Settore: | Normativa nazionale |
Data: | 10/07/1998 |
Numero: | 180 |
§ 98.1.39637 - Circolare 10 luglio 1998, n. 180/E .
Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie - Decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 e successive modificazioni ed integrazioni .
Emanata dal Ministero delle finanze. Pubblicata nella Gazz. Uff. 23 luglio 1998, n. 170, S.O.
Alla |
Direzione regionale delle entrate |
Agli |
Uffici delle entrate |
Agli |
Uffici del Registro |
Agli |
Uffici distrettuali delle imposte dirette |
Agli |
Uffici distrettuali delle imposte dirette |
Agli |
Uffici dell'imposta del valore aggiunto |
Ai |
Centri di servizio delle imposte dirette |
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ed indirette |
Alle |
Direzioni centrali del Dipartimento |
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delle entrate |
Alla |
Direzione generale degli affari generali |
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e del personale |
Al |
Segretario generale |
Al |
Servizio per il controllo interno |
Al |
Servizio consultivo ed ispettivo tributario |
Al |
Comando generale della Guardia di Finanza |
Premessa
Le continue e talvolta radicali modificazioni delle leggi tributarie, soprattutto negli ultimi decenni, nonché i mutamenti giurisprudenziali sull'interpretazione delle norme sanzionatorie per violazioni a tali leggi, avevano comportato profondi mutamenti dell'assetto originario, delineato con la
A ciò deve aggiungersi che il sistema sanzionatorio amministrativo italiano era stato complessivamente disciplinato con l'adozione di principi generali di matrice penalistica (artt. 1-11 della
Da qui, essenzialmente, la necessità di una generale riforma del sistema sanzionatorio tributario, intesa a conseguire un'organica razionalizzazione della relativa disciplina, che, venuta meno l'originaria connotazione risarcitoria delle sanzioni tributarie, le conformasse ai principi generali delle sanzioni amministrative dettati dalla ricordata
Tale esigenza è stata soddisfatta con l'adozione, nella
In attuazione della delega legislativa è stato quindi emanato il
Numerose sono le novità introdotte dalla riforma, sinteticamente si indicano quelle maggiormente significative e qualificanti.
In primo luogo, riguardo il contenuto e la natura della sanzione, si segnala l'adozione di un unico tipo, consistente nel pagamento di una somma di denaro, in luogo delle previgenti soprattasse e pene pecuniarie (la cui reciproca differenziazione era divenuta quanto mai ardua). Dal canto suo, la natura schiettamente afflittiva impressa alla sanzione tributaria comporta la riferibilità della stessa alla persona fisica che commette la violazione, salva la deroga per il caso del tutto peculiare dell'autore mediato. È peraltro prevista anche un'autonoma responsabilità solidale, di carattere civile, in capo al soggetto (persona fisica, società, associazione o ente), nel cui interesse o in rappresentanza del quale abbia agito l'autore della violazione, ogni qualvolta esso si avvantaggia delle conseguenze di tale violazione.
In relazione ai presupposti per l'applicazione della sanzione, vanno evidenziati la previsione espressa del principio di irretroattività della norma sanzionatoria, collegato a quello di legalità, e del principio del favor rei con riferimento al mutamento nel tempo della disciplina positiva, nonché l'introduzione dei principi di imputabilità e di colpevolezza (con inevitabile valorizzazione dell'elemento psicologico dell'illecito, pressoché ignota al sistema previgente), conseguenti alla già ricordata previsione di un unico tipo di sanzione afflittiva, la cui applicazione viene ancorata a criteri simili a quelli che presiedono alla determinazione della sanzione amministrativa secondo la
Altra novità di grande rilievo è costituita dalla nuova disciplina del concorso formale, del concorso materiale e della continuazione fra violazioni. Le nuove norme, ampliando senza paragone l'ambito applicativo di questi istituti, concorrono in maniera determinante ad un radicale ridimensionamento dell'entità delle sanzioni, che, nel sistema previgente, avevano raggiunto limiti tanto sproporzionati da rendere possibile la loro esecuzione solo a prezzo di determinare l'espulsione del soggetto responsabile dal sistema produttivo.
Nell'ottica di favorire l'adempimento degli obblighi tributari in genere, anche a mezzo di istituti premiali, è stato inoltre previsto un sistema di abbattimento dell'importo delle sanzioni, operante sia prima sia dopo l'irrogazione delle stesse. Da un lato si sono introdotte riduzioni dell'entità della sanzione edittale ancorate alla resipiscenza dell'autore della violazione e quindi fondate sull'adempimento spontaneo, anche se tardivo, dell'obbligazione tributaria; dall'altro lato sono stabilite riduzioni della sanzione irrogata (armonizzate con previsioni di carattere premiale proprie di altri istituti, quali l'accertamento con adesione e la rinuncia all'impugnazione del provvedimento di accertamento), legate alla rinuncia a contestare, in sede giurisdizionale o amministrativa, il provvedimento sanzionatorio, anche al fine di contenere il relativo contenzioso.
Avuto riguardo alle caratteristiche della sanzione, ma anche al rapporto esistente fra le violazioni sanzionate e le previsioni sostanziali concernenti i singoli tributi, il
Tutto ciò premesso, si procede ad una prima analisi delle disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, con un commento ai singoli articoli del
Formeranno oggetto di separata illustrazione le disposizioni del
Oggetto.
«1. Il presente decreto stabilisce le disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria.».
L'articolo 1 determina l'oggetto del decreto legislativo stabilendo che esso consiste nella previsione delle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria.
Le disposizioni contenute nel decreto, quando non derogate da previsioni legislative speciali, trovano perciò generale applicazione nella materia.
Sanzioni amministrative.
«1. Le sanzioni amministrative previste per la violazione di norme tributarie sono la sanzione pecuniaria, consistente nel pagamento di una somma di denaro, e le sanzioni accessorie, indicate nell'articolo 21, che possono essere irrogate solo nei casi espressamente previsti.
2. La sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione.
3. La somma irrogata a titolo di sanzione non produce interessi.
4. I limiti minimi e massimi e la misura della sanzione fissa possono essere aggiornati ogni tre anni in misura pari all'intera variazione accertata dall'ISTAT dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nei tre anni precedenti. A tal fine, entro il 30 giugno successivo al compimento del triennio, il Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, fissa le nuove misure, determinandone la decorrenza.».
Le disposizioni dettate nell'articolo 2 hanno carattere fortemente innovativo. Lo stesso, infatti, si compone di quattro commi, ognuno dei quali introduce principi del tutto nuovi che riguardano, rispettivamente, la tipologia delle sanzioni applicabili, la riferibilità delle stesse alla persona fisica, la previsione di non produttività di interessi delle sanzioni e, da ultimo, il meccanismo di aggiornamento periodico delle stesse.
1. Il comma 1 configura un'unica sanzione principale, consistente nel pagamento di una somma di denaro ed avente la stessa denominazione di quella contemplata dalla
La nuova sanzione pecuniaria, in aderenza del resto a quanto stabilito dalla legge delega (art. 3, comma 133, lett. a),
Va evidenziato, invece, che la previsione di un'unica tipologia di sanzione pecuniaria è estremamente importante anche dal punto di vista sostanziale, in quanto serve a chiarire che la funzione della sanzione tributaria è soltanto afflittiva e intimidatoria, ossia di deterrente rispetto alle violazioni, senza che si possa ancora ipotizzare una sua pretesa finalità anche risarcitoria.
Non si può dubitare, infatti, che i principi cardine sui quali si fonda il nuovo regime sanzionatorio tributario e che hanno accentuato in maniera netta la colorazione penalistica della nuova sanzione (principio di legalità, di imputabilità, di colpevolezza, del favor rei, ecc.) trovano applicazione sia nei casi in cui la stessa debba essere determinata tra un limite minimo e un limite massimo, sia quando la sua misura è prefissata direttamente dalla legge.
L'abolizione delle previgenti sanzioni trova conferma nell'art. 26, comma 1, del
2. Il comma 2 stabilisce che la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione; fissa, cioè, il principio di personalità della sanzione individuando, quale centro d'imputazione di conseguenze giuridiche, la persona fisica che ha posto in essere il comportamento trasgressivo rispetto all'obbligo tributario.
È di tutta evidenza la diversità rispetto alla regola previgente che addossava in ogni caso al contribuente (rectius: soggetto passivo d'imposta) la responsabilità delle violazioni delle norme tributarie.
3. Il comma 3 dispone che la somma irrogata a titolo di sanzione non produce interessi.
La norma in questione, se, per un verso, può apparire superflua per quei casi (vedi imposta di registro) in cui l'applicazione degli interessi non era prevista espressamente ma veniva giustificata parificando la natura giuridica della sanzione a quella del tributo (equiparazione ora assolutamente improponibile), per altro verso, si appalesa necessaria per fugare qualsiasi dubbio in merito all'abrogazione di quelle norme che, invece, stabilivano in maniera esplicita la suddetta applicabilità, come, per esempio, l'art. 5, comma 11, del
La nuova regola opera anche retroattivamente, ossia con riguardo alle violazioni commesse anteriormente al 1° aprile 1998, purché a tale data non sia stata ancora irrogata la sanzione, come prescrive l'art. 25, comma 1, del
Si precisa peraltro che la disposizione in commento non riguarda i casi di dilazione del pagamento nei quali gli interessi perseguono le finalità proprie degli interessi comuni e tendono a rimuovere il danno subito dall'Erario, rappresentato dalla mancata produttività del denaro e dal costo del medesimo.
Ne consegue che, nelle ipotesi in cui i soggetti interessati chiedono di avvalersi di quelle previsioni normative che consentono il pagamento rateizzato del debito tributario definito ed esigibile, sulle somme dilazionate si rendono dovuti gli interessi specificamente previsti.
Restano pertanto dovuti, a titolo esemplificativo, gli interessi al saggio legale sull'importo delle rate successive alla prima previsti nell'art. 8, comma 2, del
4. Il comma 4 prevede un meccanismo di adeguamento triennale delle misure delle sanzioni, legato all'eventuale variazione del potere d'acquisto della moneta, in conformità ad analoga previsione già introdotta nell'ordinamento per l'adeguamento delle sanzioni amministrative in materia di violazioni al Codice della strada. A tal fine è stabilito che, entro il 30 giugno successivo al compimento del triennio, il Ministro delle finanze, di concerto con quello del tesoro, fissa le nuove misure, determinandone la decorrenza.
Principio di legalità.
«1. Nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione.
2. Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato.
3. Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo.».
L'articolo 3 ha un contenuto più ampio di quanto non dice il titolo. Il principio di legalità, infatti, presuppone la necessità che la determinazione dei fatti che costituiscono violazione punibile sia riservata al legislatore. Con ciò si esclude in primo luogo l'integrazione analogica (da riferirsi a casi diversi da quelli considerati dalle norme sanzionatorie), ferma restando l'ammissibilità in linea generale dell'interpretazione estensiva (riconducibile invece al contenuto intrinseco delle norme stesse).
Il comma 1 dell'art. 3 riguarda, invece, il principio della irretroattività della norma sanzionatoria che, indubbiamente, si collega a quello di legalità ma è distinto da esso. Si tratta del principio fissato dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione con riferimento alle sanzioni penali e dall'art. 1 della
Ne consegue che, come nessuno può essere assoggettato a sanzione penale o amministrativa se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione, allo stesso modo nessuna violazione della norma tributaria può dare luogo all'irrogazione della sanzione se la relativa previsione legislativa non era in vigore al momento in cui essa è stata commessa.
Il principio in parola esclude che possa operare retroattivamente sia la norma che introduce nuove sanzioni sia quella che rende più onerosa l'entità di una sanzione già esistente.
I commi 2 e 3 introducono nel sistema sanzionatorio tributario il c.d. principio del favor rei, conseguente all'abolizione dell'opposta regola della "ultrattività" di cui all'art. 20 della
Com'è noto, secondo il citato art. 20 le disposizioni sanzionatorie si applicavano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore, anche se le stesse fossero state successivamente abrogate o modificate in senso più favorevole al trasgressore. Tale norma era stata in passato sospettata di incostituzionalità soprattutto perché ritenuta in contrasto con il citato art. 25 della Costituzione. Peraltro la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 164 del 1974, aveva ritenuto infondata la sollevata questione, statuendo che il solo principio elevato a rango costituzionale è quello della irretroattività della legge penale incriminatrice e non anche quello della retroattività della legge più favorevole al reo.
Come logica conseguenza dell'abolizione, nel settore sanzionatorio tributario non penale, della regola dell'ultrattività, ad opera dell'art. 29, il comma 2 dell'art. 3 stabilisce che, salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che in base ad una legge sopravvenuta non costituisce più violazione punibile. Si deve tuttavia sottolineare che non trattandosi di principio di rango costituzionale (come statuito dalla citata sentenza) lo stesso può essere derogato dalla legge; il che potrà accadere quando previsioni sanzionatorie siano legate a circostanze eccezionali che ne rendano probabile una limitata efficacia temporale. In tal caso, infatti, il favor rei si tradurrebbe nell'impunità del soggetto, in grado di prevedere agevolmente l'abrogazione della disposizione sanzionatoria.
Al di là dell'ipotesi di deroga legislativa, il principio del favor rei trova un limite soltanto nell'intervenuto pagamento della sanzione, giacché colui che ha pagato non può chiedere la restituzione, mentre, anche in presenza di provvedimento definitivo, non è possibile la riscossione delle somme (ancora) dovute. Tutto ciò, peraltro, a regime. Per le violazioni commesse anteriormente al 1° aprile 1998, occorre invece tener presente che la possibilità di applicare il principio di cui si discute è subordinata all'esistenza di un procedimento "in corso", come meglio si dirà in sede di commento dell'art. 25. Pertanto - è bene sottolinearlo - per i provvedimenti già definitivi alla data suddetta, la previsione del comma 2 non può operare.
Ancora, va precisato che la disposizione di cui al comma 2 trova applicazione sia nei casi in cui la legge posteriore si limiti ad abolire la sola sanzione, lasciando in vita l'obbligatorietà del comportamento prima sanzionabile, sia nell'ipotesi in cui venga eliminato un obbligo strumentale e, quindi, solo indirettamente la previsione sanzionatoria.
In sintesi, fermo restando quanto detto circa l'impossibilità di applicare l'art. 3 per i procedimenti già definiti alla data del 1° aprile 1998, se diviene lecito un comportamento posto in essere nella vigenza di una norma che in precedenza lo sanzionava, può accadere che, al momento dell'abolizione:
a) la sanzione non è stata ancora irrogata;
b) la sanzione è stata irrogata, ma l'obbligato non ha ancora pagato alcuna somma;
c) l'obbligato ha pagato in tutto o in parte la sanzione in dipendenza di un provvedimento non ancora definitivo;
d) l'obbligato ha pagato in tutto o in parte la sanzione a seguito di provvedimento definitivo.
Nel primo caso (a) nessuna sanzione può essere irrogata; nel secondo (b) nessuna somma può essere pretesa; nel terzo (c) la somma versata va restituita; nel quarto (d) la somma versata non può essere restituita.
Il comma 3 contempla l'ipotesi in cui la sanzione conseguente ad una determinata violazione sia stata diversamente disciplinata nel tempo. In tal caso, si applica la legge più favorevole al trasgressore, anche quando la violazione sia stata commessa nel vigore di una norma che stabiliva una sanzione più grave.
Questo caso differisce da quello previsto dal comma 2 (dove ci si trovava di fronte alla sopravvenuta eliminazione della sanzione) perché la sanzione resta, ma è più lieve e il trasgressore ha quindi il diritto ad un ricalcolo della sanzione eventualmente già applicata in modo da corrispondere quella più favorevole. In questa ipotesi, tuttavia, la definitività del provvedimento di irrogazione della sanzione impedisce in ogni caso (sia a regime che per il periodo transitorio) l'applicazione del regime più favorevole, quantunque la sanzione non sia stata ancora pagata.
In sintesi, se viene introdotta una sanzione più mite rispetto a quella in vigore al momento della violazione, può accadere che:
a) la sanzione non è stata ancora irrogata;
b) la sanzione è stata irrogata, ma il provvedimento non è ancora divenuto definitivo;
c) la sanzione è stata irrogata con provvedimento divenuto definitivo.
Nel primo caso (a) dovrà essere irrogata la sanzione più mite; nel secondo (b) la misura della sanzione dovrà essere ridotta in conformità alla previsione più favorevole, con diritto alla restituzione di quanto eventualmente già pagato in eccedenza; nel terzo (c) la sanzione irrogata secondo l'originaria previsione meno favorevole rimane dovuta.
Al fine di stabilire quale sia la norma effettivamente più favorevole, si ritiene che - in linea di massima - debbano essere utilizzati gli stessi criteri comunemente seguiti in diritto penale, tenendo peraltro sempre presente la specificità della materia tributaria.
Pertanto, la valutazione della disposizione più favorevole deve essere fatta in concreto e non in astratto (tenendo, quindi, conto anche delle circostanze aggravanti ed attenuanti o esimenti eventualmente previste dalla legge), paragonando i risultati che derivano dall'applicazione delle due norme alla situazione specifica che si presenta all'esame dell'ufficio o ente impositore.
Ovviamente è più favorevole la norma che, in relazione alla singola violazione autonomamente irrogabile, conduce a conseguenze meno onerose per il trasgressore. Così, per esempio, nel caso che la nuova legge elevi il massimo della sanzione, diminuendo nel contempo il minimo, si riterrà più favorevole la vecchia legge, se nel caso concreto l'ufficio ritiene di dover applicare il massimo; si riterrà più favorevole la nuova, se deve essere applicato il minimo.
Imputabilità.
«1. Non può essere assoggettato a sanzione chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, in base ai criteri indicati nel codice penale, la capacità di intendere e di volere.».
L'articolo 4 richiama il principio per il quale l'irrogazione della sanzione presuppone che l'autore della violazione abbia, in base ai criteri indicati nel codice penale, la capacità di intendere e di volere. Per gli articoli 85 e seguenti del codice penale, l'imputabilità è esclusa nei casi di infermità di mente, ubriachezza e intossicazione da stupefacenti, purché determinati da caso fortuito o forza maggiore, tali da escludere, appunto, la capacità di intendere e di volere. L'imputabilità non è esclusa in tutti i casi in cui lo stato di incapacità è dipeso da comportamento volontario o colposo. Inoltre, non è imputabile il minore di quattordici anni.
Come pare evidente, il presupposto dell'imputabilità, essenziale per poter addebitare ad un soggetto un comportamento che l'ordinamento considera negativamente, non dovrebbe dar luogo a problemi applicativi di rilievo giacché in materia tributaria il verificarsi di ipotesi nelle quali si possa dubitare della capacità di intendere e di volere di una persona che abbia compiuto il diciottesimo anno d'età è da ritenere estremamente improbabile.
Le uniche fattispecie concretamente prospettabili possono essere quelle nelle quali una violazione venga commessa da persona interdetta dopo la pronuncia di interdizione ovvero da persona che, benché non interdetta, si dimostri essere stata affetta da infermità di natura così grave da escludere del tutto la capacità di intendere e di volere.
Un problema di qualche rilievo anche pratico si prospetta, tuttavia, per quanto concerne i minori che abbiano compiuto i quattordici anni.
Mentre l'art. 2 della
Le ipotesi nelle quali si può prospettare la commissione di una violazione da parte di un minore sono limitate. Infatti, a parte il caso del minore emancipato che abbia ottenuto dal tribunale l'autorizzazione ad esercitare un'impresa commerciale, ai sensi dell'art. 397 del codice civile, e che, pertanto, è pienamente imputabile, si può pensare soltanto a violazioni di carattere formale compiute nell'esercizio di attività delegabili svolte alle dipendenze di altri (tenuto conto dell'anticipazione inerente alla capacità di agire stabilita dalla
Com'è noto, anche se, a rigore, gli acquisti compiuti dal minore sono invalidi per difetto di capacità di agire, essi costituiscono una realtà del tutto insopprimibile che, anche in ragione della ordinaria contestualità tra conclusione del contratto ed adempimento, non dà luogo nella vita di tutti i giorni all'esercizio dell'azione di annullamento. Di fatto, negli acquisti correnti, il minore è considerato capace ancorché a rigore non lo sia in base alla legge (artt. 2 e 1425 del codice civile) ed è quindi logico ritenere - almeno in via presuntiva - che egli sia anche capace di intendere e di volere e possa quindi essere considerato imputabile fino a prova contraria. Non si potrebbe far leva, per contraddire tale soluzione, sul fatto che il minore, dal punto di vista civilistico, non avrebbe poi la capacità di agire per eseguire validamente il pagamento della sanzione, che dovrebbe invece essere attuato dal suo rappresentante legale (genitore o tutore) giacché l'argomento è contraddetto dalla legislazione penale ove è certo che un'ammenda o una multa possono essere inflitte anche al soggetto che non abbia compiuto i diciotto anni.
Si osserva infine che il problema di cui trattasi non sussiste nei casi in cui la legge pone in capo ad altri soggetti determinati adempimenti da eseguire per conto del minore.
Così, per esempio, i genitori sono tenuti a presentare per conto del minore la dichiarazione dei redditi del minore stesso esclusi dall'usufrutto legale. Pertanto, in caso di omissione della dichiarazione, la violazione e le relative sanzioni saranno riferibili ai genitori.
Colpevolezza.
«1. Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Le violazioni commesse nell'esercizio dell'attività di consulenza tributaria e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficoltà sono punibili solo in caso di dolo o colpa grave.
2. Nei casi indicati nell'articolo 11, comma 1, se la violazione non è commessa con dolo o colpa grave, la sanzione, determinata anche in esito all'applicazione delle previsioni degli articoli 7, comma 3, e 12, non può essere eseguita nei confronti dell'autore, che non ne abbia tratto diretto vantaggio, in somma eccedente lire cento milioni, salvo quanto disposto dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, e salva, per l'intero, la responsabilità prevista a carico della persona fisica, della società, dell'associazione o dell'ente indicati nel medesimo articolo 11, comma 1. L'importo può essere adeguato ai sensi dell'articolo 2, comma 4.
3. La colpa è grave quando l'imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari. Non si considera determinato da colpa grave l'inadempimento occasionale ad obblighi di versamento del tributo.
4. È dolosa la violazione attuata con l'intento di pregiudicare la determinazione dell'imponibile o dell'imposta ovvero diretta ad ostacolare l'attività amministrativa di accertamento.».
L'articolo 5 detta un complesso di regole innovative di grandissimo rilievo.
1. Il comma 1 riprende la previsione dell'art. 42, ultimo comma, del codice penale, relativa alla responsabilità nelle contravvenzioni, e quella dell'art. 3, comma 1, della
La previsione del secondo periodo del comma 1, che richiama la regola fissata in ordine alla responsabilità professionale nell'art. 2236 del codice civile, esclude invece che la semplice colpa venga in rilievo al fine di configurare una violazione punibile a carico del consulente eventualmente in concorso con il contribuente o con l'autore della violazione, quando l'attività richiestagli attenga alla soluzione di problemi complessi.
La limitazione della responsabilità, di conseguenza e per logica derivazione, non riguarda lo svolgimento, da parte di soggetto investito eventualmente anche di attività di vera e propria consulenza, di compiti di carattere esecutivo che non implichino la soluzione di problemi interpretativi o di compiti complessi. Si può pensare alla negligenza nella tenuta delle scritture contabili affidate ad un professionista che comporti violazioni di carattere formale, ancorché suscettibili di riflettersi sulla determinazione o sul pagamento dell'imposta.
In siffatte ipotesi, ove il contribuente, che, ai sensi dell'art. 11, comma 2, si presume autore delle violazioni in quanto abbia sottoscritto le dichiarazioni o compiuto gli atti illegittimi, possa positivamente dimostrare di aver tempestivamente trasmesso al professionista i dati da tradurre nella contabilità a questi affidata, la violazione dovrà essere addebitata a quest'ultimo. Per contro, ove il contribuente avesse agito in base ad un parere tecnico in materia opinabile o particolarmente complessa anche dal punto di vista dell'interpretazione, la responsabilità del professionista non potrebbe esser ritenuta, se non nel caso in cui l'Amministrazione fosse in grado di dimostrare che questi aveva agito con dolo o colpa grave.
Per altro verso, si deve rilevare che la limitazione della responsabilità al dolo e alla colpa grave non riguarda soltanto i soggetti esercenti una libera professione (ragionieri o dottori commercialisti, consulenti del lavoro, avvocati, ecc.), in ragione del fatto che la consulenza tributaria costituisce attività non protetta, suscettibile quindi di essere esercitata indipendentemente dall'iscrizione in un albo professionale ed anche dalla stipulazione di un vero e proprio contratto d'opera. In particolare, risponderanno delle violazioni solamente per dolo e colpa grave, ad esempio, i responsabili delle associazioni di categoria che forniscano ai propri associati attività di consulenza, ossia attività riconducibili all'interpretazione delle norme tributarie che si traducano in "problemi di speciale difficoltà".
Restano invece escluse dalla limitazione della responsabilità le attività della stessa natura compiute dai dipendenti del contribuente quando il loro svolgimento sia stato loro delegato in modo formale con i requisiti idonei a trasferire la responsabilità presunta addossata dall'art. 11, comma 2, al contribuente medesimo o al suo rappresentante, requisiti dei quali si tratterà illustrando l'art. 11.
2. Passando ad esaminare le nozioni di colpa, colpa grave e dolo e muovendo dalla nozione di colpa, ci si deve riferire in primo luogo alla previsione dell'art. 43 del codice penale, secondo cui si ha colpa quando l'evento non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
La nozione, adattata alla materia delle sanzioni amministrative tributarie, implica che sussista colpa ogni qualvolta le violazioni siano conseguenza di insufficiente attenzione o di inadeguata organizzazione rispetto ai doveri imposti dalla legge fiscale (negligenza), ovvero di atteggiamenti o decisioni avventate, assunte cioè senza le cautele consigliate dalle circostanze, nei comportamenti intesi ad adempiere gli obblighi tributari (imprudenza), ovvero in una insufficiente conoscenza degli obblighi medesimi che si possa però far risalire ad un difetto di diligenza in relazione alla preparazione media riferibile ad un soggetto i cui comportamenti rilevano ai fini fiscali (imperizia).
