§ 98.1.38721 - Circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E .
Decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314, concernente armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni [...]


Settore:Normativa nazionale
Data:23/12/1997
Numero:326

§ 98.1.38721 - Circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E .

Decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314, concernente armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali in materia di redditi di lavoro dipendente e assimilati .

 

Emanata dal Ministero delle finanze, Dipartimento delle entrate. Pubblicata nella Gazz. Uff. 30 dicembre 1997, n. 302, S.O.

 

 

Alle Direzioni regionali delle entrate 

 

Agli Uffici delle entrate 

 

Agli Uffici distrettuali delle imposte dirette 

 

Ai Centri di servizio delle imposte dirette 

 

Alle Direzioni centrali del Dipartimento delle  

 

entrate 

 

Alla Direzione generale degli affari generali e del  

 

personale 

 

Al Segretariato generale 

 

Ai Ministeri 

 

Alle Ragionerie centrali dei Ministeri 

 

Alla Ragioneria generale dello Stato 

 

Alle Ragionerie provinciali dello Stato 

 

Alle Direzioni provinciali del Tesoro 

 

Alla Corte dei conti 

 

Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri 

 

Al Senato della Repubblica 

 

Alla Camera dei Deputati 

 

Il Servizio centrale degli Ispettori tributari 

 

Al Comando generale della Guardia di finanza 

 

All'Istituto nazionale della previdenza a sociale 

 

 

Premessa

In attuazione delle disposizioni contenute nell'art. 3, commi 19 e 134, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, recanti delega al Governo ad emanare uno o più decreti legislativi volti ad armonizzare, razionalizzare e semplificare le disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi di lavoro dipendente e i relativi adempimenti da parte dei datori di lavoro e a semplificare gli adempimenti dei contribuenti riguardanti la dichiarazione dei redditi, è stato emanato il decreto legislativo indicato in oggetto con il quale sono stati:

- sostituiti gli articoli 46, 47, comma 1, lettere e), f), g) e l), e comma 3, e 48 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.);

- modificati gli articoli 3, comma 3, 10, 16 e 62 del T.U.I.R.;

- sostituito l'articolo 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153;

- modificati o sostituiti gli articoli 1, comma quarto, 7-bis, 21, 23, 24 e 29 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600;

- sostituiti i commi quarto, quinto sesto dell'articolo unico del decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388, come sostituiti dall'articolo 6 del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85;

- soppressi i commi 2 e 3 dell'articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 1988, n. 42, concernenti l'applicazione delle ritenute sui redditi, diversi dai trattamenti di fine rapporto, corrisposti agli eredi del lavoratore dipendente, e sulle rendite vitalizie e le rendite a tempo determinato di cui all'articolo 47, comma 1, lettera h), del T.U.I.R. Le disposizioni in questione sono state trasferite, rispettivamente, negli articoli 23 e 29 del D.P.R. n. 600 del 1973, la prima, e nell'articolo 24 dello stesso decreto, la seconda;

- soppresso l'art. 7 del D.P.R. n. 42 del 1988 sopra citato. Tale disposizione fissava i requisiti dei contratti di assicurazione stipulati dal datore di lavoro a fronte alle spese mediche dei dipendenti, ai fini della non concorrenza al reddito di lavoro dipendente del premio assicurativo. Considerato che è stato confermato quanto stabilito con la legge 23 dicembre 1996, n. 662 e, cioè, che, a decorrere dal primo gennaio 1997, non è più consentito al datore di lavoro riconoscere una detrazione a fronte del premio assicurativo per spese sanitarie la disposizione, che peraltro poteva considerarsi tacitamente abrogata, è stata eliminata espressamente dall'ordinamento tributario.

Di seguito vengono illustrate le disposizioni contenute nel decreto legislativo in commento al fine di fornire gli opportuni chiarimenti e gli indirizzi generali, così da consentirne una uniforme interpretazione da parte degli Uffici.

Tenuto conto, inoltre, che l'articolo 9, comma 3, del decreto legislativo in commento ha stabilito che sono abrogate le disposizioni concernenti la determinazione dei redditi di lavoro dipendente diverse da quelle considerate nel testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, evidentemente nel testo risultante dopo la modifiche apportate con il decreto stesso, con la presente circolare s'intende fornire un quadro organico e completo dell'intera disciplina del reddito di lavoro dipendente e di quelli a questo assimilati. A tal fine sono espressamente richiamate tutte le interpretazioni fornite dall'Amministrazione finanziaria attraverso precedenti circolari e risoluzioni che restano ancora applicabili a far data dal primo gennaio 1998. Da ciò discende che le precedenti circolari e risoluzioni concernenti la determinazione dei redditi di lavoro dipendente e di quelli a questi assimilati non espressamente richiamate nella presente circolare devono intendersi in via generale revocate salvo riesame a seguito di specifica richiesta. Per quanto riguarda la disciplina delle indennità di fine rapporto, delle indennità equipollenti e delle altre indennità corrisposte in occasione della cessazione del rapporto, illustrata con la circolare n. 2 (prot. n. 8/040) del 5 febbraio 1986, si fa riserva di fornire aggiornamenti delle interpretazioni in precedenza adottate.

