§ 98.1.42244 - Circolare 17 maggio 2000, n. 98/E .
Risposte a quesiti in materia di imposte sui redditi, I.R.A.P., I.V.A., sanzioni tributarie e varie .


Settore:Normativa nazionale
Data:17/05/2000
Numero:98

§ 98.1.42244 - Circolare 17 maggio 2000, n. 98/E .

Risposte a quesiti in materia di imposte sui redditi, I.R.A.P., I.V.A., sanzioni tributarie e varie .

 

Emanata dal Ministero delle finanze, Dipartimento delle entrate, Direzione centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tributario, Ufficio fiscalità finanziaria.

 

 

Alle Direzioni regionali delle entrate 

 

Agli Uffici delle entrate 

 

Agli Uffici distrettuali delle imposte dirette 

 

Agli Uffici provinciali I.V.A. 

 

Agli Uffici del Registro 

 

Ai Centri di servizio delle imposte dirette e 

 

indirette 

e, p. c.: 

Alle Direzioni centrali del Dipartimento delle 

 

entrate 

 

Al Segretariato generale 

 

Al Servizio centrale degli ispettori tributari 

 

Al Comando generale della Guardia di Finanza 

 

Loro sedi 

 

 

In relazione ai quesiti delle materie indicate in oggetto, formulate da organi di stampa specializzati, questo Ministero ha fornito le risposte che, per opportuna conoscenza, sono di seguito riportate.

 

 

1. Reddito d'impresa

Beni ammortizzabili

1.1.1. Cespiti venduti in corso d'esercizio: calcolo degli ammortamenti

D. Nel caso di cespiti venduti nel corso dell'esercizio qual è la procedura ritenuta corretta ai fini fiscali per il calcolo degli ammortamenti: l'ammortamento deve essere calcolato per il periodo decorrente dall'inizio del periodo d'imposta fino al momento in cui il bene risulta ceduto; l'ammortamento deve essere calcolato per il periodo decorrente dall'inizio del periodo d'imposta fino al momento in cui il bene risulta parte attiva del processo produttivo; l'ammortamento per il periodo d'imposta in cui avviene la cessione può non essere calcolato.

R. Per i beni ceduti antecedentemente alla chiusura dell'esercizio non devono essere operati i relativi ammortamenti atteso che il residuo costo fiscale concorrerà al calcolo delle relative plusvalenze ovvero minusvalenze, in conformità con la tecnica contabile suggerita - sul piano civilistico - dal principio contabile del C.N.D.C. e del C.N.R. n. 16, punto D. XII.

1.1.2. Classificazione fiscale dei vigneti di proprietà di una casa vinicola

D. Una casa vinicola è proprietaria di diversi vigneti.

Qual è la giusta classificazione fiscale dei vigneti ed in particolare con riguardo al D.M. 31 dicembre 1988 qual è l'aliquota d'ammortamento applicabile agli stessi?

R. L'ammortamento è una procedura tecnico-contabile attraverso la quale si ripartisce nei vari esercizi l'onere del deperimento e del consumo relativo alla utilizzazione di beni strumentali di durata pluriennale.

Ciò premesso, si rammenta che i terreni, ancorché assolvano ad una funzione di strumentalità nell'esercizio delle attività, non sono ammortizzabili, atteso che, per la loro natura, non sono suscettibili di deperimento e consumo.

Relativamente ai costi di acquisizione e di messa in opera dei vigneti, si precisa che gli stessi non sono ammortizzabili secondo i criteri ordinari ma, rientrando tra le spese relative a più esercizi, sono deducibili secondo la regola stabilita dall'art. 74, comma 3, del T.U.I.R. (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.)

1.1.3. Spese che incrementano il valore di un bene ammortizzabile

D. Nel caso di spese incrementative del valore di un bene ammortizzabile si deve procedere ad incrementare il valore contabile dello stesso.

Successivamente come ci si deve comportare ai fini del calcolo dell'ammortamento? È corretto ritenere che le aliquote di ammortamento fissate dal D.M. 31 dicembre 1988 debbano essere applicate al valore complessivo del cespite (costo originario più spesa incrementativa)?

R. Qualora le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione siano imputate ad incremento del costo del bene cui si riferiscono, gli ammortamenti vanno computati, anche ai fini fiscali, sull'intero valore incrementato

1.2. Contributi

1.2.1. Disciplina fiscale dei contributi in conto impianti deliberati prima del 31 dicembre 1998, nell'ambito degli interventi per il Mezzogiorno

D. Una società ha incassato nel 1999 contributi in conto impianti deliberati in epoca precedente al 31 dicembre 1998. I contributi sono stati concessi ai sensi del testo unico delle leggi sugli interventi per il Mezzogiorno.

È corretto ritenere:

- che la società abbia la possibilità di applicare ai contributi incassati la disciplina contenuta nel testo previgente dell'art. 55 del T.U.I.R. (imputazione del 50% a riserva in sospensione d'imposta e tassazione in 5 o 10 periodi d'imposta per la parte rimanente);

- che tale imputazione a riserva sia rilevante ai fini del calcolo della base della DIT (al contrario di quanto sostenuto dalle istruzioni ministeriali al modello unico dello scorso anno).

R. La risposta al quesito è stata fornita con le istruzioni della dichiarazione Unico 99 Società di capitali (p.99) di cui si riporta per esteso il testo.

Per espressa previsione della nuova lett. b) del comma 3 del citato art. 55 del T.U.I.R., resta ferma l'applicazione delle agevolazioni connesse alla realizzazione di investimenti produttivi concesse nei territori montani di cui alla legge 31 gennaio 1994, n. 97, nonché quelle concesse ai sensi del testo unico delle leggi sugli interventi nel mezzogiorno di cui al D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, per la decorrenza prevista al momento della concessione. Pertanto, ai contributi concessi in base a tali provvedimenti continuerà ad applicarsi la disciplina vigente al momento della concessione anche se il loro incasso si verifica a partire dall'esercizio in corso al 1° gennaio 1998.

Si ritiene, altresì, che la quota di contributo accantonato a riserva rilevi anche ai fini del calcolo della DIT.

1.2.2. Rimborso parziale di contributi in conto capitale incassati in anni precedenti: disciplina fiscale

D. Nel caso di rimborso parziale di contributi in conto capitale incassati in anni precedenti, causati dal verificarsi di alcune ipotesi previste dalla normativa di concessione (ad esempio dismissione dell'investimento), considerato che, i contributi erano stati trattati come prevedeva l'art. 55 del T.U.I.R. fino al 31 dicembre 1998 (imputazione a riserva in sospensione del 50% del contributo incassato e tassazione in 5 esercizi della parte rimanente) e che il rimborso richiesto è forfettariamente pari al 25% del contributo erogato a suo tempo, si chiede qual è il corretto comportamento fiscale con riguardo all'esborso finanziario richiesto, all'annullamento della riserva in sospensione e al conseguente annullamento di quanto imputato in diminuzione del prezzo di acquisto dell'impianto agevolato riscontrato e non ancora imputato a conto economico.

R. Il quesito si riferisce a contributi in conto capitale incassati entro il 31 dicembre 1997 ed in parte da restituire per effetto di provvedimento successivamente intervenuto.

Il 50% di tali contributi risultava iscritto nella riserva in sospensione d'imposta e il restante 50% era stato suddiviso in cinque quote da far concorrere al reddito in cinque esercizi a decorrere da quello in cui i contributi erano stati incassati.

La successiva restituzione del contributo sarà pertanto rilevata, per la metà, in contropartita della riserva in sospensione che, per pari ammontare, sarà annullata senza rilevanza fiscale.

La restante metà di contributo restituito, invece, andrà suddivisa in cinque quote, in relazione ai cinque esercizi per i quali il contributo avrebbe concorso o ha effettivamente concorso al reddito. Di queste cinque quote, quelle riferibili agli esercizi non ancora chiusi verranno computate annualmente in diminuzione dell'importo di contributo ancora da assoggettare a tassazione; le altre, non potendo ovviamente essere scomputate dalla parte di contributo che, negli esercizi precedenti, è stata già assoggettata a tassazione, determineranno necessariamente una sopravvenienza passiva, per il loro complessivo ammontare, nell'esercizio in cui il contributo è stato restituito.

In sostanza, dal punto di vista fiscale, la restituzione del contributo inciderà pro quota sulla riserva e sui cinque esercizi, con gli stessi criteri mediante cui il contributo era stato originariamente ripartito ai fini della tassazione; resta ovviamente fermo il limite degli esercizi già chiusi, con riferimento ai quali non può essere operata la correlativa riduzione della quota di contributo ormai tassata, potendosi solo avere una sopravvenienza passiva, per l'importo corrispondente, nell'esercizio in cui avviene la restituzione.

Esempio:

- Contributo incassato nell'anno 1997 pari a: 100

- Contributo da restituire nel 1999 pari a: 25

Il contributo di 100, incassato nel 1997, era stato così ripartito: 50 quale riserva in sospensione di imposta; 50 da assoggettare pro quota a tassazione in cinque esercizi, a partire dal 1997. Di conseguenza, nel 1997 e nel 1998 è stata assoggettata a tassazione una quota annua di contributo pari a 10.

La restituzione di contributo, avvenuta nel 1999 in misura di 25, comporterà la riduzione della riserva in sospensione d'imposta per metà dell'importo restituito, cioè per 12,5.

La restante metà, pari a 12,5, andrà invece suddivisa in cinque quote, pari a 2,5. Nel 1999, conseguentemente, verrà rilevata una sopravvenienza passiva di 5 (in ragione della quota annua di 2,5 riferibile ai due esercizi 1997 e 1998, già chiusi); l'importo annuo da assoggettare a tassazione in ciascuno dei tre esercizi 1999, 2000 e 2001 sarà invece ridotto dalla misura originaria di 10 a quella di 7,5, cioè 10 - 2,5.

1.3. Agevolazione Visco

1.3.1. Ammortamenti

D. Con riferimento alla legge 13 maggio 1999, n. 133 che si intende applicare a soggetto Irpeg con bilancio che chiude il 31 luglio 1999, poiché la norma richiede che gli investimenti devono essere ridotti dagli ammortamenti relativi a beni della stessa tipologia, la riduzione si deve intendere riferita ai soli beni sostituiti, o invece a tutti gli ammortamenti effettuati?

L'articolo 2, comma 9, della citata legge n. 133 del 1999 dispone che il valore degli investimenti deve essere assunto al netto degli ammortamenti dedotti. A quali ammortamenti fa riferimento la norma? A tutti quelli aventi rilevanza fiscale ad eccezione di quelli concernenti i beni oggettivamente esclusi dall'agevolazione? Come occorre comportarsi con gli ammortamenti anticipati?

R. Ai sensi del comma 9 dell'art. 2 della legge n. 133 del 1999, e delle modifiche inserite nel collegato fiscale in corso di approvazione, gli investimenti previsti dal precedente comma 8 rilevano per ciascun periodo agevolato per la parte eccedente le cessioni, le dismissioni e gli ammortamenti dedotti. Con riguardo agli ammortamenti si fa presente che rilevano quelli riferiti a tutti i beni di cui all'art. 67 e 68 del T.U.I.R. esistenti nel patrimonio dell'impresa con esclusione dei:

- beni indicati all'art. 121-bis, comma 1, lett. a), n. 1), del T.U.I.R., tranne quelli destinati ad essere utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell'attività propria dell'impresa o adibiti ad uso pubblico;

- tutti i beni immobili, tranne gli impianti e gli opifici appartenenti alla categoria catastale D/1, utilizzati esclusivamente dal possessore per l'esercizio dell'impresa o, se in corso di costruzione, destinati a tale utilizzo;

- tutti i beni nuovi di cui all'art. 67 e 68 del T.U.I.R. acquisiti nel biennio agevolato per i quali si richiede l'agevolazione in argomento.

Gli ammortamenti anticipati, sia in caso di imputazione del relativo ammontare a conto economico ovvero in un'apposita riserva di utili, vanno portati a riduzione dell'ammontare degli investimenti, ad eccezione di quelli relativi ai beni sopra individuati.

1.3.2. Riporto delle eccedenze al secondo periodo d'imposta agevolato

D. Tra le disposizioni correttive della legge n. 133 del 1999 particolare importanza riveste la possibilità di utilizzare nel corso del 2000 l'eventuale parametro risultato in eccesso nel periodo di imposta precedente. Analogamente è consentito fruire nel 2000 l'agevolazione maturata nel 1999 ma non utilizzabile in tale periodo di imposta per incapienza del reddito complessivo. Si chiede se, nel caso di incapienza del reddito realizzato realizzato nel corso del 2000, l'agevolazione non fruita debba considerarsi irrimediabilmente persa o possano invece configurarsi meccanismi atti a recuperare nei periodi successivi tale beneficio.

R. L'articolo 3 del collegato fiscale in corso di approvazione stabilisce che gli ammontari determinati ai sensi del comma 9 dell'art. 2 della legge n. 133 del 1999 degli investimenti, dei conferimenti e degli accantonamenti di utili a riserve riferiti al primo periodo agevolato che non hanno rilevato ai fini dell'applicazione dell'agevolazione di detto periodo sono computati nel periodo successivo. Ciò posto si precisa che gli ammontari degli investimenti, dei conferimenti e degli accantonamenti di utili a riserva di cui sopra riferiti al secondo periodo agevolato che non hanno rilevato per l'agevolazione di detto periodo non potranno essere computati nell'esercizio successivo, atteso che l'agevolazione spetta, per i soggetti aventi periodo d'imposta coincidente con l'anno solare, per il solo biennio 1999-2000.

1.3.3. Imprese di nuova costituzione

D. I soggetti nati dopo l'entrata in vigore della legge n. 133 del 1999 possono beneficiare della detassazione per il periodo di imposta successivo quello ipotetico che avrebbe compreso questa data?

R. Per le imprese costituitesi successivamente alla data del 18 maggio 1999, data di entrata in vigore della legge n. 133 del 1999, ma comunque entro la data del 31 dicembre 2000, l'agevolazione in argomento si applica esclusivamente per il primo periodo d'imposta.

1.3.4. Società con esercizio a cavallo

D. Ci sono società che hanno chiuso prima del 31 dicembre 1999 l'esercizio che comprende la data di entrata in vigore della legge n. 133 del 1999. Questi soggetti, pur essendo beneficiari dell'agevolazione, dovranno dichiarare i redditi con il vecchio modello, che non prevede un quadro dedicato alla detassazione. Come dovranno comportarsi a livello operativo? È possibile determinare la minore imposta dovuta e indicare solo tale importo nel modello, compilando a parte un quadro RJ del nuovo modello 760 e conservandolo per eventuali richieste dell'Ufficio?

R. Le società soggette ad Irpeg che hanno chiuso l'esercizio in data antecedente al 31 dicembre 1999 e fruiscono dell'agevolazione in argomento dovranno compilare la dichiarazione dei redditi utilizzando il modello UNICO 99. Tenuto conto che il predetto modello non contiene un quadro specifico per la determinazione dell'agevolazione, si ritiene che i relativi calcoli possano essere effettuati separatamente, utilizzando anche il quadro RJ del nuovo modello UNICO 2000 che verrà conservato per eventuali richieste da parte dell'Ufficio. Per la determinazione dell'imposta del 19 per cento sulla parte di reddito agevolato il soggetto dovrà compilare i righi RG7 o RG8 del quadro RG dell'UNICO 1999.

1.3.5. Investimenti: calcolo in presenza di contributi in conto impianti

D. Nel computo degli investimenti lordi possono entrare anche beni per i quali l'impresa ha beneficiato di contributi in conto impianti. Deve essere considerato l'importo dell'acquisto al lordo del contributo (ammontare dell'investimento) oppure al netto del contributo ricevuto (costo fiscalmente riconosciuto)?

R. La disposizione contenuta nell'art. 76, comma 1, lett. a), del T.U.I.R. è stata modificata dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449 (legge finanziaria 1998), a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 1997, che ne ha espunto le parole finali "e gli eventuali contributi"; pertanto, l'investimento deve essere assunto al netto del contributo.

1.3.6. Investimenti: ammortamenti da dedurre

D. Gli investimenti netti vanno determinati sottraendo dall'ammontare investito gli ammortamenti dedotti nel periodo. Si chiede se devono essere sottratti anche gli ammortamenti relativi ai beni nuovi oggetto di investimento e, quindi dell'agevolazione.

R. Gli ammortamenti relativi ai beni nuovi oggetto d'investimento, non devono essere sottratti, nel biennio agevolato, dagli investimenti realizzati per la determinazione dell'importo che rileva a fini agevolativi.

Nel caso contrario, infatti, si introdurrebbe una evidente distorsione nel mercato, avvantaggiando notevolmente le imprese che utilizzano i beni in leasing rispetto a quelle che li acquistano in proprietà, in palese contrasto con il principio generale di neutralità più volte espresso dal legislatore. Si veda, ad esempio, la relazione accompagnatoria del disegno di legge di conversione del decreto legge n. 414 del 1989 (recante modifiche all'art. 67 del T.U.I.R.), in cui si sottolinea la necessità "di assicurare nel tempo, in relazione alle mutevoli condizioni di mercato, la necessaria neutralità fiscale della scelta aziendale tra acquisizione dei beni in proprietà o in leasing".

Deve tenersi presente, inoltre, la ratio del particolare sistema di calcolo disciplinato dal citato comma 9, lett. a), il quale, facendo rilevare solo la parte di investimenti che eccede cessioni, dismissioni e ammortamenti, impone un confronto tra due entità: quella che rappresenta gli incrementi della struttura produttiva (investimenti) e quella che, al contrario, indica il depauperamento dell'apparato produttivo stesso (ammortamenti, cessioni, dismissioni).

Il meccanismo, come strutturato, induce le imprese ad effettuare investimenti "aggiuntivi", che costituiscono un reale ampliamento (piuttosto che un mero mantenimento) del suddetto apparato. Pertanto, anche in questa prospettiva, appare illogico computare, in diminuzione dell'investimento, la quota di ammortamento relativa al bene investito, il cui importo deve invece rilevare interamente ed unitariamente tra gli incrementi.

Gli ammortamenti relativi ai beni oggetto dell'investimento non rilevano neppure nel successivo periodo d'imposta oggetto dell'agevolazione.

1.3.7. Investimenti: cessioni e dismissioni

D. I beni ceduti o dismessi influenzano negativamente il calcolo degli investimenti netti. L'importo da considerare ai fini del calcolo deve essere il corrispettivo della cessione oppure il valore residuo ammortizzabile?

R. Ai sensi del comma 9 dell'articolo 2 della legge n. 133 del 1999 gli investimenti devono riguardare beni destinati a strutture situate nel territorio dello Stato e rilevano per la parte eccedente le cessioni, le dismissioni e gli ammortamenti dedotti.

A fronte delle cessioni dei beni, l'ammontare che riduce quello degli investimenti, coincide con il corrispettivo pattuito tra le parti.

1.3.8. Investimenti: entrata in funzione del bene

D. La norma di agevolazione non richiede espressamente che i beni oggetto di investimento siano entrati in funzione nel periodo agevolato. Sembrerebbe quindi sufficiente, per determinare il periodo di competenza dell'investimento, l'avvenuta consegna (per i beni mobili). Si chiede se questa impostazione, in linea con le istruzioni a suo tempo contenute nella circolare n. 181/E del 27 ottobre 1994, è corretta.

R. Con riguardo al periodo d'imposta in cui gli investimenti rilevano ai fini dell'agevolazione, si rileva che la norma di cui al comma 8 richiama "gli investimenti in beni strumentali nuovi di cui agli articoli 67 e 68 del citato testo unico ... effettuati negli stessi periodi ...".

Ciò induce a ritenere che la fruizione del beneficio fiscale è subordinata non solo all'acquisizione del bene nel periodo d'imposta, da assumere secondo i criteri stabiliti all'articolo 75 del T.U.I.R., ma anche alla circostanza che nello stesso periodo d'imposta il bene sia entrato in funzione.

In altri termini, l'investimento si computa nell'esercizio a partire dal quale il bene stesso, inserito nel processo produttivo, è ammortizzabile ai fini fiscali.

Tale conclusione trae argomento dalla interpretazione sistematica oltre che dal tenore letterale della norma in esame.

Il riferimento ai "beni strumentali … di cui agli articoli 67 e 68" attribuisce senza equivoci una precisa qualificazione giuridica ai beni oggetto di investimento. Questi devono essere strumentali ed ammortizzabili, possedere cioè caratteristiche che, ai sensi del richiamato art. 67, comma 1, del T.U.I.R., sono ad essi riconosciute nell'"esercizio di entrata in funzione".

La tesi trova conferma, sul piano semantico, nello stesso termine utilizzato dal legislatore per definire gli investimenti, che devono essere "effettuati", ossia mandati ad effetto, messi in opera, realizzati.

Sotto altro profilo, si osserva che il requisito della strumentalità o entrata in funzione costituisce l'unico riferimento utile per riscontrare la destinazione del bene a strutture situate nel territorio dello Stato. In più, consente di annoverare tra gli investimenti agevolabili, come sarà detto in avanti, anche i beni acquistati da un soggetto che non sia né il produttore né il rivenditore. Gli stessi, infatti, in tanto potranno considerarsi "nuovi" in quanto non siano mai entrati in funzione, cioè non siano stati utilizzati dal cedente.

Può presentarsi il caso che un determinato bene, acquisito in prossimità della fine del periodo d'imposta, presenti caratteristiche tecniche e strutturali che ne impediscano l'entrata in funzione nello stesso periodo. Dovendosi evitare applicazioni aberranti della norma che, in contrasto con le finalità perseguite dal legislatore, potrebbero vanificare lo sforzo degli operatori commerciali al rilancio degli investimenti, è da ritenere che nelle circoscritte ipotesi appena richiamate l'investimento possa ritenersi effettuato nel periodo d'imposta di acquisizione del bene, a condizione che il soggetto interessato possa dimostrare l'oggettivo impedimento ad utilizzarlo entro lo stesso periodo.

1.3.9. Investimenti: beni in comodato

D. Il Ministero ha spesso confermato la strumentalità dei beni che un'impresa concede a terzi in comodato d'uso, sempre che si tratti di una operazione inerente l'attività. Si dovrebbe quindi estendere l'agevolazione anche all'acquisto di questo tipo di beni, a condizione che la destinazione finale dei medesimi sia all'interno del territorio dello Stato. Si chiede una conferma di questa possibilità.

R. I beni concessi a terzi in comodato d'uso sono agevolabili purché strumentali ed inerenti.

In merito alla strumentalità si fa rinvio a quanto precisato con circolare n. 37/E del 13 febbraio 1997 e circolare n. 48/E del 10 febbraio 1998 ed in particolare a quei beni senza i quali l'attività non può essere esercitata.

L'inerenza del bene sussiste nella circostanza in cui lo stesso cede le proprie utilità all'impresa proprietaria e non a quella che lo ha utilizzato (tra le altre cfr. risoluzione ministeriale 5 gennaio 1981 n. 9/2320).

1.4. DIT

1.4.1. Patrimonio dei soggetti Irpef

D. Le nuove regole introdotte dal D.Lgs. n. 9 del 18 gennaio 2000 (a decorrere dal 2000) prevedono per le imprese individuali e società di persone, il riferimento all'intero patrimonio, così come risulta dal bilanci, ai fini della determinazione dell'aumento del capitale investito DIT. Quale rilevanza "temporale" si deve attribuire alle eventuali variazioni patrimoniali che si sono verificate in corso d'anno (ad esempio versamenti o prelevamenti effettuati negli ultimi mesi)?

R. L'articolo 5, comma 1, del D.Lgs. n. 466 del 1997, come modificato dal D.Lgs. n. 9 del 18 gennaio 2000, prevede che per le imprese individuali e le società di persone commerciali la variazione in aumento del capitale investito è costituita dal patrimonio netto risultante dal bilancio alla data di chiusura dell'esercizio con esclusione dell'utile del medesimo periodo. Conseguentemente, le variazioni patrimoniali che si sono verificate nel corso dell'anno non assumono rilevanza ai fini di cui trattasi. Al riguardo è opportuno ricordare che, per effetto dell'articolo 6, comma 2, del citato D.Lgs. n. 466 del 1997, si rendono applicabili le disposizioni antielusive di cui all'articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.

1.4.2. Riclassificazione degli ammortamenti anticipati

D. Per effetto del principio contabile n. 25 la riclassificazione degli ammortamenti anticipati del passato quale rilevanza assume ai fini DIT? Infatti se si seguono in maniera letterale le regole DIT si arriverebbe alla conclusione che la Riserva formata con la riclassificazione non assume rilevanza ai fini dell'agevolazione in quanto non risulta formata da utili di esercizio. Questa sarebbe una interpretazione basata su una visione solo formale dell'operazione: è ovvio infatti che la "cancellazione" dei passati ammortamenti contabili produce maggiori ammortamenti futuri, che deprimeranno gli utili civilistici futuri con effetti negativi ai fini DIT che, nel caso specifico, si sono già realizzati in passato. In pratica nel nostro caso con una interpretazione formale si arriverebbe a dire che quegli stessi ammortamenti, che transiteranno nuovamente nel conto economico degli esercizi futuri, produrranno, per la seconda volta, una riduzione dell'utile di esercizio assoggettabile alla DIT. Visti gli evidenti effetti penalizzanti sarebbe opportuno analizzare la questione dal punto di vista sostanziale per cui si potrebbe arrivare al riconoscimento del beneficio DIT alla parte di Riserva di Ammortamenti Anticipati rappresentativa delle passate riduzioni dell'utile di esercizio che hanno impedito la fruizione del beneficio. In sostanza l'applicazione di questo principio dovrebbe consentire di considerare l'effetto DIT per quell'importo che sarebbe scaturito se anche negli esercizi 1997 e 1998 si fosse applicato il criterio raccomandato. Anche l'Assonime nella circolare n. 46 del 1999, seppur in tono dubitativo, si è espressa nel senso della rilevanza ai fini DIT dell'incremento del patrimonio netto derivante dalla riclassificazione di precedenti ammortamenti anticipati.

