§ 4.1.42 - Circolare Ass. 19 maggio 1986, n. 1.
L.R. 10 agosto 1985, n. 37. Nuove norme in materia di controllo sull'attività urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle [...]


Settore:Codici regionali
Regione:Sicilia
Materia:4. assetto e utilizzazione del territorio
Capitolo:4.1 urbanistica
Data:19/05/1986
Numero:1

§ 4.1.42 - Circolare Ass. 19 maggio 1986, n. 1.

L.R. 10 agosto 1985, n. 37. Nuove norme in materia di controllo sull'attività urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive. Piani particolareggiati di recupero.

 

Premessa.

 

     Con circolare n. 2/1985 del 31 agosto 1985, prot. 26716 sono state impartite direttive generali sull'applicazione della L.R. del 10 agosto 1985, n. 37, recante «Nuove norme in materia di controllo sull'attività urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive».

     Nel corso dell'applicazione delle norme suddette sono sorte tuttavia difficoltà interpretative su taluni aspetti specifici ed in particolare sulle disposizioni contenute nel capo III della legge.

     Pertanto, al fine di evitare una serie di risposte a singoli quesiti posti dalle amministrazioni comunali, si è venuti nella determinazione di diramare una nuova circolare che affronta il tema specifico del recupero urbanistico, fermo restando che l'Assessorato è sempre disponibile a fornire qualsiasi chiarimento in ordine all'applicazione di tutta la legge regionale n. 37/1985.

     Le vicende che hanno caratterizzato l'attuazione della legislazione nazionale e regionale sul condono edilizio sono note, così come è noto lo sforzo di questo Assessorato nel rendere le norme stesse più adeguate alle reali situazioni dei Comuni dell'Isola. Ciò che era possibile fare, nei limiti della competenza regionale, è stato fatto mediante la predisposizione e l'approvazione del disegno di legge integrativo della legge regionale n. 37/1985.

     Tuttavia, le modifiche apportate in sede nazionale alla legge n. 47/1985 e in sede regionale alla legge n. 37/1985 non incidono sulle disposizioni vigenti sul recupero urbanistico, per cui è possibile formulare al riguardo direttive specifiche su norme definitive; per altri argomenti, che hanno dato luogo a numerosi quesiti, l'Assessorato si propone di fornire ulteriori chiarimenti a mezzo di altra circolare.

 

Recupero urbanistico.

 

     La normativa contenuta nel capo III della legge regionale n. 37/1985 costituisce uno dei punti più qualificanti dell'intera legge, perché è diretta alla soluzione concreta di uno dei più gravi problemi urbanistici che hanno interessato in questi ultimi anni la Sicilia: il recupero urbanistico degli insediamenti abusivi.

     Come è noto, le parti del territorio comunale che in generale risultano maggiormente aggredite dalle costruzioni abusive sono quelle vincolate dagli strumenti urbanistici a destinazioni pubbliche o a verde privato.

     In tal modo i piani regolatori generali e i programmi di fabbricazione vigenti spesso non sono più funzionali non potendosi realizzare, nella loro interezza, i servizi pubblici e le infrastrutture necessarie.

     I rimedi previsti dal legislatore regionale allo stato di disordine esistente sono da un lato di natura urbanistica e dall'altro di natura finanziaria.

 

Gli agglomerati edilizi abusivi.

 

     Per agglomerato edilizio, in base alle disposizioni contenute nella legge regionale n. 37/85, deve intendersi un insieme di edifici, comunque disposti avente una volumetria non inferiore a dodicimila metri cubi per ettaro e qualsiasi destinazione d'uso.

     Il limite di dodicimila metri cubi per ettaro di costruzione non è inderogabile, essendo possibile prendere in considerazione insediamenti con volumetria inferiore a detto limite, purché siano caratterizzati da particolari situazioni di degrado igienico e ambientale.

     Nell'ambito degli agglomerati possono anche ricadere fabbricati eseguiti con regolare licenza o concessione edilizia; essi concorrono con il loro volume alla determinazione di quello complessivo dell'agglomerato e sono tenuti presenti nella redazione del piano particolareggiato. Ovviamente, l'entità delle costruzioni regolari non potrà essere tale da sovvertire i criteri dettati dal legislatore regionale per l'individuazione degli agglomerati.

     Il terzo comma dell'art. 14 della legge regionale n. 37/1985 stabilisce infatti che la volumetria minima di dodicimila metri cubi per ettaro deve essere costituita da costruzioni «prevalentemente» abusive; il criterio che deve guidare quindi chi è chiamato ad individuare gli agglomerati è quello della prevalenza di costruzioni abusive rispetto a quelle regolari.

     Gli insediamenti abusivi possono essere riscontrati in qualsiasi parte del territorio comunale e quindi, come già detto, interessare aree variamente destinante dallo strumento urbanistico vigente; essi formeranno oggetto dello studio da effettuare per il loro recupero urbanistico all'assetto del territorio comunale e cioè del piano particolareggiato, la cui formazione deve necessariamente avvenire in variante allo strumento urbanistico generale vigente.

 

Destinazione d'uso degli edifici ricadenti negli agglomerati ed epoca della loro realizzazione.

 

     La destinazione d'uso degli edifici ricadenti negli insediamenti abusivi può essere residenziale, produttiva e di servizio, ovvero mista.

     Negli insediamenti residenziali devono essere compresi anche gli insediamenti stagionali o di villeggiatura e quelli turistici.

     Gli insediamenti produttivi comprendono le costruzioni per attività artigianali e industriali, mentre quelli di servizio riguardano gli edifici destinati ad attività commerciali e direzionali.

     Nella realtà possono riscontrarsi situazioni miste e cioè insediamenti residenziali e di servizio, ovvero insediamenti residenziali e produttivi etc.

     L'eterogeneità degli insediamenti non ha alcun riflesso negativo sull'individuazione dell'agglomerato, in quanto tutti gli edifici devono essere presi in esame ai fini della determinazione del volume, a prescindere dalla loro destinazione d'uso.

     In ogni caso, però, è da ricordare che in tutti gli agglomerati gli edifici da prendere in considerazione sono quelli sorti entro il 1° ottobre 1983, come stabilito dall'art. 14 della legge regionale n. 37/1985.

     A tal fine come edifici sorti entro la data del 1° ottobre 1983, che nella formulazione del 2° comma dell'art. 31 della legge n. 47/1985 erano quelli completati almeno nel rustico e nella copertura, sono da intendere quelli nei quali sia stata eseguita la struttura portante, sia essa del tipo intelaiato in cemento armato o in acciaio, o con pannelli portanti o in muratura e sia completata la copertura, e ciò a seguito della sostituzione del richiamato 2° comma dell'art. 3 della legge n. 47/1985, operata dall'art. 3 della L.R. 15 maggio 1986, n. 26.

 

Individuazione degli agglomerati abusivi.

 

     L'individuazione degli agglomerati abusivi è il primo atto che avrebbero dovuto intraprendere i Comuni mediante il conferimento dell'incarico o ai propri Uffici tecnici o a liberi professionisti.

     Ove tali adempimenti non risultino ancora effettuati, si invitano i Comuni a procedervi valutando in primo luogo la consistenza volumetrica degli agglomerati abusivi in rapporto all'entità dell'area su cui insistono. Qualora si riscontrino limiti eguali o superiori a quelli di legge, gli agglomerati devono essere proposti per il loro recupero.

