito in relazione ai redditi di capitale e diversi che concorrono a formare il risultato imponibile della gestione - possa trovare applicazione, per i contratti stipulati a partire dal 1° luglio 1998, in assenza di una espressa manifestazione di volontà resa in forma scritta dal contribuente; conseguentemente, in assenza dell'opzione per il regime del risparmio gestito (nonché di quella per il regime del risparmio amministrato), i redditi conseguiti nell'ambito della gestione devono formare oggetto di tassazione in base alle disposizioni ordinarie comprese quelle contenute nell'articolo 5 del provvedimento in oggetto.

Nel caso in cui il contribuente abbia stipulato uno o più rapporti di gestione senza aver esercitato l'opzione contestualmente alla stipula del contratto, l'opzione successivamente rilasciata al gestore ha effetto dal periodo d'imposta successivo a quello in cui l'opzione stessa è stata esercitata (art. 7, comma 2).

L'opzione ritualmente esercitata ha effetto fino a quando non è revocata oppure fino a quando il contratto non viene risolto: non è quindi necessaria una conferma periodica dell'opzione se il contratto ha durata pluriennale. Inoltre, fino a quando il contratto non si scioglie, l'eventuale revoca espressa dal contribuente ha effetto dal periodo d'imposta successivo a quello in cui è stata manifestata.

Per i rapporti in essere alla data di entrata in vigore del nuovo regime, l'articolo 15, comma 7, del decreto legislativo n. 461 del 1997, prevede che il nuovo regime impositivo si applica anche in mancanza di opzione. Tuttavia il contribuente può revocare l'opzione entro il 30 settembre 1998, con effetto dalla data in cui questa è ricevuta dall'intermediario.

In merito a quanto precede si ritiene - in analogia a quanto osservato con riferimento all'opzione da rendere per l'applicazione del regime del risparmio amministrato - che nel caso in cui il contribuente intrattenga contemporaneamente con uno stesso gestore più rapporti di gestione, sia l'opzione che la revoca possono riguardare tutti i rapporti intrattenuti o alcuni soltanto di essi. Inoltre, ai sensi dell'articolo 2 del citato decreto ministeriale D.M. 22 maggio 1998, nel caso di contratti cointestati a più soggetti nei cui confronti si applichi il medesimo regime di tassazione, sia l'esercizio che la revoca dell'opzione svolgono effetti a condizione che siano esercitate da tutti i cointestatari.

Un caso di revoca del tutto particolare è quello previsto nel comma 5 dell'articolo in commento, che concerne l'ipotesi in cui nel patrimonio gestito siano compresi titoli, quote, partecipazioni, certificati o rapporti non negoziati in mercati regolamentati, il cui valore medio annuo complessivo risulti superiore al 10 per cento dell'attivo medio gestito.

Ebbene, per detta ipotesi la citata disposizione prevede due possibilità:

a) che detti titoli, partecipazioni, quote, ecc., siano valutati in base al valore normale

oppure

b) che il contribuente revochi l'opzione limitatamente ai predetti titoli, partecipazioni, quote, ecc.

Al riguardo, facendo riserva di ritornare sullo specifico argomento allorquando verrà esaminato il contenuto del comma 5 dell'articolo in rassegna, si può fin d'ora anticipare che ove il contribuente opti per la seconda soluzione (revoca parziale), gli effetti della revoca in costanza di svolgimento del contratto di gestione decorrono nei termini ordinari previsti dall'articolo 7, comma 2, e cioè dall'anno successivo a quello in cui la revoca è comunicata all'intermediario, conformemente a quanto ora stabilisce la disposizione in esame.

Prima di concludere il discorso sull'esercizio dell'opzione in parola, è opportuno anticipare il contenuto della disposizione di cui al comma 14 dell'articolo in rassegna, che contiene una norma antielusiva volta ad evitare che le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate possano fruire di un regime impositivo più favorevole rispetto a quello per esse previsto.

Ricalcando l'analoga disposizione recata dal comma 8 dell'art. 6 dianzi esaminato, la predetta disposizione di cui al comma 14 prevede che l'opzione non può essere esercitata e, se esercitata, perde effetto qualora le percentuali di diritti di voto o di partecipazione rappresentate dalla partecipazioni, titoli o diritti complessivamente posseduti dal contribuente, anche nell'ambito di rapporti soggetti alla disciplina del risparmio amministrato di cui all'art. 6 del provvedimento in oggetto, siano superiori a quelle indicate nell'art. 81, comma 1, lettera c), del T.U.I.R.

La stessa disposizione prevede, inoltre, che qualora il superamento delle percentuali si sia verificato in data successiva a quella in cui è stata esercitata l'opzione, il contribuente è tenuto a comunicare al gestore tale circostanza entro quindici giorni dalla data in cui il si è verificato il superamento o, se precedente, alla data della prima cessione, sempreché il gestore non sia in grado di verificare tale situazione sulla base dei dati e delle informazioni in suo possesso. Infine, per l'ipotesi in cui il contribuente abbia indebitamente esercitato l'opzione o abbia omesso di comunicare al gestore il superamento delle cennate percentuali, si applica a carico del contribuente la sanzione amministrativa dal 2 al 5 per cento del valore delle partecipazioni, titoli o diritti posseduti alla data della commessa violazione.

Per quanto concerne il meccanismo applicativo dell'imposta sostitutiva del 12,50 per cento sul "risultato maturato" nel periodo d'imposta - espressamente sancito dalla norma di delega contenuta nell'art. 3, comma 160, lettera g), della citata legge n. 662 del 1996 - nel disciplinare il regime delle gestioni patrimoniali, sia individuali che collettive, il legislatore ha dovuto tener conto anche di quanto stabilito dalla disposizione contenuta nella seconda parte della successiva lettera n) della stessa norma di delega, laddove è stato previsto, tra l'altro, il "coordinamento fra le disposizioni in materia di ritenute alla fonte sui redditi di capitale e di imposte sostitutive afferenti i redditi medesimi ed i trattamenti previsti alle lettere g) e i)" .

Nell'ambito dell'art. 7 in rassegna, tale coordinamento è stato realizzato attraverso le disposizioni contenute nei commi 4 e 3, nei quali è stato rispettivamente previsto che:

- la base imponibile da assoggettare all'imposta sostitutiva del 12,50 per cento è costituita dal risultato della gestione maturato nel periodo d'imposta. Da ciò si desume agevolmente che i redditi di capitale e diversi relativi alle masse patrimoniali gestite non rappresentano la base imponibile dell'imposta, ma concorrono alla formazione della stessa secondo il criterio della maturazione, indipendentemente dalla loro percezione;

- le masse patrimoniali gestite assumono, all'atto della percezione dei redditi di capitale e dei redditi diversi, la qualifica di "lordista" (espressione desunta dalla normativa contenuta nel decreto legislativo n. 239 del 1996, con la quale vengono individuati i soggetti che non subiscono né ritenute alla fonte né imposte sostitutive sui redditi delle obbligazioni ivi disciplinate). Detti redditi, infatti, dovendo essere assoggettati all'imposta sostitutiva del 12,50 per cento da parte del gestore, in quanto concorrono a formare la base imponibile secondo il cennato criterio della maturazione, devono necessariamente essere conseguiti senza aver subito alcuna preventiva imposizione e, quindi, senza applicazione alcuna di ritenute o di imposte sostitutive.

Per effetto di quanto stabilito dal comma 3 dell'articolo in esame, quindi, le masse patrimoniali subiscono il prelievo alla fonte sui redditi di capitale soltanto se detto prelievo è espressamente previsto e sempreché i redditi di capitale non rientrino tra quelli specificamente menzionati nello stesso comma 3. Pertanto, continueranno ad affluire alla gestione, al netto delle ritenute di legge, i redditi di capitale per i quali è prevista un'aliquota di ritenuta del 27 per cento (fatta eccezione per gli interessi sui conti correnti bancari per i quali si verifichi la condizione di cui all'articolo 7, comma 3, lettera b), del decreto legislativo n. 461 del 1997) oppure la ritenuta del 12,50 per cento operata dall'emittente in forza delle disposizioni del novellato articolo 26, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973 (interessi ed altri proventi delle obbligazioni emesse da società per azioni residenti non quotate, ecc.).

Per quanto concerne poi i redditi diversi che concorrono a formare il risultato della gestione, la stessa norma stabilisce che gli stessi non sono soggetti né alle imposte sui redditi, né all'imposta sostitutiva di cui all'art. 5, comma 2. Conseguentemente, i redditi che concorrono a formare il risultato della gestione su cui va applicata l'imposta sostitutiva del 12,50 per cento non sono soggetti alle imposte sostitutive previste dagli att. 5 e 6 del provvedimento in oggetto.

È appena il caso di sottolineare ancora una volta che il regime in questione non si applica alle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate, le quali non sono menzionate né nel comma 1 né nel comma 3 dell'articolo in commento, e quindi per dette plusvalenze resta fermo l'obbligo della dichiarazione da parte del contribuente secondo quanto previsto dall'articolo 5 del provvedimento in esame.

Ciò premesso, il comma 3 dell'articolo in esame, ha innanzitutto sancito il criterio di carattere meramente strumentale - dianzi commentato - secondo cui, nel caso di opzione del contribuente di volersi avvalere del regime del risparmio gestito, i redditi di capitale e diversi che concorrono a formare il risultato della gestione su cui va applicata l'imposta sostitutiva del 12,50 per cento, determinati sulla base dei criteri stabiliti dagli artt. 42 e 82 del T.U.I.R., non devono essere assoggettati a imposta al momento della loro percezione.

Con riferimento ai redditi di capitale, tuttavia, si è resa necessaria una disciplina più articolata, perché la deroga al regime del prelievo alla fonte - e quindi la possibilità di rendere lordista il patrimonio gestito - si rende praticabile soltanto con riferimento ai redditi per i quali l'ordinamento prevede, nei confronti dei contribuenti non imprenditori, un prelievo definitivo (cioè, una ritenuta d'imposta o una imposta sostitutiva) nella misura del 12,50 per cento.

La suddetta deroga, invece, non può operare per i redditi di capitale per i quali l'ordinamento prevede che debbano concorrere a formare il reddito complessivo del contribuente nonché, come già accennato, nei casi in cui il prelievo definitivo trova applicazione con un'aliquota superiore (quella del 27 per cento). Per tali redditi il legislatore (art. 7, comma 4) ha inteso mantenere il sistema impositivo ad essi pertinente, anche se vengono conseguiti dal patrimonio gestito, nel qual caso dovranno essere dedotti dal risultato della gestione da assoggettare all'imposta sostitutiva.

Inoltre, al fine di evitare una doppia imposizione, qualora nella gestione dovessero affluire proventi già soggetti ad uno specifico regime di esenzione oppure ad imposizione sostitutiva, è stato previsto (art. 7, comma 4) che dovranno essere altresì dedotti dal risultato della gestione anche i redditi esenti o comunque non soggetti ad imposta, quali ad esempio le plusvalenze (e le minusvalenze) di cui all'articolo 20, comma 1, lettera f), del T.U.I.R., i proventi derivanti da quote o azioni di organismi di investimento collettivo mobiliare soggetti alle disposizioni di cui all'articolo 8, commi da 1 a 4, del decreto legislativo n. 461 del 1997, i proventi da fondi comuni di investimento immobiliare di cui alla legge n. 86 del 1994. Va da sé che le perdite derivanti da quote o azioni di cui sopra non assumono rilevanza ai fini della determinazione del risultato di gestione, in quanto le stesse sono dedotte in capo all'organismo di investimento collettivo.

Alla stregua di quanto precede e con specifico riferimento ai redditi di capitale la disposizione in commento ha quindi stabilito che non si applicano:

a) l'imposta sostitutiva sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari, pubblici e privati, di cui al decreto legislativo 1 aprile 1996, n. 239;

b) la ritenuta del 27 per cento, prevista dall'art. 26, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sugli interessi ad altri proventi dei conti correnti bancari, a condizione che la giacenza media annua non sia superiore al 5 per cento dell'attivo medio gestito. Ricorrendo questa ipotesi, nel caso la banca depositaria presso la quale sono intrattenuti i conti correnti bancari sia un soggetto diverso dal gestore, quest'ultimo deve comunicare alla banca, mediante apposita attestazione, la sussistenza delle condizioni che comportano la non applicazione della ritenuta. Pertanto, in mancanza dell'attestazione e nel caso in cui la giacenza media annua sia superiore alla predetta percentuale, la banca deve applicare la ritenuta del 27 per cento sull'intero ammontare degli interessi relativi al patrimonio gestito ed in tal caso gli interessi assoggettati alla ritenuta del 27 per cento dovranno essere dedotti dalla base imponibile dell'imposta sostitutiva;

c) la ritenuta d'imposta del 12,50 per cento, prevista dall'art. 26, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - nel testo modificato dall'art. 12, comma 1, del provvedimento in oggetto - sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari aventi scadenza non inferiore a diciotto mesi, emessi all'estero da soggetti non residenti. La stessa disposizione ha ad oggetto anche gli interessi e gli altri proventi delle obbligazioni e degli altri titoli di cui all'art. 31 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, nonché di quelli con regime fiscale equiparato, emessi all'estero a decorrere dal 10 settembre 1992, indipendentemente dalla loro scadenza;

d) la ritenuta del 12,50 per cento, prevista dall'art. 26, comma 3-bis), del citato D.P.R. n. 600 del 1973 - nel testo introdotto dall'art. 12, comma 1, del provvedimento in oggetto - sui proventi derivanti dalle operazioni di riporto e di pronti contro termine su titoli e valute e da operazioni di prestito titoli di cui, rispettivamente, all'art. 41, comma 1, lett. g-bis) e g-ter), del T.U.I.R.;

e) la ritenuta del 12,50 per cento, prevista dai commi 1 e 4 dell'art. 27 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - nel testo modificato dall'art. 12, comma 4, del provvedimento in oggetto - sui dividendi percepiti da persone fisiche residenti in relazione ad azioni o quote partecipative, italiane o estere, rientranti nell'ambito delle partecipazioni non qualificate ai sensi dell'art. 81, comma 1, lettera c-bis), con esclusione delle ritenute applicabili sugli utili derivanti da partecipazioni in società estere non negoziate in mercati regolamentati sui quali il prelievo alla fonte è comunque applicato a titolo d'acconto. Per quanto riguarda la nozione di mercati regolamentati si rinvia a quanto specificato al paragrafo 2.2.1. Inoltre, tenuto conto di quanto disposto dall'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo in commento tale disposizione è destinata ad operare per gli utili la cui distribuzione sia stata deliberata dalla società emittente a partire dal 1° luglio 1998;

f) la ritenuta del 12,50 per cento, prevista dal comma 1 dell'art. 10-ter della legge 23 marzo 1983, n. 77 - come modificato dall'art. 8, comma 5, del provvedimento in oggetto - sui proventi derivanti dalla partecipazione a organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero, situati negli Stati membri dell'Unione Europea, conformi alle direttive comunitarie e le cui quote sono collocate nel territorio dello Stato ai sensi dell'art. 10-bis della stessa legge n. 77 del 1983.

Il comma 4 fissa i criteri in base ai quali deve essere determinato il risultato netto della gestione sul quale va applicata l'imposta sostitutiva del 12,50 per cento. Detto risultato è costituito dalla differenza tra il valore del patrimonio gestito al termine di ciascun anno solare (ovvero, se precedente, del valore risultante alla data di chiusura del contratto di gestione), al lordo dell'imposta sostitutiva eventualmente accantonata, incrementato dei prelevamenti fatti dal contribuente nel corso dell'anno, ed il valore del patrimonio gestito all'inizio dell'anno (ovvero, se posteriore, di quello conferito alla data della stipula del contratto di gestione). Agli effetti della determinazione del risultato netto di gestione, al valore del patrimonio gestito all'inizio dell'anno vanno aggiunti gli ulteriori conferimenti fatti dal contribuente nel corso dell'anno, i redditi maturati nel periodo e soggetti a ritenuta, i redditi che concorrono alla formazione del reddito complessivo del contribuente, i redditi esenti o comunque non soggetti ad imposta maturati nel periodo, i proventi derivanti dalla partecipazione ad organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari soggetti all'imposta sostitutiva, nonché i proventi della partecipazione ai fondi comuni di investimento immobiliare di cui alla legge 25 gennaio 1994, n. 86.

Naturalmente concorrono a formare il risultato della gestione le eventuali plusvalenze o minusvalenze derivanti dalle quote di partecipazione in organismi di investimento collettivo (determinate tenendo conto delle disposizioni dell'articolo 81, comma 1, lettera c-ter) del T.U.I.R., nonché di quelle contenute nel novellato articolo 42, comma 4-bis, del T.U.I.R.), così come le plusvalenze e minusvalenze derivanti dai valori mobiliari che generano redditi di capitale esenti, soggetti a ritenuta (ancorché conseguiti nell'ambito della gestione) ovvero che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente. In entrambi i casi le plusvalenze e minusvalenze concorrono a formare il risultato della gestione.

Tale risultato, tuttavia, non costituisce ancora la base imponibile su cui deve essere applicata l'imposta sostitutiva, in quanto da esso il gestore deve dedurre le commissioni e gli oneri relativi al patrimonio gestito: trattasi della tassa sui contratti di borsa, delle commissioni di gestione, di quelle di negoziazione e dell'eventuale imposta di successione e donazione corrisposta in relazione ai titoli e ai diritti immessi nella gestione patrimoniale, con esclusione in ogni caso degli interessi passivi sostenuti per finanziare le operazioni della gestione .

Per quanto concerne i criteri di valutazione del patrimonio gestito all'inizio e alla fine dell'anno, il comma 5 dell'articolo in esame prevede che il gestore debba fare ricorso a quelli stabiliti nei regolamenti adottati dalla Consob in attuazione del già citato decreto legislativo 23 luglio 1996, n. 415.

Relativamente ai titoli, alle quote, alle partecipazioni, ai certificati ed agli altri rapporti non negoziati nei mercati regolamentati, con il decreto ministeriale previsto nell'ultimo periodo del comma 5 dell'articolo in rassegna è stato disposto che detti titoli e rapporti sono valutati al presumibile valore di realizzo sul mercato, individuato su un'ampia base di elementi d'informazione, oggettivamente considerati dall'intermediario autorizzato, concernenti sia la situazione dell'emittente che quella del mercato. In particolare, per i contratti ed i rapporti derivati di cui all'art. 81, comma 1, lett, c-quater), del T.U.I.R. e per i rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto, indicati nella lettera c-quinquies) dell'art. 81 del medesimo testo unico, non negoziati nei mercati regolamentati, lo stesso decreto ministeriale dispone che la valutazione va effettuata con riferimento alle condizioni di mercato.

I criteri sopra indicati valgono, naturalmente, soltanto se il patrimonio gestito non sia composto per oltre il 10 per cento da titoli e rapporti non negoziati nei mercati regolamentati perché, in caso contrario, il gestore dovrà valutare detti titoli e rapporti sulla base del loro valore normale, il che significa che i predetti titoli, certificati rapporti e strumenti finanziari sono valutati al maggiore tra il valore risultante dall'applicazione dei criteri del presumibile valore di realizzo e quello risultante dall'applicazione dei criteri di cui all'art. 9, comma 4, lett. b) e c), del T.U.I.R. (cfr. decreto del Ministro delle finanze D.M. 9 giugno 1998 in G.U. n. 138 del 16 giugno 1998). Come si è avuto modo di anticipare sullo specifico argomento, resta comunque salva la facoltà, per il contribuente, di revocare l'opzione limitatamente ai predetti titoli e rapporti.

Ai fini dell'applicazione dell'imposta sostitutiva si deve tuttavia tener conto di quanto dispone il comma 10 dell'articolo in esame, laddove si prende in esame l'ipotesi che il risultato della gestione sia negativo. Ricorrendo detta ipotesi, la disposizione in commento prevede che questo risultato negativo è computato in diminuzione del risultato - evidentemente positivo - della gestione dei periodi d'imposta successivi, ma non oltre il quarto, per l'intero importo che trova capienza in essi.

Attesa la formulazione della disposizione in commento, si ritiene che la predetta compensazione tra il risultato negativo di un anno e quello positivo degli anni successivi debba essere realizzata nell'ambito di ciascun patrimonio gestito da un medesimo intermediario e che, pertanto, qualora un contribuente intrattenga due o più rapporti di gestione con un medesimo intermediario, il risultato negativo di un contratto non può essere compensato con i risultati positivi degli altri contratti, ma deve essere compensato con i risultati positivi che da quello stesso contratto potranno derivare nei successivi periodi d'imposta.

Inoltre, la previsione secondo cui il risultato negativo va computato in diminuzione dei risultati positivi conseguiti nei successivi anni per l'intero ammontare di detto risultato negativo che trovi capienza in quelli positivi, porta ad escludere che tale compensazione possa essere effettuata in misura diversa da quella prevista dalla norma.

Ciò non pregiudica la posizione di quei contribuenti che si trovino nella situazione di dover compensare un risultato negativo ma non possano avvalersi della procedura prevista dal predetto comma 10 per esserne venute meno le condizioni (a causa dello scioglimento del contratto o della revoca dell'opzione). Ricorrendo tale ipotesi, il diritto del contribuente a compensare il suddetto risultato negativo con quelli positivi conseguiti nei successivi periodi d'imposta è stato assicurato dal legislatore attraverso la disposizione di cui al comma 13 dell'articolo in esame, laddove è previsto che il gestore deve rilasciare al contribuente un certificato nel quale sia indicato, oltre al valore dei titoli restituiti al contribuente calcolato con riferimento al giorno in cui l'opzione ha perso efficacia, anche l'ammontare dei risultati negativi della gestione ed il periodo d'imposta in cui essi sono emersi e per i quali il contribuente ha il diritto di effettuare la predetta compensazione.

Il comma 13 in questione prevede, infatti, che i predetti risultati negativi possono essere computati in diminuzione, nel rispetto dei limiti temporali sopra indicati:

- dalle plusvalenze imponibili relativamente alla quale il contribuente è tenuto a farne oggetto di dichiarazione ai sensi dell'art. 5, comma 3, del provvedimento in oggetto;

- dalle plusvalenze realizzate nell'ambito del regime del risparmio amministrato di cui all'art. 6 del provvedimento in esame;

- dal risultato positivo di un contratto di gestione che il contribuente abbia stipulato con lo stesso o con un altro gestore.

È appena il caso di ricordare che nei casi di revoca dell'opzione e di scioglimento del contratto il passaggio dei beni dal gestore al contribuente si configura come trasferimento a titolo oneroso dei titoli, quote, certificati, valute e rapporti, come tale suscettibile di generare plusvalenze tassabili. Di ciò si deve tener conto ai fini della successiva applicazione dell'equalizzatore, in quanto la data rilevante a tal fine è quella del 1° gennaio dell'anno successivo a quello in cui è stata revocata l'opzione ovvero quella in cui è stato chiuso il contratto in tale ipotesi.

I commi 7 e 8 dell'articolo in esame disciplinano il regime fiscale dei conferimenti e dei prelievi fatti dal contribuente nell'ambito del rapporto di gestione.

Con la prima delle citate disposizioni viene stabilito che nel caso in cui il contribuente abbia stipulato un contratto di gestione ed abbia contestualmente esercitato l'opzione per l'applicazione dell'imposta sostitutiva del 12,50 per cento sul risultato maturato della gestione, il conferimento dei titoli, delle quote, dei certificati e degli altri rapporti deve essere considerato alla stregua di una cessione a titolo oneroso.

Poiché i titoli ed i rapporti vengono presi in carico dal gestore sulla base del valore che essi hanno alla data del conferimento, è stato disposto che sulle plusvalenze emergenti alla data del conferimento si applicano le disposizioni di cui ai commi 5, 6, 9 e 12 dell'art. 6 del provvedimento in oggetto. Pertanto, le plusvalenze o minusvalenze emergenti alla data della consegna dei titoli o rapporti dal parte del contribuente si considerano realizzate e ad esse, qualora superino le minusvalenze rilevate alla stessa data sugli stessi titoli e rapporti, si applica la disciplina fiscale del risparmio amministrato prevista dell'art. 6 dianzi esaminato, anche per quel che riguarda l'applicazione dell'equalizzatore. Ciò comporta che sulle cennate plusvalenze, come sopra calcolate, il gestore è tenuto ad applicare l'imposta sostitutiva del 12,50 per cento ed a versarla entro il giorno 15 del secondo mese successivo.

La stessa disposizione del comma 7 in esame prevede altresì il caso in cui i titoli ed i rapporti di che trattasi non siano stati materialmente consegnati al gestore dal contribuente, ma provengano da un altro rapporto di gestione relativamente al quale il contribuente ha esercitato l'opzione per l'applicazione dell'imposta sostitutiva. Ebbene, per questa ipotesi la norma in esame stabilisce che il patrimonio trasferito da una gestione all'altra deve essere valorizzato dal gestore uscente sulla base del valore attribuibile nel giorno in cui viene eseguito il trasferimento e che a questo stesso valore il patrimonio viene assunto dal gestore che lo prende in carico.