 

 

1. Redditi di lavoro dipendente. Qualificazione.

1.1 Generalità

1.2 Nozione civilistica e fiscale

1.3 Lavoro a domicilio

1.4 Redditi equiparati a quelli di lavoro dipendente

1.5 Indennità, proventi e somme sostitutive di reddito di lavoro dipendente

1.6 Attività illecite e simulazioni

1.7 Circolari e risoluzioni confermate

 

 

1.1. Generalità.

L'articolo 1 del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314 sostituisce il comma 2 dell'articolo 46 del T.U.I.R. Resta, quindi, confermato il precedente comma 1, in base al quale costituiscono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando sia considerato tale in base alle norme sulla legislazione del lavoro. Al riguardo, si ricorda che tale formulazione fu inserita dal legislatore del T.U.I.R., in sostituzione della precedente che faceva, invece, riferimento "al lavoro prestato ............... alle dipendenze e sotto la direzione di altri", allo scopo di rendere evidente che nella categoria dei redditi di lavoro dipendente rientra tutto ciò che è conseguito sulla base del rapporto, anche se indipendentemente dalla prestazione di lavoro. La relazione di accompagnamento del T.U.I.R. precisava, peraltro, che sono in ogni caso esclusi dalla tassazione gli indennizzi risarcitori del danno emergente e non quelli risarcitori del lucro cessante. Pertanto, dalla formulazione della norma, che come già precisato, non è stata modificata, risulta chiaramente, come si vedrà anche in sede di commento al nuovo testo dell'articolo 48, che costituiscono redditi di lavoro dipendente tutte le somme e i valori erogati al dipendente anche indipendentemente dal nesso sinallagmatico tra effettività della prestazione di lavoro reso e le somme e i valori percepiti.

 

 

1.2. Nozione civilistica e fiscale.

Va ricordato che gli elementi definitori del reddito di lavoro dipendente sono mutuati dall'articolo 2094 c.c. che qualifica prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore. Il quadro normativo delineato dal legislatore civilistico si completa con la disposizione dell'articolo 2239 c.c., in base al quale la stessa disciplina dettata per il lavoro nell'impresa si rende applicabile, se compatibile, anche per i rapporti di lavoro subordinato che non siano relativi ad un'attività prestata a favore di un'impresa (ad esempio, a favore di un professionista). La circostanza che il legislatore tributario, allorché si è trattato di definire il reddito di lavoro dipendente abbia mutuato il contenuto dell'articolo 2094 c.c. senza tuttavia citare né questo articolo del codice civile né altri dello stesso codice, fa sì che possano essere qualificati redditi di lavoro dipendente tutti quelli che derivano da un rapporto in cui oggettivamente sia possibile individuare un prestatore di lavoro dipendente. A tal fine, il legislatore tributano precisa che i requisiti oggettivi devono essere ricercati esclusivamente nella circostanza che un soggetto offra la propria prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri. Ai fini dell'inquadramento delle fattispecie concrete potranno essere di ausilio anche i principi giuslavoristici. Per quanto riguarda le qualifiche dei lavoratori dipendenti, si ricorda che essi generalmente si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e operai, tuttavia, tale elencazione non è tassativa e, quindi, possono essere inquadrati fra i lavoratori dipendenti anche quei soggetti che, pur non assumendo nessuna di tali qualifiche, prestano la loro attività di lavoro in posizione di dipendenza e sotto la direzione di altri. La locuzione "alle dipendenze e sotto la direzione di altri" utilizzata dal legislatore tributario costituisce anche la chiave di distinzione del lavoro dipendente da quello autonomo. Tale locuzione presuppone, infatti, la compresenza logica e giuridica di almeno due soggetti e l'esistenza di un rapporto ineguale, in cui cioè uno dei due soggetti si trova in una posizione di subordinazione per ragioni di organizzazione e divisione del lavoro. La direzione, infatti, qualifica la situazione soggettiva di chi si contrappone al lavoratore dipendente ed ha compiti e responsabilità direttive nell'ambito di una determinata attività, mentre la dipendenza, presuppone un soggetto la cui attività è caratterizzata dall'assenza di iniziativa economica e dalla preordinazione di mezzi. Elemento caratterizzante della dipendenza è, dunque, la circostanza che il dipendente fornisca la propria prestazione di lavoro nel luogo ove deciderà il datore di lavoro, negli orari da questi indicati, usando strumenti o componenti di capitale forniti dallo stesso datore di lavoro e seguendo le prescrizioni tecniche di questo. Per il lavoratore dipendente l'esito del suo lavoro non avrà rilevanza esterna diretta e tutte le questioni economiche e aziendali faranno capo "all'impresa" in cui è inserito (costi, spese, ricavi o compensi, ecc.). La situazione di dipendenza del lavoratore consegue dall'essere inserito in una organizzazione di lavoro, cioè di essere parte di un sistema nel quale agisce privo di autonomia per quanto riguarda l'apporto dei mezzi propri e nel quale ogni aspetto della produzione, che non consista nel prestare le proprie energie lavorative, materiali o intellettuali, non lo coinvolge direttamente.

 

 

1.3. Lavoro a domicilio.

Per quanto riguarda il lavoro a domicilio, come già rilevato, quando viene considerato lavoro dipendente dalla legislazione sul lavoro esso dà luogo a reddito di lavoro dipendente. Si tratta del lavoro a domicilio regolato dalla legge 18 dicembre 1973, n. 877, cioè di quelle ipotesi in cui non si ha una indipendente attività di produzione al servizio dei consumatori, ma un'attività di lavoro per un risultato che appartiene alle imprese che hanno commesso il lavoro e fornito la materia e l'attrezzatura. Si ricorda che l'I.N.P.S., con circolare n. 79 del 26 marzo 1997, recependo anche orientamenti giurisprudenziali, ha individuato le linee di demarcazione tra lavoro a domicilio che costituisce attività di lavoro dipendente e lavoro a domicilio che, invece, costituisce attività d'impresa. In particolare, è stata esclusa la sussistenza del lavoro dipendente se il lavoratore è iscritto all'Albo provinciale delle imprese artigiane. Inoltre, si può accertare la qualifica di impresa artigiana controllando più requisiti, quali, ad esempio, l'emissione di fattura, la mancanza di termini rigorosi per la consegna, l'esecuzione del lavoro in locali propri e con propri macchinari, lo svolgimento della prestazione incentrata sul risultato e non sulle energie lavorative, la presenza di un rischio d'impresa, con diretta incidenza sulla quantità del guadagno in rapporto alla rapidità, alla precisione e all'organizzazione del lavoro, sui quali il committente non abbia il potere di intervenire (cfr. al riguardo, anche circolare n. 179/RCV del 8 agosto 1989 e circolare n. 74/RCV del 23 marzo 1990 dell'I.N.P.S.).