     Gli accertamenti tecnici vanno estesi anche alle condizioni igienico- sanitarie ed ambientali degli insediamenti, perché nel caso in cui vengano riscontrate situazioni di degrado si prescinde dai limiti volumetrici di legge e gli agglomerati in argomento devono essere compresi tra quelli da recuperare.

     I rilevamenti degli edifici abusivi si effettuano sui fogli di mappa, avvalendosi, ove se ne disponga, di rilievi aerofotogrammetrici di data recente e comunque posteriore al 1° ottobre 1983; in caso negativo, le rilevazioni vanno fatte con i normali metodi topografici e devono essere riportate su mappe catastali.

     I tecnici incaricati, quindi, presentano al Sindaco i rilievi effettuati, unitamente a relazioni con le quali formulano le proposte di intervento.

     Il Sindaco, sulla base della documentazione tecnica acquisita, propone al Consiglio comunale gli agglomerati da recuperare all'assetto urbanistico del Comune mediante la redazione di piani particolareggiati.

     La deliberazione consiliare con la quale si individuano gli agglomerati è pubblicata il primo giorno festivo successivo a quello della seduta ed è inviata alia C.P.C. per il visto di legge.

     Gli adempimenti di cui sopra avrebbero dovuto essere adottati entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge regionale n. 37/1985. Tuttavia, da accertamenti effettuati risulta che non tutti i Comuni interessati hanno dato corso alle disposizioni di legge.

     Tale inadempienza sarebbe dovuta ad errate interpretazioni susseguenti alla proroga concessa dallo Stato per la presentazione delle domande di sanatoria.

     Comunque, si invitano i Comuni che non abbiano ancora proceduto all'individuazione degli agglomerati abusivi, a provvedervi immediatamente, avvertendo che è preciso intendimento dello scrivente di avvalersi delle disposizioni vigenti in materia di intervento sostitutivo.

     L'individuazione degli agglomerati abusivi si applica, nei termini già descritti, per i Comuni che a suo tempo non hanno proceduto alla perimetrazione degli insediamenti abusivi ai sensi delle leggi regionali n. 7/1980 e n. 70/1981.

     Per i Comuni che invece risultino dotati delle perimetrazioni anzidette, non occorre nessun ulteriore adempimento se non quello dell'affidamento dell'incarico di progettazione per la redazione di piani particolareggiati di recupero, in quanto il 2° comma dell'art. 14 della L.R. n. 37/1985 le ha fatte salve.

     Tuttavia, nei Comuni in parola possono riscontrarsi nuove situazioni di abusivismo in aggiunta a quelle esistenti e già individuate secondo le leggi regionali n. 7/1980 e n. 70/1981. In questa ipotesi occorre una nuova deliberazione consiliare con la quale devono essere individuati gli ulteriori agglomerati edilizi abusivi riscontrati nel territorio comunale.

     A differenza di quanto previsto dalle leggi regionali n. 7/1980 e n. 70/1981, le disposizioni della legge regionale n. 37/1985 non pongono più l'obbligo di procedere ad una delimitazione degli agglomerati, ma solamente alla loro individuazione. La differenza è sostanziale, in quanto la delimitazione interessava anche le aree inedificate, circostanti gli agglomerati, da destinare a servizi pubblici, nei rapporti stabiliti dal D.M. 2 aprile 1968, mentre l'individuazione, che può essere graficamente effettuata nel modo ritenuto più opportuno dai tecnici, riguarda esclusivamente gli edifici esistenti e non aree limitrofe.

     A tale proposito si ritiene che la perimetrazione degli agglomerati abusivi possa essere effettuata con le stesse modalità indicate dall'art. 18 della legge n. 865/1971 in base al quale il centro edificato, per ciascun centro abitato o nucleo abitato, è delimitato dal perimetro continuo che comprende tutte le aree edificate e i lotti interclusi.

 

Disciplinare d'incarico - Contributi per la redazione del piano di

recupero.

 

     Il piano particolareggiato di recupero può essere redatto d'ufficio ovvero da liberi professionisti previo incarico conferito dal Comune.

     Il disciplinare da prendere come riferimento può essere quello approvato dall'Assessore Regionale del Territorio e dell'Ambiente con decreto n. 91/1979 del 17 maggio 1979, relativamente al piano particolareggiato, con l'avvertenza però di adeguare i contenuti a quelli indicati dall'art. 15 della legge regionale n. 37/1985. Altre modifiche vanno introdotte relativamente alle diverse situazioni particolari che devono essere tenute nel debito conto.

     I termini da assegnare ai tecnici eventualmente incaricati per la redazione dei piani di recupero devono essere compatibili con quelli fissati dalla legge regionale n. 37/1985 per l'adozione e approvazione degli stessi.

     Essi non possono essere subordinati ad adempimenti preventivi da parte del Comune, come la fornitura della cartografia o l'espletamento delle indagini geologiche, bensì debbono decorrere dalla data della comunicazione ai progettisti della esecutività dell'atto d'incarico. Ogni ritardo nella consegna del piano dovrà essere perseguita a termine di disciplinare ivi compreso il caso di decadenza.

     Le ragioni delle direttive di cui sopra vanno individuate nell'assoluta urgenza di dotare il Comune dei piani di recupero, ai quali sono legati gli interventi di risanamento degli abitati e quindi del territorio.

     Sarebbe opportuno che i progettisti predisponessero uno schema di massima del piano, da sottoporre alla valutazione del Consiglio Comunale entro termini molto ristretti. Tale procedura, simile peraltro a quella fissata nel disciplinare tipo approvato con D.A. del 17 maggio 1979, consentirebbe di procedere in perfetta armonia tra progettisti e Comune e quindi di addivenire all'approvazione del piano di recupero senza alcuna remora.

     E' intendimento dello scrivente di concedere contributi sulla spesa necessaria per la redazione dei piani di recupero.

     Per rendere più snella la procedura e quindi per evitare che la pratica del contributo diventa motivo di remora, occorre che i Comuni procedano direttamente con propri fondi all'erogazione delle somme necessarie per la progettazione e, successivamente all'approvazione del piano di recupero, facciano pervenire all'Assessorato regionale del Territorio e dell'Ambiente:

     a) istanza di contributo sottoscritta dal Sindaco;

     b) deliberazione di approvazione del piano particolareggiato di recupero, vistata dalla Commissione Provinciale di Controllo;

     c) quietanza delle somme erogate ai tecnici incaricati della redazione del piano unitamente alla parcella delle competenze tecniche vistate dall'Ordine professionale di appartenenza.

     I documenti di cui sopra debbono pervenire all'Assessorato in triplice copia.

     L'Assessorato corrisponderà ai Comuni contributi differenziati sulle spese sostenute e quietanzate al netto di I.V.A. e tasse della Cassa nazionale degli ordini professionali.

     Per i Comuni che approvano il piano entro il 31 agosto 1986 l'entità del contributo sarà pari all'80% delle spese sostenute e come sopra indicate; per quelli che provvedono all'approvazione dopo il 31 agosto e fino al 31 ottobre il contributo sarà del 70%.

     A partire da quest'ultima data l'entità del contributo sarà del 50%, fermo restando che per quei Comuni che dovessero provvedere con notevole ritardo all'approvazione dei piani particolareggiati questo Assessorato si riserva la facoltà di non concedere nessun contributo.