Sempre per quel che concerne la disciplina dei conferimenti, la stessa norma di cui al comma 7 in esame contempla il caso in cui i titoli ed i rapporti conferiti in gestione provengano da un rapporto per il quale il contribuente aveva esercitato l'opzione per fruire del regime di cui all'art. 6 del provvedimento in oggetto, che concerne il regime del risparmio amministrato già esaminato in precedenza. Per detta ipotesi è stato previsto che l'intermediario cui competeva l'applicazione dell'imposta sostitutiva secondo il regime del risparmio amministrato è tenuto ad applicare sulle plusvalenze relative ai titoli ed ai rapporti trasferiti l'imposta sostitutiva di cui all'art. 6, comma 6 del provvedimento in oggetto e a rilasciare al contribuente l'apposita certificazione ivi prevista dalla quale risulti il valore dei titoli, quote, certificato o rapporti trasferiti.

Qualora emergano minusvalenze in sede di valutazione dei titoli o rapporti conferiti in un nuovo contratto di gestione, queste minusvalenze non possono essere computate in diminuzione del risultato della gestione ove afferiscano a titoli o rapporti che il contribuente ha materialmente consegnato al gestore ovvero se derivino da un precedente rapporto di amministrazione, ciò in quanto il comma 5 dell'art. 6 del provvedimento in oggetto stabilisce che le minusvalenze realizzate nell'ambito del risparmio amministrato possono essere dedotte dal contribuente soltanto se il contribuente si avvale, dopo il trasferimento, di uno dei due sistemi impositivi previsti dagli art. 5 e 6 del provvedimento in oggetto, vale a dire quello della dichiarazione e quello del risparmio amministrato.

È invece possibile, come già detto, computare il risultato negativo della gestione, risultante dopo la conclusione del relativo contratto, in diminuzione del risultato positivo maturato in capo ad un altro contratto di gestione (nuovo o già esistente) intestato al medesimo contribuente, sempreché quest'ultimo abbia esercitato l'opzione per l'applicazione del regime del risparmio gestito. Questa possibilità è infatti espressamente prevista dal comma 13 dell'articolo in esame, laddove viene stabilito che il gestore del contratto concluso è tenuto a rilasciare al contribuente un'apposita certificazione dalla quale risultino gli importi computabili in diminuzione delle plusvalenze ai sensi dell'art. 82, comma 4, del T.U.I.R., nel testo sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. b), del provvedimento in oggetto. Ovviamente, nella certificazione va indicato altresì l'anno solare cui i predetti risultati negativi si riferiscono, ai fini della verifica del limite temporale stabilito dalla citata disposizione dell'art. 82 del T.U.I.R.

I commi 8 e 9 disciplinano le ipotesi in cui il contribuente effettui nel corso di validità del contratto prelevamenti dei titoli o rapporti conferiti ovvero ne disponga il trasferimento presso un altro deposito o rapporto di custodia o di amministrazione di cui all'art. 6 precedentemente esaminato.

Ricorrendo queste ipotesi, con la disposizione recata dall'art. 8 del provvedimento in oggetto è stato stabilito che le circostanze sopra evidenziate determinano il sorgere del presupposto impositivo delle plusvalenze maturate sugli strumenti finanziari in questione fino alla data del loro prelievo o trasferimento, da quantificarsi secondo i criteri di valutazione di cui al comma 5 dello stesso art. 7 in commento. Per effetto di tale disciplina, il risultato della gestione relativo al periodo in cui tali eventi si sono verificati deve essere determinato tenendo conto anche del valore che i predetti titoli o rapporti avevano alla data del loro prelievo o trasferimento. Ciò implica che, ai fini della determinazione del risultato della gestione, il predetto valore è computato in aumento del patrimonio gestito, quale risulta alla fine del periodo d'imposta o, se precedente, alla data di chiusura del contratto.

Per espressa previsione della norma in esame, la predetta disposizione non si applica quando il prelievo o il trasferimento sia stato causato da donazione o successione ereditaria. Per siffatte eventualità, il trasferimento ad un diverso rapporto intestato agli eredi, ai legatari o donatari non si configura come fattispecie al cui verificarsi il legislatore ha collegato il sorgere del presupposto impositivo ai fini dell'applicazione dell'imposta sostitutiva in questione. Pertanto, in caso di prelievo i titoli, i certificati e i rapporti sono valorizzati in capo al patrimonio gestito tenendo conto dell'ultimo costo di acquisto sostenuto dal gestore, ovvero, se posteriore, dell'ultimo valore fiscalmente rilevante ai fini dell'applicazione dell'imposta sostitutiva.

Inoltre, ai fini della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze in capo agli eredi, i prelievi ed i trasferimenti conseguenti ad una successione o donazione devono essere valorizzati assumendo i criteri fissati dall'articolo 82, comma 5, del T.U.I.R., come modificato dall'articolo 4 del decreto legislativo in commento.

Qualora il prelievo dei titoli o rapporti derivi dallo scioglimento del contratto, si viene a determinare la situazione in cui la revoca ha effetto immediato: in tal caso il gestore, nell'applicare l'imposta sostitutiva, deve assumere come patrimonio finale il valore del patrimonio alla data di chiusura del contratto.

Il comma 9 dell'articolo in commento stabilisce, poi, che in tutti i casi previsti dal comma 8 sopra esaminato, il predetto valore costiT.U.I.R.à il costo fiscalmente riconosciuto dei predetti titoli e rapporti nell'ambito di ciascuno dei regimi (che posso essere, a seconda delle scelte del contribuente, quello della dichiarazione, quello del risparmio amministrato o quello del risparmio gestito) che si renderà successivamente applicabile. Al fine di assicurare una corretta applicazione del suddetto principio della continuità dei valori, la norma in esame stabilisce che il gestore è tenuto a rilasciare al contribuente una certificazione dalla quale risulti il valore dei titoli, quote, certificati, valute e rapporti - prelevati o trasferiti - che sono stati assunti per la determinazione del risultato della gestione. In tale contesto sembra opportuno anticipare quanto prevede il comma 15 dell'articolo in esame, laddove si stabilisce che, nel caso in cui il contribuente che ha prelevato i titoli o rapporti ricada in uno dei regimi di cui all'art. 5 (della dichiarazione) o 6 (del risparmio amministrato) del provvedimento in esame, ai fini dell'applicazione dell'equalizzatore, come data di acquisto dei titoli o rapporti si assume quella in cui ha effetto il prelievo o la revoca dell'opzione.

Il comma 11 si occupa del versamento dell'imposta sostitutiva del 12,50 per cento sul risultato della gestione. Tale adempimento deve essere svolto dal soggetto gestore il quale, in mancanza della liquidità necessaria per effettuare il detto versamento, è legittimato ad effettuare, anche in deroga alle norme contrattuali, i disinvestimenti all'uopo necessari, a meno che il contribuente non provveda a rimettergli le somme necessarie entro il giorno 15 del mese in cui l'imposta deve essere versata. La stessa disposizione prevede che nel caso di prelievo o di trasferimento dei titoli o rapporti di cui al comma 8 precedentemente esaminato il gestore è legittimato a sospendere l'esecuzione delle prestazioni fino a quando il contribuente non gli ha fornito le somme necessarie per il versamento dell'imposta dovuta.

Circa le modalità del versamento dell'imposta, si fa presente che lo stesso può essere alternativamente effettuato al concessionario della riscossione oppure alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato; per quanto concerne, invece, i termini entro cui il versamento deve essere effettuato si fa presente che l'imposta va versata entro il 28 febbraio dell'anno successivo a quello in cui è maturato il relativo debito oppure entro il quindici del secondo mese successivo a quello in cui è stato revocato il mandato di gestione.

Il comma 12 stabilisce che, entro lo stesso termine previsto dalle disposizioni in materia di imposte sui redditi per la presentazione della dichiarazione dei redditi propri, il gestore è tenuto a presentare anche la dichiarazione relativa all'imposta sostitutiva prelevata sul complesso delle gestioni. Ciò significa che la dichiarazione deve essere presentata entro un mese dalla data di approvazione del bilancio di esercizio, come previsto dal comma 2 dell'art. 9 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

Il comma 13 dell'articolo in commento disciplina - come già anticipato - le modalità di utilizzo del risultato negativo della gestione emergente al momento dell'uscita dallo speciale regime opzionale del risparmio gestito. Tale situazione, che si verifica in caso di scioglimento del contratto o di revoca dell'opzione, impedisce materialmente di riportare in avanti il risultato negativo nell'ambito della medesima gestione che lo ha prodotto: per questo motivo è stata offerta al contribuente la possibilità di dedurre il predetto risultato negativo dalle plusvalenze che formano oggetto di dichiarazione secondo le modalità previste dall'art. 82, comma 4, del T.U.I.R. oppure nell'ambito di un altro rapporto di gestione intestato allo stesso contribuente, per il quale sia stata ovviamente esercitata la prescritta opzione. Per consentire l'esercizio di questo diritto, la disposizione in esame ha stabilito che il gestore rilasci al contribuente un'apposita certificazione dalla quale risulti l'importo del risultato negativo e l'anno in cui esso si è prodotto. Il risultato negativo può essere inoltre computato in diminuzione dal risultato di un altro contratto di gestione che il contribuente ha già stipulato o stipula ex novo con lo stesso od un altro gestore, nonché dalla plusvalenze realizzate nell'ambito di un rapporto soggetto al regime del risparmio amministrato di cui all'art. 6, sempreché tali rapporti siano intestati allo stesso contribuente e sempre nei limiti temporali stabiliti dalla legge.

Per quanto non specificamente disciplinato dall'art. 7 in esame circa l'accertamento, la riscossione e le sanzioni applicabili in relazione agli obblighi di dichiarazione e di versamento dell'imposta sostitutiva da parte dei gestori, il comma 16 del medesimo articolo rinvia alle disposizioni di carattere generale applicabili in materia di imposte sui redditi. Al riguardo si rinvia alle precisazioni già fornite al paragrafo 3.1.

 

 

3.5 Applicazione dell'imposta sostitutiva sul risultato di gestione degli organismi di investimento collettivo del risparmio.

3.5.1 Generalità

Come è noto il vigente regime tributario degli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari è dettato dall'articolo 9 della legge 23 marzo 1983, n. 77 (fondi comuni di investimento mobiliare aperti italiani), dall'articolo 14 del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 84 (SICAV italiane), dall'articolo 11 della legge 14 agosto 1993, n. 344 (fondi comuni di investimento mobiliare chiusi italiani) nonché dall'articolo 11-bis del decreto legge 30 settembre 1983, n. 512 convertito con modificazioni con legge 25 novembre 1983, n. 649 (fondi comuni lussemburghesi cosiddetti storici). Tali disposizioni prevedono il seguente regime impositivo:

a) l'assenza di soggettività degli organismi in questione ai fini delle imposte dirette;

b) l'applicazione di una imposta patrimoniale sostitutiva commisurata al patrimonio medio netto del fondo o della SICAV rilevato nel periodo d'imposta. Le aliquote variano a seconda della composizione degli attivi del fondo o della SICAV ovvero a seconda della natura dell'organismo di investimento collettivo;

c) l'applicazione delle ritenute e delle imposte sostitutive sui redditi di capitale conseguiti dai fondi nonché le ritenute sui redditi diversi di cui all'articolo 81, comma 1, lettera c-ter) del testo unico nel testo vigente fino al 30 giugno 1998.

Come già anticipato in premessa, nel tracciare le linee guida del regime opzionale di tassazione sul risultato maturato, il legislatore ha tra l'altro stabilito, con la disposizione di cui all'art. 3, comma 160, lettera i), della più volte citata legge n. 662 del 1996, che la revisione del regime fiscale degli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari deve avvenire con criteri analoghi a quelli fissati nella lettera g) della medesima norma, che riguarda - come noto - la disciplina fiscale delle gestioni individuali e che ha già formato oggetto di esame nel precedente paragrafo, laddove è stato illustrato il contenuto dell'art. 7 del provvedimento in oggetto.

Per effetto di tale indicazione, il regime fiscale dei predetti organismi d'investimento viene sostanzialmente a coincidere con quello delle gestioni individuali sopra citate, le quali sono caratterizzate dall'applicazione di una imposta sostitutiva del 12,50 per cento sul risultato maturato della gestione, dal cui ambito applicativo vanno esclusi i redditi esenti e quelli soggetti a ritenuta d'imposta o ad imposta sostitutiva, e dalla possibilità di compensare il risultato negativo di un periodo d'imposta con quelli positivi degli anni successivi.

Detto regime implica, come è evidente, un profondo mutamento dell'attuale regime fiscale, che - come accennato - prevede la definitività del prelievo alla fonte sui redditi di capitale percepiti dal fondo comune e sull'imposizione delle plusvalenze conseguite mediante applicazione di una imposizione di tipo patrimoniale ad opera della società di gestione del fondo.

La nuova disciplina fiscale degli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari è contenuta nell'art. 8 del provvedimento in esame, nel quale è stato trascritto il nuovo testo delle disposizioni tributarie ad essi relativi e che vengono qui di seguito elencate:

a) dell'art. 9 della legge 23 marzo 1983, n. 77, che riguarda i fondi comuni d'investimento mobiliare di tipo aperto di diritto nazionale (comma 1);

b) dell'art 14 del D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 84, che riguarda gli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari, operanti nella forma delle società d'investimento a capitale variabile, usualmente indicate con la sigla "SICAV" (comma 2);

c) dell'art. 11 della legge 14 agosto 1993, n. 344, che riguarda i fondi comuni d'investimento mobiliare di tipo chiuso di diritto nazionale (comma 3);

d) dell'art. 11-bis del decreto-legge 30 settembre 1983, n. 512, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre 1983, n. 649, che riguarda i fondi comuni esteri d'investimento mobiliare di tipo aperto, autorizzati al collocamento nel territorio dello Stato ai sensi del decreto-legge 6 giugno 1956, n. 476, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 luglio 1956, n. 786 (comma 4).

Con il comma 5 dell'articolo 8 sono altresì modificati i commi da 1 a 6 dell'art. 10-ter della legge n. 77 del 1983 sopra citata, che riguarda gli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero le cui quote sono collocate nel territorio dello Stato.

Nessuna modifica è stata invece apportata alla disciplina fiscale riguardante i fondi comuni di investimento immobiliare di tipo chiuso di cui alla legge 25 gennaio 1994, n. 86, ed i fondi pensione di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, in quanto la delega ha fatto riferimento soltanto agli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari.

Ciò premesso, viene qui di seguito illustrata la nuova disciplina fiscale dei predetti organismi, come risulta dalle citate disposizioni dell'art. 8 in rassegna.

3.5.2 Fondi comuni d'investimento mobiliare di tipo aperto di diritto nazionale

Il primo periodo del comma 1 dell'art. 9 della citata legge n. 77 del 1983 - come sostituito dal comma 1 dell'articolo in esame - stabilisce, innanzitutto, che i fondi comuni di che trattasi non sono soggetti alle imposte sui redditi, con ciò confermando l'attuale regime fiscale dei fondi comuni di investimento mobiliare di tipo aperto di diritto nazionale.

Il secondo periodo del medesimo articolo ribadisce il criterio - già sancito dall'attuale testo dell'articolo in questione - secondo cui le ritenute operate sui redditi di capitale percepiti dal fondo s'intendono applicate a titolo d'imposta. In merito a tale disposizione è necessario un chiarimento, in quanto il suo significato è diverso da quello attribuibile alla corrispondente norma del testo attuale.

Come si vedrà meglio in seguito, poiché il nuovo sistema di tassazione dei fondi in questione prevede che la società di gestione è tenuta ad applicare sul risultato della gestione maturato nell'anno l'imposta sostitutiva del 12,50 per cento, è stato necessario coordinare tale regime con le disposizioni riguardanti la tassazione dei proventi conseguiti dai fondi, tra le quali assumono particolare rilievo le altre norme contenute nel comma 1 del medesimo articolo 9 in rassegna che, da un lato, limitano il prelievo soltanto a taluni redditi di capitale e, dall'altro, attribuiscono ai fondi la qualifica di soggetto cosiddetto "lordista" - espressione questa desunta dalla normativa recata dal decreto legislativo n. 239 del 1996, che per taluni soggetti sancisce il diritto a percepire i redditi di capitale "al lordo" dell'imposta sostitutiva ovvero delle ritenute alla fonte applicabili - con la conseguenza che i fondi comuni interessati non devono subire in ogni caso la tassazione a monte sui redditi di capitale da essi percepiti, ma solo se le singole disposizioni prevedono l'applicazione del prelievo alla fonte nei loro confronti.

Analogo problema non si pone ovviamente per quel che concerne i redditi diversi, in quanto i fondi in parola non sono soggetti alle imposte sui redditi, come previsto dalla citata disposizione contenuta nel primo periodo del comma 1 dell'articolo 9. Pertanto, le plusvalenze e le minusvalenze di cui al comma 1 dell'art. 81 del T.U.I.R. sono percepiti dai fondi comuni al lordo di ogni onere impositivo ed in tale misura concorrono a formare il risultato della gestione maturato nel periodo d'imposta su cui si applica il prelievo del 12,50 per cento.

Il terzo periodo del comma 1 dell'articolo in esame stabilisce, con riferimento ai redditi di capitale percepiti dai fondi comuni in rubrica citati, che non si applicano:

a) la ritenuta del 27 per cento prevista dall'art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973 sugli interessi e gli altri proventi dei conti correnti bancari, a condizione che la giacenza media annua non sia superiore al 5 per cento dell'attivo medio gestito. Sebbene tale previsione rappresenti una rilevante deroga ai principi generali della riforma, si osserva che la stessa trova ragione nel fatto che nella fattispecie il conto corrente bancario rappresenta un mezzo necessario per eseguire le operazioni di gestione e, quindi, a detti conti non si può attribuire la funzione di un normale strumento d'investimento finanziario delle liquidità se la giacenza delle somme sia contenuta nei ristretti margini quantitativi previsti dalla disposizione in esame. Va da sé che, nel caso in cui la cennata condizione non sia rispettata, la ritenuta del 27 per cento deve essere applicata anche sugli interessi riferibili alla percentuale del 5 per cento ed in tal caso gli interessi assoggettati alla ritenuta del 27 per cento dovranno essere dedotti dalla base imponibile dell'imposta sostitutiva;

b) la ritenuta del 12,50 per cento prevista dal comma 3 dell'art. 26 del citato D.P.R. n. 600 del 1973 - nel testo sostituito dall'art. 12, comma 1, del provvedimento in oggetto - sugli interessi e gli altri proventi delle obbligazioni e degli altri titoli emessi all'estero con scadenza non inferiore a diciotto mesi, nonché dei titoli di cui all'art. 31 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, compresi quelli con regime fiscale equiparato, emessi all'estero a decorrere dal 10 settembre 1992, indipendentemente dalla loro scadenza;

c) la ritenuta del 12,50 per cento prevista dal comma 3-bis dell'art. 20 del citato D.P.R. n. 600 del 1973 - nel testo sostituito dall'art. 12, comma 1, del provvedimento in oggetto - sui proventi delle operazioni di prestito titoli e di pronti contro termine di cui all'art. 41, comma 1, del T.U.I.R. precedentemente esaminato;

d) la ritenuta del 12,50 per cento sui proventi derivanti dalla partecipazione agli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliare di tipo aperto di diritto estero, armonizzati alle direttive comunitarie ed autorizzati al collocamento in Italia, di cui all'art. 10-ter, comma 1, della stessa legge n. 77 del 1983.

Ciò premesso, tenuto conto di quanto stabilito dalla disposizione testè esaminata e dalle altre disposizioni riguardanti l'applicazione, da parte degli intermediari, delle ritenute alla fonte o dell'imposta sostitutiva sui redditi di capitale, i casi in cui i fondi comuni non subiscono alcun prelievo alla fonte - sia sotto forma di ritenuta che di imposta sostitutiva - possono essere così individuati, in aggiunta a quelli sopra elencati;

e) l'imposta sostitutiva sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni pubbliche e private di cui al decreto legislativo 1 aprile 1996, n. 239, nel testo sostituito dall'art. 12, comma 3, lettera b) del provvedimento in oggetto. La nuova disposizione, infatti, nell'elencare i soggetti cui si applica l'imposta sostitutiva in questione non menziona più i fondi comuni d'investimento e, conseguentemente, nei loro confronti gli intermediari non devono applicare l'imposta sostitutiva in parola;

f) la ritenuta del 12,50 per cento sugli utili in qualunque forma corrisposti ai soci dalle società e degli enti, sia italiani che esteri, prevista dall'art. 27 del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo sostituito dal comma 4 dell'art. 12 del provvedimento in oggetto. Il comma 1 dell'art. 27 testè citato prevede, infatti, che la ritenuta si applica nei confronti delle persone fisiche, dei fondi pensione e dei fondi immobiliari e, conseguentemente, in mancanza di una espressa previsione normativa in senso diverso, gli utili corrisposti ai fondi comuni in parola non sono soggetti ad alcun prelievo alla fonte e concorrono a formare il risultato di gestione di cui al comma 2 dell'art. 9 in commento. Tenuto conto di quanto disposto dall'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo in commento tale disposizione è destinata ad operare per gli utili la cui distribuzione sia stata deliberata dalla società emittente a partire dal 1° luglio 1998.

Diversamente da quanto dianzi esposto, in mancanza di norme che espressamente sanciscano una deroga al sistema generale in tema di prelievo alla fonte sui redditi di capitale, i soggetti che corrispondono detti redditi ai fondi comuni di cui all'art. 9 della citata legge n. 77 del 1983 devono applicare, ricorrendone le condizioni di carattere soggettivo, il prelievo alla fonte previsto dalle singole disposizioni fiscali.

Come si è avuto modo di notare, ove si eccettui la deroga di cui alla precedente lettera a), i casi relativamente ai quali il legislatore ha ritenuto di poter attribuire ai fondi comuni la qualità di "lordista" sono esclusivamente quelli per i quali è prevista l'applicazione da parte degli intermediari (rectius: da parte dei soggetti che comunque intervengono nel pagamento, se rientrano tra quelli indicati nel comma 1 dell'art. 23 del D.P.R. n. 600 del 1973), di una ritenuta alla fonte ovvero di una imposta sostitutiva del 12,50 per cento.

Identica possibilità non è stata invece prevista sia nel caso in cui si tratta di redditi di capitale che, pur scontando un'imposizione del 12,50 per cento, sono posti in pagamento da parte dei soggetti che hanno emesso i titoli, sia nel caso in cui i redditi di capitale sono soggetti ad un prelievo del 27 per cento. Ricorrendo queste ipotesi, è stato tenuto fermo il regime del prelievo alla fonte anche se i redditi sono percepiti dal fondo comune, regime che ovviamente comporta l'esclusione dei redditi così tassati dal concorso alla formazione del risultato di gestione, in quanto diversamente si sarebbe determinata una duplicazione d'imposta.

In questi termini va intesa la disposizione contenuta nel secondo periodo del comma 1 dell'art. 9, secondo cui le ritenute operate sui redditi di capitale si intendono applicate a titolo d'imposta.

Per quanto concerne il regime tributario applicabile dal 1° luglio 1998 ai fondi comuni d'investimento citati in rubrica, la novità più importante è costituita, come già anticipato, dall'abolizione dell'imposizione di tipo patrimoniale che ai sensi dell'attuale formulazione dell'art. 9 della legge n. 77 del 1983 si rende applicabile sul patrimonio netto del fondo. Tale forma impositiva, comunque, deve essere applicata - ai sensi delle disposizioni di carattere transitorio contenute nell'art. 15, comma 6 del provvedimento in oggetto, che verranno appresso esaminate - con riferimento al patrimonio netto del fondo risultante alla data del 30 giugno 1998 e deve essere versata entro il 30 settembre 1998 sulla base di un'apposita dichiarazione (che dovrà essere presentata unitamente alla dichiarazione del risultato della gestione maturato nel secondo semestre del 1998).

Dal 1° luglio 1998, in luogo della predetta imposta patrimoniale si deve applicare, ai sensi di quanto stabilisce il nuovo comma 2 dell'art. 9 in commento, una imposta sostitutiva del 12,50 per cento sul risultato della gestione del fondo maturato in ciascun anno.

Ai fini del calcolo della base imponibile su cui applicare detta imposta, la disposizione da ultimo citata stabilisce che essa è pari alla differenza tra il valore del patrimonio netto del fondo alla fine dell'anno, al lordo dell'imposta sostitutiva, aumentato dei rimborsi e dei proventi eventualmente distribuiti nel corso dell'anno e diminuito delle sottoscrizioni effettuate nell'anno, ed il valore del patrimonio netto all'inizio dell'anno, aumentato dei proventi derivanti dalla partecipazione ad organismi d'investimento collettivo del risparmio soggetti ad imposizione sostitutiva (trattasi dei proventi e degli incrementi di valore delle parti dei fondi aperti italiani, delle Sicav italiane, degli organismi d'investimento di cui all'art. 11-bis del citato decreto-legge n. 512 del 1983 - cosiddetti "lussemburghesi storici" - e dei fondi chiusi italiani), nonché dei proventi esenti (espressamente previsti ai fini del mantenimento del regime agevolativo) e dei proventi soggetti a ritenuta a titolo definitivo (la cui esclusione è finalizzata ad evitare una doppia imposizione).