Occorre precisare, a questo riguardo, che l'imperizia colpevole non è soltanto quella di colui che, in relazione all'attività che gli è propria, si deve ritenere in grado di conoscere ed interpretare correttamente la legge, ma anche quella di colui che, non essendo in grado di curare personalmente l'adempimento degli obblighi fiscali, è però in condizione di rendersi conto della insufficienza delle sue cognizioni e della necessità di sopperire a tale insufficienza. In ultima analisi, ciò che si pretende è che ciascuno operi, di persona o ricorrendo all'ausilio di altri, tenendo un comportamento caratterizzato da diligenza e prudenza.
Nell'analisi del successivo articolo 6 si darà conto del confine tra colpa e comportamento incolpevole; per il momento basti sottolineare che di fronte alla violazione di una previsione legale è lecito, in prima battuta, presumere che essa risalga, quanto meno, ad un comportamento colposo, salva la successiva verifica della reale esistenza di colpa ovvero salva la possibilità di individuare l'esistenza di dolo o colpa grave nel corso del procedimento per l'irrogazione della sanzione.
A questo riguardo, si deve sottolineare che la regola di giudizio non può essere quella schiettamente civilistica ove, per sottrarsi alle conseguenze dell'inadempimento, è indispensabile fornire la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Per non incorrere nella sanzione tributaria è sufficiente invece dimostrare di aver tenuto un comportamento diligente.
Il fatto che, in presenza di una violazione, sia possibile presumere, in prima battuta, che essa sia stata determinata da colpa non implica che, negli atti di contestazione (art. 16) o nei provvedimenti di irrogazione (art. 17, comma 1), l'ufficio o l'ente possano omettere qualsiasi motivazione, anche se, in mancanza di elementi positivi tali da mettere in luce indizi specifici che denuncino negligenza, imprudenza o imperizia, essa finirà per consistere nell'individuazione della norma violata e dei fatti attribuiti al trasgressore.
3. I commi 3 e 4 dell'art. 5 delineano, accanto alla nozione di colpa non definita espressamente e desumibile dai principi generali dell'ordinamento e, in specie, come si è visto, dall'art. 43 codice penale, le nozioni di colpa grave e di dolo.
Si considera dolosa, la violazione attuata con l'intento di pregiudicare la determinazione dell'imponibile o dell'imposta ovvero di ostacolare l'attività amministrativa di accertamento.
Ciò che rileva in questa nozione è la volontà dell'autore della violazione consapevolmente diretta all'evasione, cosicché non è mai possibile considerare doloso quel comportamento che, pur violando la legge tributaria, non persegua intenzionalmente siffatto obiettivo. In altre parole, il dolo così definito è dolo specifico e rimane esclusa ogni possibilità di introdurre nella materia la nozione di dolo eventuale.
Il comma 3 dà una definizione di colpa grave estremamente restrittiva, in quanto la connette all'imperizia o negligenza indiscutibili (non si parla di imprudenza, da considerare assorbita nella nozione di negligenza) ovvero, avendo riguardo al possibile errore di diritto, all'impossibilità di dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata.
Queste proposizioni definiscono comportamenti caratterizzati da violazioni palesi sia sul piano dei fatti, sia sul piano dell'interpretazione giuridica, tali da comportare, come risulta dalla stessa previsione, l'evidente macroscopica inosservanza di obblighi tributari elementari. La formulazione legislativa, che ribadisce con un'endiadi la necessità che l'inosservanza di obblighi tributari appaia a prima vista e si riferisca a doveri la cui esistenza e consistenza non possa sfuggire ad alcuno, rende estremamente difficile individuare in concreto ipotesi di colpa grave.
Nell'ultimo periodo dello stesso comma 3, è stato precisato che non si considera determinato da colpa grave l'inadempimento occasionale ad obblighi di versamento del tributo. Se ne può inferire che costituisca invece espressione almeno di colpa grave, se non di dolo, l'inadempimento sistematico ad obblighi di versamento.
Certo è che l'intendimento del legislatore, che risulta dalle parole utilizzate nel comma 3, è sicuramente quello di limitare al massimo le ipotesi di colpa grave cosicché questa finisce per costituire uno stato soggettivo assai prossimo - o meglio contiguo - al dolo, dal quale differisce soltanto in quanto non vi è la possibilità di individuare con certezza il carattere intenzionale della violazione. D'altro canto, come già detto, l'inosservanza, oggettivamente valutata, deve apparire macroscopica e appuntarsi su obblighi elementari, violati in forza di un comportamento senz'altro qualificabile secondo i canoni dell'imperizia o negligenza di indiscutibile evidenza, ovvero in forza di un'interpretazione contrastante con una norma del cui significato ed ambito di applicazione non si possa dubitare.
Sia il dolo, sia la colpa grave non possono in alcun caso essere presunti: l'ufficio o l'ente impositore, se ritengono che una determinata violazione sia stata commessa con dolo o colpa grave, devono necessariamente motivare in maniera specifica il loro convincimento ed indicare gli elementi probatori che lo determinano. Di fatto, in tali ipotesi, sarà opportuno, adottare, come meglio si dirà poi, il procedimento di irrogazione previsto dall'art. 16, giacché questo consente (o almeno può consentire) già nella fase amministrativa un esame completo delle difese proposte dall'autore della violazione (e dagli eventuali coobbligati).
4. La distinzione tra colpa da un lato e colpa grave e dolo dall'altro, ha importanza fondamentale anche in relazione alle previsioni del comma 2 dell'art. 5. Ed infatti, la responsabilità dell'autore della violazione che non coincida con il soggetto contribuente e non abbia tratto da essa diretto vantaggio, è limitata alla somma di cento milioni quando la violazione è commessa con colpa e non, appunto, con dolo o colpa grave.
La disposizione ha carattere complesso, cosicché è necessario chiarirne con esattezza la portata. Essa riguarda, come si deduce dall'art. 11, comma 1, le persone fisiche che abbiano commesso una violazione tributaria in qualità di dipendenti, rappresentanti legali e negoziali di una persona fisica nell'adempimento del loro ufficio o mandato, ovvero in qualità di dipendenti, rappresentanti o amministratori, anche di fatto, di società, associazioni od enti, con o senza personalità giuridica, nell'adempimento delle loro funzioni o incombenze.
La ratio della norma è quella di limitare la responsabilità di quei soggetti che non traggano direttamente vantaggio dalla violazione, vantaggio che si determina in favore del soggetto contribuente, sia esso persona fisica, società, associazione o ente. Siffatta ratio comporta che le qualificazioni con le quali l'autore della violazione è individuato nell'art. 11, comma 1, debbano essere interpretate in maniera estensiva. Così la nozione di dipendente non include solamente il lavoratore subordinato propriamente detto, ma tutti coloro che si trovano nella condizione di agire nell'interesse del contribuente ed in rapporto di fatto assimilabile a quello di lavoro subordinato quali, ad esempio, il socio lavoratore di società cooperativa ovvero il lavoratore in rapporto di dipendenza con una società capogruppo, addetto a mansioni di rilevanza fiscale proprie di una società controllata o collegata.
Per identità di ragione, il riferimento al diretto vantaggio tratto dall'autore della violazione, che impedisce l'operare della limitazione della responsabilità, va interpretato restrittivamente. Si deve trattare di un vantaggio che si traduce immediatamente nel patrimonio del soggetto: tale non è, quindi, quello che potrebbe derivare all'amministratore, al socio o al dipendente titolare di quote o azioni della società dall'eventuale incremento dei dividendi o delle quote di utile connesso al vantaggio fiscale conseguito dalla società medesima in dipendenza dalla violazione. In buona sostanza, il riferimento al diretto vantaggio espresso nell'art. 5 sta ad indicare, semplicemente, che l'autore della violazione per fruire della limitazione della responsabilità non deve di fatto coincidere con il soggetto contribuente.
L'ambito oggettivo della limitazione viene individuato dal riferimento alla sanzione determinata anche in esito all'applicazione delle previsioni degli articoli 7, comma 3, e 12. Per comprendere il significato di tale individuazione, occorre tenere presente l'unificazione della sanzione risultante dall'art. 12 ossia dalle regole sulla continuazione che, nel nuovo regime, comportano l'irrogazione di una sanzione unica per tutte le violazioni riferite anche a più tributi ed a più esercizi d'imposta, legate fra loro dal vincolo della progressione (art. 12, comma 2).
Poiché si deve aver riguardo, appunto, alla sanzione così unificata e determinata inoltre con riferimento all'art. 7, comma 3, - tenendo cioè conto dell'eventuale recidiva - il limite di cento milioni coprirà tutte le violazioni di carattere sostanziale (incidenti, cioè, sull'ammontare o sul pagamento del tributo) commesse dalla persona, anche se riferite a più esercizi e a più tributi facenti capo ad un unico ente impositore, fino al momento in cui la continuazione sia stata interrotta dalla constatazione delle violazioni.
In sostanza, il limite di cento milioni opererà per tutte le violazioni di carattere sostanziale commesse dall'autore delle violazione fino al momento della loro constatazione ancorché esse non siano state constatate e/o contestate, ma vengano individuate, eventualmente per iniziativa dello stesso autore, anche in epoca successiva a quella della constatazione, della contestazione e della stessa irrogazione di una sanzione per alcune soltanto delle violazioni.
Si faccia il caso in cui, in esito alla constatazione avvenuta nel 2002 di violazioni riguardanti infedeltà delle dichiarazioni ai fini I.R.P.E.F. ed I.V.A. relative alle annualità 1998 e 1999, venga irrogata una sanzione unica ai sensi dell'art. 12, commi 2, 3 e 5, e che l'autore della violazione riferisca di aver commesso le medesime violazioni anche nella dichiarazione relativa all'annualità 2000 (violazione commessa quindi nel 2001). In tal caso, l'ufficio, se ed in quanto ritenga di provvedere al nuovo accertamento e alla contestazione della violazione per l'anno 2000, dovrà rideterminare la sanzione unica tenendo conto della continuazione ulteriore e il limite di cento milioni opererà rispetto alla maggior sanzione così determinata. Nel caso in cui sia stata già corrisposta la somma relativa alla sanzione in precedenza determinata in somma inferiore a lire cento milioni e sia applicabile il limite previsto dall'art. 5, comma 2, potrà essere pretesa, dall'autore delle violazioni continuate, soltanto la differenza fino a concorrenza di quest'ultimo ammontare. Se, invece, la sanzione precedentemente determinata raggiungeva o superava i cento milioni e questi sono stati già corrisposti, null'altro può essere preteso, salva la responsabilità dei soggetti obbligati in via solidale ai sensi dell'art. 11.
Cause di non punibilità.
«1. Se la violazione è conseguenza di errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da colpa. Le rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri contabili e le valutazioni eseguite secondo corretti criteri di stima non danno luogo a violazioni punibili. In ogni caso, non si considerano colpose le violazioni conseguenti a valutazioni estimative, ancorché relative alle operazioni disciplinate nel
2. Non è punibile l'autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento.
3. Il contribuente, il sostituto e il responsabile d'imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all'autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi.
4. L'ignoranza della legge tributaria non rileva se non si tratta di ignoranza inevitabile.
5. Non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore.».
L'art. 6 delimita la nozione di colpa contemplando espressamente ipotesi di esclusione della responsabilità per mancanza dell'elemento soggettivo indispensabile per fondarla.
1. Il comma 1 prende in considerazione l'errore sul fatto, che si verifica quando il soggetto ritiene di tenere un comportamento diverso da quello vietato dalla norma sanzionatoria: reputa, ad esempio, di redigere una dichiarazione di successione completa e fedele in quanto ignora l'esistenza di determinati beni nell'asse ereditario.
Rispetto ad esso, e quindi alla falsa rappresentazione della realtà che interviene nel processo formativo della volontà dell'agente, l'art. 6, comma 1, esclude la responsabilità quando l'errore non è determinato da colpa. Il fattore discriminante è quindi costituito dalla causa dell'errore medesimo. Se esso dipende da imprudenza, negligenza o imperizia, non rileva ai fini dell'esclusione della responsabilità, ma se il trasgressore ha osservato la normale diligenza nella ricostruzione della realtà, l'errore in cui è incorso esclude la colpa richiesta dal precedente articolo 5. Per contro - si ribadisce - l'errore evitabile con l'uso dell'ordinaria diligenza, quella cioè che si può ragionevolmente pretendere dal soggetto agente, non influisce sulla punibilità.
2. L'ultimo periodo del comma 1 delimita, per altro verso, la nozione di colpa.
La previsione secondo la quale rilevazioni e valutazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri contabili e corretti criteri di stima non si traducono mai in violazioni punibili potrebbe apparire del tutto ovvia. Il significato che le si può attribuire, in concreto, è quello di rendere non sanzionabili, ad esempio, le violazioni consistenti in inosservanza del principio di competenza temporale nella determinazione del reddito d'impresa, ossia l'errata imputazione ad un esercizio, piuttosto che ad un altro, di costi o ricavi determinati, sempreché siano stati applicati corretti principi contabili e sia stata rispettata la continuità dei valori di bilancio.
La seconda parte del periodo prevede, invece, una soglia di punibilità nel caso in cui siano state eseguite valutazioni estimative errate e quindi che una violazione sia in astratto configurabile. La norma preclude, infatti, la punibilità di tali violazioni, escludendo che queste possano considerarsi colpose se il valore dichiarato differisce da quello accertato in misura non eccedente il 5 per cento. Si deve sottolineare che la soglia opera anche rispetto alle operazioni straordinarie disciplinate nel
3. Il comma 2 affronta la questione dell'errore di diritto che viene ritenuto rilevante, tale cioè da escludere la colpa, quando le violazioni sono determinate da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni e dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento.
Anche rispetto all'errore di diritto, quindi, rileva il carattere incolpevole, che la disposizione in esame connette in primo luogo all'obiettiva incertezza sul significato della legge. Si deve reputare che sussista incertezza obiettiva di fronte a previsioni normative equivoche, tali da ammettere interpretazioni diverse e da non consentire, in un determinato momento, l'individuazione certa di un significato determinato. Una tale situazione, non infrequente rispetto alle norme tributarie assai spesso complesse e non univoche, si può verificare, ad esempio, in presenza di leggi di recente emanazione rispetto alle quali non si sia formato un orientamento interpretativo definito, ovvero coesistano orientamenti contraddittori.
Una seconda ipotesi, formulata espressamente nell'articolo in esame, attiene alla possibilità che l'autore della violazione sia stato indotto in errore da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione ed il pagamento. La ratio della previsione non differisce da quella già considerata: si tratta ancora di attribuire rilievo ad un errore non determinato da colpa, ma la norma pone qui l'accento sull'esigenza che la pubblica amministrazione si comporti in maniera chiara e leale ponendo il cittadino in condizioni di comprendere senza difficoltà ciò che gli si domanda. Le richieste di informazioni, perciò, dovranno essere quanto più possibile circostanziate, puntuali e leggibili, in modo da non ingenerare giustificati dubbi di interpretazione.
È da ritenere, poi, che quantunque si parli espressamene soltanto di richieste di informazioni e di modelli per la dichiarazione e per il pagamento, il principio eserciti efficacia in tutti i casi in cui, anche con atti o comportamenti di diversa natura, gli uffici dell'amministrazione finanziaria o gli enti impositori inducano in errore (seppur involontariamente) o comunque disorientino i contribuenti.
La previsione riprende il contenuto dell'art. 8 del
4. Anche il comma 4, che stabilisce il principio per il quale l'ignoranza della legge tributaria non ha rilevanza a meno che si tratti di ignoranza inevitabile, disciplina una particolare ipotesi di errore di diritto richiamando, nella materia, il principio fissato nell'art. 5 del codice penale, tenendo però conto del principio risultante dalla sentenza 24 marzo 1988 n. 364 della Corte costituzionale. L'ignoranza inevitabile della legge si risolve infatti in errore di diritto e la norma esprime l'ipotesi estrema nella quale - al di fuori dei casi considerati nel comma 2, già esaminati - siffatto errore rileva ai fini delle sanzioni tributarie. Presupposto dell'ignoranza inevitabile è tuttavia, in conformità al pacifico orientamento giurisprudenziale formatosi a proposito dell'art. 5 del codice penale, che nessun rimprovero, neppur di leggerezza, possa esser mosso all'autore della violazione per aver egli fatto tutto il possibile per uniformarsi alla legge.
5. Il comma 3 contempla le ipotesi di omesso pagamento del tributo determinato da fatto illecito altrui e disciplina, perciò, in modo più ampio le fattispecie che già formano oggetto della
L'art. 6, comma 3, non abroga la
Si precisa peraltro che la responsabilità per sanzione a carico del contribuente, sostituto o responsabile d'imposta non è esclusa nel caso in cui il mandato avente oggetto l'esecuzione del pagamento sia stato conferito a soggetto non affidabile secondo criteri di ordinaria diligenza, vi sia stata, cioè, una culpa in eligendo. Questa indagine non è necessaria nelle ipotesi specificamente indicate dalla
Si deve ritenere che la disposizione in rassegna si possa applicare anche ad ipotesi nelle quali il fatto illecito penalmente rilevante del terzo non presuppone il conferimento di un mandato, anche se i casi prospettabili sono di difficile realizzazione. Si può pensare, per esempio, al dipendente della banca alla quale viene conferita la delega per il pagamento che si appropri della somma corrispondente al tributo distruggendo l'atto di delega.
Inoltre, la formulazione dell'art. 6, comma 3, non presuppone, ai fini dell'esclusione della responsabilità per sanzione, la condanna del terzo, ma, come si è già detto, si devono ritenere applicabili le previsioni procedimentali dettate dalla
È il caso di richiamare, rispetto alla disciplina in esame, l'osservazione espressa nella relazione ministeriale di accompagnamento allo schema del decreto legislativo approvato dal consiglio dei ministri in data 10 aprile 1997, ove si afferma che la norma sottende l'impossibilità di deleghe a terzi estranei all'organizzazione propria dell'impresa e che non abbiano veste di rappresentanti volontari o legali, diverse da quelle concernenti il versamento del tributo, così da sollecitare la sorveglianza degli obbligati sull'esecuzione del pagamento ad altri rimesso. Il che tuttavia non esclude, secondo quanto si è già detto a proposito dell'art. 5, comma 1, la responsabilità personale del consulente ove questi abbia agito con dolo o colpa grave ovvero, nelle ipotesi già indicate e rispetto all'esecuzione di obblighi "materiali", abbia agito con colpa.
6. Il comma 5 prende in considerazione, quale ulteriore causa di esclusione dell'elemento soggettivo dell'illecito, la forza maggiore, mentre è stato ignorato il caso fortuito, difficilmente ipotizzabile nella materia e che, in ogni caso, si tradurrebbe in mancanza dell'elemento soggettivo (colpa o dolo) indispensabile per configurare una violazione punibile.
Per forza maggiore si deve intendere ogni forza del mondo esterno che determina in modo necessario e inevitabile il comportamento del soggetto. Si può ipotizzare un'interruzione delle comunicazioni, in conseguenza di eventi naturali, tale da impedire di raggiungere il luogo ove il pagamento può essere eseguito anche se, in casi del genere, come nel caso di sciopero che impedisca l'esecuzione dell'adempimento dovuto, la causa di forza maggiore viene di solito accertata con apposito decreto.
Criteri di determinazione della sanzione.
«1. Nella determinazione della sanzione si ha riguardo alla gravità della violazione desunta anche dalla condotta dell'agente, all'opera da lui volta per l'eliminazione o l'attenuazione delle conseguenze, nonché alla sua personalità e alle condizioni economiche e sociali.
2. La personalità del trasgressore è desunta anche dai suoi precedenti fiscali.
3. La sanzione può essere aumentata fino alla metà nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, sia incorso in altra violazione della stessa indole non definita ai sensi degli articoli 13, 16 e 17 o in dipendenza di adesione all'accertamento. Sono considerate della stessa indole le violazioni delle stesse disposizioni e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono e dei motivi che le determinano o per le modalità dell'azione, presentano profili di sostanziale identità.
4. Qualora concorrano eccezionali circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l'entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo.».
1. Il comma 1 dell'art. 7 prevede che nella determinazione quantitativa della sanzione si debba aver riguardo, in primo luogo, alla gravità della violazione, per giudicare della quale si può anche far riferimento alle caratteristiche della condotta dell'agente, all'opera da lui svolta per l'attenuazione o l'eliminazione delle conseguenze e, per altro verso, alla personalità del trasgressore e alle sue condizioni economiche sociali. La previsione ripropone, sostanzialmente, la regola prevista dall'art. 11 della
La gravità della violazione può quindi essere desunta sia dall'entità quantitativa del tributo la cui riscossione è impedita o messa in pericolo, entità che peraltro è logico raffrontare alla proporzione fra imposta evasa ed imposta complessivamente dovuta, sia alle caratteristiche della condotta, dolosa o più o meno gravemente colposa, e alle modalità più o meno insidiose della condotta con particolare riguardo anche al comportamento successivo del soggetto agente. Si faccia, per esempio, il caso di colui che, pur non potendo più fruire degli abbattimenti della sanzione connessi al ravvedimento (art. 13), porti spontaneamente a conoscenza dell'amministrazione l'infrazione commessa.
Valutata la gravità della violazione sulla base dei criteri dianzi enunciati, si dovrà tenere conto, nella determinazione della sanzione, anche della personalità dell'autore della violazione e delle sue condizioni economiche e sociali. È ovvio che il peso della sanzione è minore quanto maggiori sono le disponibilità economiche di colui al quale viene inflitta e, nei limiti del possibile, occorre avere riguardo a tale constatazione per non nascondere dietro all'eguaglianza formale un'iniquità sostanziale.
La personalità del trasgressore, ai sensi del comma 2, può essere desunta anche dai suoi precedenti fiscali. A tal fine saranno considerati gli elementi rilevabili dalle contestazioni eseguite e dalle informazioni disponibili al Sistema informativo.
2. Il comma 3 contempla l'istituto della recidiva (specifica infratriennale). Prevede, infatti, che la sanzione possa essere aumentata fino alla metà nei confronti di chi nei tre anni precedenti sia incorso in altra violazione della stessa indole.
Devono considerarsi della stessa indole non solo le violazioni delle stesse disposizioni ma anche quelle di disposizioni diverse che presentino però profili di sostanziale identità per la natura dei fatti che le costituiscono e dei motivi che le determinano.
A titolo esemplificativo, si può pensare ad una prima infrazione consistente in una dichiarazione infedele rilevante ai soli fini delle imposte dirette (indebita deduzione di una quota di ammortamento) e ad una successiva infrazione consistente in una infedele dichiarazione ai fini I.V.A.: benché le disposizioni violate siano diverse, pare evidente la sostanziale identità delle due violazioni.
Si tenga presente che, come meglio si dirà, secondo un principio di diritto penale, la recidiva è compatibile con la continuazione. Ne consegue che, prima di procedere all'unificazione della sanzione ai sensi dell'art. 12 del decreto, la sanzione determinata per la violazione intervenuta in un secondo momento può essere previamente aumentata ai sensi dell'art. 7, comma 3. Per fare un esempio, se il contribuente ha commesso una violazione per infedele dichiarazione relativa all'esercizio 1995 e un'identica violazione relativa a due diversi periodi d'imposta, la sanzione determinata per la seconda violazione può essere aumentata fino alla metà in considerazione della recidiva e poi, qualora risulti più grave, essere nuovamente aumentata dalla metà al triplo in relazione alle previsioni dell'art. 12, comma 5.
Si evidenzia infine che, ai fini della recidiva, non rilevano le violazioni regolarizzate spontaneamente ai sensi dell'art. 13 e quelle definite ai sensi degli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, o in dipendenza di adesione all'accertamento.
3. L'ultimo comma dell'art. 7 prevede, in via di eccezione, che qualora concorrano eccezionali circostanze che rendano manifesta la sproporzione fra l'entità del tributo e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo. La previsione deriva dall'art. 1 del decreto ministeriale 1° settembre 1931 anche se è formulata in termini maggiormente generici. Essa costituisce, secondo l'espressa e chiara dizione legislativa, una facoltà di carattere del tutto eccezionale.
Intrasmissibilità della sanzione agli eredi.
«1. L'obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi.».
La natura schiettamente afflittiva ed intimidatoria propria della nuova sanzione amministrativa tributaria, comporta che, come la sanzione amministrativa prevista dall'art. 7 della
L'intrasmissibilità opera indipendentemente dal fatto che la sanzione sia stata già irrogata con provvedimento definitivo. Anche in questo caso il credito si estingue con la morte dell'autore della violazione.
È appena il caso di rilevare che, come meglio sarà chiarito in sede di commento all'art. 11, comma 7, la sopravvivenza dell'obbligazione solidale sorta in capo al contribuente alla morte dell'autore della violazione, nulla ha a che fare con il principio di intrasmissibilità.
Concorso di persone.
«1. Quando più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta. Tuttavia, quando la violazione consiste nell'omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti, è irrogata una sola sanzione e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il diritto di regresso.».
1. L'articolo introduce nel sistema delle sanzioni tributarie la regola penalistica del concorso di persone nel reato (art. 110 del codice penale), già recepita per le sanzioni amministrative dall'art. 5 della
La disciplina del concorso di persone nel reato, com'è noto, ha per oggetto le fattispecie nelle quali la condotta penalmente rilevante è posta in essere da più soggetti: ciò non solo nell'ipotesi in cui ciascun correo realizza compiutamente il fatto - reato (ad es. tutti i complici compiono un furto), ma anche quando ciascuno di essi, ponendo in essere una sola frazione di quel fatto, non sarebbe punibile perché non ha integrato la condotta tipica prevista dalla norma (ad esempio Tizio si limita a fornire a Caio uno strumento da scasso, con il quale quest'ultimo compie l'effrazione della porta di un'abitazione, mentre Sempronio si impossessa dei preziosi in essa contenuti). Appunto per evitare vuoti di tutela, l'ordinamento penale prevede - attraverso la combinazione della norma generale sul concorso di persone e della norma speciale incriminatrice del singolo reato - la punibilità di chiunque concorre, cioè partecipa fattivamente mediante il proprio contributo causale, alla realizzazione di un qualsiasi reato, pur non realizzandolo compiutamente con la propria condotta.
Elementi costitutivi della fattispecie concorsuale sono:
1) una pluralità di soggetti agenti;
2) la realizzazione di una fattispecie di reato;
3) il contributo di ciascun concorrente alla realizzazione del reato;
4) l'elemento soggettivo.