R. L'articolo 1, comma 4, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 466 stabilisce che rilevano ai fini della variazione in aumento del capitale investito gli utili accantonati a riserva, fatta eccezione dell'utile accantonato a riserva di cui all'articolo 2426, comma 1, n. 4, del codice civile (così detta riserva da "equity method").

Può accadere che l'impresa, in sede di destinazione dell'utile dell'esercizio deliberi di accantonare nell'apposita riserva la quota di ammortamento anticipato. In tal caso l'impresa procede alla deduzione ai fini fiscali di tale quota mediante una apposita variazione in diminuzione in dichiarazione dei redditi.

Come chiarito nella circolare n. 76/E del 6 marzo 1998, al paragrafo 4.2.1, l'utile in questione rileva ai fini della variazione del capitale ai fini DIT.

Diversamente, nell'ipotesi in cui l'ammortamento anticipato sia imputato a conto economico riducendo in tal modo l'utile dell'esercizio, l'impresa non potrà accantonare a riserva il corrispondente importo con conseguente penalizzazione ai fini dell'agevolazione.

Ciò comporta sicuramente dei problemi nell'ipotesi in cui l'impresa, dopo aver contabilizzato a conto economico gli ammortamenti anticipati, modifichi successivamente il criterio d'imputazione degli stessi, trasferendo nella riserva per ammortamenti anticipati l'importo sino a quale momento accantonato nel fondo ammortamento.

In questo caso, infatti, i citati ammortamenti, negli anni successivi devono essere di nuovo contabilizzati a conto economico, con la conseguenza di ridurre per la seconda volta il risultato d'esercizio e incidere in tal modo negativamente ai fini DIT.

A riguardo si ritiene di non poter, tuttavia, accedere alla tesi prospettata nel quesito.

Premesso che la metodologia di rilevazione dell'utile non può che essere quella civilistica, come indica l'intero iter legislativo del D.Lgs. n. 466 del 1997, non è individuabile una interpretazione sostanziale che, senza confliggere con il dato testuale, possa essere pacificamente assunta in via sistematica per tutte le diverse ipotesi e applicazioni possibili.

Attribuire natura di accantonamento di utili alle riserve formate con la riclassificazione dei pregressi ammortamenti anticipati provoca distorsioni ancora maggiori.

È infatti necessario valutare contestualmente gli effetti di una tale impostazione sia ai fini della DIT che ai fini delle agevolazioni introdotte con la legge 13 maggio 1999, n. 133, commi 8-12.

Ai fini DIT, in coerenza con la struttura del beneficio, si dovrebbe riconoscere natura di accantonamento di utili non all'intera riserva, bensì alla sola parte di essa riferibile agli ammortamenti anticipati contabilizzati negli esercizi successivi a quello in corso al 30 settembre 1996 e solo nel caso in cui, allora, non fossero state conseguite perdite, a fronte delle quali il soggetto non avrebbe comunque avuto titolo a fruire della DIT.

Peraltro, a diversa conclusione dovrebbe pervenirsi sul piano sostanziale agli effetti della legge 13 maggio 1999, n. 133, commi 8-12, nonostante che la lett. b) del comma 9 faccia esplicito rinvio all'articolo 1, commi 4 e 5, del citato D.Lgs. n. 466 del 1997, per la individuazione e determinazione degli accantonamenti di utili rilevanti in tale ambito.

In relazione alle finalità e alla struttura di tali ulteriori agevolazioni, che sono temporanee e rigorosamente circoscritte al periodo di imposta in corso al 18 maggio 1999 e al successivo, non avrebbe significato dare rilevanza alla sola parte di riserva derivante dalla riclassificazione degli ammortamenti anticipati effettuati negli esercizi successivi a quello in corso al settembre 1996.

E, d'altra parte, la possibilità di tenere conto di essa attribuirebbe ingiustificati vantaggi ai soggetti che in passato avevano imputato a conto economico gli ammortamenti anticipati: vantaggi immediati e non più compensabili, nel contesto di una agevolazione temporanea, con gli eventuali minori utili successivi.

In definitiva, la tesi "sostanziale" prospettata non può essere condivisa in quanto, non essendo univoca né estensibile in via sistematica alle diverse fattispecie disciplinate dalla norma, è inidonea ad interpretare in modo coerente il dato testuale.

1.4.3. Limite patrimoniale per l'accesso al beneficio DIT

D. In relazione alla limitazione del beneficio della super DIT per le società quotate sarebbe opportuno specificare se il limite di 500 miliardi è una condizione per l'applicazione del beneficio e quindi interessa solo il periodo precedente a quello per cui si applica l'agevolazione ovvero se si tratta di una verifica che riguarda separatamente ciascuno degli anni agevolati. Qualora fosse la seconda ipotesi quella ritenuta corretta dal Ministero si dovrebbe anche chiarire se tale limitazione influenza le agevolazioni già in corso.

R. Il decreto legislativo 23 dicembre 1999, n. 505 ha, tra l'altro, introdotto alcune modifiche all'articolo 6 del decreto legislativo n. 466 del 1997, stabilendo che le disposizioni che prevedono l'aliquota Irpeg agevolata al 7 per cento e l'aliquota media minima del 20 per cento, non si applicano alle società i cui titoli di partecipazione sono ammessi alle quotazioni nei mercati regolamentati aventi patrimonio netto superiore a 500 miliardi di lire, come risultante dal bilancio dell'esercizio precedente a quello di riferimento, escluso l'utile del medesimo esercizio.

Al riguardo, si precisa che laddove il patrimonio netto alla fine del periodo d'imposta precedente dovesse superare l'importo di 500 miliardi di lire, per il periodo d'imposta successivo le predette aliquote del 7 e del 20 per cento non sono applicabili e l'intero importo del reddito agevolabile determinato secondo le disposizioni di cui al citato decreto legislativo n. 466 del 1997, è assoggettato all'aliquota Irpeg ridotta al 19 per cento e con il vincolo dell'aliquota media minima del 27 per cento.

Inoltre, in coerenza con quanto precisato nella circolare n. 76/E del 6 marzo 1998, paragrafo 10, si fa presente che nell'ipotesi in cui il citato limite di 500 miliardi di patrimonio netto dovesse essere superato, anche l'eventuale riporto di quote di reddito agevolato costituite in anni precedenti, ove il soggetto poteva fruire dell'aliquota agevolata del 7 per cento, devono essere utilizzate con l'aliquota del 19 per cento.

Ciò posto si ritiene che la limitazione ivi prevista, che interviene a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 1999, influenza anche le agevolazioni fruibili dalle società che si sono già quotate.

1.5. Altri quesiti relativi alle imprese

1.5.1. Cessione dell'unica azienda già di società incorporata: avviamento

D. Alfa è incorporata da Beta che imputa il disavanzo di fusione, pari a £. 2.000 milioni, alla voce avviamento. Il disavanzo di fusione è riconosciuto fiscalmente ai sensi del D.Lgs. n. 358 del 1997. Successivamente Beta cede a Gamma l'unica azienda acquisita per incorporazione, cui è riconosciuto un plusvalore di £. 4.500 milioni, senza considerare il valore di avviamento pari a £. 2.000 milioni. Beta possedeva l'azienda da più di tre anni. Si chiede quale tra i tre prospettati risulti il comportamento fiscale da osservare:

- tra i beni oggetto di cessione tra Beta e Gamma si comprende anche l'avviamento da fusione. La cessione di azienda genera una plusvalenza in capo a Beta di 2.500 milioni, assoggettabile all'imposta sostitutiva del 27 per cento, ai sensi del D.Lgs. n. 358 del 1997;

- l'avviamento da fusione non viene ceduto ed è dedotto fiscalmente in 10 anni e la cessione di azienda genera una plusvalenza di £. 4.500 milioni, assoggettabile all'imposta sostitutiva del 27 per cento ai sensi del D.Lgs. n. 358 del 1997;

- l'avviamento da fusione non viene ceduto ed è dedotto fiscalmente in dieci anni, la cessione di azienda genera una plusvalenza di 4.500 che fino a concorrenza dell'avviamento (2.000 milioni è soggetta ad imposizione ordinaria) Irpeg 37 per cento pagabile in 5 annualità e per la differenza £ 2.500 milioni assoggettabili all'imposta sostitutiva del 27 per cento, pagabile in 5 annualità.

R. Nel caso prospettato, si suppone che Beta detenesse in bilancio l'intera partecipazione in Alfa per un importo, fiscalmente riconosciuto, di £. 10.000 milioni e che il patrimonio netto di Alfa, anche fiscalmente riconosciuto, fosse pari a £. 8.000 milioni. Al momento della incorporazione di Alfa, Beta imputa il disavanzo di £. 2.000 milioni alla voce "avviamento", con valenza anche fiscale nel presupposto che risultino realizzate le condizioni di cui al 2° comma dell'art. 6 del D.Lgs. n. 358 del 1997. Si suppone altresì che Beta, dopo avere incorporato Alfa, cede a Gamma l'unica azienda (già di Alfa) per un corrispettivo di £. 12.500 milioni, conseguendo una plusvalenza di £. 2.500 milioni rispetto al costo fiscale riconosciuto all'azienda, comprensivo dell'avviamento iscritto a fronte del disavanzo.

L'avviamento, costituendo una componente del costo dell'azienda ceduta, non può infatti restare iscritto nel bilancio di Beta.

Con questa precisazione, dunque, la giusta soluzione, tra le tre prospettate, è la prima.

1.5.2. Appalto per la fornitura di macchinari "chiavi in mano": esercizio di competenza

D. Nel caso di contratti di appalto che prevedono la fornitura di macchinari "chiavi in mano" è corretto ritenere:

- che la competenza dell'appalto debba essere decisa con riguardo al momento di ultimazione della prestazione ai sensi dell'art. 75 del T.U.I.R.?

- che l'ultimazione della commessa deve farsi coincidere con l'accettazione esplicita della fornitura da parte del fornitore risultando ininfluente la consegna?

- che dopo l'intervento dell'accettazione da parte del cliente eventuali modifiche o aggiunta al progetto originario debbano dar luogo ad una nuova pattuizione con le parti e non possano al contrario riaprire il contratto ormai concluso?

R. L'art. 75, comma 2, lett. b), del T.U.I.R., dispone, tra l'altro, che: "i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate ...".

Con particolare riferimento al contratto di appalto, si fa presente che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 2928 del 23 novembre 1995, ha affermato che concorrono a formare il reddito imponibile di un periodo i ricavi per corrispettivi di appalti ultimati nel periodo stesso e non anche quelli degli appalti in corso ma non ultimati, precisando che l'appalto, ai fini della configurazione del criterio di competenza, inteso in senso giuridico, può considerarsi ultimato solo a partire dal giorno in cui è intervenuta l'accettazione dell'opera da parte del committente, nel quale si perfeziona il diritto dell'appaltatore al corrispettivo, ai sensi dell'art. 1665 del codice civile.

Atteso ciò, deve ritenersi che anche ai fini fiscali trovi applicazione il criterio testé enunciato.

Nell'ipotesi in cui sia intervenuta l'accettazione dell'opera realizzata con il contratto di appalto, e il committente intenda apportare modifiche o aggiunte al progetto originario, le nuove pattuizioni intercorse tra committente ed appaltatore, determinano l'insorgere di un nuovo contratto di appalto che, in quanto tale, sarà assoggettato ad autonoma disciplina fiscale.

1.5.3. Impresa familiare

D. È possibile enunciare la conduzione sotto la forma di impresa familiare, mediante una atto formalizzato alla data di inizio dell'attività e con effetto dalla suddetta data, cioè dall'anno stesso?

R. L'art. 5, comma 4, del T.U.I.R. prevede che i redditi delle imprese familiari di cui all'art. 230-bis del codice civile, limitatamente al 49 per cento, sono imputati a ciascun familiare subordinatamente alla verifica di determinate condizioni. In particolare, una di queste condizioni prevede che i familiari dell'impresa debbano risultare "nominativamente, con l'indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l'imprenditore, da atto pubblico o da scrittura privata autenticata anteriore all'inizio del periodo d'imposta, recante la sottoscrizione dell'imprenditore e dei familiari partecipanti".

Al riguardo, occorre distinguere l'ipotesi in cui l'impresa sia già esistente e successivamente, nel corso dell'anno, venga enunciata la conduzione sotto la forma di impresa familiare, da quella in cui l'attività sia iniziata "ex novo" nel corso dell'anno sotto forma di impresa familiare.

Nella prima ipotesi il predetto atto di enunciazione dell'impresa familiare formalizzato in data anteriore all'inizio dell'attività dell'impresa familiare avrà effetto fiscale a decorrere dal periodo d'imposta successivo alla data dell'atto di enunciazione.

Nella seconda ipotesi, invece, deve ritenersi che, conformemente all'orientamento espresso dall'Amministrazione finanziaria con circolare n. 40 del 19 dicembre 1976, l'atto di determinazione delle quote di partecipazione agli utili può produrre effetti fiscali dal periodo stesso a condizione che esso risulti posto in essere contestualmente all'inizio dell'attività e sia debitamente registrato nel termine fisso ordinario stabilito dalle disposizioni concernenti l'imposta di registro.

1.5.4. Rottamazione del magazzino: imposta sostitutiva e crediti d'imposta

D. L'imposta sostitutiva prevista dai commi 9 e seguenti dell'art. 7 della legge n. 488 del 1999 in tema di rottamazione del magazzino, è versata in luogo delle imposte dirette e dell'I.R.A.P.; si chiede se proprio in virtù di tale previsione la suddetta imposta debba ritenersi esclusa dall'ammontare delle imposte a fronte delle quali poter attribuire il credito di imposta pieno. Si chiede inoltre se la presenza di un meccanismo atto a distinguere la parte dell'imposta sostitutiva riferibile all'I.R.A.P. rispetto a quella versata a fronte delle imposte dirette non possa permettere di recuperare, in parte l'ammontare versato al fine di alimentare le somme destinate a coprire l'assegnazione di dividendi con crediti di imposta pieni.

R. L'articolo 105 del T.U.I.R. stabilisce che concorrono a formare l'ammontare di cui alla lett. a) del comma 1 (cosiddetto Canestro "A"), tra l'altro, anche le imposte applicate a titolo di imposta sostitutiva. Al riguardo, non può che ritenersi che l'imposta sostitutiva che concorre alla determinazione del predetto ammontare sia solo quella "sostitutiva" dell'Irpeg. Pertanto, nel caso in cui l'imposta in esame riguardi non solo l'Irpeg ma anche altre imposte (ad esempio, sostitutiva anche dell'I.R.A.P., I.V.A., ecc.) detto importo non potrà concorrere alla formazione dell'ammontare di cui all'art. 105, comma 1, lett. a), del T.U.I.R. (c.d. canestro "A"). Si fa tuttavia presente che analoga soluzione è stata già adottata, nella circolare n. 112/E del 21 maggio 1999, con riferimento all'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell'I.R.A.P. prevista per l'assegnazione e cessione agevolata di taluni beni ai soci di cui all'art. 29 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e art. 13 della legge 18 febbraio 1999, n. 28.

1.5.5. Spese di ristrutturazione dei negozi

D. L'art. 14, comma 2, della legge n. 449 del 1997 dispone che "In deroga alle disposizioni di cui agli articoli 67, comma 7, e 74 del T.U.I.R., sono deducibili in quote costanti nel periodo di imposta di sostenimento e nei due successivi le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e ristrutturazione relative agli immobili ammortizzabili posseduti o detenuti, ivi compresi gli impianti elettrici, idraulici e quelli generici di riscaldamento e condizionamento, con esclusione degli impianti igienici, nei quali viene esercitata l'attività dai seguenti soggetti ..................".

La disposizione è prorogata al periodo di imposta in corso al 1° gennaio 2000, dall'art. 7, comma 18, della legge n. 488 del 1999, modificando il tempo di deducibilità da tre a quattro periodi di imposta.

È da ritenere quindi che si abbia una deducibilità in tre periodi per le spese sostenute nel 1998 e 1999 (per semplicità) ed in quattro periodi per quelle sostenute nel 2000.

Si chiede di conoscere se tale deducibilità "abbreviata" rappresenti una facoltà o un comportamento vincolato.

In concreto, se le spese in discorso sono contenute nei limiti ordinari (5%) previsti a regime dall'art. 67, comma 7, del T.U.I.R., possono essere dedotte tutte in un solo esercizio?

R. Con l'articolo 14, comma 2, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 è stata prevista un'agevolazione a favore dei soggetti ivi indicati e in relazione alle spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e ristrutturazione sugli immobili strumentali.

Tale agevolazione consiste nell'ammettere, in deroga alle disposizioni di cui agli articoli 67, comma 7, e 74 del T.U.I.R., la deducibilità di tali spese in quote costanti nel periodo di imposta di sostenimento e nei due successivi, ora estesa, per effetto dell'articolo 7, comma 18, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, anche alle spese sostenute nell'anno 2000, deducibili in quote costanti nel periodo d'imposta di sostenimento e nei tre periodi d'imposta successivi.

Trattandosi di un'agevolazione, essa reca solo un beneficio aggiuntivo rispetto all'ordinario regime di deducibilità previsto dall'articolo 67 del T.U.I.R. Pertanto, qualora dette spese rientrino nei limiti del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili quale risulta all'inizio dell'esercizio dal registro dei beni ammortizzabili, che ne consentirebbero la deducibilità in un solo esercizio, a norma dell'articolo 67, comma 7 citato, deve ritenersi che sia rimesso alla scelta dell'imprenditore avvalersi o meno di detta agevolazione e, quindi, adottare il regime di deducibilità a lui più favorevole.

Per ulteriore chiarimento si precisa che, ai sensi del comma 4 dell'articolo 14 della citata legge n. 449 del 1997, qualora l'imprenditore si avvalga dell'agevolazione in esame, il costo dei beni materiali ammortizzabili su cui commisurare la percentuale del 5% rilevante ai sensi dell'articolo 67, comma 7, deve essere assunto al netto del costo relativo agli immobili di cui al comma 2 del medesimo articolo 14.

1.5.6. Recesso del socio

D. Supponendo che il patrimonio di una società sia composto da:

- capitale e riserve di cui all'articolo 44, comma 1 per 1.000

- altre riserve per 3.000

e che receda un socio che detiene l'1% del capitale acquistato al prezzo di 10.

Il socio riceve, in base alla quotazione di borsa della società, 50.

In base all'articolo 44, comma 3, l'utile tassabile in capo al socio è 40.

Il comma 3 dispone che il credito d'imposta spetta limitatamente alla parte di utile proporzionalmente corrispondente alle riserve, diverse da quelle indicate nell'articolo 44, comma 1, anche se imputate al capitale.

Nella pratica, non è chiaro il significato della norma. Si ritiene che vada intesa nel senso che l'utile di 40 beneficia del credito d'imposta nei limiti della parte di riserve formate con utili (3.000) proporzionalmente corrispondenti alla quota posseduta dal socio (1%), cioè 30.

Secondo un'altra interpretazione, la parte di utile sul quale spetterebbe il credito d'imposta dovrebbe essere calcolata come segue: 40 × 3.000/5.000 = 24.

Questa interpretazione è però irrazionale in quanto se il recesso riguardasse, per assurdo, tutti i soci, il totale degli utili con diritto al credito d'imposta (nell'ipotesi che il costo d'acquisto fosse uguale per tutti) ammonterebbe solo a 2.400 e quindi non esisterebbe corrispondenza fra gli utili della società assoggettati ad Irpeg e quelli spettanti al socio con diritto al credito d'imposta.

R. L'articolo 44, comma 3, del T.U.I.R. assoggetta ad imposizione, quale utile di partecipazione, la differenza tra le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci e il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione, con il riconoscimento del credito di imposta sui dividendi per la parte di utili corrispondente alle riserve diverse da quelle di cui al comma 1 dell'articolo citato.

Pertanto, si ritiene che nell'esempio esposto, il socio beneficia del credito d'imposta nei limiti della parte di riserve formate con utili (3000) proporzionalmente corrispondenti alla quota posseduta (1%) e, quindi, la parte di utile che beneficia del credito di imposta è pari a 30.

1.5.7. Prelievo di acconti di utili da parte del socio di uno studio professionale in seguito receduto

D. Un socio di uno Studio professionale è receduto nel corso del 1999 in conformità allo statuto associativo. Durante i primi mesi del 1999 e sino alla data di recesso ha prelevato acconti di utili in relazione ai patti associativi. È corretto ritenere tali prelievi, relativamente allo Studio, quali costi deducibili del 1999 e relativamente all'associato receduto quali compensi per attività professionale (essendo iscritto ad un ordine professionale) da dichiarare nel quadro...... del modello Unico? Se la risposta è affermativa nella dichiarazione dell'ex socio tali compensi dovranno considerarsi al lordo delle imposte che andrà a pagare? Conseguentemente nessuna ritenuta percepita dallo Studio dovrà essere ripartita in capo al soggetto stesso al termine del periodo d'imposta.

R. La problematica prospettata è stata già affrontata nella nota n. 127/E del 24 maggio 1995, recepita nelle successive istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni dei redditi.

A norma dell'articolo 5, comma 3, lettera c), del T.U.I.R., le associazioni costituite fra persone fisiche per l'esercizio in forma associata di arti e professioni sono equiparate alle società semplici, ma l'atto o la scrittura privata di cui al comma 2 dello stesso articolo 5 può essere redatto fino alla presentazione della dichiarazione dei redditi dell'associazione. Come è stato già chiarito, la ripartizione del reddito prodotto dall'associazione va effettuata tra gli associati che risultano tali al termine del periodo d'imposta. Tenuto conto che gli utili si determinano soltanto alla fine del periodo d'imposta, i prelievi effettuati nel corso dell'anno non costituiscono acconti di utili, ma anticipazioni finanziarie intervenute fra l'associazione e i singoli partecipanti, che non hanno rilievo ai fini della determinazione del reddito prodotto dall'associazione, nel senso che non costituiscono componente negativo.

Di conseguenza, anche le ritenute devono essere ripartite tra i soci rimasti tali alla fine del periodo d'imposta, ai fini del successivo scomputo.

Va sottolineato, inoltre, che le eventuali somme liquidate all'associato nei cui confronti si scioglie il rapporto associativo, a titolo di indennità di recesso, costituiscono, invece, un componente negativo deducibile ai fini della determinazione del reddito prodotto dall'associazione e, per il percipiente, indennità da assoggettare a tassazione separata a norma dell'articolo 16, comma 1, lettera l), del T.U.I.R. se tra la data di costituzione dell'associazione e quella di comunicazione del recesso è trascorso un periodo di tempo superiore ai cinque anni. Le somme vanno indicate nel quadro RM del modello Unico persone fisiche. Qualora tra la costituzione dell'associazione e la comunicazione del recesso dell'associato intervenga un periodo di tempo inferiore, le somme percepite devono essere assoggettate a tassazione ordinaria e vanno indicate nel quadro RE del modello Unico persone fisiche.

1.5.8. Cessione del credito delle società di credito al consumo

D. Le società di credito al consumo contabilizzano i finanziamenti comprensivi sia del capitale maturato sia degli interessi che matureranno fino alla scadenza del prestito (esempio: 1000 di capitale + 150 di interessi a scadere). Gli interessi a scadere vengono riscontati alla data di chiusura dell'esercizio (esempio: risconti passivi 150).

In caso di cessione dei crediti (cartolarizzazione) si ritiene che sia corretto stornare i risconti passivi dal valore dei crediti al fine di esporre in contabilità solamente il valore capitale residuo del prestito. Detto valore residuo sarà confrontato con il prezzo di cessione del medesimo per il calcolo della plusvalenza o della minusvalenza di cessione, che concorrerà alla formazione del reddito imponibile dell'esercizio in cui avverrà la cartolarizzazione dei crediti medesimi.

R. La soluzione prospettata di stornare il risconto passivo per l'ammontare degli interessi ancora da maturare dal conto acceso al credito appare corretta se si considera che, secondo la modalità di contabilizzazione adottata, detti interessi accedono direttamente al credito.

Il risconto passivo, infatti, non potrebbe restare iscritto nel bilancio della cedente dopo la cartolarizzazione.

1.5.9. Trattamento delle riserve di rivalutazione monetaria nelle operazioni di scissione

D. In caso di scissione, le riserve di rivalutazione monetaria devono essere trasferite alle beneficiarie in proporzione ai loro patrimoni netti oppure devono seguire i beni che hanno formato oggetti di rivalutazione?

R. L'art. 123-bis del T.U.I.R. introduce, al comma 9, la regola di carattere generale per cui i fondi in sospensione d'imposta devono essere attribuiti alle società beneficiarie in proporzione alle rispettive quote di patrimonio netto contabile trasferite.

Tuttavia, "se la sospensione dipende da eventi che riguardano specifici elementi patrimoniali della società scissa", il secondo periodo ne prevede l'attribuzione, per intero, alle beneficiarie che acquisiscono tali elementi.

Si pone dunque il problema di interpretare la portata di tale eccezione. Con la risoluzione ministeriale n. 5/E del 6 febbraio 1998, la scrivente si pronunciò in favore della ripartizione proporzionale di un fondo in sospensione costituito, in base all'art. 55 del T.U.I.R., a fronte di contributi in conto capitale, affermando un principio interpretativo meritevole di ulteriori estensioni e approfondimenti.

Fu sottolineato che, per l'applicabilità della deroga prevista dal secondo periodo del comma 9, non doveva assumere "rilievo il momento genetico del fondo, ma le condizioni cui è subordinato il regime di sospensione d'imposta, nel senso che gli eventi che riguardano specifici elementi patrimoniali della società scissa devono essere tali da influenzare il mantenimento o meno dello "status" di sospensione d'imposta del fondo medesimo".

Ciò che è rilevante non è l'originario legame tra il bene e il fondo, bensì l'eventuale regime di doppia sospensione che dia ad esso continuità nel tempo.

Nel particolare caso, la sospensione d'imposta sulle riserve di rivalutazione monetaria, costituite a fronte dell'emersione di maggiori valori di determinati elementi dell'attivo, non era legata alle successive vicende di questi ultimi.

Essi potevano, liberamente, essere ceduti, assegnati ai soci, estromessi o ammortizzati ai maggiori valori senza provocare la correlata imponibilità delle riserve stesse.