     Si raccomanda di rispettare la procedura dianzi descritta perché nessun contributo verrà corrisposto se non a consuntivo e cioè dopo l'approvazione dei piani particolareggiati di recupero.

     Per quanto riguarda la cartografia, nessun contributo erogherà l'Assessorato e ciò nella considerazione che il piano particolareggiato deve essere redatto utilizzando i fogli di mappa. Ovviamente occorrerà aggiornare preventivamente detta cartografia, riportando in essa tutti gli edifici abusivi esistenti. Le rilevazioni, come si è detto, possono essere effettuate direttamente a mezzo di tecnici incaricati o con altri mezzi a spese del Comune.

     L'art. 5 della L.R. 11 aprile 1981, n. 65 ha posto l'obbligo della verifica di compatibilità delle scelte urbanistiche sia in sede di strumenti generali che di piani particolareggiati con le situazioni geologiche dei terreni interessati.

     A tal fine è stato stabilito che gli studi di pianificazione urbanistica comunale siano corredati da relazioni geologiche. Sulla base di dette disposizioni legislative, sono state emanate nel tempo disposizioni varie da parte dell'Assessorato regionale del Territorio e Ambiente circa la redazione di dette relazioni. Infine con la legge regionale n. 66 del 21 agosto 1984 si è posto a carico dell'Assessorato anche il contributo sulla spesa per gli studi geologici.

     Poiché nel caso di piani particolareggiati di recupero si interviene sull'edificio esistente, si ritiene in linea generale che gli accertamenti di natura geologica debbano essere limitati agli elementi essenziali senza fare ricorso a spese imprenditoriali.

     Anche sulle spese per la relazione geologica sarà concesso il contributo assessoriale nella stessa misura percentuale prevista per le spese di redazione del piano: il contributo verrà corrisposto dopo l'approvazione del piano, sulla base dell'importo quietanzato e della parcella vistata dall'Ordine professionale. Si avverte comunque fin d'ora che nessun contributo verrà corrisposto per spese imprenditoriali (trivellazioni, etc.).

 

Comuni sforniti di strumenti urbanistici.

 

     Nei Comuni sforniti di strumenti urbanistici generali non potrebbero essere redatti i piani di recupero, né quindi essere intrapresa alcuna azione ordinatrice del territorio.

     La legge regionale n. 37/1985 ha superato tale ostacolo prescrivendo che il piano particolareggiato sia redatto contestualmente con il piano regolatore generale nel termine di mesi sei dalla data di entrata in vigore della legge medesima.

     I Comuni, nei quali risulti in corso la redazione del piano regolatore, sono tenuti conseguentemente a redigere i piani particolareggiati di recupero ed adottarli unitamente al piano regolatore.

     Per economia di tempo si suggerisce, ove non si sia ancora dato corso agli adempimenti di legge, di affidare allo stesso gruppo di progettazione del piano regolatore il piano particolareggiato di recupero, o di fare in modo che la stesura dei due piani avvenga in collaborazione tra i diversi gruppi di progettazione. L'approvazione dei piani di recupero, in questo caso, è demandata all'Assessorato Regionale al Territorio unitamente al piano regolatore generale.

 

Revisione degli strumenti urbanistici generali.

 

     La distribuzione delle costruzioni abusive nel territorio può essere tale da rendere inapplicabili gli strumenti urbanistici generali.

     Questa particolare situazione è stata presa in considerazione dalla legge regionale n. 37/1985, che ha dettato norme di carattere generale per poterla fronteggiare. E' stato infatti posto l'obbligo della revisione dello strumento urbanistico generale ogni qualvolta l'entità dell'abusivismo da disciplinare con piano particolareggiato superi centomila metri cubi di costruzione ovvero che dia luogo alla formazione di un numero di piani superiori a due.

     Ma più in generale si ritiene di dovere suggerire alle Amministrazioni comunali in indirizzo di dare luogo alla revisione dei piani generali quando le costruzioni abusive abbiano reso non più utilizzabili cospicue aree destinate ad attrezzature e servizi pubblici o ad infrastrutture viarie e ciò anche se la volumetria da assoggettare alla redazione di piani particolareggiati sia inferiore ai limiti di legge o se non siano necessari più di due piani esecutivi.

     E' da tenere presente che la revisione dei piani generali deve avvenire successivamente all approvazione di piani di recupero e comunque entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge regionale n. 37/1985. La deliberazione d'incarico professionale per la revisione dello strumento urbanistico deve essere adottata entro novanta giorni dalla data di approvazione dei piani particolareggiati di recupero.

 

Contenuto dei piani di recupero.

 

     Il piano particolareggiato di recupero è da intendersi a tutti gli effetti come un piano particolareggiato; esso, quindi, può avere un'efficacia massima di dieci anni.

     Nell'ambito di detto piano possono essere proposti dai progettisti e approvati dal Consiglio Comunale comparti edilizi disciplinati dalla legge regionale n. 71/1978.

     La redazione del piano di recupero deve assicurare:

     a) un'adeguata urbanizzazione primaria;

     b) un'adeguata urbanizzazione secondaria che tenga conto anche di servizi ed attrezzature pubblici esistenti nella restante parte del territorio comunale;

     c) la salvaguardia degli interessi di carattere storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale ed idrogeologico;

     d) la formazione degli elenchi catastali della proprietà da espropriare o vincolare;

     e) la valutazione di massima delle spese necessarie per l'attuazione del piano.

     Come può rilevarsi, i contenuti del piano di recupero sono stati differenziati dal legislatore regionale rispetto a quelli del piano particolareggiato, disciplinati dall'art. 9 della legge regionale n. 71/1978. Ciò è stato fatto a ragion veduta, in quanto la situazione degli agglomerati abusivi, anche dal punto di vista urbanistico, è alquanto anomala.

     E' stato già ricordato che il fenomeno dell'abusivismo si è maggiormente manifestato in tutte le aree vincolate dallo strumento urbanistico o da leggi statali e regionali per l'esecuzione di opere e attrezzature pubbliche o per la salvaguardia di particolari interessi.

     La indisponibilità delle aree per servizi rende non più funzionale il piano esistente, per cui occorre procedere al reperimento di nuove aree per soddisfare le necessità attuali e future, comprese quelle che si sono venute a determinare in seguito alla costruzione degli insediamenti edilizi abusivi.

     Tuttavia non è detto che tutte le aree vincolate dai piani siano indisponibili, per cui diventa necessario non il reperimento totale delle aree destinate ad usi pubblici ma solamente di quelle sottratte abusivamente alla loro destinazione originaria.

     In tale situazione si spiega chiaramente il significato del termine «adeguata» che il legislatore regionale ha usato riferendosi all'urbanizzazione.

     In altre parole, prendendo cognizione delle situazioni edilizie ed urbanistiche esistenti, si richiede nella redazione dei piani particolareggiati di recupero non l'integrale rispetto delle disposizioni contenute nel D.M. 2 aprile 1968 in materia di spazi pubblici, ma le previsioni di adeguate aree ad integrazione di quelle vincolate dallo strumento urbanistico generale ed ancora fruibili. Se il legislatore avesse richiesto il rispetto assoluto del D.M. 2 aprile 1968, si sarebbe corso il rischio di vincolare aree non necessarie e quindi di avere la duplicazione di taluni servizi.