Al riguardo va precisato, tuttavia, che l'esclusione dal concorso alla formazione del risultato di gestione previsto per i predetti proventi esenti da imposta ovvero soggetti a imposta sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo definitivo deve essere limitata ai soli redditi di capitale di cui all'articolo 41 del T.U.I.R. e non si estende alle eventuali plusvalenze maturate per effetto della negoziazione, del rimborso o della valutazione dello strumento finanziario: ove si rilevi quindi una plusvalenza, così come se si dovesse rilevare una minusvalenza, questa concorre a formare il risultato della gestione del fondo. Va da sé che, alla stregua di quanto detto a proposito del regime tributario delle gestioni individuali di portafoglio, ai fini del calcolo della base imponibile non rilevano le perdite derivanti da azioni o quote di partecipazione ad organismi di investimento collettivo soggetti ad imposta sostitutiva sul risultato della gestione.

Considerato che ai sensi dell'art. 5, comma 1, lettera d), della legge n. 77 del 1983 la società di gestione deve redigere giornalmente un prospetto nel quale vanno indicati il valore unitario delle quote di partecipazione ed il valore complessivo netto del fondo, ne deriva che il calcolo dell'imposta sostitutiva sugli incrementi (ovvero sui decrementi) del patrimonio netto deve essere effettuato con la stessa periodicità con la quale la società di gestione procede al calcolo del valore delle singole quote, rilevando contestualmente l'incremento imponibile del patrimonio che deriva dalle diverse componenti reddituali (redditi, plusvalenze e minusvalenze maturati), l'imposta dovuta sull'incremento e, di conseguenza, il patrimonio netto da assumere per la valorizzazione delle quote in circolazione.

Tale criterio, peraltro, è quello che consente di determinare in modo corretto il valore unitario delle quote ai fini delle operazioni di sottoscrizione e di rimborso, che è espressione di un valore al netto delle imposte, che sono pagate interamente dal fondo attraverso la società di gestione. Poiché il pagamento dell'imposta viene effettuato una volta l'anno, ne deriva che in occasione del calcolo eseguito giornalmente per verificare l'incremento del patrimonio del fondo prodotto dalle diverse componenti reddituali la società di gestione calcola altresì l'imposta sostitutiva da accantonare in vista del versamento e, a fine anno, l'ammontare complessivo dell'imposta accantonata costituisce il debito d'imposta da versare entro il 28 febbraio di ciascun anno.

Ai fini dell'individuazione del patrimonio netto all'inizio dell'anno si assume quello risultante dal prospetto giornaliero relativo all'ultimo giorno dell'anno precedente.

Il comma 2 dell'articolo 9 in commento riafferma il criterio, già presente nell'attuale legislazione in materia, secondo cui qualora il fondo sia stato avviato oppure venga a cessare in corso d'anno, in luogo del patrimonio all'inizio ed alla fine dell'anno si assumono, rispettivamente, il valore del patrimonio alla data di avvio del fondo e quello del patrimonio alla data di cessazione del fondo.

Come già anticipato, una volta calcolata la base imponibile ed applicata l'imposta sostitutiva, l'ultimo periodo del comma 2 della disposizione in rassegna prevede che la società di gestione è tenuta a versare l'imposta sostitutiva al concessionario della riscossione oppure alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato, entro il 28 febbraio di ciascun anno. Innovando il regime attualmente in vigore, ma coerentemente con la disciplina dettata dal legislatore delegante per quanto concerne le gestioni individuali di patrimonio, con la disposizione di cui al comma 2-bis dell'articolo in commento il legislatore ha disciplinato altresì l'ipotesi in cui il risultato della gestione del fondo evidenzi un decremento anziché un incremento.

Ricorrendo questa ipotesi, la disposizione in esame stabilisce che il risultato negativo - che deve risultare dall'apposita dichiarazione che la società di gestione è tenuta a presentare - può essere computato in diminuzione dal risultato della gestione dei periodi d'imposta successivi, per l'intero importo che in essi trovi capienza e senza alcun limite temporale, oppure può essere utilizzato, in tutto o in parte, dalla società di gestione in diminuzione dal risultato di gestione di altri fondi gestiti dalla stessa società, a partire dal medesimo periodo d'imposta in cui è maturato il risultato negativo, riconoscendo il relativo importo a favore del fondo che ha maturato il risultato negativo.

Tale disciplina comporta quindi sostanzialmente il sorgere di un credito d'imposta, che è pari al 12,50 per cento del risultato negativo maturato. Applicando nella fattispecie lo stesso criterio sopra indicato circa l'accantonamento giornaliero dell'imposta sostitutiva dovuta nell'ipotesi di incremento del patrimonio, nel caso del decremento la società di gestione accredita al fondo giornalmente un importo pari al 12,50 per cento del risultato negativo, accredito che si viene a riflettere immediatamente in una maggiore valutazione della quota, in quanto la minusvalenza viene ad essere compensata dall'imposta accreditata.

Le eccedenze non compensate, che la società di gestione deve evidenziare nella dichiarazione, possono essere computate in diminuzione dalle imposte dovute dallo stesso fondo sul risultato positivo conseguito negli anni successivi senza alcun limite temporale oppure, se la società gestisce altri fondi comuni, essere compensato con l'imposta sostitutiva dovuta in relazione al risultato positivo ottenuto da detti fondi, nel qual caso l'imposta così recuperata va accreditata al fondo che aveva evidenziato il risultato negativo. Tali compensazioni dovranno risultare nell'apposita dichiarazione che la società di gestione è tenuta a presentare.

A quest'ultimo proposito il comma 4 dell'art. 9 in commento stabilisce che la società di gestione deve presentare ogni anno, contestualmente alla dichiarazione dei redditi propri, la dichiarazione del risultato di gestione conseguito nell'anno precedente da ciascuno dei fondi gestito dalla stessa società. In tale dichiarazione la società di gestione deve indicare i dati necessari per la determinazione dell'imposta sostitutiva dovuta. Qualora detta imposta sia stata compensata è necessario evidenziare anche i crediti d'imposta maturati e le compensazioni effettuate tra fondi che evidenziano un debito d'imposta sostitutiva e fondi che invece evidenziano un credito per la stessa imposta.

Diversamente da quanto previsto dall'attuale normativa, la dichiarazione non deve essere presentata entro un termine prestabilito, ma contestualmente alla dichiarazione dei redditi propri, il che comporta un termine mobile, in quanto coincide con il termine massimo di un mese dall'approvazione del bilancio della società di gestione.

La stessa disposizione contenuta nel comma 4 dell'articolo in esame prevede poi che per quanto concerne la liquidazione, l'accertamento, la riscossione, le sanzioni anche penali, i rimborsi ed il contenzioso si applicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi.

Il comma 3 dell'articolo in commento disciplina il trattamento tributario applicabile nei confronti dei soggetti residenti nel territorio dello Stato che hanno sottoscritto azioni o quote di fondi comuni, mentre la disciplina riguardante i soggetti non residenti è contenuta nell'art. 9 del provvedimento in oggetto, che verrà successivamente esaminato.

Ciò premesso, per quanto concerne i soggetti residenti, la disposizione in esame detta differenti regole a seconda che le partecipazioni ai fondi in questione siano state assunte o meno nell'esercizio di imprese commerciali. Per l'ipotesi in cui le partecipazioni ai fondi non siano state assunte nell'esercizio di imprese commerciali, la disposizione in esame conferma l'attuale regime, nel senso che i relativi proventi non concorrono a formare il reddito imponibile dei partecipanti. Questo regime è del tutto coerente con il sistema di tassazione dei redditi di natura finanziaria realizzati attraverso forme d'investimento che garantiscono il pagamento "a monte" del debito d'imposta dovuto dai contribuenti sui proventi da essi conseguiti per il tramite di soggetti abilitati ad amministrare o gestire il risparmio.

Questo regime, ovviamente, trova applicazione solo nel caso in cui il rapporto del contribuente si svolga esclusivamente attraverso le forme canoniche e cioè con le operazioni di sottoscrizione e rimborso delle quote effettuate per il tramite della società di gestione o con i soggetti incaricati del collocamento e del rimborso delle quote medesime.

Qualora, invece, il contribuente acquisti o ceda le quote di partecipazione al fondo al di fuori delle strutture di servizio del fondo, pagando o ricevendo, rispettivamente, una somma diversa dal valore che le azioni o quote acquistate ovvero cedute avevano nei giorni in cui le relative operazioni sono avvenute, l'eventuale differenza positiva - che fiscalmente non costituisce il provento derivante dalla partecipazione ai fondi ma una plusvalenza il cui importo va determinato in base ai criteri fissati dal comma 4-bis dell'art. 42 del T.U.I.R. - deve formare oggetto di tassazione autonoma, in quanto nella fattispecie si è in presenza di un reddito non rientrante nell'ambito applicativo della disposizione in esame, ma in quello dell'art. 81, comma 1, lettera c-ter), del T.U.I.R., come si desume peraltro dalla disposizione contenuta nell'ultimo periodo dell'art. 9, comma 3, della più volte citata legge n. 77 del 1983.

Ai fini di una puntuale individuazione dei proventi derivanti dalla partecipazione ad organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari e, conseguentemente, anche ai fini della determinazione delle eventuali plusvalenze o minusvalenze, il comma 4-bis dell'art. 42 del T.U.I.R. stabilisce che le somme o il valore normale dei beni distribuiti, anche in sede di riscatto o liquidazione, dagli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari, soggetti ad imposta sostitutiva sul risultato della gestione, nonché le somme o il valore normale dei beni percepiti in sede di cessione delle partecipazioni ai predetti organismi costituiscono proventi per un importo corrispondente alla differenza positiva tra l'incremento di valore delle azioni o quote rilevato alla data della distribuzione, del riscatto, della liquidazione o della cessione e l'incremento di valore delle azioni o quote rilevato alla data di sottoscrizione o di acquisto. La stessa disposizione precisa inoltre che l'incremento di valore in questione deve essere rilevato dall'ultimo prospetto predisposto dalla società di gestione del fondo.

Una volta accertato che il contribuente ha realizzato, oltre ai proventi di cui al comma 3 dell'art. 9 della legge n. 77 del 1983, anche plusvalenze rientranti nella disposizione di cui alla lett c-ter) del comma 1 dell'art. 81 del T.U.I.R., su dette plusvalenze è dovuta l'imposta sostitutiva del 12,50. Tale imposta può essere corrisposta direttamente dal contribuente sulla base della dichiarazione dei redditi, come previsto dall'art. 5 del provvedimento in oggetto in precedenza esaminato, ovvero attraverso un intermediario nel caso in cui il contribuente abbia esercitato l'opzione prevista dall'art. 6 (concernente il regime del risparmio amministrato) e dall'art. 7 (concernente il regime del risparmio gestito) del decreto legislativo n. 461 del 1997, già esaminati in precedenza.

Per l'ipotesi in cui le partecipazioni ai fondi siano state assunte nell'esercizio di imprese commerciali, il comma 3 dell'art. 9 stabilisce che i relativi proventi concorrono a formare il reddito soltanto nell'esercizio in cui sono percepiti, ancorché l'imprenditore li abbia iscritti in bilancio indipendentemente dalla percezione; la stessa disposizione stabilisce inoltre che su tali proventi l'imprenditore ha diritto ad un credito d'imposta il cui importo è pari al 15 per cento dei proventi stessi, credito la cui funzione è quella di neutralizzare gli effetti della tassazione a monte che il contribuente ha subito a causa dell'applicazione, da parte della società di gestione, dell'imposta sostitutiva del 12,50 per cento e, quindi, per evitare una doppia imposizione dei proventi che altrimenti si verificherebbe.

Destinatari di questo regime sono indistintamente tutti gli imprenditori, comunque organizzati e, quindi, sia gli imprenditori individuali che le società - comprese quelle di persone di cui all'art. 5 del T.U.I.R. che svolgano attività commerciali - e gli enti di cui all'art. 87, lettere a), b) e d), ed all'art. 113, comma 1, del medesimo testo unico.

Tenuto conto di quanto si è avuto modo di precisare precedentemente in merito alla distinzione tra proventi derivanti dalla partecipazione ai fondi comuni, da determinarsi sulla base di quanto stabilisce il comma 4-bis dell'art. 82 del T.U.I.R. ed eventuali plusvalenze conseguite dai contribuenti in relazione a dette partecipazioni, che sono soggette ad un diverso regime impositivo, va ora chiarito - con specifico riferimento al credito d'imposta di cui alla disposizione in rassegna - che detto credito va commisurato esclusivamente all'incremento di valore della quota rilevato dai prospetti giornalieri riferibili ai giorni in cui sono avvenute le operazioni di acquisto e di cessione. Conseguentemente, nel caso in cui l'imprenditore abbia conseguito un reddito superiore al reddito di capitale, come sopra determinato, non compete il credito d'imposta sulla parte del reddito che eccede il suddetto provento.

3.5.3 Organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari operanti nella forma di società d'investimento a capitale variabile (SICAV)

Con la disposizione di cui al comma 2 dell'art. 8 del provvedimento in oggetto è stato sostituito l'art. 14 del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 84, che reca le disposizioni tributarie degli organismi citati in rubrica, che di seguito verranno indicati con la sigla "SICAV".

Il comma 1 dell'art. 14 sopra citato riproduce integralmente il contenuto dell'art. 9, comma 1, della citata legge n. 77 del 1983, esaminato nel precedente paragrafo, al quale si fa rinvio.

Il comma 2 del predetto art. 14 stabilisce che:

a) per quanto concerne gli obblighi di dichiarazione relativi al risultato di gestione conseguito, il primo periodo del comma in esame stabilisce che la SICAV deve indicare nell'apposita dichiarazione i dati necessari per la determinazione dell'imposta sostitutiva dovuta. Tale dichiarazione dov'essere presentata entro un mese dalla data di approvazione del bilancio;

b) nella prima parte del secondo periodo del comma 2 dell'art. 14 in commento viene inoltre stabilito che alle SICAV si applicano anche le disposizioni di cui ai commi da 2 a 4 dell'art. 9 della citata legge n. 77 del 1983. Per effetto di questo richiamo, si fa rinvio ai chiarimenti già forniti nel precedente paragrafo in relazione a tali disposizioni;

c) nella seconda parte del secondo periodo del comma 2 dell'art. 14 in commento si stabilisce che alle SICAV di applica la disposizione di cui all'art. 7 della tabella allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, concernente i fondi comuni d'investimento di natura contrattuale, che esclude gli obblighi di registrazione per gli atti relativi alla costituzione delle SICAV, alla sottoscrizione ed al rimborso delle azioni, nonché alle operazioni di emissione e di estinzione dei certificati.

Il comma 3 dell'art. 14 in commento dispone, infine, che ai proventi distribuiti dalle SICAV non si applicano le disposizioni di cui all'art. 27 del più volte citato D.P.R. n. 600 del 1973, concernenti l'applicazione delle ritenute alla fonte sui dividendi, e neppure le disposizioni di cui agli articoli 1, 2, 3, 7, 9, 10-bis e 12 della legge 29 dicembre 1962, n. 1745, concernente la disciplina della nominatività obbligatoria dei titoli azionari.

3.5.4 Fondi comuni d'investimento mobiliare chiusi

Il comma 3 dell'art. 8 del provvedimento in oggetto ha integralmente sostituito anche l'art. 11 della legge 14 agosto 1993, n. 344, riguardante le disposizioni tributarie dei fondi comuni d'investimento mobiliare chiusi.

La nuova disciplina dei fondi in questione ricalca pressoché fedelmente quella prevista per i fondi mobiliari aperti, così attuando la direttiva contenuta nell'art. 3, comma 160, lettera i), della citata legge n. 662 del 1996. Si rinvia, pertanto, ai chiarimenti in proposito già forniti in materia nel precedente paragrafo 3.4.2.

Rispetto alla normativa fiscale riguardante i fondi comuni aperti, la differenza di maggior rilievo riscontrabile nella corrispondente disciplina dei fondi chiusi consiste nella diversa periodicità - stabilita dall'art. 5, comma 1, lettera c), della legge n. 344 del 1993 - con la quale è prevista la redazione del prospetto riguardante il calcolo del patrimonio netto dei fondi chiusi, che è semestrale per questi ultimi mentre è giornaliera per i fondi aperti.

Con riferimento a tale adempimento, si fa presente che nel prospetto semestrale la società di gestione del fondo dovrà indicare, tra l'altro, l'ammontare dell'imposta sostitutiva maturata nel primo semestre di gestione del fondo o, in alternativa, il credito d'imposta qualora emerga un risultato negativo.

Si segnala, inoltre, che i prospetti in questione vanno presi in considerazione ai fini della determinazione del valore delle azioni e, quindi, per determinare l'ammontare dei proventi ai quali va attribuito il credito d'imposta del 15 per cento (se la partecipazione è stata assunta nell'esercizio dell'impresa) e le eventuali plusvalenze.

Per quanto concerne il trattamento tributario applicabile ai partecipanti ai fondi chiusi va inoltre segnalata la disposizione recata dal comma 6 dell'articolo 8 del provvedimento in oggetto con la quale si è inteso eliminare la penalizzazione che attualmente grava sugli esercenti attività commerciali, che consiste nella prevista assimilazione dei proventi derivanti dai fondi chiusi ai proventi esenti, assimilazione che incide negativamente ai fini del computo degli interessi passivi e delle spese generali deducibili in sede di determinazione del reddito d'impresa. Al riguardo, il comma 3 dell'art. 63 del T.U.I.R., integralmente sostituito dalla disposizione testé citata, stabilisce infatti che se nell'esercizio sono stati conseguiti interessi o altri proventi esenti da imposta derivanti da obbligazioni pubbliche o private sottoscritte, acquistate o ricevute in usufrutto o pegno a decorrere dal 28 novembre 1984 o da cedole acquistate separatamente dai titoli a decorrere dalla stessa data, gli interessi passivi non sono ammessi in deduzione fino a concorrenza dell'ammontare complessivo degli interessi o proventi esenti. La stessa disposizione precisa, inoltre, che gli interessi passivi che eccedono tale ammontare sono deducibili a norma dei primi due commi del medesimo art. 63, ma senza tener conto, ai fini del rapporto ivi previsto, dell'ammontare degli interessi e proventi esenti corrispondente a quello degli interessi passivi non ammesso in deduzione.

Dal testo del comma 3 dell'art. 63 del T.U.I.R. è stato quindi eliminato il riferimento ai proventi derivanti dalla partecipazione a fondi comuni d'investimento mobiliare di tipo chiuso.

La nuova disciplina si applica, ai sensi dell'art. 16, comma 3, del provvedimento in oggetto, a partire dal 1° luglio 1998.

3.5.5 Fondi comuni esteri d'investimento mobiliare aperti autorizzati al collocamento nel territorio dello Stato ai sensi del D.L. 6 giugno 1956, n. 476, convertito dalla legge 25 luglio 1956, n. 786

L'art. 8, comma 4, del provvedimento in oggetto ha sostituito l'art. 11-bis del decreto-legge 30 settembre 1983, n. 512, convertito dalla legge 25 novembre 1983, n. 649, recante la disciplina fiscale dei fondi comuni esteri di investimento mobiliare di tipo aperto, autorizzati al collocamento in Italia ai sensi del decreto-legge 6 giugno 1956, n. 476, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 luglio 1956, n. 786 (trattasi dei cosiddetti fondi lussemburghesi storici).

Come noto, a seguito delle modifiche introdotte nel 1983 con l'art. 11-bis del citato decreto-legge n. 512, il regime fiscale di questi fondi è stato strutturato in modo del tutto analogo a quello previsto per i corrispondenti fondi comuni di diritto nazionale.

Con la norma in commento per i fondi lussemburghesi in questione è stato introdotto, a partire dal 1° luglio 1998, un regime fiscale del tutto identico a quello previsto per i fondi italiani, per cui si rinvia ai chiarimenti già forniti nella soggetta materia nel precedente paragrafo 3.4.2.

3.5.6 Organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero

Il comma 5 dell'art. 8 del provvedimento in oggetto sostituisce i primi sei commi dell'art. 10-ter della più volte citata legge n. 77 del 1983, che disciplinano sia il trattamento fiscale dei proventi derivanti dalla partecipazione ad organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari di tipo aperto di diritto estero, situati negli Stati membri dell'Unione europea, conformi alle direttive comunitarie, le cui quote sono collocate all'estero oppure nel territorio dello Stato ai sensi dell'art. 10-bis della stessa legge n. 77 del 1983 sia il trattamento fiscale dei proventi derivanti dalla partecipazione ad organismi di investimento collettivo situati in Stati non appartenenti all'Unione Europea.

Viene sostanzialmente confermato il criterio attualmente vigente secondo il quale i proventi derivanti da azioni o quote commercializzate in Italia sono soggetti ad un prelievo alla fonte, mentre per i proventi derivanti da azioni o quote commercializzate all'estero o comunque per quelli conseguiti senza l'intervento del sostituto d'imposta, il contribuente è tenuto ad indicarne i proventi nella dichiarazione dei redditi e a liquidare e versare l'imposta con le modalità e nei termini previsti per il versamento a saldo delle imposte sui redditi dovute in base alla dichiarazione.

Più specificamente, il comma 1 dell'art. 10-ter in esame (O.I.C.V.M. comunitari) conferma il contenuto della corrispondente disposizione attualmente vigente, in quanto prevede che i soggetti residenti ai quali è stato affidato l'incarico di pagare i proventi derivanti dalla partecipazione agli organismi in questione, ovvero di riacquistare o negoziare le azioni o quote emesse dagli organismi in questione, sono tenuti ad operare una ritenuta del 12,50 per cento sui relativi proventi. La ritenuta - precisa il comma 1 in commento - deve essere applicata sui redditi di capitale di cui all'articolo 41, comma 1, lettera g) percepiti dal contribuente.

Il riferimento operato dal comma 1 ai proventi di cui all'articolo 41, comma 1, lettera g) del testo unico comporta altresì - come è stato precisato nella relazione di accompagnamento all'articolo 1 del decreto legislativo - che il reddito di partecipazione all'organismo deve essere determinato secondo i criteri stabiliti dall'articolo 42 del T.U.I.R.; inoltre, ove il contribuente dovesse realizzare in aggiunta ai redditi di capitale anche plusvalenze e minusvalenze - comprese quelle derivanti dalla cessione di valute imponibili ai sensi dell'articolo 81, comma 1, lettera c-ter) del T.U.I.R. - solo i primi saranno soggetti alle disposizioni previste dall'articolo 10-ter in commento, mentre le plusvalenze e minusvalenze sono disciplinate secondo le disposizioni previste per i redditi diversi (articoli 81 e 82 del testo unico, artt. 5, 6 e 7 del D.Lgs. n. 461 del 1997).

Il secondo periodo del comma 1 della disposizione in commento precisa altresì che la predetta ritenuta deve essere operata tanto sui redditi che vengono distribuiti nel periodo in cui il contribuente mantiene il possesso della partecipazione quanto sui proventi compresi nella differenza tra il valore di riscatto o di cessione delle azioni o quote ed il valore medio ponderato di sottoscrizione o di acquisto delle azioni o quote. L'ultimo periodo della norma in rassegna stabilisce che in ogni caso come valore di sottoscrizione o di acquisto si assume il valore della quota rilevato dei prospetti periodici relativi alla data d'acquisto delle quote medesime.

Il comma 2 dell'art. 10-ter dispone che sui proventi di cui al comma 1 - che rientrano nella previsione di cui all'art. 41, comma 1, lettera g), del T.U.I.R. - si applica, ai fini della tassazione dei proventi stessi, l'equalizzatore previsto dal comma 9 dell'art. 82 del predetto testo unico.

Per quanto concerne la funzione della ritenuta operata dai soggetti residenti incaricati della commercializzazione in Italia delle predette quote partecipative, il comma 3 dell'articolo in esame dispone - in analogia a quanto previsto dall'attuale, corrispondente disposizione - che la ritenuta è applicata a titolo di acconto nei confronti dei seguenti soggetti:

- degli imprenditori individuali, sempreché le partecipazioni siano relative all'impresa ai sensi dell'art. 77 del T.U.I.R.;

- delle società in nome collettivo, in accomandita semplice e di quelle ad esse equiparate di cui all'art. 5 del predetto testo unico;

- delle società e degli enti di cui alle lettere a) e b) dell'art. 87 del medesimo testo unico, nonché delle stabili organizzazioni in Italia delle società ed enti di cui alla lettera d) dello stesso articolo.

La predetta ritenuta è invece applicata a titolo d'imposta nei confronti di tutti gli altri soggetti, compresi quelli che fruiscono di esenzione dalle imposte sui redditi o che siano esclusi dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche.

Il comma 4 dell'art. 10-ter in esame conferma, poi, il contenuto dell'attuale comma 5 della disposizione attualmente vigente, disponendo che qualora le azioni o quote in parola (O.I.C.V.M. comunitari) siano collocate all'estero, come pure nel caso in cui i relativi proventi siano conseguiti senza l'applicazione della predetta ritenuta del 12,50 per cento, il contribuente - come già anticipato - dovrà indicare detti proventi nella dichiarazione annuale, includendoli tra quelli soggetti ad imposizione sostitutiva ai sensi dell'art. 16-bis del T.U.I.R., sempreché ovviamente i proventi medesimi siano percepiti al di fuori dell'esercizio di attività commerciali.