La risoluzione del regime di sospensione dipendeva unicamente dalle vicende proprie delle riserve, ossia soltanto dal loro utilizzo per scopi diversi dalla copertura di perdite.

Di conseguenza, si deve concludere che l'attribuzione alle beneficiarie dei fondi di rivalutazione monetaria deve avvenire, secondo la regola generale, in proporzione alle quote di patrimonio netto contabile.

Si renderà, viceversa, applicabile il diverso regime di cui al secondo periodo del comma 9 solo quando la sospensione d'imposta sui fondi sia legata, oltre che alle vicende ad essi proprie, anche a quelle degli elementi a fronte dei quali si erano in origine costituiti.

È il caso degli accantonamenti a riserva dei contributi in natura o delle riserve emerse in conseguenza dei conferimenti agevolati.

Il previgente comma 3, lett. b), dell'art. 55 diversificava infatti il regime di sospensione dei fondi d'accantonamento, in relazione alla circostanza che essi si fossero costituiti a seguito di contributi in denaro o in natura.

Nel primo caso, il fondo veniva assoggettato a tassazione solo a seguito del suo utilizzo per scopi non conformi; mentre, nell'ipotesi di contributi in natura, la norma stabiliva altresì un preciso legame con i relativi beni allocati nell'attivo.

La tassazione del fondo veniva cioè a dipendere anche da particolari vicende dei beni oggetto di contributo che non dovevano essere destinati all'uso personale o familiare dell'imprenditore o assegnati ai soci.

Pertanto, i fondi derivanti da accantonamenti di contributi in natura dovranno, a seguito della scissione, seguire i relativi beni, se ancora esistenti nel bilancio della scissa.

Del pari, nei conferimenti agevolati (L. n. 576 del 1975, L. n. 904 del 1977, L. n. 742 del 1986...), la sospensione sui maggiori valori attribuiti in sede di conferimento permane sia nell'attivo, con riguardo alle azioni della conferitaria il cui valore fiscalmente riconosciuto resta inferiore a quello di iscrizione in bilancio, sia nel passivo, nell'apposita riserva da conferimento.

E, tra la sospensione nell'attivo e quella nel passivo sussiste una reciproca interrelazione, nel senso che è destinata a risolversi non solo per fatti propri della riserva, ma anche per effetto di operazioni di realizzo o assegnazione delle partecipazioni iscritte nell'attivo.

È questo il motivo per cui tali riserve devono essere interamente trasferite alle beneficiarie cui sono attribuiti i correlati elementi attivi.

Anche in tali ipotesi, tuttavia, deve essere verificata la effettiva persistenza al momento della scissione dell'originario legame connesso alla doppia sospensione nell'attivo e nel passivo.

Legame, che sarebbe, ad esempio, venuto meno a seguito della intervenuta incorporazione della conferitaria da parte della conferente ai sensi del D.L. n. 41 del 1995.

La sospensione d'imposta sui fondi iscritti o ricostituiti nel passivo ai sensi del comma 8 dell'art. 22 del citato D.L. 23 febbraio 1995, n. 41 non dipende più dalle vicende dei beni della incorporata che, nel bilancio dell'incorporante, sostituirono le partecipazioni annullate. La norma, infatti, attribuì pieno riconoscimento, anche fiscale, all'intero plusvalore, prima sospeso, che dalle originarie partecipazioni si trasferì sui beni dell'incorporata, liberamente ammortizzabili o realizzabili.

Di conseguenza, anche in tal caso, la attribuzione dei relativi fondi alle beneficiarie seguirà la regola generale di proporzionalità prevista dal primo periodo del ripetuto comma 9 dell'art. 123-bis.

 

 

2. I.R.A.P.

2.1. Quesiti vari sull'I.R.A.P.

2.1.1. Rilevanza ai fini I.R.A.P. dei beni destinati a finalità estranee all'impresa

D. Il comma 2 del nuovo articolo 11-bis del D.Lgs. n. 446 del 1997 attrae a tassazione ai fini I.R.A.P. anche le plusvalenze derivanti dall'autoconsumo o dalla destinazione a finalità estranee all'impresa di beni diversi da quelli che generano ricavi. Tuttavia il comma 3 dell'articolo 11 prevede che siano rilevanti ai fini I.R.A.P. le plusvalenze generate da cessione di azienda o rami aziendali. In tal modo, poiché le norma sull'autoconsumo e la destinazione estranea all'impresa non delimita la rilevanza ai beni strumentali fiscalmente ammortizzati, uno stesso bene rileva o meno ai fini del tributo regionale a seconda che venga ceduto a titolo oneroso o che sia soggetto ad autoconsumo.

R. L'art. 11-bis, comma 2, del D.Lgs. n. 446 del 1997, introdotto dal D.Lgs. n. 506 del 1999, prevede che ai componenti positivi e negativi di cui al comma 1 dello stesso art. 11-bis vanno aggiunti i ricavi di cui all'art. 53, comma 2, e le plusvalenze di cui all'art. 54, comma 1, lett. d), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, riguardanti i beni relativi all'impresa, diversi da quelli indicati nel comma 1 dell'art. 53, destinati al consumo personale o familiare dell'imprenditore, assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa. Relativamente alle ipotesi previste dal citato art. 54, comma 1, lett. d), del T.U.I.R., deve ritenersi che, sulla base di una interpretazione logico-sistematica della norma, conforme alla ratio della disciplina I.R.A.P., dette plusvalenze assumano rilevanza ai fini della predetta imposta regionale solo con riferimento ai beni strumentali fiscalmente ammortizzabili.

2.1.2. I.R.A.P.: acconto 1999

D. È corretta l'interpretazione secondo la quale la norma contenuta nel comma 18 dell'articolo 6, della legge n. 488 del 1999, in ordine alla irrilevanza delle nuove aliquote I.R.A.P. ai fini dell'acconto per il periodo imposta in corso al 31 dicembre 1999, ha l'unico significato di rendere inapplicabili le sanzioni ai soggetti che per tale periodo hanno calcolato l'acconto adottando aliquote d'imposta inferiori a quelle attualmente in vigore?

R. Nel comma 18 dell'articolo 6 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 è stato precisato che le "Le disposizioni del comma 17 non hanno effetto ai fini della determinazione dell'imposta da versare a titolo d'acconto per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 1999".

Ciò significa, quindi, che il contribuente poteva calcolare l'acconto I.R.A.P. da versare per l'anno 1999 applicando le aliquote vigenti nel 1999, rinviando la regolazione degli effetti finanziari derivanti dall'introduzione con effetto retroattivo delle nuove aliquote, al versamento del saldo dovuto per lo stesso anno.

2.1.3. I.R.A.P.: acquisto da terzi di beni e servizi

D. Le somme erogate a terzi per l'acquisto di beni e servizi destinati a categorie di dipendenti sono deducibili ai fini dell'imposta regionale, come ad esempio le tute che vengono di regola utilizzate dai soli operai? (articolo 11)

R. L'articolo 11 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, come sostituito dall'articolo 1, lett. h), del D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 506, stabilisce, nel comma 2, il principio per cui rientrano tra i costi ammessi in deduzione le somme erogate a terzi per l'acquisizione di beni e servizi destinati alla generalità dei dipendenti e dei collaboratori, oltre quelle erogate a dipendenti e collaboratori medesimi a titolo di rimborso analitico di spese sostenute nel compimento delle loro mansioni lavorative.

La relazione al decreto correttivo afferma che "tra i costi di lavoro indeducibili agli effetti dell'I.R.A.P. non vanno considerate le spese sostenute dal datore di lavoro, quale ne sia la classificazione nel conto economico, per l'acquisizione di beni e servizi destinati alla generalità dei dipendenti e collaboratori e quelle erogate ai dipendenti e collaboratori medesimi (quali, ad esempio, l'acquisto di tute da lavoro), né quelle corrisposte a tali soggetti a titolo di rimborso documentato delle spese da essi sostenute nell'espletamento dell'attività lavorativa a fronte di prestazioni di servizi o cessioni di beni ricevuti da terzi, quali ad esempio le spese di viaggio, alloggio e vitto".

La norma, pertanto, individua due diverse fattispecie: in primo luogo prevede le erogazioni a terzi per l'acquisto di beni e servizi destinati alla generalità dei dipendenti e dei collaboratori. Al riguardo, si ribadisce che l'espressione "beni e servizi destinati alla generalità di dipendenti e collaboratori" deve intendersi nel senso che essi devono poter essere astrattamente fruibili da tutti i dipendenti e collaboratori, indipendentemente dal fatto che alcuni di essi non se ne avvalgano.

Inoltre, la norma prevede la deducibilità ai fini I.R.A.P. delle erogazioni ai dipendenti e collaboratori a titolo di rimborso analitico di spese sostenute nel compimento delle loro mansioni lavorative, tra cui si devono comprendere i costi eventualmente sostenuti dal dipendente per l'acquisto, ad esempio, di tute da utilizzare per l'espletamento della propria attività.

Tali costi, infatti, se sostenuti direttamente dall'imprenditore, sono comunque deducibili in quanto non si configurano come "erogazioni", bensì come costi inerenti l'attività.

2.1.4. I.R.A.P.: transfer pricing

D. La disposizione (articolo 11 bis), che dispone la rilevanza del valore normale in caso di "transfer pricing", ha valore innovativo o interpretativo? Inoltre viene confermato il principio già contenuto nella circolare n. 141/E del 1998 secondo il quale qualora il valore normale risultasse inferiore al corrispettivo delle operazione, esso è comunque rilevante ai fini I.R.A.P.?

R. L'articolo 11-bis, introdotto con il decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 506, detta le regole per la corretta determinazione delle poste del conto economico che rilevano ai fini I.R.A.P.

In particolare, mentre al comma 1 stabilisce in modo più puntuale le regole per operare le variazioni fiscali delle poste del conto economico che rilevano ai fini del valore della produzione in conformità ai criteri stabiliti per le imposte sui redditi, al comma 2, prevede la rilevanza ai fini della base imponibile dell'I.R.A.P., anche di altre componenti del reddito quali i ricavi, le plusvalenze e gli altri componenti positivi di cui agli articoli 53, comma 2, 54, comma 1, lettera d), e 76, comma 5, del T.U.I.R.

La norma in esame presenta dunque una natura sia interpretativa che innovativa. Nello specifico è innovativa per ciò che concerne la prima parte del comma 2, perché prevede l'assoggettamento a tassazione ai fini I.R.A.P. di componenti positive che prima ne erano escluse, ricavi e plusvalenze di cui agli articoli 53, comma 2, e 54, comma 1, lett. d). Tale innovazione riguarda com'è noto i beni assegnati ai soci, destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa o al consumo personale o familiare dell'imprenditore, relativamente ai quali la circolare n. 141/E del 4 giugno 1998, precisava che i costi di tali beni non assumevano rilevanza ai fini I.R.A.P. e pertanto erano costi indeducibili dalla base imponibile.

Poiché per effetto della disposizione di cui al comma 2, la situazione si è modificata, in quanto è stato previsto l'assoggettamento a tassazione di componenti positive prima escluse, ossia i ricavi e le plusvalenze determinati in base al valore normale dei beni assegnati o destinati a finalità estranee, si ritiene, conseguentemente, che ai fini della determinazione della base imponibile I.R.A.P. saranno invece deducibili i relativi costi.

In proposito si precisa tuttavia che limitatamente all'articolo 54, comma 1, lett. d), ai fini I.R.A.P. rilevano unicamente le plusvalenze imputabili ai beni strumentali.

Con riferimento alle operazioni di transfer pricing, si fa presente che l'articolo in commento ha valore interpretativo. Nel particolare caso si è in presenza di operazioni commerciali intercorse con consociate non residenti che, avendo una evidenza nel conto economico, dovevano - anche ai sensi del previgente articolo 11 - essere assunte ai fini I.R.A.P. secondo i criteri di determinazione previsti per le imposte dirette dall'articolo 76, comma 5, del T.U.I.R. Ad ulteriore chiarimento di quanto previsto con la circolare n. 141/E del 4 giugno 1998, si precisa che dovrà essere apportata una variazione in aumento ogni volta in cui il corrispettivo dei beni ceduti e dei servizi forniti sia inferiore al valore normale, oppure quest'ultimo sia inferiore al costo di acquisizione di beni e servizi. L'opposta ipotesi, invece, non potrà legittimare variazioni in diminuzione ai fini I.R.A.P. Ciò in quanto, in base al comma 5 del citato articolo 76, il minor valore (valore normale inferiore al corrispettivo o superiore al costo) rileva, come diritto al rimborso, solo dopo che siano state instaurate e quindi definite, in senso favorevole per il contribuente, le procedure amichevoli previste dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi. Il predetto comma 5 stabilisce, infatti, che i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato sono valutati in base al valore normale "se deriva aumento del reddito".

Nell'opposta ipotesi, il criterio di determinazione dell'imponibile rimane il corrispettivo, o il costo. Rettifiche in diminuzione sono ammesse soltanto "in esecuzione" di una formale "procedura amichevole", come previsto dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni e, nel caso specifico, comporteranno il riconoscimento di un diritto al rimborso posto che non rileva, ai fini I.R.A.P., il riconoscimento di una maggiore perdita.

È un rimedio contro le doppie imposizioni esperibile quando l'Amministrazione finanziaria di uno Stato abbia rettificato in aumento il reddito di un'impresa residente per inadeguatezza dei prezzi di trasferimento delle operazioni intercorse con altra società residente nell'altro Stato, al quale potrà essere richiesto il riconoscimento di una parallela rettifica in diminuzione del reddito dichiarato in quel periodo d'imposta dalla consociata.

2.1.5. I.R.A.P.: Enti pubblici

D. Nel distacco di personale fra enti pubblici, qualora l'ente distaccante eroghi lo stipendio al personale distaccato e riceva quindi il rimborso, in quale momento il soggetto distaccatario (soggetto passivo) deve applicare l'imposta regionale.

R. Per effetto dell'articolo 11, comma 2, terzo periodo, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, in caso di distacco di personale, i relativi oneri concorrono a formare la base imponibile dell'I.R.A.P. del soggetto che impiega il personale distaccato.

Tenendo presente, in via generale, che ai fini della determinazione della base imponibile dell'I.R.A.P. da parte delle Amministrazioni pubbliche rileva il momento dell'erogazione delle retribuzioni (principio di cassa), deve, conseguentemente, ritenersi che, nel caso di specie, assume rilievo il momento in cui il soggetto distaccatario eroga il rimborso degli oneri.

 

 

3. I.V.A.

3.1. Adempimenti

3.1.1. Apertura di cantieri: obbligo di denuncia ex art. 35 del D.P.R. n. 633 del 1972

D. Una società stipula contratti per la fornitura di grandi impianti industriali. La realizzazione degli stessi costringe l'appaltatore a compiere attività, che possono protrarsi per alcuni mesi (da tre a nove mesi circa), direttamente nel cantiere aperto presso il domicilio (italiano o comunitario o extracomunitario) del cliente.

Sussistono obblighi di denuncia ai sensi dell'art. 35 del D.P.R. n. 633 del 1972?

R. Si ritiene che, nella fattispecie prospettata, il contribuente sia obbligato a presentare la dichiarazione di variazione per comunicare all'Ufficio il luogo in cui viene ad essere svolta l'attività connessa all'appalto.

Al riguardo si ricorda che la Commissione tributaria centrale, con la decisione 10 luglio-1° ottobre 1986, n. 7353, si è già espressa in tal senso chiarendo che l'apertura di un cantiere edile, di rilevante durata e consistenza, non può ritenersi esclusa dall'obbligo di comunicazione della variazione previsto dall'art. 35 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in quanto detto adempimento, "di notevole natura sostanziale, è finalizzato all'esercizio del controllo sull'attività dell'impresa da parte dell'Ufficio I.V.A.".

3.1.2. Trasmissione delle fatture con sistemi informatici

D. Un operatore che commercializza beni e servizi in via elettronica può trasmettere il contenuto delle fatture o delle altre certificazioni fiscali tramite sistemi informatici che consentano la materializzazione di dati sostanzialmente identici presso l'emittente ed il destinatario in linea con la prassi amministrativa manifestata in precedenza ?

R. Alla luce della vigente normativa appare possibile trasmettere, in via elettronica, tramite sistemi informatici, soltanto la fattura relativa alle operazioni effettuate, purché questa contenga tutti gli elementi per essa tassativamente prescritti dall'articolo 21 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

Non è possibile la trasmissione in via elettronica, tramite sistemi informatici di scontrini o di ricevute fiscali stante le particolari caratteristiche previste dalla specifica normativa che disciplina tali documenti fiscali.

La ricevuta fiscale deve essere, infatti, predisposta con numerazione progressiva per documento, anche con l'adozione di prefissi alfabetici di serie, dalle tipografie autorizzate ai sensi del decreto ministeriale 29 novembre 1978.

Lo scontrino fiscale è rilasciato mediante l'uso di speciali registratori di cassa soggetti a specifica autorizzazione e muniti di memorie fiscali immodificabili.

3.1.3. Aziende cedenti oro e valute estere

D. Dopo le modifiche apportate dalla legge n. 7 del 2000 alle cessioni di valuta eseguite nei confronti delle banche, cosa cambia in ordine agli obblighi contabili posti a carico delle aziende cedenti?

R. L'articolo 3, comma 1, della legge 17 gennaio 2000, n. 7, ha modificato l'articolo 4, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972, eliminando il riferimento alle "banche agenti", per cui la natura non commerciale delle operazioni afferenti l'oro e le valute estere è individuata esclusivamente per le operazioni effettuate dalla Banca d'Italia e dall'Ufficio italiano dei cambi.

Conseguentemente le operazioni attive svolte dalle banche agenti devono sottostare agli obblighi formali e contabili, previsti dal titolo II del D.P.R. n. 633 del 1972, ivi compresa la possibilità di ricorrere alla dispensa dagli adempimenti contabili prevista dall'articolo 36-bis del citato decreto, dal momento che i detti soggetti operano a tutti gli effetti come soggetti d'imposta.

Inoltre, occorre tener presente che, anche ai fini della determinazione della base imponibile nelle operazioni relative a valute estere, di cui al numero 3) dell'articolo 10 del D.P.R. n. 633 del 1972, il comma 2 del citato articolo 3 della legge n. 7 del 2000, ha precisato che le medesime sono da considerare in ogni caso "prestazioni di servizio".

3.1.4. I.V.A.: Plafond

(vedi par. 8.2.3)

D. Con la nota n. 391186 del 10 marzo 1999 emanata del Dipartimento delle entrate, Direzione centrale accertamento e programmazione, è stato ritenuto legittimo il comportamento di un contribuente, esportatore abituale, che regolarizza in modo seguente l'utilizzo del plafond oltre il limite consentito:

- emissione dell'autofattura;

- versamento con il modello F23 dell'imposta che avrebbe dovuto essere addebitata, degli interessi e delle relative sanzioni ridotte;

- annotazione dell'autofattura nel registro degli acquisti;

- presentazione dell'autofattura all'Ufficio I.V.A. o delle Entrate di competenza secondo le disposizione dell'art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471 del 1997.

Si chiede:

Il versamento dell'imposta e degli interessi deve avvenire con il modello F23, o può essere eseguito con il modello F24, considerato che il D.M. 11 giugno 1998 dispone che all'art. 1, comma 3, che "in caso di ravvedimento operoso ai sensi dell'art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 … il pagamento del tributo, quando dovuto, e dei relativi interessi … è eseguito utilizzando la specifica modulistica prevista per il versamento diretto del tributo stesso"?

R. Esistono metodi alternativi per regolarizzare lo "splafonamento" come, ad esempio:

A) contabilizzarlo nella liquidazione periodica e indicarlo nel rigo VP8, colonna 1, della dichiarazione mensile o trimestrale, aumentato degli interessi dovuti;

B) interessare il fornitore o prestatore, utilizzando così la procedura di cui all'art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972, fermo restando l'obbligo di pagamento degli interessi e delle sanzioni ridotte a carico dell'esportatore?

3.1.5. Regime dei produttori agricoli con volume d'affari non superiore a 40 milioni

D. I produttori agricoli con volume d'affari non superiore a lire 40 milioni, costituito per più di un terzo da operazioni non agricole, rientrano nel regime speciale, ma con obbligo di effettuare le liquidazioni trimestrali, o invece al contrario passano al regime ordinario? (articolo 34, comma 3)

R. Il comma 3 dell'articolo 34 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, stabilisce che il regime speciale si applica ai produttori agricoli che nell'anno solare precedente hanno realizzato un volume d'affari non superiore a quaranta milioni senza niente disporre in merito alla sua composizione. È da ritenere, quindi, che anche i produttori agricoli con volume d'affari inferiore a quaranta milioni, anche se costituito per più di un terzo da cessioni occasionali di prodotti non agricoli, rientrino nel regime speciale.

Tali soggetti, tuttavia, non possono usufruire del regime semplificato previsto dal comma 6 del citato articolo 34. Essi sono tenuti, pertanto, all'osservanza di tutti gli adempimenti richiesti dal titolo II del D.P.R. n. 633 del 1972, compresi la liquidazione ed i versamenti trimestrali dell'imposta, ove ne ricorrano le condizioni.

3.1.6. Attività agricola in regime di esonero

D. Nel caso di esercizio di più attività di cui una agricola in regime di esonero, sussiste ancora l'obbligo di inserire nella dichiarazione annuale I.V.A. il modulo relativo alla attività agricola in bianco, indicando il solo codice di attività?

R. Si ritiene che non sussista l'obbligo di inserire nella dichiarazione I.V.A. annuale il modulo relativo all'attività agricola in bianco in quanto tale attività viene svolta in regime di esonero con conseguente dispensa degli adempimenti.

L'articolo 34, comma 6, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, prevede, infatti, che i produttori agricoli che nell'anno solare precedente hanno realizzato un volume di affari non superiore a cinque milioni di lire ovvero quindici milioni se esercitano la loro attività esclusivamente nei comuni montani con meno di mille abitanti e nei centri abitati con meno di cinquecento abitanti ricompresi negli altri comuni montani individuati dalle rispettive regioni come previsto dall'articolo 16 della legge 31 gennaio 1994, n. 97, sono esonerati dal versamento dell'imposta e da tutti gli obblighi documentali e contabili, compresa la dichiarazione annuale.

3.2. Detraibilità

3.2.1. Divieto di detrazione I.V.A. per i materiali di recupero

D. È corretto ritenere che divieto di detrazione previsto nell'art. 74, undicesimo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 per il commercio di materiali di recupero sia limitato, tanto per i rivenditori con sede fissa che per quelli itineranti, all'I.V.A. relativa agli acquisti dei materiali in questione ed alle eventuali operazioni ad essi accessorie (es.: autocarro, spese generali) osservando, naturalmente i conseguenti adempimenti ?

R. Si deve ritenere che il divieto di detrazione previsto dall'undicesimo comma dell'art. 74 sia riferibile a tutti gli acquisti effettuati dai raccoglitori e dai rivenditori per i quali esso è stabilito. Questi soggetti, pertanto, siano o meno dotati di sede fissa, non possono detrarre l'I.V.A. pagata in relazione alle spese generali, a meno che queste non siano inerenti anche ad altre attività per le quali non è prevista tale limitazione, nel qual caso la detrazione è ammessa nei limiti e alle condizioni previsti dagli articoli 19 e seguenti del D.P.R. n. 633 del 1972.

3.2.2. Detrazione I.V.A. per operazioni di cui all'art. 74, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972

D. Nella categoria delle operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione dell'I.V.A. sugli acquisti ai sensi dell'art. 19 del D.P.R. n. 633 del 1972, sono comprese anche le operazioni non soggette all'imposta di cui all'art. 74, primo comma, stesso decreto. Di tali operazioni, ancorché non soggette a registrazione e dichiarazione ai fini I.V.A., deve pertanto, tenersi conto nella determinazione della percentuale di detraibilità di cui all'art. 19-bis. Ciò premesso, si chiede di sapere se ai predetti fini il contribuente debba assumere l'ammontare dei corrispettivi oppure un diverso importo, in considerazione della particolarità dell'operazione di specie (ad esempio, l'aggio per la rivendita dei generi di monopolio; il margine per la rivendita di prodotti editoriali.) Nella seconda ipotesi si chiede di voler indicare quale sia l'importo da assumere per ciascuna delle categorie delle operazioni indicate nel primo comma dell'art. 74, inclusa la rivendita di schede telefoniche, in relazione alla quale si desidererebbe conoscere anche il criterio di contabilizzazione agli effetti delle imposte sui redditi (aggio oppure costi/ricavi).

R. Le operazioni di cui all'art. 74, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, assoggettate al regime I.V.A. monofase (commercio di generi di monopolio, commercio di tabacchi, commercio di schede telefoniche, commercio di giornali, ecc.) non limitano il diritto alla detrazione dell'imposta anche se esse non sono soggette agli obblighi di fatturazione, registrazione e dichiarazione.

Pertanto, in presenza di effettuazione anche di operazioni esenti non occasionali, il rivenditore dei suddetti beni dovrà operare il calcolo del pro-rata di detraibilità di cui all'art. 19-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 computando le suddette operazioni tra quelle che danno diritto alla detrazione dell'imposta in base ai dati risultanti dalla propria contabilità aziendale, anche se tali dati non verranno poi evidenziati nella dichiarazione I.V.A.

Le suddette operazioni ai fini del calcolo del pro-rata devono essere computate in base al corrispettivo che, sulla base degli accordi contrattuali, è dovuto al rivenditore. A seconda dei casi questo può essere costituito da un aggio sulle vendite, ovvero dall'intero prezzo di rivendita praticato al pubblico.

Ai fini delle imposte dirette, le operazioni di rivendita dei prodotti in questione vanno contabilizzate a costi e ricavi. Assume quindi rilievo l'intero corrispettivo della rivendita e non l'aggio.

3.2.3. I.V.A./Servizi fognatura e depurazione

D. I soggetti che erogano servizi di fognatura e di depurazione, che dal 1° gennaio 1999 hanno applicato l'aliquota I.V.A. del 10% sui canoni riscossi passando da un "regime" di "attività non rilevante" agli effetti I.V.A. ad uno di imponibilità, possono procedere alla rettifica di cui al comma 3 dell'articolo 19-bis2, per i beni e servizi acquistati nel 1998 e non ancora ceduti o non ancora utilizzati al 1° gennaio 1999?