     Conseguentemente, prima di porre nuovi vincoli sulla proprietà privata, occorre verificare lo stato di consistenza e l'entità dei servizi esistenti, delle attrezzature e degli spazi vincolati ancora fruibili e quindi accertare quali di essi possono essere utilizzati dagli agglomerati edilizi abusivi.

     In questa specifica operazione di verifica vanno tenuti in particolare evidenza i raggi di influenza delle attrezzature pubbliche con speciale riguardo a quelle scolastiche.

     Si può infatti verificare il caso che aree vincolate dallo strumento urbanistico generale ad attrezzature scolastiche, ancora disponibili, non siano fruibili dagli agglomerati abusivi per motivi vari, ad esempio la distanza eccessiva.

     Anche per le opere di urbanizzazione primaria il legislatore ha usato il termine «adeguata»; il senso di tale espressione è quello già illustrato. I progettisti sono chiamati quindi ad operare con discrezionalità tecnica; in ogni caso però occorre che le scelte quantitative e qualitative operate siano motivate.

     La popolazione da computare ai fini del proporzionamento dei servizi pubblici è quella residente nell'agglomerato in forma stabile, se trattasi di insediamento residenziale fisso, ovvero quella fluttuante, se trattasi di insediamenti stagionali, turistici, etc.

     I servizi e le attrezzature da prevedere nei vari tipi di agglomerato vanno ovviamente differenziati. Non saranno quindi vincolate aree per attrezzature scolastiche in agglomerati costituiti da residenze stagionali o turistiche, ove invece vanno previsti altri servizi finalizzati al godimento del tempo libero, etc.

     In conclusione la qualità e la quantità delle attrezzature pubbliche vanno determinate in funzione della popolazione attuale dell'insediamento, tenendo conto della destinazione d'uso dello stesso e dei servizi già esistenti nel territorio o previsti nel piano generale e che siano effettivamente utilizzabili o realizzabili.

     Il legislatore regionale ha altresì disposto la salvaguardia degli interessi di carattere storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale ed idrogeologico esistenti nel territorio.

     Occorre quindi una valutazione particolare in tutti i casi di esistenza di vincoli d'insieme o specifici, dettati da leggi speciali a tutela degli interessi pubblici.

     Il piano adottato dovrà essere trasmesso alla Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali per il parere di legge, che deve essere reso entro novanta giorni decorsi i quali il parere si intenderà reso favorevolmente.

 

Opere di urbanizzazione.

 

     Ci si è occupati sino ad ora delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria solamente sotto l'aspetto quantitativo avendo affermato che, sostanzialmente, l'art. 15 della L.R. n. 37/1985 ha lasciato alla discrezionalità dei Comuni la determinazione dell'entità delle aree da prevedere nei piani particolareggiati di recupero.

     Appare utile a questo punto richiamare l'attenzione sulla qualità delle urbanizzazioni che come è noto risultano precisate dalle leggi n. 847/1984 e n. 865/1971.

     Sono opere di urbanizzazione primaria: le strade residenziali, gli spazi di sosta e di parcheggio, le fognature, la rete idrica, la rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas; la pubblica illuminazione e gli spazi di verde attrezzato.

     Sono opere di urbanizzazione secondaria: gli asili nido e scuole materne, le scuole dell'obbligo, i mercati di quartiere, le delegazioni comunali, le chiese ed altri edifici per servizi religiosi, gli impianti sportivi di quartiere, i centri sociali ed attrezzature culturali e sanitarie e le aree verdi di quartiere.

     Ai fini della progettazione, come si specificherà più avanti, le opere di urbanizzazione primaria devono tutte essere previste, fatta eccezione per la rete del gas ove non esista tale impianto nel Comune.

     La fognatura deve avere un proprio recapito finale ove non sia possibile, per ragioni varie, l'utilizzazione di quella esistente nel centro urbano. In ogni caso, se il recapito finale è diverso da quello generale comunale, occorre che lo stesso sia dotato di impianto di depurazione opportunamente salvaguardato da apposita fascia di rispetto del raggio non inferiore a m. 100.

     Tutte le aree che occorre acquisire per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria devono essere indicate negli appositi elenchi catastali.

     Le urbanizzazioni primarie e secondarie devono poi formare oggetto di valutazione di massima sulla base del costo presumibile dell'espropriazione e delle opere da eseguire. Tale valutazione si rende indispensabile per quanto si dirà nel prosieguo della presente circolare.

     In ogni caso, si raccomanda di disaggregare la spesa in modo molto minuzioso per consentire la stesura di programmi di finanziamento.

 

Ubicazione degli agglomerati abusivi nel territorio.

 

     Gli agglomerati abusivi possono interessare, con riguardo alla zonizzazione del territorio comunale indicata negli strumenti urbanistici generali, aree destinate in tutto o in parte a:

     a) spazi pubblici per attrezzature scolastiche o di interesse comune, verde pubblico, verde attrezzato, etc. e per le urbanizzazioni primarie in genere;

     b) uso residenziale stabile, stagionale o turistico;

     c) uso produttivo del tipo artigianale o industriale;

     d) uso agricolo;

     e) edilizia residenziale pubblica;

     f) centri storici o di interesse ambientale e paesistico;

     g) zone o fasce di rispetto con vincoli discendenti da leggi statali o regionali;

     h) demanio forestale, marittimo, etc.

     Con riguardo all'ipotesi indicata con la lettera a) è da osservare che il fenomeno è molto diffuso e i piani generali vigenti risultano nella quasi generalità non più idonei a disciplinare l'attività edilizia e l'ordinato sviluppo dei centri urbani, non essendo più disponibili le aree per i servizi pubblici e per le infrastrutture viarie.

     Il piano di recupero dovrebbe, quindi, prevedere tutte le attrezzature necessarie per fronteggiare i fabbisogni degli insediamenti abusivi, mentre il riequilibrio generale della dotazione dei servizi in tutto il territorio comunale può essere assicurato solamente dalla revisione generale del piano esistente. Questo è uno dei casi in cui la redazione di un nuovo strumento urbanistico generale si rende necessaria.

     Il piano di recupero può risolvere i problemi dell'abusivismo, ma non anche quelli dell'intero territorio.

     A prescindere, conseguentemente, dalle disposizioni contenute nella legge n. 37/1985 in ordine all'obbligatorietà della revisione dello strumento urbanistico, si suggerisce nell'ipotesi dianzi descritta di procedere alla redazione del piano regolatore subito dopo la regolarizzazione dell'abusivismo e cioè dopo l'approvazione dei piani particolareggiati di recupero.

     Qualora l'abusivismo interessi zone residenziali, la redazione del piano particolareggiato non pone gravosi problemi, trattandosi di una nuova organizzazione di una zona già destinata dallo strumento urbanistico a residenza. Le violazioni perpetrate potrebbero avere comportato l'insediamento di una maggiore popolazione nella zona ln argomento ovvero modificato il disegno urbano etc.: il piano di recupero in questo caso dovrà prevedere anche gli ulteriori servizi pubblici necessari per fronteggiare le nuove situazioni e trovare soluzioni diverse per la disciplina della rete viaria, degli spazi di sosta e di parcheggi, etc.

     Un delicato problema si pone ove nelle zone artigianali e industriali esistenti si sia realizzato anche qualche cospicuo intervento residenziale. Vi è in questo caso la necessità di valutare preliminarmente la compatibilità della coesistenza di edilizia residenziale con quella produttiva sotto il profilo igienico-sanitario (industrie moleste 1ª cat., etc.).