Quanto al primo elemento, è ovvio che per aversi concorso deve sussistere una pluralità di partecipanti. È importante invece sottolineare che non rilevano affatto eventuali cause di non punibilità relative a uno o più dei compartecipi: in altri termini, se uno di essi non è imputabile (ad esempio per minore età o per incapacità di intendere e di volere), non per questo il concorso viene meno. Va inoltre ricordato che il concorso può essere necessario o eventuale, a seconda che la norma incriminatrice della fattispecie monosoggettiva richieda oppure no, per la realizzazione del fatto - reato, la partecipazione fattiva di più soggetti: così sono reati a concorso necessario, ad esempio, la rissa, la corruzione, il duello.
Il secondo elemento riguarda la realizzazione di una fattispecie di reato. Come già detto, nella disciplina del concorso non rileva che la condotta punita sia posta in essere da tutti i concorrenti, essendo sufficiente la realizzazione cosiddetta frazionata di tale condotta, purché sussista l'elemento del contributo di ciascuno di essi. Per il diritto penale, inoltre, è sufficiente che sia realizzato un fatto - reato punibile e tale è anche il delitto tentato.
In ordine al terzo elemento, si ricorda che il contributo del concorrente può esplicarsi sia a livello materiale sia a livello psicologico. Nella prima forma, il contributo ricorre quando la condotta (anche omissiva) dell'agente facilita, agevolandola o rinforzandola, la condotta degli altri concorrenti: in altre parole non è necessario che il contributo sia condizionante, cioè sia tale che in sua assenza il reato non si sarebbe compiuto, ma occorre che abbia in concreto permesso la sua realizzazione, anche se il reato avrebbe potuto essere realizzato in altro modo (ad esempio, è determinante ai fini della responsabilità a titolo di concorso la condotta del concorrente che consegna allo scassinatore, già fornito di strumenti sicuramente adatti all'apertura di una cassaforte, la chiave della cassaforte medesima, se di essa viene fatto uso per l'apertura). Il contributo può essere fornito anche sotto forma di partecipazione psichica (cosiddetto concorso morale), facendo sorgere in altri un proposito criminoso prima inesistente ovvero rafforzando quello già maturato: le condotte possono essere varie (suggerimento, consiglio, mandato, ecc.), ma per assumere rilievo devono aver quantomeno agevolato, mediante una effettiva influenza sull'atteggiamento psichico dell'autore materiale, la realizzazione del reato.
Il quarto elemento richiesto per la sussistenza del concorso è quello soggettivo: la condotta del concorrente, infatti, deve essere animata dalla piena consapevolezza di contribuire, con la propria partecipazione, alla realizzazione di un reato. La consapevolezza di partecipare con altri non è necessario che sussista originariamente (cosiddetto previo concerto); essa può anche sopravvenire nel corso dello svolgimento del comportamento. Così configurato, l'elemento soggettivo richiesto è quello doloso, non ritenendosi configurabile, in assenza di una specifica previsione legislativa, prevista invece in via generale per i reati colposi (art. 42, secondo comma, c.p.), una responsabilità a titolo di colpa nel reato concorsuale doloso. Il diritto penale, inoltre, ammette anche la cooperazione colposa (art. 113 c.p.), che viene integrata allorché nel delitto (sono perciò escluse le contravvenzioni) l'evento è cagionato dalla cooperazione di più persone: si tratta dei casi nei quali i concorrenti sono consapevoli di collaborare, con la propria condotta, all'altrui azione materiale (beninteso senza volerne la realizzazione, perché, altrimenti, sussisterebbe l'elemento soggettivo doloso), consapevoli del carattere colposo di quest'ultima. Anche nella cooperazione colposa, al pari del concorso, vengono incriminate condotte - in questo caso di violazione di norme a contenuto cautelare - che di per sé non costituiscono reato.
2. Ciò detto in merito ai tratti fondamentali dell'istituto, occorre ora considerare la sua disciplina in campo tributario. Per la sussistenza del concorso nella violazione di norme tributarie è necessaria la contemporanea sussistenza dei quattro elementi suddetti, con i seguenti adattamenti.
Quanto alla pluralità di soggetti agenti, non risultando sussistere ipotesi di illeciti tributari a concorso necessario, si configurano sempre ipotesi di concorso eventuale, sicché dovrà valutarsi con particolare attenzione il contributo fornito da ciascun concorrente nella realizzazione dell'illecito.
In ordine alla perpetrazione della violazione, va ricordato che quest'ultima dovrà essere compiutamente realizzata, poiché non esiste l'istituto della violazione amministrativa tentata, a somiglianza del delitto tentato.
Relativamente all'apporto causale del concorrente sembra di poter dire che esso potrà configurarsi con maggiore frequenza nella forma della partecipazione psichica, soprattutto mediante suggerimenti o consigli, che in quella dell'apporto materiale, astrattamente ipotizzabile in casi numericamente residuali (quali, ad esempio, l'emissione di documentazione fiscale irregolare per consentire la formazione di una dichiarazione infedele). Ciò che va adeguatamente accertato riguardo questo elemento, si sottolinea, è la concreta capacità di favorire - nell'una o nell'altra forma che esso può assumere - la violazione della norma tributaria. È il caso di precisare che l'esame del contributo causale nella forma della partecipazione psichica assume peculiare rilievo nel caso (non infrequente) del contribuente che sostiene di aver agito secondo le indicazioni fornitegli da esperto del settore. In proposito, si rammenta che l'art. 5, comma 1, del decreto legislativo in commento con riguardo all'attività di consulenza tributaria prevede la punibilità della violazione "solo in caso di dolo o colpa grave, quando al consulente è richiesta la soluzione di problemi di speciale difficoltà", così esplicitando un principio immanente nella riforma e affermato, con norma di generale portata, nell'articolo 2236 del codice civile. Nell'ipotesi considerata, ferma restando la responsabilità del contribuente, a meno che non possa applicarsi la disciplina dell'autore mediato prevista dall'articolo 10, la responsabilità a titolo di concorso del soggetto che ha fornito l'indicazione sussiste solo quando questi, trattandosi di consulente, nel fornire la soluzione a quesiti di speciale difficoltà (da valutare caso per caso), abbia istigato il contribuente stesso o sia stato con lui d'accordo per violare la norma tributaria (dolo) ovvero versi in colpa grave.
Per quanto attiene, infine, all'elemento soggettivo, quantunque la norma in commento non richiami la regola dettata dall'articolo 113 del codice penale sulla cooperazione nel delitto colposo, è da ritenere che sussista ad essa un implicito riferimento, desumibile dall'articolo 11, comma 5, del decreto legislativo, il quale presuppone l'irrogazione di sanzioni diverse anche per violazioni commesse con colpa lieve. Tenendo conto, tuttavia, che la cooperazione colposa, anche in diritto penale, è prospettabile in rare ipotesi, sarà assai difficile individuare in concreto fattispecie nelle quali possa venire in considerazione. Si può pensare al caso in cui due o più coamministratori di una società affidano a persona non qualificata la tenuta della contabilità sociale allo scopo di contenere la relativa spesa, ponendo così in essere una situazione nella quale è prevedibile il verificarsi di irregolarità suscettibili di tradursi, poi, in violazioni della normativa tributaria (ad esempio, infedele dichiarazione).
Ricorrendo gli elementi sopra illustrati, si è in presenza di una violazione commessa in concorso da più persone, per la quale vale il principio, di impronta penalistica, tot capita tot penae: ciascun coautore dell'illecito è soggetto ad una sanzione. In ciò sta uno degli elementi maggiormente innovatori della riforma, che abbandona il criterio della responsabilità in solido (per il quale l'adempimento dell'obbligazione del pagamento della sanzione pecuniaria da parte di uno dei coobbligati libera tutti gli altri) stabilito dalla normativa previgente (articolo 11 della
Si rileva in proposito che l'entità della sanzione irrogata può essere diversa per i vari concorrenti, atteso che nella sua determinazione in concreto si dovrà tener conto di elementi - indicati nell'articolo 7 - che esaltano l'eventuale differente grado di responsabilità (condotta di ciascun soggetto; opera svolta per eliminare o attenuare le conseguenze; personalità desunta anche dai precedenti fiscali).
Va inoltre osservato che il procedimento di irrogazione deve riguardare ciascuno dei coautori, come si ricava dall'articolo 16, nel quale si fa riferimento al "trasgressore": ciò implica una personalizzazione dell'atto di contestazione, che, per ciascun concorrente, dovrà indicare i fatti a lui attribuiti, gli elementi probatori a sostegno della contestazione, le norme che si assumono da lui violate. La pluralità di soggetti coinvolti nel procedimento potrà comportare una diversificazione degli esiti (definizione agevolata, produzioni difensive, trasformazione dell'atto di contestazione in atto di irrogazione, prevalenza della tutela giurisdizionale rispetto a quella amministrativa), senza reciproche influenze fra gli atti.
3. La seconda parte della norma in esame deroga a quanto sinora detto. Quando la violazione consiste nell'omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti, viene irrogata una sola sanzione ed il pagamento di uno di essi libera tutti gli altri, salvo l'esercizio del diritto di regresso. Ciò in quanto, di regola, le norme tributarie impongono obblighi ad un solo soggetto (contribuente, responsabile, sostituto d'imposta o terzo che si trova in un particolare rapporto con il contribuente); in casi specifici, al contrario, l'obbligo tributario è posto a carico, solidalmente, di più soggetti, per cui ciascuno di essi è in grado di adempiere con effetto liberatorio per gli altri. In questi casi, l'applicazione del principio sopra illustrato, comportando l'irrogazione di una pluralità di sanzioni in ipotesi di violazione comunque unica, si risolverebbe in una forma del tutto ingiustificata di locupletazione per l'erario: così, ad esempio, l'omessa presentazione della dichiarazione ai fini della imposta di successione da parte dei coeredi determinerebbe l'irrogazione di una pluralità di sanzioni per l'inadempimento di un obbligo che è correttamente assolto dalla condotta di uno solo degli obbligati.
La previsione, in relazione al fatto che il comportamento omissivo nel quale si esprime la violazione è riferibile a più soggetti tutti egualmente obbligati, comporta un trattamento più favorevole di quello che deriverebbe dall'applicazione della regola del concorso penalistico.
Nella generalità dei casi, la struttura dell'infrazione (o, meglio, della serie di infrazioni omissive parimenti riferibili ai vari obbligati) farà si che non si pongano problemi di graduazione della sanzione giacché le singole violazioni presenteranno eguale gravità. È tuttavia possibile che risultino all'ufficio caratteristiche della condotta, ovvero della personalità o condizioni economiche e sociali ovvero recidiva specifica infratriennale di taluno degli obbligati, in modo che, rispetto a questi, appaia determinabile una sanzione diversa (più lieve o più grave) rispetto a quella irrogabile agli altri.
In tali situazioni, ai fini della concreta quantificazione dell'unica sanzione, si dovrà tener conto delle caratteristiche della condotta e della personalità che ne comportano la determinazione nella misura più elevata. Infatti, la regola seguita dal legislatore (unificazione della sanzione da irrogare ad una pluralità di soggetti) che considera "collettiva" la violazione e ne ripartisce la conseguenza repressiva nell'ambito del "gruppo", comporta anche che la violazione medesima assuma la connotazione impressale dal comportamento più grave, assunto come dato che la caratterizza.
Autore mediato.
«1. Salva l'applicazione dell'articolo 9 chi, con violenza o minaccia o inducendo altri in errore incolpevole ovvero avvalendosi di persona incapace, anche in via transitoria, di intendere e di volere, determina la commissione di una violazione ne risponde in luogo del suo autore materiale.».
L'articolo 10 introduce nel sistema delle sanzioni tributarie la disciplina, propria del diritto penale, dell'autore mediato. Tale è chi strumentalizza altro soggetto, non imputabile o non punibile per qualsiasi causa, rendendolo esecutore materiale del reato. In diritto penale la normativa sull'autore mediato trova la sua sede tanto nell'ambito delle disposizioni sul concorso di persone (articoli 111 e 113, secondo comma, c.p.), quanto in specifiche previsioni riguardanti l'elemento soggettivo o l'imputabilità (articoli 46, 48, 54, terzo comma, 86 c.p.). Invero, ferma restando la fattispecie concorsuale in presenza di una pluralità di concorrenti del reato, è prevista la punibilità, con pena aumentata, del solo autore mediato, mentre l'esecutore materiale va esente da pena, essendo valutata la sua partecipazione criminosa alla stessa stregua di un qualsiasi mezzo impiegato dal soggetto agente per la realizzazione del reato. Si applica tale disciplina quando altri è stato determinato al reato in virtù di costringimento fisico o psichico, di inganno, di provocazione dello stato di incapacità di intendere e di volere.
La norma in commento prevede disposizioni ricalcate su quelle penali, senza peraltro disporre l'aggravamento della sanzione per l'autore mediato. Essa si apre con la clausola di salvezza dell'applicazione dell'articolo 9, riguardante il concorso di persone. A ben vedere, però, più che di salvezza dovrebbe parlarsi, come per il codice penale, di deroga a tale norma, dal momento che viene stabilita la punibilità di uno solo dei concorrenti nella violazione.
Ciò precisato, è il caso di rilevare come alcuni dei principi richiamati dal diritto penale hanno in campo tributario un rilievo quasi esclusivamente teorico. È assai difficile, infatti, ipotizzare una violazione tributaria che venga posta in essere in dipendenza di violenza o minaccia, ovvero da persona incapace, che obbedisca alla soggezione altrui.
Maggior rilievo può avere, invece, l'ipotesi nella quale la violazione sia commessa da alcuno che sia indotto in errore incolpevole; si può prospettare l'ipotesi del soggetto che viene indotto dal parere di un professionista qualificato a tenere un comportamento in violazione della legge tributaria.
Ovviamente, perché la responsabilità si possa ravvisare solo in capo al professionista - sempre nei limiti stabiliti dall'articolo 5, comma 1, ultima parte del decreto legislativo - è necessario, da un lato, che non si possa addebitare al contribuente una culpa in eligendo e, dall'altro, che il comportamento del professionista sia stato tale da escludere l'esistenza di un qualsiasi dubbio, in modo da mettere il contribuente medesimo in condizione di ritenere del tutto conforme alla legge il comportamento che gli è stato suggerito: in ultima analisi, appunto, tale da determinare un errore incolpevole secondo quanto si è spiegato in commento agli articoli 5 e 6.
Un'ulteriore, particolare ipotesi di applicazione della disciplina dell'autore mediato potrebbe ravvisarsi nei casi di dichiarazione infedele del reddito di partecipazione ai fini I.R.P.E.F. posta in essere, sulla scorta del reddito erroneamente dichiarato da una società a base personale, dal socio non amministratore di quest'ultima, il quale nonostante ripetute richieste di esaminare la documentazione contabile della società (ai sensi degli articoli 2261, secondo comma, 2293 o 2320, ultimo comma, del codice civile) non sia stato posto in condizione di verificare in nessun modo l'esattezza della dichiarazione sociale. In tal caso dell'infedeltà della dichiarazione del reddito di partecipazione potrebbe considerarsi responsabile il socio amministratore che abbia presentato la dichiarazione sociale, contenente i dati erronei, capace a sua volta di trarre in errore, non colpevole, il socio non amministratore.
Responsabili per la sanzione amministrativa.
«1. Nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo è commessa dal dipendente o dal rappresentante legale o negoziale di una persona fisica nell'adempimento del suo ufficio o del suo mandato ovvero dal dipendente o dal rappresentante o dall'amministratore, anche di fatto, di società, associazione od ente, con o senza personalità giuridica, nell'esercizio delle sue funzioni o incombenze, la persona fisica, la società, l'associazione o l'ente nell'interesse dei quali ha agito l'autore della violazione sono obbligati solidalmente al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti.
2. Fino a prova contraria, si presume autore della violazione chi ha sottoscritto ovvero compiuto gli atti illegittimi.
3. Quando la violazione è commessa in concorso da due o più persone, alle quali sono state irrogate sanzioni diverse, la persona fisica, la società, l'associazione o l'ente indicati nel comma 1 sono obbligati al pagamento di una somma pari alla sanzione più grave.
4. Il pagamento della sanzione da parte dell'autore della violazione e, nel caso in cui siano state irrogate sanzioni diverse, il pagamento di quella più grave estingue l'obbligazione indicata nel comma 1.
5. Quando la violazione non è commessa con dolo o colpa grave, il pagamento della sanzione e, nel caso in cui siano state irrogate sanzioni diverse, il pagamento di quella più grave, da chiunque eseguito, estingue tutte le obbligazioni. Qualora il pagamento sia stato eseguito dall'autore della violazione, nel limite previsto dall'articolo 5, comma 2, la responsabilità della persona fisica, della società, dell'associazione o dell'ente indicati nel comma 1 è limitata all'eventuale eccedenza.
6. Per i casi di violazioni commesse senza dolo o colpa grave, la persona fisica, la società, l'associazione o l'ente indicati nel comma 1 possono assumere il debito dell'autore della violazione.
7. La morte della persona fisica autrice della violazione, ancorché avvenuta prima dell'irrogazione della sanzione amministrativa, non estingue la responsabilità della persona fisica, della società o dell'ente indicati nel comma 1.».
1. Si è visto come il carattere punitivo ed intimidatorio della sanzione comporti che essa venga irrogata sempre ad una persona fisica.
È però possibile che la persona fisica autrice della violazione non si identifichi con il contribuente e non si giovi perciò direttamente degli effetti economici che da essa conseguono, effetti che si producono invece nel patrimonio del soggetto contribuente. Si pensi ai casi del rappresentante legale o negoziale di una persona fisica, ovvero dell'amministratore, dipendente o rappresentante, di una società, associazione od ente.
In queste ipotesi, benché la sanzione, per se stessa considerata, debba essere riferita all'autore della violazione, la legge configura un'obbligazione autonoma di carattere civile a carico del contribuente, sia esso una persona fisica, un ente o un soggetto collettivo, in relazione al fatto che la violazione è stata commessa nell'interesse di quest'ultimo e i suoi effetti si sono riversati positivamente sul suo patrimonio. Il comma 1 dell'art. 11 stabilisce, infatti, che ove una violazione abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo, ferma la responsabilità per la sanzione del suo autore (non contribuente), a questa si aggiunga un'obbligazione civile solidale che fa capo, appunto, al contribuente.
La natura solidale di tale obbligazione risulta espressamente dalla modifica apportata all'art. 11, comma 1, dal
La previsione traduce nella materia delle violazioni tributarie il principio risultante dall'art. 6 della
Viene così realizzato anche in seno al diritto tributario un sistema che risponde concretamente all'esigenza di far gravare sul soggetto contribuente le conseguenze patrimoniali dei fatti commessi dai dirigenti e dai rappresentanti, fatti che, di regola, vengono posti in essere in attuazione della volontà e della politica dell'impresa e che comunque si concretano in un vantaggio economico per questa.
2. È il caso di puntualizzare quali siano i soggetti non contribuenti che possono divenire autori delle violazioni di carattere sostanziale alle quali consegue la nascita dell'obbligazione solidale di natura civile.
Si parla in primo luogo del rappresentante legale o negoziale di una persona fisica in adempimento del suo ufficio o del suo mandato. Per la prima ipotesi si può pensare ai genitori esercenti la patria potestà sul figlio minore ovvero al tutore; per la seconda al direttore generale o all'institore di un imprenditore individuale ovvero, ancora, al dipendente investito di compiti in materia tributaria che sia titolare, come meglio subito si dirà, di una competenza propria rilevante ai fini tributari.
Quanto alle società, associazioni od enti, l'autore della violazione potrà identificarsi, secondo le previsioni statutarie o le attribuzioni di competenza deliberate dall'assemblea, nel presidente del consiglio di amministrazione o del comitato esecutivo o comunque nell'organo cui compete la rappresentanza, ovvero nell'amministratore unico o nel consigliere delegato alla sottoscrizione di atti aventi rilevanza fiscale o nella persona che esercita di fatto le funzioni di amministrazione. Potrà altresì identificarsi, ove venga fornita la prova richiesta dall'art. 11, comma 2, anche in dipendenti della società o dell'ente preposti, con competenza propria ed autonomo potere decisionale, al compimento di attività rilevanti ai fini della determinazione del tributo (si tratterà generalmente di dirigenti).
È opportuno a questo riguardo chiarire che la qualità di autore della violazione non inerisce al soggetto che materialmente ponga in essere comportamenti che determinino la commissione della violazione medesima se tali comportamenti non costituiscono espressione di una determinazione autonoma del soggetto medesimo. Così l'errore commesso da un dattilografo o da un terminalista nella trascrizione di dati rilevanti ai fini della determinazione di un elemento del reddito non comporta una sua responsabilità per la violazione formale o sostanziale che ne consegua. Autore della violazione, almeno di regola, sarà il soggetto cui compete l'organizzazione ed il controllo sullo svolgimento dei compiti inerenti alla tenuta della contabilità, si identifichi questi con lo stesso imprenditore, con il contribuente, ovvero con un dipendente investito di siffatta competenza. Analoghe considerazioni si devono riproporre rispetto ai dipendenti, rappresentanti ed amministratori di enti e società con la precisazione che può aver rilievo al di là del dato formale anche l'esercizio di fatto delle funzioni di amministrazione.
3. Il comma 2 presume che autore della violazione sia colui che ha sottoscritto o compiuto gli atti illegittimi. La previsione intende facilitare l'attività degli uffici in modo da non imporre indagini talvolta estremamente difficili e neppure necessarie. In presenza della presunzione, in quanto le violazioni di carattere sostanziale fanno generalmente capo a soggetti precisamente individuati dalla legge tributaria (si pensi a coloro che devono sottoscrivere le varie dichiarazioni d'imposta), i problemi concernenti l'individuazione dell'autore della violazione non dovrebbero comportare particolari difficoltà.
È fatta salva, tuttavia, la prova contraria, il che significa che il soggetto cui la violazione viene addebitata può dar prova che la competenza inerente al compimento dell'attività illegittima non gli apparteneva (si ricorda a questo riguardo che l'art. 20, comma 2, prevede la proroga di un anno del termine di decadenza per l'esercizio del potere di contestazione ed irrogazione in funzione specifica di questa eventualità).
La prova non è legata a forme particolari e, indipendentemente da quanto risulta eventualmente dall'atto costitutivo, dallo statuto o da contratti formalmente stipulati, è possibile che assuma rilevanza l'esercizio di fatto di mansioni che comportino autonoma competenza in materia tributaria, purché tali circostanze vengano concretamente dimostrate. È bene precisare, cioè, che per poter spostare la responsabilità per la sanzione su soggetto diverso da quello indicato nell'art. 11, comma 2, occorre che sia data prova dell'esistenza di una delega di funzioni che abbia il carattere dell'effettività e cioè che attribuisca al delegato un potere decisionale reale insieme ai mezzi necessari per poter svolgere in autonomia la funzione delegata e che, inoltre, la delega risponda ad esigenze reali dell'organizzazione aziendale e venga conferita a soggetto idoneo allo svolgimento delle mansioni.
4. Affrontando il tema del rapporto esistente fra la responsabilità per sanzione propria dell'autore della violazione e l'obbligazione civile facente capo al contribuente, è indispensabile tener conto della distinzione fissata nell'art. 5 fra violazioni commesse con dolo e colpa grave e violazioni semplicemente colpose.
Iniziando l'esame da queste ultime, è il caso di prendere in considerazione immediatamente il comma 5 dell'art. 11, per il quale il pagamento della sanzione e, ove siano state irrogate sanzioni diverse, il pagamento di quella più grave da chiunque eseguito, estingue tutte le obbligazioni: quella relativa all'autore della violazione e quella solidale facente capo al contribuente.
Trattandosi di violazione commessa con colpa non grave è possibile, quando la sanzione sia stata irrogata in somma eccedente i cento milioni, che il pagamento venga eseguito nei limiti di tale somma dall'autore della violazione; in tal caso l'obbligazione solidale del contribuente sopravvive per l'eccedenza. Quando, invece, il pagamento sia stato eseguito dal contribuente è salvo, ai sensi del comma 1, il diritto di regresso nei confronti dell'autore della violazione ma, come risulta dal comma 6, il contribuente può rinunciarvi. La facoltà di rinuncia, non espressamente menzionata, risulta, infatti, compresa nella facoltà di assumere il debito che configura l'accollo da parte del contribuente. In mancanza di qualsiasi specificazione, si deve ritenere che siffatto accollo possa essere posto in essere in qualsiasi momento con l'unica condizione che la violazione non sia caratterizzata dal dolo o dalla colpa grave.
Si deve adesso prendere in esame il rapporto tra obbligazione solidale del contribuente ed obbligazione per sanzione nei casi in cui la violazione sia caratterizzata dal dolo o dalla colpa grave. Ai sensi del comma 1 anche in queste ipotesi l'adempimento dell'obbligazione solidale estingue l'obbligazione per sanzione. Ciò risulta dalla previsione del diritto di regresso non essendo possibile ammettere che l'autore della violazione rimanga anche obbligato al pagamento della somma dovuta a titolo di sanzione nei confronti dell'ente impositore. La differenza rispetto all'ipotesi già esaminata è che non sembra legittima una rinuncia al diritto di regresso, anche se il suo effettivo esercizio non può evidentemente essere imposto.
Il comma 3 prevede che nell'ipotesi in cui vengano irrogate sanzioni di diverso ammontare nei confronti di più coautori della violazione (in concorso o cooperazione colposa) l'obbligazione solidale del contribuente sia pari alla sanzione più grave. Conseguentemente, come già si è detto, perché l'obbligazione solidale si estingua occorre, ai sensi del comma 4, che il pagamento riguardi, appunto, l'obbligazione più grave. Se, per esempio, sono state irrogate ai coautori della violazione rispettivamente la sanzione di settanta e di cento milioni, l'obbligazione solidale del contribuente si estinguerà solo con il pagamento di cento milioni.
Resta da dire che nei casi di dolo o colpa grave non vi può essere liberazione di tutti i coautori della violazione nei confronti dell'ente impositore. La liberazione si avrà solo e nei limiti in cui uno di essi subisca il regresso da parte del contribuente, giacché il limite della responsabilità per sanzione è segnato soltanto dal fatto che il coautore della violazione, ancorché commessa con dolo o colpa grave, non può essere costretto a pagare due volte.