R. Il comma 3 dell'articolo 19-bis2, al quale viene fatto riferimento nel quesito, concerne le rettifiche da apportare alle detrazioni d'imposta, in relazione ai beni ed ai servizi non ancora ceduti o non ancora utilizzati, qualora eventi di carattere generale, quali ad esempio il mutamento del regime fiscale applicabile alle operazioni poste in essere dall'assoggettato o l'adozione di un regime speciale, comportino mutamenti nella misura della detrazione spettante. La norma non attiene agli aspetti sostanziali del diritto alla detrazione, il quale resta disciplinato, sotto il profilo della genesi e della spettanza, dall'articolo 19, bensì, come detto, alla determinazione della misura entro cui tale diritto è esercitabile, al fine di adeguarlo al nuovo e mutato utilizzo dei beni e dei servizi. La rettifica della detrazione presuppone, pertanto, la titolarità del diritto.

Tale principio viene chiaramente affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza n. C-97/90 nella quale si stabilisce che le norme sulla rettifica dell'imposta versata a monte, definite dall'articolo 20 della VI direttiva CEE (recepito dall'articolo 19-bis2 del D.P.R. n. 633) non fanno nascere un diritto alla detrazione, né trasformano l'imposta pagata da un soggetto passivo, in relazione a sue operazioni non imponibili, in un'imposta deducibile.

Ai sensi del citato articolo 19 del D.P.R. n. 633 del 1972 il diritto alla detrazione è riconosciuto al soggetto passivo d'imposta in relazione ai beni ed ai servizi acquistati o importati nell'esercizio d'impresa, arte o professione.

L'ente locale che ha esercitato il servizi di fognatura e depurazione in veste istituzionale, e quindi al di fuori del sistema I.V.A., non ha operato la detrazione dell'imposta che gli è stata addebitata in via di rivalsa, in quanto non risultava titolare di tale diritto per carenza del presupposto soggettivo d'imposta.

Conseguentemente in relazione a tale attività, che da "esclusa dal campo di applicazione dell'I.V.A." è diventata "rilevante agli effetti dell'applicazione del tributo" non può essere effettuata la rettifica, in quanto l'istituto della rettifica presuppone che l'acquisto di beni e servizi sia stato effettuato, fin dall'origine, nell'ambito di un'attività rientrante nel sistema impositivo dell'I.V.A.

3.3. Altri quesiti in materia di I.V.A.

3.3.1. Aliquota I.V.A. per le prestazioni di assistenza domiciliare

D. Ai fini dell'applicazione dell'aliquota I.V.A. ridotta del 10%, prevista in via transitoria dall'articolo 7, comma 1, lettera a), della legge n. 488 del 1999, le prestazioni di assistenza privata rese ad ammalati temporaneamente ricoverati presso ospedali o case di cura possono considerarsi prestazioni di assistenza domiciliare?

R. Le prestazioni di assistenza privata rese ad ammalati temporaneamente ricoverati presso ospedali o case di cura non possono considerarsi prestazioni di assistenza domiciliare, ai fini dell'applicazione dell'aliquota ridotta del 10% prevista dalla legge n. 488 del 1999, non essendo effettuate presso il domicilio dell'ammalato.

3.3.2. I.V.A./Cessione del credito

D. Una società, che vantava un credito commerciale nei confronti di un fallimento, ha ceduto pro-soluto tale credito, comprensivo di ogni e qualsiasi diritto accessorio, ad una società terza.

Poiché a seguito della chiusura del fallimento il credito incassabile da parte della cessionaria si è ridotto al 30% del suo valore, tale società vorrebbe emettere nota credito nei confronti del fallimento per recuperare l'I.V.A. sulla parte di credito non incassato (art. 26, comma 2, D.P.R. n. 633 del 1972).

Si chiede:

- se è possibile per la società cessionaria emettere la nota credito, tenuto conto che con la cessione si trasmettono anche tutti i diritti connessi al credito ceduto (anche indicando in una lettera accessoria o semplicemente sulla base del contratto di cessione la possibilità per il cessionario di effettuare le variazioni previste dall'art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972 in caso di incasso inferiore);

- se invece non è possibile per la società cessionaria emettere la nota credito, in considerazione del fatto che il tenore letterale dell'art. 26 sembra legittimare il solo cedente del bene o prestatore del servizio all'emissione della nota di variazione.

R. L'articolo 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, legittima solo il cedente del bene o il prestatore del servizio ad effettuare la variazione in diminuzione. Di conseguenza la variazione sarà operata dalla società cedente, che ha posto in essere l'operazione economica rilevante ai fini dell'I.V.A.

 

 

4. Oneri

4.1. Interventi di recupero del patrimonio edilizio

4.1.1. Comunicazione di inizio lavori

D. Con riferimento alle disposizioni procedurali in base alle quali è possibile usufruire della detrazione Irpef di cui all'articolo 1 della legge n. 449 del 1997 come modificato dall'articolo 6 della legge n. 488 del 1999, è previsto a pena di decadenza, l'invio del modulo di comunicazione di inizio lavori prima dell'inizio dei lavori stessi. In relazione alla particolarità di alcuni interventi (soprattutto quelli aventi caratteristiche di urgenza) che possono essere effettuati sulle parti comuni condominiali è possibile che l'invio del predetto modulo possa avvenire, in questa specifica ipotesi, successivamente all'inizio dei lavori ma entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta nel quale si ha diritto alla detrazione?

R. Come già chiarito con la circolare n. 57/E del 24 febbraio 1998, il modulo di comunicazione deve essere inviato al Centro di servizio competente precedentemente all'inizio dei lavori.

Infatti, l'articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di attuazione, approvato con decreto del Ministro delle finanze D.M. 18 febbraio 1998, n. 41, stabilisce che per poter usufruire della detrazione in questione i contribuenti devono trasmettere al Centro di servizio competente una comunicazione concernente la data in cui avranno inizio i lavori redatta su apposito modulo approvato con decreto dirigenziale.

L'articolo 4 dello stesso regolamento, inoltre, inserisce tra le cause di decadenza dai benefici, prevedendo quindi azioni di recupero da parte degli uffici preposti, anche l'ipotesi di omessa preventiva comunicazione della data di inizio dei lavori.

Le ipotesi di invio della comunicazione in un periodo successivo a quello di inizio lavori concernono esclusivamente il caso dei lavori già iniziati al momento dell'emanazione del richiamato regolamento ed il caso dell'acquisto di box o posti auto pertinenziali già realizzati.

4.1.2. Determinazione del valore dei beni di cui al D.M. 29 dicembre 1999

D. Si chiede di conoscere se, ai fini della quantificazione dell'imponibile assoggettabile all'aliquota I.V.A. del 10% prevista per gli interventi edilizi dall'articolo 7, comma 1, lettera b), della legge n. 488 del 1999, il valore dei beni elencati nel decreto ministeriale 29 dicembre 1999 debba assumersi uguale al prezzo di acquisto pagato al fornitore dal prestatore del servizio, oppure secondo altri criteri (prezzo al pubblico, ecc.)

R. Ai fini della quantificazione dell'imponibile assoggettabile all'aliquota I.V.A. del 10% prevista per gli interventi edilizi dall'art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 488 del 1999, non esiste alcuna previsione normativa in merito alla valorizzazione dei beni di valore significativo. Si ritiene, pertanto, che come valore dei beni elencati nel decreto ministeriale 29 dicembre 1999, che costituiscono una parte significativa del valore delle cessioni effettuate nel quadro dell'intervento, debba assumersi quello, ovviamente non inferiore al costo d'acquisto, determinato dal prestatore nell'ambito della sua autonomia contrattuale.

4.1.3. Interventi di manutenzione

D. Ai fini dell'applicazione dell'I.V.A. ridotta del 10% sulle prestazioni relative al recupero del patrimonio edilizio, prevista dall'articolo 7, comma 1, della legge n. 488 del 1999, rientrano nella nozione di manutenzione anche le piccole riparazioni del fabbricato e dei relativi impianti (idraulico, elettrico, sanitario, ecc.)?

R. L'aliquota I.V.A. ridotta del 10% di cui all'art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 488 del 1999 si applica anche alle piccole riparazioni del fabbricato e dei relativi impianti, essendo le stesse riconducili al concetto di manutenzione ordinaria di cui alla lettera a) dell'articolo 31 della legge n. 457 del 1978.

4.1.4. I.V.A./Manutenzioni

D. Nell'esempio n. 3 dell'articolo apparso sul "Notiziario fiscale" n. 13 del 24 gennaio 2000, nell'illustrare il calcolo dell'I.V.A. in caso di lavori di manutenzione con impiego di beni "significativi" superiori alla metà del corrispettivo stabilito, è detto che occorre scorporare il costo della manodopera dall'importo complessivo e "quindi sulla differenza tra il valore del bene "significativo" e quello della manodopera si applica l'aliquota ordinaria del 20%; tutto il resto gode dell'agevolazione". In caso di manutenzione con impiego di beni significativi (ad esempio una caldaia) e di beni non significativi (ad esempio un bruciatore) si chiede di conoscere se la parte del valore del bene significativo soggetta ad I.V.A. del 20% va detratta solo dell'importo della prestazione ovvero dell'importo della prestazione maggiorato dei valore dei beni non significativi.

Ed ancora, in caso di intervento di manutenzione che comprende oltre ai lavori sopra indicati anche altre opere di manutenzione ordinaria (ad esempio sostituzione dei pavimenti) l'importo di quest'ultimo servizio va computato in detrazione dal costo dei beni significativi (nel caso prospettato la caldaia)?

R. La disposizione recata dall'articolo 7, comma 1, lett. b), della legge n. 488 del 1999 stabilisce che l'aliquota del 10 per cento si applica anche ai beni che costituiscono una parte significativa del valore delle forniture effettuate nell'ambito delle prestazioni aventi ad oggetto interventi di recupero, fino a concorrenza del valore complessivo della prestazione relativa all'intervento stesso, al netto dei valori dei predetti beni.

Tale limite di valore deve essere individuato sottraendo dall'importo complessivo della prestazione soltanto il valore dei beni significativi. Il valore delle materie prime e semilavorate nonché degli altri beni necessari per l'esecuzione dei lavori, forniti nell'ambito della prestazione agevolata, non deve essere individuato autonomamente in quanto confluisce in quello della manodopera.

Si chiarisce, infine che anche se l'intervento di recupero si sostanzia in diverse opere di manutenzione, ad esempio sostituzione di caldaia e rifacimento della pavimentazione, esso deve essere considerato unitariamente se le diverse opere sono oggetto di un'unica previsione contrattuale, anche al fine di individuare il limite di valore entro cui applicare l'aliquota ridotta al bene significativo.

4.2. Fondi pensione

4.2.1. Onere deducibile - Contribuzione a favore di familiare a carico

D. Dal 2001 sarà possibile usufruire di un onere deducibile sino a 10 milioni meno il reddito del familiare fiscalmente a carico. Dal punto di vista previdenziale vi sarà l'opportunità di iscrivere al fondo pensione già un neonato o comunque un figlio in età scolastica. Se il figlio è a carico di entrambi i genitori, quali dei due potrà dedurre l'onere? Vi sarà libertà di scelta - fermo il limite cumulativo - come avviene per l'attribuzione delle detrazioni?

R. L'articolo 1 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, recante la riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare, sostituendo la lettera e-bis), comma 1 dell'articolo 10, del T.U.I.R., ha stabilito che costituiscono oneri deducibili dal reddito complessivo i contributi versati, a decorrere dal 1° gennaio 2001, ad una delle forme pensionistiche disciplinate dal provvedimento e, quindi, sia i contributi versati alle forme pensionistiche complementari collettive (fondi chiusi e fondi aperti) sia i contributi e premi versati alle nuove forme di previdenza individuale.

La deducibilità dei contributi è consentita fino ad un importo non superiore al 12 per cento del reddito complessivo e, comunque, non superiore a lire 10 milioni.

Per i titolari di redditi di lavoro dipendente tale deducibilità, relativamente ai redditi di lavoro dipendente, è ulteriormente condizionata alla destinazione alla forma pensionistica complementare collettiva (fondi chiusi e fondi aperti) di un importo della quota annuale del T.F.R. almeno pari alla metà dei contributi complessivamente versati. Tale condizione non si applica alla categoria dei "vecchi iscritti ai vecchi fondi" ossia ai soggetti che risultano già iscritti al 28 aprile 1993 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993) alle forme pensionistiche complementari esistenti alla data del 15 novembre 1992 (data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nonché nei casi in cui la fonte istitutiva sia costituita unicamente da accordi tra lavoratori.

La nuova previsione normativa contempla anche l'ipotesi in cui i contributi siano versati a favore di persone fiscalmente a carico, ad esempio, del coniuge o dei figli. In tal caso, è previsto che la deduzione spetti, innanzitutto, al coniuge o ai figli entro l'unico limite assoluto di lire 10 milioni. Se il reddito complessivo del soggetto fiscalmente a carico non è del tutto capiente per consentire l'intera deduzione dei contributi, l'eccedenza può essere dedotta dal reddito complessivo del soggetto cui questi è a carico (contribuente). Naturalmente, quest'ultimo potrà dedurre i contributi dei familiari a carico, oltre che i propri, sempre nel rispetto del limite percentuale e del limite di 10 milioni complessivi.

Se, come nell'esempio prospettato, il figlio nell'interesse del quale è stato effettuato il versamento dei contributi è a carico di entrambi i genitori, la deduzione della spesa deve essere ripartita tra i genitori in proporzione all'effettivo onere sostenuto. Valgono al riguardo le istruzioni fornite per la compilazione delle dichiarazioni dei redditi per le ipotesi relative agli oneri sostenuti nell'interesse delle persone fiscalmente a carico e per i quali il contribuente può usufruire della deduzione o detrazione.

4.2.2. Vecchi iscritti - Irrilevanza dei loro requisiti al momento della prestazione

D. I "vecchi iscritti" al 28 aprile 1993 conservano un limitato privilegio per il tetto delle contribuzioni deducibili, mentre non sembra abbiano alcuna posizione particolare al momento delle prestazioni. Il diritto alla corresponsione di tutta la posizione individuale come capitale e non rendita, stabilito dalle disposizioni transitorie del D.Lgs. n. 124 del 1993 non ha quindi alcun effetto sul regime della tassazione, che - anche per questi soggetti - usufruirà di una base ridotta solo se la prestazione di capitale non supera un terzo del conto individuale?

R. L'articolo 12 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, recante la riforma della disciplina tributaria della previdenza complementare, al comma 1 dispone che "per i soggetti che risultano iscritti a forme pensionistiche complementari alla data da cui ha effetto il presente decreto, le disposizioni introdotte dall'articolo 10 si applicano alle prestazioni riferibili agli importi maturati a decorrere dalla data da cui ha effetto il decreto stesso....".

Da tale disposizione discende che anche per i "vecchi iscritti" la base imponibile delle prestazioni deve essere ripartita in due parti: una determinata con riferimento al montante maturato fino al 31 dicembre 2000, che deve essere assoggettata a tassazione secondo le vecchie regole, ed una riferibile al montante che matura dopo detta data, cui si applica la nuova disciplina. Pertanto per la parte della prestazione che matura a decorrere dal 1° gennaio 2001 i "vecchi iscritti" usufruiranno della esclusione dalla base imponibile dei redditi già assoggettati a tassazione solo se detta parte è corrisposta per almeno due terzi in rendita.

4.3. Altri quesiti in materia di oneri

4.3.1. Detrazione Irpef di cui all'art. 13, comma 2-ter, del T.U.I.R.

D. La manovra finanziaria per l'anno 2000 introduce una particolare detrazione di imposta ai fini Irpef per i contribuenti che sono in possesso di soli redditi di lavoro dipendente prodotti in relazione ad un rapporto di durata inferiore all'anno di ammontare non superiore a 9.600.000 di lire annui. La circolare n. 247/E del 29 dicembre 1999 afferma che, in relazione a questa ipotesi, l'espressione rapporti di lavoro dipendente di durata inferiore all'anno va intesa in senso letterale e, quindi, senza distinguere le motivazioni che hanno provocato un rapporto di durata inferiore all'anno. Per conseguenza, al ricorrere delle specifiche condizioni reddituali richieste è corretto affermare che tale detrazione si aggiunge a quella ordinaria prevista dall'articolo 13 del T.U.I.R. così come illustrato nella circolare n. 9/E del 3 gennaio 1998?

R. Con l'introduzione del comma 2-ter all'articolo 13 del T.U.I.R., è previsto che ai titolari di determinati redditi per i quali non è prevista una specifica detrazione d'imposta o per i quali la detrazione per i redditi di lavoro dipendente non è pienamente utilizzabile, in quanto il rapporto di lavoro ha avuto una durata inferiore all'anno, spetta un'ulteriore detrazione d'imposta graduata in funzione del reddito complessivo. Si tratta in particolare dei soggetti con reddito complessivo di importo massimo non superiore a lire 9.600.000.

Tale ulteriore detrazione ha la finalità di alleggerire il peso del precedente aumento dell'aliquota d'imposta dal 10 al 18,50 per cento relativo al primo scaglione.

Pertanto, si conferma quanto già chiarito con la circolare n. 247/E del 29 dicembre 1999, che prevede che per poter usufruire della detrazione in questione il rapporto di lavoro dipendente, nel caso in cui tale tipologia di reddito partecipi alla formazione del reddito complessivo, abbia una durata inferiore all'anno. Si conferma, inoltre, che l'ulteriore detrazione di cui si tratta è cumulabile con la detrazione spettante per lavoro dipendente di cui al comma 1 dell'articolo 13 del T.U.I.R.

Ovviamente, quanto previsto è applicabile anche nei casi in cui partecipino alla formazione del reddito imponibile redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente per i quali spettano le detrazioni d'imposta di cui al comma 1 dell'articolo 13 del T.U.I.R.

 

 

5. Redditi di lavoro dipendente

5.1. Stock option

5.1.1. Assegnazioni di partecipazioni nella controllata a dipendenti di quest'ultima

D. Il nuovo art. 48, comma 2-bis, del T.U.I.R., stabilisce che le disposizioni di cui alle lettere g) e g-bis) del comma 2 si applicano esclusivamente alle azioni emesse dalla società da cui il lavoratore dipende nonché a quelle emesse dalla controllante o da una controllata della medesima società ovvero da una società appartenente allo stesso gruppo societario (purché controllata). Poiché non è più necessario che le azioni offerte siano di nuova emissione, si chiede se sia agevolabile, nei limiti e alle condizioni fissate dall'art. 48, comma 2, lettera g), l'assegnazione di azioni possedute dalla società A (controllante) nella società B (controllata) ai dipendenti di quest'ultima società.

Inoltre, in caso di risposta positiva, si chiede quali siano le conseguenze, ai fini della determinazione del reddito d'impresa, per la società offerente (nella fattispecie la società A) nel caso in cui l'assegnazione avvenga gratuitamente ovvero ad un prezzo inferiore a quello stabilito dagli articoli 61 e 66 del T.U.I.R.

R. L'articolo 48, comma 2-bis), del T.U.I.R., stabilisce che: "le disposizioni di cui alle lettere g) e g-bis) del comma 2 si applicano esclusivamente alle azioni emesse dall'impresa con la quale il contribuente intrattiene il rapporto di lavoro, nonché a quelle emesse da società che direttamente o indirettamente controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa."

Dal tenore letterale della norma discende, quindi, che anche le azioni della controllata possedute dalla controllante, qualora quest'ultima le assegni ai dipendenti della società controllata, possono rientrare nella disciplina agevolativa prevista dall'art. 48, comma 2, lettere g) e g-bis), del T.U.I.R. Si ricorda, infatti, che costituiscono compensi in natura, ai sensi dell'articolo 48, comma 3, del T.U.I.R., anche i beni ricevuti da terzi in relazione al rapporto di lavoro.

Nella fattispecie rappresentata nel quesito si tratta di azioni offerte alla generalità dei dipendenti e, pertanto, il reddito di lavoro dipendente è costituito dal valore delle azioni, ridotto dell'importo complessivamente non superiore a lire 4 milioni, nonché dell'eventuale importo pagato dal dipendente. Il valore delle azioni è stabilito in base al comma 3 dell'articolo 48 del T.U.I.R. applicando le disposizioni relative alla determinazione del valore normale contenute nell'articolo 9 dello stesso T.U.I.R.

Inoltre, ai fini della determinazione del reddito d'impresa, nei casi di assegnazione gratuita di azioni emesse da altre società del gruppo ai propri dipendenti, il costo sostenuto per l'acquisizione di dette azioni è deducibile quale spesa per prestazioni di lavoro dipendente.

Diversamente, nel caso in cui l'assegnazione gratuita viene effettuata dalla società A nei confronti dei dipendenti della società B, pur se appartenente allo stesso gruppo, venendosi a configurare per la società A una destinazione di beni a finalità estranee all'esercizio dell'impresa, il valore normale delle azioni stesse concorre a formare il reddito della società A.

Qualora, invece, sia stato previsto un corrispettivo in favore della società A da parte della società B, esso concorre alla formazione del reddito della società A secondo le regole ordinarie, mentre costituisce costo deducibile per la società B.

5.1.2. Rilevanza dei dividendi nella disciplina delle stock option

D. Nel caso di assegnazione alla generalità dei dipendenti di azioni sottoposte a limitazioni quantitative e temporali in ordine alla spettanza dei dividendi (ad esempio per il 40 per cento dopo un anno e per il residuo 60 per cento dopo 2 anni), il valore normale delle stesse deve considerarsi proporzionalmente rideterminato?

R. Ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente derivante dall'assegnazione di azioni a tutti i lavoratori dipendenti occorre aver riguardo esclusivamente della differenza tra il valore delle azioni, calcolato ai sensi dell'articolo 9 del T.U.I.R., e l'eventuale importo corrisposto dal dipendente stesso.

Non rilevano, quindi, eventuali limitazioni quantitative e temporali in ordine alla spettanza dei dividendi, in quanto il compenso in natura è commisurato al valore del titolo azionario indipendentemente dall'eventuale diritto di partecipazione agli utili.

5.1.3. Determinazione del valore delle azioni assegnate ai dipendenti

D. L'articolo 9, comma 4, lettera a), del T.U.I.R. stabilisce che il valore normale delle azioni, obbligazioni e degli altri titoli negoziati in mercati regolarmente italiani o esteri è determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati "nell'ultimo mese ". A tale riguardo si pongono i seguenti quesiti:

- se detto ultimo mese debba essere individuato con riferimento al mese solare precedente a quello nel corso del quale le azioni sono assegnate al dipendente ovvero al periodo che va dal giorno della detta assegnazione allo stesso giorno del mese solare precedente, in conformità al criterio stabilito dall'articolo 2963 del codice civile;

- quale sia il comportamento da assumere nell'ipotesi in cui nell'"ultimo mese" non siano state effettuate rilevazioni dei prezzi delle azioni.

R. L'articolo 9, comma 4, lettera a), b) e c), del T.U.I.R. stabilisce autonome regole di determinazione del valore normale con riferimento ai titoli e alle quote di partecipazione societarie. In particolare, la lettera a) di tale disposizione stabilisce che per le azioni, obbligazioni e altri titoli negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, il valore normale è determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese.

Al riguardo, si precisa che per "ultimo mese" non si deve intendere il mese solare precedente, ma il periodo che va dal giorno di riferimento (quello dell'assegnazione dei titoli al dipendente) allo stesso giorno del mese solare precedente, poiché una diversa interpretazione potrebbe comportare un allontanamento troppo ampio del periodo preso a base per la rilevazione della media aritmetica dei prezzi dei titoli rispetto al momento nel quale si verifica la valutazione e, quindi, la fissazione di un "valore normale" che potrebbe già essere non adeguato a quello in atto al momento della valutazione.

Si ribadisce, inoltre, quanto già affermato a proposito della valutazione dei titoli con riferimento alle disposizioni transitorie contenute nel D.Lgs. n. 461 del 1997 e nella circolare n. 30/E del 2000 e cioè che ai fini del calcolo della media occorre assumere, quale divisore, soltanto i giorni di effettiva quotazione del titolo, cioè quelli cui si riferiscono le quotazioni prese a base del calcolo. Pertanto, se nel periodo considerato, cioè quello che va dal primo giorno di riferimento allo stesso giorno del mese solare precedente, non sono state effettuate rilevazioni dei prezzi, si deve fare riferimento al primo mese solare antecedente (inteso nel senso sopra chiarito) nel corso del quale risulta effettuata la suddetta rilevazione.

Per completezza, si ricorda che la lettera b) del comma 4 dell'articolo 9 prevede che per le altre azioni, le quote di società non azionarie e i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società il valore normale è fissato in proporzione al valore del patrimonio netto della società o ente (e non in proporzione al patrimonio netto contabile) ovvero, per le società o enti di nuova costituzione, in proporzione all'ammontare complessivo dei conferimenti. Infine, per le obbligazioni e gli altri titoli diversi da quelli compresi nelle precedenti lettere a) e b), il valore normale è determinato, ai sensi della lettera c), comparativamente al valore normale dei titoli aventi analoghe caratteristiche negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri e, in mancanza, in base ad altri elementi determinabili in modo obiettivo.

5.1.4. Tassazione del diritto di opzione

D. La relazione ministeriale al D.Lgs. n. 505 del 1999 precisa che "…l'assegnazione di un diritto di opzione cedibile deve essere assoggettata a tassazione come reddito di lavoro dipendente fin dal momento della medesima assegnazione". L'erogazione concorrerà pertanto alla formazione del reddito di lavoro dipendente come compenso in natura, computato ai sensi dell'articolo 48, comma 3, del T.U.I.R. nel periodo di paga in cui si verificherà il predetto evento. A tale riguardo si chiede se il valore normale del diritto di opzione sia determinabile ai sensi dell'articolo 9, comma 4, del T.U.I.R., assumendo il disposto di cui alle lettere a) e b) ovvero quello di cui alla lettera c) della norma stessa.