Il comma 5 dell'articolo in commento stabilisce inoltre che i proventi derivanti dalla partecipazioni ad organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero, diversi da quelli contemplati nel comma 1 dello stesso art. 10-ter (e cioè gli O.I.C.V.M. non comunitari) concorrono - sempre come redditi di capitale di cui alla lettera g) del comma 1 dell'art. 41 del T.U.I.R. - a formare il reddito imponibile del partecipante e, quindi, a tali proventi non si applica né il regime della tassazione separata, né quello dell'imposta sostitutiva, ma unicamente il regime ordinario dell'imposta personale sul reddito complessivo. Nella nozione dei proventi in parola rientrano sia quelli distribuiti ai partecipanti, sia quelli percepiti sotto forma di differenza tra il valore di riscatto o di cessione della azioni o quote ed il valore di sottoscrizione o di acquisto. L'ultimo periodo della disposizione in commento precisa che il costo unitario di acquisto delle quote si ottiene dividendo il costo complessivo delle quote acquistate o sottoscritte per la loro quantità.

Il comma 6 dell'articolo in esame dispone, infine, che nel caso in cui il contribuente percepisca in Italia i proventi di cui al precedente comma 5 per il tramite di soggetti residenti incaricati del pagamento dei proventi medesimi, ovvero del riacquisto o della negoziazione delle azioni o quote, sui proventi in questione i soggetti incaricati testé citati sono tenuti ad operare una ritenuta del 12,50 per cento a titolo d'acconto delle imposte sui redditi dovute dai contribuenti in base alla dichiarazione.

3.5.7 Rimborso dell'imposta per i non residenti che hanno sottoscritto quote di organismi d'investimento collettivo del risparmio italiani

Con l'art. 9 del decreto legislativo n. 461 del 1997 è stata introdotta una disciplina volta ad evitare che le quote di partecipazione agli organismi d'investimento italiani sottoscritte da soggetti non residenti subiscano un trattamento penalizzato rispetto a forme di investimento diretto in altri valori mobiliari.

Come noto, infatti, per molti prodotti finanziari la disciplina fiscale riconosce ai non residenti il diritto a conseguire i frutti dell'investimento senza alcuna imposizione, anche se tale trattamento è subordinato alla ricorrenza di talune condizioni.

L'art. 9 in commento può essere suddiviso in due parti: nella prima, costituita dai primi tre commi, viene disciplinata la procedura attraverso la quale i non residenti possono ottenere il rimborso dell'imposta sostitutiva da essi assolta sulla base del prelievo operato dalla società di gestione; nella seconda, costituita dal solo comma 4, viene stabilita una particolare disciplina riguardante i fondi italiani ai quali possono partecipare soltanto soggetti non residenti.

Ciò premesso in via generale, per quanto concerne in particolare il contenuto delle singole disposizioni si osserva che il comma 1 dell'art. 9 in rassegna stabilisce che i soggetti non residenti che hanno conseguito proventi erogati dagli organismi d'investimento collettivo soggetti all'imposta sostitutiva di cui all'art. 8 hanno diritto al pagamento di una somma pari al 15 per cento dei proventi erogati qualora, entro il 31 dicembre dell'anno in cui il provento è stato percepito, ne facciano richiesta alla società di gestione del fondo comune, alla Sicav ovvero al soggetto incaricato del collocamento delle azioni o quote di cui all'art. 8, comma 4.

La stessa disposizione stabilisce che il rimborso dell'imposta viene effettuato per il tramite della banca depositaria, ove esistente, su disposizione dei soggetti ai quali gli aventi diritto ne hanno fatto richiesta. A tal fine, i mezzi finanziari con i quali si effettuano i rimborsi sono tratti dagli importi complessivamente dovuti a titolo d'imposta sostitutiva sul risultato della gestione dagli organismi d'investimento gestiti o collocati dai predetti soggetti e, quindi, le somme occorrenti per effettuare i rimborsi non possono essere richiesti all'amministrazione finanziaria.

Attesa la formulazione della disposizione in esame, gli organismi d'investimento mobiliare interessati a questa disciplina sono: i fondi comuni d'investimento mobiliare di tipo aperto di diritto nazionale di cui alla legge 23 marzo 1983, n. 77; le SICAV di cui al decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 84; i fondi comuni d'investimento mobiliare ai quali si applica la disciplina recata dall'art. 11-bis del decreto-legge 30 settembre 1983, n. 512, convertito con modificazioni dalla legge 25 novembre 1983, n. 649 (cosiddetti "lussemburghesi storici") e, infine, i fondi comuni d'investimento mobiliare chiusi di cui alla legge 14 agosto 1993, n. 344.

Per quanto concerne i fondi lussemburghesi sopra citati va precisato che la richiesta di rimborso può essere presentata limitatamente ai proventi delle quote di partecipazione collocate in Italia e che, pertanto, nessun rimborso è consentito per i proventi derivanti da quote collocate all'estero.

Il comma 2 dell'art. 9 è volto alla individuazione dei proventi relativamente ai quali è possibile ottenere il rimborso. Questa norma stabilisce infatti che ai fini della procedura sopra esaminata il provento da prendere in considerazione è quello conseguito dal sottoscrittore per effetto della distribuzione da parte dell'organismo d'investimento, nonché quello costituito dalla differenza tra il valore di riscatto ed il valore medio ponderato di sottoscrizione o di acquisto delle quote. Ciò implica che il rimborso non può essere riconosciuto se i proventi vengono realizzati mediante la cessione delle quote a soggetti terzi.

La stessa disposizione stabilisce, inoltre, che i valori da prendere a base del calcolo di determinazione del predetto valore medio ponderato sono esclusivamente quelli desunti dai prospetti periodici previsti per ciascun organismo d'investimento collettivo riferibili alle date in cui è avvenuto l'acquisto o la sottoscrizione delle quote. Deve quindi escludersi che ai fini di cui trattasi possa essere assunta qualsiasi altra fonte (quale, ad esempio, eventuali documenti provenienti dal soggetto interessato).

Il comma 3 dell'articolo in rassegna è volto all'individuazione dei soggetti che hanno diritto a chiedere ed ottenere il rimborso dell'imposta sostitutiva. Al riguardo, la norma in esame stabilisce che la procedura prevista alle disposizioni dianzi illustrate si applicano nei confronti dei soggetti residenti nei Paesi elencati nei citati D.M. 4 settembre 1996 e D.M. 25 marzo 1998.

Come già anticipato, il comma 4 dell'art. 9 reca un particolare regime fiscale per gli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari di diritto italiano le cui azioni o quote siano sottoscritte esclusivamente dai soggetti non residenti che si trovino nelle condizioni previste dall'art. 3, primo periodo, precedentemente esaminato, e cioè nelle condizioni che consentano loro di chiedere ed ottenere il rimborso dell'imposta sostitutiva da parte degli organismi d'investimento sopra citati, i quali prelevano i mezzi finanziari occorrenti dall'imposta sostitutiva che gli organismi stessi dovrebbero versare all'Erario, che, come si è detto, non può mai essere coinvolto in procedure che attengano alla restituzione del tributo nei casi di specie.

In modo del tutto coerente con tale impostazione, la disposizione in esame stabilisce che, ove, ricorrano le cennate condizioni, i predetti organismi d'investimento non sono sottoposti all'imposta sul risultato della gestione di cui ai primi quattro commi dell'art. 8. In sostanza, questa procedura si pone come uno strumento alternativo a quello, già esaminato, previsto dall'art. 9, comma 1. In tale ipotesi, dovrà essere presentato da parte di soggetti non residenti, all'atto della sottoscrizione delle quote o azioni l'attestato di residenza rilasciato dalle Autorità fiscali competenti del Paese di appartenenza.

Inoltre, con il secondo periodo della disposizione in esame, il legislatore ha previsto che qualora il soggetto non residente chieda, con riferimento alle quote dallo stesso sottoscritte, l'emissione di certificati al portatore, come pure nei casi in cui risulti che la proprietà delle quote sia stata trasferita ad un soggetto non residente privo dei requisiti posti dal legislatore per attribuirgli la qualità di soggetto "lordista" (espressione con la quale viene indicato colui che ha diritto a vedersi corrispondere il reddito senza subire l'imposizione), la società di gestione del fondo o la Sicav sono tenute ad applicare, sull'intero provento delle quote, il trattamento tributario previsti dall'art. 10-ter della citata legge n. 77 del 1983 - già esaminato nel precedente paragrafo 3.4.6. - e ciò dal momento della sottoscrizione fino a quello del riscatto.

Al fine di verificare la corretta applicazione della normativa in commento è stato previsto che la banca depositaria è tenuta a comunicare all'Amministrazione finanziaria, con riferimento ai proventi distribuiti o alle somme erogate a fronte di riscatti nel precedente periodo d'imposta, i dati identificativi dei soggetti beneficiari delle somme comunque erogate dall'organismo d'investimento. Tali comunicazioni dovranno essere effettuate secondo le modalità che verranno stabilite in occasione dell'approvazione del decreto di cui all'art. 8 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

Ricorrendo le suddette situazioni (richiesta di certificati al portatore o cessione delle quote a soggetto privo dei prescritti requisiti per fruire del trattamento di esonero), deve essere applicata la ritenuta prevista dall'art. 10-ter prima richiamato. La ritenuta è applicata dalla banca depositaria del fondo ovvero della Sicav nella misura del 12,50 per cento e svolge funzione di prelievo definitivo se il percettore dei proventi è un soggetto non esercente attività di natura commerciale, mentre svolge funzione di prelievo d'acconto in ogni altro caso. Anche in questa ipotesi deve essere applicato il cosiddetto equalizzatore, come previsto dal comma 2 dell'art, 10-ter della citata legge n. 77 del 1983.

 

 

Capitolo IV

Il riordino delle ritenute alla fonte e delle imposte sostitutive sui redditi di capitale

4.1 Generalità.

L'articolo 12 del decreto legislativo n. 461 del 1997, nel procedere alla razionalizzazione delle aliquote delle ritenute alla fonte e delle imposte sostitutive sui redditi di capitale, ha accorpato le aliquote stesse intorno alle due misure del 12,50 e del 27 per cento. In tal modo, è stata attuata la scelta più neutrale e coerente all'interno dell'opera di razionalizzazione del preesistente livello di imposizione dei redditi di capitale, caratterizzato dalla discriminazione fra aliquote ridotte di effetto agevolativo (pari o inferiori al 15 per cento) e aliquote maggiorate (superiori al 15 per cento).

Pertanto, il riordino è stato attuato attraverso l'accorpamento alla misura del 12,50 per cento delle aliquote pari o inferiori al 15 per cento per i redditi che rispondono a finalità agevolative e l'accorpamento alla misura del 27 per cento delle aliquote superiori al 15 per cento.

Risultano, così, agevolati il risparmio delle famiglie, prevalentemente concentrato sui titoli di Stato, il risparmio produttivo orientato in investimenti societari anche nella forma dei titoli obbligazionari, il risparmio impiegato in strumenti a medio e lungo termine, nonché quello rispondente a criteri di trasparenza attuati attraverso l'offerta al pubblico o la negoziazione in mercati regolamentati.

In tale ottica agevolativa è stata mantenuta la disciplina di imposizione sostitutiva, in luogo della ritenuta alla fonte, di cui al decreto legislativo 1 aprile 1996, n. 239 per i titoli obbligazionari ivi previsti.

La manovra di accorpamento ha confermato l'aliquota del 27 per cento nei confronti di tutti i redditi di capitale già assoggettati a tale misura o ad aliquota maggiore, ivi compresi gli interessi derivanti da investimenti a breve termine, quali conti correnti e depositi, nonché quelli derivanti dalla raccolta bancaria vincolata anche se a medio e lungo termine (es. certificati di deposito o depositi bancari vincolati).

Un'ulteriore conferma riguarda l'aliquota agevolata del 12,50 per cento applicabile ai nuovi strumenti di raccolta di capitali da parte delle imprese, quali i certificati d'investimento rientranti nella categoria dei titoli similari alle obbligazioni, che non siano a breve termine e purché rispettosi di determinati requisiti di trasparenza.

Con riferimento alle operazioni di pronti contro termine e a quelle analoghe, nonché al prestito titoli, è stato espressamente prevista l'applicazione della medesima aliquota fissata per i redditi dei titoli oggetto dei predetti negozi, secondo un criterio di accessorietà.

Come previsto nella disciplina previgente alla riforma, relativamente agli interessi ed altri proventi, diversi dai dividendi, è stata mantenuta la ripartizione tra ritenute a titolo di acconto e ritenute a titolo d'imposta in relazione alla qualità del percettore, prevedendo, in particolare, l'applicazione della ritenuta a titolo d'acconto nei confronti dei soggetti esercenti attività commerciale a titolo di imposta negli altri casi.

Per i soggetti esenti dall'IRPEG si è confermata l'applicabilità della ritenuta a titolo d'imposta.

Si riassumono di seguito le principali novità apportate dalla disciplina in commento in materia di ritenute.

 

 

4.2 Proventi dei titoli obbligazionari emessi in Italia.

Agli interessi e agli altri proventi delle obbligazioni e titoli similari emessi dai soggetti residenti di al primo comma dell'art. 23 del D.P.R. n. 600 del 1973 si applica la ritenuta del 27 per cento, ridotta al 12,50 per cento nel caso di obbligazioni e titoli similari con scadenza non inferiore a 18 mesi. Tuttavia, anche in relazione a quest'ultima fattispecie è prevista l'applicazione dell'aliquota ordinaria del 27% se, al momento della emissione, il rendimento effettivo delle obbligazioni e titoli similari superi il tasso ufficiale di sconto aumentato di due terzi, qualora le obbligazioni e titoli similari siano negoziati in mercati regolamentati italiani o collocati mediante offerta al pubblico (ai sensi della disciplina vigente al momento della loro emissione) ovvero il tasso ufficiale di sconto aumentato di un terzo, negli altri casi. Tale normativa non è applicabile alle obbligazioni e titoli similari con scadenza non inferiore a diciotto mesi emessi dalle banche e dalle società ed enti i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati italiani.

Per quanto concerne gli altri strumenti di raccolta diretta del risparmio da parte delle imprese, quali le accettazioni bancarie, trattandosi di titoli individuali, non destinati a raccogliere il risparmio delle famiglie, è stata prevista l'aliquota del 27 per cento, mentre per le cambiali finanziarie, nonostante siano titoli a breve termine, è stata confermata l'aliquota agevolata del 12,50 per cento in quanto titoli emessi in serie e di massa e tenuto conto della loro finalizzazione produttiva.

Per i soli interessi ed altri proventi delle cambiali finanziarie emesse dalle società, diverse dalle banche, con azioni non quotate in mercati regolamentati italiani ovvero da quote, l'applicazione della ritenuta del 12,50 per cento è condizionata alla verifica della congruità del tasso di interesse accordato dall'emittente sulla base degli stessi parametri che sono stati presi a riferimento per la determinazione della congruità del tasso delle obbligazioni e titoli similari emessi dai medesimi soggetti; ciò in quanto le cambiali finanziarie sono ormai considerate a tutti gli effetti come titoli similari alle obbligazioni. Conseguentemente, qualora il tasso accordato dall'emittente non risulti congruo in quanto superi i predetti parametri, la ritenuta non deve più essere operata con l'aliquota del 12,50 per cento, bensì con quella del 27 per cento.

È inoltre previsto che, in caso di rimborso prima del diciottesimo mese di titoli (diversi dalle cambiali finanziarie) i cui proventi sono soggetti alla ritenuta del 12,5 per cento, è dovuta dall'emittente una somma pari al 20 per cento dei proventi maturati fini al momento dell'anticipato rimborso.

 

 

4.3 Interessi su depositi e conti correnti.

In materia di interessi e altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali, la nuova disciplina, confermando sostanzialmente quella previgente, prevede l'applicazione della ritenuta del 27 per cento. La medesima ritenuta si applica ai proventi dei certificati di deposito e dei buoni fruttiferi, indipendentemente dalla loro durata. L'esclusione dalla ritenuta, già prevista per gli interessi da depositi e conti intrattenuti tra banche, viene estesa anche agli interessi da depositi e conti che le banche intrattengono presso le Poste Italiane s.p.a. e a quelli relativi a depositi e conti detenuti dalla predetta società presso le banche.

 

 

4.4 Redditi di capitale di fonte estera.

In relazione agli interessi e altri proventi derivanti da titoli obbligazionari, depositi e conti correnti corrisposti da soggetti non residenti nel territorio dello Stato è confermato l'obbligo di operare le ritenute per i soggetti aventi la veste di sostituti d'imposta che comunque intervengano nella riscossione dei redditi stessi. In particolare, viene stabilito che nel caso di rimborso prima della scadenza di obbligazioni e titoli similari con scadenza non inferiore a diciotto mesi, i percipienti (anziché gli emittenti) devono corrispondere una somma pari al 20 per cento dei proventi maturati fino al momento dell'anticipato rimborso; tale somma è prelevata dagli intermediari che intervengono nella corresponsione dei proventi ovvero nel rimborso dei titoli.

Inoltre nell'ipotesi di cessione a titolo oneroso di obbligazioni e titoli similari esteri, i medesimi intermediari che intervengono nell'operazione devono operare la ritenuta sugli interessi ed altri proventi riconosciuti nel corrispettivo al cedente il quale ne rende noto l'ammontare in relazione al periodo di possesso.

Diversamente da quanto previsto per gli analoghi proventi di fonte italiana, sui proventi di fonte estera non si applica alcuna ritenuta nei confronti delle società in nome collettivo, in accomandita semplice ed equiparate di cui all'art. 5 del T.U.I.R., delle società ed enti di cui al successivo art. 87, comma 1 lett. a) e b), nonché delle stabili organizzazioni delle società ed enti non residenti. Resta ferma l'applicazione della ritenuta a titolo d'acconto per gli imprenditori individuali e a titolo d'imposta in tutti gli altri casi.

È inoltre confermata l'inapplicabilità sugli interessi e i proventi di fonte estera delle ritenute nell'ipotesi in cui i percettori siano soggetti non residenti, purché questi certifichino la loro qualità di non residenti ed attestino il periodo di possesso dei titoli.

Per completezza, si rammenta che, nel caso in cui non intervenga alcun intermediario nella riscossione di redditi esteri per i quali è previsto il regime di ritenuta a titolo di imposta, il percettore in sede di dichiarazione deve assoggettare i redditi stessi ad una imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi con la stessa aliquota della ritenuta a titolo d'imposta; il contribuente ha la facoltà di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva optando per la tassazione ordinaria e, in tal caso, spetta il credito per le imposte pagate all'estero (articolo 16 bis del T.U.I.R. introdotto dall'art. 21, comma 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449.)

 

 

4.5 Altri redditi di capitale.

Per quanto riguarda la ritenuta sui redditi di capitale indicati nell'articolo 41, comma 1, lettere g-bis) e g-ter), del T.U.I.R. - pronti contro termine, riporti, mutuo di titoli garantito - l'articolo 26, comma 3-bis, del D.P.R. n. 600 del 1973, prevede che questa debba essere applicata con l'aliquota del 12,50 per cento ovvero con la maggiore aliquota cui sarebbero assoggettabili gli interessi ed altri proventi dei titoli oggetto del contratto. La ritenuta, nel caso dei rapporti di pronti contro termine e riporto su obbligazioni e titoli similari emessi all'estero, è operata - in luogo di quella prevista dal comma 3 dello stesso articolo 26 del D.P.R. n. 600 del 1973 - anche sugli interessi maturati nel periodo di durata dei contratti.

Il successivo comma 4 dell'articolo 26 prevede inoltre che la ritenuta è operata a titolo d'acconto in tutti i casi in cui i proventi dei titoli sottostanti non sarebbero assoggettabili a ritenuta a titolo d'imposta in capo al percettore. In ogni caso la ritenuta non deve essere applicata qualora i proventi siano corrisposti alle società in nome collettivo, in accomandita semplice ed equiparate di cui all'articolo 5 del T.U.I.R., alle società ed enti di cui all'articolo 87, comma 1, lett. a) e b) del T.U.I.R., nonché alle stabili organizzazioni delle società ed enti di cui alla lettera d) del medesimo articolo 87.

Relativamente ai redditi di capitale di fonte italiana per i quali non sia stata prevista altra ritenuta alla fonte o imposta sostitutiva, quali, ad esempio, interessi sui prestiti di denaro, è stabilita l'applicazione della ritenuta con l'aliquota del 12,5 per cento che opera a titolo d'acconto nei confronti dei soggetti residenti nel territorio dello Stato e a titolo d'imposta nei confronti dei soggetti non residenti (salve le stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti).

La ritenuta è operata nella misura del 27 per cento quando il perciente risieda in uno degli Stati o territori privilegiati, individuati con D.M. 24 aprile 1992.

È stata, infine, riformulata, accentuandone la finalità antielusiva, la disposizione in materia di redditi di capitale corrisposti a stabili organizzazioni all'estero di imprese residenti, non appartenenti all'impresa erogante. Dalla nuova formulazione della norma si evince che il sostituto è obbligato ad operare la ritenuta sugli interessi ed altri proventi dei prestiti di denaro corrisposti a stabili organizzazioni estere di imprese residenti, indipendentemente dal fatto che detti interessi e proventi siano imputabili ai soggetti residenti a cui appartiene la stabile organizzazione estera, ad altri soggetti residenti o a soggetti non residenti. Nel caso in cui i proventi stessi siano imputabili a soggetti residenti rimane inteso che tali soggetti possono scomputare le ritenute subite dall'imposta dovuta sul proprio reddito.

 

 

4.6 Redditi di capitale percepiti da soggetti non residenti.

Per effetto dell'introduzione dell'articolo 26-bis nel D.P.R. n. 600 del 1973, è stato previsto un regime di esenzione per alcuni redditi di capitale percepiti dalle seguenti categorie di soggetti:

- soggetti residenti negli Stati esteri indicati nel decreto ministeriale 4 settembre 1996 e decreto ministeriale 25 marzo 1998, ad esclusione delle società elencate in precedenza per quanto riguarda Filippine, Malta e Singapore;

- enti ed organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia.

Sotto il profilo oggettivo, la norma in esame si applica agli interessi ed agli altri proventi derivanti da:

1) depositi e conti correnti, anche non bancari, e prestiti aventi ad oggetto beni diversi dal denaro;

2) rendite perpetue e prestazioni annue perpetue;

3) prestazioni di fidejussioni e di ogni altra garanzia;

4) operazioni di pronti contro termine e di riporto su titoli e valute;

5) operazioni di mutuo di titoli garantito.

Rimangono, invece, assoggettati ad imposizione gli interessi e gli altri proventi derivanti dalle operazioni di prestiti in denaro; questo per un logico coordinamento con la disposizione contenuta nel comma 5 dell'art. 26, che prevede l'applicazione della ritenuta del 12,50 per cento per le cosiddette operazioni "conduit".

Sono, inoltre, da considerarsi esclusi dal suddetto regime di esenzione i proventi derivanti dalle operazioni di pronti contro termine, di riporto e di mutuo di titoli garantito, qualora abbiano ad oggetto azioni o titoli similari. Tale esclusione è comunque limitata alla quota di provento corrispondente all'ammontare degli utili messi in pagamento nel periodo di durata del contratto.

Si evidenzia infine che i soggetti residenti, per poter applicare ai suindicati soggetti non residenti il previsto regime di esonero, devono acquisire dagli interessati un attestato di residenza rilasciato dalle Autorità fiscali competenti del Paese di appartenenza.

Per i soggetti diversi dalle persone fisiche che risiedono in uno degli Stati già elencati in precedenza e, precisamente, Malta, Filippine e Singapore, dovrà essere acquisita, in aggiunta all'attestato di residenza, la documentazione idonea a dimostrare che gli stessi non rientrano tra una delle società destinatarie di un regime fiscale privilegiato.

L'attestato di residenza deve essere di data antecedente o contestuale al momento del pagamento degli interessi e degli altri proventi.

Occorre, inoltre, considerare che i requisiti richiesti per beneficiare del regime di esenzione sono gli stessi di quelli previsti dal decreto legislativo n. 239 del 1996 per la non applicazione dell'imposta sostitutiva. Di conseguenza. qualora gli investitori esteri abbiano già prodotto il modello 116, non sarà necessario presentare l'attestato di residenza in quanto lo stesso è già contenuto nel citato modello.

Il periodo di efficacia stabilito nel citato articolo 12, comma 3, lettera b) del decreto legislativo n. 461 in commento relativamente al modello 116 può ritenersi valido, per un criterio di uniformità, anche ai fini dell'attestato di residenza di cui sopra.

Resta inteso che il soggetto non residente ha, comunque, l'obbligo di comunicare durante il predetto periodo di tempo qualsiasi circostanza che possa costiT.U.I.R.e motivo ostativo all'applicazione dell'esenzione.

Per quanto concerne invece gli enti internazionali, sarà sufficiente verificare la esistenza della legge di ratifica dell'Accordo istitutivo degli enti medesimi, indipendentemente dalla circostanza che l'accordo preveda l'esenzione da imposte in Italia.

 

 

4.7 Regime previsto dal D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239 per gli interessi, premi e altri frutti delle obbligazioni e titoli similari pubblici e privati.

Con il decreto legislativo n. 461 del 1997 è stata confermata la disciplina introdotta dal decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239 alla quale sono state apportate alcune integrazioni.