5. Il comma 7 dell'art. 11 prevede che la morte dell'autore della violazione, anche se avvenuta prima dell'irrogazione della sanzione, non estingue l'obbligazione civile del contribuente. Questa previsione conferma la natura dell'obbligazione civile imposta al soggetto nel cui interesse è stata in ultima analisi commessa la violazione e che di questa si è giovato, giacché il sorgere dell'obbligazione si connette al vantaggio patrimoniale del contribuente, non eliso dalla morte dell'autore della violazione.
La situazione differisce radicalmente da quella degli eredi dell'autore della violazione nel cui patrimonio non si producono direttamente gli effetti favorevoli conseguenti alla violazione, effetti che riguardano solamente il patrimonio dell'autore.
Il vantaggio indiretto che gli eredi potrebbero mediatamente conseguire è tuttaffatto diverso dal vantaggio immediato che consegue il contribuente per effetto della violazione.
Concorso di violazioni e continuazione.
«1. È punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio chi, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi ovvero commette, anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizione.
2. Alla stessa sanzione soggiace chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell'imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo.
3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, se le violazioni rilevano ai fini di più tributi, si considera, quale sanzione base su cui riferire l'aumento, quella più grave aumentata di un quinto.
4. Le previsioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano separatamente rispetto ai tributi erariali e ai tributi di ciascun altro ente impositore.
5. Se le violazioni riguardano periodi di imposta diversi, la sanzione base è aumentata dalla metà al triplo.
6. Il concorso e la continuazione sono interrotti dalla constatazione della violazione.
7. Nei casi previsti dal presente articolo la sanzione non può essere comunque superiore a quella risultante dal cumulo delle sanzioni previste per le singole violazioni.
8. Nei casi di accertamento con adesione, in deroga ai commi 3 e 5, le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d'imposta. La sanzione conseguente alla rinuncia all'impugnazione dell'avviso di accertamento, alla conciliazione giudiziale e alla definizione agevolata ai sensi degli articoli 16 e 17 del presente decreto non può stabilirsi in progressione con violazioni non indicate nell'atto di contestazione o di irrogazione delle sanzioni.».
L'articolo 12, dedicato al "concorso di violazioni e continuazione", esprime, nella logica del nuovo sistema, una previsione cardine, rispondendo, tra l'altro, alle esigenze emerse nel vigore dell'art. 8 della
Le previsioni contemplate nell'articolo in commento si applicano anche a tutti i procedimenti in corso alla data del 1° aprile 1998, ai sensi dell'art. 25, comma 2.
1. Il comma 1 disciplina il concorso formale e materiale di violazioni, disponendo, anzitutto, l'obbligo di applicare un'unica sanzione, seppur congruamente elevata nell'ammontare secondo lo schema del cumulo giuridico.
In particolare, si ha concorso formale quando con una sola azione od omissione si commettono diverse violazioni della medesima disposizione (concorso formale omogeneo), ovvero con una sola azione od omissione vengono violate disposizioni diverse anche relative a tributi diversi (concorso formale eterogeneo).
È il caso, ad esempio, della mancata registrazione dei ricavi sul libro giornale, che, se non emendata in sede di dichiarazione, rileva ai fini dell'Irpef o dell'Irpeg e dell'Ilor, oppure dell'infedele determinazione della base imponibile ai fini dell'imposta sugli spettacoli, rilevante anche per la liquidazione dell'imposta sul valore aggiunto ai sensi dell'art. 74, comma 6, del
Si ha concorso materiale, invece, quando con più azioni od omissioni si commettono diverse violazioni formali della stessa disposizione (concorso materiale omogeneo).
Si immagini, ad esempio, l'omessa o errata indicazione del codice fiscale in sede di dichiarazione annuale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto e delle imposte sui redditi, oppure l'omessa o inesatta indicazione reiterata nel tempo di alcuni elementi identificativi del contribuente sugli scontrini o sulle ricevute fiscali o sui documenti di trasporto obbligatori.
Pertanto, il regime del cumulo giuridico si applica non solo se - similmente a quanto previsto dall'art. 81, comma 1, del codice penale, e dall'art. 8, comma 1, della
Così, ad esempio, se nella compilazione di documenti fiscali obbligatori (fatture, ricevute o scontrini fiscali, ecc.), il contribuente omette di indicare il numero di partita I.V.A. e l'omissione interessa più documenti emessi anche in tempi diversi, si deve applicare un'unica sanzione corrispondente a quella prevista dall'art. 8, comma 1, del
Dalla lettura congiunta dei commi 1 e 2, si deduce come, mentre il regime del concorso formale è suscettibile di abbracciare tutte le tipologie di violazioni che si esauriscono in un'unica azione o omissione, quello del concorso materiale comprende solo le violazioni che si possono definire formali, ossia e come già detto, non idonee ad incidere sulla determinazione dell'imponibile o liquidazione anche periodica del tributo. Le violazioni sostanziali possono invece rientrare nella previsione del comma 2 qualora si possa configurare, rispetto ad esse, il vincolo della progressione, mentre, in caso diverso, danno luogo ad applicazione di sanzioni distinte per ciascuna di esse.
Ai fini dell'applicazione di un'unica sanzione, il comma 1 dell'articolo in commento prevede che la sanzione connessa alla violazione più grave deve essere aumentata da un quarto al doppio.
Al riguardo si precisa che per "violazione più grave", tenuto conto dell'orientamento ormai pacifico della giurisprudenza e della dottrina penale, si intende quella che in concreto comporta l'applicazione della sanzione più grave. Gli uffici e gli enti locali, di conseguenza, devono determinare, in prima battuta, la sanzione base, vale a dire - come già sottolineato - quella connessa alla violazione più grave, e poi applicare su di essa l'aumento da un quarto al doppio.
Qualora, tuttavia, le violazioni formali rilevanti ai fini del concorso materiale si riferiscano a più periodi d'imposta o rilevino ai fini di più tributi erariali (ovvero di più tributi di altro ente impositore), la sanzione base cui riferire l'aumento anzidetto è quella connessa alla violazione più grave, aumentata, rispettivamente, dalla metà al triplo (comma 5) e di un quinto (comma 3).
In relazione a quest'ultima previsione, si sottolinea come essa trovi applicazione separatamente rispetto ai tributi erariali e ai tributi che fanno capo ad altro ente. Di conseguenza, in presenza di violazioni che rilevano sia ai fini di tributi erariali che ai fini di uno o più tributi locali (si faccia il caso di I.R.P.E.F. e I.C.I.), non è possibile l'applicazione di un'unica sanzione, ma devono essere determinate distinte sanzioni dall'ufficio e dall'ente locale competenti.
Nell'individuazione della connotazione propria all'entrata e quindi al fine di qualificare la stessa come tributo locale o tributo erariale, è necessario tener presente, anzitutto, che la distinzione sottesa dal comma 4 si appunta sul procedimento di determinazione in concreto e di irrogazione della sanzione, il cui potere è accordato agli uffici o enti competenti per l'accertamento del tributo cui la violazione si riferisce (art. 16, comma 1). Ne discende che, per la qualificazione anzidetta, occorre avere riguardo al soggetto titolare del potere corrispondente, indipendentemente dal fatto che l'ente beneficiario dell'entrata coincida o meno con quello preposto all'accertamento.
Le precisazioni finora compiute valgono, con i necessari adattamenti, anche per la disciplina della progressione (comma 2), atteso che il comma 4 rinvia, in ordine all'applicazione dell'istituto, non solo al comma 1 (concorso), ma anche e per l'appunto, al comma 2 (progressione).
Gli uffici dell'amministrazione finanziaria, pertanto, applicheranno l'istituto ove le violazioni rilevino anche ai fini di tributi non erariali, per i quali gli stessi sono titolari della potestà di accertamento. Va da sé che se più violazioni riguardanti uno o più tributi locali sono fra loro in vincolo di progressione, la determinazione di una sanzione unica verrà attuata dall'ente impositore, ovviamente in relazione ai tributi suoi propri.
Riassumendo, al fine di pervenire alla determinazione della sanzione base (cui riferire poi l'aumento previsto dal comma 1) si dovrà, a seconda dei casi, procedere come segue:
a) se le violazioni si riferiscono ad un solo periodo d'imposta e riguardano un solo tributo, la sanzione base si identifica con quella più grave;
b) se le violazioni interessano più tributi e un solo periodo d'imposta, la sanzione base è quella più grave aumentata di un quinto;
c) se le violazioni riguardano un solo tributo ma rilevano per più periodi d'imposta, la sanzione base è quella più grave aumentata dalla metà al triplo;
d) se, infine, le violazioni coinvolgono più tributi e più periodi d'imposta, la sanzione base si ottiene aumentando prima di un quinto la sanzione più grave e aumentando poi il risultato dalla metà al triplo.
Ricavata la sanzione base, si dovrà procedere ad elevare la stessa da un minimo di un quarto ad un massimo del doppio, tenendo tuttavia presente che la sanzione non può essere irrogata in misura superiore a quella risultante dal cumulo materiale delle pene previste per le singole violazioni, stante l'espresso divieto formulato in tal senso dal comma 7 dell'articolo in commento.
2. Il comma 2 prevede che soggiace alla stessa sanzione prevista dal comma 1 chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell'imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo.
Anche la progressione quindi comporta l'applicazione di un'unica sanzione secondo lo schema del cumulo giuridico: le singole violazioni, nella logica propria dell'istituto, infatti, non rilevano come tali, rimanendo assorbite, in funzione dell'unitarietà del fine cui obiettivamente tendono, nella violazione più grave.
La norma, in aderenza ai criteri stabiliti dalla
Considerate, tuttavia, le peculiarità del procedimento tributario ed in particolare del procedimento istruttorio inerente all'accertamento delle violazioni e dei poteri conferiti agli organi cui è demandata l'applicazione in concreto delle sanzioni, l'articolo in commento non riproduce la nozione di disegno criminoso propria della norma penale e neppure la nozione di medesimo disegno contemplata nella
La disposizione, per questi motivi, scolpisce una nozione propria al diritto tributario, caratterizzata dalla convergenza obiettiva di più trasgressioni rispetto alla determinazione dell'imponibile o alla liquidazione anche periodica del tributo, escludendo dal suo ambito solo le violazioni di omesso versamento. Per la norma, quindi, ciò che rileva è la commissione di violazioni che, in forza del loro legame strutturale, ovvero in ragione della loro connessione funzionale ed oggettiva, sono riunibili in ragione della loro progressione da comportamento prodromico ad evasione.
A titolo esemplificativo, si possono richiamare le ipotesi di violazioni per omessa fatturazione o registrazione di operazioni imponibili con successiva presentazione di dichiarazione infedele oppure quelle di violazioni inerenti alla mancata emissione, reiterata nel tempo, di scontrini fiscali, all'omessa registrazione delle operazioni sul registro dei corrispettivi ed infine all'infedele dichiarazione.
Rispetto alle imposte sui redditi e all'I.V.A., il pregiudizio cui la norma si riferisce si realizza, normalmente, con la commissione delle violazioni di omessa presentazione della dichiarazione o di infedele dichiarazione, atteso che queste, nella fisiologia del procedimento, sono quelle che chiudono la catena delle violazioni. Di conseguenza, le violazioni funzionali o prodromiche a quelle ora richiamate - quali, ad esempio, quelle di omessa o irregolare tenuta della contabilità, ovvero di omessa o irregolare fatturazione e registrazione o di omessa o infedele emissione di scontrini o ricevute fiscali - non saranno sanzionate come tali, ma rimarranno assorbite nella violazione coincidente, per l'appunto e almeno nella generalità dei casi, con quella inerente alla omessa presentazione della dichiarazione o all'infedeltà della stessa, atteso che a queste violazioni corrispondono le sanzioni più gravi.
Si ipotizzi la contestazione della violazione per infedele dichiarazione con liquidazione di un'imposta sul reddito inferiore di lire 20 milioni a quella accertata e al contempo la contestazione della violazione per irregolare tenuta della contabilità rilevante soltanto ai fini di tale imposta. Ai sensi dell'art. 9 del
Non si può tuttavia escludere che, pur in presenza di dichiarazione infedele o di omessa dichiarazione, la sanzione più grave coincida, anziché con quella propria a queste violazioni, con quella inerente a violazioni antecedenti. Si ipotizzi, riprendendo l'esempio, un'omissione della dichiarazione e che non siano dovute imposte: l'art. 1 dianzi citato prevede la sanzione da lire 500 mila a lire 2 milioni elevabile fino a 4 milioni nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili. In tal caso la violazione più gravemente sanzionata è quella relativa all'irregolare tenuta delle scritture e non quella inerente alla violazione per omessa dichiarazione.
Se normalmente il "pregiudizio" si realizza, come si è ora osservato, con l'omessa o infedele presentazione della dichiarazione, ovvero con l'errata liquidazione del tributo, può accadere che prima della commissione di queste vengano constatate violazioni prodromiche (la constatazione delle violazioni, ai sensi del comma 6, interrompe la continuazione). In simili circostanze, le regole stabilite dal comma 2 si devono ritenere ugualmente applicabili, ma limitatamente, com'è ovvio, alle violazioni compiute fino alla data della constatazione.
3. A mente del comma 6, il concorso e la continuazione sono interrotti dalla constatazione delle violazioni.
Atteso che la constatazione rappresenta, per così dire, un minus rispetto alla contestazione e alla irrogazione, è di tutta evidenza come l'effetto contemplato nella norma in commento si produca non solo con la notificazione o consegna del processo verbale di constatazione quale atto posto a chiusura della verifica, dell'ispezione o del controllo, ma anche con la notificazione dell'atto o provvedimento proprio dell'ufficio o dell'ente locale secondo le previsioni degli articoli 16 e 17.
L'effetto interruttivo, quindi, si realizza con la notificazione o consegna:
- del processo verbale di constatazione;
- dell'atto di contestazione di cui all'art. 16, comma 2;
- dell'avviso di irrogazione delle sanzioni contestuale all'avviso di accertamento o rettifica del tributo di cui all'art. 17, comma 1;
- della cartella di pagamento prevista dal comma 3 dell'art. 17.
È possibile infatti che le violazioni non vengano constatate con atto autonomo e distinto da quello di contestazione o di irrogazione: si pensi, ad esempio, al ritardo nell'esecuzione di qualsiasi adempimento di carattere formale. In tali casi il primo atto compiuto dall'ufficio non può che essere la notificazione dell'atto di contestazione (o di irrogazione), alla quale, pertanto, si deve riferire l'effetto interruttivo del concorso e della continuazione.
L'interruzione si ispira all'esigenza di impedire l'unificazione delle sanzioni una volta che l'autore abbia potuto rendersi conto, a seguito dell'intervento dell'amministrazione, di essere incorso nella violazione. Essa, quindi, opera rispetto al futuro, mentre tutte le violazioni pregresse devono essere unificate secondo le regole previste dall'articolo in commento e tale unificazione può essere pretesa dall'autore indipendentemente dal fatto che la contestazione si riferisca soltanto ad alcune delle violazioni commesse. Per fare un esempio, se sono state commesse più violazioni formali di una medesima disposizione anche in tempi diversi e l'ufficio contesta nel 1998 una violazione commessa nel 1994, il concorso opera rispetto a tutte le violazioni compiute anche negli anni successivi e fino alla data di notificazione dell'atto di contestazione.
Inoltre l'interruzione, determinando la "frammentazione" della catena delle violazioni, opera solo sul piano della loro progressione temporale. Di conseguenza, se le violazioni constatate attengono a tributi diversi, la notifica dell'atto di irrogazione delle sanzioni riferito a violazioni relative ad uno solo di questi non impedisce l'applicazione della regola del cumulo giuridico rispetto alle violazioni inerenti ad altri tributi.
Si ipotizzi, ad esempio, che nel processo verbale di constatazione siano evidenziate violazioni relative all'omessa fatturazione e registrazione o alla mancata emissione di scontrini o ricevute fiscali, alla irregolare tenuta della contabilità in ordine alla mancata registrazione dei ricavi sul libro giornale corrispondenti alle operazioni non fatturate e, infine, all'infedele dichiarazione annuale dell'I.V.A. e delle imposte sui redditi. Se l'ufficio I.V.A. notifica avviso di rettifica, irrogando, al contempo, la sanzione secondo la previsione dell'art. 12, comma 2, per omessa fatturazione e registrazione di operazioni imponibili e infedeltà della dichiarazione annuale, la notificazione dell'avviso medesimo non impedisce l'applicazione di un'unica sanzione da parte dell'ufficio delle imposte dirette per ciò che concerne le violazioni relative alle imposte sui redditi valutate unitariamente con quelle già sanzionate dall'ufficio I.V.A., se ed in quanto riunibili secondo il vincolo del pregiudizio scolpito dal comma 2.
Gli uffici competenti per l'accertamento dei singoli tributi, pertanto, devono tener conto, eventualmente anche su indicazione dell'autore delle violazioni o dei soggetti obbligati ai sensi dell'art. 11, comma 1, dell'esistenza di violazioni tali da inserirsi in una progressione, così da determinare l'entità delle pene avuto riguardo alla catena delle violazioni unitariamente considerata. Così, riprendendo l'esempio da ultimo prospettato, l'ufficio distrettuale delle imposte dirette terrà conto dell'incidenza delle violazioni già sanzionate ai fini dell'imposta sul valore aggiunto rispetto alla determinazione dell'imponibile o liquidazione delle imposte di propria competenza (Irpef, Irpeg, Ilor). Esso, pertanto, sulla base delle notizie in suo possesso e valutato anche il contenuto del processo verbale di constatazione eventualmente posto a fondamento della rettifica, determinerà le sanzioni tenuto conto, da un lato, che le violazioni inerenti all'omessa registrazione dei ricavi sul libro giornale si connettono alla violazione di omessa fatturazione e registrazione delle fatture secondo le previsioni del
A differenza dell'art. 8 della
Si ribadisce, come già si è avuto occasione di precisare commentando l'art. 7, che l'istituto della continuazione opera anche al di là delle violazioni constatate e contestate purché quelle ulteriori che vengano a conoscenza dell'ente impositore siano anteriori all'atto che ne consacra la constatazione ancorché siano state commesse in epoca successiva a quella in cui sono state commesse le violazioni già contestate. Si faccia l'esempio di un verbale di constatazione redatto in data 30 dicembre 1997 nel quale siano state constatate violazioni riferite agli esercizi 1994 e 1995, successivamente contestate con l'atto previsto dall'art. 16. Ove risultino in seguito violazioni legate da vincolo di continuazione commesse nel 1996, dovrà comunque esser determinata una sanzione unica che tenga conto anche di queste ultime.
È essenziale tener conto che la continuazione come il concorso presuppongono che tutte le violazioni siano state commesse da uno stesso autore. La determinazione di un'unica sanzione non è mai prospettabile quando violazioni sia pur astrattamente connesse nelle forme dianzi illustrate siano state poste in essere da persone fisiche diverse.
In ogni caso, come già detto per il concorso, la sanzione irrogata (o irrogabile) non può essere superiore a quella risultante dal cumulo materiale delle sanzioni previste per le singole violazioni (comma 7).
Non è fuor di luogo soggiungere che la determinazione in concreto degli aumenti disposti dai commi 1, 2 e 5 è rimessa all'apprezzamento dell'organo deputato all'accertamento ai sensi dell'art. 16, comma 1, il quale dovrà valutare, ai sensi dell'art. 7, comma 1, e nei limiti delle notizie a sua disposizione, la personalità del trasgressore e la pericolosità e gravità del comportamento, tenuto conto sia degli anni d'imposta coinvolti nella continuazione, sia del criterio di proporzionalità tra entità della sanzione astrattamente irrogabile e gravità delle violazioni e del danno prodotto.
Si sottolinea, per l'importanza che questo aspetto riveste anche per l'applicazione delle regole sul concorso già esaminate, che la valutazione si dovrà esprimere in una motivazione adeguata, avuto riguardo alle prescrizioni dell'art. 16, comma 2, e dell'art. 17, comma 1, che impongono, a pena di nullità dell'atto di contestazione ovvero dell'avviso di accertamento contestuale, l'indicazione dei criteri seguiti per la determinazione della sanzione.
Si osserva, da ultimo, come l'istituto della continuazione sia perfettamente compatibile con quello della "recidiva", disciplinato dal comma 3 dell'art. 7, essendo senz'altro possibile che la catena della violazioni valutabile secondo i principi consacrati nell'art. 12 comprenda "violazioni della stessa indole" reiterate nel tempo.
Di conseguenza, seguendo l'orientamento espresso in materia penale dalle SS. UU. della Corte di Cassazione nella sentenza 17 ottobre 1996, n. 9146, alla sanzione corrispondente alla violazione base si potrà operare, prima, l'aumento disposto dall'art. 7, comma 3, e poi quelli previsti dall'art. 12. Così, ad esempio, se nell'anno 1998 vengono contestate, in relazione agli anni 1995 e 1996, violazioni per irregolare tenuta della contabilità e per infedeltà delle dichiarazioni rilevanti ai fini dell'Irpeg e dell'Ilor alla sanzione corrispondente alla violazione più grave si potrà applicare l'aumento fino alla metà disposto dall'art. 7, comma 3, e dopo quello previsto dall'art. 12, comma 3 e quello disposto dal comma 5 (le violazioni, infatti, nell'esempio proposto, riguardano al contempo più tributi e più periodi d'imposta).
4. Il comma 8 reca disposizioni finalizzate a coordinare l'istituto della continuazione con le previsioni dettate dal
Relativamente all'istituto dell'accertamento con adesione, il primo periodo del comma 8 stabilisce che, in deroga ai commi 3 e 5, le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica nel caso di progressione si applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d'imposta. Viene quindi sostanzialmente salvaguardata la regola fissata nell'articolo 2, comma 5, del
Per ciascun tributo oggetto dell'adesione sarà determinata un'unica sanzione per tutte le violazioni ad esso riferite nell'ambito del periodo d'imposta interessato dalla definizione.
In pratica, la continuazione assorbirà esclusivamente le sanzioni inerenti alle violazioni prodromiche in rapporto di progressione con quella più grave.
La riduzione ad un quarto sarà rapportata all'ammontare delle sanzioni determinato, con riferimento a ciascun tributo, nella misura minima prevista in applicazione dei criteri indicati nell'art. 12, commi 1 e 7 (misura minima prevista per la violazione più grave aumentata di un quarto, non superiore comunque al cumulo materiale delle sanzioni minime previste per le singole violazioni).
Quanto alla rinuncia all'impugnazione dell'avviso di accertamento o di liquidazione (art. 15 del D.Lgs. n. 218), alla conciliazione giudiziale (art. 48 del D.Lgs. n. 546) e alla definizione agevolata delle sanzioni (artt. 16 e 17 del
Così, ad esempio, se nell'atto di contestazione notificato dall'ufficio delle imposte dirette (od anche nell'avviso di accertamento contestuale a quello di irrogazione per il quale si intende rinunciare all'impugnazione o nell'atto già impugnato avanti alle commissioni tributarie per il quale si sperimenta il procedimento di conciliazione della controversia) sono indicate violazioni relative a più periodi d'imposta ma inerenti solo alle imposte sui redditi, la riduzione ad un quarto opera sulla sanzione unica determinata in forza della progressione limitatamente alle violazioni indicate nell'atto anzidetto, quantunque le stesse violazioni possano rilevare anche ai fini di altri tributi. In altre parole, poiché le violazioni contestate, nell'esempio proposto, interessano più periodi d'imposta, la sanzione sulla quale operare la riduzione dovrà essere determinata in forza del comma 5 dell'art. 12 (progressione per violazioni concernenti più periodi d'imposta), mentre non si dovrà tener conto del fatto che le medesime violazioni rilevano ai fini di più tributi. La scelta, d'altro canto, si giustifica se si tiene conto che il trasgressore, mediante gli istituti richiamati, ottiene un considerevole abbattimento della sanzione e, con l'estinzione della lite, non si espone ai rischi propri della soccombenza in fase processuale.
L'espressione "la sanzione ... non può stabilirsi" utilizzata nella previsione in esame non implica che, nei casi sopraindicati, la sanzione debba essere rideterminata dall'amministrazione con provvedimento autonomo, giacché gli abbattimenti premiali sono stabiliti per legge con riferimento al contenuto del provvedimento di contestazione o di irrogazione connesso al provvedimento di accertamento ed operano quindi automaticamente, ma sta soltanto a significare che la progressione applicata appunto con tali provvedimenti non può essere estesa, con successivo provvedimento, a violazioni non indicate negli atti medesimi.
L'autore delle violazioni coperte dai procedimenti premiali non potrebbe, cioè, pretendere di sottrarsi ad autonoma irrogazione di sanzioni ulteriori anche nel caso in cui altre violazioni potessero ritenersi in progressione con quelle indicate nei provvedimenti che hanno dato luogo alle definizioni agevolate.
5. Si evidenzia inoltre che il coordinamento della disciplina del concorso di violazioni e della continuazione con quelle concernenti l'istituto della conciliazione giudiziale e la definizione dell'accertamento per rinuncia all'impugnazione, è stato completato con l'art. 3 del
In materia di conciliazione giudiziale è stato riformulato il comma 6 dell'art. 48 del
Nell'ipotesi di rinuncia all'impugnazione, invece, il periodo aggiunto al comma 1 dell'art. 15 del
Si ipotizzi che l'atto di accertamento notificato rechi una maggiore I.R.P.E.F. dovuta di lire 3.000.000 ed una maggiore Ilor dovuta di lire 2.000.000 e la relativa sanzione unica di lire 4.500.000 (determinata cioè nella misura minima prevista: 3.000.000 + 1/5 = 3.600.000 + 1/4 = 4.500.000). In tal caso, la definizione dell'accertamento per mancata impugnazione comporta il pagamento, a titolo di sanzioni, della somma di lire 1.250.000 (pari ad 1/4 di 3.000.000 + 1/4 di 2.000.000, cioè ad un quarto dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo), in quanto superiore al quarto della sanzione irrogata (1.125.000).
Nel caso in cui l'atto di accertamento sopra ipotizzato rechi anche un maggior contributo dovuto di lire 1.000.000 per le prestazioni del servizio sanitario nazionale e un'unica sanzione di lire 4.500.000 (la circostanza che le violazioni rilevino ai fini di due o tre tributi non modifica il criterio di determinazione della sanzione nella misura minima edittale), la somma dovuta a titolo di sanzioni, a seguito della definizione per mancata impugnazione, sarebbe sempre pari a lire 1.250.000. Ciò in quanto, ai sensi dell'art. 15, comma 2, del
Ravvedimento.
