§ 98.1.40308 - Circolare 25 gennaio 1999, n. 23/E .
Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione. Decreto [...]


Settore:Normativa nazionale
Data:25/01/1999
Numero:23

§ 98.1.40308 - Circolare 25 gennaio 1999, n. 23/E .

Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione. Decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 e successive modificazioni ed integrazioni.

 

Emanata dal Ministero delle finanze.

 

 

Alle Direzioni regionali delle entrate 

 

Agli Uffici delle entrate 

 

Agli Uffici distrettuali delle imposte dirette 

 

Agli Uffici I.V.A. 

 

Ai Centri di servizio 

e, p. c.: 

Al Segretariato generale 

 

Al Servizio consultivo e ispettivo tributario 

 

Al Comando generale della Guardia di finanza 

 

Al Servizio per il controllo interno 

 

Alle Direzioni centrali del Dipartimento delle entrate 

 

Al Servizio ispettivo centrale del Dipartimento delle 

 

entrate 

 

Agli Uffici del Registro 

 

 

Premessa

Il decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, emanato in attuazione della delega di cui all'art. 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, disciplina le sanzioni amministrative in vigore dal 1° aprile 1998 per le violazioni di norme tributarie in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi.

Nell'ambito della complessiva riforma del sistema sanzionatorio per le violazioni di norme tributarie, con il decreto legislativo n. 471 del 1997 si è inteso realizzare nelle predette materie un sistema coordinato tendente a perseguire prioritariamente le violazioni di natura sostanziale anziché quelle meramente formali.

Le nuove previsioni del D.Lgs. n. 471 del 1997, alla luce anche delle disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie recate nel D.Lgs. n. 472 del 1997 e successive modificazioni ed integrazioni, riformano sostanzialmente il sistema sanzionatorio tributario non penale e rilevano, se più favorevoli al trasgressore, anche per le violazioni commesse prima del 1° aprile 1998.

Con la presente circolare si illustrano le principali fattispecie di violazioni disciplinate dal D.Lgs. n. 471 del 1997, tenuto conto anche delle integrazioni e correzioni apportate con il D.Lgs. 5 giugno 1998, n. 203.

Ovviamente, in sede di applicazione e di determinazione delle sanzioni si deve necessariamente tener conto delle disposizioni generali contenute nel citato D.Lgs. n. 472 del 1997, che sono state oggetto di una prima analisi con la circolare n. 180/E del 10 luglio 1998.

 

 

Capitolo primo

Sanzioni in materia di imposte dirette

Il Capo I del D.Lgs. n. 471 del 1997 contempla e disciplina le violazioni relative alle dichiarazioni delle imposte dirette e dei sostituti d'imposta, nonché quelle riguardanti l'omessa denuncia delle variazioni dei redditi fondiari.

1. Violazioni relative alla dichiarazione delle imposte dirette.

L'art. 1 del D.Lgs. n. 471 del 1997 disciplina le violazioni di omessa e di infedele presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi, precedentemente previste dagli abrogati articoli 46 e 49 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Inoltre, l'art. 4 dispone che le dichiarazioni incomplete, previste dall'art. 46, secondo e terzo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, si considerano comprese tra le dichiarazioni infedeli previste dall'art. 1, comma 2.

1.1 Omessa presentazione della dichiarazione

La fattispecie dell'omessa presentazione della dichiarazione si realizza, oltre che nell'ipotesi di mancata presentazione, anche nelle ipotesi in cui la presentazione della dichiarazione è espressamente considerata omessa o nulla, e precisamente:

a) dichiarazione presentata con ritardo superiore a trenta giorni. In tal caso la dichiarazione è considerata omessa, ma costituisce titolo per la riscossione dell'imposta dovuta in base agli imponibili in essa indicati (art. 2, comma 7, del D.P.R. n. 322 del 1998;)

b) dichiarazione redatta su stampati non conformi ai modelli approvati con decreto ministeriale. In tal caso la dichiarazione è nulla e non costituisce titolo per la riscossione delle imposte relative agli imponibili in essa indicati (art. 1, comma 1, del D.P.R. n. 322 del 1998). Si precisa che la redazione della dichiarazione su stampati conformi al modello approvato con decreto ministeriale ma non in conformità allo stesso non comporta la nullità della dichiarazione, bensì l'irregolare compilazione della stessa sanzionabile ai sensi dell'art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997;

c) dichiarazione non sottoscritta o sottoscritta da soggetto sfornito della rappresentanza legale o negoziale. In tal caso la dichiarazione è nulla (art. 1, commi 3 e 4, del D.P.R. n. 322 del 1998) e non costituisce titolo per la riscossione delle imposte relative agli imponibili in essa indicati. La nullità è peraltro sanata se il contribuente o il soggetto tenuto a sottoscrivere la dichiarazione vi provvede entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito da parte dell'ufficio territorialmente competente. Nel richiamare le indicazioni fornite al riguardo con la circolare 75/E del 4 marzo 1998, si evidenzia che l'intervenuta sanatoria impedisce l'applicazione delle sanzioni per omessa presentazione della dichiarazione e che, quindi, in caso di rettifica dei redditi dichiarati si renderà applicabile la sanzione per infedele presentazione della dichiarazione.

Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione, l'art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997, prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell'ammontare delle imposte dovute, con un minimo di lire cinquecentomila. Se non sono dovute imposte è prevista, invece, una sanzione da lire cinquecentomila a lire due milioni, aumentabile fino al doppio nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili.

Inoltre, il comma 3 del citato art. 1 prevede che se l'omessa dichiarazione riguarda redditi prodotti all'estero, la sanzione è aumentata di un terzo con riferimento alle imposte relative a tali redditi, riproponendo di fatto la previsione di cui all'art. 46, terzo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973.

Rispetto alle previgenti previsioni di cui all'art. 46, primo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, non è stata modificata la base di commisurazione della sanzione che è costituita dall'ammontare delle imposte relative agli imponibili accertati, al netto delle ritenute alla fonte operate sui redditi accertati e delle detrazioni d'imposta spettanti; sono state invece apportate le seguenti variazioni:

- sono state diminuite le misure minime e massime rapportate all'ammontare delle imposte dovute (dal centoventi al duecentoquaranta per cento anziché dal duecento al quattrocento per cento);

- è stato aumentato l'importo minimo della sanzione (lire cinquecentomila anziché lire trecentomila);

- sono stati aumentati gli importi minimi e massimi della sanzione applicabile nei casi in cui non sono dovute imposte.

Tali variazioni devono essere considerate dagli uffici in sede di determinazione delle sanzioni relativamente a violazioni commesse prima del 1° aprile 1998, in base alle disposizioni contenute negli articoli 3, comma 3, e 25, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

Si evidenzia che, relativamente alle violazioni commesse prima del 1° aprile 1998, continueranno ad essere applicabili, in quanto più favorevoli, le previgenti disposizioni quando non sono dovute imposte e quando, in presenza di imposte dovute, la sanzione concretamente irrogabile è pari o inferiore a lire cinquecentomila.

Si precisa inoltre che, nei casi in cui l'omessa presentazione della dichiarazione rileva ai fini di più tributi, nella determinazione della sanzione, anche se vengono applicate le previgenti disposizioni in quanto più favorevoli, si deve tener conto delle regole stabilite nell'art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997 che disciplina il concorso di violazioni e la continuazione.

1.2 Tardiva presentazione della dichiarazione

Ai sensi dell'art. 2, comma 7, del D.P.R. n. 322 del 1998, la dichiarazione dei redditi presentata entro trenta giorni dalla scadenza del termine è considerata valida, salva restando l'applicazione della sanzione amministrativa per il ritardo.

Ai soli effetti sanzionatori (e quindi non anche ai fini dell'esperibilità dell'accertamento induttivo sulla base di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza), la tardiva presentazione della dichiarazione è equiparata all'omessa presentazione.

Peraltro, poiché la dichiarazione presentata entro trenta giorni dalla scadenza del termine è "valida", l'eventuale omesso o carente pagamento delle imposte dichiarate configura la violazione di omesso, in tutto o in parte, versamento delle imposte risultanti dalla dichiarazione, punibile con la sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, prevista dall'art. 13, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997.

La tardiva presentazione della dichiarazione è invece punibile, ai sensi dell'art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997, con la sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire due milioni, aumentabile fino al doppio nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili.

Per le violazioni commesse prima del 1° aprile 1998, è applicabile, in quanto più favorevole, la sanzione prevista nell'art. 46, sesto comma, del D.P.R. n. 600 del 1973 (lire settantacinquemila, elevabile fino a lire settecentocinquantamila nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili).

La sanzione in parola può essere autonomamente irrogata con il procedimento disciplinato dall'art. 16 del D.Lgs. n. 472 del 1997 e la controversia può essere definita ai sensi del comma 3 dello stesso art. 16.

In caso di rettifica dei redditi indicati nella dichiarazione tardiva, con riferimento alla maggiore imposta o alla differenza del credito accertati, si renderà applicabile la sanzione per infedele dichiarazione di cui all'art. 1, comma 2, anziché quella per omessa dichiarazione.

Alla luce delle considerazioni svolte in ordine alle sanzioni applicabili nel caso di tardiva presentazione della dichiarazione dei redditi, si rende necessario rivedere talune indicazioni fornite con la circolare 23 luglio 1998, n. 192/E relativamente alle modalità di regolarizzazione, mediante ravvedimento operoso, della violazione in rassegna, e precisamente:

- la mancata presentazione della dichiarazione entro il termine previsto può essere regolarizzata, ai sensi dell'art. 13, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 472 del 1997, a condizione che la dichiarazione venga presentata con ritardo non superiore a trenta giorni e che nello stesso termine venga effettuato il pagamento di una sanzione di lire sessantaduemila, pari ad un ottavo di lire cinquecentomila;

- l'omesso, in tutto o in parte, versamento delle imposte risultanti dalla dichiarazione tardiva può essere regolarizzato, ai sensi dell'art. 13, comma 1, lettere a) o b), del D.Lgs. n. 472 del 1997, eseguendo spontaneamente entro i rispettivi termini stabiliti il pagamento delle imposte, dei relativi interessi calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno e della sanzione in misura ridotta. La sanzione prevista nella misura del 30 per cento di ogni importo non versato alle prescritte scadenze è ridotta ad un ottavo, ossia al 3,75 per cento, se la regolarizzazione si perfeziona entro il termine di trenta giorni dalla data in cui la violazione è stata commessa; la sanzione del 30 per cento è invece ridotta ad un sesto, ossia al 5 per cento, se la regolarizzazione si perfeziona entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione;

- gli errori e le omissioni incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, relativi ad una dichiarazione presentata con ritardo non superiore a trenta giorni, possono essere regolarizzati, ai sensi dell'art. 13, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 472 del 1997, eseguendo spontaneamente, entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, il pagamento della maggiore imposta o del minor credito, dei relativi interessi al tasso legale e della sanzione ridotta ad un sesto del minimo (pari al 16,66 per cento della maggiore imposta o del minor credito). Diversamente da quanto indicato nella richiamata circolare 23 luglio 1998, n. 192/E, l'ammontare della sanzione dovuta ai fini del ravvedimento non diverge a seconda che la violazione dell'obbligo di presentare la dichiarazione entro i termini prescritti sia stata o meno regolarizzata ai sensi dell'art. 13, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 472 del 1997, secondo le modalità precedentemente illustrate.

1.3 Presentazione di dichiarazione infedele

La fattispecie della presentazione di dichiarazione infedele si realizza nelle ipotesi in cui nella dichiarazione:

- è indicato, ai fini delle singole imposte, un reddito imponibile inferiore a quello accertato o, comunque, un'imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante;

- sono esposte indebite detrazioni d'imposta ovvero indebite deduzioni dall'imponibile, anche se esse sono state attribuite in sede di ritenute alla fonte.

Per detta violazione l'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471 del 1997, prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della maggiore imposta o della differenza del credito.

Inoltre, il comma 3 dello stesso art. 1 prevede che se la violazione riguarda redditi prodotti all'estero, la sanzione è aumentata di un terzo con riferimento alle maggiori imposte relative a tali redditi, riproponendo di fatto la previsione di cui all'art. 46, terzo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973.

La base di commisurazione della sanzione è costituita dalla maggiore imposta o dalla differenza del credito.

Il comma 4 dell'art. 1 precisa che per maggiore imposta si intende la differenza tra l'ammontare del tributo liquidato in base all'accertamento e quello liquidabile in base alle dichiarazioni, ai sensi degli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973.

Rispetto alla previgente previsione di cui all'art. 46, quinto comma, del D.P.R. n. 600 del 1973 è stata sostituita la parola "liquidata" con la parola "liquidabile".

Per effetto della predetta modifica, la base di commisurazione della sanzione per infedele dichiarazione non deve comprendere anche le maggiori imposte liquidabili ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973, ancorché le stesse siano rilevate in sede di controllo sostanziale della dichiarazione, relativamente alle quali è applicabile la sanzione del 30 per cento prevista dall'art. 13, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997.

Nella determinazione della base di calcolo della sanzione per infedele dichiarazione si deve tener conto, come in passato, anche del minor credito o del minor rimborso spettanti a seguito della rettifica.

La sanzione dal cento al duecento per cento (corrispondente a quella prevista dal previgente art. 46, quarto comma, del D.P.R. n. 600 del 1973) si applica anche, come già detto, nelle ipotesi in cui nella dichiarazione sono esposte indebite detrazioni d'imposta ovvero indebite deduzioni dall'imponibile, anche se esse sono state attribuite in sede di ritenuta alla fonte.

Per tali fattispecie (quale, a titolo esemplificativo, l'indebita fruizione delle deduzioni ai fini dell'Ilor di cui all'art. 120 del T.U.I.R.) l'art. 49 del D.P.R. n. 600 del 1973 prevedeva invece la più gravosa sanzione da due a quattro volte la maggiore imposta dovuta.

La nuova previsione, in quanto più favorevole, si rende applicabile anche alle violazioni commesse prima del 1° aprile 1998.

Non è stata invece riproposta la previsione di cui all'art. 46, quarto comma, ultimo periodo, del D.P.R. n. 600 del 1973, concernente la riduzione alla metà della sanzione nei casi in cui la maggiore imposta è inferiore ad un quarto di quella accertata; detta previsione continuerà comunque ad applicarsi, in quanto più favorevole, alle violazioni commesse prima del 1° aprile 1998.

Si evidenzia che, nei casi in cui la presentazione della dichiarazione infedele rileva ai fini di più tributi, nella determinazione della sanzione, anche se vengono applicate le previgenti disposizioni in quanto più favorevoli, si deve tener conto delle regole stabilite nell'art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997 che disciplina il concorso di violazioni e la continuazione.

1.4 Presentazione di dichiarazione incompleta

Nei casi in cui nella dichiarazione presentata non sono compresi tutti i singoli redditi posseduti, l'art. 46, secondo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973 prevedeva l'applicazione di una pena pecuniaria da due o quattro volte l'ammontare delle imposte e delle maggiori imposte in relazione ai redditi non dichiarati.

Poiché la fattispecie dell'incompleta dichiarazione non è più autonomamente disciplinata, l'art. 4 del D.Lgs. n. 471 del 1997 equipara le dichiarazioni incomplete alle dichiarazioni infedeli.

Conseguentemente, anche alle dichiarazioni incomplete presentate prima del 1° aprile 1998, si rende applicabile la più favorevole sanzione dal cento al duecento per cento della maggiore imposta dovuta, prevista dall'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471 del 1997.

 

 

2. Violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d'imposta.

L'art. 2 del D.Lgs. n. 471 del 1997 disciplina le violazioni di omessa e di infedele presentazione della dichiarazione del sostituto d'imposta, precedentemente previste dall'abrogato art. 47 del D.P.R. n. 600 del 1973.

2.1 Omessa presentazione della dichiarazione

Analogamente a quanto previsto per la dichiarazione dei redditi, la fattispecie dell'omessa presentazione della dichiarazione dal sostituto d'imposta si realizza, oltre che nell'ipotesi di mancata presentazione, anche nelle ipotesi in cui la presentazione della dichiarazione è espressamente considerata omessa o nulla, e precisamente:

- dichiarazione presentata con ritardo superiore a trenta giorni;

- dichiarazione redatta su stampati non conformi ai modelli approvati con decreto ministeriale;

- dichiarazione non sottoscritta o sottoscritta da soggetto sfornito della rappresentanza legale o negoziale, non regolarizzata entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito da parte dell'ufficio.

Relativamente alla violazione di omessa presentazione della dichiarazione del sostituto d'imposta, l'art. 2 del D.Lgs. n. 471 del 1997 prevede l'applicazione delle sanzioni amministrative di seguito elencate:

- sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell'ammontare delle ritenute non versate, con un minimo di lire cinquecentomila (art. 2, comma 1);

- sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire quattro milioni, quando le ritenute relative ai compensi, interessi ed altre somme, benché non dichiarate, sono state interamente versate (art. 2, comma 3);

- sanzione amministrativa di lire centomila per ogni percipiente non indicato nella dichiarazione che avrebbe dovuto essere presentata (art. 2, comma 4).

È di tutta evidenza come le sanzioni previste nei commi 1 e 3 siano alternative, nel senso che la comminazione dell'una esclude la comminazione dell'altra e viceversa. Perché torni applicabile la prima è sufficiente che anche una sola delle ritenute risulti non versata alla data in cui si realizza la violazione di omessa presentazione della dichiarazione.

La sanzione prevista nel comma 4, invece, si aggiunge sia a quella stabilita nel comma 1 sia, in alternativa, a quella stabilita nel comma 3, anche se, come si vedrà, nella determinazione del quantum complessivamente dovuto si deve tener conto delle disposizioni relative al concorso di violazioni.

Rispetto alle previgenti previsioni di cui all'art. 47, primo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, sono state apportate significative variazioni, e precisamente:

- la base di commisurazione della sanzione è costituita dall'ammontare delle ritenute non versate anziché dall'ammontare complessivo delle ritenute relative ai compensi, interessi ed altre somme non dichiarati;

- sono state diminuite le misure minime e massime (dal centoventi al duecentoquaranta per cento anziché dal duecento al quattrocento per cento);

- è stata introdotta una misura minima fissa della sanzione (lire cinquecentomila) nelle ipotesi in cui non sono state versate tutte le ritenute;

- è stata introdotta una sanzione in misura variabile da lire cinquecentomila a lire quattro milioni nelle ipotesi in cui tutte le ritenute sono state versate;

- è stata introdotta, in aggiunta alla sanzione per omessa presentazione, una sanzione in misura fissa per ogni percipiente non indicato nella dichiarazione che avrebbe dovuto essere presentata; nel sistema previgente, tale sanzione era prevista (nella misura da lire trecentomila a lire tre milioni) con riferimento all'ipotesi di presentazione di dichiarazione infedele e non invece nei casi di omessa presentazione.

Tali variazioni devono essere considerate dagli uffici in sede di determinazione delle sanzioni relativamente alle violazioni commesse prima del 1° aprile 1998, in base alle disposizioni contenute negli articoli 3, commi 1 e 3, e 25, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

In particolare, relativamente alle violazioni commesse prima del 1° aprile 1998, si evidenzia che:

- nelle ipotesi in cui le ritenute non sono state interamente versate si renderà, di regola, applicabile la sanzione prevista nell'art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997; la sanzione prevista nell'art. 47, primo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, si renderà invece applicabile unicamente nei casi in cui essa sia concretamente pari od inferiore a lire cinquecentomila (come, ad esempio, quando l'ammontare delle ritenute relative ai compensi, interessi ed altre somme non dichiarati è pari o inferiore a lire duecentocinquantamila e la sanzione è determinata nella misura minima);

- nelle ipotesi in cui le ritenute sono state interamente versate, si renderà applicabile la sanzione di importo inferiore tra quella risultante in base alla previgente disposizione e quella risultante in base all'art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 471 del 1997;

- non è applicabile, ai sensi dell'art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 472 del 1997, la sanzione di lire centomila per ogni percipiente non indicato nella dichiarazione che avrebbe dovuto essere presentata, in quanto come già detto la fattispecie non era prima sanzionabile.

La sanzione prevista nell'art. 2, comma 4, del D.Lgs. n. 471 del 1997 è invece applicabile, ovviamente, relativamente alle violazioni commesse dal 1° aprile 1998. Si evidenzia, peraltro, che nella determinazione della sanzione si deve tener conto delle regole stabilite nell'art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997 che disciplina il concorso di violazioni e la continuazione.

Infatti, l'omessa presentazione della dichiarazione e l'omessa indicazione dei percipienti i compensi corrisposti configurano una ipotesi di concorso formale, per la quale l'art. 12, comma 1, del D.Lgs. n. 472 del 1997 prevede l'applicazione di un'unica sanzione rappresentata da quella stabilita per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio.

A titolo esemplificativo, si illustrano i criteri per la determinazione della sanzione da irrogare, considerando le misure minime previste, nell'ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione per l'anno 1998 nel corso del quale sono stati corrisposti compensi, pari a complessive lire venti milioni, a tre professionisti e le relative ritenute, pari a complessive lire quattro milioni, sono state: a) interamente versate; b) non versate.

a) 

- sanzione minima ex art. 2, comma 1: 

L. 

500.000 

 

- sanzione minima ex art. 2, comma 4 (n. 3 × 100.000): 

L. 

300.000 

 

- sanzione minima ex art. 12, comma 1 (500.000 + 1/4 di 500.000): 

L. 

625.000 

 

- sanzione minima irrogabile: 

L. 

625.000 

b) 

- sanzione minima ex art. 2, comma 1 (120% di 4.000.000): 

L. 

4.800.000 

 

- sanzione minima ex art. 2, comma 4 (n. 3 × 100.000): 

L. 

300.000 

 

- sanzione minima ex art. 12, comma 1 (4.800.000 + 1/4 di 4.800.000): 

L. 

6.000.000 

 

- sanzione minima irrogabile ex art 12, comma 7: 

L. 

5.100.000 

Si evidenzia, infine, che alle sanzioni per omessa dichiarazione devono aggiungersi quelle previste per le eventuali violazioni degli obblighi di esecuzione di ritenute alla fonte e di versamento delle ritenute alle prescritte scadenze.

2.2 Tardiva presentazione della dichiarazione

La dichiarazione presentata entro trenta giorni dalla scadenza del termine è considerata valida, salva restando l'applicazione della sanzione amministrativa per il ritardo.

Ai soli effetti sanzionatori, la tardiva presentazione della dichiarazione è equiparata all'omessa presentazione.

Peraltro, poiché la dichiarazione presentata entro trenta giorni dalla scadenza del termine è "valida", l'eventuale omesso o carente versamento delle ritenute relative ai compensi dichiarati è punibile con la sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, prevista dall'art. 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997.

La tardiva presentazione della dichiarazione è invece punibile, ai sensi dell'art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 471 del 1997, con la sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire quattro milioni.

Per le violazioni commesse prima del 1° aprile 1998, è applicabile, in quanto più favorevole, la sanzione prevista dal combinato disposto dei commi primo, secondo periodo, e sesto dell'art. 46 del D.P.R. n. 600 del 1973 (lire settantacinquemila, elevabile fino a lire settecentocinquantamila nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili).