     Nel caso in cui non vi siano motivi di incompatibilità, si darà luogo a zone miste residenziali-produttive con l'avvertenza però che, in sede di revisione generale dello strumento urbanistico vigente, dovranno essere fatte scelte precise in modo da evitare interventi promiscui trasferendo, ad esempio, i complessi produttivi in altre località o viceversa.

     I servizi pubblici da prevedere nei piani particolareggiati di recupero devono tenere conto ovviamente sia delle necessità residenziali che di quelle attinenti ai complessi produttivi. L'entità delle urbanizzazioni deve essere adeguata ai bisogni dell'insediamento, come si è avuto modo di illustrare precedentemente.

     L'abusivismo nel verde agricolo costituisce uno dei casi più frequenti di manomissione del territorio. Infatti, è in questa zona che si è avuta la massima diffusione delle costruzioni abusive.

     Al riguardo occorre però distinguere situazioni diverse, e cioè gli insediamenti utilizzati come prima residenza da quelli adibiti a residenza stagionale.

     In relazione alla loro utilizzazione predominante vanno scelti i servizi pubblici indispensabili, la cui entità dovrà essere rapportata ai fabbisogni concreti della popolazione insediata. Un particolare studio dovrà essere condotto per consentire agevoli collegamenti degli agglomerati con il centro urbano.

     Il caso di insediamenti abusivi interessanti aree vincolate alla realizzazione di piani di edilizia residenziale pubblica non è molto raro; esso comporta la verifica preliminare sulla possibilità concreta di revisionare il piano di edilizia economica e popolare vigente, alla luce anche delle nuove disposizioni contenute nella legge regionale n. 37/1985. Poiché il vincolo esistente sulle aree P.E.E.P è di competenza del Comune, spetterà ad esso valutare la possibilità di provvedere altrimenti al soddisfacimento dei fabbisogni di edilizia residenziale pubblica.

     Esistono insediamenti edilizi abusivi anche in aree vincolate da leggi, ovvero in zone demaniali.

     Il problema che si pone in entrambi i casi è quello della compatibilità degli agglomerati abusivi con i vincoli oppure con l'ambiente. Tale valutazione non spetta al Comune né tantomeno ai progettisti, bensì alle Autorità che tutelano i vincoli ed agli Enti pubblici proprietari delle aree.

     In linea generale, è da chiarire che il piano particolareggiato può essere redatto soltanto nel caso di dichiarata disponibilità degli Enti a consentire il mantenimento dei fabbricati abusivi, anche sotto determinate condizioni, ovvero l'ulteriore disponibilità a cedere in uso i suoli demaniali. Tra le aree demaniali regionali vi sono quelle appartenenti al ramo marittimo che potrebbero risultare interessate al fenomeno di abusivismo.

     Dispone la legge regionale n. 37/1985 che non sono sanabili le costruzioni che ricadono nella fascia di inedificabilità prevista dalla lett. d) dell'art. 15 della L.R. 12 giugno 1976, n. 78, fatta eccezione per le costruzioni iniziate prima dell'entrata in vigore della legge medesima e le cui strutture essenziali siano state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976. Trattasi del noto vincolo di inedificabilità assoluta di m. 150 a partire dalla battigia del mare.

     Nelle zone demaniali marittime risulterebbe improduttiva quindi ogni iniziativa diretta alla redazione di piani particolareggiati di recupero anche in forza di altre disposizioni.

     Comunque, entro la fascia di m. 150 dalla battigia, il piano particolareggiato di recupero potrebbe in astratto essere approntato. Tuttavia la redazione di tale piano diverrebbe problematica dal momento che dovrebbero essere prese in considerazione solamente le costruzioni esistenti, iniziate prima dell'entrata in vigore della L.R. n. 78/1976 e le cui strutture essenziali siano state portate a termine entro il 31 dicembre 1976 Ci si troverà probabilmente di fronte a situazioni di abusivismo identico nella sostanza ma diverso nei tempi di esecuzione. Sarà certamente difficile ai fini della pianificazione esecutiva fare distinzioni di epoca di costruzione tra gli immobili esistenti e in ogni caso ciò non avrebbe alcun senso ai fini della pianificazione. Comunque la legge regionale non si presta ad interpretazioni diverse, per cui, anche se comprese in piani particolareggiati, le costruzioni eseguite dopo il 31 dicembre 1976 non potranno essere sanate. Di ciò i piani particolareggiati di recupero devono tenere conto, normando in modo inequivocabile la destinazione d'uso delle aree su cui insistono gli immobili non sanabili.

     Tra le zone vincolate da leggi speciali ve ne sono talune nelle quali non è possibile alcuna edificazione per non ledere interessi di natura igienica.

     Un esempio è stato già fatto a proposito delle industrie insalubri di prima classe; altri vincoli riguardano le fasce di rispetto cimiteriali e quelle degli impianti di depurazione.

     In tali aree protette non è possibile conseguire alcuna sanatoria, per cui diviene improduttiva di alcun effetto la redazione di piani particolareggiati di recupero.

     Analoghe considerazioni valgono per gli abitati dichiarati da trasferire a cura e spese dello Stato per motivi geologici, salvo che non siano intervenuti i provvedimenti di cui all'art. 11 della L.R. 15 maggio 1986, n. 26.

     Il tipo di abuso ricorrente nei centri storici è quello della sopraelevazione, dell'ampliamento, della edificazione di aree libere o che si sono rese libere a seguito della demolizione degli immobili esistenti.

     In tali condizioni diventa assai difficile la redazione di piani particolareggiati anche a causa della ridotta o assoluta mancanza di aree libere da destinare a pubblici servizi. Comunque i Comuni sono invitati a vagliare con estrema oculatezza le varie situazioni tenendo presenti soprattutto le condizioni di conservazione di detti centri.

     In presenza di grave stato di degrado ambientale non bisogna frapporre alcun indugio per la redazione del piano di recupero.

     In generale, si suggerisce, prima di intraprendere la redazione dei piani di recupero, di ottenere la disponibilità o l'assenso delle amministrazioni pubbliche interessate per realizzare il recupero degli agglomerati abusivi all'assetto del territorio comunale; così come appare utile ottenere l'assenso preventivo, per tutte le altre situazioni di abusivismo, da parte di tutte le amministrazioni pubbliche chiamate a tutelare specifici vincoli (fasce di rispetto stradali, zone con vincolo archeologico. paesistico, etc.) anche a mezzo di apposite conferenze di servizio.

 

Redazione del piano particolareggiato di recupero.

 

     Come più volte accennato, è bene ricordare che il piano particolareggiato di recupero è redatto in variante al piano regolatore generale o al programma di fabbricazione vigenti nel territorio comunale e ciò perché gli agglomerati abusivi risultano comunque in contrasto con le destinazioni di zona, con i vincoli o con la normativa fissati negli strumenti urbanistici.

     La variante allo strumento urbanistico esistente va redatta alla stessa scala di quest'ultimo, utilizzando, ove possibile, la stessa base cartografica aggiornata anche mediante rilevazioni dirette.