«1. La sanzione è ridotta, sempreché la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore o i soggetti solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza:
a) ad un ottavo del minimo nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data della sua commissione;
b) ad un sesto del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione e sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall'omissione o dall'errore;
c) ad un ottavo del minimo di quella prevista per l'omissione della presentazione della dichiarazione, se questa viene presentata con ritardo non superiore a trenta giorni.
2. Il pagamento della sanzione ridotta deve essere eseguito contestualmente alla regolarizzazione del pagamento del tributo o della differenza, quando dovuti, nonché al pagamento degli interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno.
3. Quando la liquidazione deve essere eseguita dall'ufficio, il ravvedimento si perfeziona con l'esecuzione dei pagamenti nel termine di sessanta giorni dalla notificazione dell'avviso di liquidazione.
4. Il ravvedimento del contribuente nei casi di omissione o di errore non incidenti sulla determinazione e sul pagamento del tributo esclude l'applicazione della sanzione, se la regolarizzazione avviene entro tre mesi dall'omissione o dall'errore.
5. Le singole leggi ed atti aventi forza di legge possono stabilire, ad integrazione di quanto previsto nel presente articolo, ulteriori circostanze che importino l'attenuazione della sanzione.».
1. Nel nuovo ordinamento sanzionatorio tributario, in vigore dal 1° aprile 1998, l'istituto del ravvedimento ha trovato una sua sistemazione organica ed una disciplina tendenzialmente unitaria nei riguardi di tutti i tributi, grazie all'art. 13 del
Le finalità del ravvedimento sono quelle di permettere all'autore (o agli autori) ed ai soggetti solidamente obbligati di rimediare spontaneamente, secondo modalità ed entro precisi limiti temporali stabiliti dalla norma, alle omissioni e alle irregolarità commesse, beneficiando così di una consistente riduzione delle sanzioni amministrative previste o, addirittura, in taluni casi, della non applicazione delle sanzioni stesse, con possibili riflessi positivi anche agli effetti penali.
La norma ha mantenuto il principio secondo cui il ravvedimento non è consentito una volta che siano iniziati controlli fiscali nei confronti del contribuente. Tale limitazione serve, ovviamente, a preservare l'efficacia dissuasiva dei controlli stessi, ad evitare cioè che il trasgressore persista nella sua posizione di illegalità, con la riserva mentale di rimuovere gli effetti di tale comportamento solo una volta scoperto.
In particolare, dispone la citata norma che la facoltà di ravvedimento è preclusa:
- dalla già avvenuta constatazione della violazione;
- dall'inizio di accessi, ispezioni o verifiche;
- dall'inizio di altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore o i soggetti solidamente obbligati abbiano avuto formale conoscenza.
La prima categoria di preclusioni non comporta particolari problemi applicativi. Occorre solo precisare che le constatazioni cui allude la norma sono chiaramente quelle "esterne" o, comunque, già portate a conoscenza degli interessati. Pertanto, il ravvedimento deve intendersi consentito in ordine a quelle violazioni già constatate dall'ufficio o ente impositore ma non ancora formalmente portate a conoscenza, mediante notifica, dell'autore della violazione o dei soggetti solidamente responsabili.
Relativamente alla seconda categoria di cause ostative, il principale riferimento normativo è costituito dall'art. 52 della legge sull'I.V.A., richiamato in maniera espressa o implicita in altri settori tributari (imposte sui redditi, imposta di registro, sulle successioni, ecc.). Al riguardo si ritiene di dover chiarire che qualora l'accesso, l'ispezione o la verifica riguardino specifici periodi d'imposta, il ravvedimento rimane esperibile per le violazioni commesse in periodi d'imposta diversi da quello (o quelli) oggetto di controllo. Ugualmente dicasi circa la possibilità di regolarizzazione per le violazioni relative ad un tributo diverso da quello oggetto di verifica.
Per quanto concerne, poi, l'inizio di "altre attività amministrative di accertamento", la norma ha inteso riferirsi, in via principale, alla notifica di "inviti", "richieste", "questionari", ecc. di cui agli artt. 51, comma secondo, del
Ancora, va chiarito che l'esistenza di cause ostative va riferita, per espressa previsione normativa, non solo all'autore della violazione ma anche "ai soggetti solidamente obbligati" al pagamento della sanzione. Così esemplificando, l'inizio di una verifica nei confronti di una società impedisce ogni possibilità di ravvedimento anche alla persona fisica che, agendo per conto della società, abbia commesso la violazione. Ciò, peraltro, non significa che, una volta constatata la violazione obiettivamente considerata, la via del ravvedimento sia preclusa nei confronti di tutti i soggetti che vi possono essere implicati. La legge, infatti, limita l'effetto estensivo della preclusione solo ai soggetti obbligati in solido. Deve ritenersi, quindi, che la già avvenuta constatazione di una violazione un materia di I.V.A. nei confronti del cedente non pregiudichi la possibilità di regolarizzazione del cessionario (altro soggetto coinvolto nell'infrazione ma non responsabile in solido) prima della formale constatazione o dell'inizio della verifica nei riguardi di quest'ultimo.
Da ultimo, va osservato che la norma fa espresso riferimento al carattere "amministrativo" dell'attività tendente all'accertamento dell'infrazione. Non costituisce, pertanto, impedimento alla regolarizzazione l'avvio di indagini di natura penale (ispezioni, perquisizioni, sequestri, avvisi di garanzia, ecc.) dalle quali può eventualmente risultare notizia di una violazione tributaria. Sul punto, vigente il precedente regime, si registravano opinioni contrastanti sia in dottrina che in giurisprudenza (nel senso che tali atti non sono ostativi del ravvedimento, cfr. Cass., sez. III, 13 gennaio 1996, n. 4140).
2. Dal testo dell'art. 13 è possibile enucleare almeno tre tipologie di ravvedimento, a seconda che lo stesso si perfezioni - entro le soglie temporali previste - con la semplice rimozione formale della violazione commessa o se ai fini della regolarizzazione, sia anche necessario il pagamento (contestuale o meno) della sanzione ridotta, del tributo dovuto e dei relativi interessi moratori.
Più esattamente, la prima tipologia è quella prevista dal comma 4 e riguarda gli errori e le omissioni che non incidono sulla determinazione e sul pagamento del tributo. Il ravvedimento relativo a tali infrazioni esclude l'applicazione delle previste sanzioni se la regolarizzazione interviene entro tre mesi dall'omissione o dall'errore. Esso si sostanzia, quindi, nel solo adempimento tardivo dell'obbligo imposto.
Rientrano nella suddetta tipologia tutte le violazioni formali (particolarmente numerose in certi settori impositivi, come quello dell'I.V.A.), nonché talune violazioni di natura potenzialmente sostanziale, a condizione che le stesse, nel caso concreto, non abbiano inciso sulla determinazione e sul versamento dell'imposta. Si pensi, nel campo dell'I.V.A., ad una fattura afferente un'operazione imponibile emessa o annotata con un ritardo talmente esiguo da consentire ugualmente la computazione della relativa imposta nella liquidazione periodica di competenza.
La seconda tipologia di ravvedimento è disciplinata dal combinato disposto dei commi 1 e 2 dell'art. 13 e, come già detto, fa dipendere il beneficio dal trattamento premiale, oltre che dalla rimozione formale della violazione anche dal contestuale versamento della sanzione ridotta, del tributo (se dovuto) e degli interessi moratori (sul solo tributo) calcolati al tasso legale, attualmente del 5 per cento annuo, con maturazione giorno per giorno. L'entità dell'attenuazione della sanzione è diversa (un ottavo oppure un sesto della misura minima edittale) in funzione della natura della violazione e del tempo intercorrente tra la data in cui l'infrazione è stata commessa e quella in cui interviene il ravvedimento, all'interno, com'è ovvio, dei limiti temporali fissati dalla norma.
In particolare, ai sensi della lettera a) del citato comma 1, la sanzione è ridotta ad un ottavo del minimo, nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data della sua commissione.
Anche se la norma, ai fini del computo dei trenta giorni, fa espresso riferimento alla data della "commissione" della violazione, il dies a quo deve in ogni caso identificarsi con quello di scadenza del termine. Pertanto, ipotizzando un insufficiente versamento eseguito in data antecedente a quella di scadenza, i trenta giorni per la regolarizzazione (in questo caso, integrazione del versamento) non decorreranno dall'inesatto adempimento ma dal giorno di scadenza del termine originario.
Tenuto conto, poi, che secondo la previsione di carattere generale contenuta nell'art. 13, comma 2, del
Riepilogando, perché si perfezioni la fattispecie di ravvedimento in esame, è necessario che, entro il termine di trenta giorni (da ritenere essenziale), avvenga il pagamento:
- dell'imposta o della differenza d'imposta dovuta;
- degli interessi legali (commisurati sull'imposta) maturati dal giorno in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato a quello in cui viene effettivamente eseguito;
- della sanzione pari al 3,75 per cento dell'imposta versata in ritardo. In mancanza anche di uno solo dei citati pagamenti il ravvedimento non può operare.
Secondo la disposizione contenuta nella successiva lettera b), la sanzione è ridotta a un sesto del minimo, se la regolarizzazione degli errori o delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione e sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall'omissione o dall'errore.
La locuzione "errori ed omissioni, anche se incidenti sulla determinazione e sul pagamento del tributo" è talmente ampia da abbracciare tutte le violazioni ipotizzabili, ad esclusione delle fattispecie ricomprese nella previsione della lettera c) (non di tutte come si vedrà) e di quelle non dovute ad "errori od omissioni" delle quali si dirà a parte.
Proprio per il suo carattere tendenzialmente onnicomprensivo la previsione della lettera b) assorbe quella della precedente lettera a), nel senso che il soggetto che ha omesso di versare un'imposta alla prescritta scadenza può rimediare all'inadempimento (effettuando i dovuti pagamenti) entro trenta giorni dalla commessa violazione, beneficiando della riduzione della sanzione ad un ottavo, ossia al 3,75 per cento, oppure, a propria scelta, entro i più ampi margini previsti dalla lettera b), usufruendo in tal caso della riduzione della sanzione ad un sesto, cioè al 5 per cento.
In ogni caso - è bene ripeterlo - il ravvedimento si perfeziona allorquando siano state eseguite tutte le incombenze richieste dalla legge. Pertanto se, esemplificando, l'imposta viene versata entro trenta giorni dalla scadenza ma i relativi interessi o la sanzione vengono corrisposti entro i termini previsti dalla lettera b), la riduzione spettante sarà pari a un sesto e non ad un ottavo. Tutto ciò, sempreché nelle more non vi siano stati interventi preclusivi da parte degli organi competenti.
A proposito delle due soglie temporali previste dalla disposizione in esame ("termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione" e "un anno dall'omissione o dall'errore") si chiarisce che la diversificazione è in sostanza correlata alla distinzione tra i cosiddetti "tributi periodici" cui inerisce un obbligo di dichiarazione che si rinnova appunto periodicamente (es. imposte sui redditi, I.V.A.) e i cosiddetti "tributi istantanei" che tale obbligo non configurano (es. imposta di registro, sulle successioni).
Gli errori ed omissioni sanabili ai sensi della lettera b) sono "anche" quelli che incidono sulla determinazione e sul pagamento del tributo. Ne consegue che rientrano nella suddetta previsione "anche" le infrazioni di carattere formale, già trattate esaminando la prima tipologia di ravvedimento.
Vi rientrano anche gli omessi versamenti dell'I.V.A. dovuti ad errori materiali o di calcolo rilevabili dall'ufficio in sede di controllo della dichiarazione, ai sensi dell'art. 60, comma sesto, del D.P.R. n. 633, nonché quelle violazioni in materia di imposte sui redditi rilevabili in sede di liquidazione ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del
Ancora, è da ricomprendere nel novero delle violazioni suscettibili di regolarizzazione l'ipotesi prevista dall'art. 70, secondo comma, del D.P.R. n. 633 di utilizzo del "plafond" oltre i limiti consentiti, per operazioni d'importazione.
Anche l'integrazione (in aumento) delle dichiarazioni validamente presentate nei settori dell'IVA e delle imposte sui redditi costituiscono ipotesi di ravvedimento implicitamente disciplinate dalla previsione della lettera b).
Al riguardo, per quanto concerne l'I.V.A., va ricordato che la possibilità di regolarizzare direttamente una dichiarazione infedele non era prevista dall'art. 48, primo comma, del D.P.R. n. 633 che, ai fini del ravvedimento, faceva testuale riferimento alle omissioni e irregolarità "relative ad operazioni imponibili" tra le quali non potevano essere ricomprese quelle riguardanti la dichiarazione annuale. In materia di imposte sui redditi, poi, la facoltà di procedere ad integrazione della dichiarazione era espressamente esclusa per i sostituti d'imposta dall'art. 9, ottavo comma, del
Poiché, come si è detto, la citata lett. b) dell'art. 13 non contiene specificazioni limitative in tal senso, l'integrazione anche delle suddette dichiarazioni è da ritenere ora consentita "entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione". Così, per esempio, una violazione per infedele dichiarazione I.V.A. relativa all'anno 1997 deve ritenersi commessa nel 1998, con la presentazione della dichiarazione, e può quindi essere sanata entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno 1998 (giugno 1999).
Prima di proseguire con l'esame di altre fattispecie, sembra opportuno ribadire che il termine "contestualmente" che si rinviene nel comma 2 dell'art. 3 (e che già prima era contenuto nell'art. 48 del D.P.R. n. 633) non deve essere inteso nel senso che tutte le incombenze previste ai fini del ravvedimento (rimozione formale della violazione e pagamento delle somme dovute) debbano avvenire nel "medesimo giorno" ma, com'è logico che sia, entro lo stesso "limite temporale" (trenta giorni, un anno, ecc.) previsto dalla norma.
Se la violazione consiste nell'omessa presentazione della dichiarazione, la possibilità del ravvedimento è, in linea di massima, esercitabile in tempi molto ristretti. La lettera c) dell'art. 13, infatti, accorda la riduzione della sanzione ad un ottavo del minimo solo se la dichiarazione viene presentata e i relativi versamenti eseguiti, entro trenta giorni dalla scadenza.
La previsione della lettera c) è in linea con la regola stabilita nel settore dell'IVA e delle imposte sui redditi, che considerano omessa la dichiarazione annuale presentata con un ritardo superiore a trenta giorni rispetto al termine di scadenza. Per i tributi anzidetti esiste, pertanto, un solo limite temporale (di trenta giorni appunto) entro il quale poter regolarizzare l'omessa presentazione della dichiarazione.
Si ritiene, peraltro, che l'espressione "dichiarazione" usata nella specie dal legislatore debba essere intesa in senso lato e, quindi, comprensivo anche delle nozioni di "atto" o "denuncia", proprie dell'imposta di registro, o della "dichiarazione di successione". Inoltre, va rilevato che in ordine a tali tributi non esiste alcuna disposizione che equipari all'omissione la presentazione della dichiarazione con un ritardo superiore a trenta giorni. Ne consegue che, nelle suddette materie, esistono due soglie temporali entro le quali è possibile regolarizzare l'omissione: quella di trenta giorni stabilita dalla lettera c), con riduzione della sanzione ad un ottavo del minimo, e quella di un anno prevista dalla lettera b), cui consegue la riduzione ad un sesto del minimo.
La terza tipologia di ravvedimento è quella disciplinata in maniera specifica dal comma 3 dell'art. 13 e si riferisce ai tributi che, in linea di massima, non possono essere liquidati dal contribuente (quali, ad esempio, registro e successioni).
Prevede tale norma che, quando la liquidazione deve in via istituzionale essere effettuata dall'ufficio (e quindi il contribuente non è in grado di adempiere alle prescrizioni del comma 2, ossia di pagare "contestualmente" il tributo dovuto, i relativi interessi e la sanzione ridotta, non essendo tenuto a quantificarne l'ammontare), il ravvedimento si perfeziona con l'esecuzione dei pagamenti entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione dell'avviso di liquidazione.
Più esattamente, nella suddetta ipotesi il ravvedimento deve necessariamente essere articolato in due fasi:
- entro i termini indicati nel comma 1 dell'art. 13 (trenta giorni o un anno, a seconda dei casi) e sempreché non sussistano cause ostative, l'interessato deve procedere alla rimozione formale dell'inadempimento, provvedendo, per esempio, a produrre l'atto o la denuncia per la registrazione o a presentare la dichiarazione di successione;
- successivamente, l'ufficio provvederà a notificare alla parte apposito avviso contenente la liquidazione dell'imposta dovuta, degli interessi legali maturati fino al giorno in cui è stato rimosso l'inadempimento, e della sanzione nella misura ridotta. Tale atto deve contenere l'avvertenza che viene notificato al preciso scopo di rendere possibile il perfezionamento del ravvedimento.
È il caso di precisare che un eventuale mancato pagamento nel termine di sessanta giorni rende inefficace la regolarizzazione e consente all'ufficio di applicare la sanzione nella misura intera.
Invece della particolare procedura ora illustrata, deve essere seguita quella ordinaria (con pagamento contestuale delle somme dovute) quando, pur nell'ambito di tali tributi, si tratta di regolarizzare infrazioni di natura formale e non vi sia quindi alcuna imposta da liquidare ovvero infrazioni relative ad un'imposta già liquidata (es. tardività di pagamento).
3. Come risulta da quanto finora esposto, l'ambito applicativo del ravvedimento è stato dal nuovo ordinamento sanzionatorio ampliato a tal punto da riguardare tendenzialmente la totalità delle violazioni tributarie.
Tuttavia, dal tenore letterale della disposizione contenuta nel comma 1, lettera b), dell'art. 13 è individuabile una implicita ma chiara limitazione all'esercizio della facoltà di cui trattasi.
Si ritiene, infatti, che l'espresso riferimento di tale norma alla "regolarizzazione degli errori e delle omissioni" si traduca inevitabilmente in una preclusione, circa la possibilità di ravvedimento, nei confronti di quei comportamenti antigiuridici che non abbiano origine da un errore o da un'omissione.
Tipico è il caso delle fatture per operazioni inesistenti, che assume rilevanza sia nel campo dell'IVA che in quello delle imposte sui redditi. Com'è noto, il problema dell'applicabilità del ravvedimento anche alla suddetta ipotesi era stato risolto, sotto il previgente regime, in senso favorevole dalla Suprema Corte di Cassazione (cfr. sentenza 24 luglio 1995, n. 2215) senza, però, che al riguardo fosse possibile intravedere un principio giurisprudenziale consolidato. Ad opposte conclusioni si deve, invece, pervenire sulla base della nuova norma, non potendosi ovviamente sostenere che sia stato commesso un semplice "errore", o tanto meno una "omissione", da parte di chi abbia emesso o utilizzato una fattura a fronte di un'operazione inesistente.
Le stesse considerazioni valgono, com'è ovvio, per altre fattispecie di violazioni caratterizzate da condotte fraudolente.
4. Si è detto che il principale effetto giuridico che trae origine dal ravvedimento consiste nella riduzione (o addirittura nella non applicazione) della sanzione amministrativa relativa all'inadempimento regolarizzato. Al riguardo, non appare superfluo chiarire che, ai fini del ravvedimento, le singole violazioni non possono essere cumulate giuridicamente secondo le regole sul concorso di violazioni e sulla continuazione di cui all'art. 12 del
Un altro effetto è che la violazione regolarizzata non può essere considerata "precedente della stessa indole" ai fini della recidiva prevista dall'art. 7, comma 3, del
5. Rimane da dire in ordine agli effetti che il ravvedimento produce sul piano penale.
Com'è noto, secondo il previgente regime, i benefici derivanti dall'utilizzo dello strumento del ravvedimento non erano limitati all'ambito amministrativo ma si estendevano anche al profilo penale. Ed invero, considerato che numerose violazioni amministrative costituiscono fattispecie penalmente perseguibili, l'art. 14, comma 5, della
Ora, l'art. 13 del
Si deve tener conto, infatti, che la delega contenuta nell'art. 3, comma 133, della
Ne consegue che, nei limiti delle integrazioni e delle regolarizzazioni effettuate ai sensi del più volte citato art. 13, devono tuttora ritenersi operanti le cause di non punibilità stabilite dalle previgenti richiamate norme.
A tali fini non può assumere rilevanza il fatto che l'art. 48 (a differenza dell'art. 14, comma 5, della
Cessione di azienda.
«1. Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell'azienda o del ramo d'azienda, per il pagamento dell'imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.
2. L'obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell'amministrazione finanziaria e degli enti preposti all'accertamento dei tributi di loro competenza.
3. Gli uffici e gli enti indicati nel comma 2 sono tenuti a rilasciare, su richiesta dell'interessato, un certificato sull'esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Il certificato, se negativo, ha pieno effetto liberatorio del cessionario, del pari liberato ove il certificato non sia rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta.
4. La responsabilità del cessionario non è soggetta alle limitazioni previste nel presente articolo qualora la cessione sia stata attuata in frode dei crediti tributari, ancorché essa sia avvenuta con trasferimento frazionato di singoli beni.
5. La frode si presume, salvo prova contraria, quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante.
L'articolo 14 riprendendo in larga misura la previsione espressa nell'art. 19 della
1. Il comma 1 stabilisce che il cessionario è responsabile, in solido con il cedente, per il pagamento delle imposte e delle sanzioni riferibili a:
- violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuto il trasferimento e nei due anni precedenti, ancorché non contestate o irrogate alla data della cessione;
- violazioni già contestate (e alle sanzioni già irrogate), nel medesimo periodo, anche se commesse in epoca anteriore.
La nuova norma amplia, dunque, rispetto al citato art. 19 (che faceva riferimento solo all'anno del trasferimento e ai due precedenti), le ipotesi di responsabilità del cessionario e, tuttavia, introduce due importanti limitazioni sotto altro profilo, stabilendo che al cessionario va riconosciuto il beneficio della previa escussione del cedente e che la responsabilità solidale (sussidiaria) non può eccedere il valore dell'azienda o del ramo d'azienda acquisito.
Il beneficio della previa escussione accordato al cessionario, impone all'ufficio o all'ente di procedere, anzitutto, in via esecutiva nei confronti del cedente. Chiusa questa fase, il credito (residuo) può essere fatto valere nei confronti del cessionario.
Il valore dell'azienda o del ramo di azienda da assumere quale limite alla responsabilità solidale del cessionario è quello accertato dal competente ufficio delle entrate o del registro ovvero, in mancanza di accertamento, quello dichiarato dalle parti.
È da sottolineare che per configurarsi la responsabilità del cessionario non è indispensabile che il trasferimento dell'azienda risulti da apposito atto materiale, essendo invece sufficiente che si renda applicabile l'imposta di registro per presunzione di cessione (salvo prova contraria) desunta, ai sensi dell'art. 15, comma 1, lett. d), del Testo Unico approvato con
2. Il comma 2 prevede un'ulteriore limitazione alla responsabilità del cessionario, disponendo che la sua obbligazione (sussidiaria, come si è detto) è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell'amministrazione finanziaria e degli enti preposti all'accertamento dei tributi di loro competenza.
Di conseguenza, secondo quanto espressamente previsto dal comma 3, gli uffici e gli enti (uffici delle entrate, uffici distrettuali delle imposte dirette, uffici I.V.A., uffici del registro, comuni, province, regioni, ecc.) sono tenuti a rilasciare all'interessato che ne faccia richiesta un certificato (in bollo da lire 20.000 e previo pagamento dei previsti tributi speciali) in ordine all'esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati ancora soddisfatti alla data della richiesta.
Nel certificato devono essere enunciate anche le violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione o nel biennio precedente e già constatate dall'ufficio o dell'ente competenti, ancorché alla data del trasferimento non sia stato ancora emesso il relativo atto di contestazione o di irrogazione della sanzione.
Il cessionario è liberato da ogni obbligazione nel caso di certificato negativo e nel caso che il certificato non sia rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta.
Gli uffici e gli enti interessati dovranno quindi dedicare la massima cura e tempestività nell'esame delle richieste presentate e nel rilascio dei relativi certificati.
In ordine al termine di quaranta giorni previsto, si chiarisce che lo stesso decorre dalla data in cui la richiesta perviene all'ufficio o all'ente, mentre il termine finale si identifica con il giorno di ritiro del certificato presso gli sportelli dell'ufficio o dell'ente ovvero con quello di spedizione mediante lettera raccomandata.
La circostanza che l'obbligazione del cessionario sia fissata con riferimento al debito risultante "alla data del trasferimento" dell'azienda o del ramo di azienda, non esclude che, in mancanza di una diversa disposizione, il certificato possa essere richiesto in qualsiasi tempo, sia prima che dopo la cessione.
D'altra parte, la previsione del comma 3 è finalizzata anche a porre il cessionario in grado di conoscere preventivamente le responsabilità che potrebbero conseguire all'acquisto dell'azienda, per cui anche il cessionario in fieri deve ritenersi legittimato a chiedere la certificazione. In detta ipotesi, peraltro, è necessario che il cedente in fieri manifesti esplicitamente il proprio consenso alla richiesta del certificato da parte di terzi.
Resta inteso, comunque, che il cessionario non può ritenersi esonerato da responsabilità con riferimento al periodo intercorrente tra la data di rilascio del certificato (o la data di scadenza del termine dei quaranta giorni in caso di mancato rilascio) e quella in cui avviene il trasferimento dell'azienda.
3. Tutte le limitazioni della responsabilità, previste nell'articolo 14, vengono meno, ai sensi del comma 4, se la cessione dell'azienda - anche se avvenuta con trasferimento frazionato di singoli beni - sia stata attuata in frode ai crediti di natura tributaria (si consideri, per esempio, la previsione espressa nell'art. 97 del
In base al comma 5, la frode si presume, salvo prova contraria, se il trasferimento è effettuato nei sei mesi successivi alla constatazione di una violazione penalmente rilevante e suscettibile di radicare l'azione corrispondente (e cioè se l'azione penale è proponibile in quanto non ostano cause che ne impediscono l'esercizio, come per esempio la prescrizione del reato).
Riepilogando, la responsabilità del cessionario non è soggetta ad alcuna limitazione, sia che si tratti di frode concretamente accertata (la cui prova deve essere sempre fornita dall'ufficio) sia che si tratti di frode semplicemente presunta e non vinta da prova contraria.