Alla luce delle considerazioni svolte in ordine alle sanzioni applicabili nel caso di tardiva presentazione della dichiarazione del sostituto di imposta, si rende necessario rivedere talune indicazioni fornite con la circolare 23 luglio 1998, n. 192/E, relativamente alle modalità di regolarizzazione, mediante ravvedimento operoso, della violazione in rassegna, e precisamente:

- la mancata presentazione della dichiarazione entro il termine previsto può essere regolarizzata, ai sensi dell'art. 13, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 472 del 1997, a condizione che la dichiarazione venga presentata con ritardo non superiore a trenta giorni e che nello stesso termine venga effettuato il pagamento di una sanzione di lire sessantaduemila, pari ad un ottavo di lire cinquecentomila;

- in caso di omesso, in tutto o in parte, versamento delle ritenute relative ai compensi indicati nella dichiarazione tardiva, non regolarizzato ai sensi dell'art. 13, comma 1, lettere a) o b), del D.Lgs. n. 472 del 1997, si renderà applicabile la sanzione del trenta per cento di cui all'art. 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997.

2.3 Presentazione di dichiarazione infedele

La fattispecie della presentazione di dichiarazione infedele si realizza quando l'ammontare dei compensi, interessi ed altre somme indicati nella dichiarazione validamente presentata è inferiore a quello accertato dal competente ufficio.

La medesima fattispecie si realizza anche quando gli importi assoggettabili a ritenuta alla fonte sono indicati nella dichiarazione in misura inferiore a quella prevista, pur in presenza di una corretta esposizione degli ammontari lordi dei compensi, interessi ed altre somme corrisposti.

Per la violazione in rassegna, l'art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 471 del 1997, prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento dell'importo delle ritenute non versate riferibili alla differenza, con un minimo di lire cinquecentomila.

Il comma 3 dello stesso art. 2 prevede, invece, l'applicazione di una sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire quattro milioni se le ritenute relative ai compensi, interessi ed altre somme non dichiarati sono state interamente versate.

Inoltre, il comma 4, prevede, in aggiunta alle sanzioni previste nei commi 2 e 3, l'applicazione di una sanzione amministrativa di lire centomila per ogni percipiente non indicato nella dichiarazione presentata.

Rispetto alle previgenti previsioni di cui all'art. 47, secondo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, sono state apportate significative variazioni, e precisamente:

- la base di commisurazione della sanzione è costituita dall'ammontare delle ritenute non versate anziché dall'ammontare delle ritenute relative ai compensi non dichiarati;

- sono state diminuite le misure minime e massime (dal cento al duecento per cento anziché dal duecento al quattrocento per cento);

- è stata introdotta una misura minima fissa della sanzione (lire cinquecentomila) nelle ipotesi in cui non sono state interamente versate le ritenute relative ai maggiori compensi accertati;

- è stata introdotta una sanzione in misura variabile da lire cinquecentomila a lire quattro milioni nelle ipotesi in cui sono state interamente versate le ritenute relative ai maggiori compensi accertati;

- è stata diminuita la sanzione (lire centomila anziché da lire trecentomila a lire tre milioni) per ogni percipiente non indicato nella dichiarazione.

Tali variazioni devono essere considerate dagli uffici in sede di determinazione delle sanzioni relativamente alle violazioni commesse prima del 1° aprile 1998, in base alle disposizioni contenute negli articoli 3, comma 3, e 25, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

In particolare, si evidenzia che per la violazione riguardante la mancata indicazione nella dichiarazione dei nominativi di tutti i percipienti, anche se commessa prima del 1° aprile 1998, si rende applicabile la sanzione prevista nell'art. 2, comma 4, del D.Lgs. n. 471 del 1997, in concorso, secondo le regole stabilite nell'art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997, con la violazione per infedele dichiarazione.

Si evidenzia, infine, che alle sanzioni per infedele dichiarazione devono aggiungersi quelle previste per le eventuali violazioni degli obblighi di esecuzione di ritenute alla fonte e di versamento delle ritenute alle prescritte scadenze.

 

 

3. Omessa denuncia delle variazioni dei redditi fondiari.

L'art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997 prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire quattro milioni in caso di omessa denuncia, nel termine previsto per legge, delle situazioni che danno luogo a variazioni in aumento del reddito dominicale e del reddito agrario dei terreni.

Ai sensi dell'art. 27, commi 1 e 2, del T.U.I.R., le variazioni del reddito dominicale o del reddito agrario devono essere denunciate dal contribuente all'ufficio tecnico erariale (ovvero all'ufficio del territorio, ove già istituito) entro il 31 gennaio dell'anno successivo a quello in cui si sono verificate le situazioni che le determinano.

Rispetto alla previgente disposizione di cui all'art. 50 del D.P.R. n. 600 del 1973, si rileva che è stata ridotta la misura massima della sanzione (lire quattro milioni anziché lire cinque milioni).

Pertanto, anche per le violazioni commesse prima del 1° aprile 1998, la misura della sanzione non potrà essere superiore a lire quattro milioni.

 

 

Capitolo secondo

Sanzioni in materia di imposta sul valore aggiunto

Il capo II del D.Lgs. n. 471 del 1997, costituito dagli articoli 5, 6 e 7, contempla e disciplina le principali ipotesi di violazione nel settore dell'imposta sul valore aggiunto, comprese quelle relative agli scambi intracomunitari, perseguendo, come si vedrà, la tendenza complessiva alla mitigazione delle relative sanzioni rispetto a quelle previste dalla previgente normativa, in conformità ai criteri desumibili dalle legislazioni dei Paesi dell'Unione Europea.

In particolare l'art. 5 attiene, in via prioritaria, alle violazioni riguardanti la dichiarazione annuale, l'art. 6 detta la disciplina relativa alle infrazioni degli obblighi di documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette al tributo e l'art. 7 concerne le specifiche violazioni relative alle esportazioni.

1. Violazioni relative alla dichiarazione annuale.

L'art. 5 del D.Lgs. n. 471 del 1997 ha un contenuto più ampio di quanto non dica il titolo. Esso, infatti, oltre alle violazioni riguardanti la dichiarazione annuale (e i rimborsi chiesti in difformità della stessa), disciplina anche le infrazioni relative alle dichiarazioni mensili degli acquisti intracomunitari, alla richiesta di attribuzione della partita I.V.A. degli enti non commerciali, alle dichiarazioni di inizio, variazione e cessazione di attività.

Le altre violazioni riguardanti il contenuto e la documentazione della dichiarazione annuale sono invece previste dall'art. 8 dello stesso D.Lgs. n. 471 del 1997.

Le ipotesi di violazione contemplate dal citato art. 5 sono le seguenti:

- omessa presentazione della dichiarazione annuale in presenza di debito d'imposta (art. 5, comma 1, che sostituisce l'art. 43, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 );

- omessa presentazione della dichiarazione annuale in assenza di debito d'imposta (art. 5, comma 3, che sostituisce l'art. 43, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 );

- presentazione di dichiarazione annuale infedele (art. 5, comma 4, che sostituisce l'art. 43, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 );

- omessa o incompleta presentazione della dichiarazione mensile di acquisti intracomunitari (art. 5, comma 2, che sostituisce l'art. 54, comma 3, del D.L. n. 331 del 1993 convertito in legge n. 427 del 1993 );

- omessa presentazione della richiesta di attribuzione della partita I.V.A. in relazione ad acquisti intracomunitari (art. 5, comma 3, che sostituisce l'art. 54, comma 5, del D.L. n. 331 del 1993 );

- omessa presentazione della dichiarazione di inizio, variazione o cessazione di attività (art. 5, comma 6, che sostituisce l'art. 43, quinto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 );

- richiesta di rimborso in difformità della dichiarazione (art. 5, comma 5, che non trova riscontro nella previgente normativa).

1.1 Omessa presentazione della dichiarazione annuale in presenza di debito d'imposta

L'art. 5, comma 1, dispone che l'omessa presentazione della dichiarazione annuale è punita con la sanzione dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell'imposta dovuta per l'anno solare o per le operazioni che, in relazione a un più breve periodo, avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione. In ogni caso la sanzione irrogata non può essere inferiore a lire cinquecentomila.

Dal 1° gennaio 1999 la sanzione in parola tornerà applicabile anche per l'omessa presentazione delle dichiarazioni periodiche di cui all'art. 1 del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100.

La nuova misura sostituisce la pena pecuniaria da due a quattro volte l'imposta dovuta prevista dall'art. 43, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 ed assorbe quella fissa, prima applicabile congiuntamente, stabilita dal terzo comma dello stesso articolo.

Parificabile all'omissione è la presentazione della dichiarazione con un ritardo superiore a trenta giorni e la presentazione di dichiarazione priva di sottoscrizione, non regolarizzata entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito da parte dell'ufficio.

La seconda parte del comma 1 in esame chiarisce che per determinare l'imposta dovuta, ossia la base di commisurazione della sanzione, dall'ammontare dell'I.V.A. a debito risultante dall'accertamento devono essere computati in detrazione:

- tutti i versamenti effettuati relativi al periodo d'imposta;

- il credito dell'anno precedente non richiesto a rimborso;

- le imposte detraibili risultanti dalle liquidazioni regolarmente eseguite.

Tale disposizione che, sotto certi aspetti, va considerata integrativa di quella contenuta nell'art. 55, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, nel prevedere espressamente la detraibilità del credito dell'anno precedente riportato a nuovo, recepisce il recente orientamento della Suprema Corte di Cassazione, desumibile dalla sentenza 2 ottobre 1996, n. 8602.

Va precisato, inoltre, che l'imposta detraibile relativa al quarto trimestre (assolta da quei contribuenti che, per opzione, eseguono i versamenti trimestralmente) va computata ugualmente in detrazione agli effetti sanzionatori, se la relativa liquidazione risulti di fatto eseguita, pur in assenza della dichiarazione annuale. In caso contrario detta imposta rimane dovuta e concorre, quindi, a determinare la base di commisurazione della sanzione, fermo restando, peraltro, che il relativo diritto alla detrazione potrà essere esercitato successivamente, ai sensi del combinato disposto degli articoli 19, comma 1, e 28, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, come di recente modificati, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto.

Le nuove previsioni, in base alle disposizioni contenute negli articoli 3, comma 3, e 25, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997, si rendono applicabili, in quanto più favorevoli, anche relativamente alle violazioni commesse prima del 1° aprile 1998.

1.2 Omessa presentazione della dichiarazione annuale in assenza di debito d'imposta

Nelle ipotesi in cui vengono effettuate esclusivamente operazioni per le quali non è dovuta l'imposta ovvero nelle ipotesi in cui l'eseguita computazione in detrazione prevista dal comma 1 dia luogo a un credito d'imposta o ad un'imposta "dovuta" pari a zero, viene ovviamente a mancare la base di commisurazione e quindi la possibilità stessa di applicare la sanzione proporzionale dal centoventi al duecentoquaranta per cento.

In tali evenienze e sempreché, ovviamente, ne sussista l'obbligo, l'omessa presentazione della dichiarazione è punita con la sanzione da lire cinquecentomila a lire quattromilioni prevista dal comma 3. Detta sanzione sostituisce la pena pecuniaria da lire seicentomila a lire tremilioni stabilita dall'art. 43, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972.

1.3 Tardiva presentazione della dichiarazione

La dichiarazione presentata entro trenta giorni dalla scadenza dei termini è considerata valida, salva restando l'applicazione della sanzione amministrativa per il ritardo.

Ai soli effetti sanzionatori (e quindi non anche ai fini dell'esperibilità dell'accertamento induttivo di cui all'art. 55 del D.P.R. n. 633 del 1972) la tardiva presentazione della dichiarazione è equiparata all'omissione.

Peraltro, poiché la dichiarazione presentata con ritardo non superiore a trenta giorni è "valida", dalla stessa non può risultare un'imposta dovuta (nel senso voluto dall'art. 5, comma 1) ma, semmai, un'imposta dichiarata e non versata, come tale da assoggettare alla sanzione del trenta per cento prevista dall'art. 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997.

La tardiva presentazione della dichiarazione è invece punibile, ai sensi dell'art. 5, comma 3, del D.Lgs. n. 471 del 1997, con la sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a quattro milioni, irrogabile con il procedimento disciplinato dall'art. 16 del D.Lgs. n. 472 del 1997.

In caso di rettifica della dichiarazione, con riferimento alla maggiore imposta dovuta ovvero alla minore eccedenza detraibile o rimborsabile spettante, si renderà applicabile la sanzione per infedele dichiarazione di cui all'art. 5, comma 4.

La mancata presentazione della dichiarazione entro il termine previsto può essere regolarizzata, ai sensi dell'art. 13, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 472 del 1997, qualora entro trenta giorni dalla scadenza del termine venga presentata la dichiarazione e venga effettuato il pagamento di una sanzione di lire sessantaduemila, pari ad un ottavo di lire cinquecentomila.

1.4 Presentazione di dichiarazione annuale infedele

Se dalla dichiarazione presentata risulta un'imposta inferiore a quella dovuta ovvero un'eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante, si applica, secondo quanto previsto dal comma 4, la sanzione dal cento al duecento per cento della differenza.

La misura non differisce, quanto alla sua entità, dalla pena pecuniaria prevista dall'art. 43, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972. Tuttavia, a differenza di quest'ultima, la nuova disposizione non prevede più la tolleranza di un decimo, per cui anche una minima differenza tra imposta accertata e imposta dichiarata (oppure tra credito risultante dalla dichiarazione e credito risultante dalla rettifica) rende "infedele" la dichiarazione e, di conseguenza, applicabile la sanzione.

La scomparsa del limite di inapplicabilità della misura punitiva (tendente ad avvicinare, per quanto possibile, la disciplina dell'I.V.A. a quella delle imposte sui redditi) rende ininfluente il quesito se la differenza d'imposta o dell'eccedenza detraibile, che concretizza il presupposto della violazione in esame, debba intendersi al lordo o al netto dei versamenti periodici eseguiti nel corso dell'anno e dell'eventuale credito dell'anno precedente non richiesto a rimborso. Vengono così meno i problemi interpretativi legati alle suddette questioni che, in passato, sono stati spesso motivo di contenzioso.

L'infedeltà della dichiarazione può scaturire, per esempio, dal recupero:

- dell'imposta relativa a specifiche operazioni imponibili non dichiarate e precedentemente non documentate e/o non registrate;

- dell'imposta relativa ad operazioni erroneamente ritenute esenti o non imponibili;

- della maggiore imposta dovuta, in relazione a specifiche operazioni, per l'avvenuta applicazione di aliquota inferiore a quella pertinente;

- della maggiore imposta risultante da accertamento induttivo;

- dell'imposta indebitamente detratta.

Ove si verifichino, singolarmente o cumulativamente, una o più delle fattispecie suddette o di altre ipotizzabili, la base di commisurazione della sanzione in esame sarà costituita, a seconda dei casi:

a) dalla differenza tra l'imposta complessivamente accertata e quella minore indicata nella dichiarazione annuale;

b) dalla differenza tra il credito risultante dalla dichiarazione e quello minore spettante;

c) dalla differenza tra il credito risultante dalla dichiarazione e l'imposta accertata a debito, operandosi nell'ipotesi la somma dei due elementi.

Come già chiarito con la circolare 10 luglio 1998, n. 180/E, per effetto dell'art. 12, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997, tra le infrazioni prodromiche all'evasione (quali l'omessa fatturazione e/o registrazione, l'omesso rilascio di scontrini o ricevute) e la violazione di infedele dichiarazione, nella quale si concreta l'evasione, viene ad instaurarsi un rapporto del tutto nuovo, che consente alla sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave (in linea di massima, quella di infedele dichiarazione), congruamente aumentata da un quarto al doppio, di assorbire tutte le sanzioni relative alle infrazioni ad essa collegate. Deve, pertanto, ritenersi non più operante il cumulo materiale delle sanzioni anzicitate, già ritenuto legittimo anche dalla Cassazione (cfr. sentenza 20 giugno 1996, n. 5716).

Da ultimo, è da tener presente che non può considerarsi realizzata la violazione di infedele dichiarazione (ma, ove ne ricorrano i presupposti, quella di omesso versamento) quando la minore imposta o il maggiore credito risultanti dalla dichiarazione siano esclusiva conseguenza di un mero errore materiale o di calcolo commesso dal contribuente. Al riguardo si rimanda ai chiarimenti forniti con la circolare 17 aprile 1997, n. 114/E.

1.5 Omessa o incompleta presentazione della dichiarazione mensile di acquisti intracomunitari

Il D.M. 16 febbraio 1993 prescrive all'art. 1 che gli enti non commerciali e i produttori agricoli esonerati che abbiano effettuato acquisti intracomunitari per importi superiori a sedici milioni ovvero che, pur non avendo superato detto limite, abbiano optato per l'applicazione dell'imposta sugli acquisti intracomunitari, devono presentare entro ciascun mese un'apposita dichiarazione (mod. I.V.A. INTRA 12) relativa agli acquisti registrati nel mese precedente, dalla quale devono risultare l'ammontare degli acquisti, quello dell'imposta dovuta e gli estremi del relativo attestato di versamento.

In caso di omessa presentazione di tale dichiarazione o di presentazione di essa con indicazione dell'ammontare delle operazioni in misura inferiore al vero, è prevista l'applicazione della sanzione dal centoventi al duecentoquaranta per cento, commisurata, rispettivamente, all'imposta o alla maggiore imposta dovuta. In ogni caso la sanzione non può essere inferiore a lire cinquecentomila.

Anche nella suddetta fattispecie, pertanto, la nuova misura sanzionatoria risulta notevolmente ridimensionata rispetto a quella (pena pecuniaria da due a quattro volte) prevista dall'art. 54, comma 3, del D.L. n. 331 del 1993.

1.6 Omessa presentazione della dichiarazione per l'attribuzione della partita I.V.A. in relazione ad acquisti intracomunitari

L'art. 50, comma 4, del D.L. n. 331 del 1993 prescrive che gli enti non commerciali che non abbiano optato per l'applicazione dell'imposta sugli acquisti intracomunitari, sono tenuti a dichiarare preventivamente all'ufficio competente nei loro confronti l'effettuazione di acquisti intracomunitari soggetti ad imposta (mod. I.V.A. INTRA 13) e, al superamento del limite di sedici milioni di acquisti, a presentare la dichiarazione di cui all'art. 35, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 per l'attribuzione del numero della partita I.V.A.

Ove detta dichiarazione non venga presentata, si rende applicabile la sanzione da lire cinquecentomila a lire quattromilioni, ai sensi del comma 3 dell'art. 5 in esame.

È questa una delle poche fattispecie in cui la nuova sanzione risulta più alta di quella previgente (pena pecuniaria da lire duecentomila a lire duemilioni stabilita dall'art. 54, comma 5, del D.L. n. 331 del 1993), che continuerà quindi ad essere applicabile per le violazioni commesse fino al 31 marzo 1998.

1.7 Omessa presentazione della dichiarazione di inizio, variazione o cessazione di attività

Il comma 6 dell'art. 5 punisce con la sanzione da lire unmilione a lire quattromilioni chiunque, essendovi ovviamente obbligato, ometta di presentare una delle dichiarazioni di inizio, variazione o cessazione di attività, previste nel primo o terzo comma dell'art. 35 del D.P.R. n. 633 del 1972, nei termini ivi stabiliti, oppure presenti tali dichiarazioni con indicazioni incomplete o inesatte tali da non consentire l'individuazione del contribuente o dei luoghi ove è esercitata l'attività o in cui sono conservati libri, registri, scritture e documenti.

La sanzione in questione risulta meno elevata rispetto alla pena pecuniaria da lire unmilioneduecentomila a lire seimilioni prevista dall'art. 43, quinto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972; inoltre la stessa va ridotta a lire duecentomila (un quinto del minimo) nel caso in cui l'obbligato provveda alla regolarizzazione della dichiarazione presentata, entro trenta giorni dall'invito dell'ufficio.

Tale attenuante specifica, prevista dall'ultimo periodo del comma 5, non esclude la possibilità di regolarizzazione spontanea, senza pagamento di sanzioni, entro tre mesi dall'omissione o dalla presentazione con indicazioni incomplete o inesatte, ai sensi dell'art. 13, comma 4, del D.Lgs. n. 472 del 1997, oppure entro il più ampio termine previsto dal comma 1, lettera b), dello stesso art. 13, con il pagamento della sanzione, in questo caso, di lire centosessantasettemila (pari ad un sesto del minimo).

1.8 Richiesta di rimborso in difformità della dichiarazione

Il comma 5 del più volte citato art. 5 introduce una nuova ipotesi di infrazione giustificata dal fatto che la richiesta di rimborso dell'imposta può essere avanzata direttamente al concessionario della riscossione, indipendentemente dalla presentazione della dichiarazione annuale, e quindi anche in caso di richiesta in tutto o in parte non risultante dalla dichiarazione stessa.

È, pertanto, previsto che la richiesta di un rimborso non dovuto o in misura eccedente il dovuto, in quanto difforme dalle risultanze della dichiarazione, rende applicabile la sanzione da una a due volte la somma non spettante.

Presupposto della violazione (di pericolo) non è il conseguimento, ma la semplice richiesta di un rimborso che non trova riscontro nella dichiarazione, per cui la sanzione va irrogata anche se il rimborso stesso non sia stato ottenuto.

Un caso particolare di applicazione della norma in esame si verifica quando il soggetto obbligato omette di presentare la dichiarazione annuale dopo aver inoltrato richiesta di rimborso al concessionario. In tale ipotesi, ferma restando l'irrogazione della sanzione, la domanda di rimborso non può aver seguito.

 

 

2. Violazioni degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto.

L'art. 6 del D.Lgs. n. 471 del 1997 reca la disciplina sanzionatoria, profondamente innovativa rispetto alla precedente, relativa alla inosservanza degli obblighi di documentazione, registrazione e individuazione delle operazioni rientranti nell'ambito applicativo dell'I.V.A., anche intracomunitaria, ossia di tutta quella serie di adempimenti cosiddetti strumentali o prodromici posti a carico del contribuente al fine di pervenire ad una corretta determinazione del debito d'imposta.

Le disposizioni contenute in tale articolo sostituiscono, pertanto, sia gli articoli 41 e 42 del decreto I.V.A., sia le norme inerenti le più significative violazioni sulle ricevute fiscali, scontrini fiscali, documenti di trasporto, contrassegni I.V.A. e operazioni intracomunitarie.