     Il piano particolareggiato va invece redatto su fogli di mappa riportanti la situazione di fatto esistente. Poiché i fogli di mappa disponibili non possono riprodurre l'attuale stato dei luoghi, è necessario trasferire in essi tutte le situazioni di abusivismo da disciplinare attingendo come detto da cartografia ottenuta da rilievi

aerofotogrammetrici effettuati dopo il 1° ottobre 1983 ovvero mediante rilievi diretti.

     Gli elaborati fondamentali da produrre devono essere i seguenti:

     a) relazione illustrativa delle varianti che occorre apportare allo strumento urbanistico generale, dei criteri di impostazione del piano particolareggiato in relazione alla situazione di fatto riscontrata con particolare riguardo allo stato di degrado ambientale e alle qualità e quantità di servizi generali necessari in rapporto alla popolazione insediata, nonché ogni altra notizia a chiarimento degli interventi previsti e quanto altro occorra per una completa e corretta attuazione del piano;

     b) planimetria contenente le previsioni del vigente strumento urbanistico generale a scala 1:2.000, riferite alla zona da pianificare;

     c) planimetria dello stato di fatto esistente, con l'indicazione degli agglomerati da assoggettare a pianificazione esecutiva, a scala 1:2.000;

     d) planimetria a scala 1:2.000 contenente la variante allo strumento urbanistico generale per le zone soggette a pianificazione esecutiva;

     e) planimetria del piano particolareggiato, a scala 1:2.000, disegnata su mappa catastale aggiornata dalla quale si possono rilevare i seguenti elementi:

     - le strade carrabili e pedonali, gli spazi di sosta e di parcheggio, gli allineamenti dei fabbricati e delle quote principali delle strade;

     - gli spazi riservati ad edifici e servizi pubblici (uffici pubblici, chiese, scuole, mercati, impianti sportivi, giardini pubblici, etc.), con la precisa delimitazione e destinazione di ciascuno di essi;

     - gli edifici destinati a demolizione ovvero soggetti a restauro o a bonifica edilizia o a completamento;

     - i beni eventualmente già soggetti o da assoggettare a vincoli speciali o particolari servitù (zone archeologiche, giardini privati, etc.) con la precisa individuazione di ciascuno di essi:

     - l'indicazione eventuale di comparti di immobili da ricostituire in unità edilizie:

     f) norme tecniche d'attuazione ed eventuali prescrizioni speciali, fissazione dei termini di efficacia del piano:

     g) progetti di massima, a scala opportuna, della rete fognante, idrica, telefonica, del gas ove esiste, di distribuzione di energia elettrica e della pubblica illuminazione, nonché di ogni altra infrastruttura necessaria alla destinazione dell'insediamento;

     h) piano particellare di esproprio ed elenchi degli immobili da espropriare;

     i) valutazione di massima delle spese necessarie per l'attuazione del piano;

     l) planimetria a scala 1:2.000 contenente la visualizzazione delle opposizioni e delle osservazioni, corredata da relazione con le proposte del progettista sul loro accoglimento o meno.

     Ulteriori elaborati possono essere prodotti per meglio illustrare il piano; le scale progettabili possono essere diverse e comunque più grandi.

     L'indagine sullo stato di fatto degli edifici esistenti può essere condotta a scala 1:500; essa dovrà riguardare essenzialmente la consistenza volumetrica, il numero dei piani utili, le condizioni igieniche, le condizioni statiche e stato di occupazione .

     E' importante poi l'individuazione della destinazione d'uso degli immobili, nonché l'indicazione delle attività non compatibili con la classificazione della zona territoriale omogenea dell'agglomerato.

     Tutti gli elaborati precedentemente elencati devono essere prodotti in cinque esemplari di cui una in bollo, che ne costituisce l'originale, e le altre quattro in carta semplice.

     Il piano particolareggiato di recupero deve essere corredato, come già detto, da norme di attuazione che possono essere modificative di quelle contenute nello strumento urbanistico generale vigente.

     Al riguardo, però, appare utile fare presente che la legge di sanatoria statale e quella regionale consentono il mantenimento delle costruzioni esistenti anche se eseguite in contrasto con le norme e con le destinazioni d'uso del piano vigente, salvo situazioni specifiche.

     Tuttavia l'eventuale futura trasformazione di detti fabbricati mediante demolizione, ricostruzione o sopraelevazioni ed ampliamenti, non solo deve essere disciplinata ma deve avvenire nel rispetto delle norme vigenti.

     In altre parole, il piano particolareggiato di recupero, inquadrando le realtà abusive in zone territoriali omogenee, le rende legittime, ma non può consentire che in tutti i casi di futura trasformazione degli immobili esistenti si continuino a superare certi parametri edilizi come l'indice di densità fondiaria, i distacchi dai confini etc.; per cui, in definitiva, le norme di attuazione da prevedere nei casi di trasformazione del patrimonio edilizio esistente non possono discostarsi dalle disposizioni contenute nelle leggi regionali n. 21/1973, n. 71/1978, n. 37/1985 e nel D.M. 2 aprile 1968.

 

Approvazione dei piani particolareggiati di recupero.

 

     Dopo la redazione, i piani particolareggiati di recupero sono adottati dal Consiglio Comunale con atto deliberativo da sottoporre al visto della Commissione Provinciale di Controllo.

     Per i Comuni compresi negli elenchi ministeriali delle località sismiche l'adozione del piano particolareggiato di recupero è subordinata al parere dell'ufficio del Genio Civile competente ai sensi dell'art. 13 della legge n. 64/15174.

     Il piano è depositato a libera visione del pubblico presso il Comune. Dell'avvenuto deposito si dà notizia mediante avviso sulla G.U.R.S. e in un quotidiano a diffusione regionale oltre che a mezzo di manifesti murali, il tutto nel rispetto delle disposizioni contenute nell'art. 3 della L.R. 27 dicembre 1978 n. 71. La durata della pubblicazione del piano è di venti giorni.

     Possono essere presentate, durante il periodo di pubblicazione e sino a dieci giorni dopo il periodo di deposito del piano, osservazioni da parte di chiunque ed opposizioni da parte degli interessati. Dopo la loro visualizzazione e le relative proposte fatte dai progettisti, il Consiglio Comunale decide sulle osservazioni e sulle opposizioni e quindi procede con tale atto all'approvazione definitiva del piano particolareggiato di recupero che diviene esecutivo dopo il visto della Commissione Provinciale di Controllo sulla deliberazione consiliare.

     Tutta la fase concernente la formazione dei piani di recupero avrebbe dovuto essere condotta a termine entro sei mesi dalla data di deliberazione dell'individuazione degli agglomerati abusivi ovvero dalla data di entrata in vigore della legge regionale n. 37/1985 per i Comuni che avevano già proceduto alla perimetrazione degli insediamenti abusivi ai sensi delle leggi regionali n. 7/1980 e 70/1981.

     I termini in parola o sono già scaduti o andranno a scadere al più presto: il ritardo nell'approvazione dei piani può essere causa di danno anche nei confronti dei singoli cittadini che dalla presenza di essi avrebbe già potuto trarre qualche beneficio di natura economica. Si ricorda infatti che se le costruzioni abusive ricadono in piani di recupero già approvati alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 76 del 28 marzo 1986, l'oblazione da corrispondere è ridotta in modo consistente.

     Comunque, poiché l'obiettivo fondamentale della legge regionale n. 37/1985 è quello del recupero reale e concreto degli agglomerati abusivi, lo scrivente, in caso di accertata inerzia dei Comuni, attiverà gli interventi sostitutivi previsti dalle vigenti disposizioni, nominando i Commissari ad acta, perché questo triste capitolo per l'urbanistica siciliana deve essere al più presto chiuso.