In entrambi i casi, nessun effetto limitativo e tanto meno liberatorio può derivare dal certificato eventualmente rilasciato (o dal mancato rilascio nel termine di quaranta giorni) essendo tutto ciò superato dal provato disegno fraudolento. Il cessionario risponderà pertanto solidamente (ma senza più il beneficio della previa escussione del cedente) ed illimitatamente di tutte le violazioni commesse dal cedente fino alla data del trasferimento, anche se a tale data le stesse non siano state ancora constatate, purché ovviamente vengano rispettati i termini di decadenza previsti per l'accertamento.
Trasformazione, fusione e scissione di società.
«1. La società o l'ente risultante dalla trasformazione o dalla fusione, anche per incorporazione, subentra negli obblighi delle società trasformate o fuse relativi al pagamento delle sanzioni. Si applica l'articolo 2499 codice civile.
2. Nei casi di scissione anche parziale di società od enti, ciascuna società od ente è obbligato in solido al pagamento delle somme dovute per violazioni commesse anteriormente alla data dalla quale la scissione produce effetto.
L'articolo 15 disciplina la responsabilità relativa al pagamento delle sanzioni nei casi di trasformazione, fusione e scissione di società o enti.».
1. Il comma 1 stabilisce che la società o l'ente risultante dalla trasformazione o dalla fusione, anche per incorporazione, subentra negli obblighi delle società trasformate o fuse relativi al pagamento delle sanzioni.
La norma in esame costituisce una mera conferma di principi generali già esistenti, che avrebbero trovato applicazione anche in assenza di una previsione espressa. Infatti, va tenuto conto che:
- la trasformazione della società da un tipo all'altro non comporta l'estinzione della società e la costituzione di un nuovo soggetto giuridico, ma la semplice modificazione dell'atto costitutivo. Il che trova conferma nell'ultimo comma dell'art. 2498 del codice civile secondo il quale la società risultante dalla trasformazione "conserva i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione";
- ai sensi dell'art. 2504-bis, primo comma, codice civile, "la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società estinte".
Con riferimento alle violazioni commesse dopo il 1° aprile 1998, gli obblighi relativi al pagamento delle sanzioni si identificano con quelli previsti dall'art. 11, comma 1, che prevede il sorgere di una responsabilità di tipo "solidale" con la persona fisica che ha commesso il fatto, qualora si tratti di violazioni:
a) che abbiano inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo (sono escluse, quindi, dall'ambito applicativo della suddetta responsabilità solidale le violazioni formali);
b) commesse dal dipendente o dal rappresentante o dell'amministratore anche di fatto di società, associazione o ente, con o senza personalità giuridica, nell'esercizio delle sue funzioni o incombenze.
Ne consegue che la società o l'ente risultante dalla trasformazione o dalla fusione subentra anche nel diritto al regresso nei confronti dell'autore (persona fisica) della violazione, secondo le previsioni del citato art. 11.
Il comma 1 dell'articolo in esame reca, inoltre, un'ulteriore ed espressa conferma circa l'applicabilità, anche nell'ambito della sanzioni tributarie, dell'art. 2499 del codice civile secondo cui la trasformazione di una società non libera i soci a responsabilità illimitata dalla responsabilità (sussidiaria) per le obbligazioni sociali anteriori all'iscrizione della deliberazione di trasformazione nel registro delle imprese. Al riguardo va ricordato che la deroga contenuta nell'articolo in questione, secondo la quale la responsabilità dei soci viene meno se i creditori sociali "hanno dato il loro consenso alla trasformazione" non può trovare applicazione nei confronti dell'amministrazione finanziaria, con riguardo ai crediti tributari, stante l'indisponibilità dei medesimi (Cass. 11 luglio 1981, n. 4510).
2. Il comma 2 prevede che nei casi di scissione anche parziale di società o enti, ciascuna società od ente è obbligato in solido al pagamento delle somme dovute per violazioni commesse anteriormente alla data dalla quale la scissione produce effetto.
Com'è noto, la scissione di una società può avvenire secondo due modalità, ai sensi dell'art. 2504-septies del codice civile:
a) mediante trasferimento dell'intero suo patrimonio a più società, preesistenti o di nuova costituzione, e assegnazione delle loro azioni o quote ai soci della prima (in questa ipotesi, la società scissa cessa di esistere);
b) mediante trasferimento di parte del suo patrimonio a una o più società, preesistenti o di nuova costituzione, e assegnazione delle loro azioni o quote ai soci della prima (in tal caso la società scissa continua ad esistere).
In entrambe le ipotesi sorge, come si è detto, una responsabilità solidale delle società (sia quella scissa che quelle beneficiarie) per le violazioni commesse prima della scissione, in conformità del resto a quanto già stabilito dall'art. 2504-decies del codice civile, ma senza i limiti ivi previsti (relativi al valore effettivo del patrimonio netto trasferimento o rimasto).
Anche in ordine alla scissione vale l'osservazione già fatta a proposito della trasformazione e fusione, circa il tipo di violazione cui inerisce la responsabilità di cui trattasi. Così per esempio, se il rappresentante legale della società "Alfa" commette dopo il 1° aprile 1998 una violazione i cui effetti si riflettono sul patrimonio della società stessa (in quanto incidono sulla determinazione o sul pagamento del tributo), la quale poi si "scinde", alla responsabilità solidale della società "Alfa", che nasce per effetto dell'art. 11, si sostituisce (nell'ipotesi di scissione totale) o si aggiunge (nel caso di scissione parziale) la responsabilità solidale delle società beneficiarie, ferma restando ovviamente la responsabilità diretta del rappresentante legale. Non così, qualora trattasi di violazione di carattere formale della quale risponde solo l'autore persona fisica (nella specie il rappresentate legale della società "Alfa").
Procedimento di irrogazione delle sanzioni.
«1. La sanzione amministrativa e le sanzioni accessorie sono irrogate dall'ufficio o dall'ente competenti all'accertamento del tributo cui le violazioni si riferiscono.
2. L'ufficio o l'ente notifica atto di contestazione con indicazione, a pena di nullità, dei fatti attribuiti al trasgressore, degli elementi probatori, delle norme applicate, dei criteri che ritiene di seguire per la determinazione delle sanzioni e della loro entità, nonché dei minimi edittali previsti dalla legge per le singole violazioni.
3. Nel termine di sessanta giorni dalla notificazione, il trasgressore e i soggetti obbligati in solido, possono definire la controversia con il pagamento di un importo pari ad un quarto della sanzione indicata e comunque non inferiore ad un quarto dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo. La definizione agevolata impedisce l'irrogazione delle sanzioni accessorie.
4. Se non addivengono a definizione agevolata, il trasgressore e i soggetti obbligati in solido possono, entro lo stesso termine, produrre deduzioni difensive. In mancanza, l'atto di contestazione si considera provvedimento di irrogazione, impugnabile ai sensi dell'articolo 18 sempre entro il termine di sessanta giorni dalla sua notificazione.
5. L'impugnazione immediata non è ammessa e, se proposta, diviene improcedibile qualora vengano presentate deduzioni difensive in ordine alla contestazione.
6. L'atto di contestazione deve contenere l'invito al pagamento delle somme dovute nel termine di sessanta giorni dalla sua notificazione, con l'indicazione dei benefici di cui al comma 3 ed altresì l'invito a produrre nello stesso termine, se non si intende addivenire a definizione agevolata, le deduzioni difensive e, infine, l'indicazione dell'organo al quale proporre l'impugnazione immediata.
7. Quando sono state proposte deduzioni, l'ufficio, nel termine di decadenza di un anno dalla loro presentazione, irroga, se del caso, le sanzioni con atto motivato a pena di nullità anche in ordine alle deduzioni medesime. Tuttavia, se il provvedimento non viene notificato entro centoventi giorni, cessa di diritto l'efficacia delle misure cautelari concesse ai sensi dell'articolo 22.»
L'articolo 16 disciplina in modo tendenzialmente unitario il procedimento di irrogazione delle sanzioni pecuniarie e di quelle accessorie, introducendo talune innovazioni che vanno al di là degli aspetti meramente procedurali per riflettersi anche su un piano sostanziale.
1. Il comma 1 individua gli organi titolari della potestà di irrogazione delle sanzioni negli uffici dell'amministrazione finanziaria o negli enti locali competenti all'accertamento del tributo cui le violazioni si riferiscono.
Il procedimento inizia con la notifica, da parte dell'ufficio o ente, di un apposito atto di contestazione all'autore della violazione. Qualora la contestazione riguardi una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo, la notificazione dell'atto deve avvenire anche ai soggetti obbligati in solido, se, com'è ovvio, l'ufficio o l'ente intendono agire nei confronti di questi.
Il procedimento in esame deve essere obbligatoriamente utilizzato per l'irrogazione delle sanzioni relative a violazioni non incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo (cosiddette violazioni formali), mentre può essere facoltativamente utilizzato per le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono (che possono anche essere inflitte direttamente con l'atto di accertamento o di rettifica ai sensi dell'art. 17, comma 1) e per le sanzioni relative agli omessi e ritardati versamenti (che possono anche essere irrogate mediante iscrizione a ruolo ai sensi dell'art. 17, comma 3, e che, in ogni caso, non sono definibili in via agevolata).
In funzione anche di una eventuale migliore difesa in sede processuale è opportuno che il procedimento in rassegna venga utilizzato in tutti i casi in cui si intendano irrogare sanzioni per violazioni commesse con dolo o colpa grave al trasgressore non coincidente con il soggetto passivo del tributo. Ciò in quanto il contraddittorio anticipato può consentire di acquisire elementi utili per una più ponderata valutazione dell'elemento soggettivo proprio della violazione contestata, rendendo quindi possibili correzioni istruttorie in modo da non esporre il successivo eventuale atto di irrogazione a censure di infondatezza o illegittimità.
L'atto deve contenere, a pena di nullità:
- l'indicazione dei fatti materiali attribuiti al trasgressore, degli elementi probatori, delle norme applicabili e dei criteri seguiti per la determinazione delle sanzioni e della loro entità;
- l'indicazione dei minimi edittali previsti dalla legge per le singole violazioni.
L'atto di contestazione deve inoltre contenere:
- l'invito al pagamento delle somme dovute nel termine di sessanta giorni dalla sua notificazione, con l'indicazione dei benefici in tal caso spettanti: riduzione della sanzione ad un quarto della misura indicata e comunque a un importo non inferiore ad un quarto dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo (nell'ipotesi di sanzioni relative agli omessi o ritardati versamenti, deve invece essere evidenziato che non è ammessa la definizione agevolata); non applicabilità delle eventuali sanzioni accessorie relative alle violazioni contestate; non considerazione della violazione ai fini della recidiva di cui all'art. 7, comma 3;
- l'indicazione della possibilità di produrre, nello stesso termine di sessanta giorni, deduzioni difensive, qualora non si ritenga di dover accedere alla definizione agevolata;
- l'indicazione dell'autorità giudiziaria o amministrativa alla quale è possibile proporre l'impugnazione immediata.
2. Ricevuta la notifica dell'atto di contestazione, l'autore delle violazioni e i soggetti obbligati in solido possono, entro sessanta giorni dalla notificazione:
a) definire la controversia con il pagamento delle sanzioni ridotte.
La definizione eseguita dagli obbligati in via solidale comporta l'estinzione dell'obbligazione propria dell'autore materiale, così come quella eseguita dall'autore materiale comporta l'estinzione dell'obbligazione riferibile ai coobbligati. Tuttavia, se questi coincidono con i soggetti indicati nell'art. 11, comma 1, e la violazione è commessa con colpa (non grave), il pagamento dell'autore delle violazioni nelle ipotesi previste dall'art. 5, comma 2, determina l'estinzione dell'obbligazione dei coobbligati nei limiti dell'importo entro cui la sanzione può essere eseguita nei confronti dell'autore, ossia fino a lire 100 milioni (va da sé che se questi si determina ad estinguere l'intera obbligazione anche per somma eccedente lire 100 milioni, il pagamento comporta l'estinzione integrale dell'obbligazione posta a carico dei soggetti di cui all'art. 11, comma 1). Ne discende, in quest'ultimo caso, che i responsabili per la sanzione possono definire l'obbligazione loro propria (ossia l'obbligazione eventualmente residua) nei termini e secondo le modalità indicate nell'art. 16, comma 3, dopo la notificazione nei loro confronti dell'atto di contestazione. La riduzione, sempre nelle ipotesi contemplate nell'art. 5, comma 2, opera sull'ammontare complessivo della sanzione irrogabile, cosicché, mentre nei confronti dell'autore l'importo esigibile rimane stabilito nell'ammontare di lire 100 milioni, rispetto ai responsabili solidali di cui all'art. 11, comma 1, l'ammontare della somma da corrispondere per conseguire la definizione agevolata è pari alla differenza fra quanto corrisposto dall'autore e il quarto della somma indicata nell'atto di contestazione. Ad esempio, se in esso è indicata la sanzione di lire 500 milioni e l'autore della violazione paga lire 100 milioni, per conseguire la definizione agevolata occorrerà l'ulteriore versamento di lire 25 milioni. Il tutto, ovviamente, nel termine di sessanta giorni dalla notificazione dell'atto.
La definizione impedisce l'irrogazione delle sanzioni accessorie.
b) Produrre deduzioni difensive avanti all'ufficio o all'ente locale che ha emanato l'atto.
In questa ipotesi non è ammessa impugnazione immediata avanti all'autorità giudiziaria o a quella amministrativa indicata dall'art. 18, vuoi che le deduzioni siano presentate soltanto dall'autore delle violazioni o da uno dei soggetti obbligati solidalmente, vuoi che siano presentante da entrambi. Se avverso l'atto di contestazione è stata proposta impugnazione immediata, la presentazione delle deduzioni difensive, anche da parte di un soggetto diverso da quello impugnante, ne determina l'improcedibilità. In simile circostanza, sarà onere della parte resistente comunicare all'autorità giudiziaria o amministrativa avanti alla quale pende la controversia l'avvenuta presentazione delle deduzioni affinché questa adotti i provvedimenti necessari.
c) Impugnare immediatamente l'atto avanti alle commissioni tributarie o, per i tributi per i quali non sussiste competenza di queste, all'autorità giudiziaria ordinaria, ovvero avanti all'autorità preposta a decidere la lite in via amministrativa ai sensi dell'art. 18.
Tuttavia, come si è appena detto, l'impugnazione immediata non è ammessa in presenza di deduzioni difensive.
Mentre nell'ipotesi sub c) l'impugnazione immediata comporta la conversione ex lege dell'atto di contestazione in provvedimento di irrogazione delle sanzioni, nell'ipotesi sub b), l'ufficio o l'ente, se ritengono di non accogliere la difesa degli interessati, devono provvedere ad emanare apposito atto di irrogazione, da notificare entro un anno dalla presentazione delle deduzioni difensive. In questo caso, l'ufficio o l'ente devono motivare il provvedimento, sempre a pena di nullità, anche in ordine alle deduzioni medesime, così da rendere edotti i soggetti interessati dei motivi che ne hanno determinato il mancato accoglimento.
La notificazione deve avvenire nei confronti di tutti i soggetti ai quali sia stato originariamente notificato l'atto di contestazione, indipendentemente dal fatto che solo alcuni di questi abbiano presentato deduzioni difensive.
Si sottolinea che, nelle ipotesi in cui siano state concesse misure cautelari ai sensi dell'art. 22 (ipoteca e sequestro conservativo), i provvedimenti corrispondenti perdono efficacia se l'atto di irrogazione non viene notificato entro 120 giorni dalla presentazione delle deduzioni difensive (si vedano, per questo aspetto, anche le precisazioni formulate con riferimento all'art. 22). In tal caso è evidente come gli uffici debbano attivarsi in modo che il provvedimento di irrogazione venga notificato entro quest'ultimo termine, così da impedire la perdita di efficacia dei provvedimenti cautelari.
Irrogazione immediata.
«1. In deroga alle previsioni dell'articolo 16, le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono possono essere irrogate, senza previa contestazione e con l'osservanza, in quanto compatibili, delle disposizioni che regolano il procedimento di accertamento del tributo medesimo, con atto contestuale all'avviso di accertamento o di rettifica, motivato a pena di nullità.
2. È ammessa definizione agevolata con il pagamento di un importo pari ad un quarto della sanzione irrogata e comunque non inferiore ad un quarto dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo, entro sessanta giorni dalla notificazione del provvedimento.
3. Possono essere irrogate mediante iscrizione a ruolo, senza previa contestazione, le sanzioni per omesso o ritardato pagamento dei tributi, ancorché risultante da liquidazioni eseguite ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del
L'articolo 17 detta una disciplina in deroga a quella indicata nell'art. 16, offrendo agli uffici e agli enti la possibilità di irrogare le sanzioni senza previa contestazione.
L'irrogazione immediata è consentita per le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono (comma 1) e per le sanzioni riguardanti l'omesso o ritardato pagamento dei tributi (comma 3).
Entrambi i procedimenti disciplinati dall'art. 17 non sono peraltro obbligatori: è sempre possibile infatti adottare il procedimento di cui all'art. 16 e tale soluzione è preferibile quando si intendono irrogare sanzioni per violazioni commesse con dolo o colpa grave al trasgressore non coincidente con il soggetto passivo del tributo.
1. Il comma 1 consente agli uffici e agli enti locali di irrogare, senza previa contestazione, le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono con notificazione di atto contestuale a quello di accertamento o di rettifica.
Come già previsto dalle disposizioni che regolano il procedimento di accertamento dei principali tributi, le sanzioni per le violazioni di omessa presentazione della dichiarazione o di infedele dichiarazione sono irrogabili con atto contestuale all'avviso di accertamento o di rettifica; rispetto alla previgente disciplina, si evidenziano le seguenti novità:
- le sanzioni "possono essere irrogate" con atto contestuale, per cui è possibile, anche per le sanzioni in questione, adottare il procedimento di irrogazione di cui al precedente art. 16; come già accennato, la notifica dell'atto di contestazione è preferibile nei casi in cui si intendano irrogare sanzioni a titolo di dolo o colpa grave e il procedimento di accertamento non prevede una fase di contraddittorio anticipato che può consentire l'acquisizione di elementi utili per una più ponderata valutazione dell'elemento soggettivo;
- con atto contestuale all'avviso di accertamento o di rettifica non sono più irrogabili le sanzioni per violazioni non collegate direttamente al tributo cui si riferiscono, per le quali deve essere obbligatoriamente utilizzato il procedimento di cui all'art. 16.
Il provvedimento di irrogazione, ancorché "contestuale" all'avviso di accertamento o di rettifica, è connotabile, dal punto di vista strutturale, come atto autonomo e deve quindi essere motivato, a pena di nullità, secondo le prescrizioni dell'art. 16, comma 2.
2. Entro sessanta giorni dalla notificazione del provvedimento, è ammessa definizione agevolata della controversia con il pagamento di un importo pari ad un quarto della sanzione irrogata e comunque non inferiore ad un quarto dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo.
La definizione può essere attuata da ognuno dei soggetti destinatari del provvedimento e produce, in punto di estinzione dell'obbligazione anche solidale, gli effetti propri dell'adempimento secondo le precisazioni già fornite in sede di commento dell'art. 16.
La definizione agevolata prevista dall'art. 17, comma 2, è riferita esclusivamente alle sanzioni e non comporta acquiescenza rispetto al tributo. Essa si differenzia quindi dalla rinuncia all'impugnazione ai sensi dell'art. 15 del
3. Il comma 3 consente agli uffici e agli enti locali di irrogare, mediante iscrizione a ruolo e senza previa contestazione, le sanzioni per omesso o ritardato pagamento dei tributi. Identico procedimento può essere utilizzato quando l'omesso o il ritardato pagamento dei tributi risultano dalle liquidazioni eseguite ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del
In tali ipotesi, la cartella di pagamento, limitatamente alle sanzioni, deve essere notificata anche all'autore della violazione quando egli non coincide con il soggetto passivo del tributo e la violazione è stata commessa dopo il 1° aprile 1998.
Per le violazioni commesse fino al 31 marzo 1998, invece, la cartella di pagamento continua ad essere notificata unicamente ai soggetti passivi del tributo, tenuto conto dei principi generali in tema di efficacia temporale delle leggi punitive.
Come già precisato, il procedimento di irrogazione immediata disciplinato dal comma 3 dell'art. 17 non deve essere obbligatoriamente utilizzato in tutte le ipotesi di omesso o ritardato pagamento dei tributi.
In particolare, l'irrogazione mediante iscrizione a ruolo non potrà avvenire nei casi in cui:
- l'ufficio ritenga che la violazione sia stata commessa con dolo o colpa grave, essendo indispensabile la specifica motivazione in ordine all'elemento soggettivo;
- per i tributi cui le violazioni si riferiscono non è prevista la riscossione mediante iscrizione a ruolo.
Indipendentemente dal procedimento di irrogazione utilizzato, l'ultimo periodo del comma 3 prevede espressamente che relativamente alle sanzioni per omesso o ritardato pagamento dei tributi non si applica la definizione agevolata prevista negli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2.
Tutela giurisdizionale e ricorsi amministrativi.
«1. Contro il provvedimento di irrogazione è ammesso ricorso alle commissioni tributarie.
2. Se le sanzioni si riferiscono a tributi rispetto ai quali non sussiste la giurisdizione delle commissioni tributarie, è ammesso, nel termine di sessanta giorni dalla notificazione del provvedimento, ricorso amministrativo in alternativa all'azione avanti all'autorità giudiziaria ordinaria, che può comunque essere adita anche dopo la decisione amministrativa ed entro centottanta giorni dalla sua notificazione. Salvo diversa disposizione di legge, il ricorso amministrativo è proposto alla Direzione regionale delle entrate, competente in ragione della sede dell'ufficio che ha irrogato le sanzioni.
3. In presenza di più soggetti legittimati, se alcuno di essi adisce l'autorità giudiziaria, il ricorso amministrativo è improponibile, quello in precedenza proposto diviene improcedibile e la controversia pendente deve essere riproposta avanti al giudice ordinario nel termine di centottanta giorni dalla notificazione della decisione di improcedibilità.
4. Le decisioni delle commissioni tributarie e dell'autorità giudiziaria sono immediatamente esecutive nei limiti previsti dall'articolo 19.».
1. Il comma 1 dell'articolo 18 dispone che contro i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni è ammesso ricorso, conformemente a quanto previsto dall'art. 19 del
Si ricorda che il termine per ricorrere è, a pena di inammissibilità, di sessanta giorni dalla notifica dell'atto impugnato, secondo quanto previsto dall'art. 21 del
Circa tutte le altre problematiche relative alla instaurazione del procedimento giurisdizionale si rinvia alle norme sul processo tributario recate dal predetto
2. Se le sanzioni si riferiscono a tributi rispetto ai quali non sussiste la giurisdizione delle commissioni tributarie ai sensi dell'art. 2 del
Tale disposizione recepisce tanto il parere espresso dal Consiglio di Stato (Sezione III del 22 dicembre 1992) quanto il più recente orientamento della Corte Costituzionale (Sentenza n. 56 del 20-24 febbraio 1995) che riconoscono la possibilità di promuovere l'azione giudiziaria ordinaria, anche in mancanza del preventivo ricorso amministrativo.
L'autorità giudiziaria può comunque essere adita anche dopo la decisione amministrativa, entro centottanta giorni dalla notificazione di quest'ultima.
Il ricorso amministrativo è proposto alla Direzione regionale delle entrate territorialmente competente in ragione della sede dell'ufficio che ha irrogato le sanzioni, salvo che la legge non attribuisca, con riferimento al tributo in questione, la competenza ad altro ufficio o organo amministrativo.
3. Il comma 3 dell'articolo in esame prevede che, in presenza di più soggetti legittimati a ricorrere avverso lo stesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni, l'esperimento dell'azione dinanzi all'autorità giudiziaria da parte di alcuno di essi rende improponibile il ricorso amministrativo da parte di altro soggetto legittimato.
Qualora, invece, la tutela in via amministrativa sia stata tempestivamente attivata da alcuno dei soggetti destinatari del provvedimento sanzionatorio e successivamente intervenga l'instaurazione del giudizio ordinario promosso da altro soggetto legittimato, l'organo amministrativo chiamato a decidere (Direzione regionale delle entrate o altro organo o ufficio competente) deve dichiarare la improcedibilità del ricorso. In questo caso la controversia deve essere riproposta avanti all'autorità giudiziaria, nel termine di 180 giorni dalla notificazione della decisione di improcedibilità. La riproposizione dell'impugnazione può avvenire, oltre che con l'ordinaria azione, anche mediante l'intervento volontario autonomo, ai sensi dell'art. 105 c.p.c., nel processo già pendente tra l'altro soggetto impugnante e l'amministrazione.
4. Le decisioni delle commissioni tributarie e dell'autorità giudiziaria in ordine a ricorsi contro i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni, per espressa previsione del comma 4 dell'art. 18, sono immediatamente esecutive, nei limiti fissati dall'articolo 19 che saranno di seguito illustrati. La stessa esecutività si ha nei casi di sentenze che decidano in ordine a sanzioni irrogate con atto contestuale all'avviso di accertamento o di rettifica, senza previa contestazione, ai sensi dell'art. 17 del decreto legislativo in commento. Si tratta di una innovazione di carattere fondamentale, visto che, secondo la previgente normativa l'esecuzione delle sanzioni amministrative (specificamente delle pene pecuniarie) era rinviata - in linea di massima - al momento in cui il provvedimento di irrogazione diventava definitivo. L'esecuzione parziale in base a sentenza di 1 grado (o a decisione amministrativa) è ampiamente giustificata non potendosi cogliere alcuna differenza realmente significativa tra esecuzione provvisoria della pretesa tributaria ed esecuzione provvisoria della sanzione.
È opportuno specificare che sono immediatamente esecutive solo le sentenze emesse sulla base di ricorsi presentati avverso provvedimenti notificati dopo il 1° aprile 1998, mentre per il periodo anteriore vige tuttora il principio secondo cui le sanzioni si pagano solo dopo l'ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso per cassazione. Ciò in quanto le disposizioni del
Pertanto, affinché la sentenza possa considerarsi immediatamente esecutiva non è sufficiente che il relativo ricorso sia stato presentato dopo il 1° aprile 1998, se l'atto impugnato è stato notificato anteriormente a detta data.
Esecuzione delle sanzioni.