In particolare le ipotesi di violazione prese in considerazione dell'art. 6 sono le seguenti:

- omessa fatturazione o registrazione di operazioni imponibili (art. 6, comma 1, che sostituisce gli articoli 41, primo e quarto comma, e 42, primo e terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972;)

- omessa annotazione di fatture relative ad acquisti intracomunitari (art. 6, commi 1 e 7, che sostituiscono l'art. 54, commi 1 e 2, del D.L. n. 331 del 1993 convertito in legge n. 427 del 1993;)

- consegna o spedizione di prodotti sprovvisti di contrassegno o etichetta (art. 6, comma 1, che sostituisce l'art. 73-bis, quarto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972;)

- omessa fatturazione o registrazione di operazioni non imponibili o esenti (art. 6, comma 2, che sostituisce l'art. 41, secondo comma, e l'art. 47, n. 3, del D.P.R. n. 633 del 1972;)

- mancata emissione della ricevuta o dello scontrino fiscale (art. 6, comma 3, che sostituisce l'art. 8, quarto comma, della legge 10 maggio 1976, n. 249, e l'art. 2, primo comma, della legge 26 gennaio 1983, n. 18);

- mancata emissione del documento di trasporto (art. 6, comma 3, che sostituisce l'art. 7, primo comma, del D.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627);

- omessa regolarizzazione da parte del cessionario o committente in caso di mancato ricevimento della fattura o di ricevimento della fattura irregolare (art. 6, comma 8, che sostituisce l'art. 41, sesto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972;)

- illegittima detrazione dell'imposta assolta o dovuta sulle operazioni passive (art. 6, comma 6, che non trova riscontro specifico nella precedente normativa).

2.1 Omessa fatturazione o registrazione di operazioni imponibili

Il comma 1 dell'art. 6 prende, anzitutto, in considerazione le ipotesi di violazioni degli obblighi di fatturazione e registrazione (di fatture o corrispettivi) relative ad operazioni imponibili, già disciplinate dall'art. 41, primo e quarto comma, e dall'art. 42, primo e terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, stabilendo al riguardo che la mancata documentazione o registrazione di tali operazioni è punita "con sanzione amministrativa compresa tra il cento e il duecento per cento dell'imposta relativa all'imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell'esercizio". La sanzione irrogata per ogni violazione non può, comunque, essere inferiore a lire un milione, ai sensi del comma 4 dello stesso art. 6.

La violazione di cui trattasi è ugualmente realizzata quando la fatturazione e/o la registrazione di operazioni imponibili vengono effettuate senza indicazione d'imposta o con indicazione d'imposta inferiore a quella dovuta, essendo l'esatta esposizione dell'imposta requisito essenziale per dare rilevanza al documento o alla registrazione. Pertanto, la sanzione va applicata anche nell'ipotesi di fatturazione e/o registrazione di un corrispettivo esatto ma con applicazione di aliquota inferiore a quella prevista dalla legge.

Da notare che la citata misura dal cento al duecento per cento dell'imposta è quella risultante dall'art. 6, comma 1, come sostituito dall'art. 1, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 5 giugno 1998, n. 203. La precedente formulazione della norma di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997 prevedeva, invece, che le infrazioni della specie fossero da assoggettare alla sanzione compresa tra il dieci e il quindici per cento dell'imponibile non documentato o non registrato.

Sorge, quindi, il problema di stabilire il periodo temporale di operatività delle due norme.

Al riguardo si fa presente che l'art. 5 del citato D.Lgs. n. 203 del 1998 dispone che le disposizioni integrative e correttive in esso contenute si applicano a decorrere dal 1° aprile 1998 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 471 del 1997) tranne quelle che introducono nuovi illeciti ovvero modificano il trattamento sanzionatorio (degli illeciti già previsti) in senso peggiorativo per il contribuente.

Pertanto, mentre è chiaro che le violazioni commesse a partire dal 16 luglio 1998 devono essere punite con la sanzione dal cento al duecento per cento dell'imposta, per quelle commesse dal 1° aprile al 15 luglio 1998, tra le due sanzioni succedutesi nel tempo (quella prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997 e la successiva introdotta dal D.Lgs. n. 203 del 1998) dovrà essere applicata quella che in concreto risulterà più favorevole al trasgressore.

È evidente, poi, che per le infrazioni commesse anteriormente al 1° aprile 1998, ai fini dell'applicazione del principio del favor rei, le due misure anzidette dovranno essere entrambe tenute presenti per poter applicare quella in concreto più favorevole all'interessato.

Il comma 1 dell'art. 6 in parola si riferisce, come si è detto, agli obblighi di documentazione e registrazione di operazioni imponibili. Tali adempimenti, per un verso, vanno considerati in maniera distinta e, se richiesti per la medesima operazione, devono quindi essere entrambi osservati per non incorrere nel compimento dell'infrazione. Di talché la sanzione si rende applicabile in presenza di fattura regolarmente emessa ma non registrata nei termini, nei prescritti registri. Per altro verso, i due obblighi (sempre che siano entrambi richiesti per la stessa operazione) sono legati da un nesso di pregiudizialità-dipendenza, per cui l'inosservanza dell'uno (fatturazione) rende impossibile l'osservanza dell'altro (registrazione). Ne consegue che, nel caso di omesso rilascio del documento e della conseguente sua mancata registrazione, la sanzione si applica una sola volta, come previsto espressamente dal comma 5 dell'art. 6.

L'infrazione di omissione si perfeziona anche con il mancato rispetto dei termini previsti per la fatturazione e/o registrazione, termini che devono ritenersi essenziali. Pertanto, l'adempimento tardivo, ancorché spontaneo, configura ugualmente l'illecito in questione, ferma restando la possibilità di ravvedimento ai sensi dell'art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997.

Parificabile all'omessa documentazione è da considerare, poi, la falsa indicazione in fattura della data di emissione che, avendo lo scopo di riportare nei termini l'operazione, costituisce una modalità esecutiva dello specifico illecito.

È, inoltre, importante far presente che l'individuazione delle operazioni occultate non costituisce presupposto necessario perché si intenda realizzata la violazione. La stessa, pertanto, sussiste anche nell'ipotesi di maggiore volume d'affari ricostruito induttivamente o nel caso di operatività della presunzione legale di cui all'art. 1 del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441.

Ancora, va evidenziato che la sanzione di cui si discute torna applicabile, tra l'altro, anche nei seguenti casi:

- omesso rilascio di fattura nonostante la richiesta della controparte, per le operazioni indicate nell'art. 22, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972. Detta norma, infatti, rende obbligatoria l'emissione del documento, se richiesto contestualmente all'effettuazione dell'operazione;

- mancata emissione del documento rettificativo di cui all'art. 26, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, in caso di variazione in aumento dell'imponibile o dell'imposta;

- mancata osservanza dei termini previsti per la fatturazione differita, pur risultando emesso il documento di trasporto;

- effettuazione di fatturazione differita nei previsti termini, in mancanza del documento di trasporto dal quale risulti la consegna o spedizione dei beni;

- mancata autofatturazione per autoconsumo;

- mancata emissione della fattura per acquisti da non residenti (art. 17, terzo comma, D.P.R. n. 633 del 1972) o da agricoltori esonerati (art. 34, comma 6, stesso decreto) o da agenzie di viaggio (art. 74-ter, comma 8, stesso decreto).

A proposito dell'obbligo di fatturazione relativo agli acquisti effettuati da non residenti o da agricoltori esonerati, è da ricordare che l'art. 41, quinto comma, del decreto I.V.A. prevedeva l'applicazione della sola pena pecuniaria di carattere residuale da lire trecentomila a lire un milioneduecentomila se le violazioni di tale obbligo non avessero dato luogo a variazioni nelle risultanze delle liquidazioni periodiche o in sede di dichiarazione annuale. Poiché tale previsione non è stata riproposta, le infrazioni della specie commesse dopo il 1° aprile 1998 sono da assoggettare, comunque, alla misura proporzionale dal cento al duecento per cento dell'imposta relativa ai corrispettivi non documentati. La previsione di cui all'art. 41, quinto comma, è applicabile invece, in quanto più favorevole, alle violazioni commesse fino al 31 marzo 1998.

Per finire è necessaria un'ultima importante precisazione sul rapporto intercorrente tra l'art. 6, comma 1, in parola e l'art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997 che disciplina il concorso di violazioni e la continuazione. In particolare, il comma 2 del citato art. 12 dispone che è punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell'imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo. Orbene, la norma appena citata può trovare applicazione nei casi di ripetute omesse fatturazioni e/o registrazioni commesse dallo stesso soggetto sia quando a tali violazioni non faccia seguito l'infedele dichiarazione (ipotesi di progressione che tende a pregiudicare la determinazione dell'imponibile) sia quando alla mancata fatturazione e/o registrazione segua l'infedele dichiarazione (progressione che pregiudica la determinazione dell'imponibile). Tutto ciò purché la progressione non sia interrotta dalla constatazione della violazione, secondo quanto stabilito dal comma 6 dell'art. 12.

2.2 Omessa annotazione di fatture relative ad acquisti intracomunitari imponibili

Tra le violazioni cui si applica la sanzione prevista dal comma 1 dell'art. 6 è da ricomprendere anche l'omessa o inesatta annotazione nei prescritti registri degli acquisti intracomunitari di beni e servizi imponibili, in precedenza punita dall'art. 54, comma 1, del D.L. n. 331 del 1993 con la pena pecuniaria da due a quattro volte l'imposta o la differenza d'imposta relativa alle operazioni non annotate.

Anche per le infrazioni in parola vale quanto già osservato al precedente punto 2.1 in ordine alla misura minima della sanzione stabilita in lire un milione per ogni violazione, all'applicabilità della sanzione nelle ipotesi di annotazione eseguite con indicazioni inesatte tali da importare un'imposta inferiore, ai criteri di operatività dell'istituto del concorso in caso di ripetute violazioni.

Con il comma 7 dell'art. 6, viene riproposta la disposizione, già prevista nella precedente normativa, secondo cui condizione imprescindibile perché un acquisto intracomunitario possa essere considerato non imponibile è che il cessionario o committente nazionale comunichi il proprio numero di partita I.V.A. (come integrato agli effetti delle operazioni intracomunitarie) all'altra parte contraente. In difetto di tale comunicazione, la sanzione dal cento al duecento per cento dell'imposta nei confronti dell'operatore nazionale si applica anche se l'operazione sia stata assoggettata ad imposta in altro Stato membro.

Si rappresenta infine che la violazione di cui trattasi, oltre che dalla mancata o irregolare annotazione nei registri previsti dagli articoli 23 e 24 del D.P.R. n. 633 del 1972, può dipendere da omesse o inesatte annotazioni nel registro di cui all'art. 47, comma 3, del D.L. n. 331 del 1993 da parte degli enti non commerciali e degli agricoltori esonerati.

2.3 Consegna o spedizione di prodotti sprovvisti di contrassegno o etichetta

Il comma 1 dell'art. 6 non si limita a prendere in considerazione le violazioni degli obblighi relativi alla documentazione o registrazione di operazioni imponibili, ma prevede l'applicazione della stessa sanzione dal cento al duecento per cento dell'imposta anche a carico di chi viola gli obblighi inerenti "all'individuazione di prodotti determinati".

Tale disposizione, com'è evidente, sostituisce l'art. 73-bis, quarto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, che prevedeva la comminazione di una pena pecuniaria da due a quattro volte l'imposta relativa all'operazione nei confronti dei produttori o importatori ovvero degli acquirenti intracomunitari che consegnano o spediscono, anche a titolo non traslativo ma per la vendita, taluni prodotti (appartenenti alle categorie indicate nel primo comma dello stesso art. 73-bis) sprovvisti di contrassegno o etichetta ovvero con contrassegno o etichetta privi del numero di partita I.V.A. o dei dati di identificazione del prodotto o del numero progressivo o con la loro indicazione incompleta o inesatta.

Ove compiano tali inadempienze i soggetti suindicati sono ora puniti, come si è detto, con la sanzione compresa tra il cento e il duecento per cento dell'imposta ma, in ogni caso, non inferiore a lire un milione per ogni violazione.

Da notare, poi, che il citato art. 73-bis, quarto comma, prevedeva la riduzione a un quarto della pena pecuniaria se per la cessione dei prodotti sprovvisti dei dati identificativi risultasse emessa la fattura. Poiché tale disposizione non è stata riproposta, la stessa non può più operare per le violazioni commesse dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 471 del 1997.

2.4 Omessa fatturazione o registrazione di operazioni non imponibili o esenti

Com'è noto, l'art. 21, sesto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 impone l'obbligo di emettere la fattura anche per le cessioni relative a beni in transito o depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale, non imponibili a norma dell'art. 7, secondo comma, dello stesso decreto, nonché per le operazioni non imponibili di cui agli articoli 8, 8-bis, 9 (e di quelli che ad essi rinviano) e 38-quater del medesimo decreto e per le operazioni esenti di cui all'art. 10 dello stesso decreto, tranne quelle indicate al n. 6. Inoltre, l'obbligo in parola è previsto anche dall'art. 46, comma 2, del D.L. n. 331 del 1993 per le cessioni e prestazioni intracomunitarie ivi indicate, non soggette all'imposta, nonché dall'art. 42 dello stesso decreto-legge per gli acquisti intracomunitari non imponibili o esenti. In tutti i casi suddetti, la fattura, in luogo dell'indicazione dell'ammontare dell'imposta, deve recare l'annotazione che si tratta di operazione non imponibile, esente o non soggetta, con la specificazione della relativa norma.

L'art. 41, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 puniva con la pena pecuniaria da lire trecentomila a lire unmilioneduecentomila l'omessa fatturazione di operazioni non imponibili, esenti o non soggette, ovvero la fatturazione delle stesse con indicazioni di corrispettivi inferiori a quelli reali. L'omessa registrazione delle operazioni medesime, poi, era punita dalla misura di carattere residuale di cui all'art. 47, n. 3), dello stesso decreto, in assenza di riferimenti espliciti in altre disposizioni sanzionatorie. Le suddette penalità erano ovviamente ragguagliate al numero di documenti omessi, irregolari o non registrati, salva la possibile applicazione dell'art. 8 della legge 7 gennaio 1929, n. 4.

Oggi l'art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 471 del 1997, invece, colpisce chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni non imponibili, esenti o non soggette, con l'unica sanzione compresa tra il 5 e il 10 per cento dei corrispettivi non documentati o non registrati e, in ogni caso, non inferiore a lire un milione per singola violazione.

La previsione di una sanzione proporzionale, in luogo di quella precedente stabilita in misura fissa, si spiega con la circostanza che le infrazioni in parola, in qualche caso rilevanti anche ai fini I.V.A. (es. incidenza delle operazioni esenti sul calcolo del pro-rata), possono soprattutto agevolare evasioni in altri settori tributari. Occorre considerare, peraltro, che quando la violazione non rileva né agli effetti dell'I.V.A. né ai fini della determinazione del reddito, è dovuta solo la sanzione da lire cinquecentomila a lire quattro milioni.

Per quanto concerne le operazioni esenti da imposta (tranne quelle indicate ai numeri 11, 18 e 19 dell'art. 10) sembra opportuno ricordare che il contribuente può essere dispensato dall'obbligo di fatturazione e registrazione, ai sensi dell'art. 36-bis del decreto I.V.A., previa comunicazione all'ufficio, fermo restando, tuttavia, l'obbligo di rilasciare la fattura quando essa sia richiesta dal cliente.

In merito, poi, all'operatività dell'art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997 per le violazioni in esame, si fa presente che può trovare applicazione il comma 1 di tale articolo (concorso) se l'omessa fatturazione non ha avuto conseguenze sulla determinazione dell'imposta ai fini I.V.A. o di altri tributi. In caso contrario, può rendersi applicabile l'istituto della progressione di cui al successivo comma 2.

2.5 Mancata emissione della ricevuta o scontrino fiscale

L'art. 8, quarto comma, della legge 10 maggio 1976, n. 249, prevedeva l'applicazione di una pena pecuniaria da lire quattrocentomila a lire unmilioneottocentomila in caso di mancata emissione della ricevuta fiscale o di emissione della stessa con indicazione (quando prescritta) del corrispettivo in misura inferiore a quello reale. La pena era ridotta a un quarto se la ricevuta, pur emessa, non fosse stata consegnata al destinatario.

Identica disposizione (a parte la non configurabile ipotesi di non indicazione del corrispettivo) era recata dall'art. 2, primo comma, della legge 26 gennaio 1983, n. 18, in materia di scontrini fiscali.

Le pene pecuniarie suddette erano ovviamente applicate in relazione al numero dei documenti non emessi o irregolarmente emessi e tale criterio poteva comportare (es. imprenditore commerciale che effettua numerose cessioni di beni di modesto valore unitario) l'irrogazione di penalità di ammontare sproporzionato rispetto alla effettiva pericolosità o rilevanza (in termini di evasione) della condotta illecita.

È pur vero che, in materia, erano operanti i meccanismi di attenuazione del cumulo materiale delle sanzioni, previsti per le ricevute dall'art. 6 del D.L. n. 697 del 1982, convertito in legge n. 887 del 1982, e per lo scontrino dall'art. 8 della legge n. 4 del 1929. Tuttavia, tali disposizioni agevolative non sempre potevano rimediare all'inconveniente suddetto, sia perché l'applicazione delle stesse non era automatica ma subordinata alla sussistenza di determinati presupposti, sia perché spesso l'ammontare delle sanzioni, pur ridimensionato, rimaneva ugualmente esorbitante.

Completamente diverso è il nuovo regime sanzionatorio relativo ai documenti suddetti, quale risulta dal combinato disposto degli articoli 6 del D.Lgs. n. 471 del 1997 e 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997.

Dispone, infatti, il comma 3 del citato art. 6, nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 203 del 1998, che quando le violazioni (inerenti alla documentazione delle operazioni) consistono nella mancata emissione di ricevute o scontrini fiscali, ovvero nell'emissione di tali documenti per importi inferiori a quelli reali, la sanzione è pari al cento per cento dell'imposta corrispondente all'importo non documentato. Ai sensi del successivo comma 4, la sanzione non può essere applicata in misura inferiore a lire un milione per singola infrazione. La medesima sanzione, con il rispetto dello stesso minimo, si applica in caso di omesse annotazioni su apposito registro dei corrispettivi relativi a ciascuna operazione, in caso di mancato o irregolare funzionamento degli apparecchi misuratori fiscali.

Poiché l'originaria formulazione del comma 3 in parola prevedeva in materia una sanzione pari al quindici per cento dell'importo non documentato, per le violazioni commesse fino al 15 luglio 1998, fra le due misure (quindici per cento dell'imponibile o cento per cento dell'imposta) tornerà applicabile quella in concreto più favorevole al trasgressore.

Va, peraltro, evidenziato che la previsione di un importo minimo per ogni singola violazione commessa non può più comportare, come in passato, la quantificazione delle sanzioni in misura abnorme, soccorrendo in proposito, in caso di più violazioni, i ben più incisivi istituti del concorso o della progressione, previsti dall'art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997, secondo le modalità già chiarite in precedenza (vedi punto 2.1).

Da notare, poi, che il citato comma 3 dell'art. 6 non prevede più alcuna sanzione (sia pure di ammontare ridotto) per la mancata consegna della ricevuta o scontrino al cliente. Tale comportamento, pertanto, non può più essere punito, anche se, com'è ovvio, permane il diritto del cliente di pretendere che il documento gli sia rilasciato, per non correre il rischio di essere sanzionato a sua volta.

2.6 Mancata emissione del documento di trasporto

Il comma 3 dell'art. 6 prende in considerazione anche la mancata emissione dei documenti di trasporto, prevedendo per tale violazione la stessa sanzione stabilita in materia di ricevute e scontrini fiscali (cento per cento dell'imposta corrispondente all'importo non documentato).

Al riguardo è opportuno chiarire subito che, con il termine "documenti di trasporto", il citato comma 3 non ha inteso riferirsi al documento disciplinato dall'art. 1, comma 3, del D.P.R. 14 agosto 1996, n. 472, la cui emissione, com'è noto, non costituisce un obbligo ma un semplice onere che il contribuente è tenuto ad osservare qualora egli intenda avvalersi del meccanismo della fatturazione differita, previsto dall'art. 21, quarto comma, secondo periodo, del D.P.R. n. 633 del 1972.

Il documento in parola, inoltre, può essere emesso allo scopo di superare le presunzioni stabilite dal D.P.R. n. 441 del 1997 e, però, anche in tale evenienza il soggetto interessato non adempie ad un obbligo ma si assume un onere. Ancora, va ricordato che, secondo la circolare 11 ottobre 1996, n. 249/E, il documento in questione non deve necessariamente scortare le merci trasportate, potendo invece essere spedito al destinatario, entro il giorno in cui è iniziata la movimentazione dei beni, anche tramite servizio postale.

Escluso per i suddetti motivi che la previsione normativa di cui al comma 3 dell'art. 6 possa riguardare il più volte citato documento, risulta evidente che la stessa si riferisce al "documento di accompagnamento dei beni viaggianti" (cosiddetta bolla di accompagnamento) di cui al D.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627, limitatamente, com'è ovvio, a quelle ipotesi residuali per le quali è rimasto l'obbligo di emissione dopo il 27 settembre 1996, data di entrata in vigore del D.P.R. n. 472 del 1996, escluse, peraltro, quelle tra esse soggette alla specifica sanzione di cui all'art. 49 del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504.

Con specifico riferimento alle suddette ipotesi residuali (circolazione di tabacchi lavorati e fiammiferi), la mancata emissione del documento accompagnatorio da parte del mittente o l'emissione di esso per importo inferiore a quello reale (già sanzionata con la pena pecuniaria da lire quattro milioni a lire dodici milioni dall'art. 7, primo comma, del D.P.R. n. 627 del 1978) è ora punita, come già anticipato, con la misura proporzionale del cento per cento dell'imposta corrispondente all'importo non documentato.

Anche la sanzione di cui trattasi non può essere irrogata in misura inferiore a lire un milione per singola violazione e, in caso di più violazioni, la stessa va determinata applicando pure l'art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997, secondo le modalità più volte illustrate in precedenza.

Si fa presente, infine, che rimane ferma la sanzione (già pena pecuniaria) da lire centomila a lire trecentosessantamila prevista dall'art. 7, terzo comma, del D.P.R. n. 627 del 1978 (non espressamente né tacitamente abrogato dalla nuova normativa) a carico del conducente del veicolo che, durante l'esecuzione del trasporto dei beni suindicati, non sia in grado di esibire gli esemplari del documento che devono scortare le merci o li esibisca privi di sottoscrizione. Va osservato, infatti, che tale violazione non può essere ricondotta in alcuna della fattispecie sanzionate dal D.Lgs. n. 471 del 1997.

Limitatamente ai casi in cui permane l'obbligo di emettere il documento accompagnatorio delle merci e con riferimento alle violazioni commesse anteriormente al 1° aprile 1998, si renderà ovviamente applicabile la disposizione sanzionatoria più favorevole, ai sensi dell'art. 3, comma 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

Per le restanti ipotesi in cui tale obbligo è venuto meno, in forza del cennato principio del favor rei, gli uffici provvederanno:

- ad archiviare i processi verbali per i quali non è stato ancora emesso o notificato il provvedimento sanzionatorio;

- ad annullare i provvedimenti sanzionatori notificati per i quali, al 1° aprile 1998, non siano scaduti i termini per l'impugnazione;

- a comunicare la sopravvenuta inapplicabilità della sanzione alle competenti commissioni tributarie ove siano ancora pendenti le controversie.

Ovviamente, restano ferme le sanzioni irrogate con provvedimento divenuto definitivo alla suddetta data del 1° aprile 1998.

2.7 Omessa regolarizzazione da parte del cessionario o committente

Con disposizione analoga a quella contenuta nell'art. 41, sesto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, il comma 8 dell'art. 6 prevede l'applicazione di una autonoma sanzione (ferma restando la responsabilità del cedente o prestatore) nei confronti del cessionario o committente che, nell'esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato beni o servizi senza che sia stata emessa fattura nei termini previsti dalla legge o con emissione di fattura irregolare.