 

 

1.4. Redditi equiparati a quelli di lavoro dipendente.

Nel comma 2 del nuovo testo dell'articolo 46 del T.U.I.R. è stato ribadito che costituiscono altresì redditi di lavoro dipendente, e, sono, pertanto, equiparati a tutti gli effetti ai redditi che derivano da rapporti di lavoro dipendente, le pensioni di ogni genere e gli assegni ad essi equiparati ed è stata introdotta la previsione che costituiscono redditi di lavoro dipendente le somme di cui all'articolo 429, ultimo comma, del codice di procedura civile. L'equiparazione comporta che ogni qual volta il legislatore si riferisce ai redditi derivanti da rapporti di lavoro dipendente, ad esempio, allorquando fissa le modalità di determinazione del reddito, la previsione normativa si applica, salvo espressa esclusione, anche alle fattispecie i cui redditi sono a questi equiparati. Per quanto riguarda la locuzione "le pensioni di ogni genere e gli assegni ad essi equiparati", con tale previsione si è inteso richiamare anche tutti quegli emolumenti dovuti dopo la cessazione di un'attività che trovano genericamente la loro causale in un rapporto diverso da quello di lavoro dipendente, come, ad esempio, le pensioni erogate ai professionisti o agli artigiani, le pensioni di invalidità ecc., nonché quelle di reversibilità. Si precisa, per quanto riguarda le pensioni di reversibilità spettanti al coniuge superstite e ai figli minori conviventi, che si tratta sempre di pensioni tra loro distinte, poiché imputabili, anche relativamente ai figli minori conviventi, iure proprio, quale diritto che sorge con la morte del de cuius e ciò anche con riferimento alle pensioni di reversibilità erogate dalla Direzione provinciale del Tesoro (cfr. Consiglio di Stato, parere n. 1744 del 1985). Si ricorda, inoltre, che i redditi di lavoro dipendente e, quindi, anche le pensioni percepite dai figli minori, sono esclusi dall'usufrutto legale del genitore superstite, l'usufrutto legale, infatti, riguarda in primo luogo i beni (e non tutti cfr. art. 324 cc) e, soltanto se si tratta di beni soggetti ad usufrutto legale, i relativi redditi sono anch'essi soggetti ad usufrutto legale.

Formalmente nuovo, è l'inserimento nel comma 2 dell'articolo 46 delle somme di cui all'articolo 429, ultimo comma, del codice di procedura civile, il quale prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto. Si tratta, in sostanza, degli interessi su crediti di lavoro e della rivalutazione; si precisa che la previsione normativa non ha portata innovativa. Infatti, nessun dubbio è stato mai posto per la rivalutazione, la quale sempre è stata soggetta ad imposizione (conformemente anche la Corte di Cassazione, cfr. ad esempio, sentenze 1 febbraio 1989, n. 621, 11 aprile 1990, n. 3067, 15 maggio 1991, n. 5441, Sezioni Unite 27.10.1993, n. 10685), mentre, per quanto riguarda gli interessi, la loro imponibilità, benché teoricamente possibile, in quanto somme derivanti da rapporti di lavoro dipendente e, quindi, attratti a tassazione in virtù del principio generale in base al quale tutto ciò che il dipendente riceve in dipendenza del rapporto di lavoro è reddito di lavoro dipendente, è stata esclusa, dopo l'entrata in vigore del T.U.I.R., in considerazione del fatto che per gli analoghi interessi su crediti, diversi da quelli di lavoro dipendente, non era prevista alcuna forma di tassazione a causa del tenore letterale dell'articolo 41 del T.U.I.R. (cfr. circolare n. 20, del 30 luglio 1988, ora superata). Tuttavia, detti interessi, per effetto di un contemporaneo intervento sull'articolo 6, comma 2, e sull'articolo 41, comma 1, lettera h), del T.U.I.R., operato dal legislatore con il decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, erano stati ricondotti a tassazione, con riferimento a quelli percepiti a decorrere dal 30 dicembre 1993. Al riguardo, sussisteva, però, qualche contrasto interpretativo. A conferma che il richiamo a queste somme non ha natura innovativa, è sufficiente osservare che la relazione illustrativa del provvedimento afferma testualmente: "nel comma 2 è stato ribadito che gli interessi su crediti di lavoro e la rivalutazione sono assoggettati a tassazione quali redditi di lavoro dipendente". Del resto lo stesso Consiglio di Stato, mentre in un primo momento non ha condiviso l'assoggettamento a tassazione delle somme in questione quali redditi di lavoro dipendente, privilegiando un'interpretazione strettamente letterale dell'articolo 6, comma 2 (cfr. consultiva n. 2466/94), in un secondo tempo ha affermato, rivedendo il suo precedente orientamento, che le somme dovute dalla pubblica amministrazione, nella veste di datore di lavoro, ai propri dipendenti, a titolo di interessi corrispettivi e di rivalutazione monetaria sulle retribuzioni corrisposte in ritardo, sono elementi costitutivi del credito principale, di cui costituiscono altrettanti addendi e, quindi, ne ha riconosciuto la natura di redditi di lavoro dipendente (cfr. sentenza n. 121 del 2 febbraio 1996 - Sezione V). Va, peraltro, precisato che, ai fini dell'assoggettamento a tassazione quali redditi di lavoro dipendente, non è necessario che gli interessi e la rivalutazione conseguano ad una sentenza di condanna del giudice, essendo sufficiente il fatto oggettivo della loro corresponsione e, quindi, anche se gli stessi derivano da un adempimento spontaneo del datore di lavoro o da una transazione. È opportuno sottolineare, infatti, che la disposizione in esame si limita a richiamare "le somme di cui all'art. 429, ultimo comma, del codice di procedura civile" volendo chiaramente riferirsi alle somme comprese nella norma citata; se avesse voluto, invece, riferirsi, soltanto alle somme dovute a seguito di pronuncia giurisdizionale la norma stessa avrebbe dovuto essere così formulata: "somme percepite ai sensi dell'art. 429, ultimo comma del codice di procedura civile" .