     La legge regionale n. 37/1985 ha demandato ai Comuni l'approvazione dei piani di recupero, anche se gli stessi costituiscono varianti agli strumenti urbanistici generali; i Comuni pertanto debbono rompere qualsiasi indugio e dare corso agli adempimenti di legge, se vogliono evitare gli interventi sostitutivi.

     In sede di approvazione del piano di recupero, possono essere individuati comparti edilizi edificati in tutto o in parte che presentino particolari carenze di natura igienico-sanitaria, tali da richiedere interventi unitari.

     Ai comparti così deliberati dal Consiglio Comunale si applicano le disposizioni contenute nell'art. 11 della L.R. 27 dicembre 1978, n. 71; conseguentemente i proprietari degli immobili sono chiamati ad effettuare le opere previste nel piano di recupero nel termine indicato dal Sindaco, decorso il quale il Comune procede all'espropriazione del comparto.

     L'insieme delle norme già illustrate pone in condizione i Comuni di programmare ed attivare concretamente il recupero degli insediamenti abusivi.

 

Aree interne agli agglomerati.

 

     Una particolare norma di salvaguardia è prevista dalla legge regionale per evitare che durante il periodo di formazione dei piani di recupero le eventuali aree libere, insistenti all'interno degli agglomerati, siano utilizzate a fini edificatisi, anche nel rispetto degli strumenti urbanistici esistenti.

     Può infatti verificarsi il caso che l'agglomerato interessi aree destinate dallo strumento urbanistico vigente all'edificazione e che all'interno di esso esistano ancora lotti liberi che potrebbero essere regolarmente utilizzati.

     Tale possibilità è negata dalla legge regionale n. 37/1985.

     Da parte di qualche Comune è stato posto il quesito per conoscere quali aree sono da considerare interne agli agglomerati, dato che la nuova legge di sanatoria non richiede più la perimetrazione degli agglomerati medesimi.

     Le aree da sottoporre al regime di salvaguardia sino all'approvazione del piano di recupero sono quelle che risultano interne alla perimetrazione precedentemente illustrata.

 

Programma finanziario .

 

     I piani di recupero sono corredati di programma finanziario che dovrà prevedere le opere da realizzare nel quinquennio nell'ambito dell'agglomerato ai fini del loro risanamento igienico. Il programma finanziario, dunque, discende dalle opere previste nel piano particolareggiato. Il finanziamento è per la maggior parte a carico dell'Assessorato Regionale del Territorio e dell'Ambiente, che interviene nelle spese a mezzo di contributi nella misura del 90 per cento dell'importo dei progetti; alla rimanente quota del 10 per cento provvedono i Comuni, prelevando le somme anche da quelle corrisposte dai cittadini per il conseguimento della sanatoria (contributo sulle opere di urbanizzazione).

     Le disposizioni contenute negli artt. 19 e 20 della legge regionale n. 37/1985 devono attivare un processo di progettazione e di esecuzione di opere pubbliche tale da assicurare attraverso ii contributo regionale l'effettivo risanamento degli insediamenti abusivi, il che apporta benefici diretti ed indiretti alla collettività. Infatti la realizzazione delle urbanizzazioni ed il risanamento igienico ed ambientale conferiscono alle abitazioni abusive un notevole incremento di valore, mentre si realizza nei contempo un alleviamento della disoccupazione.

     L'iter di approvazione dei progetti di opere pubbliche è quello fissato dalla legge regionale n. 21/85, per cui se si vuole procedere speditamente occorre fare pervenire all'Assessorato Regionale del Territorio e dell'Ambiente i progetti già approvati in linea tecnica da parte dei competenti organi, completi di qualsiasi nulla-osta preventivo.

     Si invitano, infine, i Comuni in indirizzo a trasmettere a questo Assessorato i programmi finanziari deliberati in uno ai piani particolareggiati di recupero, affinché lo scrivente possa formulare le proposte di bilancio annuali ai sensi dell'art. 38 della legge regionale n. 37/1985.

 

Procedure per la concessione dei contributi regionali.

 

     Come accennato in precedenza, l'art. 20 della legge regionale n. 37/1985 prevede la possibilità per ciascun Comune di ottenere contributi a fondo perduto pari al 90 per cento dell'importo dei progetti per la esecuzione delle opere di sua competenza all'interno del piano particolareggiato di recupero e precisamente per:

     a) opere di urbanizzazione primaria (strade, fognature, acquedotti, rete elettrica, etc.);

     b) opere di urbanizzazione secondaria (scuole, attrezzature sportive, attrezzature di interesse comune, etc.)

     c) opere di risanamento igienico-sanitario in generale.

     Per poter accedere ai contributi occorre che il Comune, già dotato di piano particolareggiato di recupero debitamente approvato, faccia pervenire all'Assessorato Regionale del Territorio e dell'Ambiente una apposita istanza, corredata dal programma finanziario quinquennale e dai progetti che annualmente si intendono realizzare.

     L'Assessore Regionale del Territorio, sulla base delle istanze pervenute, eroga i contributi ai Comuni mediante accreditamento dell'intera somma a favore del legale rappresentante del Comune beneficiario presso gli stabilimenti, siti nei capoluoghi di provincia, degli Istituti di credito tesorieri dei fondi regionali.

     I Comuni devono presentare, dopo l'ultimazione e il collaudo delle opere, il rendiconto finale delle somme spese effettivamente.

 

Attuazione di piani particolareggiati di recupero.

 

     I piani particolareggiati di recupero hanno la stessa efficacia dei piani particolareggiati disciplinati dalla L. 17 agosto 1942, n. 1150 e successive modifiche ed integrazioni e dalla legge regionale n. 71/1978.

     Nella deliberazione, con la quale il Consiglio Comunale procede all'approvazione del piano, deve essere fissato il termine entro il quale lo stesso dovrà essere attuato e i termini entro cui dovranno essere compiute le relative espropriazioni.

     L'efficacia del piano non può avere durata superiore a dieci anni e la sua approvazione equivale a dichiarazione di pubblica utilità delle opere in esso previste.

     Per finanziare le opere previste in piani particolareggiati di recupero è stata stanziata la somma di L. 50 miliardi per l'esercizio finanziario 1986; mentre per gli esercizi successivi in relazione alla entità delle richieste pervenute si provvederà con iscrizione in bilancio ai sensi dell'art. 4, 2° comma, della legge regionale n. 47/1977.

     La deliberazione consiliare di approvazione del piano

particolareggiato di recupero, dopo il riscontro dell'Autorità tutoria,

deve essere depositata nella Segreteria comunale e notificata nelle forme

delle citazioni a ciascuno dei proprietari degli immobili vincolati dal

piano entro un mese dall'annuncio, a mezzo di manifesti murali,

dell'avvenuto deposito (art. 16 l.n. 1150/1942).

     Decorso il periodo di validità, ove non sia intervenuto un nuovo strumento urbanistico, non si può più procedere all'espropriazione delle aree vincolate.

     Nell'ipotesi che in corso di attuazione si appalesi l'opportunità di migliorare il piano, ovvero si riscontrino soluzioni urbanistiche meno onerose, è possibile dare corso a varianti. La procedura di formazione e di approvazione delle varianti è quella indicata nella legge regionale n. 37/1985 per i piani particolareggiati di recupero.