La violazione di cui trattasi, peraltro, non si realizza nello stesso istante in cui si perfeziona quella del cedente o prestatore ma nel momento successivo in cui siano inutilmente scaduti i termini prescritti dalla legge perché il cessionario o committente (operatore economico) provveda a regolarizzare l'operazione.

Più precisamente il citato comma 8 stabilisce che, per evitare di essere sanzionato, il soggetto che acquista beni o servizi deve:

a) se non ha ricevuto la fattura entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell'operazione, presentare all'ufficio competente nei suoi confronti, previo pagamento dell'imposta, entro il trentesimo giorno successivo, un documento in duplice esemplare dal quale risultino tutte le indicazioni prescritte dall'art. 21 del decreto I.V.A., relativo alla fatturazione;

b) se ha ricevuto una fattura irregolare (intendendosi per tale quella recante un'imponibile oppure un'imposta inferiore), presentare allo stesso ufficio, entro il trentesimo giorno successivo a quello della sua registrazione, un documento integrativo in duplice esemplare recante le indicazioni medesime, previo versamento della maggiore imposta eventualmente dovuta.

Osservati i suddetti adempimenti, un esemplare del documento, con l'attestazione dell'eseguita regolarizzazione, viene restituito dall'ufficio al contribuente, che è tenuto ad annotarlo sul registro degli acquisti.

L'omessa regolarizzazione nei prescritti termini rende, invece, il cessionario o committente autore dell'illecito, in via del tutto indipendente rispetto alla controparte, con la conseguenza che nei suoi confronti si rende applicabile la sanzione stabilita dal citato comma 8 dell'art. 6, pari al cento per cento dell'imposta, con un minimo di lire cinquecentomila per singola violazione.

Poiché l'originaria formulazione del comma 8 prevedeva in materia una sanzione pari al quindici per cento del corrispettivo, per le violazioni commesse fino al 15 luglio 1998, tra le due misure (quindici per cento del corrispettivo o cento per cento dell'imposta) tornerà applicabile quella in concreto più favorevole al trasgressore.

L'infrazione in esame deve intendersi realizzata anche se la mancata regolarizzazione riguardi operazioni non imponibili o esenti (nel qual caso l'adempimento del cessionario consisterà semplicemente nella presentazione del documento in duplice copia all'ufficio) e nell'ipotesi di operatività della presunzione legale di cui all'art. 3 del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441.

Da notare, infine, che la nuova normativa non prevede, nei suddetti casi di omessa regolarizzazione, il recupero dell'imposta nei riguardi del cessionario, diversamente da quanto stabiliva il citato art. 41, sesto comma, del decreto I.V.A. Tuttavia, per le violazioni commesse sotto il vigore di detta norma permane a carico del cessionario l'obbligo del pagamento del tributo, non potendo trovare applicazione nei confronti di quest'ultimo il principio del favor rei. Tale principio si renderà invece applicabile limitatamente alle misure sanzionatorie.

2.8 Illegittima detrazione dell'imposta addebitata sulle operazioni passive

Il comma 6 dell'art. 6 disciplina l'ipotesi di illegittima computazione in detrazione dell'I.V.A. assolta, dovuta o addebitata sulle operazioni passive, prevedendo in tal caso l'applicazione di una sanzione pari all'ammontare della detrazione illegalmente operata.

Nella previgente normativa tale violazione non era presa in considerazione autonomamente e, pertanto, si riteneva compresa in quella di infedele dichiarazione. L'illegittima detrazione effettuata in sede di liquidazione periodica poteva, invece, essere punita solo con la sanzione di carattere residuale prevista dall'art. 47, n. 3), del D.P.R. n. 633 del 1972, non essendo configurabile l'omesso versamento di cui all'art. 44 dello stesso decreto, se non nei casi in cui l'irregolare detrazione fosse dipesa da errori materiali o di calcolo.

L'efficacia deterrente della specifica previsione contenuta nel citato comma 6 si manifesterà soprattutto in corso d'anno, contrastando essa, com'è evidente, comportamenti tesi quanto meno a ritardare il pagamento dell'imposta.

Qualora, poi, la illegittima detrazione operata durante l'anno determini l'infedele dichiarazione, potrà tornare applicabile l'istituto della progressione di cui all'art. 12, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

 

 

3. Violazioni relative alle esportazioni.

I ripetuti interventi normativi nello specifico settore delle esportazioni hanno sempre cercato di mediare tra due fondamentali esigenze: da un lato, quella di agevolare gli operatori che vendono i propri prodotti all'estero e, dall'altro, quella di evitare che le disposizioni agevolative possano tradursi in un veicolo per facilitare l'evasione d'imposta.

Le nuove disposizioni sanzionatorie in materia, contenute nell'art. 7 del D.Lgs. n. 471 del 1997 privilegiano la prima delle due anzidette esigenze, in quanto attenuano in maniera sensibile la misura delle sanzioni, le quali peraltro, come si vedrà, rimangono rapportate all'ammontare dell'imposta.

Le ipotesi di violazione contemplate dal citato art. 7 sono le seguenti:

- mancato trasporto o spedizione dei beni fuori del territorio dell'Unione europea (art. 7, comma 1, che sostituisce l'art. 46, primo comma, primo periodo, del D.P.R. n. 633 del 1972;)

- mancata regolarizzazione delle cessioni a viaggiatori domiciliati o residenti fuori della Comunità europea (art. 7, comma 2, che sostituisce l'art. 46, primo comma, secondo periodo, del D.P.R. n. 633 del 1972;)

- effettuazione di operazioni senza addebito d'imposta in mancanza della dichiarazione d'intento (art. 7, comma 3, che sostituisce l'art. 2, primo comma, del D.L. 29 dicembre 1983, n. 746, convertito nella legge 27 febbraio 1984, n. 17);

- acquisto o importazione di beni e servizi senza pagamento dell'imposta in mancanza dei presupposti previsti (art. 7, comma 4, primo periodo, che sostituisce gli articoli 46, terzo comma, primo periodo, e 70, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972;)

- mancata esportazione di beni acquistati senza addebito d'imposta nelle cosiddette operazioni triangolari (art. 7, comma 4, secondo periodo, che sostituisce l'art. 46, terzo comma, secondo periodo, del D.P.R. n. 633 del 1972;)

- dichiarazione in dogana di quantità, qualità o corrispettivi diversi da quelli reali (art. 7, comma 5, che sostituisce l'art. 46, ultimo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972).

3.1 Mancato trasporto o spedizione dei beni fuori del territorio dell'Unione europea

L'art. 8, primo comma, lett. b), del D.P.R. n. 633 del 1972 considera operazioni non imponibili le cessioni eseguite con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunità economica europea, entro novanta giorni dalla consegna, a cura del cessionario non residente o per suo conto.

Il beneficio della non imponibilità (che, peraltro, non riguarda la cessione di beni destinati a dotazione o provvista di bordo di imbarcazioni o navi da diporto, di aeromobili da turismo o di qualsiasi altro mezzo di trasporto ad uso privato o dei beni da trasportarsi nei bagagli personali) viene meno se il termine anzidetto non viene rispettato. In tal caso, il cedente è punito con la sanzione dal cinquanta al cento per cento dell'imposta, ai sensi del comma 1 dell'art. 7 in esame. Tale sanzione sostituisce la pena pecuniaria da due a quattro volte l'imposta, stabilita dall'art. 46, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972.

Lo stesso cedente, ove non sia in grado di provare l'avvenuto trasporto o spedizione, è altresì soggetto al pagamento dell'imposta.

Il cedente ha comunque la possibilità di evitare l'applicazione della sanzione se, entro i trenta giorni successivi al termine dei novanta giorni prima indicato, regolarizza la fattura ed esegue il versamento dell'imposta. Da notare che, ai fini della regolarizzazione, non è più richiesta la maggiorazione del dieci per cento di cui all'art. 46, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972.

Resta, in ogni caso, ferma la possibilità di regolarizzazione spontanea, con riduzione della sanzione a un sesto del minimo, ai sensi dell'art. 13, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 472 del 1997.

3.2 Mancata regolarizzazione delle cessioni a viaggiatori domiciliati o residenti fuori della Comunità europea

L'art. 38-quater, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 dispone che possono essere effettuate senza pagamento dell'imposta le cessioni a soggetti domiciliati o residenti fuori della Comunità europea di beni per un complessivo importo, comprensivo dell'I.V.A., superiore a lire trecentomila, destinati all'uso personale o familiare, da trasportarsi nei bagagli personali fuori del territorio doganale della Comunità medesima.

Il beneficio in questione è, peraltro, subordinato alla condizione che sia emessa fattura recante anche l'indicazione degli estremi del passaporto del cessionario e che i beni siano trasportati fuori della Comunità entro il terzo mese successivo a quello di effettuazione dell'operazione. Inoltre, l'esemplare della fattura consegnato al cessionario deve essere restituito al cedente, vistato dall'ufficio doganale di uscita dalla Comunità, entro il quarto mese successivo all'effettuazione dell'operazione.

Ove non si verifichino le condizioni suddette e, in particolare, in caso di mancata restituzione dell'esemplare della fattura debitamente vistato, il cedente deve procedere alla regolarizzazione dell'operazione a norma dell'art. 26, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, entro un mese dalla scadenza del suddetto termine (cinque mesi dall'effettuazione dell'operazione).

L'omessa regolarizzazione nel termine previsto è punita, ai sensi del comma 2 dell'art. 7, con la sanzione dal cinquanta al cento per cento dell'imposta a carico del cedente, che rimane altresì obbligato al versamento dell'imposta.

Anche per la violazione in esame è consentita la possibilità di regolarizzazione ai sensi dell'art. 13, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 472 del 1997.

3.3 Effettuazione di operazioni senza addebito d'imposta in mancanza di dichiarazione d'intento

Il comma 3 dell'art. 7 stabilisce che i cedenti, i loro commissionari e i prestatori di servizi che effettuano le operazioni, senza il pagamento dell'imposta, nei confronti di operatori nazionali, pur non avendo ricevuto la dichiarazione (cosiddetta d'intento) dai cessionari o committenti prevista dall'art. 1, primo comma, lett. c), del citato D.L. n. 746 del 1983, sono soggetti al pagamento della sanzione dal cento al duecento per cento dell'imposta che risulta non applicata, oltre a quello dell'imposta stessa.

L'entità della sanzione per le infrazioni del genere risulta, quindi, notevolmente ridimensionata rispetto alla pena pecuniaria da due a sei volte l'imposta prevista dall'art. 2, primo comma, del D.L. n. 746 del 1983.

Da notare che, ferma restando la responsabilità dei cedenti o prestatori, la violazione di cui trattasi ha dei riflessi anche nei confronti dei cessionari o committenti. Per questi ultimi, infatti, il mancato addebito dell'I.V.A. si traduce nell'acquisto di beni o servizi con emissione di fattura irregolare, punita con la sanzione pari al cento per cento dell'imposta (con un minimo di lire cinquecentomila), prevista dall'art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471 del 1997, sempreché non si provveda alla regolarizzazione nei modi e tempi previsti alla lettera b) dello stesso comma.

Vale, inoltre, sia per i cedenti che per i cessionari, quanto già detto ai precedenti punti 3.1 e 3.2 in ordine alla possibilità di ravvedimento operoso ai sensi dell'art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997.

3.4 Acquisto o importazione senza pagamento d'imposta in mancanza dei presupposti previsti

Il comma 4 dell'art. 7 prevede l'applicazione della sanzione dal cento al duecento per cento dell'imposta a carico di chi, in mancanza dei presupposti previsti dalla legge (status di operatore agevolato, ecc.), dichiara all'altro contraente o in dogana di volersi avvalere della facoltà di acquistare o importare beni e servizi senza pagamento dell'imposta, ai sensi dell'art. 2, comma 2, della legge 18 febbraio 1997, n. 28.

La stessa sanzione si applica anche a chi si avvale della suddetta facoltà oltre il limite consentito dal proprio "plafond", costituito dall'ammontare complessivo delle cessioni e delle prestazioni di cui agli articoli 8, primo comma, lettere a) e b), 8-bis e 9 del D.P.R. n. 633 del 1972, delle cessioni intracomunitarie e delle prestazioni di servizi nei confronti di soggetti passivi di altro Stato membro, non soggette ad imposta, a norma dell'art. 40, comma 9, del D.L. n. 331 del 1993, registrate per l'anno solare precedente (plafond annuale) o per i dodici mesi precedenti (plafond mensile).

La misura anzidetta sostituisce la più gravosa pena pecuniaria da due a sei volte l'imposta, prevista dall'art. 46, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, richiamato dall'art. 70, secondo comma, dello stesso decreto.

I cessionari, committenti od importatori, che hanno commesso le violazioni suddette, oltre che la sanzione sono anche tenuti, in via esclusiva, a norma del secondo periodo del comma 3, al pagamento dell'imposta che avrebbe dovuto essere addebitata nei loro confronti.

Va rilevato che, in relazione all'infrazione in esame, non è più operante la circostanza esimente prevista dall'art. 48, quinto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 (tolleranza del dieci per cento in ordine al superamento del "plafond"), espressamente abrogato dall'art. 16 del D.Lgs. n. 471 del 1997.

È, inoltre, opportuno evidenziare che nel nuovo ordinamento sanzionatorio tributario, l'istituto del ravvedimento operoso ha trovato ormai una sistemazione organica ed una disciplina unitaria per tutti i tributi.

Pertanto, la possibilità di regolarizzazione spontanea secondo le modalità previste dal combinato disposto dei commi 1, lett. b), e 2 dell'art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997 riguarda, tra l'altro, tutti i casi di utilizzo del "plafond" oltre i limiti consentiti, comprese le ipotesi in cui il superamento di detto limite sia avvenuto per effetto di un'operazione di importazione.

3.5 Mancata esportazione dei beni acquistati senza pagamento dell'imposta nelle cosiddette operazioni triangolari

Secondo quanto dispone l'art. 8, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, l'operatore che abbia un plafond costituito dall'ammontare delle cosiddette "esportazioni triangolari", ne può usufruire:

- integralmente, per gli acquisti di beni da esportare nello stato originario e nel termine di sei mesi dalla loro consegna (cosiddetto plafond vincolato);

- nei limiti della differenza corrispettivi-costi, per gli acquisti di altri beni e servizi attinenti alla sua attività agevolata.

Orbene, se vengono superati i limiti di utilizzazione del plafond a causa della mancata esportazione da parte del cessionario o del suo commissionario dei beni acquistati per essere esportati nello stato originario entro sei mesi, torna applicabile la sanzione dal cinquanta al cento per cento dell'imposta relativa alle operazioni effettuate. Tale sanzione, prevista dal comma 4, secondo periodo, dell'art. 7, sostituisce la pena pecuniaria da due a quattro volte stabilita dall'art. 46, terzo comma, secondo periodo, del D.P.R. n. 633 del 1972.

Nella stessa ipotesi, la sanzione non si applica se il cessionario, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di sei mesi, provvede a regolarizzare la fattura e a versare la relativa imposta.

La misura è, invece, ridotta a un sesto del minimo in caso di regolarizzazione eseguita spontaneamente nel termine previsto dall'art. 13, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 472 del 1997.

3.6 Dichiarazioni in dogana di quantità, qualità o corrispettivi diversi da quelli reali

Ai sensi del comma 5 dell'art. 7, i cedenti che nelle fatture o nelle dichiarazioni in dogana relative a cessioni all'esportazione, indicano quantità, qualità o corrispettivi diversi da quelli reali, sono puniti con la sanzione dal cento al duecento per cento dell'imposta che sarebbe dovuta se i beni presentati in dogana fossero stati ceduti nel territorio dello Stato, calcolata sulle differenze dei corrispettivi o dei valori normali dei beni.

Per espressa previsione della norma non sono tuttavia punibili differenze quantitative non superiori al cinque per cento.

La sanzione in parola sostituisce la pena pecuniaria da due a quattro volte prevista dall'art. 46, ultimo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972.

 

 

Capitolo terzo

Disposizioni comuni alle imposte dirette e all'imposta sul valore aggiunto

1. Violazioni relative al contenuto e alla documentazione delle dichiarazioni

L'art. 8 del D.Lgs. n. 471 del 1997 disciplina le violazioni di carattere formale relative al contenuto e alla documentazione delle dichiarazioni. La norma reca disposizioni comuni per le violazioni in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto (commi 1 e 2) ed una previsione specifica per le violazioni riguardanti i sostituti d'imposta (comma 3).

1.1 Dichiarazioni irregolari

Il comma 1 dell'art. 8 stabilisce che, fuori dai casi di omessa o infedele presentazione della dichiarazione, se la dichiarazione presentata ai fini delle imposte dirette o dell'imposta sul valore aggiunto è irregolarmente compilata, si applica la sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire quattro milioni.

In particolare, secondo la citata norma, la dichiarazione va considerata irregolare se:

- non è redatta in conformità al modello approvato dal Ministero delle finanze;

- in essa sono omessi o non sono indicati in maniera esatta e completa dati rilevanti per l'individuazione del contribuente o, se diverso da persona fisica, del suo rappresentante;

- in essa sono omessi o non sono indicati in maniera esatta e completa dati rilevanti per la determinazione del tributo;

- in essa non è indicato in maniera esatta e completa ogni altro elemento prescritto per il compimento dei controlli.

Le predette violazioni relative al contenuto della dichiarazione dei redditi erano precedentemente disciplinate dall'art. 48, primo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, che prevedeva l'applicazione di una pena pecuniaria da lire trecentomila a lire tre milioni.

In materia di imposta sul valore aggiunto, tali irregolarità erano invece diversamente disciplinate, e precisamente:

- la presentazione della dichiarazione con indicazioni inesatte era punita, indipendentemente dalle sanzioni irrogabili per omessa o infedele dichiarazione, con la pena pecuniaria da lire seicentomila a lire tre milioni (art. 43, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972;)

- la redazione della dichiarazione su stampati conformi al modello approvato con decreto ministeriale ma non in conformità allo stesso non aveva una specifica regolamentazione e, pertanto, veniva sanzionata con la pena pecuniaria da lire trecentomila a lire un milioneduecentomila, stabilita dalla norma residuale di cui all'art. 47, n. 3), del D.P.R. n. 633 del 1972;

- l'omessa o inesatta indicazione del numero di partita I.V.A. era punito con la pena pecuniaria da lire duecentomila a lire quattro milioni.

Nell'ambito del nuovo sistema sanzionatorio che tende a perseguire prioritariamente le violazioni di natura sostanziale anziché quelle meramente formali, le irregolarità relative al contenuto delle dichiarazioni sono sanzionabili quando rilevano ai fini del compimento dei controlli e al di fuori dei casi di omessa o infedele presentazione della dichiarazione.

Un esempio di violazione che, in materia di I.V.A., assume rilevanza ai fini del compimento dei previsti controlli è, come già chiarito con la circolare 27 agosto 1998, n. 209/E, la mancata indicazione in dichiarazione dell'opzione o della revoca dei regimi di determinazione dell'imposta o di regimi contabili di cui all'art. 1 del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 442. Al riguardo, va ricordato che, secondo la previgente normativa in materia, l'omissione o l'errata indicazione di cui trattasi non era direttamente punibile ma esponeva il soggetto a tutte le conseguenze negative del caso, legate alla circostanza di operare concretamente in un regime diverso da quello che la legge considerava prescelto dallo stesso interessato.

Con l'entrata in vigore del citato regolamento, invece, l'opzione e la revoca relative ai vari regimi previsti si desumono da comportamenti concludenti del contribuente e, però, l'esatta indicazione delle stesse costituisce un obbligo (necessario per il compimento dei controlli) la cui inosservanza è autonomamente punibile con la suddetta misura stabilita dal comma 1 dell'art. 8.

Non è invece sanzionabile, come già detto, la mancata o inesatta indicazione di dati che non pregiudicano il regolare svolgimento dell'attività di controllo, configurandosi in tal caso una mera irregolarità formale non meritevole di essere perseguita.

Inoltre, nei casi in cui si realizza la fattispecie dell'omessa o dell'infedele presentazione della dichiarazione, la sanzione prevista dall'art. 8, comma 1, è assorbita da quella relativa alle violazioni di natura sostanziale.

Tali indicazioni rilevano anche per le violazioni commesse fino al 31 marzo 1998, in base alle disposizioni di cui agli articoli 3, commi 2 e 3, e 25, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997; ovviamente, qualora le violazioni in questione siano effettivamente punibili dovrà applicarsi la disposizione più favorevole al trasgressore.

Le osservazioni esposte valgono anche per le violazioni al contenuto della dichiarazione del sostituto d'imposta, per le quali il comma 3 dell'art. 8 prevede una sanzione da lire un milione a lire otto milioni, mentre il previgente art. 48, secondo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, prevedeva una pena pecuniaria da lire seicentomila a lire sei milioni.

Come già illustrato con la circolare 23 luglio 1997, n. 192/E, le violazioni in rassegna possono essere regolarizzate mediante ravvedimento operoso ai sensi dell'art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997. In particolare, ai sensi del comma 4 del citato art. 13, l'applicazione della sanzione è esclusa quando la regolarizzazione spontanea degli errori e delle omissioni non incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo avviene entro tre mesi dalla commissione della violazione. Decorso tale termine, è invece possibile regolarizzare la violazione entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata presentata la dichiarazione irregolare, ai sensi dell'art. 13, comma 1, lettera b); in tal caso, il ravvedimento si perfeziona con il pagamento della sanzione ridotta ad un sesto del minimo.

Per quanto riguarda le violazioni formali relative alle dichiarazioni dei redditi, comprese quelle unificate, presentate nell'anno 1998, il comma 3-bis dell'art. 25 del D.Lgs. n. 472 del 1997, introdotto dall'art. 6, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 19 novembre 1998, n. 422, prevede la non applicazione delle sanzioni se l'autore delle violazioni provvede alla loro regolarizzazione nel termine di trenta giorni dall'invito dell'ufficio.

La richiamata disposizione transitoria consente quindi a coloro che hanno presentato nell'anno 1998 una dichiarazione dei redditi, compresa quella unificata, "irregolare" di non attivarsi direttamente per rimuovere le violazioni di natura formale ma di attendere l'invito del competente ufficio per provvedere alla loro regolarizzazione senza pagamento di sanzioni anche in misura ridotta. Ovviamente, in linea con le indicazioni contenute nel presente paragrafo, gli uffici limiteranno gli inviti alle sole ipotesi di irregolarità relative al contenuto delle dichiarazioni che rilevano ai fini del compimento dei controlli di competenza.

Si precisa infine che per le persone fisiche titolari di partita I.V.A., la predetta norma riguarda le violazioni di carattere formale relative al contenuto del Modello UNICO 98, e quindi anche quelle relative al contenuto delle parti del Modello concernenti la dichiarazione I.V.A., la dichiarazione del sostituto d'imposta e la dichiarazione dei dati relativi all'acconto IRAP.

1.2 Mancanza o incompletezza di atti e documenti

Il comma 2 dell'art. 8 prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire quattro milioni nei casi di mancanza o incompletezza degli atti e dei documenti dei quali è prescritta l'allegazione alla dichiarazione, la conservazione ovvero l'esibizione all'ufficio.