«1. In caso di ricorso alle commissioni tributarie, anche nei casi in cui non è prevista riscossione frazionata, si applicano le disposizioni dettate dall'articolo 68, commi 1 e 2, del
2. La commissione tributaria regionale può sospendere l'esecuzione applicando, in quanto compatibili, le previsioni dell'articolo 47 del
3. La sospensione deve essere concessa se viene prestata idonea garanzia anche a mezzo di fideiussione bancaria o assicurativa.
4. Quando non sussiste la giurisdizione delle commissioni tributarie, la sanzione è riscossa provvisoriamente dopo la decisione dell'organo al quale è proposto ricorso amministrativo, nei limiti della metà dell'ammontare da questo stabilito. L'autorità giudiziaria ordinaria successivamente adita, se dall'esecuzione può derivare un danno grave ed irreparabile, può disporre la sospensione e deve disporla se viene offerta idonea garanzia.
5. Se l'azione viene iniziata avanti all'autorità giudiziaria ordinaria ovvero se questa viene adita dopo la decisione dell'organo amministrativo, la sanzione pecuniaria è riscossa per intero o per il suo residuo ammontare dopo la sentenza di primo grado, salva l'eventuale sospensione disposta dal giudice d'appello secondo le previsioni dei commi 2, 3 e 4.
6. Se in esito alla sentenza di primo o di secondo grado la somma corrisposta eccede quella che risulta dovuta, l'ufficio deve provvedere al rimborso entro novanta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza.
7. Le sanzioni accessorie sono eseguite quando il provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo.».
1. Il comma 1 dell'art. 19 stabilisce che, in caso di ricorso alle commissioni tributarie, si applica il disposto dell'art. 68, commi 1 e 2, del
Il rinvio all'art. 68, comma 1, comporta l'estensione del principio della riscossione frazionata in pendenza di giudizio, anche alle sanzioni tributarie. Tale disciplina si applica anche nei casi in cui non è prevista la riscossione frazionata del tributo cui le violazioni si riferiscono.
Conseguentemente, con l'art. 29 del D.Lgs. in commento è stato modificato il comma 3 del citato art. 68 del
Alla luce di quanto sopra le sanzioni sono riscosse, a titolo provvisorio:
- per i due terzi, dopo la sentenza della commissione provinciale che respinge il ricorso;
- per l'ammontare risultante dalla sentenza di primo grado e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso;
- per il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale.
Tutti gli importi da versare sulla base delle decisioni delle commissioni tributarie, provinciali e regionali, vanno in ogni caso ridotti di quanto già eventualmente corrisposto.
Va comunque evidenziato che a differenza di quanto previsto dall'art. 68 citato, secondo il quale il tributo in contestazione deve essere versato in pendenza di giudizio con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, la riscossione frazionata delle sanzioni non comporterà riscossione dei relativi interessi, in quanto l'art. 2, comma 3, del decreto legislativo in esame espressamente dispone che "la somma irrogata a titolo di sanzione non produce interessi".
2. Lo stesso comma 1 prevede, inoltre, l'applicabilità alle sanzioni tributarie della disposizione recata dal comma 2 dell'art. 68 del
In realtà il richiamo all'art. 68, comma 2, può generare qualche perplessità in quanto tale disposizione prevede, solo il rimborso a seguito della sentenza della commissione tributaria provinciale, nulla disponendo per i rimborsi a seguito di sentenza della commissione tributaria regionale. Al riguardo va precisato che della disposizione va data un'interpretazione logica che consenta di superarne lo stretto tenore letterale, nel senso di riconoscere il diritto al rimborso di quanto versato in eccedenza rispetto anche a quanto stabilito nella sentenza della commissione tributaria regionale.
A tale conclusione induce l'analoga disposizione dettata dal comma 6 del medesimo art. 19, il quale dispone, per i casi in cui non sussista la giurisdizione delle commissioni tributarie, che l'ufficio deve provvedere al rimborso di quanto versato in eccedenza rispetto a quanto stabilito nelle sentenze di primo e di secondo grado.
Alla luce di tale interpretazione, ai sensi dell'art. 19, comma 1, se il ricorso in grado di appello o nel successivo grado avanti alla Corte di cassazione viene accolto, la sanzione corrisposta in eccedenza rispetto a quella risultante dalla sentenza del giudice a quo deve essere rimborsata d'ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza.
Ai sensi dell'art. 68, comma 2, del
3. Il comma 2 dell'art. 19 prevede che la commissione tributaria regionale può sospendere l'esecuzione applicando, in quanto compatibili, le previsioni dell'art. 47 del
Atteso il richiamo all'art. 47 del
4. Il comma 3 dell'art. 19 prevede, a differenza di quanto disposto dall'art. 47 del
Nel caso venga prestata garanzia, pertanto, non occorre la valutazione da parte del giudice in ordine all'esistenza dei presupposti per l'emanazione dell'ordinanza di sospensione, ovvero del fumus boni iuris e del danno grave ed irreparabile, essendo sufficiente, a tal fine, che la garanzia prestata venga ritenuta idonea.
Gli effetti della sospensione cessano, in ogni caso, dalla data di pubblicazione della sentenza, in applicazione di quanto disposto dall'art. 47, comma 7, del
5. Ai sensi del comma 4, qualora non sussista la giurisdizione delle commissioni tributarie e sia stato proposto ricorso all'organo amministrativo, la sanzione è riscossa provvisoriamente dopo la decisione dello stesso, nei limiti della metà dell'ammontare fissato nella decisione medesima.
Tuttavia, l'autorità giudiziaria adita ai sensi dell'art. 18, comma 2, successivamente alla decisione amministrativa ed entro 180 giorni dalla sua notificazione, può concedere la sospensione dell'esecuzione, se da questa può derivare un danno grave ed irreparabile e previa delibazione del merito.
In ordine alla valutazione dei presupposti di concedibilità della sospensione dell'esecutività della decisione amministrativa va precisato che bisogna tener conto non solo dell'interesse dell'istante, ma anche di quello dell'amministrazione finanziaria o dell'ente impositore circa la perdita di garanzie patrimoniali nelle more della definizione del giudizio principale od anche la maggiore difficoltà dell'esazione futura della sanzione.
L'autorità giudiziaria è, invece, obbligata a concedere la sospensione della esecuzione nel caso in cui venga offerta idonea garanzia.
È opportuno evidenziare che, in tale circostanza, il legislatore non ha provveduto a precisare forme specifiche di prestazioni di garanzia e che la valutazione della idoneità della stessa ai fini della riscossione è rimessa al libero convincimento del giudice ordinario, compatibilmente con il quantum connesso al provvedimento di irrogazione delle sanzioni e con la connessa garanzia patrimoniale prestata dal contribuente.
6. Sempre con riferimento all'ipotesi in cui non sussiste la giurisdizione delle commissioni tributarie, il comma 5 dell'art. 19 prevede che qualora l'azione sia iniziata dinanzi al giudice ordinario ovvero qualora questo venga adito dopo la decisione del giudice amministrativo la sanzione è riscossa dopo la sentenza di primo grado; nel primo caso per l'intero ammontare da questa stabilito, nel secondo caso, per il suo residuo ammontare, cioè per l'importo che ancora sia dovuto.
Con tale disposizione quindi, il legislatore ha inteso distinguere l'ipotesi in cui si preferisca adire direttamente il giudice ordinario, senza promuovere, in prima istanza, la decisione amministrativa, dal caso in cui si ricorra all'autorità giudiziaria ordinaria successivamente alla decisione assunta dall'organo amministrativo. In tale seconda ipotesi, infatti, in virtù di quanto previsto dall'art. 19, comma 4, si può verificare la circostanza della riscossione provvisoria del "residuo ammontare" della sanzione in quanto, con la decisione amministrativa si rende immediatamente esecutiva l'esazione della stessa solo nella metà del suo ammontare.
In ambedue le circostanze, comunque, il giudice d'appello può sospendere l'esecuzione previa delibazione del merito e quando dall'esecuzione stessa può derivare un danno grave e irreparabile, e deve, in ogni caso sospenderla se viene offerta idonea garanzia.
7. Nel caso in cui, invece, la sentenza di primo e di secondo grado emessa dal giudice ordinario decida la quantificazione di una sanzione pecuniaria inferiore a quanto già corrisposto con l'esecuzione provvisoria, il comma 6 dell'art. 19 prevede l'obbligo, per l'ufficio che ha emanato l'atto impugnato, di procedere al rimborso entro novanta giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza.
Si tratta della regola dettata dal comma 2 dell'art. 68 del
8. Le disposizioni dell'articolo in commento non si applicano, ai sensi del comma 7, alle sanzioni accessorie le quali, infatti, sono eseguite solo quando il provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo per mancata impugnazione o per definitività della decisione amministrativa o della sentenza del giudice ordinario.
Decadenza e prescrizione.
«1. L'atto di contestazione di cui all'articolo 16, ovvero l'atto di irrogazione, devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel maggior termine previsto per l'accertamento dei singoli tributi. Entro gli stessi termini devono essere resi esecutivi i ruoli nei quali sono iscritte le sanzioni irrogate ai sensi dell'articolo 17, comma 3.
2. Se la notificazione è stata eseguita nei termini previsti dal comma 1 ad almeno uno degli autori dell'infrazione o dei soggetti obbligati in solido, il termine è prorogato di un anno.
3. Il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni. L'impugnazione del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione, che non corre fino alla definizione del procedimento.».
L'articolo 20 disciplina il termine di decadenza entro il quale gli uffici o gli enti impositori devono contestare la violazione (art. 16) ovvero irrogare direttamente la sanzione con atto contestuale all'avviso di accertamento o di rettifica o mediante iscrizione a ruolo (art. 17), nonché l'ulteriore termine prescrizionale del diritto alla riscossione della sanzione.
Il comma 1 stabilisce, in via di principio, che l'amministrazione finanziaria, ovvero l'ente locale, possono contestare la violazione o irrogare la sanzione entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello nel quale è avvenuta la commissione della violazione stessa. Tuttavia, qualora con riferimento al potere di accertamento del tributo sia previsto un termine di decadenza più ampio, si prevede che quest'ultimo prevalga. Entro gli stessi termini, a pena di decadenza, devono essere resi esecutivi i ruoli nei quali sono iscritte le sanzioni irrogate ai sensi dell'art. 17, comma 3.
Al fine di consentire agli uffici di intraprendere tempestivamente il procedimento di irrogazione della sanzione anche nei confronti del soggetto indicato come autore nelle deduzioni difensive svolte da colui nei cui confronti sia stata attuata la contestazione, il comma 2 prevede che i termini anzidetti siano prorogati di un anno, sempreché la notificazione dell'atto di contestazione o del provvedimento di irrogazione siano state eseguite tempestivamente ad almeno uno degli autori della violazione o dei soggetti coobbligati.
Irrogata la sanzione, l'ufficio deve provvedere alla riscossione entro il termine di cinque anni. Si tratta di un termine di prescrizione, suscettibile pertanto di essere interrotto ai sensi dell'art. 2943 codice civile. In particolare, poi, l'impugnazione del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione con effetto permanente, cosicché, definito il procedimento, inizia la decorrenza di un nuovo termine quinquennale.
Sanzioni accessorie.
«1. Costituiscono sanzioni amministrative accessorie:
a) l'interdizione, per una durata massima di sei mesi, dalle cariche di amministratore, sindaco o revisore di società di capitali e di enti con personalità giuridica, pubblici o privati;
b) l'interdizione dalla partecipazione a gara per l'affidamento di pubblici appalti e forniture, per la durata massima di sei mesi; l'interdizione dal conseguimento di licenze, concessioni o autorizzazioni amministrative per l'esercizio di imprese o di attività di lavoro autonomo e la loro sospensione, per la durata massima di sei mesi;
c) la sospensione, per la durata massima di sei mesi, dall'esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa diverse da quelle indicate nella lettera c).
2. Le singole leggi d'imposta, nel prevedere i casi di applicazione delle sanzioni accessorie, ne stabiliscono i limiti temporali in relazione alla gravità dell'infrazione e ai limiti minimi e massimi della sanzione principale.».
La norma individua le nuove sanzioni amministrative accessorie che si affiancano a quelle principali, consistenti nel pagamento di una somma di denaro. Le sanzioni accessorie previste possono incidere sulla capacità di ricoprire cariche (lettera a), sulla partecipazione a gare per l'affidamento di appalti pubblici e forniture (lettera b), sul conseguimento di licenze, concessioni e autorizzazioni amministrative per l'esercizio di imprese o di attività di lavoro autonomo (lettera c), nonché direttamente sull'esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa (lettera d).
Per tutte le sanzioni accessorie il limite massimo di durata è stato fissato in sei mesi.
Le sanzioni accessorie devono essere applicate secondo criteri di proporzionalità e adeguatezza con la sanzione principale. A tale fine, il comma 2 dell'art. 21 ha previsto che si debba avere riguardo alla disciplina delle singole leggi d'imposta che, oltre a individuare il presupposto in presenza del quale le sanzioni accessorie si applicano, ne stabiliscono i limiti temporali, tenuto conto della gravità dell'infrazione e della misura edittale della sanzione principale.
Si ricorda che, nell'ipotesi di definizione agevolata ai sensi degli artt. 16 e 17, non può aver luogo l'irrogazione di sanzioni accessorie. Ancorché l'ipotesi non sia espressamente disciplinata nell'art. 17, si deve ritenere che la definizione agevolata ai sensi del comma 2 comporti l'inefficacia sopravvenuta del provvedimento con il quale le sanzioni accessorie siano state irrogate. Costituisce tuttavia deroga a tale previsione il caso della recidività nella violazione degli obblighi di rilascio dello scontrino e della ricevuta fiscale, dal momento che l'art. 12, comma 2, del
Ipoteca e sequestro conservativo.
«1. In base all'atto di contestazione, al provvedimento di irrogazione della sanzione o al processo verbale di constatazione e dopo la loro notifica, l'ufficio o l'ente, quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere, con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria provinciale l'iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido, e l'autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l'azienda.
2. Le istanze di cui al comma 1 devono essere notificate, anche tramite il servizio postale, alle parti interessate, le quali possono, entro venti giorni dalla notifica, depositare memorie e documenti difensivi.
3. Il presidente, decorso il termine di cui al comma 2, fissa con decreto la trattazione dell'istanza per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni prima. La commissione decide con sentenza.
4. In caso di eccezionale urgenza o di pericolo nel ritardo, il presidente, ricevuta l'istanza, provvede con decreto motivato. Contro il decreto è ammesso reclamo al collegio entro trenta giorni. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio, provvede con sentenza.
5. Nei casi in cui non sussiste giurisdizione delle commissioni tributarie, le istanze di cui al comma 1 devono essere presentate al tribunale territorialmente competente in ragione della sede dell'ufficio richiedente, che provvede secondo le disposizioni del libro IV, titolo I, capo III, sezione I, del codice di procedura civile, in quanto applicabili.
6. Le parti interessate possono prestare, in corso di giudizio, idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa. In tal caso l'organo dinanzi al quale è in corso il procedimento può non adottare ovvero adottare solo parzialmente il provvedimento richiesto.
7. I provvedimenti cautelari perdono efficacia se, nel termine di centoventi giorni dalla loro adozione, non viene notificato atto di contestazione o di irrogazione. In tal caso, il presidente della commissione tributaria provinciale ovvero il presidente del tribunale dispongono, su istanza di parte e sentito l'ufficio o l'ente richiedente, la cancellazione dell'ipoteca. I provvedimenti perdono altresì efficacia a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso o la domanda. La sentenza costituisce titolo per la cancellazione dell'ipoteca. In caso di accoglimento parziale, su istanza di parte, il giudice che ha pronunciato la sentenza riduce proporzionalmente l'entità dell'iscrizione o del sequestro; se la sentenza è pronunciata dalla Corte di cassazione, provvede il giudice la cui sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione.».
L'articolo 22 disciplina il procedimento che l'ufficio o l'ente devono seguire quando, avendo fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, intendono ottenere, in via cautelare, l'iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e soggetti obbligati in solido o il sequestro conservativo dei loro beni, compresa l'azienda.
La norma ha operato una profonda revisione dl procedimento di adozione delle misure cautelari, rimettendo, ove possibile, i relativi poteri al giudice speciale tributario e, in mancanza della sua giurisdizione, al Tribunale civile competente in ragione della sede dell'ufficio o ente che ne domanda l'adozione.
1. Il procedimento è attivato mediante istanza motivata, che deve contenere:
- l'indicazione del titolo in base al quale si procede (atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, processo verbale di constatazione); l'indicazione della somma per la quale si intende procedere (ammontare delle sanzioni);
- le ragioni che giustificano il timore di perdere la garanzia del credito durante il tempo necessario per la riscossione (periculum in mora);
- la misura cautelare che si intende ottenere (ipoteca o sequestro conservativo);
- l'individuazione e descrizione dei beni o diritti oggetto del provvedimento invocato.
Si ricorda che possono essere oggetto di ipoteca, oltre ai beni immobili, i diritti, le rendite e tutti gli altri beni (navi, aeromobili e autoveicoli) indicati nell'art. 2810 del codice civile; mentre possono essere oggetto di sequestro conservativo, ai sensi dell'art. 671 del codice di procedura civile, i beni mobili o immobili del debitore, le somme o le cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne ammette il pignoramento. Inoltre, la norma in rassegna richiama espressamente anche l'azienda.
La richiesta di misure cautelari può essere riferita anche ai beni e all'azienda dei soggetti obbligati in solido, ovviamente per un valore non superiore a quello corrispondente all'obbligazione.
Così, ad esempio, nell'ipotesi di cessione di azienda il valore dei beni cui riferire la misura cautelare deve essere determinato con riferimento all'obbligazione del cessionario che, a sua volta, dipende dall'ammontare del debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell'amministrazione finanziaria o degli enti preposti all'accertamento dei tributi di loro competenza. Nelle ipotesi di trasformazione o fusione la società o l'ente risultante dalla trasformazione o dalla fusione può subire misure cautelari sui propri beni in relazione alla responsabilità per la sanzione (art. 2499 cod. civ.) e, nell'ipotesi di scissione, l'ipoteca ed il sequestro possono avere ad oggetto beni per un valore sufficiente a garantire il pagamento delle somme dovute per le violazioni commesse anteriormente alla data dalla quale essa produce effetto.
2. Quando ricorre la giurisdizione del giudice tributario, la richiesta deve essere inoltrata al Presidente della Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio o l'ente procedente.
La richiesta deve essere notificata, anche tramite il servizio postale, alle parti interessate le quali possono depositare memorie e documenti difensivi, entro venti giorni dalla notifica.
Al fine di consentire una sollecita formazione del fascicolo d'ufficio da parte della segreteria della Commissione tributaria, è opportuno che l'ufficio o l'ente procedente provvedano all'immediato deposito dell'istanza con la prova dell'avvenuta notifica alle parti interessate.
Decorso il termine per il deposito, il presidente fissa con decreto la trattazione per la prima camera di consiglio utile, trattazione della quale deve essere data comunicazione alle parti almeno dieci giorni prima. Solo in caso di eccezionale urgenza o di pericolo nel ritardo, il presidente, ricevuta l'istanza, può provvedere direttamente con decreto. Il decreto, entro il termine di trenta giorni, è reclamabile di fronte al collegio che, sentite le parti in camera di consiglio, decide con sentenza.
Il procedimento che si instaura con il reclamo contro il provvedimento presidenziale non coincide esattamente con quello disciplinato dall'art. 28 del
3. Nei casi in cui non sussiste la giurisdizione delle commissioni tributarie, l'istanza motivata di cui al comma 1 deve essere proposta al tribunale territorialmente competente in ragione della sede dell'ufficio o dell'ente che richiedono la misura cautelare. L'istanza è sostitutiva del ricorso previsto dall'art. 669-bis del codice di procedura civile.
Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 669-bis e 669-quaterdecies del codice di procedura civile.
4. L'esecuzione totale o parziale delle misure cautelari può essere evitata con la prestazione, nel corso del procedimento cautelare sia davanti alla commissione tributaria che davanti al tribunale, di idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa.
Qualora l'istanza di cui al comma 1 abbia fatto seguito alla notificazione del processo verbale di constatazione, i provvedimenti cautelari perdono efficacia se, entro il termine di centoventi giorni dalla loro adozione, l'ufficio o l'ente non notificano l'atto di contestazione o di irrogazione della sanzione. L'efficacia delle misure cautelari cessa di diritto anche nell'ipotesi disciplinata dall'art. 16, comma 7, nel caso in cui, notificato l'atto di contestazione, l'ufficio o l'ente non notifichino il provvedimento motivato di irrogazione nel termine di centoventi giorni dalla data di presentazione delle deduzioni difensive da parte dell'autore della violazione o dei soggetti obbligati in solido.
In questi casi il presidente della commissione ovvero il presidente del tribunale, su istanza della parte interessata e sentito l'ufficio o l'ente richiedente, dispone la cancellazione dell'ipoteca.
Quando la sentenza accoglie il ricorso o la domanda è lo stesso giudice che l'ha pronunciata che dispone l'estinzione dell'ipoteca; se l'accoglimento è parziale il giudice riduce proporzionalmente l'entità dell'iscrizione o del sequestro, ma solo su istanza di parte.
Se la sentenza è pronunciata dalla Corte di cassazione, la cancellazione dell'ipoteca ovvero la riduzione dell'entità dell'iscrizione e del sequestro è pronunciata dal giudice la cui sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione.
Sospensione dei rimborsi e compensazione.
«1. Nei casi in cui l'autore della violazione o i soggetti obbligati in solido, vantano un credito nei confronti dell'amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, ancorché non definitivo. La sospensione opera nei limiti della somma risultante dall'atto o dalla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo.
2. In presenza di provvedimento definitivo, l'ufficio competente per il rimborso pronuncia la compensazione del debito.
3. I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2, che devono essere notificati all'autore della violazione e ai soggetti obbligati in solido, sono impugnabili avanti la commissione tributaria, che può disporne la sospensione ai sensi dell'articolo 47 del
4. Se non sussiste giurisdizione delle commissioni tributarie, è ammessa azione avanti al tribunale, cui è rimesso il potere di sospensione.».
Il comma 1 dell'art. 23 ha previsto che, quando l'autore della violazione ovvero i soggetti obbligati in solido vantano un credito nei confronti dell'amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso, in via cautelare, se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, ancorché il provvedimento non sia definitivo.
La sospensione opera nei limiti della somma risultante dall'atto o, qualora esso fosse stato impugnato, dalla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo.
La sospensione dei rimborsi è facoltativa e può operare anche tra crediti e sanzioni riferibili a tributi diversi, per cui, ad esempio, a fronte dell'irrogazione di una sanzione in materia di imposte dirette può essere sospeso il pagamento di un credito per rimborso di imposta sul valore aggiunto.
La sospensione del pagamento deve essere ovviamente revocata qualora intervenga la riscossione della somma risultante dall'atto ovvero deve essere adeguata qualora intervenga successivamente una decisione della commissione tributaria o dell'organo adito che determini in misura diversa la somma dovuta.
Il comma 2 introduce un'ipotesi di compensazione legale prevedendo che, in presenza di un provvedimento definitivo, l'ufficio competente per il rimborso pronunci la compensazione.
Poiché nella sospensione ovvero nella compensazione possono essere coinvolti uffici diversi, è necessario che l'ufficio competente rispetto alla sanzione comunichi tempestivamente tutte le informazioni utili all'ufficio competente per il rimborso.
A mente dei commi 3 e 4, i provvedimenti che decidono della sospensione o della compensazione devono essere notificati all'autore della violazione e ai soggetti obbligati in solido.
Gli interessati possono impugnarli di fronte alle commissioni tributarie ovvero, se non sussiste la giurisdizione di queste, avanti al tribunale che, come il giudice speciale, ha il potere di disporre la sospensione dell'atto impugnato.
Riscossione della sanzione.
«1. Per la riscossione della sanzione si applicano le disposizioni sulla riscossione dei tributi cui la violazione si riferisce.
2. L'ufficio o l'ente che ha applicato la sanzione può eccezionalmente consentirne, su richiesta dell'interessato in condizioni economiche disagiate, il pagamento in rate mensili fino ad un massimo di trenta. In ogni momento il debito può essere estinto in unica soluzione.
3. Nel caso di mancato pagamento anche di una sola rata, il debitore decade dal beneficio e deve provvedere al pagamento del debito residuo entro trenta giorni dalla scadenza della rata non adempiuta.».
1. Il comma 1 prevede espressamente che "per la riscossione della sanzione si applicano le disposizioni sulla riscossione dei tributi cui la violazione si riferisce". La norma, in questo modo, riconduce la materia al settore proprio dell'esazione dei tributi, stabilendo l'applicabilità di tutte le disposizioni relative a questi ultimi. Si rendono così applicabili, oltre alle disposizioni sulla riscossione mediante ruolo dettate dal
2. I commi 2 e 3 si occupano, invece, della rateazione del pagamento, stabilendo che l'ufficio o l'ente locale possono consentire, seppur eccezionalmente e su richiesta dell'interessato, il pagamento in rate mensili fino ad un massimo di trenta, anche se il debito può in ogni momento essere estinto con il versamento dell'intera somma dovuta, ovvero della somma residua.
Il beneficio che - lo si ripete - può essere concesso solo su richiesta dell'interessato (e quindi dell'autore materiale, dei coobbligati o di chiunque abbia interesse all'estinzione del debito ai sensi dell'art. 11, comma 5) è condizionato alla sussistenza di condizioni economiche disagiate del richiedente.
Da questo punto di vista, la disposizione richiama quella espressa nell'art. 26 della
La valutazione del disagio economico deve essere compiuta, per quanto interessa, direttamente dall'ufficio titolare del potere sanzionatorio. Si rende quindi manifesta la necessità che esso proceda alla verifica di tale condizione tenendo conto, da un lato, delle ragioni addotte dal richiedente, eventualmente suffragate da documentazione idonea (ad esempio, dichiarazione dei redditi relativa ad anni d'imposta precedenti o all'anno in corso, iscrizione nelle liste di collocamento o di mobilità, documentazione relativa a condizioni familiari o di salute particolari, attestazioni bancarie dalle quali si possa desumere una situazione debitoria dell'impresa tale da rendere impossibile accessi ulteriori a linee di credito, ecc.) e, da un altro, dell'interesse per l'amministrazione di conseguire il soddisfacimento del credito, seppur dilazionato nel tempo.
Relativamente alle somme per le quali il pagamento è stato dilazionato sono dovuti gli interessi nella misura prevista per il tributo cui la violazione si riferisce.