 

Agevolazioni varie per i proprietari di aree espropriate in esecuzione di piani di recupero.

 

     L'attuazione di piani di recupero comporta l'espropriazione di aree per la realizzazione di urbanizzazione primaria e secondaria; le aree da acquisire sono tanto più estese quanto più rilevanti sono le costruzioni costituenti l'agglomerato abusivo e quanto più deficitaria sia la disponibilità di servizi esistenti o di progetto effettivamente fruibili.

     L'espropriazione può determinare, però, in alcuni casi, danni rilevanti ai proprietari delle aree occorrenti per l'esecuzione dei servizi generali dell'insediamento, per cui, in definitiva, la sanatoria finirebbe di essere apportatrice di danni per i cittadini che hanno rispettato la legge.

     Al fine di rendere minimo il disagio derivante dall'espropriazione, la legge regionale n. 37/1985 (art. 22) ha previsto soluzioni alternative all'indennità di espropriazione che consistono nell'assegnazione di un lotto di terreno nell'ambito dei piani di zona per coloro che non dispongono di altro terreno, ovviamente edificabile, o abitazioni adeguate nell'ambito del Comune di residenza o di lavoro. Le richieste dei privati possono riguardare la costruzione di singole case unifamiliari ovvero, se riuniti in consorzio, l'esecuzione di fabbricati condominiali.

     Il legislatore ha usato le parole «non adeguate» per indicare i requisiti qualitativi e di superficie delle abitazioni di coloro che, soggetti ad espropriazione, possono inoltrare istanza al Sindaco per ottenere, in luogo dell'indennità di espropriazione, un lotto di terreno nell'ambito del piano di zona di cui alla legge n. 167/1962.

     Spetta quindi al Sindaco valutare l'adeguatezza o meno delle abitazioni. Come criterio orientativo, si suggerisce in primo luogo di valutare lo stato di conservazione complessivo dell'abitazione e la dotazione di servizi igienici, in secondo luogo di tenere conto della superficie o del numero dei vani utili in rapporto alla composizione del nucleo familiare del richiedente.

     Qualora l'indennità di espropriazione risulti superiore al valore del lotto assegnato. Si deve procedere al conguaglio; nel caso contrario no.

     Non tutti i Comuni però dispongono di piani di zona, né quelli che ne sono dotati possono tutti fare fronte alle nuove emergenze, per deficienza di aree disponibili.

     Il legislatore ha risolto tale problematica obbligando i Comuni alla formazione di un piano di zona che può avvenire in deroga alle disposizioni contenute all'art. 2 della legge n. 10/1871 e in variante agli strumenti urbanistici generali.

     Da quanto precede discende una prima conseguenza e cioè che anche nei Comuni non obbligati dalle vigenti disposizioni alla formazione dei piani di zona, purché interessati da piani particolareggiati di recupero, si dovrà procedere alla redazione dei piani di edilizia economica e popolare.

     Per quanto riguarda il loro dimensionamento, si dovrà prescindere dai limiti (40% e 70%) posti dalla legge n. 10/1977. Ciò significa che il piano dovrà soddisfare solamente le esigenze nascenti dalle situazioni conseguenti all'abusivismo.

     I Comuni i cui piani di zona risultino saturi sono tenuti a procedere al loro ampliamento ovvero alla formazione di nuovi.

     La scelta delle aree per i nuovi piani di edilizia residenziale pubblica può essere effettuata anche nel verde agricolo se le zone residenziali non risultino più disponibili.

     Come può rilevarsi dalle disposizioni che precedono, il legislatore, pur di conseguire l'obiettivo dell'assegnazione di lotti edificabili nei piani di zona in luogo delle indennità di espropriazione, ha obbligato qualsiasi Comune a dotarsi di P.E.E.P. che può interessare anche il verde agricolo nel caso che le aree di espansione siano già sature. Tuttavia restano salve le disposizioni contenute nell'art. 2 della legge regionale n. 71/1985,che vietano l'utilizzazione, per fini edificatori, delle aree interessate da coltivazioni specializzate.

     Il problema che si pone ai Comuni è quindi duplice: da un lato occorre redigere il piano particolareggiato di recupero, dall'altro, ove mancante o insufficiente, il piano dell'edilizia economica e popolare.

     I due piani devono essere adottati contestualmente. A questo punto si pone il problema del dimensionamento del piano di zona e dei tempi di formazione. Come si è già detto i Comuni che debbono procedere alla formazione di un piano per l'edilizia economica e popolare o all'ampliamento di quello esistente sono tenuti a prevedere il soddisfacimento delle istanze di coloro che, in luogo dell'indennità di espropriazione, richiedono l'assegnazione di un lotto di terreno. Teoricamente il Comune potrebbe essere edotto inequivocabilmente del reale fabbisogno di lotti soltanto dopo l'approvazione del piano di recupero, in sede di espropriazione delle aree necessarie per i servizi generali e dopo gli accertamenti che per ogni singola istanza sarà necessario effettuare. Conseguentemente la contestualità dell'approvazione dei due piani diverrebbe impossibile.

     Per rendere possibile la contestualità dell'approvazione dei piani occorre quindi effettuare altri tipi di accertamenti che non possono che essere preventivi e sulla base delle indicazioni fornite dai progettisti dei piani di recupero in relazione all'entità dei piani stessi, al grado di frazionamento della proprietà, etc. E' necessario pertanto affrontare il problema solo dopo l'affidamento dell'incarico della progettazione dei piani di recupero.

     Altre agevolazioni sono previste dalla legge n. 37/1985 per i proprietari di terreni da espropriare che siano coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo principale. Per essi è consentita una sorta di permuta tra i terreni espropriati e altri di proprietà comunale, il tutto in luogo delle indennità di espropriazione.

     Questa disposizione, tuttavia, non pare che possa trovare larga applicazione, perché non tutti i Comuni dispongono di aree patrimoniali o, se disponibili, esse risultano date in concessione a privati.

     I soggetti che hanno diritto a lotti di terreno in piani di zona in luogo dell'indennità di espropriazione, ivi compresi i proprietari di immobili destinati alla demolizione, possono ottenere contributi sui mutui contratti per la costruzione della prima abitazione nella misura e con le modalità previste dalla normativa regionale in materia di cooperazione edilizia.

     I proprietari di immobili soggetti alla demolizione che non si vogliano avvalere delle disposizioni illustrate, nonché i locatari degli immobili da demolire hanno diritto all'assegnazione di alloggi popolari in quote di riserve ai sensi del D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035.

     Le direttive contenute nella presente circolare non esauriscono la complessa materia trattata per cui questo Assessorato si dichiara disponibile per qualsiasi ulteriore chiarimento.

     Al fine di conseguire le finalità fissate nella legge si confida in una pronta attivazione dei Comuni dell'Isola nella considerazione che obiettivo fondamentale che si vuole raggiungere è il recupero urbanistico, igienico-sanitario ed ambientale degli agglomerati edilizi abusivi.

     Non occorre spendere ancora alcuna parola per sottolineare i vantaggi che si arrecano alle collettività locali attraverso un rapido recupero degli insediamenti abusivi, mentre alle stesse si arreca notevole danno per qualsiasi ritardo nell'espletamento delle incombenze di legge.

     Si raccomanda quindi la massima tempestività nell'attuazione della legge.