Le violazioni in rassegna sono riferite agli atti e documenti che attengono a dati ed elementi indicati o da indicare nelle dichiarazioni; le violazioni riferite ai documenti che attengono alle scritture contabili sono invece disciplinate dall'art. 9 dello stesso D.Lgs. n. 471 del 1997.

La norma disciplina unitariamente le situazioni di mancanza o di incompletezza degli atti e dei documenti relativi a dati od elementi indicati o da indicare nelle dichiarazioni, indipendentemente dal fatto che per tali atti sia prevista l'allegazione alle dichiarazioni ovvero la conservazione e l'esibizione in caso di richiesta da parte dell'ufficio.

In caso di mancanza o incompletezza degli allegati alle dichiarazioni dei redditi, l'abrogato art. 48, secondo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, prevedeva l'applicazione della pena pecuniaria da lire seicentomila a lire seimilioni. Quindi, anche relativamente alle violazioni commesse fino al 31 marzo 1998, si rende applicabile, ai sensi degli artt. 3, comma 3, e 25, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997, la sanzione da lire cinquecentomila a lire quattromilioni in quanto più favorevole.

Tra gli atti e documenti dei quali, in passato, era prescritta l'allegazione alla dichiarazione ai fini dell'imposta sul valore aggiunto merita di essere ricordato il prospetto (prima semestrale poi annuale) delle annotazioni degli acquisti effettuati e delle importazioni fatte senza pagamento dell'imposta ai sensi dell'art. 8, lettera c), del D.P.R. n. 633 del 1972 (mod. I.V.A. 99-bis). La mancata allegazione o l'inesatta o incompleta compilazione di tale modello era sanzionata dall'art. 2, secondo comma, del D.L. n. 746 del 1983 convertito in legge n. 17 del 1984, con la pena pecuniaria da lire un milione a lire cinquemilioni.

L'obbligo di allegare tale prospetto, sospeso dal D.M. 16 dicembre 1994 (in quanto sostituito dalla compilazione di apposito riquadro della dichiarazione) e ripristinato dal D.M. 19 dicembre 1996 (vedi mod. 11/E), è stato nuovamente sospeso dal D.M. 15 gennaio 1998, con il quale è stato approvato il modello di dichiarazione I.V.A. relativo al 1997, in quanto sostituito dalla compilazione del quadro VU della dichiarazione (quadro riproposto nel modello di dichiarazione relativo al 1998, approvato con D.M. 18 dicembre 1998).

Non essendo mai venuto meno l'obbligo di compilazione del prospetto in questione (ma, come si è detto, essendo solo cambiata la modalità di presentazione all'ufficio) permane la punibilità delle eventuali mancanze o inesattezze dello stesso, anche riguardanti anni passati, con l'applicazione della nuova più favorevole sanzione da lire cinquecentomila a lire quattromilioni, ai sensi dell'art. 3, comma 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

La sanzione in questione si rende altresì applicabile, nell'ambito delle società di gruppo che si avvalgono del particolare regime di cui all'art. 73, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, per la mancata presentazione o l'inesatta o incompleta compilazione da parte della società controllante del mod. I.V.A.-26LP (prospetto delle liquidazioni periodiche) e del mod. I.V.A.-26PR (prospetto riepilogativo dell'I.V.A. di gruppo), anche se detti modelli non devono essere uniti alla dichiarazione della società controllante ma presentati autonomamente all'ufficio, tramite il concessionario della riscossione.

 

 

2. Violazioni degli obblighi relativi alla contabilità.

L'art. 9 del D.Lgs. n. 471 del 1997 disciplina in maniera uniforme le violazioni degli obblighi concernenti la contabilità in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto, prevedendo l'applicazione di un'unica sanzione per entrambi i settori impositivi e per le diverse infrazioni configurabili, discostandosi così dalla previgente normativa recata dai soppressi articoli 45 del D.P.R. n. 633 del 1972 e 51 del D.P.R. n. 600 del 1973 che stabilivano, invece, pene pecuniarie di diversa entità in relazione ai due tributi anzidetti e alle varie ipotesi di inadempienze.

2.1 Omessa tenuta o conservazione delle scritture contabili

Il comma 1 dell'articolo 9 in esame punisce con la sanzione da lire duemilioni a lire quindici milioni chi non tiene o non conserva secondo le prescrizioni le scritture contabili, i documenti e i registri previsti dalle leggi in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto ovvero i libri, i documenti e registri la cui tenuta e conservazione è prevista obbligatoriamente da altre disposizioni di carattere tributario.

L'ipotesi della omessa tenuta delle scritture contabili, oltre al caso in cui le stesse non siano state materialmente istituite, ricorre anche quando ne sia stata omessa la bollatura ai sensi dell'art. 2215 del codice civile ovvero in presenza di irregolarità gravi, numerose e ripetute da far risultare inattendibili nel loro complesso le scritture medesime. Al riguardo, si ritiene opportuno far presente che, secondo la recente sentenza 13 luglio 1998, n. 13, delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione, l'imprenditore o l'esercente arti e professioni deve obbligatoriamente procedere alla bollatura delle scritture contabili "antecedentemente alla prima operazione da registrare".

Va altresì ricordato che la conservazione delle scritture (regolarmente costituite) è obbligatoria fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d'imposta, anche oltre il termine previsto dall'art. 2220 del codice civile o da altre leggi tributarie, salvo che l'impresa sia stata liquidata e, a norma dell'art. 2457 del codice civile, i libri siano stati conservati per dieci anni.

Il comma 3, secondo periodo, dell'articolo in commento prevede un'ipotesi aggravata della violazione in questione, che si realizza quando, oltre all'omessa tenuta o conservazione delle scritture contabili, venga anche accertata in un determinato esercizio un'evasione dei tributi diretti e dell'I.V.A. di importo complessivo superiore a lire centomilioni. In tale evenienza, la sanzione si applica in misura doppia e va, pertanto, da un minimo di lire quattro milioni ad un massimo di lire trentamilioni. Il superamento della soglia di cento milioni può conseguire sia da accertamenti riguardanti entrambi i settori impositivi sia da evasione relativa ad un singolo tributo.

Va osservato, peraltro, che la suddetta sanzione (raddoppiata) non può trovare autonoma irrogazione allorché nello stesso contesto sia constatata anche l'infrazione di omessa o infedele dichiarazione, atteso che in tal caso deve essere applicata la sanzione prevista per la violazione più grave (appunto quella per l'omessa o infedele dichiarazione) aumentata da un quarto al doppio, ai sensi dell'art. 12, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

Relativamente alle violazioni commesse antecedentemente al 1° aprile 1998, si evidenzia che:

- in materia di imposte dirette, la sanzione prevista dal comma 1 dell'art. 9 non torna applicabile dal momento che l'art. 51, secondo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973 assoggettava l'infrazione alla più lieve pena pecuniaria da lire un milioneduecentomila a lire dodicimilioni. Peraltro, in presenza di accertamenti d'imposta (ancora pendenti) di importo superiore a lire cinque milioni (ma non a cento) va applicata la nuova sanzione da lire duemilioni a lire quindici milioni, in applicazione del principio del favor rei, tenuto conto che per tale fattispecie la previgente normativa prevedeva una pena pecuniaria più gravosa che andava da lire duemilioniquattrocentomila a lire ventiquattromilioni;

- in materia di imposta sul valore aggiunto, l'art. 45, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 assoggettava la violazione di cui trattasi (peraltro con specifico riferimento ai registri I.V.A., alle fatture emesse, alle ricevute e alle bollette doganali) alla pena pecuniaria da lire unmilioneduecentomila a lire trenta milioni, ossia ad una misura più bassa nel minimo e più alta nel massimo rispetto a quella attuale. Per l'omessa tenuta del registro di prima nota da parte dei commercianti al minuto, la pena non poteva essere inferiore a lire quattro milioni. Di tutto ciò gli uffici dovranno ovviamente tener conto, per i rapporti ancora pendenti, ai fini dell'eventuale applicazione del principio del favor rei.

2.2 Irregolare tenuta della contabilità

Gli articoli 39 del D.P.R. n. 633 del 1972 e 22 del D.P.R. n. 600 del 1973 recano le disposizioni che i contribuenti devono rispettare agli effetti di una regolare tenuta della contabilità. L'inosservanza di tali norme viene talora considerata alla stessa stregua dell'omessa tenuta della contabilità. Ciò si verifica, come già detto, nelle ipotesi di irregolarità gravi, numerose e ripetute da far ritenere inattendibili nel loro complesso le scritture contabili.

Ove, invece, le irregolarità rilevate nei libri e nei registri o i documenti mancati siano di scarsa rilevanza e sempreché non ne sia derivato ostacolo all'accertamento delle imposte dovute, le infrazioni commesse vengono autonomamente punite, ai sensi del comma 3, primo periodo, dell'art. 9 con la sanzione di cui al comma 1, riducibile fino alla metà del minimo, ossia fino a lire un milione.

Relativamente alle violazioni commesse antecedentemente al 1° aprile 1998, si osserva che:

- in materia di imposte sui redditi, l'art. 51, terzo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, puniva la tenuta delle scritture in difformità delle regole previste con la pena pecuniaria da lire seicentomila a lire sei milioni. In caso di scarsa rilevanza delle irregolarità la pena era ridotta ad un quinto del minimo, ossia a lire centoventimila. È evidente, pertanto, che le nuove sanzioni non possono trovare applicazione, in quanto più gravose;

- in materia di imposta sul valore aggiunto, l'art. 45, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 assoggettava alla pena pecuniaria da lire unmilioneduecentomila a lire trenta milioni la tenuta dei registri in difformità delle prescrizioni stabilite, prevedendo tuttavia la riduzione fino ad un quinto del minimo, ossia fino a duecentoquarantamila, per le irregolarità (o la mancanza di documenti) di scarsa rilevanza. In tale seconda ipotesi non può, pertanto, trovare applicazione la nuova più elevata sanzione di cui al comma 3 dell'art. 9.

2.3 Rifiuto di esibizione o sottrazione alla verifica di documenti

Il comma 2 dell'art. 9 stabilisce che la sanzione da lire duemilioni a lire quindicimilioni si applica anche a chi nel corso degli accessi eseguiti ai fini dell'accertamento in materia di imposte dirette e I.V.A., rifiuta di esibire o dichiara di non possedere o comunque sottrae all'ispezione e alla verifica i documenti, i registri e le scritture obbligatorie, ovvero altri registri, documenti e scritture, ancorché non obbligatori, dei quali risulti con certezza l'esistenza.

Al riguardo, va sottolineata anzitutto la maggiore estensione della fattispecie in esame, che riguarda indistintamente tutti i libri, registri e documenti posseduti, compresi quelli non obbligatori, rispetto a quella del comma 1 che, come già detto, prevede la sanzionabilità solo per la mancata tenuta e conservazione della documentazione obbligatoria.

È opportuno altresì evidenziare che l'art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972, nel disciplinare i poteri di accesso e di verifica degli uffici I.V.A., dispone al quinto comma che "i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l'esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa" precisando che "per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi all'ispezione".

La disposizione anzidetta è applicabile ai sensi dell'art. 33 del D.P.R. n. 600 del 1973 anche nel settore delle imposte dirette.

Tanto il comma 2 dell'art. 9 quanto la disposizione di cui all'art. 52, quinto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 contemplano, dunque, tre distinte ipotesi:

- il rifiuto di esibizione dei documenti;

- la sottrazione, ovvero l'occultamento degli stessi;

- la dichiarazione di non possederli.

Ora, non può dubitarsi che nella nozione di rifiuto, come in quella della sottrazione (o occultamento), è insita l'intenzionalità del soggetto di ostacolare il compito dei verificatori, per cui operano comunque sia la disposizione strettamente sanzionatoria che quella stabilita dall'art. 52, quinto comma.

Per quanto riguarda, invece, la dichiarazione di non possedere i documenti (a parte l'ipotesi di dichiarazione coscientemente non veritiera, parificabile sostanzialmente alle prime due figure di illecito) perché torni applicabile la sanzione prevista dal comma 2 dell'art. 9 e si verifichi di conseguenza la causa ostativa in sede amministrativa o contenziosa, è quantomeno necessario che la dichiarazione negativa sia dovuta a colpa imputabile a imperizia, imprudenza, negligenza o inosservanza delle disposizioni circa gli obblighi di conservazione della documentazione, come, ad esempio, momentanea irreperibilità o smarrimento della documentazione richiesta.

In altre parole, mentre per un verso non è indispensabile che sussista un comportamento doloso (bastando la semplice colpa), per altro verso non è sufficiente la sola volontarietà della condotta, neppure sorretta dalla colpa, come avviene, per esempio, quando ricorre il caso fortuito o la forza maggiore (Cass. 24 giugno 1995, n. 7161).

Anche per le infrazioni in argomento opera l'aggravante di cui al comma 3, secondo periodo, dell'art. 9 (sanzione irrogata in misura doppia) in presenza di evasioni d'imposta di importo superiore a lire centomilioni.

Relativamente alle violazioni commesse antecedentemente al 1° aprile 1998, si evidenzia che:

- in materia di imposte dirette, la sanzione prevista dal comma 1 dell'art. 9 (richiamata dal comma 2) non torna applicabile, atteso che l'art. 51, primo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973 assoggettava l'infrazione alla più lieve pena pecuniaria da lire unmilioneduecentomila a lire dodicimilioni. Tuttavia, in caso di accertamenti di imposta di importo superiore a lire cinquemilioni (ma non a cento) va applicata la nuova sanzione da lire duemilioni a lire quindicimilioni in quanto meno gravosa di quella (raddoppiata) prevista dal citato art. 51;

- in materia di imposta sul valore aggiunto, la nuova sanzione non è mai applicabile perché più elevata rispetto alla pena pecuniaria da lire unmilioneduecentomila a lire seimilioni prevista dall'art. 45, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972.

2.4 Obblighi documentali e contabili particolari in materia di I.V.A.

Per quanto concerne in particolare il settore dell'imposta sul valore aggiunto, sembra opportuno far presente che tra le violazioni cui torna applicabile la sanzione da lire duemilioni a lire quindicimilioni (eventualmente riducibile fino a un milione) prevista dal comma 1 dell'art. 9, sono da ricomprendere:

- l'emissione di fatture che non contengono le indicazioni prescritte dalla legge o che contengono indicazioni incomplete o inesatte tali da non consentire l'identificazione delle parti. Detta infrazione era sanzionata dall'art. 41, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 con la pena pecuniaria da lire seicentomila a lire tremilioni, ossia con una misura in linea di massima più tenue. Era inoltre esclusa espressamente la punibilità del cedente o prestatore nei casi di irregolarità della fattura imputabili esclusivamente al cessionario del bene o al committente del servizio. Tale esimente, ancorché non ribadita in maniera specifica, deve ritenersi ugualmente operante, alla luce dei principi di carattere generale introdotti dal D.Lgs. n. 472 del 1997;

- l'eseguita annotazione nel registro degli acquisti, con indicazioni incomplete o inesatte, tali da non consentire l'identificazione dei cedenti dei beni o dei prestatori di servizi, già punita con la pena pecuniaria da lire seicentomila a lire tremilioni prevista dall'art. 42, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972;

- la mancata tenuta o conservazione delle bolle d'accompagnamento per il periodo stabilito dall'art. 39 del D.P.R. n. 633 del 1972 da parte del mittente o del destinatario o, per almeno due anni da parte del vettore (limitatamente ai casi in cui permane l'obbligo di emissione del documento);

- il rifiuto di esibire o la sottrazione all'ispezione, in sede di verifica, delle citate bolle;

- la mancata o irregolare tenuta e/o conservazione dei registri previsti dall'art. 10 del D.M. 29 novembre 1978 da parte delle tipografie e dei rivenditori autorizzati alla stampa e alla fornitura di stampati (bolle d'accompagnamento e ricevute fiscali);

- il rifiuto di esibire o la sottrazione all'ispezione, in sede di verifica, dei registri di cui al precedente punto;

- la mancata o irregolare tenuta e/o conservazione dei registri di carico e scarico degli stampati o il rifiuto di esibirli o la sottrazione degli stessi in sede di verifica;

- l'omessa annotazione degli stampati nel registro di carico e scarico o nell'apposita sezione dei registri di cui agli artt. 23, 24 e 25 del D.P.R. n. 633 del 1972, secondo le prescrizioni del quinto comma dell'art. 10 del citato D.M. 29 novembre 1978.

Per quanto riguarda la violazione di omessa annotazione degli stampati, si fa presente che in passato essa veniva sanzionata con la pena pecuniaria da lire trecentomila a lire unmilioneduecentomila di cui all'art. 47, n. 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, per le bolle d'accompagnamento e con la pena pecuniaria da lire quarantamila a lire quattrocentomila prevista dall'art. 8, sesto comma, della legge 10 maggio 1976, n. 249, per le ricevute fiscali.

Ma ciò che, del previgente regime, è più importante evidenziare è che, secondo la circolare dell'ispettorato compartimentale per il Lazio 12 settembre 1986, n. 130/12057, le sanzioni suddette dovevano essere comminate in relazione ad ogni singolo documento non annotato e non con riguardo a ciascuna fornitura (che, di solito, contiene migliaia di stampati). Ne scaturiva che, spesso, l'omessa annotazione anche di una sola partita dava luogo alla irrogazione di penalità per importi esorbitanti nonostante la possibile applicazione delle attenuanti previste dall'art. 8 della legge n. 4 del 1929 e del D.M. 1 settembre 1931.

Siffatti inconvenienti non possono ormai più verificarsi, sia perché le violazioni della specie sono ora inquadrate nella nozione, essenzialmente unitaria, di irregolare tenuta della contabilità, sia perché le singole infrazioni vanno, comunque, cumulate giuridicamente ai sensi dell'art. 12, comma 1, del D.Lgs. n. 472 del 1997. Di ciò si dovrà, ovviamente, tener conto anche per le violazioni commesse anteriormente al 1° aprile 1998 e non ancora definite a tale data, ai fini dell'applicazione del principio del favor rei.

2.5 Inosservanza di obblighi per superamento del volume d'affari

Com'è noto, l'attuale normativa dell'I.V.A. consente a determinati soggetti di poter adempiere in maniera semplificata i principali obblighi esistenti in materia o, talvolta, di essere esonerati dagli stessi, subordinando tali possibilità alla circostanza che il volume d'affari realizzato non superi certi limiti prefissati dalla stessa legge.

Così, ad esempio, i contribuenti che nell'anno solare precedente hanno realizzato un volume d'affari non superiore a lire trecentosessantamilioni (se trattasi di imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi o di soggetti esercenti arti e professioni) ovvero di lire un miliardo (se trattasi di imprese aventi per oggetto altre attività) possono, ai sensi dell'art. 32 del D.P.R. n. 633 del 1972, osservare gli obblighi di fatturazione e di registrazione mediante la tenuta di un bollettario a madre e figlia. Gli stessi contribuenti (dalla legge definiti "minori") possono, inoltre, ai sensi del successivo art. 33, effettuare i versamenti periodici con cadenza trimestrale anziché mensile, previa comunicazione all'ufficio e provvedendo a maggiorare dell'1,50 per cento gli importi da versare.

Così, ancora, i produttori agricoli che nell'anno solare precedente hanno realizzato un volume d'affari non superiore a cinquemilioni di lire (costituito per almeno due terzi da cessioni di determinati prodotti agricoli o ittici) sono esonerati, ai sensi dell'art. 34, comma 6, dal versamento dell'imposta e da tutti gli obblighi documentali e contabili, compresa la dichiarazione annuale.

Analoghe disposizioni agevolative sono previste in materia di I.V.A. e di imposte sui redditi dall'art. 3, commi da 166 a 180, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

Il superamento dei suddetti limiti relativi al volume d'affari o ad altri parametri indicati dalla legge (acquisti, beni strumentali, compensi, ecc.), dovuto ad accertamento eseguito dall'ufficio, dovrebbe determinare, a stretto rigore, il venir meno dei benefici goduti, con la conseguente realizzazione delle violazioni agli obblighi di fatturazione, registrazione, ecc.

Per evitare che dette conseguenze possano verificarsi anche quando i limiti vengano oltrepassati di non molto, il comma 4 dell'art. 9 del D.Lgs. n. 471 del 1997 prevede al riguardo una tolleranza del cinquanta per cento, disponendo che in caso di superamento non eccedente tale misura, in luogo delle più gravose sanzioni previste per lo specifico obbligo violato, si rende applicabile la sanzione da lire cinquecentomila a lire cinquemilioni.

Analoghe disposizioni erano contenute nell'art. 48, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 e nei commi 169 e 180 dell'art. 3 della citata legge n. 662 del 1996, ai quali, per brevità, si fa rinvio.

2.6 Violazioni degli organi di controllo delle società

Il comma 5 dell'art. 9, come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 5 giugno 1998, n. 203, disciplina le specifiche violazioni dei componenti gli organi di controllo delle società e degli enti soggetti all'imposta sui redditi delle persone giuridiche. In particolare, il predetto comma 5 disciplina le ipotesi di omessa sottoscrizione della dichiarazione e di omessa denuncia della mancanza delle scritture contabili.

2.6.1 Omessa sottoscrizione della dichiarazione

Analogamente a quanto stabilito dall'art. 8, quinto comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, l'art. 1, comma 5, del D.P.R. n. 322 del 1998 dispone che la dichiarazione delle società e degli enti soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche, presso i quali esiste un organo di controllo, è sottoscritta anche dalle persone fisiche che lo costituiscono o dal presidente se si tratta di organo collegiale.

Tale sottoscrizione, a differenza di quella del rappresentante legale o negoziale, non è richiesta a pena di nullità, per cui la dichiarazione è comunque valida.

In caso di omessa sottoscrizione senza giustificato motivo, il comma 5 dell'art. 9 prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire quattro milioni. La punibilità è quindi esclusa quando risulta che la mancata sottoscrizione è frutto di una precisa e giustificata volontà del soggetto obbligato (come, ad esempio, nei casi in cui i dati della dichiarazione non corrispondono alle risultanze delle scritture contabili ovvero sia stata denunciata la mancanza di scritture contabili).

Per le violazioni commesse fino al 31 marzo 1998, è ancora applicabile, in quanto più favorevole, la sanzione prevista dall'art. 53 del D.P.R. n. 600 del 1973 (da lire a trecentomila a lire tre milioni), ferma restando la non punibilità nei casi di omessa sottoscrizione della dichiarazione per giustificato motivo.

La sanzione deve essere irrogata, anche con riferimento alle violazioni commesse fino al 31 marzo 1998, seguendo il procedimento disciplinato dall'art. 16 del D.Lgs. n. 472 del 1997, mediante la notifica dell'atto di contestazione all'autore della violazione che nelle proprie deduzioni difensive può ovviamente rappresentare i motivi giustificativi della mancata sottoscrizione della dichiarazione.

La violazione in rassegna può essere regolarizzata, ai sensi dell'art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997, mediante l'inoltro al competente ufficio delle entrate o ufficio distrettuale delle imposte dirette di una comunicazione in carta libera con la quale l'autore della violazione attesta di sottoscrivere la dichiarazione presentata dalla società o ente di cui egli rappresenta l'organo di controllo.