 

 

1.5. Indennità, proventi e somme sostitutive di reddito di lavoro dipendente.

È opportuno ricordare che l'articolo 6, comma 2, del T.U.I.R., stabilisce che i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. In forza di questa disposizione tutte le indennità e le somme o i valori percepiti in sostituzione di redditi di lavoro dipendente o equiparati a questi (ad esempio, la cassa integrazione, l'indennità di disoccupazione, la mobilità, l'indennità di maternità, ecc.), comprese quelle che derivano da transazioni di qualunque tipo e l'assegno alimentare corrisposto in via provvisoria a dipendenti per i quali pende il giudizio innanzi all'autorità giudiziaria, sono assoggettabili a tassazione come redditi di lavoro dipendente. Conseguentemente a dette somme si applicherà l'articolo 48 del T.U.I.R., per la determinazione del reddito e, se corrisposte da un sostituto d'imposta, questi dovrà operare le ritenute di acconto. Naturalmente, qualora le indennità o le somme sostitutive di reddito di lavoro dipendente si riferiscano a redditi che avrebbero dovuto essere percepiti in un determinato periodo d'imposta e, in loro sostituzione, vengono percepite in un periodo d'imposta successivo si renderà applicabile anche la tassazione separata, se ricorrono le condizioni previste dall'articolo 16, comma 1, lettera b), del T.U.I.R., altrimenti saranno tassabili secondo i criteri ordinari. Ad esempio, le somme e i valori percepiti a seguito di transazioni, diverse da quelle relative alla cessazione del rapporto di lavoro, allorquando non è rinvenibile alcuna delle condizioni richieste dall'articolo 16, comma 1, lettere b), saranno soggetti a tassazione ordinaria. Si ricorda, invece, che le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell'autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro sono sempre assoggettati a tassazione separata ai sensi dell'articolo 16, comma 1, lettera a), ultima parte.

 

 

1.6. Attività illecite e simulazioni.

Va, inoltre, sottolineato che l'articolo 14, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, dispone che nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del T.U.I.R. devono intendersi ricompresi, se in essi classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale e che i relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria. Tale disposizione si rende, ovviamente, applicabile anche in materia di redditi di lavoro dipendente.

Così delineati gli elementi caratteristici dei redditi di lavoro dipendente e le disposizioni che prevedono l'assoggettamento a tassazione, quali redditi di questa categoria, dei redditi a questi equiparati, dei proventi, in denaro o in natura, sostitutivi di questi, nonché di quelli della stessa specie derivanti da attività illecite, è opportuno ricordare che l'ordinario potere di accertamento dell'Amministrazione finanziaria consente alla stessa rettificare eventuali simulazioni oggettive o soggettive poste eventualmente in essere dai contribuenti. Pertanto, laddove sia evidente, sulla base di quanto sopra precisato, che le parti hanno posto in essere un rapporto di lavoro dipendente e, tuttavia, hanno simulato i relativi redditi ricomprendendoli tra quelli appartenenti ad altre categorie reddituali ovvero hanno fatto sì che tutti o taluni proventi siano privi di rilevanza reddituale, o, infine, hanno imputato i detti redditi ad interposte persone, l'Amministrazione finanziaria potrà adottare tutti i conseguenti provvedimenti.

 

 

1.7. Circolari e risoluzioni confermate.

Restano confermate:

- le circolari n. 29, (prot. 8/1206) del 31 maggio 1979, n. 38 (prot. n. 8/2004) del 26 ottobre 1979 e n. 23 (prot. n. 8/870) del 20 giugno 1986 con le quali è stata riconosciuta la natura di indennità sostitutiva del reddito di lavoro dipendente e, quindi, la tassabilità, della indennità giornaliera erogata dall'Inail per inabilità temporanea assoluta, nonché la natura di reintegro del danno alla salute e della perdita o diminuzione dell'attitudine al lavoro e, quindi, la intassabilità e l'irrilevanza ai fini reddituali ogni qual volta una disposizione di carattere tributario o extra-tributario subordini la possibilità di fruire di un beneficio al possesso di un reddito non superiore ad un importo predeterminato, delle rendite di inabilità permanente (assoluta e parziale), degli assegni per l'assistenza personale continuativa, delle rendite in caso di morte, degli assegni di morte (cosiddetti assegni funerari) e delle rendite di passaggio;

- la risoluzione n. 8/021 del 18 febbraio 1982, che confermando altre precedenti risoluzioni, ha ribadito la natura meramente risarcitoria e, quindi, la totale non imponibilità, sia per i dipendenti pubblici che per quelli privati, delle somme corrisposte a titolo di "equo indennizzo" (ai sensi dell'articolo 48 del D.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, dell'articolo 68 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, dell'articolo 11 della legge 6 ottobre 1981, n. 564) per menomazioni dell'integrità fisica, riconosciute come derivanti da attività di servizio;

- la risoluzione n. 39/E del 3 marzo 1997 e la circolare n. 302/E del 25 novembre 1997 con le quali è stata affermata l'equiparazione alle rendite di inabilità permanente erogate dall'Inail delle pensioni pagate da Organismi Previdenziali esteri a soggetti residenti, in dipendenza di incidente sul lavoro o malattia professionale contratta durante la vita lavorativa;

- la voce di Appendice delle istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni dei redditi intitolata: "Redditi esenti e rendite che non costituiscono reddito.";