Come noto, il citato decreto legislativo n. 239 del 1996 ha modificato il regime di tassazione degli interessi, premi ed altri frutti - compresa la differenza tra la somma percepita alla scadenza dai possessori dei titoli ed il prezzo di emissione - delle obbligazioni pubbliche e private sia per i soggetti residenti sia per quelli non residenti.

Per quanto concerne i soggetti residenti, le modifiche introdotte dal citato decreto legislativo riguardano l'abolizione della ritenuta alla fonte prevista dal primo comma dell'art. 26 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 relativamente ai proventi derivanti dai seguenti titoli:

a) i titoli obbligazionari emessi dalle banche;

b) le obbligazioni e i titoli similari emessi da società per azioni, le cui azioni sono negoziate nei mercati regolamentati italiani;

c) le obbligazioni e gli altri titoli indicati nell'art. 31 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, e quelli ad essi equiparati;

d) le obbligazioni e i titoli similari dagli enti pubblici economici trasformati in società per azioni in base a disposizioni di legge;

e) i titoli obbligazionari emessi da enti territoriali ai sensi dell'art. 35 della legge 23 dicembre 1994, n. 724.

In luogo della suddetta ritenuta, a decorrere dal 1° gennaio 1997, è stata istituita un'imposta sostitutiva nella misura del 12,50 per cento, che si applica nei confronti delle seguenti categorie di soggetti:

1. persone fisiche, anche se esercenti attività commerciali;

2. società ed associazioni di cui all'art. 5 del T.U.I.R., con esclusione delle società in nome collettivo, in accomandita semplice e quelle ad esse equiparate;

3. enti pubblici e privati diversi dalle società, che non hanno per oggetto esclusivo e principale l'esercizio di attività commerciali, indicati nell'art. 87, comma 1, lett. c) del T.U.I.R., ivi compresi quelli indicati nell'art. 88 del T.U.I.R. (regioni, provincie, comuni, enti pubblici non economici, ecc.), ivi comprese le Procure della Repubblica e le Direzioni provinciali del Tesoro;

4. gli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto italiano (fondi comuni e SICAV), ivi compresi gli organismi già autorizzati al collocamento nel territorio dello Stato prima dell'entrata in vigore della legge 11 novembre 1982, n. 429 (cosiddetti fondi lussemburghesi) menzionati dall'art. 10-ter, comma 2, della legge 23 marzo 1983, n. 77;

5. i fondi di investimento mobiliare chiusi di cui alla legge 14 agosto 1993, n. 344;

6. i fondi di investimento immobiliare di cui alla legge 25 gennaio 1994, n. 86;

7. i fondi pensione di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124.

Nel caso in cui proventi siano percepiti da tali soggetti nell'esercizio di attività commerciale essi concorrono a formare il reddito di impresa e l'imposta sostitutiva assolta si scomputa in base al disposto degli artt. 19 e 93 del T.U.I.R. L'imposta sostitutiva viene applicata dagli intermediari autorizzati nei cui confronti sono posti una serie di adempimenti, anche di natura contabile.

Nei confronti dei soggetti non residenti nel territorio dello Stato è stato invece introdotto un regime di esonero dell'imposta sostitutiva, applicabile nei confronti delle seguenti categorie di soggetti:

a) soggetti residenti in Stati con i quali siano in vigore Convenzioni per evitare la doppia imposizione sul reddito stipulata dalla Repubblica italiana, sempreché tali Convenzioni consentano all'Amministrazione finanziaria di ricevere le informazioni necessarie ad accertare la sussistenza dei requisiti da parte degli aventi diritto. A questo proposito, si osserva che con il decreto ministeriale 4 settembre 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 19 settembre 1996 ed integrato dal successivo decreto ministeriale 25 marzo 1998 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, sono stati individuati gli Stati con i quali risulta attuabile lo scambio di informazioni. Si evidenzia, inoltre, che dal suddetto regime di esonero sono stati esclusi i soggetti residenti negli Stati o territori non appartenenti alla Comunità economica europea, aventi un regime fiscale privilegiato;

b) enti internazionali che fruiscono soggettivamente di totale esenzione dalla generalità delle imposte in Italia, in base ad apposite leggi interne o ad Accordi internazionali recepiti dal nostro ordinamento.

In questo contesto, sono state stabilite ulteriori condizioni per la non applicazione dell'imposta sostitutiva consistenti nel deposito dei titoli presso una banca o una società di intermediazione mobiliare residente ovvero una stabile organizzazione in Italia di banche o di società di intermediazione mobiliare non residenti, nonché nella presentazione, per quanto riguarda i soggetti non residenti, di un'attestazione di residenza da parte della competente autorità fiscale del Paese di appartenenza, che ha efficacia fino al 31° gennaio dell'anno successivo a quello di presentazione.

Con il decreto legislativo n. 461 del 1997 sono state apportate alcune modifiche alla descritta disciplina che riguardano sia gli interessi ed i proventi assoggettati ad imposta sostitutiva, sia i soggetti cui si applica l'imposta medesima.

In particolare, è stato confermato che non sono soggetti alla ritenuta del 12,50 per cento di cui all'art. 26 del D.P.R. n. 600 del 1973, bensì ad imposta sostitutiva, gli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e titoli similari emessi dallo Stato nonché dagli altri soggetti indicati nell'articolo 1 del decreto legislativo n. 239 del 1996.

Risultano inoltre escluse dall'ambito applicativo del medesimo decreto legislativo n. 239 le cambiali finanziarie (che sono assoggettate alla ritenuta di cui all'art. 26, comma 1, del D.P.R n. 600 del 1973).

Sono state altresì esclusi dal regime dell'imposta sostitutiva, e acquisiscono quindi la qualifica di "lordisti", gli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto italiano, ivi compresi i fondi lussemburghesi storici.

I soggetti che, invece, fruiscono di esenzione dall'IRPEG sono stati inclusi nell'ambito di applicazione dell'imposta sostitutiva e sono, quindi, da considerarsi "nettisti".

Inoltre, sono stati equiparati ai titoli di Stato italiano, a tutti gli effetti fiscali, i titoli emessi da enti e organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia. Con tale disposizione è stato in sostanza, ampliato il settore dei titoli da considerare equiparato a quelli indicati nell'articolo 31 del D.P.R. n. 601 del 1973; ciò in quanto, in precedenza, rientravano in detto ambito, per espressa previsione legislativa, solo le obbligazioni emesse dai seguenti enti internazionali: BEI, BIRS, CECA ed EURATOM.

È stato, altresì, stabilito che per quanto concerne gli enti internazionali, il regime di esenzione si applica nel caso in cui i relativi Accordi istitutivi siano stati ratificati in Italia, a prescindere dalla condizione, precedentemente richiesta, che gli enti stessi fruiscano di totale esenzione dalla generalità delle imposte in Italia in virtù degli Accordi istitutivi medesimi o di altri Accordi ad essi pertinenti.

Viene, inoltre, esteso, dal 31° gennaio al 31 marzo dell'anno successivo a quello di presentazione, il termine di validità dell'attestazione di residenza che gli investitori esteri devono presentare ai fini della non applicazione dell'imposta sostitutiva (Modello 116).

Infine, è stata disposta l'inapplicabilità delle norme di cui agli articoli 7 ed 8 del citato decreto legislativo n. 239 del 1996 ai proventi dei titoli depositati dalle banche centrali, aderenti al Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea, presso la Banca d'Italia e presso i soggetti che svolgono l'attività di gestione accentrata di strumenti finanziari di cui alla parte III, titolo II del decreto legislativo n. 57 del 1996.

Con questa norma è stata, in sostanza, prevista una semplificazione degli adempimenti amministrativi stabiliti ai fini della non applicazione dell'imposta sostitutiva relativamente ai proventi dei titoli dello Stato italiano in deposito accentrato presso la Banca d'Italia, utilizzati per operazioni di politica monetaria effettuate da banche centrali estere. Ciò allo scopo di eliminare aggravi operativi che, essendo diretti, nel contesto della procedura istituita dalle predette disposizioni del decreto legislativo n. 239 del 1996 a prevenire evasioni d'imposta, risultano del tutto superflui per le operazioni di politica monetaria condotte nell'ambito del sistema europeo di banche centrali. Infatti, è da escludere che nelle operazioni svolte da banche centrali possano realizzarsi comportamenti volti ad eludere l'applicazione dell'imposta sostitutiva.

Per le medesime ragioni, nelle operazioni anzidette non è necessaria l'acquisizione dell'attestazione di residenza per consentire l'applicazione del regime di esonero dal prelievo alla fonte di cui fruiscono i soggetti non residenti.

Sono di seguito riportate alcune tabelle riepilogative delle principali misure delle ritenute e imposte sostitutive applicabili ai redditi di capitale percepiti dai residenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Depositi, c/c, certificati di deposito e buoni fruttiferi 

 

Proventi 

Aliquota 

Tassazione 

Interessi 

27% 

Ritenuta art. 26, c. 

 

 

2, D.P.R. n. 600/1973 

 

27% 

Ritenuta art. 26, c. 

Interessi di fonte estera 

 

3, D.P.R. n. 600/1973 

 

27% 

Imposta sostitutiva, 

 

 

art. 16-bis, T.U.I.R. 

 

2. Obbligazioni pubbliche ed equiparate emesse in Italia e all'estero 

 

Redditi 

Aliquota 

Tassazione 

Interessi ed altri proventi su titoli 

 

Imposta sostitutiva 

emessi in Italia 

12,5% 

D.Lgs. n. 239/1996 

Interessi ed altri proventi 

 

Ritenuta art. 26, c. 3, 

su titoli emessi all'estero 

12,5% 

D.P.R. n. 600/1973 

 

 

Imposta sostitutiva, art. 

 

 

16-bis, T.U.I.R. 

Interessi ed altri proventi su titoli 

 

 

emessi all'estero prima del 10 

 

Esenzione 

settembre 1992 

 

 

 

3. Obbligazioni e titoli similari emessi da "Grandi Emittenti" con scadenza non inferiore a 18 mesi 

 

Redditi 

Aliquota 

Tassazione 

Interessi ed altri proventi  

12,5% 

Imposta sostitutiva 

 

 

D.Lgs. n. 239 del 1996 

 

4. Obbligazioni e titoli similari emessi da società non quotate diverse dalle banche con scadenza non inferiore a 18 mesi e cambiali finanziarie nel rispetto delle previste condizioni di tasso all'emissione; obbligazioni emesse da non residenti con scadenza non inferiore a 18 mesi 

 

Redditi 

Aliquota 

Tassazione 

Interessi ed altri proventi 

12,5% 

Ritenuta art. 26, c. 

 

 

1, D.P.R. n. 600 del 1973 

Interessi ed altri proventi 

12% 

Ritenuta art. 26, 

 

 

c. 3, D.P.R. n. 600 del 1973 

su titoli emessi da soggetti 

 

Imposta sostitutiva, 

non residenti 

12,5% 

art. 16-bis, T.U.I.R. 

 

5. Obbligazioni e titoli similari emessi da soggetti residenti e non residenti con scadenza inferiore a 18 mesi 

 

Redditi 

Aliquota 

Tassazione 

Interessi ed altri proventi 

27% 

Ritenuta art. 26, c. 

 

 

1, D.P.R. n. 600 del 1973 

Interessi ed altri proventi 

27% 

Ritenuta art. 26, c. 

 

 

3, D.P.R. n. 600/1973 

su titoli emessi da soggetti 

 

Imposta sostitutiva, 

non residenti 

27% 

art. 16-bis, T.U.I.R. 

 

 

4.8 Utili distribuiti dalle società ed enti di cui all'art. 87, comma 1, lett. a) e b), del T.U.I.R., a soggetti residenti.

L'art. 27 del D.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione preesistente alle modifiche introdotte dal decreto legislativo in esame, prevede, al comma 1 che gli utili in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione distribuiti dalle società per azioni e in accomandita per azioni e dalle società cooperative e a responsabilità limitata, comprese quelle di mutua assicurazione, sono soggetti ad una ritenuta del 10 per cento a titolo di acconto dell'IRPEF e dell'IRPEG dovuta dai soci, con obbligo di rivalsa. Per gli utili spettanti a società e associazioni indicate nell'art. 5 del T.U.I.R. l'ammontare della ritenuta è detratto dall'IRPEF o dall'IRPEG dovute dai soci nella proporzione stabilita dallo stesso articolo 5.

Detta ritenuta deve essere operata anche sugli utili distribuiti a partecipanti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione degli enti indicati nell'art. 87, comma 1, lett. b), del T.U.I.R. (art. 33, comma 4 del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42.)

Il comma 3 del citato art. 27 del D.P.R. n. 600 del 1973, stabilisce inoltre una ritenuta del 32,4 per cento e a titolo d'imposta sugli utili spettanti a società ed enti di cui all'art. 87 del T.U.I.R. esenti da imposta.

Relativamente alle azioni di risparmio è prevista una ritenuta a titolo d'imposta nella misura del 12,50 per cento e nel caso di azioni di risparmio nominative i possessori hanno facoltà di optare per la ritenuta d'acconto di cui al comma 1 dell'art. 27 facendone richiesta all'atto della riscossione degli utili (art. 20, commi 1 e 3, L. 7 giugno 1974, n. 216)

Ai sensi dell'art. 29, comma 1, del decreto-legge n. 69 del 1989, convertito dalla legge n. 154 del 1989, così come modificato dall'art. 5, comma 2, della legge n. 725 del 1994, sugli utili distribuiti dalle banche popolari cooperative, che costituiscono reddito di capitale si applica una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 12,50 per cento; i soci all'atto della riscossione degli utili hanno facoltà di optare per il regime della ritenuta d'acconto per cui al primo comma dell'art. 27 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Ai sensi dell'art. 4 del decreto-legge n. 357 del 1994, convertito dalla legge n. 489 del 1994 per le società anche non residenti ammesse alle quotazioni di borsa in Italia o degli altri mercati regolamentati italiani, la ritenuta sugli utili distribuiti, prevista a titolo d'acconto dell'IRPEF dall'art. 27 del D.P.R. n. 600 del 1973 è applicata se, all'atto della riscossione, ne è fatta richiesta dalle persone fisiche, a titolo di imposta nella misura del per cento.

L'art. 27 del D.P.R. n. 600 del 1973, ha subito notevoli modifiche.

La novità più rilevante è rappresentata dalla soppressione della ritenuta d'acconto; collateralmente è stato introdotto un sistema di ritenuta a titolo d'imposta che deve essere effettuata dalle società ed enti indicati nell'art. 87, comma 1, lett. a) e b), del T.U.I.R. sugli utili corrisposti ad alcune categorie di soggetti e più precisamente:

1) fondi pensione di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, per i quali la ritenuta, nella misura del 12,50 per cento, è l'unico regime applicabile;

2) fondi di investimento immobiliare di cui alla legge 25 gennaio 1994, n. 86, per i quali la ritenuta nella misura del 12,50 per cento, è l'unico regime applicabile;

3) soggetti esenti dall'imposta sulle persone giuridiche per i quali il sistema della ritenuta, nella misura del 27 per cento, è l'unico regime applicabile;

4) persone fisiche residenti nei confronti delle quali la ritenuta è effettuata nella misura del 12,50 per cento, in relazione a partecipazioni non qualificate ai sensi dell'art. 81, lettera c-bis) del T.U.I.R., a condizione che tali partecipazioni non siano relative all'impresa ai sensi dell'art. 77 del citato testo unico.

Al fine di poter usufruire di tale regime, gli interessati devono attestare il possesso dei citati requisiti, impegnandosi a comunicare ogni eventuale variazione.

Relativamente alla individuazione della partecipazione qualificata occorre far riferimento al momento della riscossione degli utili, tenendo conto dei criteri indicati nell'articolo 81, lettera c) del T.U.I.R.

Ovviamente l'applicazione della ritenuta a titolo di imposta, non consentendo l'inclusione del dividendo nella base imponibile, non dà diritto al credito d'imposta sui dividendi di cui all'art. 14 del T.U.I.R. Nell'ipotesi in cui la persona fisica abbia conferito ad un soggetto abilitato la gestione di somme o beni non relativi all'impresa - ai sensi dell'art. 7 del decreto legislativo in commento - optando, quindi, per l'applicazione dell'imposta sostitutiva, la ritenuta non deve essere effettuata, in quanto, come detto, i dividendi concorrono alla determinazione del risultato netto di gestione soggetto all'imposta sostitutiva.

La ritenuta inoltre non va operata qualora gli utili siano percepiti dagli organismi di investimento collettivo disciplinati dall'articolo 8, commi da 1 a 4, del decreto legislativo in commento.

Le persone fisiche che possiedono partecipazioni rappresentate da azioni nominative o da quote ovvero siano socie di banche popolari cooperative possono richiedere, al momento della riscossione degli utili, alla società emittente di non effettuare la ritenuta.

In tale ipotesi, come nel caso in cui non venga prodotta l'attestazione che si tratta di partecipazioni non qualificate di cui all'art. 81, comma 1, lettera c-bis) e che le partecipazioni stesse non sono relative all'impresa, gli utili concorrono alla formazione del reddito imponibile con conseguente attribuzione del credito di imposta ai sensi all'art. 14 del T.U.I.R.

Qualora si tratti di azioni di risparmio al portatore non è prevista la possibilità di optare per la non effettuazione della ritenuta con la conseguenza che per tale categoria di azioni possedute da soggetti non residenti, persone fisiche residenti non esercenti attività d'impresa commerciale, fondi immobiliari, fondi pensione e soggetti esenti da IRPEG è previsto soltanto il regime della ritenuta a titolo d'imposta. In ogni altro caso, ivi comprese le gestioni disciplinate dall'art. 7 del decreto legislativo n. 461 del 1997, la ritenuta non deve essere applicata.

Nel caso di distribuzione di utili in natura, anche in occasione della liquidazione, i soci o i partecipanti devono versare alla società o all'ente una somma corrispondente alla eventuale ritenuta da operare; tale somma è determinata con riferimento al valore normale dei beni attribuiti risultante dalla valutazione effettuata dalla società emittente, che può quindi essere diverso dal valore contabile del bene. Il versamento della somma è condizione necessaria per ottenere l'attribuzione dei beni.

 

 

4.9 Utili distribuiti dalle società ed enti di cui all'art. 87, comma 1, lett. a) e b), del T.U.I.R., a soggetti non residenti.

L'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dal decreto legislativo in esame, prevede l'effettuazione di una ritenuta a titolo d'imposta sugli utili spettanti a soggetti non residenti nel territorio dello Stato nella misura del 32,4 per cento.

Inoltre i soggetti residenti all'estero hanno diritto al rimborso, fino a concorrenza dei due terzi della ritenuta, dell'imposta che dimostrino aver pagate all'estero in via definitiva sugli stessi utili mediante certificazione del competente ufficio fiscale dello Stato estero.

L'art. 27, comma 3, nella attuale formulazione, stabilisce che gli utili distribuiti a soggetti non residenti nel territorio dello Stato subiscono una ritenuta a titolo d'imposta nella misura del 27 per cento; ad eccezione del caso in cui gli utili stessi sono pagati in relazione a partecipazioni possedute da stabili organizzazioni nel territorio dello Stato, relativamente ai quali non deve essere effettuata alcuna ritenuta. Se si tratta di azioni di risparmio la ritenuta è ridotta al 12,50 per cento.

Relativamente alla ritenuta subita in Italia, e ad eccezione del caso di azioni di risparmio, i soggetti non residenti hanno diritto al rimborso, fino a concorrenza dei quattro noni della ritenuta stessa, dell'imposta pagata all'estero in via definitiva sugli stessi utili mediante certificazione del competente Ufficio fiscale estero.

A tale proposito si precisa che tale beneficio non è cumulabile con quello eventualmente previsto nelle convenzioni per evitare le doppie imposizioni.

Si rammenta che in base alle vigenti Convenzioni fiscali con la Francia e con il Regno Unito è previsto a favore dei soci francesi e britannici il pagamento di una somma pari al credito d'imposta sui dividendi o a metà di esso qualora tale credito spetti al socio residente.

In conformità dell'art. 12, comma 7, del decreto legislativo in commento tali disposizioni sono comunque applicabili anche se il diritto al credito di imposta sui dividendi è riconosciuto ai residenti solo nel caso di opzione per la non applicazione della ritenuta.

 

 

4.10 Utili distribuiti dalle società ed enti non residenti a soggetti residenti.

Sulla base di quanto previsto dall'art. 8, comma 2, del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla legge 4 agosto 1990, n. 227 per i titoli esteri volontariamente depositati presso le banche abilitate, nonché presso società fiduciarie, finanziarie o altri intermediari, con l'incarico di amministrarli o incassare in Italia i relativi redditi; i menzionati soggetti applicano le ritenute previste dai commi 1 e 3 dell'art. 27 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Il comma 5 del ripetuto art. 27 stabilisce che non si applica alcuna ritenuta sugli utili, distribuiti da società residenti nell'Unione Europea a società residenti, soggetti al regime di cui all'art. 96 bis del T.U.I.R. attuativo della direttiva comunitaria 90/435/CEE.

Inoltre, in conformità all'art. 4 del decreto-legge n. 357 del 1994, convertito dalla legge n. 489 del 1994, applicabile anche alle società non residenti quotate nella borsa italiana o in mercati regolamentati italiani, è prevista la ritenuta a titolo d'imposta nella misura del 12,50 per cento nei confronti delle persone fisiche che ne facciano richiesta all'atto della riscossione.

Sulla base delle modifiche introdotte dal decreto legislativo in esame, i soggetti di cui al primo comma dell'art. 23 del D.P.R. n. 600 del 1973, che intervengono nella riscossione degli utili corrisposti da società ed enti indicati nell'art. 87, comma 1, lettera d), del T.U.I.R. devono effettuare una ritenuta nei confronti dei seguenti soggetti:

1) fondi pensioni di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 nella misura del 12,50 per cento a titolo di imposta;

2) fondi di investimento immobiliare di cui alla legge 25 gennaio 1994, n. 86, nella misura del 12,50 per cento a titolo di imposta;

3) soggetti esenti dall'imposta sulle persone giuridiche nella misura del 27 per cento a titolo d'imposta;

4) persone fisiche inrelazione a partecipazioni non relative all'impresa nella misura del 12,50 per cento a titolo di acconto. In tal caso, la ritenuta è effettuata anche sulle partecipazioni qualificate.

La ritenuta non si applica qualora le partecipazioni siano affidate in gestione ai sensi dell'art. 7 del decreto legislativo in commento, e si sia optato per il regime di imposizione sostitutiva previsto nel citato articolo ad eccezione del caso in cui si tratti di utili derivanti da partecipazioni in società estere non negoziate in mercati regolamentati, italiani o esteri, nel qual caso quindi dovrà essere operata la ritenuta.

Anche in questa ipotesi la ritenuta non va effettuata qualora gli utili siano percepiti dagli organismi di investimento collettivo di cui all'articolo 8, commi da 1 a 4, del decreto legislativo in esame.

 

 

4.11 Azioni in deposito accentrato presso la "Monte Titoli S.p.a.".

Con il comma 5 dell'art. 12 viene introdotto nel D.P.R. n. 600 del 1973 l'articolo 27-ter, che stabilisce una disciplina speciale per gli utili relativi ad azioni immesse nel sistema deposito accentrato gestito dalla Monte Titoli Spa.

In particolare, viene previsto che gli utili derivanti dai titoli (azioni e titoli similari) immessi nel deposito accentrato e gestito dalla Monte Titoli siano assoggettati ad un'imposta sostitutiva con le stesse aliquote ed alle stesse condizioni previste dall'art. 27 del citato D.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dal decreto legislativo in esame.

L'imposta sostitutiva, se dovuta, è applicata dai soggetti presso i quali i titoli sono depositati, aderenti al sistema di deposito accentrato presso la Monte Titoli, ovvero dai soggetti non residenti depositari dei titoli che aderiscono direttamente, ovvero indirettamente per il tramite di depositari centrali esteri, al sistema Monte Titoli. Qualora i titoli siano depositati presso i soggetti non residenti sopra indicati, lo svolgimento degli adempimenti fiscali connessi con l'applicazione dell'imposta sostitutiva deve essere affidato ad un rappresentante fiscale in Italia, nominato dai predetti soggetti ai sensi dell'art. 27-ter, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973, che assume tutte le conseguenti responsabilità previste per i soggetti residenti.

Tale norma consente di dare piena attuazione alle disposizioni contenute nel decreto legislativo 23 luglio 1996, n. 415, che ha recepito la direttiva 93/22/CEE del 10 maggio 1993, relativa ai servizi di investimento nel settore di valori mobiliari; sulla base delle suddette disposizioni, infatti, anche le banche e le imprese di investimento non residenti sono autorizzate al deposito e al subdeposito presso la Monte Titoli Spa.

La nuova disciplina è ispirata agli stessi principi contenuti nella normativa introdotta dal decreto legislativo n. 239 del 1996 per gli interessi dei titoli obbligazionari, pubblici e privati. Viene, disposto che i soggetti presso i quali i titoli sono depositati accreditano, con separata evidenza, l'importo dell'imposta sostitutiva applicata sugli utili al conto unico istituito ai sensi dell'art. 3, comma 1 del decreto legislativo n. 239 del 1996, con valuta pari a quella dell'effettivo pagamento.

Lo stesso importo è addebitato ai percipienti con valuta pari a quella del riconoscimento degli utili.