R. La relazione di accompagnamento al D.Lgs. 29 dicembre 1999, n. 505 precisa che l'assegnazione di un diritto di opzione "cedibile" è assoggettabile a tassazione come reddito di lavoro dipendente fin dal momento della sua assegnazione.

La relazione stessa ha specificato che se il diritto di opzione non è cedibile l'assegnazione dello stesso non è di per sé stessa tassabile, essendo, invece assoggettabili a tassazione i titoli e i valori acquistati con l'esercizio dell'opzione. Tuttavia, qualora un diritto non cedibile perda successivamente tale requisito, il relativo valore verrà assoggettato a tassazione soltanto nel periodo d'imposta in cui è divenuto trasferibile.

Ai fini della modalità di determinazione del valore normale del diritto di opzione si precisa che vanno applicate le disposizioni generali contenute nel comma 3 dell'articolo 9 del T.U.I.R., considerato che il successivo comma 4 detta le regole per i veri e propri "titoli" e pertanto si rende applicabile soltanto per le opzioni cartolarizzate.

5.1.5. Imponibilità delle stock option

D. La lettera g) dell'articolo 48 del testo unico può essere interpretata anche nel senso che se una società assegna ad un dipendente azioni il cui valore normale alla data di assegnazione è pari a lire 10.000.000, facendo pagare al dipendente un corrispettivo di 5.000.000, l'importo che concorre a formare il reddito di lavoro dipendente dell'assegnatario è solo 1.000.000, ferme restando le altre condizioni previste dalla norma?

R. La disposizione contenuta nell'articolo 48, comma 2, lettera g), del T.U.I.R., come sostituita dall'articolo 13, comma 1, n. 2), del D.Lgs. 23 dicembre 1999, n. 505, stabilisce che non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti per un importo non superiore complessivamente nel periodo d'imposta a lire 4 milioni, a condizione che le azioni non siano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che siano trascorsi almeno tre anni dalla percezione. È inoltre previsto che nel caso in cui non venga rispettato il predetto limite triennale, il valore non assoggettato è assunto a tassazione, quale reddito di lavoro dipendente, nel periodo d'imposta in cui si verifica la cessione.

Ciò premesso, nell'esempio prospettato, il valore normale delle azioni assegnate è pari a lire 10 milioni, l'importo corrisposto dal dipendente è pari a lire 5 milioni. Pertanto, tenendo conto della franchigia di lire 4 milioni, il reddito da assoggettare a tassazione in capo al lavoratore dipendente è pari a lire 1 milione.

5.1.6. Stock option: data dell'offerta

D. L'articolo 48, comma 2, lettera g-bis), del T.U.I.R., pone una condizione basata sul valore delle azioni "alla data dell'offerta". Si ritiene che questa data debba essere individuata in modo oggettivo e univoco, in modo da evitare gravi incertezze sull'applicabilità della norma. In questo senso, si chiede se è corretto fare riferimento alla data in cui gli organi sociali competenti (consiglio di amministrazione ovvero l'amministratore a ciò delegato) determinano in modo definitivo il prezzo dell'offerta.

R. Ovviamente occorre fare riferimento alla data della delibera con la quale vengono fissate tutte le condizioni del piano di azionariato.

5.1.7. Stock option: perdita dell'agevolazione

D. La normativa fiscale delle stock option in vigore dal 1° gennaio del 2000 subordina l'esenzione dal reddito di lavoro dipendente della differenza tra valore di mercato dell'azione all'atto dell'assegnazione e prezzo corrisposto dal dipendente alla circostanza che quest'ultimo sia pari al valore dell'azione all'atto dell'offerta. Si chiede se in caso contrario debba ritenersi esclusa completamente l'applicazione dell'agevolazione o se invece sia da assoggettare a tassazione solo la differenza tra valore di mercato delle azioni all'atto dell'offerta e prezzo corrisposto; ciò anche alla luce di quanto espresso nella circolare n. 247/E del 29 dicembre 1999 che sembra propendere per la seconda ipotesi.

R. La nuova normativa fiscale sulle stock option ha mantenuto un regime di favore per i piani di azionariato che hanno l'obiettivo di fidelizzare ben determinate categorie di dipendenti, prevedendo che in caso di assegnazione di azioni ad un dipendente, l'importo che non concorre a formare il reddito è costituito dalla differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e quanto corrisposto dal dipendente. Affinché ricorrano i presupposti agevolativi della disposizione, è espressamente previsto che l'ammontare corrisposto dal dipendente per l'acquisto delle azioni deve necessariamente essere almeno pari al valore delle azioni stesse al momento dell'offerta.

Ne consegue che, come già specificato nella circolare ministeriale n. 247/E del 29 dicembre 1999, se tale condizione non si verifica, ad esempio nel caso in cui il prezzo pagato dal dipendente è inferiore al valore delle azioni al momento dell'offerta, non si può usufruire in toto dell'agevolazione. Si rendono, quindi, applicabili i principi generali di tassazione dei fringe benefit in base ai quali occorre assoggettare a tassazione il valore normale delle azioni al momento dell'assegnazione (ossia nel momento in cui il bene entra nella disponibilità del dipendente) al netto di quanto pagato dal dipendente per usufruire dell'assegnazione stessa.

Ad esempio:

Valore delle azioni al momento dell'offerta = lire 1000

Prezzo pagato dal dipendente = lire 800

Valore delle azioni al momento dell'assegnazione = lire 1500

Reddito di lavoro dipendente da assoggettare a tassazione = lire 700 (1500 - 800).

5.1.8. Stock option: diritti cedibili e non cedibili

D. La relazione di accompagnamento al decreto legislativo che ha introdotto il nuovo regime fiscale delle stock option fa una distinzione precisa tra diritti non cedibili e cedibili; mentre nel 1° caso l'assegnazione non è in alcun modo tassabile, nella seconda ipotesi si afferma che "l'assegnazione di un diritto di opzione cedibile deve essere assoggettata a tassazione". Si chiede se tale previsione è atta a configurare la tassazione del diritto stesso, a prescindere dal successivo esercizio dello stesso e, in caso affermativo, quale siano le modalità di determinazione del valore di tale diritto.

R. Come indicato nella relazione di accompagnamento al D.Lgs. 23 dicembre 1999, n. 505, l'assegnazione di un diritto di opzione "cedibile" deve essere sempre assoggettato a tassazione come reddito di lavoro dipendente fin dal momento della medesima assegnazione, trattandosi di una fattispecie diversa da quelle considerate dalla normativa contenuta nell'art. 48, lettere g) e g-bis), del T.U.I.R. per le quali è stata introdotta una disciplina di favore. La stessa relazione ha chiarito che se il diritto di opzione non è cedibile l'assegnazione dello stesso non è di per sé tassabile, essendo, invece, assoggettabili a tassazione i titoli e i valori acquistati con l'esercizio dell'opzione (salvo la sussistenza delle condizioni che in base alla disposizione in esame ne escludono l'imponibilità). Tuttavia, qualora un diritto non cedibile perda successivamente tale requisito, nel periodo d'imposta in cui è reso trasferibile il relativo importo è assoggettato a tassazione.

Per quanto riguarda le modalità di determinazione del valore di un diritto di opzione "cedibile", si precisa che è necessario fare riferimento al comma 3 dall'art. 9 del T.U.I.R.

5.2. Altri quesiti in materia di redditi di lavoro dipendente

5.2.1. Prestiti ai dipendenti

D. L'art. 13 del D.Lgs. n. 505 del 1999 ha, tra l'altro, modificato l'art. 48, comma 4, lettera b), del T.U.I.R. stabilendo che, ai fini della determinazione del valore convenzionale dei prestiti ai dipendenti, si deve fare riferimento (a decorrere dal 1° gennaio 2000) al tasso ufficiale di sconto (rectius "tasso ufficiale di riferimento") vigente al termine di ciascun anno.

Premesso che le nuove regole dovrebbero applicarsi anche ai prestiti concessi in anni precedenti all'anno 2000, si chiede come debba essere calcolato il valore convenzionale del benefit durante i periodi di paga dell'anno 2000.

È ipotizzabile assumere in via provvisoria il tasso vigente al 31 dicembre 1999 effettuando gli opportuni aggiustamenti in sede di conguaglio di fine anno 2000 (e così via per i periodi d'imposta successivi)?

In caso di risposta affermativa, ove avvenga la cessazione del rapporto di lavoro in corso d'anno, per il conguaglio di fine rapporto non si deve fare alcun aggiustamento ovvero si deve assumere il tasso ufficiale di sconto più recente (e quindi ipoteticamente diverso da quello vigente alla chiusura dell'anno precedente)?

R. L'articolo 13, comma 1, lettera b), n. 4), del D.Lgs. 23 dicembre 1999, n. 505, modificando il comma 4, lettera b), dell'articolo 48 del T.U.I.R., prevede che, ai fini della tassazione del compenso in natura derivante dai prestiti erogati ai lavoratori dipendenti, debba essere effettuato il confronto tra gli interessi calcolati al T.U.S. vigente al termine di ciascun anno e gli interessi calcolati al tasso applicato sugli stessi. Al riguardo si ricorda che, sulla base del testo normativo vigente prima delle modifiche apportate dal citato provvedimento, si doveva fare riferimento al tasso ufficiale di sconto vigente alla data di stipula del prestito quale parametro fisso di riferimento.

Si ricorda, altresì, che il momento di imputazione del compenso in natura e di applicazione della ritenuta alla fonte è quello del pagamento delle singole rate del prestito come stabilite dal relativo piano di ammortamento.

La nuova disposizione si rende applicabile con riferimento alle rate del prestito che scadono a decorrere dal 1° gennaio 2000, anche se relative a contratti stipulati anteriormente a tale data purché successivi al 31 dicembre 1996.

Per quanto riguarda le modalità di applicazione del prelievo alla fonte dell'imposta sul compenso in natura, l'articolo 23 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, stabilisce che la ritenuta alla fonte deve essere operata sull'ammontare complessivo di tutte le somme e i valori corrisposti in ciascun periodo di paga. A tal fine il sostituto d'imposta, per l'applicazione della ritenuta alla fonte nei singoli periodi di paga, deve tener conto necessariamente del T.U.S. vigente alla fine del periodo d'imposta precedente, salvo effettuare il conguaglio di fine anno tenendo conto del T.U.S. vigente al termine del periodo d'imposta.

In caso di cessazione del rapporto di lavoro, il sostituto d'imposta nell'effettuare le prescritte operazioni di conguaglio deve tener conto del T.U.S. vigente alla data della cessazione stessa.

Per le ipotesi in cui la cessazione del rapporto di lavoro non coincida con l'estinzione del prestito resta fermo quanto già illustrato con circolare n. 326/E del 23 dicembre 1997.

5.2.2. Lavoratori all'estero

D. L'art. 15 del D.Lgs. 23 dicembre 1999, n. 505 prevede che, a partire dal 2001, i datori di lavoro avranno diritto ad un credito d'imposta per i dipendenti che prestano il lavoro all'estero in via continuativa ed esclusiva, di ammontare corrispondente alle ritenute gravanti sul reddito erogato ai dipendenti stessi.

A tale riguardo si pongono i seguenti interrogativi:

a) si chiede se nel computo del beneficio fiscale spettante si debba tenere conto della generalità delle trattenute, vale a dire sia le ritenute operate a titolo di Irpef sia quelle per addizionali locali (regionale, comunale e provinciale, ove istituita);

b) dal momento che l'entità del beneficio è commisurata al prelievo sul reddito di lavoro dipendente, si chiede se il credito per le imposte pagate all'estero debba essere portato o meno in riduzione delle ritenute di cui sopra ai fini del computo del credito spettante;

c) la norma agevolativa prevede la esenzione del credito d'imposta da imposte sul reddito e la sua irrilevanza sul calcolo proporzionale di deducibilità degli interessi passivi e delle spese generali nonché il suo utilizzo - senza limiti di tempo - in compensazione cosiddetta "orizzontale" con imposte, ritenute e contributi. Per quanto concerne l'I.R.A.P., dal momento che il costo del personale dipendente è indeducibile dalla base imponibile dell'imposta anche se il lavoro è prestato in territorio estero, si chiede se in applicazione del principio di correlazione contenuto nell'art. 11, comma 3, del D.Lgs. n. 446 del 1997 (come sostituito dal D.Lgs. n. 506 del 1999), il contributo fiscale riconosciuto dal decreto in commento debba considerarsi escluso anche dall'imposta regionale.

R. L'articolo 15 del decreto legislativo 23 dicembre 1999, n. 505 prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2001, è riconosciuto un credito di imposta a favore degli imprenditori individuali, delle società e degli enti che utilizzano lavoratori dipendenti che prestano la loro attività all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto. Tale credito di imposta è attribuito per un importo corrispondente "all'ammontare delle ritenute gravanti sul relativo reddito di lavoro dipendente".

Ciò posto, in merito al quesito contraddistinto dalla lettera a), si rileva che la disposizione in esame ha disciplinato il credito di imposta spettante in relazione alle sole ritenute Irpef che il datore di lavoro è tenuto a operare sulle retribuzioni corrisposte nei vari periodi di paga. Si ritiene, pertanto, che il credito di imposta in questione non competa per le trattenute operate a titolo di addizionali all'Irpef. Queste ultime, infatti, sono trattenute dal sostituto di imposta in rate a partire dal periodo di paga successivo a quello in cui sono effettuate le operazioni di conguaglio di fine anno ovvero in unica soluzione nel periodo di paga in cui sono svolte le operazioni di conguaglio in caso di cessazione del rapporto di lavoro in corso d'anno. Tali modalità di prelievo delle addizionali all'Irpef non sono quindi compatibili con l'attribuzione di un credito di imposta correlato all'ammontare delle ritenute gravanti sulle retribuzioni corrisposte negli ordinari periodi di paga.

Relativamente al quesito contraddistinto dalla lettera b), si intende chiarire che l'entità del credito di imposta che compete al datore di lavoro non deve essere influenzata dal credito di imposta per i redditi prodotti all'estero. Tale ultimo credito di imposta, infatti, è attribuito al singolo percipiente.

Si ritiene, infine, che il predetto credito d'imposta non concorra alla determinazione della base imponibile ai fini I.R.A.P., in quanto trattasi di contributi riferiti a componenti di costo indeducibili ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive.

 

 

6. Addizionali all'Irpef

6.1. Quesiti vari sulle addizionali all'Irpef

6.1.1. Prelievo delle rate residuali sulle addizionali 1999

(si veda par. 6.3)

D. L'art. 50, comma 4, del D.Lgs. n. 446 del 1997, come modificato dal D.Lgs. n. 506 del 1999, stabilisce che in caso di cessazione del rapporto di lavoro in corso d'anno l'addizionale regionale (e, quindi anche quella comunale) all'Irpef deve essere trattenuta in un'unica soluzione. Qualora la interruzione avvenga nel 2000, oltre ai tributi di competenza dell'anno, devono essere prelevate in un'unica soluzione anche le rate residuali delle addizionali del 1999 in scadenza nei periodi di paga successivi?

6.1.2. Incapienza della busta paga

(si veda par. 6.3)

D. Ove durante i periodi di paga in cui è in corso la rateizzazione delle addizionali si verifichi l'incapienza della busta paga, si chiede se valgano le regole di cui all'art. 23, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973 secondo le quali il sostituito è tenuto a versare al sostituto l'importo corrispondente all'ammontare della ritenuta.

6.1.3. Aspettativa non retribuita

D. Nel caso di aspettativa non retribuita (e situazioni similari), il sostituto d'imposta deve comportarsi secondo le regole previste nell'ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro ovvero di incapienza della retribuzione?

R. Le problematiche rappresentate, in mancanza di una specifica disciplina, trovano soluzione nei principi generali in materia di determinazione, prelievo e versamento delle ritenute Irpef. Pertanto, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il sostituto è tenuto a trattenere, in un'unica soluzione, nel periodo di paga in cui sono effettuate le operazioni di conguaglio, anche le rate non ancora scadute relative all'addizionale del periodo d'imposta precedente.

In caso d'incapienza delle retribuzioni, anche per effetto di periodi di aspettativa non retribuita, il sostituto deve prelevare l'importo non ancora trattenuto dalle retribuzioni immediatamente successive, operando, in sostanza, una riduzione del numero delle rate. Entro il mese di dicembre, il sostituto deve, comunque, versare all'Erario l'importo delle addizionali Irpef, determinato all'atto delle operazioni di conguaglio di fine anno, ancorché tale importo non sia stato integralmente trattenuto per incapienza delle retribuzioni.

6.1.4. Innalzamento della quota di compartecipazione

D. Lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri del 13 gennaio scorso prevede (art. 3) un innalzamento della aliquota di addizionale regionale di 0,4 punti percentuali con effetto dal 2000 ma rinvia la corrispondente riduzione delle aliquote Irpef al 2001. Quindi, a seguito della approvazione del citato provvedimento, si avrà un aumento del prelievo complessivo Irpef (aliquota ordinaria più addizionale regionale) dello 0,40 per cento nel 2000 e una riduzione di uguale misura nel 2001: è corretta questa interpretazione?

R. L'interpretazione è corretta se si ragiona in termini di competenza. Infatti, il comma 1 dell'articolo 3 dello schema di decreto legislativo prevede un aumento dello 0,4 per cento dell'addizionale regionale all'Irpef a decorrere dall'anno 2000, mentre il comma 2 del citato articolo 3 dispone che, a decorrere dall'anno 2001, le aliquote Irpef di cui all'articolo 11, comma 1, del T.U.I.R. sono ridotte di 0,4 punti percentuali. Ragionando in termini di cassa, invece, per i percettori di redditi di lavoro dipendente ed assimilati, il cui rapporto di lavoro non cessi nel corso dell'anno 2000, non si avrà un aumento complessivo del prelievo, in considerazione del fatto che tanto la trattenuta relativa all'addizionale per il 2000 quanto la ritenuta Irpef per l'anno d'imposta 2001 saranno operate nel corso del 2001.

 

 

7. Fiscalità finanziaria

7.1. Obbligazioni

7.1.1. Obbligazioni emesse e sottoscritte a partire dal 1° gennaio 1995, ma non emesse dopo il 12 gennaio 1996

D. Eventuali obbligazioni emesse in questo periodo ancora in circolazione sono presumibilmente assoggettate alla ritenuta del 30%, non essendo possibile provare che il loro "saggio effettivo d'interesse sia allineato a quello di mercato".

Qualora il tasso di rendimento effettivo di questi titoli al momento dell'emissione non fosse superiore al TUS vigente all'emissione aumentato di 2/3 o raddoppiato, a secondo dei casi, sarebbe possibile, come la portata letterale e la logica della norma pare consentire, applicare la ritenuta del 12,5% sugli interessi maturati a partire dal 1° luglio 2000?

R. L'articolo 26, primo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dall'articolo 12, comma 1, del D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, prevede che per le obbligazioni con scadenza non inferiore ai 18 mesi si applica la ritenuta alla fonte del 12,50 per cento. Tuttavia se queste sono emesse da società o enti, diversi dalle banche, il cui capitale è rappresentato da azioni non negoziate in mercati regolamentati italiani ovvero da quote, l'aliquota del 12,50 per cento si applica a condizione che, al momento dell'emissione, il tasso di rendimento effettivo non superi il tasso ufficiale di sconto aumentato di due terzi, per le obbligazioni ed i titoli similari negoziati in mercati regolamentati italiani o collocati mediante offerta al pubblico, ovvero di un terzo per le obbligazioni ed i titoli similari diversi dai precedenti.

La norma e, quindi, i nuovi parametri, si applicano per espressa previsione normativa limitatamente ai proventi esigibili a partire dal 1° luglio 1998, relativi ad obbligazioni emesse a partire dal 30 giugno 1997.

L'articolo 2, comma 1, lettera a), n. 1), del D.Lgs. 23 dicembre 1999, n. 505, ha aggiornato i parametri da utilizzare per la verifica della congruità del tasso di riferimento effettivo dei prestiti obbligazionari ai fini dell'applicazione della ritenuta alla fonte del 12,50 per cento. Tali parametri sono ora fissati al doppio del tasso ufficiale di sconto, per le obbligazioni e titoli similari negoziati in mercati regolamentati di Paesi aderenti all'Unione Europea, e al tasso ufficiale di sconto aumentato di due terzi, per altri titoli obbligazionari e titoli similari.

Considerato che tale nuova disposizione interviene nella disciplina delle obbligazioni emesse a partire dal 30 giugno 1997, la stessa non si rende applicabile a quelle emesse prima di tale data. Pertanto, così come previsto dall'articolo 2, comma 2, del citato D.Lgs. n. 505 del 1999, i nuovi parametri si applicano agli interessi ed altri proventi divenuti esigibili a partire dal 1° luglio 2000, sempreché relativi a titoli obbligazionari emessi dal 30 giugno 1997.

Ne consegue che per i titoli emessi dal 1° gennaio 1995 al 12 gennaio 1996 non è in nessun caso applicabile la nuova disciplina prevista nell'articolo 26, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, ma deve continuarsi ad applicare quella prevista dall'articolo 32, comma 2, del D.L. n. 69 del 1989 e dall'articolo 5, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 725. Pertanto, i proventi derivanti da titoli obbligazionari emessi da soggetti diversi da aziende ed istituti di credito, da enti di gestione delle partecipazioni statali e da società per azioni quotate in borsa, sono assoggettati alla ritenuta alla fonte nella misura del 30 per cento. La ritenuta si riduce al 12,50 per cento qualora i titoli obbligazionari, emessi da società con azioni non quotate in borsa, abbiano un saggio effettivo di interesse allineato con quello di mercato.

7.2. Altri quesiti in materia di fiscalità finanziaria

7.2.1. Capital gain: cessioni a titolo gratuito

D. Una recente interpretazione fornita dalla Direzione regionale delle entrate per la Lombardia, ha affermato la non tassabilità, a titolo di plusvalenza di cessione di partecipazione, qualora il contribuente rinunci gratuitamente all'esercizio del diritto di opzione. Ciò in quanto l'articolo 81, lett. c) e c-bis), del T.U.I.R. fa riferimento alle plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso. Si chiede di conoscere il parere in merito all'interpretazione prospettata. Inoltre, sempre nell'ambito delle disposizioni in materia di capital gain, si chiede di conoscere se, nella valutazione delle cessioni effettuate nell'arco dei 12 mesi, ai fini dell'identificazione di una eventuale cessione di partecipazione qualificata, si debba tenere conto anche delle transazioni effettuate a titolo gratuito.

R. Quanto al primo quesito, concordemente a quanto esposto dalla Direzione regionale delle entrate per la Lombardia, si ritiene che la rinuncia gratuita all'esercizio di un diritto di opzione, non costituisce fattispecie imponibile, atteso che l'articolo 81, comma 1, lettere c), c-bis) e c-ter), del T.U.I.R. fanno riferimento ai trasferimenti a titolo oneroso. Naturalmente, il contribuente dovrà essere in grado di provare che si tratta di una rinuncia gratuita dell'opzione e non di cessione a titolo oneroso del diritto di opzione, né di esercizio di opzione e successiva cessione a titolo oneroso.

Per quanto riguarda il secondo quesito, si ritiene che il principio che impone di tener conto di tutte le cessioni effettuate nei 12 mesi per determinare il possesso o meno di una partecipazione qualificata imponga di considerare anche le cessioni a titolo gratuito in quanto, con riferimento a questo aspetto, la norma non precisa che si tratta di cessioni a titolo oneroso.

7.2.2. Dividendi percepiti dalle Onlus

D. L'articolo 16 del D.Lgs. n. 460 del 1997 dispone che sui redditi di capitale di cui all'articolo 41 del testo unico corrisposti alle Onlus, le ritenute alla fonte sono effettuate a titolo d'imposta. Ciò significa che anche i dividendi corrisposti alle Onlus devono essere assoggettati a ritenuta d'imposta o - come si ritiene più corretto - la norma non è applicabile ai dividendi perché l'articolo 27 del D.P.R. n. 600 del 1973 non prevede l'applicazione di alcuna ritenuta nei confronti dei soggetti diversi dalle persone fisiche, con la sola eccezione dei fondi pensione, dei fondi comuni immobiliari, dei non residenti e dei soggetti esenti dall'Irpeg?

Si ritiene che sia corretto non assoggettare questi dividendi a ritenuta con l'effetto che concorreranno a formare il reddito imponibile della Onlus con il credito d'imposta. Del resto, altrimenti, una norma a carattere agevolativo produrrebbe un effetto penalizzante.

R. L'articolo 16 del D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, stabilisce che le ritenute alla fonte sui redditi di capitale di cui all'articolo 41 del T.U.I.R., percepiti dalle Onlus sono effettuate a titolo d'imposta.

Tale disposizione fa riferimento a tutte le tipologie di redditi di capitale per le quali sia prevista l'applicazione di una ritenuta alla fonte. Pertanto, tenuto conto che per gli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti all'Irpeg di cui alla lettera e), comma 1 del citato articolo 41 del T.U.I.R. l'articolo 27 del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede, relativamente ai soggetti diversi dalle persone fisiche, l'applicazione di una ritenuta soltanto nei confronti di fondi pensione, di fondi comuni immobiliari e di soggetti esenti dall'Irpeg, ne consegue che le Onlus non sono soggette a tale ritenuta. I dividendi eventualmente percepiti concorreranno, quindi, a formare il reddito complessivo.

7.2.3. Ripartizione del valore fiscalmente riconosciuto delle azioni ai soci

D. I soci della società scissa ricevono le azioni dalla beneficiaria: quale criterio deve essere adottato per ripartire il costo originario delle azioni della società scissa tra le vecchie azioni della società scissa e le nuove azioni della beneficiaria?

R. La disposizione contenuta nell'articolo 82, comma 5, del T.U.I.R., ai fini della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione delle partecipazioni e delle attività finanziarie indicate nelle lettere c), c-bis) e c-ter), dell'articolo 81 dello stesso testo unico, prevede che la plusvalenza (o minusvalenza) deve essere determinata sottraendo dal "corrispettivo percepito" ovvero dalla "somma o il valore dei beni rimborsati" il "costo o il valore di acquisto assoggettato a tassazione, aumentato di ogni onere inerente alla loro produzione".