- la risoluzione n. 8/1478 del 16 ottobre 1988, con la quale è stata riconosciuta la natura di indennità sostitutiva del reddito di lavoro dipendente, alle indennità corrisposte ai marittimi per fermo di navi;

- la risoluzione n. 8/625, del 19 marzo 1993, con la quale è stata riconosciuta la natura di indennità sostitutiva del reddito di lavoro dipendente alla indennità di temporanea inabilità al lavoro corrisposta ai lavoratori del settore marittimo;

- la risoluzione n. 76/E, del 24 maggio 1996, con la quale è stata riconosciuta la natura di indennità sostitutiva del reddito di lavoro dipendente alla indennità corrisposta ai cittadini colpiti da tubercolosi;

- la circolare n. 150/E, del 10 agosto 1994, con la quale è stata illustrata, fra l'altro, la disposizione concernente la tassabilità dei proventi derivanti da attività illecite;

- la risoluzione n. 10/529 del 19 luglio 1975, con la quale, preso atto che la legge 2 aprile 1952, n. 212, attribuisce "uno stipendio pari al trattamento economico complessivo previsto, rispettivamente, per il personale dei gradi I e II dell'ordinamento gerarchico" ai Ministri Segretari di Stato e ai Sottosegretari di Stato, l'emolumento in questione è stato qualificato quale reddito rientrante nella nozione di reddito di lavoro dipendente e sono state impartite le istruzioni per l'applicazione delle ritenute di acconto e l'effettuazione delle operazioni di conguaglio relative a detti redditi;

- la risoluzione n. 8/126 del 1° febbraio 1977, con la quale, preso atto che la legge regionale 27 giugno 1949, n. 2, modificata con successiva legge 8 giugno 1954, n. 10, con l'articolo 4 attribuisce al Presidente della Giunta regionale, oltre all'indennità spettantegli come Consigliere (assoggettabile a tassazione quale reddito assimilato a quello di lavoro dipendente di cui all'articolo 47, comma 1, lettera g), del T.U.I.R.) "il trattamento economico previsto dall'art. 2 della legge 8 aprile 1952, n. 212, per i Sottosegretari di Stato" e che la medesima disposizione legislativa regionale all'art. 2 riconosce agli Assessori regionali il trattamento economico attribuito al Presidente della Giunta, ridotto del 25 per cento, è stato precisato che le retribuzioni connesse alla carica di Presidente della Giunta e di Assessore regionale, al pari di quelle relative alle funzioni di Ministro e di Sottosegretario devono essere assoggettate a tassazione quali redditi di lavoro dipendente;

- la risoluzione n. 8/329, del 10 giugno 1976, con la quale gli emolumenti corrisposti ai detenuti ed internati per il lavoro penitenziario sono stati inquadrati tra i redditi derivanti da rapporti di lavoro dipendente;

- la risoluzione n. 8/883, del 26 luglio 1976, con la quale è stato precisato che gli artisti lirici non assumono la qualifica di lavoratori dipendenti;

- la risoluzione n. 8/153, del 17 aprile 1980, con la quale sono stati classificati quali redditi derivanti da rapporti di lavoro dipendente i compensi corrisposti dalla Università ai docenti con incarico annuale di insegnamento che siano legati da rapporto di lavoro dipendente con altre Università o altri organismi pubblici e privati, ovvero liberi professionisti o pensionati;

- la risoluzione n. 8/1400, del 5 dicembre 1981, con la quale sono stati qualificati redditi di lavoro dipendente quelli derivanti da prestazioni didattiche rese presso scuole superiori da docenti che rivestono la qualifica di Magistrati amministrativi e funzionari dello Stato autorizzati dall'Ufficio di appartenenza ad accettare l'incarico;

- la risoluzione n. 234/E, del 18 ottobre 1996, con la quale sono stati qualificati redditi di lavoro dipendente gli emolumenti percepiti dai biologi operanti nelle Unità sanitarie locali;

- la risoluzione n. 121/E, del 19 maggio 1997, con la quale sono stati qualificati redditi di lavoro dipendente gli emolumenti percepiti dagli psicologi ambulatoriali operanti nelle Unità sanitarie locali ai sensi del D.P.R. 13 marzo 1992, n. 261;

 

 

2. Redditi di lavoro dipendente. Determinazione.

L'articolo 3 sostituisce l'articolo 48, concernente la determinazione dei redditi di lavoro dipendente e di quelli a questi equiparati ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del T.U.I.R. È opportuno osservare, preliminarmente, che nel comma 1 dell'articolo 48 è stata conservata ed, anzi, rafforzata, la precedente impostazione in base alla quale si afferma la onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente e, quindi, della totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve. Nei successivi commi dello stesso articolo 48 vengono stabilite specifiche deroghe al principio della totale tassabilità, prevedendo alcuni componenti che non concorrono a formare il reddito o vi concorrono soltanto in parte. In merito alle previsioni in cui è stabilito che alcune somme o valori concorrono a formare il reddito soltanto per la parte eccedente un importo complessivo predeterminato ovvero che concorrono interamente se il loro ammontare supera una soglia determinata, va precisato che i predetti limiti sono stabiliti con riferimento al singolo dipendente e all'intero periodo d'imposta dello stesso, pertanto, non va fatto alcun ragguaglio allorquando il rapporto di lavoro abbia durata inferiore al periodo d'imposta e, in caso di interruzione del rapporto stesso prima della fine del suddetto periodo d'imposta, il datore di lavoro è tenuto ad attestare distintamente i singoli importi che non hanno concorso a formare il reddito (tenendo presente che relativamente ai contributi sanitari va indicata anche la quota a carico del datore di lavoro), così da consentire al dipendente che inizi un altro rapporto di lavoro nel corso dello stesso periodo d'imposta (e, quindi, eventualmente, al sostituto che effettuerà il conguaglio di fine anno), di calcolare correttamente le soglie complessivamente a propria disposizione nel periodo d'imposta.