Per i dividendi corrisposti a soggetti residenti con applicazione del prelievo del 12,50 per cento a titolo d'imposta sostitutiva, non deve essere effettuata alcuna comunicazione nominativa all'Amministrazione finanziaria. Viceversa, qualora detto prelievo non debba essere effettuato (eccezion fatta per i dividendi pagati agli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari e alle gestioni soggetti ad imposta sostitutiva sul risultato della gestione) ovvero in tutti i casi nei quali i dividendi siano stati corrisposti a soggetti non residenti, detta comunicazione nominativa deve essere effettuata a cura dei soggetti presso i quali i titoli sono depositati che aderiscono al sistema di gestione accentrata Monte Titoli direttamente, ovvero, nel caso di soggetti non residenti, anche indirettamente, attraverso depositari centrali esteri. In tutti i casi in cui il depositario dei titoli sia un soggetto non residente e non rivesta la natura di stabile organizzazione in Italia, le predette segnalazioni nominative devono essere eseguite, secondo quanto previsto nel citato articolo 27-ter, comma 8, lettera b), dal rappresentante fiscale in Italia, nominato ai sensi del medesimo comma 8.

Una delle principali novità introdotte dall'articolo in esame consiste nell'introduzione di modalità semplificate per l'applicazione, da parte degli intermediari, delle aliquote convenzionali sui dividendi percepiti da soggetti non residenti, a condizione che venga acquisita una dichiarazione del beneficiario dei dividendi sulla sussistenza di tutte le condizioni alle quali è subordinata l'applicazione del regime convenzionale, nonché un'attestazione di residenza da parte della competente Autorità fiscale dello Stato di appartenenza del soggetto beneficiario degli utili. Tale attestazione avrà efficacia fino al 31 marzo dell'anno successivo a quello di presentazione.

È inoltre, specificato che nell'ipotesi di applicazione del regime convenzionale non spetta il rimborso dei quattro noni della ritenuta sui dividendi stabilito dal comma 3 dell'art. 27.

Viene, inoltre, precisato che l'imposta sostitutiva non si applica nei confronti delle società non residenti aventi le caratteristiche specificate dall'art. 96-bis del T.U.I.R. e per le quali è previsto il rimborso o l'esonero dalla ritenuta sugli utili distribuiti, ai sensi dell'art. 27-bis del D.P.R. n. 600 del 1973;

Anche in questo caso è stabilito che gli intermediari ai fini della non applicazione dell'imposta sostitutiva, devono acquisire sia la documentazione attestante la sussistenza delle condizioni richieste per avere diritto al rimborso della ritenuta o dell'esonero (quale ad esempio il possesso ininterrotto della partecipazione al capitale della società che distribuisce gli utili), sia la certificazione delle competenti Autorità fiscali dello Stato estero sulla sussistenza dei requisiti di cui al comma 2 dell'art. 96-bis del T.U.I.R., e cioè quelli relativi alla forma, alla residenza e al regime fiscale della società non residenti.

Infine, l'imposta sostitutiva non si applica nei confronti degli enti internazionali che fruiscono soggettivamente di totale esenzione dalla generalità delle imposte in Italia, in base ad apposite leggi interne o ad Accordi internazionali recepiti dal nostro ordinamento.

A livello procedurale, sono stati attribuiti, a carico degli intermediari, depositari delle azioni, specifici adempimenti consistenti nella conservazione della documentazione acquisita e nella trasmissione, su richiesta dell'Amministrazione di ogni elemento utile sui dividendi e sui relativi percettori.

In tale contesto, si evidenzia che per quanto concerne gli intermediari esteri è stata prevista la nomina di un rappresentante fiscale, che dovrà adempiere per conto dei suddetti intermediari non residenti a tutti gli obblighi sostanziali e formali previsti ai fini del regime in esame, con la relativa previsione di responsabilità e sanzioni.

La suesposta previsione risponde all'esigenza di dare all'Amministrazione le stesse garanzie del sistema attuale, che pone come cardine la figura del sostituto d'imposta.

A questo proposito, dato che la posizione attribuita agli intermediari è quella del responsabile del pagamento dell'imposta, già presente nel decreto legislativo n. 239 del 1996, si è reso necessario stabilire che, per quanto riguarda gli intermediari non residenti, il soggetto responsabile degli adempimenti di natura fiscale non può essere rappresentato dell'intermediario estero che, in quanto tale, non è suscettibile di controlli e di sanzioni.

È stata, infine, prevista la possibilità di definire, con apposito decreto del Ministro delle finanze, specifiche modalità attuative, vertenti anche sul rimborso del credito d'imposta qualora ne sia riconosciuto il diritto dalle Convenzioni per evitare la doppia imposizione sul reddito.

 

 

4.12 Obbligazioni e titoli similari senza cedola.

L'articolo 13 del provvedimento in esame, perseguendo le medesime finalità previste dall'articolo 82, comma 9, del T.U.I.R. per la tassazione al realizzo delle plusvalenze, introduce anche per i redditi di capitale derivanti dai titoli obbligazionari senza cedola ("zero coupon") uno specifico sistema di equalizzazione qualora tali redditi non siano conseguiti nell'ambito del regime del risparmio gestito, individuale o collettivo (artt. 7 e 8), ma siano percepiti in depositi amministrati ovvero presso intermediari nazionali ovvero al di fuori di tale circuito, nel qual caso la tassazione viene effettuata al momento del realizzo (artt. 5 e 6). Le disposizioni in esso contenute hanno la finalità di equiparare sotto il profilo finanziario il prelievo dell'imposta sui redditi in questione e intende evitare fenomeni di arbitraggio fiscale nella scelta dei diversi regimi di tassazione previsti, così come previsto nei criteri di delega di cui alle lettere c) ed h) dell'articolo 3, comma 160, della legge n. 662 del 1996.

Il sistema dell'equalizzazione, infatti, tende a rendere il rendimento netto dei titoli senza cedola uguale a quello di analoghi titoli senza cedola uguale a quello di analoghi titoli con cedola, nell'ipotesi in cui gli interessi siano immediatamente reinvestiti dal risparmiatore allo stesso tasso di rendimento del titolo all'emissione. In pratica, l'ammontare della ritenuta sarà pari alla differenza fra gli interessi calcolati in regime di capitalizzazione composta in base al tasso lordo all'emissione e quelli calcolati, con lo stesso regime di capitalizzazione, in base al tasso netto all'emissione. La relazione illustrativa precisa al riguardo che con questo sistema di tassazione "gli interessi netti di uno zero coupon emesso al tasso lordo del 10 per cento risulteranno sempre parametrati al tasso dell'8,75 per cento (cioè 10 per cento lordo diminuito di 1,25 per cento e cioè della misura del 12,50 per cento sugli interessi lordi".

Il particolare regime appena illustrato per i redditi di capitale prodotti da titoli obbligazionari senza cedola è esteso anche agli scarti di emissione dei titoli con cedola, ove gli scarti medesimi costituiscano una parte di rilievo nel complessivo rendimento del titolo.

Ai titoli senza cedola sono assimilati a questi fini i titoli a cedola unica (cosiddetto one coupon), come già previsto agli effetti dell'applicazione del decreto legislativo n. 239 del 1996 (cfr. circolare n. 306/E del 23 dicembre 1996.) Con appositi decreti ministeriali possono essere individuate altre tipologie di obbligazioni e titoli similari con cedola che dovessero essere ritenuti quali "titoli che consentono un significativo differimento dei proventi".

Per espressa previsione normativa, per fini di semplificazione, è stabilito che la suesposta disciplina non trova applicazione per i redditi di capitale derivanti da titoli, con cedola o senza cedola, aventi durata inferiore ai diciotto mesi. In questo caso, infatti, la differenza in termini finanziari tra tassazione sul "maturato" e quella sul "realizzato" risulta assai contenuta.

La formula del coefficiente di equalizzazione è stabilita con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, attualmente in corso di emanazione.

 

 

Capitolo V

I regimi transitori

5.1 Le ritenute e le imposte sostitutive sui redditi di capitale.

Il comma 1 dell'art. 14 del provvedimento di riforma stabilisce, in via generale, che le disposizioni contenute negli articoli 1, 2 e 12 si applicano ai redditi di capitale divenuti esigibili a partire dalla data del 1° luglio 1998, data di entrata in vigore del provvedimento stesso. Pertanto tali redditi devono continuare ad essere assoggettati a tassazione applicando le precedenti disposizioni qualora il diritto a percepirli sia sorto prima della predetta data.

Tuttavia il comma 2 prevede che le disposizioni dei commi 1 e 10 dell'art. 12 del decreto legislativo n. 461 del 1997 si applicano agli interessi e altri proventi derivanti da obbligazioni e titoli similari, con esclusione delle cambiali finanziarie, emessi a partire dalla data del 30 giugno 1997 da società od enti il cui capitale è rappresentato da azioni non negoziate in mercati regolamentati italiani ovvero da quote, sempreché detti proventi siano divenuti esigibili successivamente alla data del 1° luglio 1998.

Pertanto, anche gli interessi e altri proventi delle obbligazioni e titoli similari, emessi dai suddetti soggetti a partire dalla data del 30 giugno 1997 - sempreché siano divenuti esigibili a partire dal 1° luglio 1998 - sono soggetti alla ritenuta alla fonte, con l'aliquota del 27 o del 12,50 per cento, secondo che il rendimento effettivo dei predetti titoli, al momento dell'emissione, sia o meno superiore al tasso ufficiale di sconto, aumentato di un terzo, nel caso dei titoli non negoziati in mercati regolamentati e non offerti al pubblico, ovvero di due terzi, per i titoli negoziati in mercati regolamentati o offerti al pubblico. La scelta di rendere applicabili le nuove disposizioni anche agli interessi e proventi dei titoli emessi successivamente al 1° luglio 1997, ma entro il 30 giugno 1998, trova giustificazione nell'esigenza di evitare che, essendo stato reso pubblico il contenuto di tali disposizioni già alla data del 30 giugno 1997, i contribuenti potessero essere indotti ad anticipare l'emissione di detti titoli per beneficiare dell'applicazione del più favorevole regime recato dalle disposizioni previgenti.

Di fatto, quindi, in caso di emissione nel secondo semestre del 1997 di un titolo dal rendimento, calcolato al momento dell'emissione, non superiore al Tus aumentato di tre o sette punti, i proventi esigibili fino al 30 giugno 1998 sono assoggettati ad una ritenuta del 12,50 per cento, mentre quelli esigibili dal 1° luglio 1998 continuano ad essere assoggettati alla medesima ritenuta solo se il rendimento effettivo dei titoli stessi, calcolato al momento dell'emissione, non è superiore al Tus aumentato, di un terzo o di due terzi; in caso contrario i proventi stessi sono assoggettati ad una ritenuta del 27 per cento.

Per quanto riguarda, invece, i proventi derivanti dai titoli obbligazionari emessi prima del 30 giugno 1997 continuano ad applicarsi le regole vigenti prima di tale data.

Per le cambiali finanziarie valgono le regole generali che fanno riferimento agli interessi esigibili dal 1° luglio 1998, indipendentemente dalla data di emissione.

Per quanto riguarda i titoli "zero coupon" e quelli ad essi assimilati ai sensi dell'art. 13 del provvedimento di riforma il comma 1 dell'art. 14 stabilisce che il coefficiente di rettifica di cui all'art. 13 si applica ai proventi dei titoli la cui prima emissione avviene dal 1° luglio 1998; per le prime emissioni avvenute anteriormente a tale data, il coefficiente di rettifica si applica sui proventi maturati a partire dal 1° luglio 1998 se la vita residua del titolo alla predetta data sia superiore a due anni.

Il comma 3 dell'art. 14 stabilisce infine che per i proventi delle obbligazioni e titoli similari emessi fino al 31 dicembre 1988 da soggetti residenti nonché per i certificati di deposito e i buoni fruttiferi emessi entro il 30 giugno 1998 continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti a tale ultima data e che per i proventi delle obbligazioni e titoli similari emessi anteriormente alla data del 1° luglio 1998 continuano ad applicarsi le esenzioni previste anteriormente alla predetta data.

Una speciale regola di decorrenza è stata dettata per gli utili derivanti dalla partecipazione a soggetti IRPEG (comprese le somme corrisposte sulla base di talune convenzioni per evitare le doppie imposizioni sul reddito), in quanto il secondo periodo del comma 1 dell'art. 14 del decreto legislativo n. 461 del 1997 prevede che per tali utili le disposizioni dettate dagli artt. 1, 2 e 12 dello stesso decreto si applicano se la delibera sulla base della quale ne è effettuato il pagamento è stata assunta a partire dal 1° luglio 1998. Rimane inteso, pertanto, che sugli utili deliberati anteriormente a tale data le ritenute devono continuare ad essere operate e versate secondo le previgenti disposizioni, anche se gli utili sono pagati a partire dalla medesima data.

Relativamente alle operazioni di pronti contro termine e riporti su titoli e valute di cui all'articolo 41, comma 1, lettera g-bis), nonché alle operazioni di mutuo di titoli garantito di cui alla successiva lettera g-ter) dello stesso articolo, si precisa che sui proventi relativi alle operazioni medesime divenuti esigibili a decorrere dal 1° luglio 1998, troveranno applicazione le disposizioni contenute nell'articolo 26, comma 3-bis, del D.P.R. n. 600 del 1973, in precedenza illustrate.

Nell'ipotesi in cui i menzionati proventi nonché quelli indicati nell'articolo 26, comma 3, siano conseguiti nell'esercizio d'impresa commerciale la ritenuta di cui trattasi non troverà applicazione.

Per quanto riguarda i cosiddetti "titoli atipici", emessi anteriormente al 1° luglio 1998, i cui proventi sono esigibili a decorrere da tale data, l'aliquota della ritenuta è stabilita nella misura del 27 per cento. La ritenuta è operata a titolo d'acconto nei confronti delle imprese commerciali e a titolo d'imposta in ogni altro caso. Per i "titoli atipici" nonché per i titoli o certificati di partecipazione in organismi di investimento collettivo immobiliari emessi da soggetti non residenti, la ritenuta non deve essere applicata qualora i titoli siano relativi a società commerciali e stabili organizzazioni di soggetti di cui all'articolo 87, comma 1, lett. d) del T.U.I.R., mentre è applicata a titolo d'acconto per i proventi percepiti da imprenditori commerciali individuali ed è a titolo d'imposta in ogni altro caso.

Per quanto riguarda le cambiali disciplinate dal terzo comma dell'articolo 1 del decreto legge 2 ottobre 1981, n. 546, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 dicembre 1981, n. 692 (cosiddette accettazioni bancarie) emesse anteriormente al 1° luglio 1998, i cui proventi sono esigibili a decorrere da tale data, l'aliquota della ritenuta è stabilita nella misura del 27 per cento ed è operata a titolo d'acconto qualora i proventi stessi siano conseguiti nell'esercizio d'imprese commerciali. Il comma 13 dell'art. 12 prevede che con uno o più decreti del Ministro delle finanze possono essere stabilite nuove modalità per l'effettuazione delle comunicazioni allo schedario generale dei titoli azionari, previste dagli articoli 7, 8, 9, e 11, terzo comma, della legge n. 1745 del 1962, istitutiva della ritenuta d'acconto e d'imposta sugli utili distribuiti dalle società per azioni, con possibilità di introdurre l'obbligo di effettuare le comunicazioni stesse nel modello di dichiarazione del sostituto d'imposta.

Con il decreto ministeriale 4 febbraio 1998, pubblicato sulla G.U. n. 35 del 12 febbraio 1998, il Ministro delle finanze ha attuato il succitato disposto normativo stabilendo che i soggetti tenuti all'obbligo delle comunicazioni di cui alla legge 29 dicembre 1962, n. 1745, il cui presupposto sorge a decorrere dal 1° gennaio 1998, effettuano le stesse nel modello di dichiarazione del sostituto di imposta con le modalità ed entro il termine stabilito dall'art. 9 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Pertanto cessa l'obbligo di invio dei modelli RAD allo schedario generale dei titoli azionari entro il 15 febbraio di ciascun anno.

Tenuto conto del fatto che l'art. 7-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 stabilisce che il sostituto d'imposta può adempiere all'obbligo di certificazione degli utili corrisposti rilasciando al percettore degli utili stessi, in luogo del certificato ivi previsto, una copia della comunicazione allo schedario generale dei titoli azionari, l'art. 2 del citato decreto ministeriale 4 febbraio 1998 ha approvato uno schema di certificazione per l'attestazione dell'ammontare degli utili corrisposti dal 1° gennaio 1998, esclusi quelli assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta o a imposta sostitutiva, delle eventuali ritenute operate ai sensi dell'art. 27 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell'eventuale credito d'imposta di cui all'art. 14 del T.U.I.R. Detto obbligo, come precisato nella circolare n. 123/E del 12 maggio 1998 del Ministero delle finanze, sussiste invece per gli utili assoggettati a ritenuta a titolo d'imposta o ad imposta sostitutiva corrisposti a soggetti non residenti.

 

 

5.2 Le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni.

5.2.1 Generalità

L'art. 14, comma 4, del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, stabilisce che le nuove disposizioni concernenti la tassazione dei redditi diversi di cui agli artt. 3, 4, 5 e 6 si applicano alle plusvalenze, alle minusvalenze e agli altri redditi diversi "realizzati" a partire dal 1° luglio 1998, data di entrata in vigore del medesimo decreto.

Al riguardo è utile premettere, per individuare il regime fiscale applicabile alle plusvalenze, che le stesse si intendono realizzate nel momento in cui si perfeziona la cessione a titolo oneroso delle partecipazioni, titoli e diritti piuttosto che nell'eventuale diverso momento in cui viene liquidato il corrispettivo della cessione. La percezione del corrispettivo, infatti, può verificarsi, in tutto o in parte, sia prima che dopo il cennato trasferimento, come accade nei casi di pagamento in acconto ovvero delle dilazioni del pagamento.

Pertanto - come chiarito nella citata circolare n. 14 del 1991 - qualora nei periodi d'imposta precedenti a quello in cui è stata effettuata la cessione il contribuente abbia percepito somme o valori a titolo di anticipazione, di essi si dovrà tenere conto ai fini della determinazione del corrispettivo e, pertanto, gli stessi non sono tassabili nell'anno in cui sono percepiti ma in quello in cui la cessione si è perfezionata; qualora il contribuente non abbia percepito nel periodo d'imposta in cui è avvenuto il suddetto trasferimento tutto il corrispettivo pattuito, ai fini del calcolo della plusvalenza (o della minusvalenza) si dovrà tener conto del costo di acquisto delle partecipazioni, titoli e diritti ceduti proporzionalmente corrispondente alle somme percepite nel periodo d'imposta.

Alla stregua di quanto precede si deduce che se una cessione a titolo oneroso si è perfezionata antecedentemente al 1° luglio 1998, la plusvalenza (o minusvalenza) deve essere assoggettata a imposizione sulla base delle disposizioni vigenti prima delle modifiche introdotte dal provvedimento in oggetto, anche se il corrispettivo sia stato percepito dopo l'entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia. Ugualmente non rientrano nell'ambito della nuova disciplina le plusvalenze e le minusvalenze conseguite in sede di rimborso di titoli scaduti entro il 30 giugno 1998 anche se il rimborso venga eseguito successivamente a tale data.

Ciò premesso, poiché la nuova disciplina ha in parte modificato sia i presupposti di carattere oggettivo che le aliquote applicabili alle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso delle partecipazioni (sia qualificate che non qualificate) e considerato che per effetto di tali modificazioni potrebbe risultare in qualche caso più oneroso il trattamento tributario delle plusvalenze maturate sulle partecipazioni già possedute alla data di entrata in vigore di tale nuova disciplina, il legislatore ha introdotto, attraverso le disposizioni contenute nei commi da 5 a 9 dell'art. 14 in esame, un regime transitorio opzionale volto ad evitare, da un lato, il verificarsi degli effetti penalizzanti sopra citati e ad assicurare, dall'altro, che alle plusvalenze maturate in epoca precedente alla data di entrata in vigore della nuova disciplina venga applicato un trattamento tributario analogo a quello vigente fino al 30 giugno 1998, regime che si sarebbe reso applicabile se i contribuenti avessero ceduto tutte le loro partecipazioni entro quest'ultima data.

Fermo restando la regola generale del costo o valore di acquisto dell'articolo 82, il predetto regime transitorio si articola su tre diversi criteri che possono riassumersi nel modo seguente:

a) quello dell'adeguamento del costo o valore di acquisto delle partecipazioni sulla base della variazione dell'indice mensile dei prezzi al consumo rilevato dall'Istat (comma 5);

b) quello del valore che le partecipazioni hanno alla data del 1° luglio 1998 (comma 6);

c) quello del valore attribuibile alle partecipazioni che il contribuente possiede fin dal 28 gennaio 1991 (comma 8).

In relazione a ciascuno dei suddetti criteri si osserva quanto segue.

5.2.2 Adeguamento del costo delle partecipazioni sulla base della variazioni dell'indice dei prezzi al consumo

Il comma 5 dell'art. 14 in esame stabilisce che per la determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui al nuovo testo dell'art. 81, comma 1, lettera c), del T.U.I.R. - si tratta delle partecipazioni qualificate che rappresentano una percentuale di diritti di voto esercitabile nell'assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento, a seconda che le partecipazioni siano o non siano negoziate nei mercati regolamentati, le quali sono soggette all'aliquota del 27 per cento - in deroga a quanto stabilito dal comma 5 del nuovo art. 82 dello stesso testo unico, il costo o valore d'acquisto delle partecipazioni possedute alla data del 1° luglio 1998 (di entrata in vigore della nuova disciplina) può essere adeguato, ai sensi dell'art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 27 del 1991, sulla base della variazione dell'indice dei prezzi al consumo rilevata dall'Istat nel periodo che intercorre tra la data di acquisto delle partecipazioni, titoli e diritti ed il 30 giugno 1998.

Pertanto, qualora il contribuente ceda, dopo il 1° luglio 1998, sia le partecipazioni possedute a tale data, sia quelle acquistate successivamente, il suddetto criterio si applica solo con riferimento a quelle possedute alla predetta data, mentre per quelle acquistate in data successiva si applicano gli ordinari criteri di tassazione stabiliti dal nuovo art. 82 del T.U.I.R.

Avuto riguardo alla formulazione della norma in rassegna, l'adeguamento del costo o valore d'acquisto delle partecipazioni possedute alla data del 1° luglio 1998 - che, ai sensi dell'art. 2, comma 5, del citato decreto-legge n. 27 del 1991, deve essere effettuato sulla base di un coefficiente pari al tasso di variazione della media dei valori dell'indice mensile del prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati rilevati negli anni antecedenti a quello in cui si è verificata la cessione rispetto alla variazione rilevata nell'anno in cui è avvenuto l'acquisto - può essere effettuato soltanto agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate di cui alla lettera c) del comma 1 del nuovo art. 81 del T.U.I.R. (quelle, cioè, che sono soggette all'imposta sostitutiva con l'aliquota del 27 per cento).

5.2.3 Valore delle partecipazioni al 1° luglio 1998

In forza del successivo comma 6 dell'art. 14 in esame, agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui alle lett. c) e c-bis) del comma 1 dell'art. 81 del T.U.I.R., nel testo risultante dopo le modifiche apportate con l'art. 3 del provvedimento in oggetto, per le partecipazioni possedute alla data del 1° luglio 1998 (data di entrata in vigore della nuova disciplina fiscale in materia), in luogo delle disposizioni stabilite dal nuovo art. 82 del T.U.I.R., il contribuente può adottare uno dei seguenti criteri:

1) se si tratta di titoli, quote o diritti, negoziati nei mercati regolamentati italiani, rientranti nella disposizione di cui alla lettera c-bis) del comma 1 dell'art. 81 del T.U.I.R., nel testo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore del provvedimento in oggetto (trattasi delle partecipazioni non qualificate), in luogo del costo o valore di acquisto può essere assunto il valore risultante dalla media aritmetica dei prezzi rilevati presso i medesimi mercati nel mese di giugno 1998.

Al riguardo è utile ricordare che per le sole plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate, negoziate nei mercati regolamentati italiani, è stata sospesa, fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti riguardanti il riordino dei redditi di capitale e diversi, l'applicazione dell'imposta sostitutiva (cfr. l'art. 7 del D.L. 9 settembre 1992, n. 372, convertito dalla legge 5 novembre 1992, n. 429, e l'art. 1, comma 1, del D.L. 23 maggio 1994, n. 308, convertito dalla legge 22 luglio 1994, n. 458.)

Al fine di evitare che, per effetto del venir meno della disciplina esonerativa sopra citata a partire dal 1° luglio 1998, si venisse a determinare una imposizione precedentemente non prevista e, quindi, una sorta di efficacia retroattiva della nuova disciplina impositiva, con la disposizione in commento si è provveduto a mantenere gli effetti del regime agevolativo con riferimento alle plusvalenze maturate fino alla data in cui il predetto trattamento ha trovato applicazione;

2) se si tratta di titoli, quote o diritti, negoziati in mercati regolamentati, indicati nella lettera c) del comma 1 dell'art. 81 del T.U.I.R., nel testo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore del provvedimento in oggetto, nonché di titoli, quote o diritti negoziati esclusivamente nei mercati regolamentati esteri, rientranti nella previsione di cui alla lettera c-bis) del comma 1 dell'art. 81 del medesimo testo unico, in luogo del costo o valore d'acquisto può essere assunto il valore risultante dalla media aritmetica dei prezzi rilevati presso i medesimi mercati regolamentati nel mese di giugno 1998.