Pertanto, il valore finale da assumere a tal fine si identifica con il corrispettivo effettivamente percepito nel periodo d'imposta a seguito della cessione delle partecipazioni. Relativamente, invece, al costo di acquisto (valore iniziale), è necessario considerare la circostanza che, nell'esempio formulato, le partecipazioni azionarie sono state acquisite a seguito di una scissione societaria.

Come noto, per effetto dell'operazione straordinaria di scissione, ai sensi di quanto disposto dal comma 3 dell'articolo 123-bis del T.U.I.R., il cambio delle partecipazioni originarie dell'ente scisso con quelle dell'ente beneficiario non costituisce né realizzo né distribuzione di plusvalenze o di minusvalenze né conseguimento di ricavi in capo ai soci della società scissa, fatta salva l'applicazione del comma 3 dell'articolo 44 del T.U.I.R. con riferimento alla tassazione dei redditi di capitale per le somme ricevute dai soci in caso di conguaglio. Tale disposizione è finalizzata a sottoporre a imposizione l'incremento di valore in capo ai soci al verificarsi di fattispecie distinte da quelle connesse all'operazione che li genera. Infatti, al momento della scissione va attribuita a ciascuna partecipazione ricevuta in cambio dai soci della società scissa un valore fiscalmente uguale a quello della partecipazione originaria.

In altre parole, in virtù dell'esposto principio di neutralità fiscale della scissione, l'assegnazione di azioni o di titoli rappresentativi del capitale della società beneficiaria o acquirente ad un socio della società conferente o acquistata, in cambio di titoli rappresentativi del capitale sociale di quest'ultima società, non comporta, di per se stessa, alcuna imposizione sul reddito.

In caso di scissione, ai soci della società scissa verranno assegnate le azioni - in proporzione alla partecipazione posseduta - delle società beneficiarie dell'apporto.

Il criterio da seguire appare quello di ripartizione del costo originario in proporzione al valore netto contabile del patrimonio trasferito alle beneficiarie e di quello eventualmente rimasto nella scissa.

Posto una scissione parziale in cui la società A trasferisce parte del suo patrimonio nella società B, e posto

p = costo originario della partecipazione

PNA = patrimonio netto della società scissa ante scissione

Pnb = patrimonio netto della società B post scissione

Pna = patrimonio netto della società A post scissione,

le azioni di B da attribuire ai soci saranno date da: p × Pnb/PNA;

le azioni di A da attribuire ai soci saranno date da: p × Pna/PNA.

È opportuno sottolineare che eventuali operazioni di scissione, prive di valide ragioni economiche, volte ad attribuire ai soci vantaggi fiscali connessi ad una ripartizione del costo della partecipazione solo formalmente corretta, potranno essere contrastate, ricorrendone le condizioni, ai sensi dell'art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.

 

 

8. Dichiarazioni

8.1. Dichiarazioni rettificative

8.1.1. Termini di accertamento per la dichiarazione rettificativa

D. Nel caso di presentazione di una dichiarazione che, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta in cui l'infrazione è stata commessa, rettifica quella già presentata quando scade il termine per l'accertamento? Ad esempio, se il Modello Unico relativo al 1998, presentato nel 1999, è rettificato nel mese di giugno 2000, il termine scade il 31 dicembre 2003 o il 31 dicembre 2004?

R. Nel caso di presentazione di una dichiarazione integrativa di quella già presentata, entro il termine stabilito dall'art. 13, lett. b), del D.Lgs. n. 472 del 1997, non è previsto dalla legge alcun allungamento dell'ordinario termine di decadenza relativo all'accertamento. Del resto una simile previsione non sarebbe logica, posto che si tratta di una dichiarazione integrativa a favore dell'Erario.

Nell'esempio formulato, pertanto, il termine scade il 31 dicembre 2003.

8.1.2. Dichiarazione rettificativa e compensazione

D. Nella precedente videoconferenza organizzata da Italia Oggi, il Ministero delle finanze aveva convenuto che la disposizione di cui all'articolo 2, comma 8, del D.P.R. n. 322 del 1998 consentiva al contribuente di rettificare, a proprio favore, la dichiarazione originaria, precisando altresì che, se tale dichiarazione rettificativa viene presentata entro i termini di cui all'articolo 38 del D.P.R. n. 602 del 1973 è da intendersi come istanza di rimborso. Sulla base di questo principio è ammissibile la presentazione di una dichiarazione in relazione alla quale emerga un maggior credito spendibile dal contribuente in compensazione? In pratica:

- contribuente che ha presentato in via telematica o presso banca e posta un modello Unico 99;

- entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta 1999 presenta un nuovo modello Unico 99 rettificativo del primo in relazione al quale emerge un credito superiore a quello della dichiarazione originaria.

Posto che le istruzioni al modello Unico affermano che la compensazione deve concludersi, al massimo, nella dichiarazione successiva, il maggior credito emergente dalla dichiarazione rettificativa può essere speso legittimamente in compensazione?

R. L'articolo 2, comma 8, del D.P.R. n. 322 del 1998 (tenendo conto anche delle modifiche apportate con D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542) stabilisce che, salva l'applicazione delle sanzioni amministrative, le dichiarazioni possono essere integrate per correggere errori od omissioni mediante successiva dichiarazione da redigere secondo le modalità stabilite per le medesime dichiarazioni e da presentare all'Amministrazione finanziaria per il tramite di un ufficio delle Poste italiane S.p.A. convenzionato. Tale disposizione ha un ambito applicativo più ampio di quello dell'articolo 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, il quale dispone delle riduzioni automatiche alle misure minime delle sanzioni applicabili per le violazioni commesse in sede di predisposizione e di presentazione della dichiarazione, nonché di pagamento delle somme dovute. Infatti, entrambe le disposizioni consentono al contribuente di rimuovere comportamenti (errori o omissioni), ma il citato articolo 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997 si riferisce soltanto alle ipotesi in cui il contribuente abbia tenuto un comportamento (errore o omissione) sanzionabile dall'Amministrazione finanziaria, e, quindi, in linea generale, non può essere utilizzato al solo fine di esporre un maggior credito. In ogni caso, la dichiarazione presentata al fine di usufruire dell'istituto del ravvedimento operoso non sostituisce, ma integra la precedente dichiarazione, la quale segue tutta la procedura ordinaria. Pertanto, nelle rare ipotesi in cui, pur eliminando un comportamento sanzionabile dall'Amministrazione finanziaria, il contribuente chiuda la sua dichiarazione con un credito o con un maggior credito, il relativo importo non può essere utilizzato in compensazione, ma può solo essere richiesto a rimborso.

L'articolo 2, comma 8, del D.P.R. n. 322 del 1998 consente, invece, di presentare una successiva dichiarazione anche meramente rettificativa della precedente e fa salvo il potere degli uffici di applicare le sanzioni amministrative. In merito a questa disposizione è opportuno chiarire che:

1. la dichiarazione rettificativa presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione originaria, sostituisce completamente la precedente, pertanto, non si applica alcuna sanzione amministrativa e il contribuente ha diritto a scegliere l'utilizzo di eventuali crediti risultanti da essa secondo le ordinarie modalità, rimborso, compensazione, etc.;

2. la dichiarazione rettificativa presentata entro il termine di novanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione originaria, sostituisce la precedente e dà diritto al contribuente di utilizzare gli eventuali crediti secondo le modalità ordinarie, rimborso, compensazione, etc.. Tale dichiarazione è valida a tutti gli effetti, infatti, ma, essendo presentata tardivamente comporta l'applicazione delle sanzioni amministrative (cfr. circolare n. 23/E del 25 gennaio 1999, paragrafo n. 1.2);

3. la dichiarazione rettificativa presentata oltre il termine di novanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione originaria si considera omessa, ma dà titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in essa indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d'imposta. Eventuali crediti emergenti in questa sede possono essere soltanto richiesti a rimborso.

8.2. Dichiarazioni I.V.A.

8.2.1. Dichiarazione I.V.A. in caso di cessazione dell'attività

D. Un imprenditore individuale cessa l'attività il 31 dicembre 2000 donando l'unica azienda ai figli che costituiranno una S.n. c. Le istruzioni alla dichiarazione I.V.A. 2000 prevedono che nel caso di modificazioni da ditta individuale in società avvenuta dal 1° gennaio 2000 al termine di presentazione della dichiarazione, in caso di trasferimento al nuovo soggetto del debito o del credito I.V.A., la dichiarazione debba essere effettuata dal soggetto risultante dalla trasformazione. La società non è tenuta alla presentazione di una propria dichiarazione, in quanto costituita dopo il 31 dicembre 1999. Si chiede se le modalità di presentazione corrette sono le seguenti:

- la società presenta la dichiarazione I.V.A. in via autonoma relativamente alle operazioni del dante causa;

- l'imprenditore presenta il modello Unico 2000 ad eccezione della parte I.V.A.

R. Nel caso in cui nell'atto di donazione non è stabilito che il debito e il credito relativi all'I.V.A. rimangono in capo al donante, la società donataria è tenuta alla presentazione della dichiarazione I.V.A. per l'anno 1999.

Pertanto, come prospettato dalle istruzioni per la compilazione della dichiarazione I.V.A. 1999, la società deve indicare i dati del soggetto donante nella parte riservata al contribuente e i dati propri nel riquadro riservato al dichiarante, previa indicazione del codice 9 nella casella relativa al codice di carica.

Il soggetto donante è tenuto all'obbligo di presentazione del modello unico 2000, ad eccezione della parte I.V.A.

8.2.2. Computo del pro-rata nelle liquidazioni e dichiarazioni periodiche

D. La dichiarazione annuale I.V.A. scade a maggio o giugno (modello Unico), ma il pro-rata deve essere calcolato in via provvisoria in ognuna delle liquidazioni/dichiarazioni periodiche, che scadono già nel mese di febbraio. L'attuale articolo 19-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 non riproduce la disposizione del vecchio articolo 19, terzo comma, sul calcolo provvisorio del pro-rata con la percentuale dell'anno precedente. Tenendo conto della sfasatura tra prima liquidazione periodica e successiva dichiarazione annuale, a partire da quale conteggio mensile o trimestrale si tiene conto del pro-rata dell'anno precedente? Oppure il mancato richiamo nel vigente articolo 19-bis sta a significare che durante l'anno la detrazione è operata per intero e viene limitata solo in sede di dichiarazione annuale?

R. Il criterio indicato dall'articolo 19, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 - nella formulazione precedente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 313 del 1997 - in base al quale i soggetti interessati alla regola del pro-rata in corso d'anno devono applicare una percentuale provvisoria di detrazione basata sul pro-rata dell'anno precedente, salvo conguaglio alla fine dell'anno, è attualmente riportato dall'articolo 19, quinto comma, dello stesso decreto. Tale norma dispone espressamente che i soggetti che esercitano sia attività che danno diritto alla detrazione sia attività che danno luogo ad operazioni esenti, in corso d'anno operano una detrazione provvisoria con l'applicazione della percentuale di detrazione dell'anno precedente, salvo conguaglio alla fine dell'anno.

Anche in base alle nuove disposizioni vigenti in tema di detrazione, quali risultano a seguito delle modifiche apportate al D.P.R. n. 633 del 1972 dal D.Lgs. n. 313 del 1997, occorre fare riferimento alla percentuale di detrazione dell'anno precedente già dalla prima liquidazione/dichiarazione periodica. La stessa disposizione contenuta nell'articolo 19, quinto comma, stabilisce, infatti, che in ciascun anno la determinazione del pro-rata definitivo deve essere realizzata, mediante eventuale conguaglio, alla fine dell'anno, anche se il predetto conguaglio risulterà in sede di dichiarazione annuale.

8.2.3. Splafonamento dell'esportatore abituale

D. Per regolarizzare lo splafonamento dell'esportatore abituale, è stata pubblicata una risoluzione datata 10 marzo 1999, con il numero 391186, che non si trova nella raccolta ufficiale del ministero delle finanze, e che suggerisce una procedura totalmente a carico dell'acquirente, responsabile della richiesta oltre i limiti, senza più chiedere note di variazione al fornitore, che non ha nessuna responsabilità al riguardo. Si chiede se questa posizione è condivisa dall'amministrazione centrale (verosimilmente la risoluzione è di una direzione regionale), che potrebbe opportunamente farne oggetto di una propria circolare.

R. Il presente quesito e quello riportato al punto 3.1.4 vertono nella stessa materia e prendono spunto dalla nota della Direzione centrale per l'accertamento n. 391186 del 10 marzo 1999.

Si ritiene di poter confermare la procedura consentita dalla predetta Direzione centrale per la regolarizzazione degli acquisti effettuati, ai sensi dell'articolo 8, primo comma, lettera c), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sulla base di dichiarazione di intento del cessionario o committente, oltre il limite dell'ammontare consentito (plafond).

In particolare, in alternativa alla richiesta al proprio cedente o prestatore di effettuare le corrispondenti variazioni in aumento dell'I.V.A. non addebitata in fattura, ai sensi dell'articolo 26 del citato D.P.R. n. 633 del 1972, è consentito allo stesso cessionario o committente di regolarizzare l'operazione nel modo seguente:

- emissione di autofattura in duplice esemplare;

- versamento dell'imposta non applicata in fattura, oltre gli interessi e le relative sanzioni ridotte, ai sensi dell'articolo 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. In particolare, il versamento di regola andrà effettuato, per quanto riguarda l'imposta e gli interessi, con utilizzo del modello F24 e, per quanto riguarda le sanzioni, mediante l'utilizzo del modello F23. Peraltro, in un'ottica semplificativa del sistema, il versamento dell'imposta e degli interessi potrebbe anche essere effettuato attraverso la contabilizzazione in sede di liquidazione periodica, con indicazione nel rigo VP8, colonna 1, della dichiarazione mensile o trimestrale;

- annotazione dell'autofattura unicamente nel registro degli acquisti;

- presentazione di un esemplare dell'autofattura al competente Ufficio I.V.A. o delle Entrate, analogamente alla procedura prevista dall'articolo 6, comma 8, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.

La procedura ha il pregio di non coinvolgere più il cedente o prestatore nella regolarizzazione dell'operazione, atteso che, come è stato più volte affermato dalla stessa Amministrazione finanziaria, la responsabilità circa la regolarità e correttezza della dichiarazione di intento (sulla quale si fonda l'operazione agevolata) e, quindi, anche relativamente alla sussistenza di plafond ancora disponibile, incombe unicamente sull'acquirente del bene o del servizio.

Come sopra detto, è comunque possibile regolarizzare l'operazione con la richiesta di variazione al proprio cedente o prestatore, fermo restando l'obbligo del pagamento degli interessi e delle sanzioni a carico del cessionario o committente.

Invece non sembra conforme allo spirito del sistema una procedura basata su una mera contabilizzazione in sede di dichiarazione periodica, trattandosi di una "regolarizzazione" che prescinderebbe dalla emissione di un documento contabile rettificativo della originaria fattura.

8.2.4. Errori nelle dichiarazioni periodiche

D. Anche in relazione all'avvio della procedura nel 1999, molte dichiarazioni risultano errate specie per quanto riguarda l'imponibile delle vendite e degli acquisti, senza che vi siano stati effetti nel calcolo dell'imposta.

Queste violazioni possono - alla luce del correttivo al D.Lgs. n. 471 del 1997 - essere considerate violazioni formali e per il 1999 essere sanate senza sanzioni rispondendo alla richiesta di chiarimenti da parte dell'ufficio?

R. La violazione prospettata è di carattere formale, poiché non comporta variazioni dell'ammontare del tributo dovuto per il periodo di imposta (mese o trimestre).

Lo schema di decreto integrativo e correttivo del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 473, già approvato dal Consiglio dei Ministri, aggiunge all'articolo 25, recante disposizioni transitorie, dopo il comma 3-bis, il comma 3-ter, che prevede nei casi di omissioni ed errori relativi alle dichiarazioni presentate nell'anno 1999, che non incidono sulla determinazione o sul pagamento del tributo, la non applicazione della sanzione prevista dall'articolo 8 del D.Lgs. n. 471 del 1997, a condizione che l'autore della violazione provveda alla regolarizzazione entro trenta giorni dall'invito degli Uffici finanziari.

Atteso che il comma aggiunto si riferisce genericamente alle dichiarazioni presentate nell'anno 1999, si ritiene che in esso vadano comprese anche le dichiarazioni I.V.A. periodiche.

8.3. Visto pesante

8.3.1. Visto pesante: ammortamenti accelerati

D. Con riferimento all'opportunità offerta ai revisori contabili, iscritti da almeno cinque anni negli ordini dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei consulenti del lavoro di rilasciare la certificazione tributaria ai contribuenti in contabilità ordinaria con la ragionevole convinzione che siano rispettate le norme, anche con riferimento alla interpretazione ufficiale ministeriale, con tutto quello che ad essa consegue, quale comportamento deve adottare il professionista nel caso si trovi a verificare la correttezza o meno dell'ammortamento accelerato relativo ai beni materiali, visto e considerato che nella scheda n. 10 relativa agli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali non vi è presente nessun riferimento specifico agli ammortamenti accelerati? Inoltre, visto e considerato che non vi è nessun riferimento concreto a posizioni ufficiali del ministero alle quali poter far affidamento nel rilascio del visto, quando può considerarsi lecito avvalersi della facoltà dell'ammortamento accelerato e quali documentazioni probatorie si devono conservare per un eventuale supporto al verificatore? Quanto detto è legato alla sola professionalità del certificatore, cioè cimentarsi nel merito dei documenti probatori?

R. L'ammortamento accelerato consiste, com'è noto nella più intensa utilizzazione dei beni rispetto a quella normale del settore. Il concetto di maggiore utilizzazione, ha chiarito la Corte di Cassazione con sentenza n. 6837 del 22 luglio 1994, va riferito alla sola azienda in cui è inserita l'attrezzatura e non può essere fatta valere se riguarda l'intero settore di appartenenza. Poiché la possibilità di effettuare tale maggiorazione è subordinata alla condizione che gli impianti dell'impresa siano effettivamente sottoposti ad un più intenso e prolungato sfruttamento oltre il normale orario di lavoro, l'individuazione del maggior utilizzo di tali beni strumentali è da ricercarsi negli indici di produttività aziendale. L'azienda dovrà al riguardo fornire adeguata prova al certificatore tributario, che la verificherà anche in via di fatto, oltre alla documentazione probatoria, così come avviene di consueto in sede di controllo fiscale.

8.3.2. Visto pesante: poteri di controllo e verifica

D. L'articolo 14 del decreto ministeriale 29 dicembre 1999 sottolinea che l'attività di controllo e di verifica dell'amministrazione finanziaria relativamente alle dichiarazioni per le quali è stata rilasciata la certificazione tributaria "è riferita di regola alle componenti di reddito che non hanno costituito oggetto di certificazione". Si chiede quale sia la portata pratica della locuzione di regola e se tale espressione possa in qualche modo configurare l'assoggettamento a controllo anche delle voci per cui è stata rilasciata la certificazione.

R. Il quesito inerente l'attività di controllo e di verifica sulle certificazioni tributarie rilasciate, verte sull'interpretazione della locuzione di regola richiamata nell'art. 4 del decreto ministeriale 29 dicembre 1999 e, se tale espressione possa in quale modo configurare l'assoggettamento a controllo anche delle voci per cui è stata rilasciata la certificazione.

L'art. 4 del decreto citato prevede:

a) in sede di programmazione dell'attività di controllo e di verifica sono definiti appositi criteri selettivi finalizzati a riscontrare la correttezza della certificazione rilasciata (art. 26, comma 2, del decreto ministeriale 31 maggio 1999, n. 164);

b) relativamente alle dichiarazione per le quali è stata rilasciata la certificazione tributaria, l'attività di controllo è riferita di regola alle componenti di reddito che non hanno costituito oggetto di certificazione. Pertanto la locuzione di regola va interpretata nel suo stretto senso lessicale e cioè che non è preclusa all'Amministrazione finanziaria la possibilità di sottoporre a controllo e verifica anche gli elementi positivi e negativi di reddito che hanno costituito oggetto di certificazione.

8.3.3. Visto pesante: scritture predisposte e tenute dal professionista

D. Ai fini della certificazione tributaria, l'articolo 24 del D.M. 31 maggio 1999, n. 164, dispone che i professionisti rilasciano la certificazione tributaria se hanno tenuto e predisposto le dichiarazioni e tenuto le relative scritture contabili. Ai sensi dello stesso articolo le scritture contabili si intendono predisposte e tenute dal professionista anche quando sono predisposte e tenute direttamente dallo stesso contribuente o da una società di servizi di cui uno o più professionisti posseggono la maggioranza assoluta del capitale, a condizione che tali attività siano effettuate sotto il diretto controllo e la responsabilità dello stesso professionista. Una interpretazione letterale della norma da supporre, quindi, che la certificazione sia apponibile solo nel caso in cui la contabilità e le scritture siano tenute direttamente dal contribuente (e non attraverso terzi soggetti non abilitati alla certificazione) o dagli stessi certificatori o strutture da essi controllate, escludendo quindi la possibilità che vengano certificate dichiarazioni relative a contabilità tenute da soggetti non abilitati alla certificazione. Qual è a riguardo l'interpretazione ministeriale?

R. L'interpretazione letterale, descritta nel quesito, della norma contenuta nell'art. 24 del decreto ministeriale 31 maggio 1999, n. 164 nel senso che la certificazione sia apponibile solo nel caso in cui la contabilità e le scritture siano tenute direttamente dal contribuente, o dai certificatori o da società di servizi controllate dai certificatori ovvero da un CAF-imprese è corretta volendosi espressamente escludere che la certificazione si sostanzi in un sigillo formale su situazioni al di fuori della sfera di controllo del certificatore.

8.3.4. Controllo e responsabilità del certificatore

D. Cosa si intende con la locuzione "diretto controllo e responsabilità" del certificatore di cui all'art. 24 del D.M. 31 maggio 1999, n. 164?

R. L'articolo 24, comma 1, del D.M. 31 maggio 1999, n. 164, prevede che i certificatori rilascino la certificazione tributaria se hanno predisposto le dichiarazioni e tenuto le relative scritture contabili.

In base al comma 2 dello stesso articolo 24, le dichiarazioni e le scritture contabili si intendono predisposte e tenute dai certificatori anche quando sono predisposte e tenute:

- direttamente dallo stesso contribuente;

- da una società di servizi di cui uno o più certificatori posseggono la maggioranza assoluta del capitale sociale;

- da un CAF-imprese.

Le attività di predisposizione delle dichiarazioni e di tenuta delle scritture contabili devono peraltro essere effettuate sotto il diretto controllo e la responsabilità del certificatore.

La norma presuppone, quindi, che il certificatore mantenga comunque il controllo di tali attività assumendone le responsabilità come se le avesse svolte direttamente.

8.3.5. Limite al rilascio delle certificazioni

D. Esiste un tetto massimo di certificazioni tributarie che ogni singolo professionista può rilasciare?

R. Il D.M. 29 dicembre 1999 del Ministro delle finanze non individua un numero massimo delle certificazioni tributarie che ciascun certificatore può rilasciare con riferimento alle dichiarazioni relative al periodo d'imposta 1999.

8.3.6. Rilascio della certificazione in caso di risultato negativo

(si veda par. 8.3.9.)

D. Nel caso in cui dal controllo delle voci emerga un risultato negativo il professionista deve rilasciare la certificazione con la valutazione negativa oppure non deve rilasciare alcuna la certificazione?

8.3.7. Tenuta del registro delle certificazioni

D. Il certificatore deve tenere un apposito registro su cui annotare l'elenco dei contribuenti per i quali ha rilasciato la certificazione tributaria?

R. No.

8.3.8. Certificazione della gestione delle scritture contabili

D. Il professionista che ha tenuto le scritture contabili del contribuente, è obbligato al rilascio della certificazione tributaria, su richiesta del contribuente?

R. Su richiesta del contribuente il professionista abilitato non è obbligato al rilascio delle certificazione tributaria che rientra sempre nella discrezionalità del professionista stesso.

8.3.9. Certificazione a seguito di maggiori esborsi

D. La certificazione può essere rilasciata anche quando la non corretta applicazione della normativa tributaria ha comportato per il contribuente un maggiore esborso, e quindi complessivamente nessun danno per il fisco?

R. Tenuto conto che il certificatore non è obbligato a rilasciare la certificazione richiesta, si deve ritenere che la stessa sarà rilasciata solo se i risultati del controllo avranno evidenziato la corretta applicazione delle norme relative alle componenti oggetto della certificazione.

8.4. Presentazione delle dichiarazioni

8.4.1. Presentazione della dichiarazione dei redditi: soggetto Irpeg in liquidazione ordinaria

D. Nell'ambito delle disposizioni di cui all'articolo 5 del D.P.R. n. 322 del 1998 viene previsto che, nelle ipotesi di liquidazione ordinaria, le dichiarazioni devono essere presentate entro i termini ordinari previsti in relazione al singolo soggetto passivo di imposta. Posto che la fattispecie relativa alle società di persona non crea particolari problemi, si chiede di conoscere quando deve essere identificato il termine di presentazione della dichiarazione relativa ad un soggetto Irpeg posto in liquidazione in data 30 settembre 1999, con riferimento al periodo 1° gennaio 1999-30 settembre 1999. È corretto affermare che il predetto termine scade, comunque, considerando come riferimento quello di approvazione del bilancio relativo all'intero periodo di imposta 1999?

R. L'articolo 5 del D.P.R. n. 322 del 1998, prevede che in caso di liquidazione volontaria la dichiarazione relativa al periodo compreso tra l'inizio del periodo d'imposta e la data di messa in liquidazione deve essere presentata dal liquidatore o, in mancanza, dal rappresentante legale, entro l'ordinario termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi. La dichiarazione relativa alla residua frazione del periodo d'imposta e quelle relative ai successivi periodi d'imposta, se la liquidazione si prolunga oltre il periodo d'imposta in cui la liquidazione ha inizio, devono essere presentate sempre nei termini ordinari.