 

 

2.1. Componenti che concorrono a formare il reddito.

Entrando nel dettaglio del nuovo articolo 48, si precisa che il comma 1 conferma espressamente che costituiscono reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori (intendendo con tale espressione la quantificazione dei beni e dei servizi) che il dipendente percepisce nel periodo d'imposta, a qualunque titolo, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro, e, quindi, tutti quelli che siano in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro, anche se non provenienti direttamente dal datore di lavoro. Lo stesso comma stabilisce, inoltre, che si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere corrisposti entro il 12 del mese di gennaio, dell'anno successivo, se riferiti all'anno precedente.

Tenuto conto di quanto già precisato a commento dell'articolo 46 e del tenore del comma 1 dell'articolo 48, a titolo meramente esemplificativo, è possibile la seguente elencazione di somme e valori che sono soggetti ad imposizione, in quanto riconducibili al rapporto di lavoro:

- gli stipendi, i salari, i superminimi, i guadagni di cottimo e le indennità di mancato cottimo, le pensioni e ogni tipo di trattamenti accessori, quali gli straordinari, le mensilità aggiuntive, le gratifiche natalizie e pasquali, e tutti quei compensi comunque denominati che adempiono la funzione delle mensilità aggiuntive e delle gratifiche e premi corrisposti una tantum e quelli periodici, come, ad esempio, le duecento ore degli edili, le gratifiche annuali di bilancio, i premi trimestrali, semestrali e annuali, i compensi incentivanti, i compensi in natura, le erogazioni liberali, in denaro e in natura, ecc.;

- le indennità comunque denominate, ivi comprese quelle di trasferta (sia pure con il limite previsto nel successivo comma 5), per ferie non godute, di cassa o di maneggio di denaro, di residenza e alloggio, di vestiario e rappresentanza, per lavori nocivi e pericolosi, sostitutiva del servizio di trasporto, integrativa speciale dei dipendenti pubblici, di contingenza, di missione continuativa di cui all'art. 16, comma 18, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, di salvataggio di cui agli articoli 491 e 983 del R.D. 30 marzo 1942, n. 327, "una tantum" dei dipendenti dei Ministeri trasferiti ad altre amministrazioni a seguito delle procedure di mobilità, ecc., nonché tutte quelle connesse alle peculiari modalità di svolgimento della prestazione come quelle relative alla sede disagiata, al rischio, al luogo sempre variabile e diverso dell'attività o al volo o navigazione (con il limite di cui al successivo comma 6) o ai trasferimenti della sede di lavoro (con il limite di cui al successivo comma 7);

- gli assegni di sede e le altre indennità percepite per i servizi prestati all'estero (salvo quanto disposto al successivo comma 8);

- le somme e i valori percepiti sotto forma di partecipazione agli utili;

- i rimborsi di spese, con esclusione soltanto di quanto disposto a proposito delle trasferte e dei trasferimenti. Si ricorda, al riguardo, che ai lavoratori dipendenti è riconosciuta una apposita detrazione anche in funzione delle spese di produzione del reddito e, pertanto, ogni rimborso di spesa ricollegabile alla produzione del reddito del dipendente deve essere assoggettato a tassazione. Si ritiene possano essere esclusi da imposizione quei rimborsi che riguardano spese, diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore di lavoro anticipate dal dipendente per snellezza operativa, ad esempio per l'acquisto di beni strumentali di piccolo valore, quali la carta della fotocopia o della stampante, le pile della calcolatrice, ecc.;

- i contributi versati dal datore di lavoro (o dal dipendente) a casse o enti con finalità di assistenza sociale, indipendentemente dal loro importo, nonché quelli con finalità di assistenza sanitaria o per previdenza complementare, superiori all'ammontare fissato dalla lettera a) del successivo comma 2;

- le mance, nella integrale misura corrisposta, salvo che per i croupiers, per i quali è stata mantenuta la riduzione della base imponibile del 25%;

- i premi per assicurazioni sanitarie, sulla vita e sugli infortuni extra professionali (quelli relativi ad assicurazioni per infortuni professionali sono, invece, esclusi da tassazione) pagati dal datore di lavoro e i rimborsi effettuati dal datore di lavoro a fronte di spese sanitarie che danno diritto alla detrazione di cui all'articolo 13-bis, del T.U.I.R., sostenute dal lavoratore dipendente;

- la maggiorazione retributiva da valere a titolo di indennità di anzianità spettante ai lavoratori a domicilio;

- i decimi di senseria corrisposti al personale delle agenzie marittime;

- le somme e i valori, comunque percepiti, a seguito di transazioni, anche novative, intervenute in costanza di rapporto di lavoro o alla cessazione dello stesso;

- le indennità per licenziamento ingiustificato dei lavoratori dipendenti;

- i premi percepiti per operazioni a premio organizzate dal datore di lavoro o da altri per suo conto (si fa presente che il disegno di legge collegato alla legge finanziaria 1998, attualmente in corso di approvazione, contiene una modifica all'articolo 30 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in base alla quale i proventi derivanti da concorsi a premio saranno soggetti ad imposta quali redditi di lavoro dipendente, e, quindi, con le modalità per essi previsti);