Per espressa previsione della norma in esame, detto regime si applica a condizione che le plusvalenze comprese nel predetto valore siano assoggettate ad imposta sostitutiva con i criteri stabiliti nel citato decreto-legge n. 27 del 1991. Ciò comporta che le plusvalenze maturate fino al 30 giugno 1998, come sopra determinate, sono soggette all'imposta sostitutiva del 25 per cento (cioè, secondo il regime analitico previsto dall'art. 2 della citata legge n. 102 del 1991) se afferenti partecipazioni qualificate; nel caso in cui si tratti di partecipazioni non qualificate è applicabile l'imposta sostitutiva del 2,1 per cento sull'intero valore come sopra determinato (cioè, secondo il regime forfetario di cui all'art. 3 della predetta legge n. 102 del 1991), salvo che il contribuente non scelga di avvalersi del regime analitico. Al riguardo, si sottolinea che nei casi in cui il contribuente adotti il regime analitico il costo di acquisto può essere adeguato ai sensi dell'articolo 2, comma 5, del citato decreto-legge n. 27 del 1991;

3) se trattasi di titoli, quote o diritti non negoziati nei mercati regolamentati, in luogo del costo o valore di acquisto può essere assunto il valore della frazione del patrimonio netto della società, associazione od ente rappresentata da detti titoli, quote e diritti, determinato sulla base dell'ultimo bilancio approvato anteriormente al 1° luglio 1998. Ai sensi del comma 9 dell'art. 14 in commento, al contribuente è tuttavia consentito di determinare il valore al 1° luglio 1998 della frazione di patrimonio netto riferibile alla predetta partecipazione non già sulla base delle risultanze contabili dell'ultimo bilancio approvato anteriormente alla predetta data, bensì sulla base di una relazione giurata di stima. Detta perizia deve essere redatta, con le responsabilità sancite dall'articolo 64 del codice di procedura civile, esclusivamente da soggetti iscritti all'albo dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali, nonché nell'elenco dei revisori contabili.

Anche per il caso in esame, tuttavia, la disposizione di cui alla lettera c) del comma 6 dell'art. 14 in rassegna stabilisce che il criterio ivi previsto si applica a condizione che le plusvalenze comprese nel predetto valore siano assoggettate ad imposta sostitutiva sulla base delle regole stabilite nel citato decreto-legge n. 27 del 1991. Ciò comporta che le plusvalenze maturate fino al 30 giugno 1998, come sopra determinate, sono soggette all'imposta sostitutiva con i criteri di cui al medesimo decreto-legge n. 27 del 1991 secondo quanto precisato alla precedente lettera b).

Ciò premesso, ai fini di una corretta applicazione della disposizione in questione si precisa che:

a) per frazione del patrimonio netto di cui all'articolo 14, comma 6, lettera c), determinato sulla base dell'ultimo bilancio approvato, s'intende quella desunta dalle risultanze contabili del predetto patrimonio;

b) ai fini della individuazione delle partecipazioni qualificate si deve tener conto non solo delle partecipazioni possedute alla data del 1° luglio 1998, ma anche di quelle cedute nei dodici mesi antecedenti. Pertanto, qualora in detto periodo di tempo il contribuente abbia ceduto solo una parte delle partecipazioni appartenenti ad un compendio di partecipazioni qualificate, che da sole configuravano una cessione non qualificata e come tale assoggettata ad imposta sostitutiva, secondo il metodo analitico o forfetario di cui al decreto-legge n. 27 del 1991, dette cessioni devono essere tenute presenti in sede di valorizzazione della partecipazione alla data del 1° luglio 1998 e l'imposta sostitutiva già corrisposta deve essere scomputata da quella eventualmente dovuta sulla plusvalenza maturata, compresa nel predetto valore;

c) il metodo della valorizzazione al 1° luglio 1998 per le partecipazioni possedute a tale data può essere utilizzato anche per una parte soltanto delle partecipazioni stesse. Il criterio previsto dalla norma in commento è infatti volto ad evitare che il contribuente ceda in tutto o in parte le partecipazioni possedute prima della data di entrata in vigore della nuova disciplina in materia di tassazione delle plusvalenze e dei redditi diversi di natura finanziaria, al solo scopo di evitare una tassazione più onerosa di quella che si sopporterebbe nel caso in cui la cessione fosse effettuata dopo la suddetta data.

Infatti, tale esigenza potrebbe manifestarsi anche per quanto riguarda soltanto alcune delle partecipazioni possedute alla data del 1° luglio 1998. Resta inteso che anche in questa ipotesi si applicano i criteri indicati nella lettera precedente.

Ricorrendo questa ipotesi, qualora le partecipazioni siano state acquisite in epoche diverse, si deve applicare, ai fini dell'individuazione dei costi delle partecipazioni che formano oggetto della valutazione in esame, il criterio previsto dall'art. 81 del T.U.I.R., nella versione vigente fino al 1° luglio 1998. In base a tale disposizione si considerano cedute per prime le partecipazioni acquistate per ultime e, pertanto, ai fini dell'applicazione del criterio in discorso, vanno considerate quelle acquisite per ultime.

Va inoltre sottolineato che, ai soli fini della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalle cessioni di partecipazioni valutate con il criterio in questione, effettuate dalla data del 1° luglio 1998, la partecipazione stessa si considera acquisita alla stessa data del 1° luglio 1998;

d) nel caso in cui oggetto del criterio della valorizzazione al 1° luglio 1998 siano partecipazioni su cui esiste un diritto di usufrutto, si applica il metodo illustrato nella circolare n. 16 del 10 maggio 1985 della soppressa Direzione generale delle imposte dirette, in base al quale il valore delle partecipazioni possedute alla predetta data dovrà essere ripartito in relazione al valore della nuda proprietà e/o dell'usufrutto, come determinati ai sensi degli artt. 46 e 48 del D.P.R. n. 131 del 1986, facendo riferimento alla data del 1° luglio 1998 ai fini dell'individuazione dei parametri applicabili;

e) la relazione giurata di stima prevista dal comma 9 dell'articolo 14 deve essere riferita all'intero patrimonio sociale e deve essere indicata, unitamente ai dati identificativi dell'estensore della perizia, nella dichiarazione dei redditi della società, associazione o ente, relativa al periodo d'imposta in corso alla data del 1° luglio 1998 e deve essere resa nota ai soci, associati o partecipanti che ne facciano richiesta. Dalla suesposta disciplina consegue che condizione inderogabile per la sua applicazione è l'indicazione dei dati della perizia nella dichiarazione dei redditi della società e ciò anche nell'ipotesi in cui la stessa non sia stata richiesta dalla società; l'unica eccezione a tale condizione è prevista per le partecipazioni in società non quotate non residenti nel territorio dello Stato, non tenute alla presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia. In quest'ultimo caso il valore periziato e i dati identificativi dell'estensore della perizia giurata devono essere indicati nella dichiarazione dei redditi del possessore della partecipazione. Va, inoltre, precisato che soltanto nel caso in cui la relazione sia predisposta per conto della società, la stessa disposizione stabilisce che la relativa spesa è deducibile dal reddito d'impresa della società o ente in quote costanti nell'esercizio in cui è stata sostenuta e nei quattro successivi;

f) qualora le partecipazioni possedute alla data del 1° luglio 1998 possiedano a tale data tutti i requisiti che avrebbero comportato l'esclusione dal pagamento dell'imposta sostitutiva [come nel caso previsto dall'ultimo periodo della lettera c-bis) del comma 1 dell'art. 81 del T.U.I.R., nel testo vigente prima delle modifiche introdotte dal provvedimento in oggetto, delle partecipazioni non qualificate possedute da oltre quindici anni] l'uso del criterio del valore alla data del 1° luglio 1998 non comporta l'obbligo di corrispondere l'imposta sostitutiva sulla plusvalenza maturata a tale data sulle partecipazioni in questione e in tal caso non deve essere fornita alcuna indicazione nella dichiarazione dei redditi.

5.2.4 Modalità di applicazione dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze comprese nei valori delle partecipazioni alla data del 1° luglio 1998

Come già anticipato, ai fini dell'applicazione dell'imposta sostitutiva dovuta sulle plusvalenze relative alle partecipazioni possedute alla data del 1° luglio 1998 l'art. 14 in esame stabilisce che si devono adottare gli stessi criteri stabiliti dal più volte citato decreto-legge n. 27 del 1991. Al riguardo, uno dei criteri previsti per la determinazione della percentuale rilevante ai fini della qualificazione della partecipazione posseduta stabilisce che si deve tener conto di tutte le cessioni effettuate nel corso dei 12 mesi, ancorché nei confronti di soggetti diversi. Ai fini del calcolo dell'imposta sostitutiva si deve quindi tener conto di tutte le cessioni effettuate nei 12 mesi precedenti la predetta data del 1° luglio 1998 e, conseguentemente, la partecipazione posseduta a tale data si considera qualificata se la stessa, sommata alle cessioni effettuate nel predetto arco temporale, rappresenti una percentuale superiore ai limiti fissati dalla lettera c) del comma 1, dell'art. 81 del T.U.I.R. nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina. Nel caso in cui sulle plusvalenze derivanti dalle precedenti cessioni l'imposta sostitutiva sia stata applicata con il metodo forfetario di cui all'articolo 3 del decreto-legge n. 27, di tale imposta si deve tenere conto ai fini del calcolo dell'imposta sostitutiva dovuta sulle plusvalenze comprese nel valore alla data del 1° luglio 1998 della partecipazione complessivamente considerata.

Qualora a partire dal 1° luglio 1998 sia ceduta una partecipazione già posseduta a tale data, per stabilire se sia stata posta in essere una cessione di partecipazioni qualificata, deve farsi riferimento alle regole enunciate nella lettera c) del nuovo articolo 81 del T.U.I.R. Pertanto, anche in questo caso, alla predetta cessione devono essere cumulate le cessioni effettuate nei dodici mesi precedenti, successivamente alla data in cui sia stato acquisito il possesso di una partecipazione che rappresenti una percentuale di partecipazione o di diritti di voto superiori alle percentuali indicate dalla predetta disposizione. Nel caso in cui, effettuando il cumulo secondo i criteri indicati, vengano superate le percentuali di qualificazione, l'imposta sostitutiva pagata può essere detratta dall'imposta sostitutiva del 27 per cento dovuta ai sensi del comma 1 dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 461 del 1997.

A tale conclusione si perviene tenendo conto che, ai sensi dell'art. 81 del T.U.I.R., nel testo vigente prima delle modifiche introdotte dal provvedimento in oggetto, si deve avere riguardo, ai fini della determinazione della percentuale di partecipazione ceduta, di tutte le cessioni effettuate nell'arco temporale di 12 mesi e che tale previsione normativa considera le cessioni effettuate nel citato periodo di tempo come una cessione unica. In proposito si deve ulteriormente sottolineare che la plusvalenza derivante da tale cessione si considera realizzata alla data dell'ultima cessione effettuata nell'arco di tempo considerato e, pertanto, essa è soggetta al nuovo regime impositivo previsto dal citato art. 5 del decreto legislativo n. 461 del 1997, ai sensi dell'art. 14 comma 4, del medesimo provvedimento.

Si precisa che, qualora la plusvalenza compresa nel valore della partecipazione alla data del 1° luglio 1998 sia assoggettata ad imposta sostitutiva secondo il regime analitico, essa va determinata confrontando il valore della partecipazione alla predetta data con il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione stessa. Tale costo deve essere determinato applicando i criteri stabiliti dal decreto-legge n. 27 del 1991. Pertanto, come costo della partecipazione, può essere assunto il costo storico rivalutato attraverso l'applicazione del cosiddetto correttivo per l'inflazione, nonché nel caso in cui la partecipazione sia stata acquisita anteriormente al 28 gennaio 1991, il costo storico così determinato ovvero, in alternativa, il valore di mercato a tale data della predetta partecipazione, determinato sulla base di apposita relazione di stima, rivalutata attraverso l'applicazione del correttivo in parola.

Qualora per la determinazione del costo della partecipazione sia stato assunto, in luogo del costo storico, il valore di mercato della partecipazione stessa alla data del 28 gennaio 1991, in coerenza con quanto stabilito dal comma 9 dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 461 del 1997, la relazione di stima, anche se predisposta precedentemente al 1° luglio 1998, deve essere asseverata da uno dei soggetti ivi indicati.

Sempre con riferimento al caso in cui la plusvalenza al 1° luglio 1998 sia assoggettata ad imposta sostitutiva con il sistema analitico, va precisato che, sulla base dei criteri del decreto-legge n. 27 del 1991, richiamati dalla disposizione in esame, dette plusvalenze possono essere compensate con eventuali minusvalenze effettivamente realizzate e con le eccedenze riportate dai periodi d'imposta precedenti, indicate nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta in corso al 1° luglio 1998. È appena il caso di precisare che, stante il tenore letterale della medesima disposizione, non rilevano in ogni caso le eventuali minusvalenze derivanti dall'applicazione del suddetto criterio del valore al 1° luglio 1998.

5.2.5 Dichiarazione delle plusvalenze e versamento dell'imposta sostitutiva

Il comma 7 dell'art. 14 in rassegna stabilisce che il valore assunto a riferimento per l'applicazione dell'imposta sostitutiva risultante dall'applicazione delle disposizioni di cui al comma 6 del medesimo articolo, testè esaminate, deve essere indicato dai contribuenti nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta in corso alla data del 1° luglio 1998 e che l'imposta sostitutiva deve essere versata entro il termine di versamento delle imposte sui redditi dovute a saldo sulla base della dichiarazione relativa al periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 1998.

5.2.6 Applicazione e versamento dell'imposta sostitutiva da parte degli intermediari

Come noto, nel caso in cui l'adozione del criterio del valore delle partecipazioni alla data del 1° luglio 1998 comporti l'applicazione dell'imposta sostitutiva secondo i criteri stabiliti dalla legge n. 102 del 1991, l'imposta stessa deve essere versata, ai sensi dell'art. 14, comma 7, dianzi esaminato, entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte dovute in base alla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 1998.

Al riguardo si è già avuto modo di precisare che la predetta imposta sostitutiva va liquidata applicando il regime analitico qualora le partecipazioni possedute alla data del 1° luglio 1998 siano considerate come partecipazioni qualificate in base alle previgenti disposizioni in materia ed applicando, invece, alternativamente, il regime analitico o quello forfetario negli altri casi.

Ciò premesso, si fa presente che il comma 7-bis dell'art. 14 in rassegna ha riconosciuto, in favore dei contribuenti che intendano adeguare il costo fiscalmente rilevante delle partecipazioni possedute alla data del 1° luglio 1998 sulla base del valore di mercato delle partecipazioni stesse a tale data, la facoltà di affidare agli intermediari autorizzati di cui all'art. 6 del decreto legislativo n. 461 del 1997 l'incarico di liquidare e versare l'imposta sostitutiva eventualmente dovuta sulle plusvalenze comprese nel nuovo valore. I suddetti intermediari prelevano l'imposta sostitutiva dovuta dal possessore entro il mese di ottobre e ne effettuano il versamento entro il 15 novembre.

Tale disposizione risponde ad esigenze di semplificazione, in quanto è volta ad evitare, da un lato, che i contribuenti interessati siano obbligati ad effettuare la liquidazione dell'imposta sostitutiva nella prevista dichiarazione dei redditi ed a scoraggiare, dall'altro, l'effettuazione di inutili e costose cessioni di comodo in prossimità dell'entrata in vigore del decreto legislativo in oggetto citato.

L'opzione per il pagamento in forma semplificata dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze può essere esercitata solo nel caso in cui l'imposta sostitutiva si renda applicabile con il metodo di cui all'art. 3 della legge n. 102 del 1991. In questo modo si consente agli intermediari di liquidare e versare l'imposta sostitutiva in luogo dei contribuenti soltanto nei casi in cui tale possibilità era ammessa dalla citata legge n. 102 del 1991. Pertanto, qualora l'imposta sostitutiva si renda applicabile con il metodo analitico, l'esercizio dell'opzione in questione rimane precluso ed il contribuente è tenuto a liquidare l'imposta sostitutiva dovuta sulle plusvalenze insite nel valore della partecipazione alla data di entrata in vigore del provvedimento in oggetto - secondo le modalità stabilite nel comma 7 dell'art. 14 in esame, precedentemente illustrato - in sede di dichiarazione dei redditi da presentare per l'anno 1998 e ad effettuare il relativo versamento entro il termine previsto per il pagamento a saldo delle imposte sui redditi derivanti dalla dichiarazione stessa.

Per espresso disposto di legge, l'opzione in questione per l'applicazione in forma semplificata dell'imposta sostitutiva, da esercitarsi entro il 30 settembre 1998, è ammessa soltanto nelle seguenti ipotesi:

- per le partecipazioni non qualificate negoziate esclusivamente in mercati regolamentati esteri, quando il valore delle stesse alla data del 1° luglio 1998 sia determinato sulla base delle quotazioni di mercato rilevate nel mese di giugno 1998;

- per le partecipazioni non qualificate, non negoziate in mercati regolamentati, italiani o esteri, quando il valore delle stesse alla predetta data del 1° luglio 1998 sia determinato sulla base delle risultanze contabili dell'ultimo bilancio approvato prima di tale data.

Si è mantenuto fermo, quindi, l'obbligo di liquidare l'imposta sostitutiva nella dichiarazione dei redditi a carico di quei contribuenti che intendano determinare il predetto valore sulla base di una relazione giurata di stima ai sensi del comma 9 dell'art. 14 in esame e ciò per consentire all'Amministrazione finanziaria di verificare l'effettiva congruità di tale valore.

Resta inteso che, qualora sia esercitata l'opzione di cui trattasi, il contribuente non è più obbligato a fornire indicazione del valore preso a riferimento per l'applicazione dell'imposta sostitutiva nella dichiarazione dei redditi.

5.2.7 Criterio del valore delle partecipazioni alla data del 28 gennaio 1991

Ai sensi del comma 8 dell'art. 14 in commento, per le partecipazioni già possedute alla data del 28 gennaio 1991 - che, come noto, è la data di entrata in vigore della disciplina recata dal citato decreto-legge n. 27 del 1991, disciplina che cessa di trovare applicazione a partire dal 1° luglio 1998 - in luogo del costo o valore d'acquisto, nonché del valore determinato secondo i criteri alternativi di cui ai commi 5 e 6 del medesimo articolo, può essere assunto:

a) se trattasi di titoli, quote o diritti negoziati nei mercati regolamentati, il valore risultante dalla media dei prezzi di compenso o dei prezzi fatti nel corso del 1990 dalla borsa valori di Milano o, in mancanza, dalle borse presso cui i titoli erano negoziati in detto periodo;

b) se, invece, trattasi di titoli, quote e diritti non negoziati, il valore alla data del 28 gennaio 1991 della frazione del patrimonio netto della società, associazione o ente rappresentata da tali titoli, quote o diritti, determinato sulla base delle risultanze contabili dell'ultimo bilancio approvato prima della predetta data.

Ai sensi del comma 9 dello stesso articolo 14, è consentito determinare il valore della cennata frazione del patrimonio netto sulla base di una relazione giurata di stima, redatta dai soggetti e con le modalità ivi indicati, precedentemente già esaminati. Da tale disciplina risulta che le eventuali perizie già effettuate sulla base del valore alla data del 28 gennaio 1991 devono essere asseverate ai sensi del comma 9 dell'articolo 14 in commento dai soggetti ivi indicati.

È appena il caso di ribadire che, stante il tenore letterale della disposizione in commento, non può ritenersi in tal caso applicabile il cosiddetto correttivo per l'inflazione di cui all'art. 5, comma 2, del decreto legge n. 27 del 1991.

5.2.8 Criteri di valorizzazione dei titoli e delle altre attività possedute alla data del 1° luglio 1998

Il comma 10 dell'articolo 14 in commento stabilisce le regole di valorizzazione dei titoli, certificati, valute, rapporti, metalli, strumenti o crediti detenuti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 461 del 1997 ai fini della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze e degli altri proventi ed oneri indicati nelle lettere c-ter), c-quater) e c-quinquies) dell'articolo 81, comma 1, del T.U.I.R. per le operazioni poste in essere successivamente a tale data.

È disposto che per i titoli, i certificati, i diritti, le valute estere, i metalli preziosi allo stato grezzo o monetato, gli strumenti finanziari, i rapporti o crediti posseduti alla data di entrata in vigore del decreto n. 461 del 1997, la valorizzazione avviene assumendo quale costo o valore di acquisto quello risultante dalla documentazione di data certa, anche proveniente dalle scritture contabili degli intermediari abilitati all'applicazione dell'imposta a norma degli articoli 6 e 7. Tuttavia, limitatamente alle plusvalenze e gli altri proventi divenuti imponibili per effetto delle nuove disposizioni, in luogo del detto costo o valore di acquisto può essere assunto:

a) il valore risultante dalla media aritmetica dei prezzi rilevati nel mese di giugno 1998 per i titoli, diritti, valute estere, metalli preziosi, strumenti finanziari e rapporti negoziati in mercati regolamentati italiani, ovvero quello risultante dalla media aritmetica dei prezzi rilevati negli ultimi cinque giorni di borsa aperta del mese di giugno 1998, nel caso in cui gli stessi strumenti finanziari siano negoziati esclusivamente in mercati regolamentati esteri;

b) il valore alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 461 del 1997 risultante da apposita stima, che può essere effettuata da uno dei soggetti abilitati all'applicazione delle disposizioni dell'articolo 14, comma 9, ovvero dagli intermediari che possono applicare l'imposta sostitutiva ai sensi degli articoli 6 e 7, nel caso si tratti di i titoli, certificati, diritti, valute estere, metalli preziosi, strumenti finanziari non negoziati in mercati regolamentati, nonché per i crediti.

È opportuno altresì evidenziare che tali criteri di valutazione trovano comunque applicazione a prescindere dal regime tributario prescelto dal contribuente per la tassazione dei redditi diversi di cui all'articolo 81, comma 1, lettere da c-ter) a c-quinquies) - dichiarazione, risparmio amministrato del risparmio gestito. Va da sé che per l'individuazione del valore alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 461 del 1997, troveranno applicazione tutte le regole sulla determinazione dei redditi diversi che si desumono dal nuovo testo dell'articolo 82, comma 6.

 

 

5.3 Le gestioni patrimoniali.

Nei paragrafi da 3.3 a 3.4.6 è stato illustrato il regime tributario delle gestioni di patrimoni individuali disciplinate dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 461 del 1997, nonché dei fondi soggetti ad imposta sostitutiva sul risultato della gestione di cui all'articolo 8, commi da 1 a 4, del medesimo decreto.

Per effetto di quanto previsto dall'articolo 16, comma 3, del decreto legislativo n. 461 del 1997 le disposizioni sopra illustrate entrano in vigore il 1° luglio 1998. Pertanto, l'imposta sostitutiva sul risultato della gestione si applica a partire da tale ultima data.

Tale circostanza ha comportato la necessità di disciplinare il passaggio dal vecchio al nuovo regime soprattutto in ragione del fatto che le gestioni e i fondi assumono la qualifica di lordista per numerose fattispecie reddituali, in modo particolare per i redditi di capitale. Di seguito viene descritto il regime transitorio dettato per gli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari ora soggetti ad imposta sostitutiva e per le gestioni individuali di patrimoni.

5.3.1 Organismi di investimento collettivo

Per quanto riguarda gli organismi di investimento disciplinati dall'articolo 8, commi da 1 a 4, del decreto legislativo n. 461 del 1997, i primi tre commi dell'articolo 15 prevedono che per i proventi in relazione ai quali l'organismo di investimento assume lo status di soggetto lordista maturati fino al 30 giugno 1998 e relativi ad attività finanziarie detenute alla medesima data, le ritenute e le imposte sostitutive dovute sui medesimi proventi sono operate, secondo le disposizioni vigenti al 30 giugno, all'atto del pagamento dei proventi medesimi (liquidazione degli interessi attivi sui conti correnti bancari, chiusura dell'operazione, incasso cedole, rimborso o cessione dei titoli).

Tale disposizione riguarda pertanto i proventi dei titoli soggetti alle disposizioni del decreto legislativo n. 239 del 1996, gli interessi sui conti correnti bancari, i proventi derivanti dalle operazioni di pronti contro termine e di cessione a termine di obbligazioni e titoli similari, i proventi derivanti dalle operazioni di finanziamento in valori mobiliari, i proventi derivanti dalle operazioni di pronti contro termine e cessione a termine di valute estere, nonché dai contratti che assumono valori a termine delle valute estere per la determinazione del corrispettivo, di cui all'articolo 81, comma 1, lettera c-ter) del T.U.I.R. (nel testo vigente fino al 30 giugno 1998). Per quanto riguarda invece i proventi relativi alle quote di organismi di investimento collettivo commercializzate nel territorio dello Stato e soggette alle disposizioni dell'articolo 10-ter, comma 1, della legge n. 77 del 1983, detenute dai fondi e dalle SICAV al 30 giugno 1998, il comma 4 dell'articolo 15 prevede che la ritenuta del 12,50 per cento sui proventi maturati dalla data di acquisto o sottoscrizione fino al 30 giugno 1998 dovrà essere versata dalla banca depositaria del fondo o della SICAV, nonché dal soggetto incaricato del collocamento in Italia dei fondi di cui all'articolo 11-bis del decreto-legge n. 512 del 1983 entro il 15 novembre 1998.