Se la comunicazione è inoltrata entro tre mesi dalla data di commissione della violazione, la regolarizzazione non comporta il pagamento di alcuna sanzione (comma 4 dell'art. 13); se, invece, decorso tale termine, la comunicazione è inoltrata entro un anno dalla data di commissione della violazione, la regolarizzazione si perfeziona a condizione che entro lo stesso termine venga effettuato il pagamento della sanzione ridotta ad un sesto del minimo, pari cioè a lire ottantatremila (comma 1, lettera b, dell'art. 13).

2.6.2 Omessa denuncia della mancanza delle scritture contabili

Il comma 5, primo periodo, dell'art. 9 prevede l'applicazione di una sanzione da lire quattromilioni a lire ventimilioni nei confronti dei componenti degli organi di controllo delle società e degli enti soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche che sottoscrivono la dichiarazione dei redditi o la dichiarazione annuale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto senza denunciare la mancanza delle scritture contabili obbligatorie.

Una misura punitiva per tale tipo di violazione era prevista anche dall'art. 51, ultimo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973. Rispetto a quest'ultima, la nuova norma ha apportato i seguenti cambiamenti:

- è stata notevolmente elevata l'entità della sanzione, prevista in precedenza da lire duecentomila a lire duemilioni e ora da lire quattromilioni a lire ventimilioni;

- sono stati esclusi, quali destinatari della sanzione, gli amministratori, in quanto perseguibili per le violazioni degli obblighi di tenuta delle scritture contabili, ai sensi del comma 1 dell'art. 9;

- è stata espressamente qualificata come sanzione amministrativa la misura irrogabile, laddove il testo originario dell'art. 51, ultimo comma, prevedeva l'applicazione di una multa, poi depenalizzata ai sensi dell'art. 39, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689.

Poiché la nuova sanzione è di importo più elevato rispetto a quella previgente, la stessa non può trovare applicazione per le violazioni commesse antecedentemente al 1° aprile 1998.

La sanzione è irrogabile, con il procedimento disciplinato dall'art. 16 del D.Lgs. n. 472 del 1997, nei confronti dei componenti degli organi che hanno sottoscritto la dichiarazione senza denunciare la mancanza delle scritture contabili. Non è invece punibile per la violazione di norme tributarie il componente dell'organo di controllo che non ha denunciato la mancanza delle scritture contabili e non ha sottoscritto la dichiarazione della società o ente.

È necessario, pertanto, che nei casi di mancata sottoscrizione della dichiarazione da parte del rappresentante dell'organo di controllo, i competenti uffici assumano tempestivamente le opportune iniziative al fine di appurare il motivo della mancata sottoscrizione sia per l'eventuale irrogazione della prevista sanzione sia per intraprendere i controlli del caso nei confronti della società o ente.

Anche la violazione in rassegna può essere regolarizzata ai sensi dell'art. 13, commi 4 e 1, lettera b), del D.Lgs. n. 472 del 1997, con la presentazione della denuncia della mancanza delle scritture contabili e con il pagamento, se la regolarizzazione avviene decorsi tre mesi ed entro un anno dalla data di commissione della violazione, della sanzione ridotta ad un sesto del minimo (pari cioè a lire ottantatremila).

 

 

3. Violazioni degli obblighi degli operatori finanziari.

L'art. 10 del D.Lgs. n. 471 del 1997 disciplina le violazioni da parte degli operatori finanziari (banche, poste italiane S.p.A., società ed enti di assicurazione che effettuano istituzionalmente riscossioni e pagamenti per conto di terzi ovvero attività di gestione ed intermediazione finanziaria anche in forma fiduciaria) degli obblighi scaturenti da richieste operate nell'esercizio dei poteri inerenti all'accertamento delle imposte dirette o dell'imposta sul valore aggiunto.

I poteri istruttori, dall'esercizio dei quali scaturiscono gli obblighi le cui violazioni sono disciplinate dall'art. 10 in commento, sono quelli previsti dagli articoli 32, primo comma, nn. 5 e 7, del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51, secondo comma, nn. 5 e 7, del D.P.R. n. 633 del 1972, che gli uffici possono esercitare nell'ambito dell'attività di controllo nei confronti di contribuenti che abbiano intrattenuto rapporti, individuati nei citati articoli, con operatori finanziari.

Le violazioni degli obblighi scaturenti da richieste rivolte agli operatori finanziari nell'ambito dell'attività di controllo svolta nei loro diretti confronti sono invece disciplinate dall'art. 11, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997.

Ai sensi dei commi 1 e 2 dell'art. 10 sono punibili le condotte di:

- omessa trasmissione dei dati, delle notizie e dei documenti richiesti; oltre alla mancata trasmissione è considerata omessa la trasmissione non eseguita nel termine fissato dall'ufficio richiedente;

- trasmissione di dati, notizie o documenti non rispondenti al vero ovvero incompleti.

Per tali infrazioni, l'art. 10 prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa da lire quattro milioni a lire quaranta milioni, ridotta alla metà se il ritardo non eccede i quindici giorni.

La sanzione deve essere irrogata seguendo il procedimento disciplinato dall'art. 16 del D.Lgs. n. 472 del 1977, mediante la notifica dell'atto di contestazione all'autore della violazione.

Il comma 2 dell'art. 10 presume che, fino a prova contraria, autori della violazione siano coloro che hanno sottoscritto le risposte e, in mancanza di risposta, i legali rappresentanti della banca, società o ente.

La previsione intende facilitare l'attività degli uffici che sono legittimati, fatti salvi ovviamente i casi in cui sussistono cause di esclusione della punibilità, a notificare l'atto di contestazione della violazione:

- al soggetto che ha sottoscritto la risposta recante dati, notizie o documenti non rispondenti al vero ovvero incompleti;

- al legale rappresentante della banca, società o ente, in caso di mancata risposta.

È fatta salva la prova contraria, per cui il soggetto al quale viene addebitata la violazione può, ad esempio, dar prova che la competenza inerente al compimento dell'attività illegittima non gli apparteneva.

Le violazioni in rassegna possono essere regolarizzate ai sensi dell'art. 13, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 472 del 1997, con la rimozione spontanea dell'infrazione e con il pagamento di una sanzione pari ad un sesto del minimo (lire seicentosessantasettemila ridotte a lire trecentotrentatremila se il ritardo non eccede i quindici giorni).

Il ravvedimento si perfeziona a condizione che la rimozione dell'infrazione e il pagamento della sanzione ridotta vengano effettuati entro un anno dalla data di commissione della violazione e comunque prima della constatazione della violazione o dell'inizio di attività amministrative di accertamento finalizzate ad acquisire i dati, le notizie e i documenti non trasmessi o irregolarmente trasmessi.

Si fa presente che le violazioni in argomento, pur se conseguenti ad omissioni o errori che non incidono sulla determinazione o sul pagamento del tributo, ostacolano un'attività di accertamento in corso e quindi non sono regolarizzabili senza pagamento di una sanzione, per effetto della nuova formulazione del comma 4 dell'art. 13 introdotta dall'art. 6, comma 1, lettera a), punto 2), del D.Lgs. 19 novembre 1998, n. 422.

Relativamente alle violazioni degli obblighi degli operatori finanziari commesse fino al 31 marzo 1998, continueranno ad essere applicate le sanzioni previste dalla previgente disciplina di cui agli articoli 52 e 53, primo comma, numero 2), del D.P.R. n. 600 del 1973, secondo le indicazioni fornite con la circolare 10 maggio 1996, n. 116/E. Le previgenti misure sanzionatorie, differenziate in relazione alle possibili diverse richieste istruttorie ed ai soggetti inadempienti, sono tutte infatti meno gravose rispetto a quelle stabilite dall'art. 10 del D.Lgs. n. 471 del 1997.

In ogni caso, come previsto dal comma 4 dell'art. 10, all'irrogazione delle sanzioni provvede l'ufficio delle entrate (ovvero l'ufficio distrettuale delle imposte o l'ufficio I.V.A. ancora attivi) nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del contribuente al quale si riferisce la richiesta.

Anche per le violazioni commesse fino al 31 marzo 1998, la sanzione pecuniaria deve essere irrogata seguendo il procedimento disciplinato dall'art. 16 del D.Lgs. n. 472 del 1997 e può essere definita ai sensi del comma 3 dello stesso articolo.

Non è invece più irrogabile, in quanto non prevista nella nuova disciplina, la sanzione accessoria contemplata dall'abrogato art. 52, secondo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973; conseguentemente, i procedimenti pendenti alla data del 1° aprile 1998 devono essere abbandonati ai sensi degli articoli 3, comma 2, e 25, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

 

 

4. Altre violazioni in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto.

Con l'art. 11 del D.Lgs. n. 471 del 1997 vengono poste una serie di norme sanzionatorie di chiusura, tendenti sostanzialmente a coprire le residue fattispecie di infrazioni in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto.

Il contenuto dell'art. 11 è, pertanto, estremamente vario e comprende violazioni che scaturiscono da:

- comportamenti che mirano a frapporre ostacoli all'attività di controllo e di verifica da parte dell'Amministrazione finanziaria (comma 1);

- indebita effettuazione di compensazioni di partite in sede di redazione del bilancio (comma 2);

- indebita fruizione di agevolazioni (comma 3);

- omissioni o irregolarità concernenti gli elenchi Intrastat (comma 4);

- mancata esibizione dello scontrino o della ricevuta fiscale da parte dei destinatari (comma 6);

- inosservanze dei pubblici uffici in materia di acquisti intracomunitari (comma 7).

4.1. Violazioni di obblighi derivanti dall'attività istruttoria degli uffici

Il comma 1 dell'art. 11 riproduce essenzialmente quelle violazioni, già sanzionate dagli articoli 53 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 47 del D.P.R. n. 633 del 1972, relative a specifici obblighi che sorgono a carico dei contribuenti o dei terzi, allorché gli stessi vengano in qualche modo coinvolti in sede istruttoria dagli uffici o dalla Guardia di finanza, nell'esercizio dei poteri di verifica o di accertamento a questi ultimi attribuiti dalla legge in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto.

Dispone la nuova norma che sono punite con la sanzione da lire cinquecentomila a lire quattromilioni le seguenti ipotesi di violazione:

a) omissione di ogni comunicazione (legittimamente) richiesta al contribuente o ai terzi o invio di tali comunicazioni con dati incompleti o non veritieri;

b) mancata restituzione dei questionari inviati al contribuente o a terzi o loro restituzione con risposte incomplete o non veritiere;

c) inottemperanza all'invito a comparire o a qualsiasi altra richiesta avanzata dagli uffici o dalla Guardia di finanza, nell'esercizio dei poteri loro conferiti dalla legge.

Si precisa che non è invece sanzionabile l'inottemperanza all'invito a comparire, di cui all'articolo 5 del D.Lgs. n. 218 del 1997, inviato al contribuente per l'avvio del procedimento di accertamento con adesione.

In relazione alle suddette fattispecie, sembra opportuno ricordare che, ai sensi degli articoli 32, secondo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, gli inviti e le richieste di cui trattasi devono essere notificati anche a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, fissando per l'adempimento un termine non inferiore a quindici giorni. L'inutile decorso del termine accordato realizza ovviamente l'inadempimento sanzionabile.

Si evidenzia che per le violazioni in questione non può trovare applicazione la disposizione sul ravvedimento di cui all'art. 13, comma 4, del D.Lgs. n. 472 del 1997. La stessa, com'è noto, consente agli interessati di procedere entro tre mesi alla regolarizzazione di infrazioni di carattere formale, senza effettuare alcun pagamento a titolo di sanzione. Tale possibilità di regolarizzazione, tuttavia, in base al nuovo testo del citato comma 4, introdotto dall'art. 6, comma 1, lett. a), n. 2, del D.Lgs. 19 novembre 1998, n. 422, riguarda solo quei casi di omissione o di errore "che non ostacolano un'attività di accertamento in corso", laddove, è chiaro che l'invio di questionari, di richieste di comunicazioni o l'invito a comparire preludono proprio lo svolgimento di un'attività accertatrice (in senso lato).

Resta ferma, ovviamente, la possibilità di ravvedimento ai sensi del comma 1, lett. b), dell'art. 13, entro un anno dalla data di commissione della violazione (con riduzione della sanzione a lire 83.000), anche se, scaduto il termine fissato, per motivi di coerenza, gli uffici dovranno procedere tempestivamente a contestare la violazione con il procedimento disciplinato dall'art. 16 del D.Lgs. n. 472 del 1972 e a proseguire l'attività istruttoria.

Ancora va notato che, secondo la previgente normativa, le violazioni relative alle comunicazioni richieste agli "operatori finanziari" venivano sanzionate alla stessa stregua di quelle richieste ai contribuenti o ad altri soggetti, mentre, come si è visto, adesso ricadono nella specifica previsione di cui all'art. 10 del D.Lgs. n. 472 del 1997.

Relativamente alle violazioni commesse antecedentemente al 1° aprile 1998, continueranno ad applicarsi, in quanto più favorevoli, le previgenti misure sanzionatorie (da lire trecentomila a lire tremilioni per le infrazioni in materia di imposte dirette; da lire trecentomila a lire unmilioneduecentomila per quelle in materia di imposta sul valore aggiunto).

4.2 Violazioni di obblighi di comunicazione prescritti dalla legge tributaria

Il comma 1, lett. a), dell'art. 11, come modificato dal D.Lgs. 5 giugno 1998, n. 203, prevede che la medesima sanzione da lire cinquecentomila a lire quattromilioni si applica anche nell'ipotesi in cui la violazione di omissione, incompletezza o non veridicità riguardi obblighi di comunicazione specificamente prescritti dalla legge tributaria e, quindi, non scaturenti da autonome richieste da parte degli uffici finanziari o dalla Guardia di finanza nell'esercizio dei poteri istruttori loro attribuiti.

A titolo esemplificativo si richiama l'obbligo di trasmissione di atti e notizie agli uffici cui sono tenuti, ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 600 del 1973, le società, comprese quelle in nome collettivo e in accomandita semplice, e gli enti soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche, nonché i pubblici ufficiali nei casi in cui è richiesto l'atto pubblico.

L'inadempimento di tale obbligo era sanzionato dall'art. 53, ultimo comma, di tale decreto con la più lieve pena pecuniaria da lire centomila a lire unmilione e, pertanto, la nuova norma non può trovare applicazione retroattiva.

Sono altresì sanzionabili, ai sensi della disposizione in commento, le violazioni concernenti la mancata o tardiva consegna delle certificazioni previste dall'art. 7-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, ovvero il rilascio delle certificazioni con dati incompleti o non veritieri da parte dei soggetti indicati nel titolo terzo del D.P.R. n. 600 del 1973, obbligati all'effettuazione delle ritenute alla fonte sulle somme o valori da essi corrisposti.

In materia di I.V.A. rientra, per esempio, nella previsione normativa in esame l'omessa presentazione, entro il termine previsto, del mod. I.V.A.-26-bis con il quale gli enti o società controllanti sono tenuti a comunicare agli uffici le variazioni dei dati richiesti nelle dichiarazioni di cui all'art. 3, comma 4, del D.M. 13 dicembre 1979, intervenute nel corso dell'anno.

Naturalmente, non rientrano nell'ambito applicativo della disposizione in commento quelle violazioni di obblighi di comunicazione per le quali la legge che li prevede disponga, contestualmente, una specifica sanzione.

4.3 Compensazione di partite

Il comma 2 dell'art. 11 prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire quattro milioni quando sono state effettuate compensazioni di partite in violazione alle previsioni del codice civile ovvero in caso di mancata evidenziazione nell'apposito prospetto di cui agli articoli 3 e 5 del D.P.R. n. 600 del 1973, nel quale devono essere indicati, qualora non risultanti dal bilancio, i ricavi, i costi, le rimanenze e gli altri elementi necessari per la determinazione del reddito d'impresa.

La predetta sanzione è applicabile solo nel caso in cui il compenso di partite non determini un'infrazione più gravemente punita.

Rispetto alla previgente previsione di cui all'art. 2, comma 6-bis, del D.L. 27 aprile 1990, n. 90, convertito con modificazioni dalla Legge 6 giugno 1990, n. 165 , sono state ridotte le misure minime e massime della sanzione (da lire cinquecentomila a lire quattromilioni anziché da lire novecentomila a lire novemilioni).

La nuova previsione, in quanto più favorevole, si renderà pertanto applicabile anche alle violazioni commesse fino al 31 marzo 1998, in base alle disposizioni contenute negli articoli 3, comma 3, e 25, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

4.4 Violazioni in materia di agevolazioni

Il comma 3 dell'art. 11 disciplina una particolare fattispecie sanzionatoria riguardante le agevolazioni concesse dal Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato alle piccole e medie imprese, ai sensi della legge 5 ottobre 1991, n. 317.

La norma prevede, in caso di revoca delle agevolazioni concesse ai sensi della predetta legge n. 317 del 1991, l'applicazione della sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento dell'intero ammontare dei crediti di imposta e dei contributi in conto capitale dei quali le imprese abbiano indebitamente fruito.

Al riguardo, si evidenzia che l'art. 13, comma 2, della legge n. 317 del 1991 prevedeva l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria in misura da due a quattro volte l'importo dei crediti di imposta o dei contributi in conto capitale indebitamente fruiti.

La nuova previsione, in quanto più favorevole, si renderà pertanto applicabile anche alle violazioni commesse fino al 31 marzo 1998, in base alle disposizioni contenute negli articoli 3, comma 3, e 25, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

4.5 Violazioni relative agli elenchi Intrastat

L'art. 11, comma 4, del D.Lgs. n. 471 del 1997 detta la nuova disciplina sanzionatoria delle violazioni relative agli elenchi riepilogativi (cosiddetto elenchi Intrastat), di cui all'art. 50, comma 6, del D.L. n. 331 del 1993, convertito in legge n. 42 del 1993, che i soggetti che effettuano scambi intracomunitari sono tenuti a presentare agli uffici doganali, con cadenza differenziata (mensile, trimestrale o annuale) in relazione all'ammontare delle operazioni intracomunitarie effettuate annualmente, utilizzando stampati conformi ai modelli INTRA-1 (per le cessioni) e INTRA-2 (per gli acquisti) approvati con il D.M. 21 ottobre 1992.

Prima di analizzare le nuove disposizioni, sembra opportuno passare in rassegna, sia pure brevemente, quelle contenute nella previgente normativa, recata dall'art. 34 del D.L. n. 41 del 1995 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 85 del 1995 (in vigore dal 24 febbraio 1995 al 31 marzo 1998). Dal confronto delle due discipline risulterà chiaro che le sanzioni di cui all'art. 11, comma 4, sono quasi sempre meno gravose delle precedenti e che, pertanto, le stesse possono trovare applicazione anche per le violazioni commesse prima del 1° aprile 1998, sempreché si verifichino le condizioni richieste dall'art. 25, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

4.5.1 Regime sanzionatorio previsto dall'art. 34 del D.L. n. 41 del 1995.

Nella disciplina sanzionatoria degli elenchi Intrastat recata dall'art. 34 del D.L. n. 41 del 1995 era possibile enucleare diverse ipotesi di violazioni.

Una prima fattispecie, prevista dal comma 2 di tale articolo, si realizzava quando il contribuente, invece di presentare l'elenco nei termini previsti dalla legge, vi provvedeva spontaneamente nei trenta giorni successivi. In tal caso, la sanzione applicabile per la tardività era la soprattassa pari al venti per cento della pena pecuniaria minima (pari quindi a lire duecentomila).

I trenta giorni successivi alla scadenza costituivano un termine dilatorio incondizionatamente usufruibile dagli interessati. Detto termine doveva, pertanto, decorrere inutilmente e per intero prima che gli organi di controllo potessero assumere iniziative.

Scaduto invano il citato termine di trenta giorni, gli uffici abilitati a ricevere gli elenchi o incaricati del controllo, prima di poter contestare l'omissione, erano tenuti ad inviare richiesta scritta ai contribuenti con l'invito a presentare l'elenco entro un termine non inferiore a trenta giorni. A questo punto, in caso di presentazione dell'elenco nel termine indicato nell'invito, si rendeva applicabile la pena pecuniaria da lire un milione a lire quattromilioni (lo stesso dicasi per la presentazione spontanea con ritardo superiore a trenta giorni dalle prescritte scadenze). In caso contrario, cioè di persistenza nell'inadempimento, la misura della sanzione si raddoppiava e variava, quindi, da un minimo di lire duemilioni ad un massimo di lire ottomilioni.

Da notare che tutte le penalità suddette si rendevano dovute per ogni elenco non presentato a tempo debito e che, comunque, era ammessa la definizione in via breve della contestazione ex art. 58, quarto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972.

Una seconda fattispecie sanzionabile, prevista dal comma 3 dell'art. 34, si configurava per l'avvenuta presentazione di elenchi contenenti irregolarità rilevanti ed imputabili al contribuente. Verificandosi tale ipotesi, si rendeva applicabile una specifica sanzione per ogni riga dell'elenco in cui si riscontrava l'omissione, l'irregolarità o l'inesattezza. Anche in questo caso, tuttavia, gli uffici non potevano contestare immediatamente gli addebiti ma dovevano prima invitare gli interessati a rimuovere le irregolarità entro un termine non inferiore a trenta giorni.

L'avvenuta regolarizzazione nel termine indicato nell'invito comportava l'applicazione di una pena pecuniaria da lire cinquantamila a lire duecentomila per ciascuna riga corretta od integrata senza però che l'importo complessivo massimo potesse superare lire quattromilioni. In caso di inottemperanza all'invito, la penalità si raddoppiava e, pertanto, variava da lire centomila a lire quattrocentomila per ogni riga omessa o non debitamente compilata, con un importo complessivo massimo di lire ottomilioni.

Ovviamente l'avvenuta irrogazione delle penalità previste dal comma 2 dell'art. 34 non escludeva che potessero essere applicate anche quelle contemplate nel comma successivo.

Ciò avveniva, per esempio, nel caso di elenco spontaneamente presentato nei trenta giorni successivi alla scadenza, ma con omissioni o irregolarità tali da rendere necessario l'invito dell'ufficio alla regolarizzazione oppure nel caso in cui alla richiesta di presentazione dell'elenco il contribuente avesse ottemperato in maniera incompleta o imperfetta in modo tale da indurre l'ufficio a reiterare l'invito, stavolta per chiedere l'integrazione o la correzione del modello.

La terza ed ultima fattispecie non contemplava l'applicazione di sanzioni e si realizzava quando:

- il contribuente provvedeva spontaneamente, nei trenta giorni successivi a quelli in cui aveva presentato l'elenco, a rettificarlo od integrarlo (art. 34, comma 3, ultimo periodo, aggiunto in sede di conversione);

- i dati mancanti od omessi erano privi di rilevanza e l'interessato provvedeva, comunque, alla regolarizzazione entro il termine fissato dall'ufficio (art. 34, comma 3, penultimo periodo);

- le omissioni o inesattezze riscontrate potevano essere regolarizzate direttamente dall'ufficio (art. 34, comma 1, primo periodo).