- i proventi conseguiti in sostituzione di redditi di lavoro dipendente, anche per effetto di cessione dei relativi crediti e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, anche a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi di lavoro dipendente, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte. Rientrano tra i proventi conseguiti in sostituzione dei redditi, a titolo di esempio, le indennità, le integrazioni e i trattamenti previdenziali e assistenziali, quali la mobilità, la cassa integrazione guadagni, la disoccupazione ordinaria e speciale (ad esempio, quella dell'agricoltura, quella degli edili), la malattia, la maternità e l'allattamento, la TBC e la post-tubercolare, la donazione di sangue, il congedo matrimoniale, l'inabilità temporanea assoluta, di attesa e quella compensativa della parziale perdita di salario, entrambe disciplinate dall'art. 56, paragrafo 2, lett. b), del Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, ecc., con esclusione soltanto di quelli che, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 o di altre disposizioni di legge sono esenti da imposizione. Si ritiene inquadrabile tra i proventi sostitutivi di reddito, e, in particolare, sostitutivo del trattamento pensionistico, l'indennizzo per la cessazione definitiva dell'attività commerciale corrisposto, ai sensi del decreto legislativo 28 marzo 1996, n. 207. Tale indennizzo spetta, infatti, agli esercenti attività commerciale in sede fissa, anche abbinata ad attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, ovvero che esercitano attività commerciale su aree pubbliche o anche su area pubblica, che ne abbiano fatto, o facciano, domanda nel periodo dall'1° gennaio 1996 al 31 dicembre 1998. La corresponsione dell'indennizzo è subordinata ad alcune condizioni, tra cui: che i richiedenti abbiano 62 anni, se uomini, e 57, se donne, che risultino iscritti da almeno 5 anni alla gestione previdenziale degli esercenti attività commerciali, che abbiano definitivamente chiuso l'attività e la partita I.V.A., ecc. L'indennizzo è corrisposto, sotto forma di pensionamento anticipato, in misura pari all'importo del trattamento di pensione minimo previsto per gli iscritti alla gestione previdenziale degli esercenti attività commerciale, è erogato con le stesse modalità e alle scadenze previste per le pensioni a carico della predetta gestione e spetta fino a tutto il mese in cui il beneficiario compie 65 anni di età, se uomo, ovvero 60 anni di età, se donna.

È opportuno precisare, altresì, che vanno considerate quali redditi sostitutivi del trattamento pensionistico le somme corrisposte ai sensi dell'art. 3 del D.Lgs.Lgt. 18 gennaio 1945, n. 39 (la cui applicazione è stata estesa anche al settore pubblico per effetto dell'art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335), in base al quale al coniuge che cessi dal diritto alla pensione per sopravvenuto matrimonio spetta un assegno per una volta tanto pari a due annualità della sua quota di pensione, compresa la tredicesima mensilità, nella misura spettante alla data di passaggio a nuove nozze. Le somme in questione vanno, dunque, assoggettate a tassazione con gli stessi criteri e modalità previsti per il trattamento pensionistico che sostituiscono,

- gli interessi e la rivalutazione su crediti di lavoro.

È appena il caso di precisare che, per effetto dell'articolo 3, comma 3, lettera d), del T.U.I.R., anche nel testo sostituito dall'art. 5, comma 1, lettera a), numero 1, del decreto legislativo in esame, continuano a rimanere esclusi da imposizione gli assegni familiari e l'assegno per; il nucleo familiare, nonché, con gli stessi limiti e alle stesse condizioni, gli emolumenti per carichi di famiglia comunque denominati, erogati nei casi consentiti dalla legge.

Si ricorda, inoltre, che i redditi di lavoro dipendente vanno determinati al netto delle somme trattenute in relazione ad astensioni dal lavoro per "sciopero".

Va evidenziato che è stato confermato il criterio di cassa quale criterio di imputazione al periodo d'imposta, con la già prevista estensione al 12 di gennaio per le somme e i valori percepiti entro il 12 di gennaio, ma riferiti al precedente periodo d'imposta. Tale estensione, che in precedenza costituiva una facoltà prevista soltanto per i sostituti d'imposta che avessero effettuato in tal senso le operazioni di conguaglio di fine anno e avessero versato entro il 15 di gennaio le ritenute relative a detti redditi, è stata generalizzata (e, quindi, riguarda anche i lavoratori che non sono alle dipendenze di un soggetto che riveste la qualifica di sostituto d'imposta), ha perso il carattere di facoltà, in quanto il principio è obbligatorio per tutti, e non comporta più l'anticipato versamento delle corrispondenti ritenute, che, invece, per principio generale, saranno versate entro il 15 o il 20 del mese successivo a quello dell'effettuazione, cioè a febbraio.

Va, infine, osservato, in merito al criterio di cassa, che il momento di percezione è quello in cui il provento esce dalla sfera di disponibilità dell'erogante per entrare nel compendio patrimoniale del percettore.

 

 

2.2. Componenti che non concorrono a formare il reddito.

Il comma 2 reca l'elencazione tassativa delle somme e dei valori, percepiti in relazione al rapporto di lavoro dipendente, che, in deroga al comma 1, non concorrono a formare il reddito.

2.2. 1. Contributi

La lettera a) modifica i criteri vigenti in materia di contributi. Per effetto della nuova formulazione:

1. i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizione di legge non concorrono, senza alcun limite, alla formazione del reddito. Come è agevole rilevare, è stata riprodotta la formulazione contenuta nell'articolo 10 del T.U.I.R., sostituendo la più ampia previsione contenuta nella precedente formulazione della lettera a), che consentiva la non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente dei contributi versati ad enti o casse aventi esclusivamente fine previdenziale in conformità a disposizione di legge e di quelli versati a enti o casse aventi fine esclusivamente assistenziale in conformità a disposizione di legge, di contratto o di accordo o regolamento aziendale. La modifica comporta che tutti i contributi la cui obbligatorietà non è stabilita da una disposizione di legge si trovano attratti nella disciplina riservata ai "contributi facoltativi" (ad esempio, quelli la cui obbligatorietà discende da contratto, accordo o regolamento aziendale, come quelli versati al FASI dai dirigenti di azienda);

2. i contributi per assistenza sociale facoltativa, non essendo stata riprodotta l'attuale non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente, sono integralmente imponibili;