Infine il comma 5 dell'articolo 15 precisa che il valore del patrimonio netto dell'organismo alla data del 30 giugno 1998, assunto al netto delle ritenute determinate ai sensi dei commi 1, 2, 3 e 4, costituisce il patrimonio iniziale ai fini dell'applicazione dell'imposta sostitutiva sul risultato della gestione maturato nel 1998. Va da sé che, ai fini della valorizzazione del patrimonio dei predetti organismi alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, non trovano applicazione le specifiche disposizioni del successivo comma 8. Queste infatti sono dettate ai soli fini della valorizzazione del patrimonio iniziale delle gestioni individuali cui si applica il regime dell'articolo 7.

Per quanto concerne invece l'imposta sostitutiva dovuta dagli organismi in questione per il primo semestre 1998, l'articolo 15, comma 6, del decreto legislativo n. 461 del 1997, prevede che il patrimonio netto dei fondi alla data del 30 giugno 1998 deve essere assunto quale patrimonio netto alla data di cessazione del fondo. Pertanto per i fondi comuni di investimento di cui alla legge n. 77 del 1983 e le SICAV di cui al decreto legislativo n. 84 del 1992 l'imposta sostitutiva dovrà essere calcolata secondo le aliquote previste dalle disposizioni in vigore al 30 giugno 1998 (0,05 per cento, 0,10 per cento, 0,25 per cento) applicate alla media annua dei valori del patrimonio netto rilevati con riferimento all'ultimo giorno di ciascun mese del primo semestre del 1998 (e cioè dividendo per dodici la somma dei valori del patrimonio netto rilevati con riferimento all'ultimo giorno di ciascun mese del primo semestre del 1998).

Quanto invece ai fondi comuni di investimento mobiliare chiusi di cui alla legge n. 344 del 1993 l'imposta sostitutiva dovrà essere calcolata applicando le aliquote previste dal vigente articolo 11 della legge n. 344 del 1993 (0,25 per cento ovvero 0,10 per cento) sulla metà del valore del patrimonio netto rilevato con riferimento al 30 giugno 1998.

Infine, per quanto riguarda i soggetti incaricati del collocamento in Italia delle parti di fondi comuni di investimento di cui all'articolo 11-bis del decreto-legge n. 512 del 1983, questi dovranno calcolare l'imposta sostitutiva applicando l'aliquota dello 0,50 per cento alla media dei valori rilevati al 1° gennaio 1998 e al 30 giugno 1998.

Le imposte così calcolate concorreranno a formare il valore del patrimonio netto al 30 giugno 1998, e dovranno essere versate entro il 30 settembre 1998 al concessionario della riscossione ovvero alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato. Per quanto attiene invece alle dichiarazioni degli imponibili e delle imposte queste dovranno essere presentate negli stessi termini previsti dalle nuove disposizioni per la presentazione delle dichiarazioni relative ai risultati della gestione maturati nel secondo semestre del 1998.

 

 

5.4 Le gestioni individuali di patrimoni.

Anche con riferimento alle gestioni di patrimoni sono state introdotte specifiche disposizioni che disciplinano il passaggio alle nuove disposizioni. In primo luogo occorre ricordare che l'articolo 15, comma 7, del decreto legislativo n. 461 del 1997 prevede che per gli incarichi di gestione perfezionati al 1° luglio 1998, non è necessario acquisire dai contribuenti l'apposita dichiarazione di opzione prevista dall'articolo 7, comma 1.

Pertanto le disposizioni contenute nell'articolo 7 trovano comunque applicazione a meno che il contribuente non revochi l'opzione (nei modi stabiliti dall'articolo 2 del decreto del Ministro delle finanze D.M. 22 maggio 1998) entro il 30 settembre 1998. In tal caso la revoca avrà effetto a partire dalla data in cui è validamente manifestata all'intermediario che pertanto sarà tenuto ad applicare, fino a tale data, le disposizioni dello stesso articolo 7. Qualora invece la revoca dovesse essere comunicata oltre il predetto termine del 30 settembre 1998, troveranno applicazione le disposizioni dell'articolo 7, comma 2, del decreto legislativo n. 461 del 1997.

A differenza di quanto disposto per gli organismi di investimento collettivo le disposizioni dell'articolo 15 applicabili alle gestioni individuali riguardano sia la disciplina dei redditi maturati fino al 30 giugno 1998 sia la valutazione dei titoli e degli strumenti finanziari detenuti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 461 del 1997.

Per quanto riguarda il regime tributario dei proventi maturati fino al 30 giugno 1998 in relazione ai quali il patrimonio gestito diviene lordista successivamente alla predetta data, i primi tre commi dell'articolo 15, prevedono che sono dovute le relative ritenute e le imposte sostitutive. Ai sensi del successivo comma 3-bis, dette imposte devono essere liquidate dal gestore - secondo le disposizioni vigenti il 30 giugno 1998 - entro il 30 ottobre 1998 e versate entro il 15 novembre 1998; in tal caso il soggetto gestore è altresì abilitato ad effettuare i disinvestimenti necessari per il pagamento delle imposte.

Entro la medesima data del 15 novembre devono essere altresì versate dal soggetto gestore, ai sensi del successivo comma 4, le ritenute suoi proventi relativi alle quote di organismi di investimento collettivo commercializzate nel territorio dello Stato e soggette alle disposizioni dell'articolo 10-ter, comma 1, della legge n. 77 del 1983, detenute dalla gestioni al 30 giugno 1998.

Per quanto riguarda invece la valorizzazione delle attività finanziarie detenute nell'ambito delle gestioni alla data del 1° luglio 1998, l'articolo 15, comma 8, prevede che il costo o il valore di acquisto delle partecipazioni, titoli, certificati, strumenti finanziari, valute e rapporti posseduti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 461 del 1997 ed affidati in gestione - che costituisce il patrimonio iniziale ai fini dell'applicazione dell'imposta sostitutiva per il secondo semestre del 1998 - debba essere determinato secondo le disposizioni dell'articolo 14. Pertanto si rinvia in proposito a quanto già illustrato nel precedente paragrafo 5.2.

 

 

Capitolo VI

Le comunicazioni all'Amministrazione finanziaria

6.1 Obblighi a carico degli intermediari e degli altri soggetti che intervengono in operazioni fiscalmente rilevanti.

L'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo n. 461 del 1997 stabilisce determinati obblighi di comunicazione di dati all'Amministrazione finanziaria a carico degli intermediari e di altri soggetti che intervengono in operazioni che possono generare i redditi di cui alle lettere da c) a c-quinquies) del comma 1 dell'articolo 81 del T.U.I.R., nonché l'obbligo di certificazione alle parti relativamente alle medesime operazioni.

In particolare - sempreché non sia stata esercitata l'opzione di cui agli articoli 6 e 7 del medesimo decreto legislativo per l'applicazione del regime del risparmio amministrato o gestito - sono tenuti ad adempiere agli obblighi di certificazione e comunicazione: le banche, le società di intermediazione mobiliare, le Poste Italiane S.p.A., i notai, le società fiduciarie, gli agenti di cambio, le società ed enti emittenti, limitatamente ai titoli e agli strumenti finanziari da esse emessi, e gli intermediari residenti che, per ragioni professionali, intervengono nelle operazioni di seguito elencate, nonché gli intermediari non residenti, limitatamente alle operazioni nelle quali siano intervenute stabili organizzazioni ad essi appartenenti situate nel territorio dello Stato, fatta eccezione per i già cennati obblighi di segnalazione disciplinati dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo in commento.

I suddetti obblighi non sussistono, invece, per le operazioni nelle quali siano intervenute stabili organizzazioni di imprese residenti situate al di fuori del territorio dello Stato.

Costituiscono oggetto degli obblighi di comunicazione le seguenti operazioni suscettibili di produrre redditi diversi di cui alle citate lettere da c) a c-quinquies), del comma 1 dell'articolo 81 per i soggetti che li pongono in essere:

1. cessione a titoli oneroso di partecipazioni, con esclusione delle partecipazioni nelle associazioni di cui alla lettera c) del comma 3 dell'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, e di diritti e titoli attraverso cui possono essere acquistate partecipazioni, nonché annotazione del trasferimento di azioni e quote sociali effettuato dalle società emittenti;

2. cessione a titolo oneroso e rimborso di titoli, certificati di massa, quote di partecipazione in organismi d'investimento collettivo - diversi da quelli di tipo aperto soggetti ad imposta sostitutiva sul risultato della gestione - e di altri strumenti finanziari di cui alle lettere c-ter) e c-quinquies) dell'articolo 81, comma 1, del predetto testo unico;

3. stipula e cessione a titolo oneroso dei contratti ed altri rapporti di cui alle lettere c-quater) dell'articolo 81, comma 1, del testo unico citato, nonché dei rapporti di natura finanziaria attraverso i quali possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto di cui alla lettera c-quinquies) del medesimo articolo;

4. cessione a titolo oneroso di metalli preziosi, allo stato grezzo o monetato, e di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi e conti correnti, la cui giacenza abbia superato cento milioni di lire per sette giorni lavorativi continui, prelievi di valute rivenienti dai detti depositi e conti correnti, nonché cessione a titolo oneroso di rapporti produttivi di redditi di capitale e di crediti pecuniari;

5. trasferimenti verso rapporti intestati a soggetti diversi dall'intestatario del rapporto di provenienza e prelievi, aventi ad oggetto le partecipazioni, i titoli e gli strumenti finanziari, nonché i rapporti di natura finanziaria di cui alle lettere da c) a c-quinquies) dell'articolo 81, comma 1, del testo unico citato.

Qualora nelle operazioni sopra menzionate siano intervenuti due o più dei soggetti tenuti all'obbligo di comunicazione, quest'ultima deve essere effettuata dal soggetto che è intervenuto per primo nell'operazione e comunque dall'intermediario che intrattiene il rapporto più diretto con il contribuente.

Gli obblighi di comunicazione sopra citati non sussistono:

a) per le operazioni e lencate nei precedenti punti da 1 a 5, tranne le cessioni, i trasferimenti e i prelievi di partecipazioni qualificate ai sensi dell'articolo 81, comma 1, lettera c), del T.U.I.R., poste in essere da soggetti indicati nell'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo n. 461 del 1997;

b) per le operazioni elencate nei precedenti punti da 1 a 5 poste in essere da soggetti residenti in Stati con i quali l'Italia ha stipulato una convenzione fiscale, che riservi, in via esclusiva, all'altro Stato contraente la tassazione delle plusvalenze o degli altri redditi diversi conseguibili attraverso le predette operazioni;

c) per le cessioni a titolo oneroso, i trasferimenti e i prelievi di partecipazioni non qualificate ai sensi del citato articolo 81, comma 1, lettera c-bis), in società residenti nel territorio dello Stato, negoziate in mercati regolamentati, poste in essere da soggetti non residenti, anche se diversi da quelli indicati nei precedenti punti;

d) per le operazioni elencate nei precedenti punti da 1 a 5 poste in essere da altri soggetti che fruiscono di esenzione dalle imposte sui redditi.

Costituiscono altresì oggetto degli obblighi di comunicazione le seguenti operazioni suscettibili di produrre redditi diversi di cui alle citate lettere da c) a c-quinquies), del comma 1 dell'articolo 81 per i soggetti che li pongono in essere:

I. prelievi da rapporti, per i quali siano state esercitate le opzioni di cui agli articoli 6 e 7 del decreto legislativo n. 461 del 1997, aventi per oggetto partecipazioni, titoli, diritti, strumenti finanziari e rapporti di natura finanziaria di cui alle lettere da c) a c-quinquies) dell'articolo 81, comma 1, del testo unico citato, nonché prelievi di valute estere dai rapporti per i quali sia stata esercitata l'opzione di cui al citato articolo 7 del decreto legislativo n. 461 del 1997, sempreché l'entità della valuta prelevata sia superiore a cento milioni di lire;

II. rapporti di deposito o conto corrente in valuta estera detenuti da soggetti residenti, la cui giacenza sia stata superiore a cento milioni di lire nell'anno solare precedente per almeno sette giorni lavorativi continui; sempreché non sia stata esercitata l'opzione di cui all'articolo 7 del medesimo decreto legislativo n. 461 del 1997.

Per ciascuna delle operazioni indicate nei punti da 1 a 5 e per i prelievi di cui al punto I, devono essere comunicati i seguenti dati:

- le generalità e, se esistente, il codice fiscale del soggetto che ha effettuato l'operazione;

- la natura, l'oggetto e la data dell'operazione;

- le quantità delle attività finanziarie oggetto dell'operazione;

- gli eventuali corrispettivi, differenziali e premi.

Per i rapporti di cui al punto II devono essere comunicate le generalità e, se esistente, il codice fiscale dei titolari di tali rapporti.

A norma del comma 2 del medesimo articolo 10 in commento al fine anche di consentire lo scambio di informazioni previsto dall'emananda direttiva comunitaria sulla fiscalità del risparmio - gli stessi intermediari devono altresì comunicare all'Amministrazione finanziaria i dati relativi ai redditi di capitale non imponibili o imponibili in misura ridotta, imputabili a soggetti non residenti.

Costituiscono oggetto di dette comunicazioni i redditi di capitale derivanti dai rapporti indicati nell'articolo 41, comma 1, lettera a), anche se rappresentati da certificati di deposito, ad eccezione dei prestiti di denaro, e lettere c), d), g-bis) e g-ter), del T.U.I.R., percepiti da soggetti residenti nei Paesi con cui sono in vigore convenzioni fiscali che consentono all'Amministrazione finanziaria di acquisire le informazioni necessarie per accertare la sussistenza dei requisiti (D.M. 4 settembre 1996 e successive integrazioni) e che non siano residenti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (D.M. 24 aprile 1992).

La comunicazione è dovuta, inoltre, per tutti i redditi di capitale per i quali è stata applicata una aliquota ridotta o pari a zero in applicazione di convenzioni bilaterali per evitare la doppia imposizione, nonché i dividendi di cui all'articolo 27-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.

Con riferimento ai predetti redditi di capitale devono essere comunicati i seguenti dati:

1. generalità;

2. codice di identificazione fiscale estero attribuito dall'Autorità fiscale del Paese di residenza o, in mancanza, da Autorità amministrativa;

3. Stato estero di residenza e relativo codice ed eventualmente Stato federato;

4. località di residenza estera e relativo indirizzo;

5. ammontare del reddito corrisposto dal 1° luglio al 31 dicembre 1998;

6. misura e ammontare dell'eventuale ritenuta applicata.

Secondo quanto previsto dal comma 3 dell'articolo 10 in esame, le comunicazioni previste dai commi 1 e 2 verranno effettuate mediante la compilazione del modello di dichiarazione annuale di cui all'articolo 8 del D.P.R. n. 600 del 1973, secondo le modalità che verranno stabilite con il decreto di approvazione del medesimo modello.

Restano fermi gli obblighi di comunicazione specificamente previsti dal decreto legislativo 1 aprile 1996, n. 239 con riferimento ai proventi dei titoli obbligazionari ivi disciplinati.

 

 

6.2 Le modifiche alla normativa sul monitoraggio fiscale.

L'art. 11 del decreto legislativo n. 461, dando attuazione ad uno specifico criterio direttivo della disposizione di delega, ha apportato alcune modifiche alla normativa sul monitoraggio fiscale, recata dal decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla legge 4 agosto 1990, n. 227.

Alcune delle modifiche apportate sono di carattere generale e, quindi, interessano più norme del decreto-legge n. 167. In primo luogo, nell'ambito dei soggetti che devono essere sottoposti al monitoraggio fiscale non sono state più incluse le società di persone commerciali ed equiparate di cui all'art. 5 del T.U.I.R. in quanto si è ritenuto che tali società, essendo obbligate alla tenuta delle scritture contabili, hanno già l'obbligo di documentare le operazioni che abbiano posto in essere e, quindi, anche quelle effettuate con l'estero. Pertanto negli articoli 1, comma 1, 2, comma 1, e, infine, 4, comma 1, il riferimento alle società di cui all'articolo 5 del T.U.I.R. è stato sostituito con il riferimento alle "società semplici ed associazioni equiparate ai sensi dell'art. 5" del T.U.I.R. In secondo luogo, si è ritenuto preferibile abbandonare, anche nella normativa sul monitoraggio fiscale, l'uso del termine di matrice civilistica di "valore mobiliare" in quanto tale termine già sul piano civilistico è privo di un'accezione compiuta.

Pertanto gli articoli 1, comma 4, 2, comma 1 e 6, comma 1, sono stati emendati, sostituendo il riferimento al "valore mobiliare" con quello ai "certificati in serie o di massa" ed ai "titoli".

Altre modifiche hanno interessato l'art. 1 del decreto-legge n. 167 del 1990 e cioè la disposizione che pone a carico degli intermediari l'obbligo di rilevare i trasferimenti da e per l'estero effettuati per conto ovvero a favore dei soggetti sottoposti a monitoraggio. Infatti, è stato ampliato innanzitutto l'ambito degli intermediari su cui gravano tali obblighi, in quanto fra di essi sono state incluse anche le Poste italiane S.p.A. Tale inserimento è finalizzato ad evitare che i soggetti sottoposti a monitoraggio possano sottrarsi ai controlli, effettuando i trasferimenti da e per l'estero attraverso il canale postale, invece che attraverso le banche e gli altri intermediari. Inoltre, fra le operazioni che devono costiT.U.I.R.e oggetto di rilevazione ai sensi dell'art. 1 del decreto-legge n. 167 del 1990 sono stati inclusi anche i trasferimenti, da o verso l'estero, effettuati mediante assegni postali, bancari e circolari. Come noto, quando venne emanato il citato decreto-legge n. 167 del 1990 non fu possibile comprendere anche tali operazioni fra quelle da rilevare in quanto il regime di piena trasferibilità degli assegni allora vigente rendeva estremamente problematico l'accertamento, da parte dell'intermediario tenuto ad onorarne il pagamento, sia della destinazione delle somme di denaro, sia della causale del trasferimento. Con l'introduzione della cosiddetta normativa antiriciclaggio recata dal decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, il regime di piena trasferibilità degli assegni è venuto meno in quanto il comma 2 dell'art. 1 di tale provvedimento ha introdotto l'obbligo di apporre la clausola di non trasferibilità sugli assegni di importo superiore a venti milioni di lire che circolino in Italia e di fornire indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario. Essendo quindi stato rimosso, almeno per gli assegni che circolino in Italia, il principale ostacolo che aveva indotto il Parlamento a non assoggettare agli obblighi di rilevazione anche i trasferimenti di assegni, si è ritenuto opportuno estendere tali obblighi anche ai trasferimenti in parola. Peraltro, in quei casi in cui gli assegni abbiano circolato all'estero in regime di piena trasferibilità, l'intermediario, quando sia impossibilitato ad identificare il beneficiario del trasferimento, potrà limitarsi ad indicare soltanto le informazioni di cui sia in possesso.

Un terzo gruppo di modifiche hanno invece interessato l'art. 4 del decreto-legge n. 167 del 1990 e cioè la disposizione che pone a carico dei soggetti sottoposti a monitoraggio l'obbligo di dichiarare le consistenze delle attività estere di natura finanziaria e degli investimenti esteri, nonché i trasferimenti che li abbiano interessati.

Innanzitutto è stata fornita una più precisa individuazione delle attività estere di natura finanziaria e degli investimenti esteri per i quali devono ritenersi sussistenti gli obblighi dichiarativi previsti da tale disposizione. In particolare, è stato chiarito che tali obblighi sussistono soltanto per le attività estere di natura finanziaria attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera, che siano imponibili in Italia. Com'è rilevato nella relazione "non può sussistere alcun interesse dell'amministrazione finanziaria a sottoporre a controllo anche quelle attività estere di natura finanziaria ovvero quegli investimenti all'estero che sono produttivi di redditi non soggetti ad imposizione in Italia".

Per effetto della modifica così apportata può ritenersi oramai chiarito che gli obblighi di dichiarazione delle consistenze e dei trasferimenti non sussistono per le attività estere di natura finanziaria e gli investimenti esteri attraverso i quali non possono essere conseguiti redditi di fonte estera ovvero attraverso i quali possono essere conseguiti esclusivamente redditi di fonte estera, di cui non sia prevista l'imponibilità in Italia. A questi particolari effetti si considerano come di fonte estera, ai sensi del comma 1 dell'art. 4 del decreto-legge n. 167 del 1990, i redditi corrisposti da non residenti o soggetti alla ritenuta prevista nel terzo comma dell'art. 26 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché i redditi derivanti da beni che si trovano al di fuori del territorio dello Stato.

È stata ridefinita la previsione di esonero dall'obbligo di dichiarazione delle consistenze delle attività estere di natura finanziaria e degli investimenti esteri, nonché dei trasferimenti che li abbiano interessati prevista dal comma 4 dell'art. 4 del decreto-legge n. 167 del 1990. Come si ricorderà tale disposizione escludeva la sussistenza di tali obblighi per le attività estere di natura finanziaria e gli investimenti esteri produttivi di redditi esenti ovvero di redditi soggetti a ritenuta alla fonte ai sensi del terzo comma dell'art. 26 del D.P.R. n. 600 citato, dell'art. 27 di tale decreto o dell'art. 5 del decreto legge 30 settembre 1983, n. 512, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre 1983, n. 649. Come precisato nelle istruzioni allegate alla dichiarazione dei redditi perché scattasse l'esonero dall'obbligo della dichiarazione era necessario che tali redditi fossero effettivamente assoggettati a ritenuta. Pertanto, tutte le volte in cui non si verificava tale presupposto, il contribuente doveva ritenersi obbligato a dichiarare sia le consistenze delle attività estere di natura finanziaria e degli investimenti all'estero, che i trasferimenti che li avessero interessati.

Per garantire una maggiore semplificazione, con la riformulazione del comma 4 dell'art. 4 del decreto-legge n. 167 del 1990, si è estesa l'applicabilità della previsione di esonero recata da tale disposizione in tutte le ipotesi nelle quali non si è ritenuta sussistente un'effettiva esigenza di accertamento in quanto il contribuente abbia dato incarico ad un intermediario di curare l'incasso dei redditi derivanti dalle attività estere di natura finanziaria e dagli investimenti esteri da lui detenute. La sussistenza dell'obbligo di dichiarazione delle consistenze e dei trasferimenti è stata quindi esclusa per i certificati in serie o di massa ed i titoli, affidati in gestione od in amministrazione alle banche, alle Sim, alle società fiduciarie e agli altri intermediari professionali indicati nell'art. 1, per i contratti conclusi attraverso il loro intervento, anche in qualità di controparti, nonché per i depositi ed i conti correnti, a condizione che i redditi derivanti dai certificati, dai titoli, dai contratti e dai depositi e conti correnti siano riscossi attraverso l'intervento degli intermediari stessi.

 

 

Capitolo VII

Abrogazione di norme

7.1 Generalità.

L'articolo 16 del decreto legislativo n. 461 del 1997 individua una serie di disposizioni che sono abrogate a decorrere dalla data da cui hanno effetto le nuove previsioni normative recate dal medesimo provvedimento.

In particolare, sono abrogate le seguenti disposizioni:

- il decreto-legge 28 gennaio 1991, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1991, n. 102;

- i commi 1, 3, 5 e 6 dell'articolo 20 del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito dalla legge 7 giugno 1974, n. 216;

- gli articoli 5 e 6 della legge 26 aprile 1982, n. 181;

- il comma 6 dell'articolo 33, del decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 1988, n. 42;

- i commi 2 e 3 dell'articolo 32 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154;

- l'articolo 8 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227;

- gli articoli 2, 3 e 4 del decreto-legge 17 settembre 1992, n. 378, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 437;

- l'articolo 4, comma 7, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1993, n. 75;

- i commi da 2 a 5 dell'articolo 67 del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427;

- i commi 2 e 3 dell'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133;

- l'articolo 3 della legge 13 gennaio 1994, n. 43;

- il comma 1 dell'articolo 4 del decreto-legge 10 giugno 1994, n. 357, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1994, n. 489;

- l'articolo 5 della legge 23 dicembre 1994, n. 725;

- l'articolo 6 e i commi 1, 3, 4 e 5 dell'articolo 7 del decreto-legge 8 gennaio 1996, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 marzo 1996, n. 110;

- ogni altra disposizione incompatibile con l'applicazione del medesimo decreto legislativo n. 461 del 1997.

Si ricorda, infine, che ai sensi della disposizione contenuta nel secondo comma dell'articolo 16 in commento, ai fini della determinazione degli acconti dell'IRPEF e dell'IRPEG dovuti per il periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data del 31 marzo 1998, non si tiene conto delle ritenute alla fonte a titolo di acconto di cui agli articoli 26, comma 3, e 27 del D.P.R. n. 600 del 1973, e di cui all'articolo 5 del decreto-legge 30 settembre 1983, n. 512, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre 1983, n. 649, abrogate dallo stesso decreto legislativo e scomputate per il periodo d'imposta precedente.

Gli Uffici in indirizzo sono pregati di dare la massima diffusione al contenuto della presente circolare.