4.5.2 Regime sanzionatorio in vigore dal 1° aprile 1998.

L'art. 11, comma 4, del D.Lgs. n. 471 del 1997 dispone, invece, che l'omessa presentazione degli elenchi Intrastat ovvero la loro incompleta, inesatta o irregolare compilazione sono punite con la sanzione da lire un milione a lire duemilioni per ciascuno di essi, ridotta a metà nel caso di presentazione nel termine di trenta giorni dalla richiesta inviata dagli uffici abilitati a riceverli o incaricati del loro controllo. La sanzione non si applica se i dati mancanti o inesatti vengono integrati o corretti anche a seguito di richiesta.

A) Omessa o tardiva presentazione.

Ove si tengano presenti anche le disposizioni sul ravvedimento contenute nell'art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997, si possono, anzitutto, verificare le due ipotesi seguenti:

- presentazione spontanea dell'elenco entro tre mesi dalla scadenza dei termini previsti: la violazione si intende regolarizzata ed è esclusa l'applicazione di sanzioni (art. 13, comma 4);

- presentazione spontanea dell'elenco entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione: la regolarizzazione comporta, entro lo stesso termine, il pagamento della sanzione ridotta di lire centosessantasettemila (art. 13, comma 1, lett. b).

Si ricorda che la possibilità di regolarizzare è subordinata alla circostanza che, decorsi gli ordinari termini previsti dalla legge per la presentazione del modello, non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative (es. inviti a presentare l'elenco) delle quali gli interessati abbiano avuto formale conoscenza.

Scaduti gli anzidetti ordinari termini, gli uffici possono, comunque, provvedere immediatamente ad inviare formale richiesta di presentazione del modello, avvertendo il trasgressore che, ottemperando all'invito entro trenta giorni, beneficerà della riduzione a metà della sanzione.

Se il contribuente adempie, si rende applicabile la sanzione da lire cinquecentomila a lire un milione. La stessa misura è dovuta, ovviamente (anzi a maggior ragione), qualora la presentazione, ancorché tardiva avvenga spontaneamente senza, peraltro, che si perfezioni il ravvedimento.

Se l'interessato, invece, lascia scadere infruttuosamente il termine di trenta giorni, la sanzione dovuta può variare da lire un milione a lire due milioni.

Essendo, come si vede, le nuove misure più favorevoli di quelle precedenti, esse trovano applicazione retroattiva (principio del favor rei) purché non siano già intervenuti provvedimenti di irrogazione definitivi (art. 25, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997).

Da tener presente, poi, che nel caso di più violazioni si rende applicabile l'istituto del concorso di cui all'art. 12, comma 1, del decreto appena citato e che, avvenuta la contestazione, la relativa pendenza può essere definita con il pagamento, entro sessanta giorni dalla notifica dell'atto di contestazione, di un quarto della sanzione irrogata (art. 16, comma 3, stesso decreto).

B) Presentazione di modello irregolare.

Nell'ipotesi in cui vengano presentati elenchi Intrastat con dati mancanti o inesatti, gli uffici abilitati a riceverli o incaricati del loro controllo possono immediatamente inviare agli interessati formale invito alla regolarizzazione fissando un termine per l'adempimento.

Anche se la legge non stabilisce la durata minima di tale termine, si ritiene opportuno che venga concesso un limite di almeno trenta giorni.

Ove l'interessato aderisca all'invito, provvedendo nel termine fissato dall'ufficio ad integrare i dati mancanti e a correggere quelli inesatti, non si rende dovuta alcuna sanzione, indipendentemente dalla circostanza (rilevante secondo la previgente normativa) che tali dati siano di secondaria importanza o non imputabili al contribuente. Tale disposizione si applica anche retroattivamente, in applicazione del principio del favor rei, considerato che, in passato, in una evenienza del genere era applicabile la pena pecuniaria da lire cinquantamila a lire duecentomila per ogni rigo corretto o integrato. Gli uffici provvederanno, pertanto, a definire le controversie pendenti secondo le modalità indicate al precedente punto 2.6 del capitolo secondo. La retroattività non opera tuttavia se il provvedimento di irrogazione della sanzione sia divenuto definitivo prima del 1° aprile 1998 (art. 25, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997).

Se il contribuente non ottempera all'invito o lo fa oltre il termine fissato è punito con la sanzione da lire un milione a lire due milioni per ogni elenco non regolarizzato. Poiché nella stessa fattispecie la previgente normativa stabiliva, come si è detto, l'applicazione di una pena pecuniaria da lire centomila a lire quattrocentomila per ogni riga omessa o non debitamente compilata occorrerà, in caso di violazioni commesse prima del 1° aprile 1998, individuare in concreto le sanzioni più favorevoli, in applicazione del principio del favor rei.

Anche per le violazioni in questione può ovviamente trovare applicazione l'istituto del ravvedimento e del concorso di cui si è già detto.

4.5.3 Quadro sinottico.

Ai fini di una pronta consultazione da parte degli organi verificatori, si riporta qui di seguito un quadro sinottico che evidenzia le differenze tra la nuova e la previgente normativa in materia:

Art. 34 del D.L. n. 41 del 1995 conv. legge n. 85 del 

Art. 11, comma 4, del D.Lgs. n. 471 del 1997 

1995 (in vigore dal 24 febbraio 1995 al 31 marzo 1998) 

(in vigore dal 1° aprile 1998) 

Presentazione spontanea entro 30 giorni dalla prevista 

Presentazione spontanea entro 3 mesi dalla 

scadenza: soprattassa di lire 200.000 per elenco 

prevista scadenza: nessuna sanzione (favor rei) 

Presentazione tardiva ma entro il termine fissato 

Presentazione tardiva ma entro il termine fissato 

dall'ufficio: pena pecuniaria da lire1.000.000 a lire 

dall'ufficio: sanzione da lire 500.000 a lire 

4.000.000 per elenco 

1.000.000 per elenco (favor rei) 

Omessa presentazione nel termine fissato dall'ufficio: 

Omessa presentazione nel termine fissato 

pena pecuniaria da lire 2.000.000 a lire 8.000.000 per 

dall'ufficio: sanzione da lire 1.000.000 a lire 

elenco 

2.000.000 per elenco (favor rei) 

Regolarizzazione di elenco contenente errori, omissioni 

Regolarizzazione di elenco contenente errori, 

o inesattezze, entro il termine fissato dall'ufficio: pena 

omissioni o inesattezze, entro il termine fissato 

pecuniaria da lire 50.000 a lire 200.000 per ciascuna 

dall'ufficio: nessuna sanzione (favor rei) 

riga corretta o integrata, con un massimo di lire 

 

4.000.000 

 

Mancata regolarizzazione dell'elenco nel termine fissato 

Mancata regolarizzazione dell'elenco nel termine 

dall'ufficio: pena pecuniaria da lire100.000 a lire 

fissato dall'ufficio: sanzione da lire1.000.000 a  

400.000 per ciascuna riga errata, omessa o inesatta, con 

lire 2.000.000 per elenco(favor rei eventuale) 

un massimo di lire 8.000.000 

 

a) Regolarizzazione spontanea entro 30 giorni dalla 

a) Regolarizzazione spontanea entro 30 giorni 

presentazione dell'elenco; 

dalla presentazione dell'elenco; 

b) Regolarizzazione di dati mancanti o inesatti privi di 

b) Regolarizzazione di dati mancanti o inesatti 

rilevanza o non imputabili al contribuente; 

privi di rilevanza o non imputabili al 

c) Regolarizzazione eseguita direttamente dall'ufficio: 

contribuente; 

nessuna sanzione 

c) Regolarizzazione eseguita direttamente  

 

dall'ufficio: nessuna sanzione 

4.5.4 Violazioni commesse prima del 24 febbraio 1995.

Sembra opportuno far presente che prima dell'entrata in vigore dell'art. 34 del D.L. n. 41 del 1995 le violazioni in materia di elenchi Intrastat venivano sanzionate, ai sensi dell'art. 45, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, con la pena pecuniaria da lire duemilioni a lire ventimilioni per ciascun elenco non presentato o contenente dati incompleti o inesatti. La sanzione poteva essere ridotta fino a lire quattrocentomila (un quinto del minimo) se i dati mancanti o inesatti erano di scarsa rilevanza. La pena pecuniaria, poi, non si applicava se i dati mancanti o inesatti erano privi di rilevanza o, comunque, se il contribuente provvedeva ad integrarli o rettificarli entro il mese successivo a quello di presentazione.

È chiaro, quindi, che per le violazioni commesse fino al 23 febbraio 1995 e non ancora definite, ai fini dell'applicazione del principio del favor rei, il raffronto tra le sanzioni dovrà essere effettuato tenendo conto di tutte le disposizioni succedutesi nel tempo.

4.5.5 Violazioni statistiche.

Com'è noto, oltre ai dati fiscali, negli elenchi Intrastat mensili devono essere indicati anche dati aventi esclusiva rilevanza ai fini statistici. Tale indicazione riguarda le colonne da 6 a 15 dell'elenco acquisti e le colonne da 5 a 13 dell'elenco cessioni. A partire dal 1998 non occorre più indicare il valore statistico (col. 10) per i soggetti che nell'anno precedente abbiano effettuato acquisti intracomunitari per un valore inferiore a lire tremiliardi e mezzo, ovvero cessioni intracomunitarie per un valore inferiore a lire settemiliardi.

Le violazioni relative ai dati statistici continuano ad essere sanzionate ai sensi dell'art. 34, comma 5, del D.L. n. 41 del 1995, il quale dispone che per l'omissione o le inesattezze in materia si applicano "le sanzioni amministrative stabilite dall'articolo 11 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, i cui limiti edittali sono ridotti alla metà nei casi di ottemperanza all'invito di cui al comma 1; si applicano le disposizioni di cui all'ultimo periodo del comma 2 e gli ultimi due periodi del comma 3 per i casi ivi previsti".

Per comodità di consultazione, si riporta di seguito un prospetto riepilogativo delle sanzioni stabilite per le violazioni statistiche commesse nel periodo dal 24 febbraio 1995 al 31 marzo 1998

 

Sanzioni di natura statistica 

(Art. 11 del D.Lgs. 6 settembre 1989, n. 322) 

 

 

 

Violazione 

Sanzione 

 

 

Omissione o inesattezze dei dati 

Persone fisiche: da L. 400.000 a L. 4 milioni 

 

Enti e società: da L. 1 milione a L. 10 milioni 

Omissioni o inesattezze dei dati, purché integrati nel 

Persone fisiche: da L. 200.000 a L. 2 milioni 

termine fissato dall'ufficio 

Enti e società: da L. 500.000 a L. 5 milioni 

Presentazione degli elenchi entro 30 giorni dalla scadenza 

Persone fisiche: L. 80.000 

 

Enti e società: L. 200.000 

Dati mancanti o inesatti privi di rilevanza o non imputabili 

 

al contribuente, purché integrati o corretti spontaneamente 

Nessuna sanzione 

o a seguito di comunicazione dell'ufficio 

 

Rettifica spontanea entro 30 giorni dalla presentazione 

Nessuna sanzione 

degli elenchi 

 

Da ultimo, si fa presente che dal 1° aprile 1998 le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 34 sono state abrogate e che pertanto la riduzione (al 20 per cento del minimo) e le esimenti previste dagli ultimi due periodi del comma 3 di tale articolo non sono più applicabili.

4.6 Violazioni relative agli apparecchi per l'emissione di scontrini fiscali

La previgente normativa in materia di scontrini fiscali, recata dalla legge 26 gennaio 1983, n. 18, non contemplava l'applicazione di alcuna sanzione di carattere pecuniario nei confronti di chi, essendovi obbligato, omette di installare nei locali in cui svolge la propria attività, gli speciali registratori di cassa per l'emissione di detti scontrini.

L'art. 2, comma nono, della suddetta legge n. 18 del 1983 prevedeva soltanto, in relazione all'illecito in questione, l'applicazione di una penalità accessoria (da taluni non definita tale, in mancanza della sanzione principale) consistente nella sospensione della licenza o dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività per un periodo non inferiore a quindici e non superiore a sessanta giorni.

L'art. 11, comma 5, del D.Lgs. n. 471 del 1997, ha invece introdotto per la violazione dell'omessa installazione la sanzione pecuniaria da lire duemilioni a lire ottomilioni, mentre il successivo art. 12, comma 3, ripropone la sanzione accessoria, confermativa, anche nella durata, della precedente. Di quest'ultima sanzione si dirà in maniera più approfondita al successivo paragrafo 5.

Sempre in materia di apparecchi misuratori fiscali è da far presente che l'art. 6, comma 3, ultimo periodo, del citato decreto legislativo dispone che la mancata tempestiva richiesta di intervento per la manutenzione del registratore di cassa è punito con la sanzione da lire cinquecentomila a lire quattromilioni, ossia con una misura più gravosa rispetto alla pena pecuniaria da lire quarantamila a lire quattrocentomila prima prevista dall'art. 8, secondo comma, della legge n. 18 del 1983.

Al riguardo va, tuttavia, precisato che la violazione in esame è ora sanzionabile autonomamente solo se non constano omesse annotazioni nell'apposito registro dei corrispettivi, sostitutivo dell'apparecchio momentaneamente non funzionante. Pertanto, se vi sono state omesse annotazioni è dovuta solo la sanzione pari al cento per cento dell'imposta corrispondente all'importo non documentato (con un minimo di lire un milione) mentre quella relativa alla mancata richiesta di manutenzione rimane assorbita.

4.7 Violazioni del destinatario dello scontrino o della ricevuta fiscale

Il comma 6 dell'art. 11 del D.Lgs. n. 471 del 1997 ripropone la penalità a carico del destinatario dello scontrino o della ricevuta fiscale che, a richiesta degli organi accertatori, nel luogo della prestazione o nelle immediate adiacenze non sia in grado di esibire il documento.

La sanzione prevista in tali casi varia da lire centomila a lire duemilioni e si applica anche se il documento esibito reca un corrispettivo inferiore a quello reale. Essa risulta più elevata rispetto a quella da lire cinquantamila a lire duecentomila prevista dagli articoli 8, quinto comma, della legge n. 249 del 1976 e 2, terzo comma, della legge n. 18 del 1983, anche se, agli effetti pratici, è da tenere presente la riduzione ad un quarto di cui può usufruire l'interessato, ai sensi dell'art. 16, comma 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

La richiesta di esibizione del documento da parte degli organi accertatori può essere formulata nei confronti del cliente fruitore del servizio o all'interno dell'esercizio in cui è stata resa la prestazione o nelle immediate adiacenze.

Relativamente alla dizione "immediate vicinanze", va ricordato che essa, come chiarito con la circolare 13 giugno 1980, n. 25, implica un rapporto di immediatezza temporale e spaziale tra il comportamento addebitato e la constatazione di esso, per cui quest'ultima può avvenire anche fuori dal luogo dove la prestazione è stata eseguita ma in luoghi i quali assicurino che la constatazione stessa avvenga immediatamente dopo l'uscita del luogo dove la prestazione è stata eseguita. Quanto, poi, all'espressione "luogo della prestazione" si rammenta che essa, come precisato con la circolare 23 dicembre 1980, n. 48, deve essere intesa in senso generico e, quindi, sia con riferimento alla cessione di beni che alla prestazione di servizi.

4.8 Violazioni dei pubblici uffici in materia di acquisti intracomunitari

Com'è noto, l'art. 53, comma 3, del D.L. n. 331 del 1993, dispone che i pubblici uffici non possono procedere all'immatricolazione, all'iscrizione in pubblici registri o all'emanazione di provvedimenti equipollenti relativi a mezzi di trasporto nuovi, oggetto di acquisto intracomunitario, se gli obblighi relativi all'applicazione dell'imposta non risultano adempiuti. Lo stesso comma prevede, inoltre, che i pubblici uffici cooperano con i competenti uffici dell'Amministrazione finanziaria per il reperimento degli elementi utili ai fini dell'accertamento dell'I.V.A. dovuta, della legittimità del rimborso (spettante al momento della cessione, dell'I.V.A. compresa nel prezzo d'acquisto), della repressione delle violazioni nonché ai fini dell'accertamento della sussistenza dei requisiti che qualificano come nuovi i mezzi di trasporto.

In caso di mancata osservanza delle prescrizioni suddette, l'art. 11, comma 7, del D.Lgs. n. 472 del 1997 stabilisce a carico dei pubblici uffici responsabili l'applicazione di una sanzione da lire cinquecentomila a lire quattromilioni.

 

 

5. Sanzioni accessorie.

Alle specifiche sanzioni pecuniarie previste in via principale per le violazioni in materia di imposte dirette e I.V.A., esaminate in precedenza, possono aggiungersi, ai sensi dell'art. 12 del D.Lgs. n. 471 del 1997, le sanzioni accessorie che consistono, in genere, in temporanee limitazioni di facoltà, poteri o status inerenti alla sfera giuridica del soggetto che ne subisce l'applicazione e che hanno la funzione di rendere più incisiva l'azione amministrativa volta a contrastare taluni illeciti ritenuti particolarmente pericolosi.

Per quanto concerne il tipo di conseguenza punitiva in cui dette sanzioni accessorie si sostanziano, si rimanda all'elencazione contenuta nell'art. 21 del D.Lgs. n. 472 del 1997.

In ordine, invece, ai presupposti di applicazione stabiliti dal citato art. 12, si ritiene utile operare una distinzione di massima a seconda che, ai fini dell'applicabilità della norma che dispone la sanzione accessoria, non si richieda ovvero sia necessaria l'avvenuta irrogazione della sanzione principale e a seconda che la sanzione principale medesima debba o meno essere stata applicata in via definitiva.

La distinzione anzidetta assume particolare rilevanza, come si vedrà, soprattutto agli effetti del computo del termine di decadenza previsto per l'applicazione delle sanzioni di cui trattasi.

5.1 Sanzioni accessorie che presuppongono l'avvenuta irrogazione della sanzione principale

A) Iniziando la disamina delle sanzioni accessorie il cui presupposto (minimo) di applicabilità è costituito dalla irrogazione di una sanzione principale, va esaminata anzitutto la previsione contenuta nel comma 1 dell'art. 12, in virtù della quale deve essere applicata, a seconda dei casi, una delle sanzioni accessorie di cui al citato art. 21 del D.Lgs. n. 472 del 1997, per un periodo da uno a tre mesi, alla duplice condizione che la sanzione irrogata superi i centomilioni e quella edittale prevista per la più grave delle violazioni accertate non sia inferiore nel minimo a ottanta milioni e nel massimo a centosessanta milioni. La durata delle sanzioni accessorie può essere elevata fino a sei mesi, se quella principale sia stata irrogata in misura superiore a lire duecentomilioni e quella edittale prevista per la più grave delle violazioni accertate non sia inferiore nel minimo a centosessanta milioni.

Poiché il presupposto di applicazione (a parte quello relativo alle misure edittali) è costituito, come si è detto, dalla semplice irrogazione della sanzione pecuniaria e non dalla intervenuta definitività della stessa, la norma di cui al comma 1 dell'art. 12 è destinata ad operare anche se l'atto di irrogazione sia stato impugnato e sia pendente la relativa controversia.

Tuttavia, come espressamente previsto dall'art. 16, comma 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997, l'irrogazione delle sanzioni accessorie è impedita dalla definizione agevolata delle sanzioni principali. Il predetto principio riveste portata generale e quindi l'irrogazione delle sanzioni accessorie è preclusa non solo nelle ipotesi di definizione agevolata della sanzione principale ai sensi degli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997, ma anche in quelle di definizione del procedimento di accertamento del tributo, ai sensi degli articoli 1 e 15 del D.Lgs. n. 218 del 1997.

Tanto chiarito, si fa peraltro presente che già nello stesso atto di contestazione della sanzione principale può essere determinata la sanzione accessoria, con l'individuazione del soggetto destinatario, del tipo di sanzione e della durata della stessa, con l'avvertenza che il pagamento di un quarto della sanzione pecuniaria indicata nell'atto rende priva di effetto la comunicazione relativa alla misura accessoria. Ove siano state proposte deduzioni difensive contro l'atto di contestazione, l'ufficio procede, se del caso, ad irrogare sia la sanzione principale che quella accessoria con lo stesso provvedimento, nel termine fissato dall'art. 16, comma 7, del D.Lgs. n. 472 del 1997, avendo cura di motivare il provvedimento stesso anche in ordine alle deduzioni. In mancanza di definizione agevolata o di deduzioni difensive, l'atto di contestazione può essere impugnato entro sessanta giorni dalla sua notificazione, in quanto è da considerare provvedimento di irrogazione sia per la sanzione principale che per quella accessoria.

Analogamente è possibile procedere con l'avviso di accertamento o di rettifica, irrogando, contestualmente a quella principale, la sanzione accessoria. In tal caso, com'è ovvio, l'efficacia della irrogazione della misura accessoria rimane subordinata al decorso del termine di sessanta giorni previsto per la definizione agevolata della sanzione pecuniaria, di cui all'art. 17, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997, ovvero dei termini previsti per la definizione del procedimento di accertamento del tributo, di cui agli articoli 1 e 15 del D.Lgs. n. 218 del 1997.

In ogni caso, è da tenere presente che la sanzione accessoria può essere eseguita solo dopo che il provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo, come prevede espressamente l'art. 19, comma 7, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

Dopo le suddette indicazioni di carattere essenzialmente procedurale, sembra opportuno far notare che gli istituti del concorso e della continuazione di cui all'art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997, influenzano, sia pure indirettamente, l'applicazione della sanzione accessoria di cui trattasi. Essa, infatti, è condizionata, tra l'altro, dall'entità della sanzione principale, determinata in concreto anche in relazione a più tributi, tenuto conto appunto dei criteri previsti dal citato art. 12.

Per quanto riguarda, poi, l'individuazione della tipologia di sanzione accessoria da applicare in concreto tra quelle elencate nell'art. 21 del D.Lgs. n. 472 del 1997, essa dipende dal soggetto responsabile della sanzione principale. Così, per esempio, se si tratta di un amministratore, sindaco o revisore di società, la misura accessoria sarà quella di cui alla lettera a) dell'art. 21, se il responsabile è un soggetto titolare di una licenza, concessione o autorizzazione amministrativa, sarà quella di cui alla lettera b) e così via.

Si fa presente, infine, che nell'ipotesi di concorso di persone di cui all'art. 9 del D.Lgs. n. 472 del 1997 è configurabile la contemporanea applicazione di sanzioni accessorie diverse.

B) Il presupposto dell'avvenuta irrogazione della sanzione principale è anche richiesto per l'applicazione della misura accessoria prevista dal comma 4 dell'art. 12.

Dispone tale norma che in caso di recidiva delle violazioni degli obblighi degli operatori finanziari (previsti in via principale dall'art. 10 del D.Lgs. n. 471 del 1997) l'autore delle medesime è interdetto dalle cariche di amministratore della banca, società o ente, per un periodo da tre a sei mesi.

Anche con riguardo a tale norma è opportuno ricordare che la definizione agevolata delle sanzioni principali impedisce l'applicazione della pena accessoria, sia perché in tal caso viene a mancare la recidiva, ai sensi dell'art. 7, comma 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997, sia per effetto di quanto dispone il già citato art. 16, comma 3, ultimo periodo, dello stesso decreto legislativo.