Sulla base di quanto previsto dall'articolo 2, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 322 del 1998, i soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche, tenuti all'approvazione del bilancio o del rendiconto entro un termine stabilito dalla legge o dall'atto costitutivo, presentano la dichiarazione entro un mese dall'approvazione del bilancio o del rendiconto. Se il bilancio non è stato approvato nel termine stabilito, la dichiarazione deve essere presentata entro un mese dalla scadenza del termine stesso. I soggetti non tenuti all'approvazione del bilancio o del rendiconto presentano la dichiarazione entro sei mesi dalla fine del periodo d'imposta.

Ne discende che un soggetto Irpeg, tenuto all'approvazione del bilancio, con periodo d'imposta coincidente con l'anno solare, posto in liquidazione a decorrere dal 1° ottobre 1999 presenta, entro un mese dall'approvazione del bilancio relativo al periodo d'imposta 1999, le dichiarazioni:

- con riferimento al periodo 1° gennaio 1999-30 settembre 1999;

- con riferimento al periodo 1° ottobre 1999-31 dicembre 1999.

8.4.2. Obbligo di presentazione della dichiarazione I.V.A. periodica: soggetti con volume d'affari inferiore a lire cinquanta milioni

D. La dichiarazione I.V.A. periodica non deve essere presentata dalle persone fisiche che nell'anno precedente hanno conseguito un volume d'affari non superiore a 50 milioni di lire. Al riguardo si chiede di precisare se:

- l'importo predetto debba essere ragguagliato ad anno e con quale unità di riferimento (giorni o mesi), nel caso in cui l'attività non sia stata esercitata per l'intero periodo d'imposta (esempio, inizio attività);

- i contribuenti che iniziano l'attività possono, per il primo anno, avvalersi dell'esonero facendo riferimento al volume d'affari che presumono di realizzare; in tal caso si chiede di conoscere gli effetti dell'eventuale superamento del limite in corso d'anno.

Si rappresenta che problemi analoghi si pongono nei riflessi delle semplificazioni per i contribuenti minori previste dall'art. 33 del D.P.R. n. 633 del 1972 e confermate dall'art. 7 del D.P.R. correttivo approvato il 3 settembre 1999.

R. In relazione al quesito prospettato si deve preliminarmente far presente che nel caso d'inizio attività non sussistono parametri oggettivi di determinazione dell'ammontare del volume d'affari che si presume di realizzare mancando, in tal senso, un'espressa previsione normativa sia nel testo del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100, attualmente vigente, sia nella versione modificata dall'art. 2 del D.P.R. correttivo approvato il 3 settembre 1999.

Inoltre, tutte le ipotesi in cui il contribuente è obbligato a prendere in considerazione, per l'individuazione degli adempimenti da rispettare, il volume d'affari presunto, sono state espressamente individuate dal legislatore. A tale proposito si ricorda la previsione normativa contenuta nell'art. 35 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in merito alla presentazione della dichiarazione d'inizio attività, nonché a quelle contenute nell'art. 3, commi 168 e 176, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, relativamente ai contribuenti che si vogliono avvalere del particolare regime semplificato o forfetario di cui ai commi 165 e 171 della medesima legge n. 662.

Pertanto si deve ritenere che, limitatamente al primo anno d'attività, i contribuenti non siano obbligati alla presentazione della dichiarazione I.V.A. periodica.

Nell'anno successivo l'obbligo di presentazione della dichiarazione periodica sussisterà o meno a seconda che il volume d'affari sia stato superiore, ovvero inferiore o uguale, ai 50 milioni di lire.

Non esiste infatti una previsione normativa che obblighi il contribuente a ragguagliare ad anno il volume d'affari conseguito nel periodo d'imposta in cui l'attività è stata esercitata per un tempo limitato (attività intrapresa in corso d'anno).

 

 

9. Sanzioni tributarie

9.1. Ravvedimento operoso

9.1.1. Ravvedimento operoso I.V.A.

D. In materia di I.V.A. (art. 48, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972) il ravvedimento operoso del contribuente sanava anche le irregolarità in materia di fatturazione, ricevute e scontrini fiscali, documenti di trasporto e contabilità. Attualmente (art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 18 dicembre 1997) vale la stessa regola o è necessario versare anche distinte somme per le diverse sanzioni irrogabili per ciascuna irregolarità?

R. La disposizione dell'art. 48 del D.P.R. n. 633 del 1972 che consentiva la regolarizzazione delle violazioni in materia di fatturazione, registrazione, etc. era quella contenuta nel primo comma, quarto periodo, relativa al cosiddetto "ravvedimento preventivo", ossia effettuato in sede di presentazione della dichiarazione. Esso consisteva, per un verso, nella indicazione "specifica" in dichiarazione dei corrispettivi non registrati (il che escludeva la violazione di infedele dichiarazione) e, per altro verso, nel pagamento di una somma pari al dieci per cento di tali maggiori corrispettivi.

Anche adesso, ai sensi dell'art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997, se il ravvedimento interviene "preventivamente", non essendo configurabile la violazione di infedele dichiarazione, la regolarizzazione riguarda essenzialmente l'omessa fatturazione o registrazione (ed eventualmente l'omesso versamento che ne è scaturito).

9.1.2. Ravvedimento operoso: infedele dichiarazione I.V.A. periodica

D. Nelle nuove istruzioni di compilazione della dichiarazione I.V.A. periodica approvate con D.M. 21 dicembre 1999 viene precisato, riguardo al ravvedimento operoso, che la regolarizzazione dell'infedeltà della dichiarazione periodica causata da sottostanti violazioni in materia di fatturazione, registrazione, detrazione, si effettua regolarizzando semplicemente tali violazioni. Alla luce di ciò, può ritenersi superata la circolare n. 192/E del 1998 nella parte in cui afferma che, in caso di violazioni degli obblighi di documentazione che abbiano dato luogo ad un carente versamento d'imposta, per regolarizzare completamente la propria posizione il contribuente deve sanare sia la violazione prodromica che quella indotta, pagando entrambe le sanzioni ridotte ai sensi di legge?

R. La risposta è negativa.

Si ribadisce quanto affermato con circolare n. 192/E del 1998: qualora l'omessa fatturazione (o registrazione) abbia dato origine ad un omesso pagamento, anche per quest'ultima violazione deve essere pagata la sanzione ridotta ai fini di una completa regolarizzazione.

9.1.3. Ravvedimento operoso: affrancamento di cui al D.Lgs. n. 461 del 1997

D. La circolare n. 207/E del 26 ottobre 1999 del Ministero delle finanze, precisa che la disposizione di cui all'art. 3 del D.Lgs. n. 259 del 1999 stabilisce che i ritardati, omessi o insufficienti versamenti delle imposte e delle ritenute di cui D.Lgs. n. 461 del 1997, i cui termini scadevano il 21 giugno 1999, potevano essere sanati entro il mese di ottobre 1999 senza alcuna sanzione. Viene sottolineato che gli inadempimenti relativi alle dichiarazioni dei redditi e alle dichiarazioni dei sostituti di imposta nonché ai versamenti ed alle ritenute scadenti dopo il 21 giugno 1999, possono essere invece sanati con le ordinarie procedure di cui all'art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997 «sempreché la fattispecie rientri tra quelle oggetto di ravvedimento». Si chiede pertanto, posto che il ravvedimento operoso si riferisce, in genere, ad obblighi non correttamente soddisfatti dal contribuente e non a fattispecie opzionali quali, ad esempio, l'affrancamento delle partecipazioni possedute alla data del 1° luglio 1998, ma che la sanatoria ha come causa ostativa un'attività svolta dall'amministrazione finanziaria di cui l'autore della violazione abbia formale conoscenza, se la mancata indicazione del valore delle partecipazioni che il contribuente intendeva affrancare alla predetta data nell'ambito del quadro RT e il conseguente versamento dell'imposta sostitutiva, costituiscano fattispecie oggetto di possibile ravvedimento operoso entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta 1999.

R. L'art. 14 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461 ha previsto una disciplina transitoria per le partecipazioni possedute al 1° luglio 1998.

Tale disciplina, che aveva carattere opzionale, consentiva al contribuente di affrancare le plusvalenze maturate fino al 30 giugno 1998, assicurando loro un trattamento analogo a quello che si sarebbe applicato se tali plusvalenze fossero state effettivamente realizzate entro tale data. A tal fine, è stata concessa la facoltà di determinare il costo o valore di acquisto delle partecipazioni possedute al 1° luglio 1998 utilizzando criteri alternativi a quelli ordinari.

Trattandosi di un regime opzionale, la cui mancata adozione non comporta ovviamente l'applicazione di alcuna sanzione, in linea generale, non può ammettersi l'istituto del "ravvedimento operoso", il quale è volto a rimuovere un comportamento del contribuente sanzionabile dall'Amministrazione finanziaria. Va, peraltro, sottolineato che, nelle ipotesi in cui l'affrancamento poteva essere effettuato entro un termine predeterminato, l'istituto del "ravvedimento operoso" non può essere invocato per aggirare la scadenza del termine ormai avvenuta o per modificare la scelta relativa al criterio di affrancamento adottato.

Quanto sopra premesso, va precisato che il richiamato "ravvedimento operoso" può essere utilizzato, invece, per rimuovere eventuali irregolarità che siano state commesse dal contribuente nell'effettuare l'affrancamento delle plusvalenze maturate entro il 30 giugno 1998.

È opportuno ricordare che ai fini dell'affrancamento, occorreva distinguere le ipotesi in cui le partecipazioni, o i diritti attraverso cui possono essere acquisite partecipazioni, fossero o meno negoziate in mercati regolamentati e se fossero qualificate o non qualificate:

1) per le partecipazioni non qualificate negoziate in mercati regolamentati italiani, così come definite dalla lettera c-bis) del comma 1 dell'articolo 81 del T.U.I.R. nel testo vigente anteriormente al 1° luglio 1998, il criterio del valore al 1° luglio 1998 consisteva nell'assumere in luogo dell'originario costo o valore di acquisto il valore risultante dalla media aritmetica dei prezzi rilevati presso i medesimi mercati nel mese di giugno 1998. Per la valorizzazione di tali partecipazioni non era dovuto il pagamento dell'imposta sostitutiva e pertanto non doveva essere necessariamente compilato il quadro RT della dichiarazione dei redditi del 1998. In queste ipotesi, se il quadro RT non è stato compilato non c'è alcuna necessità di ricorrere al "ravvedimento operoso"; se, invece, è stato predisposto in modo errato, è possibile usufruire del predetto istituto;

2) per le partecipazioni qualificate, negoziate in mercati regolamentati italiani, così come definite dalla lettera c) del comma 1 dell'articolo 81 del T.U.I.R. nel testo vigente anteriormente al 1° luglio 1998, il criterio del valore al 1° luglio 1998 consisteva nell'assumere, in luogo dell'originario costo o valore di acquisto, il valore risultante dalla media aritmetica dei prezzi rilevati presso i medesimi mercati regolamentati nel mese di giugno 1998, a condizione che le plusvalenze comprese nel predetto valore fossero assoggettate ad imposta sostitutiva con i criteri di cui al D.L. n. 27 del 1991. L'imposta doveva essere versata entro il termine di versamento delle imposte sui redditi dovute a saldo in base alla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 1998.

Tale modalità di affrancamento si applicava anche alle partecipazioni qualificate e non qualificate, definite tali dalle lettere c) e c-bis) del comma 1 dell'articolo 81 del T.U.I.R. nel testo vigente anteriormente al 1° luglio, negoziate esclusivamente in mercati esteri. Per queste ipotesi, se il contribuente ha commesso errori nella determinazione delle plusvalenze o nel calcolo dell'imposta sostitutiva è consentito il ricorso "al ravvedimento operoso" per correggere errori o omissioni;

3) per le partecipazioni qualificate e non qualificate, non negoziate in mercati regolamentati italiani o esteri, il criterio del valore al 1° luglio 1998 consisteva nell'assumere in luogo dell'originario costo o valore di acquisto, il valore della frazione del patrimonio netto della società, associazione o ente rappresentata da tali titoli, determinato sulla base delle risultanze contabili dell'ultimo bilancio approvato prima del 1° luglio 1998, a condizione che le plusvalenze comprese nel predetto valore fossero assoggettate ad imposta sostitutiva con i criteri di cui al D.L. n. 27 del 1991. L'imposta doveva essere versata entro il termine di versamento delle imposte sui redditi dovute a saldo in base alla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 1998.

In alternativa, il valore della frazione di patrimonio netto rappresentato dai titoli poteva essere determinato, ai sensi del comma 9 del medesimo articolo 14 del D.Lgs. n. 461 del 1997, in relazione al valore effettivo di mercato del patrimonio della società partecipata, sulla base di una relazione di stima, redatta dai soggetti abilitati ivi elencati (soggetti iscritti all'albo dei dottori commercialisti, dei ragionieri, dei periti commerciali e nell'elenco dei revisori contabili). Tale relazione doveva essere giurata e al redattore si applicano le disposizioni del codice penale relative ai periti (art. 64 del codice di procedura civile).

La relazione giurata doveva essere necessariamente indicata nella dichiarazione dei redditi della società (associazione o ente) relativa al periodo d'imposta in corso alla data del 1° luglio 1998, unitamente ai dati identificativi dell'estensore della perizia. A tal fine, era stato inserito un apposito prospetto nel quadro RB della dichiarazione dei redditi, modello Unico 99 persone giuridiche e nel quadro RP del modello Unico 99 società di persone.

La relazione giurata doveva esprimere il valore effettivo di mercato della società al 1° luglio 1998; tale valore doveva essere reso noto ai soci, associati o partecipanti che ne avessero fatto richiesta.

Anche in queste ipotesi è possibile ricorrere all'istituto del "ravvedimento operoso" per correggere errori ed omissioni nella determinazione delle plusvalenze e nel calcolo dell'imposta ovvero per indicare nella dichiarazione della società i dati relativi alla perizia giurata, la quale, però, deve comunque essere stata redatta e giurata con le modalità previste dalla norma ed entro il termine di presentazione della dichiarazione originaria.

9.1.4. Ravvedimento operoso: irregolarità nei modelli di versamento

D. L'articolo 15 del D.Lgs. n. 471 del 1997 prevede, esplicitamente, la sanzione relativa ad irregolarità nei documenti di versamento qualora questi "non contengono gli elementi necessari per l'identificazione del soggetto che li esegue e per l'imputazione della somma versata". Nell'ipotesi in cui si verifichi un errore relativo, ad esempio, all'indicazione di somme dovute a titolo di tributo erariale indicate nella sezione riservata ai tributi regionali, è necessario effettuare il ravvedimento operoso in quanto tale violazione è sanzionabile o è sufficiente una comunicazione indirizzata all'ufficio finanziario e al concessionario della riscossione senza la necessità di corrispondere alcuna sanzione anche in misura ridotta?

R. L'art. 15 del D.Lgs n. 471 del 1997 disciplina l'ipotesi in cui i documenti utilizzati per i versamenti diretti non contengano gli elementi necessari per l'identificazione del soggetto che li esegue e per l'imputazione della somma versata.

La fattispecie descritta nel quesito, come anche l'errata indicazione del codice tributo, integra la violazione citata, per la quale è prevista una sanzione da lire duecentomila a lire un milione.

Essa può essere regolarizzata entro tre mesi senza necessità di effettuare alcun pagamento, ai sensi dell'art. 13, comma 4, del D.Lgs. n. 472 del 1997. Qualora, invece, la regolarizzazione intervenga oltre i tre mesi, ma entro il termine di cui al comma 1, lettera b), del citato articolo 13, deve essere corrisposto l'importo di lire 33.000, pari ad un sesto del minimo della sanzione.

Quanto alle concrete modalità di ravvedimento relative al Mod. F24, oltre all'eventuale pagamento il contribuente dovrà inviare, entro i termini di cui si è detto, un'apposita comunicazione al Ministero delle finanze (precisamente all'Ufficio struttura di gestione della Direzione centrale per la riscossione del Dipartimento delle entrate) fornendo chiarimenti circa la corretta imputazione del pagamento. Non è possibile, dunque, regolarizzare attraverso la presentazione di un nuovo modello F24.

9.1.5. Ravvedimento operoso: violazioni I.V.A. prodromiche e indotte

D. Al paragrafo 20 dell'appendice alle istruzioni della dichiarazione annuale I.V.A. 2000, nel punto 3 b) viene trattata l'ipotesi della regolarizzazione di errori ed omissioni non rilevabili in sede di controllo ex articolo 54-bis, D.P.R. n. 633 del 1972, quali omessa fatturazione o registrazione di operazioni imponibili, ecc., precisando che il ravvedimento si effettua pagando un sesto della sanzione (vale a dire il 16,66% dell'imposta), il tributo e gli interessi moratori e presentando dichiarazione integrativa. Il fatto che non si accenni alla regolarizzazione anche della violazione "prodromica" che ha provocato l'infedeltà della dichiarazione, attraverso il pagamento della corrispondente sanzione ridotta, significa che sanando l'infedeltà della dichiarazione vengono automaticamente sanate anche le violazioni "a monte"?

R. La risposta è negativa.

Si precisa, in premessa, che le istruzioni relative alla compilazione di una dichiarazione hanno riferimento limitato alla dichiarazione da presentare e non possono, quindi, essere interpretate in maniera estensiva in relazione a fattispecie non attinenti.

Nel caso in esame, nelle istruzioni alla compilazione della dichiarazione I.V.A., in tema di ravvedimento, correttamente è stata menzionata soltanto la violazione relativa all'infedeltà della dichiarazione e non anche quelle prodromiche (omessa fatturazione, etc.).

Trattandosi di fattispecie distinte, infatti, in linea di principio il ravvedimento relativo ad una violazione non dipende necessariamente dal ravvedimento relativo alle altre, fermo restando il potere dell'Amministrazione di sanzionare le violazioni non regolarizzate.

Al paragrafo 20 dell'appendice alle istruzioni della dichiarazione annuale I.V.A. 2000, nel punto 3 b), si spiega dunque che ai fini del ravvedimento relativo all'infedele dichiarazione non è necessario sanare (o aver sanato) anche le violazioni prodromiche, ma ciò non significa che queste ultime siano assorbite nell'infedele dichiarazione.

Tale assorbimento, in realtà, non sarebbe neppure possibile, considerato che nel momento in cui interviene il ravvedimento relativo alla dichiarazione è già scaduto il termine per regolarizzare le violazioni "a monte".

9.1.6. Ravvedimento operoso: debito previdenziale compensato con credito tributario non capiente

D. La risoluzione del Ministero delle finanze n. 70/E del 13 luglio 1998 afferma che, nell'ipotesi di errata compensazione, il contribuente che intende effettuare il ravvedimento operoso deve procedere al versamento delle somme a debito corrispondenti al credito non capiente od indebitamente compensato. Tale procedura, che non presenta particolari problematiche qualora la compensazione sia effettuata nell'ambito dei tributi è bloccata in relazione alle ipotesi in cui, attraverso crediti tributari, si compensano debiti previdenziali. È possibile che, ai fini della semplificazione, in una situazione di questo genere il contribuente proceda al ravvedimento operoso ripristinando, per intero, il credito indebitamente utilizzato in compensazione?

R. La risoluzione n. 70/E 13 luglio 1998, nel caso di compensazione di crediti inesistenti, riconosce la possibilità al contribuente di avvalersi dell'istituto del ravvedimento, effettuando il versamento delle somme a debito corrispondenti al credito inesistente erroneamente compensato.

Al riguardo, si fa presente che sono allo studio soluzioni, sia a livello normativo che amministrativo, volte a consentire di effettuare il ravvedimento in riferimento al credito inesistente.

9.1.7. Ravvedimento (Art. 13, D.Lgs. n. 472 del 1997)

D. Si chiede di conoscere quali siano i termini e le relative sanzioni del ravvedimento ex art. 13 del D.Lgs. 472 del 1997 per le seguenti fattispecie:

 

Termine entro il quale può essere effettuato il ravvedimento 

Ammontare delle sanzioni 

Dichiarazione annuale per le imposte sui redditi 

 

 

Dichiarazione annuale dei sostituti di imposta 

 

 

Dichiarazione annuale I.V.A. 

 

 

Dichiarazione periodica I.V.A. 

 

 

Dichiarazione di successione 

 

 

Si chiede inoltre:

- se ed entro quale termine è possibile il ravvedimento anche per la correzione di soli errori formali;

- se l'imposta dovuta a seguito del ravvedimento può essere compensata con altri crediti del contribuente sia in senso "verticale" che "orizzontale".

R.

II.DD. - I.V.A.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

OMESSA DICHIARAZIONE 

 

entro 90 giorni dal termine di scadenza 

 

per la presentazione della dichiarazione 

 

 

 

ô 

 

1/8 del minimo 

 

 

 

VIOLAZIONI SOSTANZIALI 

 

entro il termine per la presentazione della  

 

dichiarazione dell'anno in cui è stata commessa la violazione 

 

 

 

ô 

 

1/5 del minimo 

 

 

 

VIOLAZIONI FORMALI 

 

entro 3 mesi dal termine di scadenza 

entro il termine per la presentazione  

per la presentazione della dichiarazione 

della dichiarazione dell'anno in cui è 

 

stata commessa la violazione 

 

 

ô 

ô 

nessuna sanzione 

1/5 del minimo 

 

 

OMESSI PAGAMENTI 

 

entro 30 giorni dalla data dell'infrazione 

entro il termine per la presentazione della dichiarazione dell'anno in cui è stata commessa la violazione 

 

 

ô 

ô 

1/8 del minimo 

1/5 del minimo 

 

 

DICHIARAZIONE DI SUCCESSIONE 

 

 

 

OMESSA DICHIARAZIONE 

 

entro 90 giorni dal termine di scadenza 

entro 1 anno dal termine di scadenza per 

per la presentazione della dichiarazione 

la presentazione della dichiarazione 

 

 

ô 

ô 

1/8 del minimo 

1/5 del minimo 

 

 

VIOLAZIONI SOSTANZIALI 

 

entro 1 anno dalla commessa violazione 

 

 

 

ô 

 

1/5 del minimo 

 

 

 

VIOLAZIONI FORMALI 

 

entro 3 mesi dalla commessa violazione 

entro 1 anno dalla commessa violazione 

 

 

nessuna sanzione 

1/5 del minimo 

 

 

ô 

ô 

nessuna sanzione 

1/5 del minimo 

Si considerano "violazioni formali" le omissioni e gli errori che non incidono sulla determinazione e sul pagamento del tributo.

Si considerano "violazioni sostanziali" le omissioni e gli errori che incidono sulla determinazione e sul pagamento del tributo, violazioni rilevabili cioè sia in sede di liquidazione dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione prodotta che in sede di rettifica della stessa.

In ordine alla compensazione delle imposte derivanti dal ravvedimento si precisa che i crediti risultanti dalla dichiarazione annuale precedente possono essere utilizzati in compensazione dal giorno successivo a quello in cui si è chiuso il periodo d'imposta.

Pertanto si ritiene, in linea di principio, che i debiti emergenti a seguito del ravvedimento di cui all'articolo 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997, possono essere compensati con i crediti del periodo d'imposta precedente, fatta eccezione dei crediti I.V.A. risultanti dalle liquidazioni periodiche effettuate, che possono essere computati in detrazione ai fini di ridurre i debiti I.V.A. emergenti dalle successive liquidazioni periodiche.

Anche in tale ipotesi, tuttavia, è possibile la compensazione dell'I.V.A. a debito emergente dal ravvedimento relativo ad omissioni ed errori rilevanti ai fini delle liquidazioni periodiche, ma solo con la cosiddetta procedura semplificata.

Fermo restando il versamento, entro i termini stabiliti dal citato articolo 13, con Modello F23 delle sanzioni ridotte.

9.1.8. Ravvedimento con procedura "speciale"

D. In caso di ravvedimento con la procedura "speciale" indicata nelle istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni I.V.A. periodiche, come occorre comportarsi nelle ipotesi di omessa fatturazione e/o di indebita detrazione riferite allo stesso anno? Quali righi e caselle vanno compilati? Inoltre, gli interessi moratori vanno calcolati solo in caso di dichiarazione a debito ovvero anche per le dichiarazioni a credito? È opportuna una mappa con le diverse ipotesi anche in ordine alla misura delle sanzioni ridotte.

R. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 472 del 1997 il ravvedimento va operato entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale relativa all'anno in cui la violazione è stata commessa.

In caso di ravvedimento con procedura "semplificata" relativo alle dichiarazioni I.V.A. periodiche infedeli, la regolarizzazione può essere effettuata, inserendo nel rigo VP8 le variazioni di imposta e nei righi dal VP1 al VP3 le variazioni dell'imponibile previa barratura della casella 2 posta nell'intestazione del riquadro.

Nel rigo VP8 vanno indicate le variazioni di imposta comprensive degli eventuali interessi compensativi dovuti dai soggetti che hanno optato per la liquidazione trimestrale dell'imposta maggiorati degli interessi moratori dovuti per il ravvedimento.

È possibile utilizzare la procedura semplificata fino al termine di presentazione dell'ultima dichiarazione periodica del periodo d'imposta, relativa cioè al mese di dicembre o al quarto trimestre dell'anno.

Nell'ipotesi di omessa fatturazione e/o indebita detrazione che abbia dato origine all'omesso o carente versamento dell'imposta, la regolarizzazione comporta il pagamento delle sanzioni ridotte per omessa fatturazione e/o indebita detrazione e per omesso pagamento, oltre al versamento dell'imposta e degli interessi moratori.

In linea generale, come peraltro affermato dalla circolare n. 180/E del 1998 e dalla circolare n. 192/E del 1998, il ravvedimento opera su singole violazioni e di conseguenza sia sulle violazioni prodromiche che su quelle indotte. In nessun caso, quindi, il ravvedimento operato su violazioni indotte si estende sulle violazioni prodromiche e viceversa.

Resta inteso che nelle fattispecie omissive o commissive distinte, il ravvedimento relativo ad una violazione non dipende dal ravvedimento delle altre, fermo restando il potere degli uffici finanziari di irrogare le sanzioni previste per le violazioni non oggetto di regolarizzazione.