Infine il comma 3, onde evitare che la rateazione possa essere strumentalizzata per ritardare il pagamento della sanzione oltre il limite concesso dall'amministrazione, prevede che il mancato pagamento anche di una sola rata comporta la decadenza dal beneficio e l'obbligo di estinguere il debito residuo entro trenta giorni; scaduto tale termine, si potrà e dovrà procedere a riscossione coattiva.
Disposizioni transitorie.
«1. Le disposizioni del presente decreto si applicano alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data della sua entrata in vigore.
2. Gli articoli 3, 4, 5, 6, 8 e 12 si applicano ai procedimenti in corso alla data indicata nel comma 1.
3. I procedimenti in corso possono essere definiti, quanto alle sanzioni, entro sessanta giorni dall'emanazione dei decreti previsti dall'articolo 28, dagli autori della violazione e dai soggetti obbligati in solido, con il pagamento di una somma pari al quarto dell'irrogato ovvero al quarto dell'ammontare risultante dall'ultima sentenza o decisione amministrativa. È comunque esclusa la ripetizione di quanto pagato. La definizione non si applica alle sanzioni contemplate nell'articolo 17, comma 3.».
L'articolo 25 regola il fenomeno della successione delle leggi nel tempo con riferimento al nuovo sistema sanzionatorio e disciplina l'applicabilità delle nuove disposizioni alle violazioni di norme tributarie commesse prima del 1° aprile 1998.
1. Il comma 1 prescrive che le nuove disposizioni di carattere generale si applicano alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data del 1° aprile 1998.
In via preliminare è opportuno chiarire il significato dell'espressione ".... violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata .....". Al riguardo si ritiene che tale previsione abbracci tutti i possibili schemi procedimentali di natura sanzionatoria che, a seconda dei casi, contemplavano come atto finale - già nella previgente disciplina - o un avviso di irrogazione qualificato espressamente come tale dal legislatore, ovvero un diverso atto procedimentale (quale, ad esempio, la cartella di pagamento a seguito di iscrizione a ruolo delle sanzioni dovute sui tributi liquidati ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del
Il riferimento alla "contestazione", non prevista in via generale nella legislazione previgente, è giustificato dall'utilizzazione di tale termine in alcune leggi d'imposta (per esempio, art. 328 del T.U. delle leggi doganali approvato con
Pertanto, nelle ipotesi di violazioni già contestate alla data del 1° aprile 1998 per le quali alla predetta data non sia intervenuta la definizione in via breve o non sia stato notificato l'atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, ossia un atto impugnabile, si rendono applicabili le nuove disposizioni. In tali situazioni, a prescindere da quale sia stato l'atto di constatazione della violazione (processo verbale previsto dall'art. 24 della
2. Tenuto conto dei principi generali in tema di efficacia nel tempo delle leggi punitive, l'applicazione delle nuove disposizioni alle violazioni commesse prima del 1° aprile 1998 è comunque legata al principio del favor rei. Ciò significa che non sono applicabili né le disposizioni sanzionatorie sopravvenute alla commissione dei fatti né le disposizioni che prevedono sanzioni più severe rispetto a quelle in vigore al tempo della violazione e, in ogni caso, norme che determinano un trattamento più sfavorevole.
Ne discende che alle violazioni commesse prima del 1° aprile 1998 per le quali alla predetta data non sia stata irrogata la sanzione, non sono comunque applicabili:
- l'art. 9, primo periodo, in tema di concorso di persone, valutato in relazione all'art. 11 delle
- l'art. 10, relativo all'autore mediato.
Si evidenzia inoltre che l'articolo 27 dello stesso
In particolare, non sono applicabili alle violazioni commesse prima del 1° aprile 1998: l'articolo 2, comma 2, e l'articolo 5, comma 2, in relazione all'articolo 11, ed ogni altra norma che individua nella persona fisica l'autore materiale della violazione in funzione dell'interesse dell'ente, associazione o società per i quali ha agito.
Pertanto, le relative sanzioni continueranno ad essere irrogate direttamente in capo alle società, associazioni od enti, pur seguendo i procedimenti di irrogazione previsti negli articoli 16 e 17.
3. Relativamente alle violazioni commesse anteriormente al 1° aprile 1998 per le quali alla predetta data non sia stata irrogata la sanzione, si rendono invece applicabili le nuove disposizioni che dettano previsioni di carattere procedimentale o che incidono favorevolmente nella sfera giuridica del trasgressore.
In particolare, sono applicabili:
a) gli articoli 16 e 17 che disciplinano i procedimenti di irrogazione delle sanzioni; si evidenzia che il processo verbale di constatazione notificato dopo il 1° aprile 1998 non è utilizzabile, come in passato, agli effetti della definizione in via breve di talune violazioni, ma assume la funzione di attivare l'ufficio per i conseguenti adempimenti, nonché per l'eventuale adozione delle misure cautelari. Sarà quindi compito dell'ufficio o dell'ente competenti all'accertamento del tributo cui le violazioni si riferiscono iniziare il procedimento di irrogazione (in senso stretto) che, a seconda dei casi, può concretizzarsi nell'emissione dell'atto di contestazione (e dell'eventuale provvedimento di irrogazione) di cui all'art. 16 oppure nell'irrogazione immediata di cui al successivo art. 17;
b) gli articoli 18 e 19, concernenti, rispettivamente, la tutela giurisdizionale e i ricorsi amministrativi e l'esecuzione delle sanzioni;
c) gli articoli 23 e 24, concernenti, rispettivamente, la sospensione dei rimborsi e la compensazione del debito e la riscossione delle sanzioni;
d) l'articolo 13 che disciplina l'istituto del ravvedimento. In considerazione dell'ampia previsione della norma in commento, si deve ritenere che anche le violazioni commesse anteriormente al 1° aprile 1998 possano essere regolarizzate secondo le regole e le modalità previste dall'art. 13 del
Nelle ipotesi in cui il ravvedimento possa essere eseguito, in forza delle disposizioni previgenti, oltre i termini indicati nell'art. 13, il principio del favor rei impone di considerare siffatte previsioni ancora operative.
Così per esempio, l'integrazione della dichiarazione dei redditi presentata nel 1997 e relativa al periodo d'imposta 1996 può essere eseguita entro il 31 luglio 1998 (termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta 1997, relativa quindi all'anno in cui è stata commessa la violazione), in conformità alla previsione dell'art. 13, comma 1, lettera b), del
In tale seconda evenienza, la regolarizzazione dovrà soggiacere in toto alla disciplina previgente, senza possibilità di commistioni di norme vecchie e nuove.
Analoghe considerazioni, con gli adattamenti relativi alle peculiarità del tributo e alle violazioni suscettibili di regolarizzazione, sono riferibili anche alle ipotesi disciplinate dall'art. 48 del
In particolare, le violazioni inerenti l'omesso o tardivo versamento delle imposte sui redditi, dell'imposta sul valore aggiunto e delle ritenute alla fonte, commesse nel 1997, possono essere regolarizzate entro il termine di presentazione della rispettiva dichiarazione annuale, mentre quelle inerenti l'omesso o tardivo pagamento di tributi per i quali non è prevista una dichiarazione periodica (esempio, contributo straordinario per l'Europa, tasse automobilistiche per l'anno 1997) possono essere regolarizzate entro un anno dalla data di commissione della violazione (data entro la quale il versamento doveva essere eseguito).
In detti casi, la regolarizzazione si perfeziona con il pagamento del tributo o della differenza, quando dovuti, e dei relativi interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno (cioè, dal giorno successivo a quello entro il quale doveva essere assolto l'adempimento al giorno in cui l'adempimento è stato assolto integralmente), nonché con il pagamento della sanzione ridotta, pari al 5 per cento dell'importo del tributo oggetto di regolarizzazione;
e) l'articolo 3, comma 2, che sancisce la non assoggettabilità a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Per l'operatività di detta disposizione, si precisa che la potestà punitiva non potrà più essere esercitata sia nell'ipotesi in cui la legge posteriore abbia abolito solo la sanzione (lasciando in vita l'obbligatorietà del comportamento prima sanzionabile) sia nell'ipotesi in cui abbia eliminato l'obbligo strumentale (ad esempio, l'obbligo di emettere un certo documento o di tenere una determinata scrittura contabile). A titolo indicativo, si riportano taluni esempi per i quali l'abolizione di obblighi strumentali privi di contenuto sostanziale deve essere considerato come l'eliminazione, ora per allora, del carattere antigiuridico del comportamento sanzionato, con la conseguenza che le violazioni pregresse non sono più perseguibili in applicazione del principio del favor rei:
- obbligo di emissione del documento di accompagnamento dei beni viaggianti (cosiddetta bolla di accompagnamento) previsto dal
- obbligo di inviare all'Ufficio IVA entro il 5 settembre di ogni anno il modello IVA 99-bis di cui al
- obbligo di compilazione degli elenchi clienti e fornitori collegati alla dichiarazione annuale IVA e dell'allegazione alla stessa dei modelli IVA 101 e 102 di cui al
- obbligo di esporre il disco contrassegno attestante il pagamento della tassa automobilistica, soppresso a decorrere dal 1° gennaio 1998 dall'art. 17, comma 24, della
Si precisa che la citata disposizione contenuta nell'art. 3, comma 2, non trova applicazione nelle ipotesi in cui le disposizioni recate da una legge posteriore non riguardano la semplice soppressione di un obbligo strumentale privo di contenuto sostanziale, ma anche la completa abrogazione di un tributo. Rimane ferma, quindi, l'applicabilità delle sanzioni in materia di tutti i tributi soppressi dall'art. 36 del
f) articolo 3, comma 3, che prevede l'applicazione della legge più favorevole quando la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa. In sede di applicazione delle sanzioni, gli uffici o gli enti devono quindi valutare in concreto la sanzione più favorevole al trasgressore confrontando le misure edittali previste dalle norme vigenti nel momento in cui è stato commesso il fatto e quelle previste da norme successive, in particolare dal
g) gli articoli 4, 5, comma 1, e 6 che recano disposizioni preclusive della possibilità di irrogare sanzioni; nel richiamare le osservazioni svolte a commento degli articoli in questione, si sottolinea che la sussistenza delle condizioni previste per escludere la punibilità è rimessa prioritariamente al prudente apprezzamento degli uffici o enti accertatori.
h) l'articolo 8 che sancisce l'intrasmissibilità della sanzione agli eredi. Nei casi di violazioni commesse da soggetti successivamente deceduti, non sono più formulabili rilievi allorché si tratti di infrazioni di carattere formale, mentre devono essere ugualmente constatate le infrazioni che hanno inciso sulla determinazione o sul pagamento di un tributo, sia pure al limitato fine di procedere al recupero del solo tributo nei confronti degli eredi, senza applicazione delle relative sanzioni;
i) l'articolo 12 che disciplina il concorso di violazioni e la continuazione. In sede di determinazione della sanzione correttamente applicabile, si deve tener conto delle regole fissate nell'articolo 12 in ordine al cumulo giuridico delle sanzioni nei casi di concorso o di continuazione delle violazioni.
4. Il comma 2 dell'articolo 25 prevede che ai procedimenti in corso alla data del 1° aprile 1998 si applicano le disposizioni contenute negli articoli 3, 4, 5, 6, 8 e 12 dello stesso
La norma condiziona quindi l'applicabilità delle nuove disposizioni espressamente richiamate, che rispondono indubbiamente al principio del favor rei, alla circostanza che il provvedimento di contestazione o di irrogazione della sanzione non sia divenuto definitivo alla data del 1° aprile 1998. È necessario cioè che alla data del 1° aprile sia ancora pendente il giudizio avanti all'autorità giudiziaria o amministrativa ovvero siano pendenti i termini per la proposizione dell'azione, dell'appello o del gravame.
Non costituisce invece "procedimento in corso" quello attinente la riscossione coattiva conseguente all'intervenuta definitività dell'atto amministrativo o al passaggio in giudicato della sentenza.
Chiarito il concetto di " procedimento in corso", si forniscono alcune indicazioni per una corretta applicazione da parte degli uffici o degli enti delle disposizioni richiamate nell'art. 25, comma 2:
- nei casi in cui sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 3, comma 2, gli uffici o gli enti provvederanno autonomamente ad annullare i provvedimenti a suo tempo emessi e a comunicare l'intervenuto annullamento all'interessato nonché ovviamente all'organo presso il quale pende la controversia, ai fini della successiva declaratoria di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere relativamente alle sanzioni;
- il ricalcolo delle sanzioni irrogate in applicazione degli articoli 3, comma 3, e 12, sarà effettuato dagli uffici o dagli enti direttamente ovvero, ove ciò non sia possibile, su richiesta dell'organo presso il quale pende la controversia. Nella rideterminazione della sanzione e nella individuazione di quella più favorevole, il raffronto tra i diversi regimi sanzionatori deve tener conto dei criteri già utilizzati per la determinazione della sanzione irrogata precedentemente;
- la valutazione in ordine alla sussistenza delle cause di non imputabilità (art. 4), dell'elemento soggettivo (art. 5, comma 1), delle cause di non punibilità (art. 6), sarà effettuata dagli uffici o dagli enti sulla base degli elementi risultanti agli atti. Eventuali circostanze di fatto o elementi probatori addotti dall'interessato saranno valutati in sede amministrativa dall'ufficio o dall'ente ovvero in sede contenziosa dall'organo adito;
- per l'applicazione dell'art. 8, concernente l'intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi, si precisa che devono considerarsi in corso al 1° aprile 1998 tutti i procedimenti per i quali è stata o doveva essere applicata la sospensione a partire dal 2 marzo 1997. Ciò in quanto l'art. 5-bis della
a) fino alla data di emanazione dei decreti legislativi per la riforma del sistema sanzionatorio tributario non penale, di cui all'art. 3, comma 133, della
b) la sospensione trovava applicazione anche nelle ipotesi di pene pecuniarie già iscritte a ruolo alla data del 2 marzo 1997 e persino nei casi in cui fosse scaduta la rata, purché la stessa non fosse stata pagata.
Inoltre, il procedimento da considerare, nella specie, non è quello di irrogazione della sanzione nei confronti del dante causa (autore della violazione) ma quello nei confronti dell'erede.
Pertanto, la pretesa punitiva deve essere abbandonata se, alla data del 2 marzo 1997, non sia stato notificato alcun atto impugnabile nei confronti dell'erede o risulti esperito ricorso da parte dello stesso, a nulla rilevando che la morte del trasgressore sia intervenuta dopo la definitività dell'atto di irrogazione della sanzione, dopo una sentenza passata in giudicato che confermi l'applicazione della pena ovvero dopo l'inizio degli atti esecutivi tendenti a riscuotere la sanzione stessa.
5. Le considerazioni finora svolte, in ordine alla possibilità di applicare retroattivamente le norme contenute nel
Al riguardo, sembra opportuno passare in rassegna le principali disposizioni in materia contemplate nella previgente normativa, abrogate in maniera espressa o tacita (in quanto non riproposte o assorbite dalle nuove disposizioni), al fine di stabilire quali, tra esse, devono intendersi ancora applicabili per le violazioni commesse anteriormente al 1° aprile 1998 e quali, invece, non sono più operanti, neanche per il passato, ai sensi del cennato principio di carattere generale fissato dall'art. 3, comma 2, del
Tra le fattispecie che non trovano più riscontro nella attuale normativa vanno ricordate:
- quella disciplinata dal dodicesimo comma dell'art. 8 della
- quella prevista dall'art. 6, quarto comma, del
- quella contemplata dall'art. 52, secondo comma, del
- quella stabilita dall'art. 57, quarto comma, del
Poiché le fattispecie suddette non sono più ritenute dal
Un'ipotesi che trova, invece, conferma nel predetto decreto legislativo n. 471 è quella relativa all'omessa installazione dei registratori di cassa, già disciplinata dall'art. 2, nono comma, della
Un discorso a parte necessita per la sanzione accessoria conseguente al verificarsi di tre distinte violazioni dell'obbligo di emettere la ricevuta o scontrino fiscale, commesse in giorni diversi nel corso di un quinquennio.
Al riguardo si deve tenere conto, per un verso, che le misure edittali della vecchia sanzione sono più favorevoli di quelle attuali e, per altro verso, che la nuova disposizione, a differenza della previgente, esige anche, ai fini dell'applicabilità della pena accessoria, che le tre sanzioni principali non siano cumulabili giuridicamente per effetto del concorso o della continuazione (è questo il significato da attribuire all'art. 12, comma 2, del D.Lgs. n. 471, là dove esige che le tre distinte violazioni devono essere accertate "in tempi diversi").
Ciò posto, può accadere che:
- la definitività delle tre violazioni si sia verificata anteriormente al 1° aprile 1998. In tal caso tornerà applicabile la sanzione accessoria del passato, più favorevole al contribuente, secondo le vecchie procedure;
- al 1° aprile 1998 non sia ancora intervenuta la definitività delle tre violazioni. In detta ipotesi si dovrà osservare il vigente regime (sostanziale e procedurale) e, quindi, prima di poter irrogare la nuova misura accessoria sarà necessario attendere il realizzarsi della definitività e il verificarsi dell'accertamento "in tempi diversi", nel senso sopra chiarito, delle tre violazioni.
6. Il comma 3 dell'articolo 25 consente di definire in via agevolata, limitatamente alle sanzioni, le controversie in corso alla data del 1° aprile 1998.
Ai fini della ammissibilità della definizione in parola, è necessario che il procedimento di irrogazione della sanzione sia pendente al 1° aprile 1998, a nulla rilevando l'eventuale definitività intervenuta successivamente. È necessario cioè che alla data del 1° aprile 1998 sia ancora pendente il giudizio avanti all'autorità giudiziaria o amministrativa ovvero siano pendenti i termini per la proposizione dell'azione, dell'appello o del gravame.
La norma estende alla fase transitoria le previsioni dell'art. 16, comma 3, e 17, comma 2, dello stesso
La definizione si attua con il pagamento di una somma pari al quarto delle sanzioni irrogate ovvero al quarto dell'ammontare risultante dall'ultima sentenza depositata o decisione amministrativa notificata alla data del 1° aprile 1998.
Se dall'ultima sentenza o decisione amministrativa non risulta un debito a titolo di sanzione, la definizione è ugualmente ammessa e l'ammontare della somma da corrispondere deve essere determinata con riferimento alle sanzioni risultanti dall'originario provvedimento amministrativo.
Se con un unico atto sono state irrogate autonome e distinte sanzioni, è possibile definire anche soltanto una o talune di esse.
Nella determinazione della somma da corrispondere non devono essere considerati gli eventuali interessi maturati sulla sanzione irrogata, in quanto detti interessi, a seguito della definizione, non sono più dovuti, ferma restando l'irripetibilità delle somme eventualmente già corrisposte.
Il pagamento delle somme dovute deve essere effettuato entro il 10 agosto 1998 con le modalità stabilite dal decreto ministeriale 11 giugno 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 134 dell'11 giugno 1998.
Il pagamento può essere eseguito sia dal soggetto destinatario del provvedimento di irrogazione della sanzione sia dal soggetto obbligato in solido. È comunque esclusa la ripetizione delle somme eventualmente già corrisposte.
La definizione agevolata prevista dall'art. 25, comma 3, è riferita esclusivamente alle sanzioni e non comporta acquiescenza rispetto al tributo.
Pur non essendo normativamente previsto alcun obbligo al riguardo, si evidenzia l'opportunità che gli interessati comunichino tempestivamente all'autorità o all'organo presso il quale pende la controversia l'avvenuto pagamento delle somme dovute per la successiva declaratoria di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere relativamente alle sanzioni oggetto della definizione.
Si precisa infine che non è ammessa l'applicazione concorrente delle disposizioni contenute nei commi 2 e 3 dell'art. 25. Infatti, poiché la norma fa riferimento testuale all'irrogato o all'ammontare risultante, ne consegue che la definizione agevolata di cui al comma 3 non presuppone assolutamente una preventiva rideterminazione della sanzione sulla base delle previsioni del comma 2.
7. Dall'analisi delle disposizioni transitorie dettate dall'articolo 25 si evince che, relativamente alle violazioni per le quali il provvedimento di irrogazione delle sanzioni si è già reso definitivo alla data del 1° aprile 1998, non trovano applicazione le disposizioni contenute nel
Al riguardo, si ribadisce che non assume rilievo l'eventuale pendenza di un ricorso esperito contro l'iscrizione a ruolo eseguita sulla base di un precedente provvedimento divenuto definitivo o di una sentenza passata in giudicato. In tali evenienze, infatti, l'impugnazione non riguarda il merito della controversia ma soltanto i vizi propri dell'atto introduttivo della riscossione coattiva.
Abolizione della soprattassa e della pena pecuniaria.
«1. Il riferimento alla soprattassa e alla pena pecuniaria, nonché ad ogni altra sanzione amministrativa, ancorché diversamente denominata, contenuto nelle leggi vigenti, è sostituito con il riferimento alla sanzione pecuniaria, di uguale importo.
2. I riferimenti contenuti nelle singole leggi di imposta a disposizioni abrogate si intendono effettuati agli istituti e alle previsioni corrispondenti risultanti dal presente decreto.
3. Salvo diversa espressa previsione, i procedimenti di irrogazione delle sanzioni disciplinati nel presente decreto si applicano all'irrogazione di tutte le sanzioni tributarie non penali.».
Il comma 1 prevede che il riferimento, contenuto nelle leggi vigenti, alla soprattassa, alla pena pecuniaria e ad ogni altra sanzione amministrativa, ancorché diversamente denominata, è sostituito con il riferimento alla sanzione pecuniaria di cui all'art. 2, comma 1, per un importo uguale.
Il comma 2 detta, invece, una regola tesa a sostituire i riferimenti contenuti nelle singole leggi d'imposta a disposizioni abrogate con gli istituti e le previsioni risultanti dal decreto legislativo in commento.
Il comma 3, infine, sancisce l'applicazione, salva diversa espressa previsione, dei procedimenti di irrogazione disciplinati negli articoli 16 e 17 del decreto legislativo in commento all'irrogazione di tutte le sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie.
Violazioni riferite a società, associazioni od enti.
«1. Le violazioni riferite dalle disposizioni vigenti a società, associazioni od enti si intendono riferite alle persone fisiche che ne sono autrici, se commesse dopo l'entrata in vigore del presente decreto.».
In ossequio ai principi generali in tema di efficacia temporale delle leggi punitive, l'articolo 27 prevede che le violazioni riferite dalle disposizioni vigenti a società, associazioni od enti (cioè a soggetti diversi dalle persone fisiche) s'intendono riferite alle persone fisiche che ne sono autrici se commesse dopo il 1° aprile 1998.
Pertanto, come già chiarito in sede di commento all'art. 25, per le violazioni commesse prima del 1° aprile 1998 non trovano applicazione le nuove disposizioni relative all'imputazione soggettiva e le sanzioni continueranno ad essere irrogate direttamente alle società, associazioni od enti, pur seguendo i procedimenti di irrogazione previsti negli articoli 16 e 17.
Relativamente alle violazioni riferibili al soggetto rappresentato commesse fino al 31 marzo 1998, permane la responsabilità solidale del rappresentante prevista dall'art. 12 della
Disposizioni di attuazione.
«1. Nel termine di quattro mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana sono stabilite, con uno o più decreti del Ministro delle finanze, le modalità di pagamento delle somme dovute a titolo di sanzione.».
Come previsto dall'articolo 28, con decreto ministeriale 11 giugno 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 134 dell'11 giugno 1998, sono state stabilite le modalità di pagamento delle somme dovute a titolo di sanzione.
Nel decreto richiamato è previsto che il pagamento delle somme dovute a titolo di sanzione a seguito di ravvedimento o di definizione agevolata di cui agli articoli 13, 16, comma 3, 17, comma 2, e 25, comma 3, del
Con lo stesso decreto sono stati inoltre istituiti i codici-tributo che devono essere utilizzati per il pagamento delle somme dovute a titolo di sanzione: di regola, è stato istituito un unico codice per tutte le sanzioni pecuniarie relative al tributo di riferimento.
In aggiunta alle indicazioni contenute nel citato decreto dirigenziale, si forniscono le seguenti precisazioni:
- nei casi in cui la definizione agevolata comporta il pagamento di una somma pari ad un quarto della sanzione indicata nell'atto di contestazione o irrogata, per il versamento deve essere utilizzato il codice-tributo relativo alla sanzione riferita al tributo per il quale è stata commessa la violazione più grave assunta a base della determinazione dell'unica sanzione, secondo i criteri fissati nell'art. 12 del
- nei casi di ravvedimento operoso in materia di imposta sul valore aggiunto, imposta di registro e degli altri tributi già riscossi dai servizi di cassa del Dipartimento delle entrate, il pagamento del tributo, quando dovuto, è eseguito utilizzando gli stessi modelli F23 o F32.
Per gli altri tributi (quali, ad esempio, le imposte sui redditi, l'IRAP, le ritenute alla fonte, ecc.) il pagamento del tributo, quando dovuto, è eseguito utilizzando la specifica modulistica prevista per il versamento diretto dei tributi stessi.
In ogni caso, la somma dovuta a titolo di interessi moratori al tasso legale è versata cumulativamente al tributo.
Disposizioni abrogate.
«1. Sono abrogati:
a) gli articoli da 1 a 8, 11, 12, 15, da 17 a 19, 20, limitatamente alle parole "e quelle che prevedono ogni altra violazione di dette leggi", da 26 a 29 e da 55 a 63 della
b) il decreto ministeriale 1° settembre 1931;
c) i commi terzo, quarto, quinto e sesto, limitatamente alle parole "27, penultimo comma" dell'articolo 39 della
d) nell'articolo 68 del
1) nella rubrica, le parole "e delle sanzioni pecuniarie";
2) nel comma 3, le parole "e le sanzioni pecuniarie".
2. È inoltre abrogata ogni altra norma in materia si sanzioni amministrative tributarie, nonché della loro determinazione ed irrogazione, non compatibile con le disposizioni del presente decreto.
L'articolo 29, oltre ad abrogare espressamente alcune delle principali disposizioni non più compatibili con l'assetto normativo risultante dal
Entrata in vigore.
«1. Il presente decreto entra in vigore il 1° aprile 1998.».
L'articolo 30 fissa al 1° aprile 1998 l'entrata in vigore del decreto legislativo recante disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie.
La stessa data di entrata in vigore è stata fissata per il
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