Per quanto concerne gli aspetti procedurali, risulta chiaro che, in questo caso, la possibilità di determinare la pena accessoria nello stesso atto di contestazione della sanzione principale (secondo quanto esposto al precedente punto A) rimane subordinata alla circostanza che almeno uno dei precedenti atti di contestazione, notificato al medesimo soggetto, non sia stato definito in via agevolata ai sensi dell'art. 16, comma 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

In ogni caso, è indubbio che il termine di decadenza per l'irrogazione della sanzione in esame non può iniziare il suo decorso prima che si sia verificata la recidività.

5.2 Sanzioni accessorie che non presuppongono l'avvenuta irrogazione della sanzione principale

A) Tra le sanzioni accessorie che non hanno come presupposto indefettibile l'irrogazione della sanzione principale va annoverata la sospensione della licenza o dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività, ovvero all'esercizio dell'attività medesima, per un periodo da quindici giorni a due mesi, disposta dal comma 2 dell'art. 12 in esame "qualora siano state definitivamente accertate, in tempi diversi, tre distinte violazioni dell'obbligo di emettere la ricevuta fiscale o lo scontrino fiscale compiute in giorni diversi nel corso di un quinquennio".

Rispetto alla previgente normativa disciplinante la materia (art. 8, ottavo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 249, e art. 2, quinto comma, della legge 26 gennaio 1983, n. 18) le misure minime e massime della sospensione sono state dalla nuova disposizione elevate, rispettivamente, da tre a quindici giorni e da un mese a due mesi. La nuova norma, inoltre, a differenza della precedente, prevede anche un'ipotesi aggravata (sospensione da due a sei mesi) se i corrispettivi non documentati nel corso del quinquennio eccedono la somma di lire duecentomilioni (art. 12, comma 2, ultimo periodo).

La sanzione accessoria di cui si discute va essenzialmente applicata quand'anche il soggetto interessato abbia definito in via agevolata la sanzione principale e, di conseguenza, non sia stato possibile in precedenza irrogare alcuna pena accessoria. Ed invero, derogando dalla regola contenuta nel più volte citato art. 16, comma 3, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 472 del 1997, il comma 2 dell'art. 12 del D.Lgs. n. 471 del 1997 stabilisce che la sospensione è disposta "anche se non sono state irrogate sanzioni accessorie in applicazione delle disposizioni del decreto legislativo recante i principi generali per le sanzioni amministrative in materia tributaria".

Sotto questo aspetto, pertanto, nulla è innovato rispetto a quanto già disponevano gli articoli 8, nono comma, della legge n. 249 del 1976 e 2, sesto comma, della legge n. 18 del 1983.

Ai fini della individuazione del dies a quo per il computo dell'arco temporale entro il quale, ai fini dell'applicazione della sanzione accessoria, le violazioni devono essere state commesse, non può che farsi riferimento al momento del compimento della prima infrazione, risultando invece ininfluenti tanto la data di constatazione da parte degli organi verbalizzanti, quanto la data del pagamento della somma dovuta per la definizione agevolata dell'illecito.

Partendo, quindi, dalla data in cui è stata commessa la prima violazione e con una proiezione temporale di cinque anni, perché possa scattare il procedimento di sospensione, occorre che il medesimo soggetto abbia commesso - in tale lasso di tempo - almeno altre due infrazioni e, inoltre, che tutte e tre le infrazioni siano state "definitivamente" accertate in tempi diversi.

La definitività dell'accertamento - è bene ricordarlo - interviene, a parte l'ipotesi della definizione in via breve, nel caso di mancata impugnazione dell'atto di contestazione o del provvedimento di irrogazione o, ancora, quando si sia formato il giudicato in sede contenziosa.

È importante sottolineare che la norma esige che le tre violazioni siano state accertate "in tempi diversi", con ciò significando che le stesse siano state sanzionate distintamente, ricorrendo l'ipotesi dell'art. 12, comma 6, del D.Lgs. n. 472 del 1997, ossia in mancanza dei presupposti previsti per l'operatività del concorso o della continuazione.

In altre parole, se le tre sanzioni sono da cumulare giuridicamente in applicazione degli anzidetti istituti, il presupposto per l'irrogazione della sanzione accessoria non viene a realizzarsi, a nulla rilevando che le relative violazioni siano state commesse in giorni diversi.

Con riguardo all'identificazione delle violazioni il cui reiterato compimento comporta l'applicazione della sanzione accessoria, va sottolineato che devono essere prese in considerazione non solo quelle aventi per oggetto la mancata emissione dei documenti, cui fa espresso riferimento la norma, ma anche quelle consistenti nell'emissione della ricevuta o scontrino con corrispettivo inferiore a quello reale. Tale conclusione è avvalorata sia dal fatto che tali ultime violazioni, per quanto concerne la sanzione pecuniaria, sono equiparate all'infrazione di mancata emissione (cento per cento dell'imposta corrispondente all'importo non documentato), sia dalla circostanza che la più lunga durata della sospensione, prevista dal comma 2, ultimo periodo, dell'art. 12, viene stabilita, come si è detto, con esclusivo riferimento all'entità del corrispettivo non documentato nel corso del quinquennio (superiore ai duecento milioni) a nulla rilevando se tale limite venga superato per effetto della mancata emissione del documento o dell'emissione dello stesso con inesatta indicazione dell'importo dell'operazione.

Si osserva, infine, per quanto concerne il termine di decadenza per l'irrogazione della pena accessoria in esame, che il riferimento, ai fini del computo dei cinque anni, non può che essere costituito dalla data ultima in cui si è perfezionata la definitività delle tre violazioni.

B) Una sanzione accessoria del tutto svincolata dalla applicazione della sanzione principale (della quale si è accennato al precedente punto 4.6) è quella prevista dal comma 3 dell'art. 12.

Dispone tale norma che, qualora sia accertata l'omessa installazione degli apparecchi misuratori previsti dall'art. 1 della legge n. 18 del 1983, è disposta la sospensione della licenza o dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività nei locali ad essa destinati (cioè i locali nei quali i suddetti apparecchi avrebbero dovuto essere installati) per un periodo da quindici giorni a due mesi.

Fin qui la disposizione in esame conferma quella previgente in materia, contenuta nell'art. 2, nono comma, della richiamata legge n. 18 del 1983.

Per altro la nuova norma, a differenza di quella passata, attribuisce specifica rilevanza anche al persistere della violazione, prevedendo che in caso di recidiva la sospensione è disposta da due a sei mesi.

Pur se non espressamente sancito dalla nuova legge, la installazione di apparecchi misuratori diversi da quelli prescritti va considerata alla stessa stregua dell'omessa installazione, con quel che ne consegue in ordine all'applicazione delle relative sanzioni.

5.3 Sospensione o revoca di autorizzazioni

Si evidenzia che il nuovo regime sanzionatorio, se non ha confermato, non ha certamente fatto venir meno la potestà dell'Amministrazione finanziaria di sospendere o revocare le autorizzazioni in materia di contrassegni, concesse ai sensi dell'art. 3 della legge 2 maggio 1976, n. 160, o di revocare le autorizzazioni alla stampa o alla vendita di documenti fiscali, concesse a tipografie e rivenditori ai sensi dell'art. 10 del D.M. 29 novembre 1978.

Infatti, il potere di revoca è insito in quello di autorizzazione (dove esiste l'uno esiste necessariamente l'altro) e la sua permanenza non aveva, quindi, bisogno di essere confermata.

Esercitando il potere di revoca, l'Amministrazione finanziaria non irroga una sanzione accessoria di natura tributaria, atteso che le autorizzazioni in parola, come più volte chiarito in passato, non trovano il proprio fondamento giuridico in un rapporto di carattere fiscale ma di intuitus personae che, una volta venuto meno, non può che comportare la revoca dell'autorizzazione.

 

 

Capitolo quarto

Sanzioni in materia di riscossione

Il Titolo II del D.Lgs. n. 471 del 1997, costituito dagli articoli 13, 14 e 15, disciplina unitariamente le violazioni in materia di riscossione dei tributi, precedentemente contemplate nelle singole leggi d'imposta o, in prevalenza, nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

1. Omesso, insufficiente o tardivo versamento.

L'art. 13, con previsione di carattere generale, disciplina unitariamente le infrazioni degli obblighi di versamento dei tributi, soggette ad una sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato alle prescritte scadenze.

La sanzione del trenta per cento si applica in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto.

Sono espressamente esclusi i casi di tributi per i quali è prevista in via ordinaria la riscossione mediante iscrizione a ruolo, quali, a titolo esemplificativo, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e l'Irpef relativa ai redditi soggetti a tassazione separata, fatta eccezione per la quota che deve essere versata a titolo di acconto, ai sensi dell'art. 1, comma 3, del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30.

Si evidenzia che, in caso di ripetute violazioni degli obblighi di versamento, non torna applicabile l'istituto del concorso di cui all'art. 12, comma 1, del D.Lgs. n. 472 del 1997, non trattandosi nella specie di infrazioni formali. Pertanto, la predetta misura del trenta per cento si rende dovuta su ogni importo non versato alle prescritte scadenze, senza possibilità di cumulare giuridicamente le singole sanzioni.

Le sanzioni per omesso, insufficiente o ritardato pagamento possono essere irrogate mediante iscrizione a ruolo e senza previa contestazione, ai sensi dell'art. 17, comma 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

Come già precisato nella circolare 10 luglio 1998, n. 180/E, il procedimento di irrogazione immediata disciplinato dall'art. 17, comma 3, non deve essere obbligatoriamente utilizzato in tutte le ipotesi di omesso o ritardato pagamento dei tributi. In particolare, è necessario fare ricorso al procedimento di cui all'art. 16 dello stesso D.Lgs. n. 472 del 1997 nelle ipotesi in cui si configuri che la violazione sia stata commessa con dolo o colpa grave, essendo indispensabile la specifica motivazione in ordine all'elemento soggettivo.

Indipendentemente dal procedimento di irrogazione utilizzato, relativamente alle sanzioni per omesso o ritardato pagamento dei tributi non si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

Si evidenzia, peraltro, che, con riferimento alle dichiarazioni che saranno presentate dal 1° gennaio 1999 (relative quindi sostanzialmente ai periodi di imposta 1998 e successivi), gli articoli 2 e 3 del D.Lgs. n. 462 del 1997 prevedono una specifica modalità di definizione agevolata delle sanzioni per omesso o ritardato pagamento dei tributi risultanti dalle dichiarazioni, anche a seguito dei controlli automatici e formali delle stesse.

In particolare, l'ammontare della sanzione dovuta è ridotta:

- ad un terzo (e quindi al 10 per cento) nel caso in cui le somme dovute siano pagate entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione dell'esito della liquidazione automatica effettuata ai sensi degli articoli 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 (nei testi introdotti con gli articoli 13 e 14 del D.Lgs. n. 241 del 1997;)

- ai due terzi (e quindi al 20 per cento) nei casi in cui le somme dovute siano pagate entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione dell'esito del controllo formale della dichiarazione, effettuato ai sensi dell'art. 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973 (nel testo introdotto con l'art. 13 del D.Lgs. n. 241 del 1997).

Ciò premesso, si esaminano le disposizioni dell'art. 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997 con riferimento alle violazioni degli obblighi di versamento delle imposte sui redditi, delle ritenute alla fonte e dell'imposta sul valore aggiunto.

1.1 Imposte sui redditi

La sanzione del trenta per cento è applicabile nei casi di omesso, insufficiente o tardivo versamento, in acconto o a saldo, delle imposte risultanti dalla dichiarazione.

La nuova misura è inferiore a quella prevista dal previgente art. 92 del D.P.R. n. 602 del 1973 (quaranta per cento) ed è quindi applicabile, in quanto più favorevole, anche alle violazioni commesse prima del 1° aprile 1998, purché a tale data le stesse non siano state ancora contestate o sia, comunque, in corso il procedimento irrogativo delle sanzioni, come previsto dall'art. 25, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

Per le violazioni commesse fino al 31 marzo 1998 continuerà invece ad applicarsi, in quanto più favorevole, la sanzione del tre per cento prevista dal citato art. 92 del D.P.R. n. 602 del 1973 nei casi di versamento diretto eseguito entro i tre giorni successivi a quello di scadenza.

In presenza di omessi o carenti versamenti in acconto o a saldo delle imposte risultanti dalla dichiarazione, la sanzione del trenta per cento deve essere rapportata alla frazione di importo non versata alle rispettive scadenze. È infatti previsto che, nei casi di omesso o carente versamento a saldo, la sanzione è applicata sull'importo dovuto detratto l'ammontare dell'acconto ancorché non versato. Identico procedimento deve essere seguito anche nei casi di omesso o carente versamento dell'acconto quando lo stesso deve essere versato in due rate. Quindi, diversamente dal passato, le somme non versate in sede di acconto o di primo acconto non confluiscono, agli effetti punitivi, nell'ammontare delle somme dovute a titolo di saldo o di secondo acconto per essere (in caso di omesso o carente pagamento a saldo o in acconto) nuovamente assoggettate a sanzione.

Anche il descritto criterio di commisurazione della sanzione sugli importi non versati a titolo di acconto o di saldo opera retroattivamente, in quanto più favorevole, sempre nel rispetto, ovviamente, delle disposizioni di cui all'art. 25, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

La sanzione del trenta per cento si applica anche con riferimento alla maggiore imposta liquidata ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973.

1.2 Ritenute alla fonte

La sanzione del trenta per cento è applicabile nei casi di omesso, insufficiente o tardivo versamento delle ritenute alla fonte da parte del sostituto d'imposta.

La nuova misura è inferiore a quella prevista dal previgente art. 92 del D.P.R. n. 602 del 1973 (cinquanta per cento) ed è quindi applicabile, in quanto più favorevole, anche alle violazioni commesse prima del 1° aprile 1998, purché a tale data le stesse non siano state ancora contestate o sia comunque in corso il procedimento irrogativo delle sanzioni, come previsto dall'art. 25, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

Per le violazioni commesse fino al 31 marzo 1998 continuerà invece ad applicarsi, in quanto più favorevole, la sanzione nella misura del dieci per cento prevista dal citato art. 92 del D.P.R. n. 602 del 1973 nei casi di versamento diretto eseguito entro i tre giorni successivi a quello di scadenza.

1.3 Imposta sul valore aggiunto

La sanzione del trenta per cento è applicabile nei casi di omesso, insufficiente o tardivo versamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alle liquidazioni periodiche (mensili o trimestrali), a titolo di acconto ed a titolo di conguaglio risultante dalla dichiarazione annuale.

Risulta, quindi, notevolmente mitigato il previgente regime sanzionatorio delle violazioni della specie, contemplato dall'art. 44 del D.P.R. n. 633 del 1972 che, com'è noto, puniva con la soprattassa del cento per cento (riducibile al sessanta per cento in caso di pagamento eseguito entro trenta giorni dal ricevimento dell'avviso da parte dell'ufficio) sia gli omessi versamenti periodici che quelli relativi al conguaglio. Pertanto la nuova misura, in quanto più favorevole di quella passata, torna applicabile anche per le violazioni commesse prima del 1° aprile 1998, purché a tale data le stesse non siano state ancora contestate o sia, comunque, in corso il procedimento irrogativo delle sanzioni secondo le prescrizioni dell'art. 25, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997. A tal proposito si chiarisce che l'avvenuta iscrizione a ruolo della soprattassa del cento per cento non è di ostacolo all'applicazione del principio del favor rei, sempreché la relativa cartella di pagamento sia stata tempestivamente impugnata o non siano ancora scaduti, alla suddetta data del 1° aprile 1998, i termini per la presentazione del ricorso.

Fa eccezione l'omesso versamento dell'acconto di dicembre che l'art. 6, comma 5, della legge 29 dicembre 1990, n. 405, puniva con la più tenue soprattassa del venti per cento delle somme non versate o versate in meno. Le infrazioni riguardanti gli acconti del mese di dicembre 1998 e degli anni successivi dovranno essere sanzionati con la nuova misura del trenta per cento e, inoltre, per gli stessi non tornerà più applicabile (in quanto non riproposta) la tolleranza del cinque per cento prevista nei casi in cui l'acconto venga calcolato con il cosiddetto metodo "previsionale".

La disposizione contenuta nel comma 1 dell'art. 13 precisa che l'importo sanzionabile a titolo di saldo o conguaglio va calcolato detraendo l'ammontare dei versamenti periodici o di acconto "ancorché non effettuati". Va sottolineato, quindi, che agli effetti punitivi le somme non versate in sede di liquidazione periodica (o di liquidazione dell'acconto) non possono confluire nel saldo finale per essere (nel caso di mancato pagamento in sede di dichiarazione annuale) nuovamente assoggettate a sanzione.

È chiaro che, computando in detrazione l'eventuale credito dell'anno precedente (riportato a nuovo) nonché i versamenti periodici o di acconto, anche se non effettuati, la differenza potrebbe anche risultare negativa. In tal caso, nessuna sanzione è dovuta sul saldo annuale, mentre resta ferma, com'è ovvio, l'applicazione autonoma della predetta misura del trenta per cento sui versamenti periodici o sull'acconto, a suo tempo non eseguiti, a nulla rilevando che il debito d'imposta abbia, per ipotesi, trovato compensazione in un successivo credito.

Il suddetto criterio di determinazione del saldo, agli effetti sanzionatori, opera anche retroattivamente, sempre nel rispetto, com'è ovvio, delle richiamate disposizioni contenute nei commi 1 e 2 dell'art. 25.

La seconda parte del comma 1 dell'art. 13 in esame prevede l'applicazione della stessa sanzione del trenta per cento sulla maggiore imposta (o sulla minore eccedenza detraibile) risultante in seguito alle correzioni di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo (automatizzato) della dichiarazione annuale.

Al riguardo, per quanto concerne le procedure automatizzate di liquidazione dell'I.V.A. risultante dalla dichiarazione, la norma in commento richiama espressamente l'art. 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 (introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241) che troverà applicazione con riferimento alle dichiarazioni che saranno presentate a decorrere dal 1° gennaio 1999. Va osservato, tuttavia, che l'assimilazione, quanto al regime sanzionatorio, della maggiore imposta risultante dalla correzione di meri errori all'omesso versamento è già prevista dal sesto comma dell'art. 60 del D.P.R. n. 633 del 1972 (aggiunto, con decorrenza 20 giugno 1996, dall'art. 10, comma 2, lett. c), del D.L. 20 giugno 1996, n. 323, come modificato dalla legge 8 agosto 1996, n. 425), tuttora in vigore per le parti che non contrastano con le nuove disposizioni. Pertanto, l'assimilazione di cui trattasi, nel passaggio dal previgente al nuovo regime, opera senza soluzione di continuità e riguarda anche i rapporti tributari pendenti al 20 giugno 1996, in forza della disposizione contenuta nel comma 2-ter dello stesso art. 10.

 

 

2. Versamenti ad ufficio incompetente.

Il comma 3 dell'art. 13 stabilisce che la sanzione del trenta per cento non si applica quando i versamenti sono stati tempestivamente eseguiti ad ufficio o concessionario diverso da quello competente.

La norma riproduce sostanzialmente quella contenuta nell'art. 48, quarto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 che stabiliva la non applicazione delle sanzioni previste per le violazioni dell'obbligo di versamento quando il versamento era stato eseguito ad un ufficio diverso da quello competente.

La nuova previsione peraltro non è limitata alla sola imposta sul valore aggiunto ma riguarda tutti i versamenti diretti.

Pertanto, dal 1° aprile 1998, non è più irrogabile la sanzione prevista dall'abrogato art. 93 del D.P.R. n. 602 del 1973 per i versamenti diretti ad ufficio incompetente.

Per le violazioni disciplinate dal citato art. 93 del D.P.R. n. 602 del 1973 commesse fino al 31 marzo 1998, gli uffici provvederanno:

- ad archiviare le segnalazioni per le quali non è stato ancora emesso o notificato il provvedimento sanzionatorio;

- ad annullare i provvedimenti sanzionatori notificati, per i quali, al 1° aprile 1998, non siano scaduti i termini per l'impugnazione;

- a comunicare la sopravvenuta inapplicabilità della sanzione alle competenti commissioni tributarie ove siano ancora pendenti le controversie.

Restano, ovviamente, ferme le sanzioni irrogate con provvedimento divenuto definitivo alla data del 1° aprile 1998.

 

 

3. Violazioni dell'obbligo di esecuzione delle ritenute alla fonte.

L'art. 14 del D.Lgs. n. 471 del 1997 prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa pari al venti per cento dell'ammontare non trattenuto nei confronti dei soggetti che violano l'obbligo di esecuzione, in tutto o in parte, delle ritenute alla fonte (a titolo sia d'acconto che d'imposta). Rimane salva l'applicazione della sanzione prevista dall'art. 13 (trenta per cento) per il caso di omesso versamento delle ritenute alle prescritte scadenze.

La norma ripropone sostanzialmente la previsione dell'abrogato art. 95 del D.P.R. n. 602 del 1973, confermando la misura della sanzione nel venti per cento dell'ammontare non trattenuto.

Si evidenzia, peraltro, che, nei casi in cui siano state commesse più violazioni dell'obbligo di esecuzione delle ritenute, ai fini della determinazione della sanzione si deve tener conto delle regole stabilite nell'art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997 che disciplina il concorso di violazioni e la continuazione. In particolare, il comma 1 del predetto art. 12 prevede, nelle ipotesi in cui siano commesse, anche con più azioni o omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizione, l'applicazione di un'unica sanzione rappresentata da quella stabilita per la violazione più grave aumentata da un quarto al doppio.

Tali regole trovano applicazione, ai sensi dell'art. 25, commi 1 e 2, dello stesso D.Lgs. n. 472 del 1997, anche con riferimento alle violazioni commesse fino al 31 marzo 1998.

 

 

4. Incompletezza dei documenti di versamento.

L'art. 15 prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa da lire duecentomila a lire un milione nei casi in cui i documenti utilizzati per i versamenti diretti non contengono gli elementi necessari per l'identificazione del soggetto che li esegue e per l'imputazione della somma versata.

Rispetto alla previgente disposizione di cui all'art. 94 del D.P.R. n. 602 del 1973, sono state aumentate le misure minime e massime della sanzione (da lire duecentomila a lire un milione anziché da lire diciottomila a lire centoventimila).

Le previgenti sanzioni continueranno quindi ad essere applicate, in quanto più favorevoli, alle violazioni commesse fino al 31 marzo 1998.

Ai fini della determinazione della sanzione, nei casi in cui siano state commesse più violazioni nella compilazione dei documenti utilizzati per i versamenti diretti, si deve tener conto delle regole stabilite nell'art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997 che disciplina il concorso di violazioni e la continuazione. Tali regole trovano applicazione, ai sensi dell'art. 25, commi 1 e 2, dello stesso D.Lgs. n. 472 del 1997, anche con riferimento alle violazioni commesse fino al 31 marzo 1998.

Le violazioni in rassegna possono essere regolarizzate ai sensi dell'art. 13, commi 1, lettera b), e 4, del D.Lgs. n. 472 del 1997. Al riguardo, si precisa che la comunicazione dell'infrazione da parte del concessionario della riscossione all'ufficio o all'ente impositore, prevista dall'art. 15, comma 2, non preclude la possibilità di regolarizzare l'infrazione medesima mediante ravvedimento operoso.