In alternativa alla procedura semplificata si potrà presentare una dichiarazione periodica integrativa relativa al periodo nel corso del quale è stata commessa la violazione originaria. Se la violazione originaria ha provocato l'infedeltà delle successive dichiarazioni occorre procedere alla regolarizzazione di tutte le dichiarazioni periodiche prodotte.

Nell'ipotesi di "dichiarazioni irregolari", e cioè di dichiarazioni periodiche nelle quali sono stati indicati dati errati non rilevanti ai fini della determinazione o pagamento dell'imposta, la regolarizzazione può essere operata, presentando dichiarazioni integrative, entro tre mesi senza applicazione di sanzioni o nel termine di presentazione delle dichiarazioni annuali con il contestuale pagamento della sanzione ridotta di lire 83.000.

In caso di omissione delle dichiarazioni periodiche la regolarizzazione va operata, entro trenta giorni, presentando ai sensi dell'articolo 13, comma 1, lett. c), la dichiarazione e provvedendo al pagamento della sanzione ridotta pari a 1/8 del minimo.

9.2. Altri quesiti in materia di sanzioni

9.2.1. Mancato pagamento entro sessanta giorni delle somme accertate ai fini I.V.A.

D. In caso di omesso pagamento dell'I.V.A. accertata dall'ufficio nei termini stabiliti dall'articolo 60 del D.P.R. n. 633 del 1972, si rende oppure no applicabile la sanzione prevista dall'articolo 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997?

R. La previsione dell'art. 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997 è di carattere generale, riguarda cioè tutti i casi in cui sorge l'obbligo di pagare un'imposta entro una precisa scadenza e tale incombenza viene disattesa.

Pertanto, anche il mancato pagamento dell'imposta accertata dall'ufficio entro i termini stabiliti dall'art. 60 del D.P.R. n. 633 del 1972 è soggetto alla sanzione del trenta per cento.

9.2.2. Irrogazione sanzioni: termini di decadenza

D. L'irrogazione delle sanzioni per omesso o tardivo versamento delle imposte sui redditi e dell'I.V.A. deve effettuarsi nei termini indicati dall'articolo 20 del D.Lgs. n. 472 del 1997 oppure in quelli indicati nell'articolo 17, lettere a) e b), del D.P.R. n. 602 del 1973, come sostituito dall'articolo 6 del D.Lgs. n. 46 del 1999? Qualora fosse esatta la prima ipotesi, il "diverso termine previsto per l'accertamento dei singoli tributi" del quale è cenno nell'articolo 20, nel testo risultante a seguito delle modifiche previste dallo schema di D.Lgs. approvato il 29 dicembre 1999, nei riflessi dell'I.V.A. e delle imposte sui redditi va identificato con il termine quinquennale di cui agli art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973 e art. 57 del D.P.R. n. 633 del 1972?

R. L'art. 20 del D.Lgs. n. 472 del 1997 prevede che il termine di decadenza entro cui gli Uffici devono notificare l'atto di contestazione o d'irrogazione (ovvero irrogare le sanzioni contestualmente all'atto di accertamento o rettifica o iscrizione a ruolo del tributo) è fissato nel 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel diverso termine previsto per l'accertamento dei singoli tributi.

Con il decreto legislativo approvato in data 29 dicembre 1999, infatti, l'espressione "maggior termine" è stata sostituita con quella "diverso termine".

L'espressione "accertamento dei singoli tributi", contenuta nella norma richiamata, deve essere intesa in senso lato.

Pertanto, quanto alla sanzione prevista per l'omessa o infedele dichiarazione i termini di riferimento sono quelli di cui all'art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973 e all'art. 57 del D.P.R. n. 633 del 1972.

Quanto, invece, alla sanzione prevista per l'omesso versamento del tributo, deve aversi riguardo ai nuovi termini previsti dall'art. 17 del D.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46.

L'art. 17 citato, nel disciplinare i termini di decadenza per l'iscrizione a ruolo, dispone che le somme dovute a seguito dell'attività di controllo formale ex art. 36-bis ed ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973 vengano iscritte in ruoli resi esecutivi rispettivamente entro il 31 dicembre del secondo anno ed entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.

Si ricorda, in ogni caso, che le disposizioni di cui al citato art. 17 sono applicabili esclusivamente alle imposte dirette ed all'imposta sul valore aggiunto (ex art. 23 del D.Lgs. n. 46 del 1999) e, per quanto riguarda le lettere a) e b) dello stesso articolo, con riferimento alle dichiarazioni presentate a decorrere dal 1° gennaio 1999 (ex art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 46 del 1999).

9.2.3. Tardiva o omessa trasmissione telematica delle dichiarazioni

D. Il comma 3-ter aggiunto nell'articolo 25 del D.Lgs. n. 472 del 1997 con decreto approvato dal Consiglio del Ministri il 29 dicembre 1999, prevede quali omissioni ed errori, sanabili entro 30 giorni dall'invito, anche quelli fatti dagli intermediari nella trasmissione della dichiarazione (errori, ritardi nella trasmissione, ecc.)?

R. La risposta è negativa. Il comma 3-ter, aggiunto nell'art. 25 del D.Lgs. n. 472 del 1997 con il decreto correttivo approvato dal Consiglio dei Ministri il 29 dicembre 1999, riguarda, infatti, soltanto la sanatoria delle violazioni formali di carattere tributario.

La sanzione a carico degli intermediari per tardiva od omessa trasmissione telematica delle dichiarazioni, prevista dall'art. 7-bis del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, non ha carattere tributario ma amministrativo, come precisato con circolare n. 197/99.

Pertanto non sono applicabili le disposizioni contenute nel D.Lgs. 472 del 1997, che detta regole generali in materia di sanzioni tributarie.

9.2.4. Violazioni relative agli obblighi di documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni I.V.A.: sanzione minima

D. Per l'omessa fatturazione o registrazione di operazioni imponibili, l'articolo 6, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997 commina la sanzione dal 100 al 200% dell'imposta relativa all'imponibile non correttamente documentato nel corso dell'esercizio; il comma 3 commina la sanzione pari al 100% dell'imposta per le violazioni di omesso rilascio di scontrini e ricevute fiscali.

In entrambi i casi, la sanzione non può essere inferiore ad un milione di lire, come previsto dal comma 4. Stando alla circolare n. 23/E del 1999, tale minimo riguarda ogni singola violazione. Questa interpretazione si riflette, però, negativamente sul ravvedimento operoso, scoraggiandone l'applicazione per via dell'eccessiva onerosità della sanzione da corrispondere; al di fuori di tale contesto, invece, tanto rigore sarebbe pressoché del tutto vanificato dall'istituto del cumulo giuridico. Va, inoltre, considerato che la suddetta interpretazione sembra sottendere un'ingiustificata disparità di trattamento a vantaggio dei contribuenti tenuti soltanto all'annotazione dei corrispettivi, poiché in caso di omessa contabilizzazione la soglia minima di un milione andrebbe riferita all'imponibile non documentato "nel corso dell'esercizio" e non ad ogni singola violazione. Alla luce di quanto rappresentato, si chiede se non si ritenga opportuno modificare l'interpretazione del citato comma 4 dell'articolo 6 fornita con la circolare n. 23/E del 1999.

R. Per le violazioni previste ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 6 del D.Lgs. n. 471 del 1997 (relative agli obblighi di documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto) la sanzione, commisurata all'importo delle operazioni, non può comunque essere inferiore a lire un milione, ai sensi del comma 4 dello stesso articolo.

Con la circolare n. 23/E del 1999, stante il dato testuale ed in base a considerazioni di ordine sistematico, è stato chiarito che, nel caso di più violazioni, il minimo di lire un milione deve essere riferito ad ogni singola violazione e non all'ammontare complessivo delle stesse.

Ai fini del ravvedimento, in particolare, le violazioni da sanare sono autonome e così le sanzioni, non essendo corretto ipotizzare una violazione unitaria, consistente nella ripetuta omissione di documentazione, con relativa sanzione commisurata all'importo complessivo non documentato. Ugualmente, nell'ambito del citato art. 6, non è possibile ipotizzare una sanzione minima "unitaria" per violazioni autonome, in quanto ciascuna violazione, salvo espressa previsione normativa, deve essere punita con la sanzione corrispondente.

Né è possibile, peraltro, applicare l'istituto della continuazione (previsto dall'art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997) in occasione del ravvedimento (disciplinato dall'art. 13 dello stesso decreto). Il ravvedimento, in particolare, si configura quale facoltà attribuita al contribuente, volta ad eliminare le violazioni commesse nei termini ed alle condizioni stabilite dalla legge. La rimozione va operata per ogni singola violazione, sia prodromica che indotta, essendo preclusa al contribuente, in questo ambito, la valutazione degli elementi che potrebbero dar luogo al cumulo giuridico; quest'ultima valutazione, infatti, è di competenza dell'Ufficio impositore, nell'ambito dell'attività di accertamento, e non del contribuente in sede di ravvedimento.

Chiaramente, quando si tratta di violazioni di esiguo ammontare, il minimo di un milione previsto per ogni singola violazione dal citato art. 6, comma 4, D.Lgs. n. 471 del 1997, può avere un effetto disincentivante sul ravvedimento. L'inconveniente, peraltro, non incide sulla correttezza dell'interpretazione fornita, fondata su un dato normativo vincolante.

Viceversa, allorché si tratti di violazioni di notevole ammontare, considerare le stesse come autonome e distinte non solo è irrilevante agli effetti del ravvedimento - in quanto la soglia minima di un milione di lire è superata - ma può comportare un effetto positivo per il contribuente, nel caso di irrogazione da parte dell'ufficio, in base al principio del cumulo giuridico di cui al citato art. 12 che non sarebbe applicabile, ovviamente, qualora una violazione fosse considerata unitaria.

In ogni caso, si precisa che non esiste alcuna disparità a vantaggio dei contribuenti tenuti all'annotazione dei corrispettivi ai sensi dell'art. 25 del D.P.R. n. 633 del 1972. L'annotazione deve, infatti, essere eseguita entro il giorno non festivo successivo a quello in cui le operazioni sono state effettuate e, quindi, anche per tale adempimento sono, di regola, configurabili distinte violazioni.

9.2.5. Quadro W - Sanzioni

D. Dopo la riforma del regime sanzionatorio e, soprattutto, dopo la scomparsa nelle istruzioni al quadro W di specifici riferimenti al regime sanzionatorio, si è consolidato il convincimento che sia applicabile l'articolo 8 del D.Lgs. n. 471 del 1997 e che quindi le sanzioni di cui all'articolo 5 del D.L. n. 167 del 1990 debbano considerarsi implicitamente abrogate. È necessario che il ministero delle Finanze chiarisca la propria opinione in proposito.

R. Il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 ha modificato organicamente la disciplina delle sanzioni tributarie non penali applicabili in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi.

In particolare, l'art. 8, comma 1, del menzionato decreto prevede la sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire quattro milioni se nella dichiarazione dei redditi, tra l'altro, "non è indicato in maniera esatta e completa ogni altro elemento prescritto per il compimento dei controlli".

La disposizione, come è noto, si applica fuori dei casi previsti negli articoli 1, 2 e 5 dello stesso decreto, concernenti - tra l'altro - l'indicazione di un reddito imponibile inferiore a quello accertato o, comunque, di un'imposta inferiore a quella dovuta o di un credito superiore a quello spettante (con sanzione dal cento al duecento per cento della maggior imposta o della differenza del credito, aumentata di un terzo se le violazioni riguardano redditi prodotti all'estero).

L'art. 16 del medesimo decreto prevede l'abrogazione di alcune norme, espressamente richiamate al comma 1, e di ogni altra disposizione in contrasto con il decreto stesso (comma 2).

Pertanto, si ritiene che le sanzioni applicabili alle violazioni connesse con la compilazione del quadro RW, previste dall'art. 5, commi 2, 4, 5 e 6, del D.L. 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, debbano considerarsi abrogate, in quanto diversamente disciplinate dalle sopravvenute disposizioni normative, sopra richiamate.

9.2.6. Deducibilità delle sanzioni UE

D. Sono deducibili le sanzioni pecuniarie irrogate dalla UE per la violazione degli articoli 85 e 86 del Trattato di Roma in tema di concorrenza oppure dall'autorità italiana antitrust?

R. Le sanzioni pecuniarie irrogate dalla UE o da altri organismi non sono deducibili dal reddito d'impresa in quanto trattasi di oneri non inerenti all'attività d'impresa.

L'irrogazione della sanzione è infatti una conseguenza del comportamento illecito tenuto dal contribuente.

 

 

10. Riscossione

10.1. Quesiti vari in materia di riscossione

10.1.1. Compensazione di credito I.V.A. superiore a 500 milioni di lire

D. Attualmente il limite per il rimborso del credito da parte del concessionario e per la compensazione ex art. 17, D.Lgs. n. 241 del 1997, è fissato in 500 milioni di lire per l'anno d'imposta. Come deve comportarsi in sede di presentazione del modello VR per il rimborso dell'I.V.A. di un credito superiore a mezzo miliardo, il contribuente che, intendendo utilizzare il plafond di 500 milioni nella compensazione, non vuole ottenere il rimborso del credito dal concessionario?

R. Il quesito trova risposta nel comunicato stampa diffuso dal Ministero delle finanze il 31 gennaio 2000. Se ne richiama dunque il testo, per la parte che qui interessa:

I contribuenti che intendono richiedere il rimborso del credito I.V.A. emergente dalla dichiarazione annuale relativa all'anno 1999, devono presentare al competente concessionario della riscossione il Mod. VR/2000 (approvato con decreto dirigenziale del 30 dicembre 1999 e pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazz. Uff. n. 5 dell'8 gennaio 2000) in due esemplari, entrambi sottoscritti in originale.

Da quest'anno infatti i modelli di dichiarazione non riportano espressamente l'indicazione "copia per il contribuente", "copia per il concessionario" o "copia per l'Ufficio" in quanto sono resi disponibili gratuitamente dal Ministero delle finanze in formato elettronico nell'apposito sito Internet dal quale possono essere prelevati.

Qualora, in sede di presentazione del modello, il contribuente non possa fruire della procedura semplificata di rimborso tramite il concessionario, avendo già superato il limite di 500 milioni per anno solare previsto dall'art. 25, comma 2, D.Lgs. n. 241 del 9 luglio 1997, o ne intenda fruire solo in parte per poter godere della compensazione, deve presentare, in allegato al modello VR/2000, una espressa richiesta contenente l'indicazione specifica dell'importo del rimborso che si intende richiedere al concessionario nel rispetto del predetto limite.

Si ricorda che l'importo complessivo richiesto a rimborso, da indicare nel rigo VR4 del modello VR/2000, dovrà corrispondere a quanto indicato nella dichiarazione I.V.A. relativa al 1999 (rigo VX3 del modello I.V.A. 2000). L'eventuale importo da compensare dovrà, invece, essere compreso nel rigo VX4 del medesimo modello.

10.1.2. Rateazione di somme iscritte a ruolo: discrezionalità dell'ufficio

D. Ai sensi dell'articolo 19 del D.P.R. n. 602 del 1973, come sostituito dall'articolo 7 del D.Lgs. n. 46 del 1990, l'ufficio può concedere, su richiesta del contribuente, la dilazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di sessanta rate mensili, oppure la sospensione della riscossione per un anno seguita dalla rateizzazione fino ad un massimo di quarantotto rate mensili. La discrezionalità dell'ufficio riguarda esclusivamente la concessione o meno del beneficio oppure attiene anche alla determinazione del numero delle rate, eventualmente in difformità della richiesta del debitore? Se l'ammontare del debito non supera cinquanta milioni di lire, l'ufficio può ugualmente subordinare la concessione del beneficio alla prestazione di idonea garanzia fideiussoria?

R. La circolare n. 15/E del 26 gennaio 2000 chiarisce che, all'Ufficio che ha emesso il ruolo, è attribuita la piena titolarità del potere di rateazione anche ai fini della determinazione del numero di rate da accordare.

L'art. 19 del D.P.R. n. 602 del 1973 non esclude che, per gli importi inferiori a 50 milioni di lire, l'Ufficio possa subordinare la concessione della rateazione al rilascio di idonea garanzia in considerazione della specifica situazione del contribuente, da valutare caso per caso.

 

 

11. Altri quesiti

11.1. Quesiti vari

11.1.1. Classificazione ai fini I.C.I.A.P. degli agenti di assicurazione

D. Ai fini dell'imposta sui redditi l'agente di assicurazione è equiparato all'agente di commercio con il chiarimento espresso al punto 2.1.3.5 della circolare 10 febbraio 1998 n. 48/E. Siccome il reddito è determinato ai sensi del T.U.I.R. è da ritenere che anche ai fini dell'I.C.I.A.P. venga estesa l'equiparazione per gli "agenti in gestione libera" i quali vengono remunerati in base a provvigioni commisurate sia sull'acquisto di contratti che sul mantenimento degli stessi, a differenza degli "agenti in economia" e degli "agenti di città". Per i primi pertanto è corretto l'inquadramento nel settore di attività "5" e non "9" ai fini dell'I.C.I.A.P.?

R. La rappresentata circostanza che, ai fini dell'imposta sui redditi, gli agenti di assicurazione sono equiparati agli agenti di commercio, giusta la precisazione contenuta nella circolare n. 48/E del 10 febbraio 1998, non induce a valutazioni interpretative difformi da quelle che hanno, in passato, determinato l'orientamento della Direzione centrale per la fiscalità locale, secondo il quale l'attività di detti agenti di assicurazione è inquadrabile nel IX settore di riferimento della tabella prevista in materia di imposta I.C.I.A.P.

Ciò anche tenuto conto delle diverse modalità di esercizio dell'attività medesima.

La capacità reddituale dichiarata per ciascuna annualità rappresenta, infatti, solo un parametro correttivo dell'imposta già predeterminata nella menzionata tabella in base alle tipologie di attività tassativamente raggruppate per settori e alla superficie di aree o locali eventualmente utilizzati dal contribuente.

L'orientamento di cui sopra, come già si è avuto modo di far presente in molteplici occasioni (risoluzioni, risposte a interrogazioni parlamentari, decreti, appunti per il Gabinetto dell'On. le Sig. Ministro), si basa su una interpretazione logico-sistematica delle disposizioni vigenti in materia che, nel rispetto di determinati elementi caratterizzanti le singole attività, tiene conto dei meccanismi e dei criteri previsti per la specifica imposizione locale.

In sostanza, l'interpretazione di cui innanzi, per nulla disconoscendo la qualificazione dei soggetti interessati ai fini civilistici e previdenziali, parte dalla considerazione che l'elencazione delle attività costituenti parametro di tassazione I.C.I.A.P., contenuta nella tabella allegata al D.L. 30 settembre 1989, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 1989, n. 384, abbia carattere tassativo e riposi sul principio della diretta correlazione tra le attività di commercio previste nel V settore e l'attività di intermediazione nello stesso indicata. L'esistenza di tale correlazione porta, dunque, ad escludere ogni connessione tra quell'attività e gli agenti di assicurazione. Ciò, peraltro, sembra trovare conferma nella circostanza che l'attività di intermediazione è evidenziata unicamente nei settori IV e V della tabella, riguardanti, rispettivamente, l'esercizio di determinate attività di commercio all'ingrosso e di commercio al minuto.

Da quanto sopra discende che, non riscontrandosi nella normativa tributaria I.C.I.A.P. uno specifico settore corrispondente all'attività degli agenti di assicurazione, la sua collocazione va ricercata nell'ambito del settore IX, di carattere residuale, sotto la voce "servizi vari".

11.1.2. Documentazione del vincolo pertinenziale relativo all'abitazione principale

D. Ai fini delle varie agevolazioni tributarie (in particolare: I.V.A., Irpef, I.C.I.) previste per le unità immobiliari costituenti pertinenze di case di abitazione, è necessario che il vincolo pertinenziale risulti da atto pubblico o scrittura privata autenticata, secondo il principio in base al quale il rapporto di oggettiva accessorietà non è sufficiente ad integrare la nozione di pertinenza, occorrendo a tal fine anche un'espressa dichiarazione di volontà diretta a manifestare la destinazione della cosa accessoria al servizio di quella principale, oppure può prescindersi da tale requisito formale?

R. In base alla disciplina generale dettata dall'articolo 817 del codice civile sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa e tale destinazione può essere effettuata da chi sia proprietario o sia titolare di un diritto reale sulla cosa principale. Per la qualificazione del concetto di pertinenza non è pertanto sufficiente il rapporto funzionale con il bene principale ma è anche necessario un elemento soggettivo consistente nella volontà effettiva del soggetto che ne abbia titolo di destinare il bene medesimo al servizio o ad ornamento del bene principale.

Ai fini dell'I.V.A., per quanto concerne l'applicazione dell'aliquota I.V.A. del 4% per gli immobili destinati a costituire pertinenze di "prima casa", la volontà di destinare l'immobile a pertinenza deve essere manifestata per iscritto nell'atto di acquisto. Tale principio si ricava dall'articolo 3, comma 131, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, secondo cui l'aliquota I.V.A. del 4% prevista per l'acquisto della prima casa di abitazione, si applica all'acquisto, anche con atto separato, delle pertinenze dell'immobile medesimo.

Le stesse conclusioni possono essere riproposte con riferimento all'imposta di registro, nella considerazione che il comma 3 della nota II-bis) all'articolo 1 della tariffa, parte prima, del D.P.R. n. 131 del 1986, prevede espressamente le condizioni ed i limiti per l'applicabilità dell'agevolazione all'acquisto, anche con atto separato, delle pertinenze "dell'immobile di cui alla lettera a)".

Per quanto concerne invece l'Irpef si prescinde dal requisito formale della dichiarazione di volontà espressa nell'atto facendosi esclusivamente riferimento al comportamento concludente delle parti.

L'art. 10, comma 3-bis, del T.U.I.R. (D.P.R. n. 917 del 1986), inserito dall'articolo 6, comma 1, lett. a), della legge 23 dicembre 1999, n. 488, stabilisce infatti che sono pertinenze ai fini dell'Irpef le cose immobili di cui all'articolo 817 del c.c., classificate o classificabili in categorie diverse da quelle ad uso abitativo, destinate ed effettivamente utilizzate in modo durevole a servizio dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale delle persone fisiche.

Ai fini dell'I.C.I., per l'applicazione delle agevolazioni alle pertinenze di una abitazione principale si prescinde dalla sussistenza di un atto formale di destinazione.

Si precisa, inoltre, riguardo all'I.C.I., che l'art. 30, comma 12, della legge finanziaria (legge n. 488 del 1999) ha stabilito che fino all'anno 1999 compreso, l'aliquota ridotta si applica soltanto agli immobili adibiti ad abitazione principale a meno che, come precisa il successivo comma 13, il Comune non abbia deliberato per questa annualità, l'estensione dell'aliquota ridotta anche alle pertinenze. A decorrere, invece, dal 1° gennaio 2000, alla pertinenza deve riservarsi lo stesso trattamento dell'abitazione principale, come del resto precisato nella circolare n. 114/E del 25 maggio 1999.

11.1.3. Disapplicazione di norme antielusive ai sensi dell'art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973

D. L'articolo 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede che i contribuenti possano indirizzare apposita istanza di disapplicazione delle norme tributarie che, limitando "deduzioni, detrazioni, crediti di imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse".

La risposta dell'amministrazione finanziaria ha valenza oltre che ai fini delle imposte sui redditi anche ai fini I.V.A. ovvero, in considerazione del fatto che il disposto normativo è posto nell'ambito del D.P.R. n. 600 del 1973, l'ambito di applicazione è limitato alle disposizioni in materia di imposizione diretta?

R. La portata delle nuove disposizioni antielusive, introdotte all'art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 dall'art. 7, comma 1, del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, è stata precisata con la circolare n. 320/E del 19 dicembre 1997, la quale ha chiarito che le disposizioni antielusive contenute nei commi da 1 a 7 del citato articolo possono trovare applicazione soltanto con riferimento al settore delle imposte sui redditi e sempre che sia stata effettuata una o più delle operazioni predeterminate, data la loro collocazione nell'ambito del D.P.R. n. 600 del 1973, contenente disposizioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

Anche l'ulteriore disposizione recata al successivo comma 8, secondo cui "Le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi. A tal fine il contribuente deve presentare istanza al direttore regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente l'operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione", in quanto inserita nel corpus delle norme disciplinanti l'accertamento delle imposte sui redditi, non può spiegare effetti per altri settori impositivi. Si ritiene, tuttavia, che qualora una stessa fattispecie costituisce oggetto di previsioni normative parallele, rispondenti alla stessa ratio antielusiva, quando sussista, cioè, una evidente, stretta connessione logica tra norme tributarie diverse, il direttore regionale delle entrate, nel provvedere in ordine a istanze di disapplicazione di norme riguardanti le imposte sui redditi, possa estendere l'esame anche ai fini di tributi diversi.

11.1.4. Studi di settore: adeguamento in corso d'anno

D. Cosa si intende per adeguamento in corso d'anno in relazione alle attività soggette agli studi di settore? La previsione dell'esclusione dalle sanzioni per coloro che provvedano a correggere il proprio comportamento nel corso del periodo di imposta, come può concretizzarsi materialmente?

R. L'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1995, n. 195, prevede che solo per il primo periodo di imposta in cui trovano applicazione gli studi di settore, ovvero le modifiche conseguenti alla revisione del medesimo, l'adeguamento alle risultanze degli studi stessi può essere effettuato, senza applicazione di sanzioni e interessi:

- indicando nella dichiarazione dei redditi ricavi o compensi non annotati nelle scritture contabili per adeguare i ricavi o compensi a quelli derivanti dall'applicazione dei predetti studi di settore;

- effettuando entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi il versamento dell'imposta sul valore aggiunto derivante dall'adeguamento del volume di affari.

Tale disposizione trova, pertanto, applicazione solo per i periodi di imposta in cui per la prima volta il contribuente viene a conoscenza dell'entità dei ricavi e compensi che l'amministrazione finanziaria ritiene congrui. Nei successivi potrà evidenziare ricavi e compensi congrui contabilizzando regolarmente i predetti componenti.

Le Direzioni regionali vigileranno sulla corretta applicazione delle presenti istruzioni.