3. i contributi per assistenza sanitaria, versati ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale dal datore di lavoro o dal dipendente, in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente per un importo complessivamente non superiore a 7 milioni di lire. Il suddetto limite è fissato cumulativamente per i contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore, ma è comunque irrilevante la circostanza che il versamento avvenga eventualmente da parte soltanto di uno soltanto dei soggetti, cioè solo dal datore di lavoro o solo dal lavoratore. Eventuali contributi versati in eccedenza al predetto limite complessivo concorrono (soltanto per l'eccedenza) a formare il reddito di lavoro dipendente,

4. i contributi per previdenza complementare, salvo il disposto dell'articolo 18 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 e successive modificazioni (si ritiene che il riferimento al comma 1 dell'articolo 18 contenuto due volte nella norma in commento sia un errore materiale, ciò in quanto nella relazione illustrativa del provvedimento è precisato "per i contributi per previdenza complementare viene mantenuto il sistema attuale"), versati dal datore di lavoro alle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni e integrazioni, non concorrono, senza alcun limite, a formare il reddito del dipendente (tuttavia, sono deducibili nella determinazione del reddito d'impresa soltanto fino al limite previsto per la non concorrenza dei contributi versati allo stesso fine dal lavoratore dipendente), mentre i contributi, diversi dalle quote del TFR destinate al medesimo fine, versati dal lavoratore alle forme pensionistiche complementari non concorrono a formare il reddito per un importo non superiore al 2 per cento della retribuzione annua complessiva assunta come base per la determinazione del T.F.R. e comunque a lire 2 milioni e 500 mila, a condizione che le fonti istitutive prevedano la destinazione alle forme pensionistiche complementari di quote del T.F.R. almeno pari all'ammontare dei contributi versati, salvo quanto disposto dall'articolo 18 del medesimo decreto 21 aprile 1993, n. 124. Quest'ultima condizione non si applica nel caso in cui la fonte istitutiva sia costituita unicamente da accordi tra lavoratori. In sostanza, per i contributi per previdenza complementare è stato mantenuto il medesimo regime in vigore a decorrere dal primo gennaio 1995, inserendo nel corpo della norma il richiamo alla disposizione di cui all'articolo 18 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 e successive modificazioni. Come è noto, la disposizione richiamata, così come modificata dalla legge n. 335 del 1995, prevede, che per i destinatari iscritti alla data del 28 aprile 1993 (vecchi iscritti) alle forme pensionistiche già istituite al 15 novembre 1992, data di entrata in vigore della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421 (vecchi fondi), i contributi del datore di lavoro sono integralmente deducibili ai fini della determinazione del reddito d'impresa e quelli versati dal lavoratore non concorrono in ogni caso a formare il reddito di lavoro dipendente. Al riguardo si precisa che la qualifica di "vecchio iscritto" viene conservata anche dal soggetto iscritto a tale data che ha successivamente trasferito la propria posizione previdenziale in altri fondi, a condizione che non si sia verificato il riscatto. Per espressa previsione dell'articolo 18 del medesimo decreto legislativo n. 124 del 1993, analoga deroga non è applicabile ai nuovi iscritti ai vecchi fondi, cioè a coloro che si sono iscritti dopo il 28 aprile o che a tale data avevano semplicemente maturato il diritto a partecipare alle predette forme pensionistiche. Il regime appena descritto si applica anche ai contributi versati ai fondi pensione gestiti in via prevalente secondo il sistema tecnico-finanziario della ripartizione, che hanno presentato domanda al Ministero del lavoro e della previdenza sociale per usufruire di tale disciplina per un periodo transitorio di 8 anni necessario per consentire al fondo di passare al sistema contributivo. In tale periodo transitorio questo regime fiscale dei contributi si applica, fino al termine del suddetto periodo, anche con riferimento agli iscritti dopo il 28 aprile 1993. Va rilevato che non è stata, invece, riprodotta, né richiamata (e, pertanto deve ritenersi non più in vigore), la disposizione di cui all'articolo 15, comma 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che, sempre in materia di disciplina transitoria dei contributi versati per previdenza complementare, ha stabilito che i contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore a fondi costituiti ai sensi del D.Lgs. n. 124 del 1993, definiti da accordi collettivi antecedenti il 17 agosto 1995, mantengono, limitatamente agli iscritti al 31 maggio 1993, il trattamento fiscale previsto dallo stesso decreto legislativo, fino al rinnovo degli accordi stessi e comunque per un periodo massimo di 4 anni. Per tali soggetti la disposizione non richiamata prevedeva l'applicazione di una detrazione d'imposta relativamente ai contributi versati, e, per i datori di lavoro, la deducibilità nella determinazione del reddito d'impresa limitatamente al 50% della quota di T.F.R. destinata nell'anno ai fondi medesimi.

5. i contributi versati ai sensi dell'articolo 2 della legge 8 agosto 1995, n. 335, eccedenti l'importo del massimale annuo della base contributiva e pensionabile destinata al finanziamento delle forme pensionistiche complementari, stabilito dal decreto legislativo 14 dicembre 1995, n. 579 non concorrono a formare il reddito. L'importo del suddetto massimale annuo, inizialmente fissato in lire 132.000.000, è oggetto di rivalutazione sulla base dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati calcolato dall'Istat (l'ultimo importo attualmente disponibile è quello per il 1997, fissato in lire 137.148.000, cfr. circolare I.N.P.S. n. 23 del 30 gennaio 1997).

Va osservato che la disposizione contenuta nella lettera a) dell'articolo 48, già prima delle modifiche ora apportate, aveva differenziato la disciplina fiscale dei contributi a seconda che si trattasse di contributi destinati a fini previdenziali ovvero a fini assistenziali ed aveva comportato l'obbligo per i fondi che perseguono entrambe le finalità di dotarsi di una gestione e di una contabilità separata per le due tipologie di prestazioni. Le ulteriori differenziazioni da ultimo introdotte nel regime fiscale dei contributi, per effetto della nuova formulazione della lettera a), impongono ora, in aggiunta alle precedenti, anche altre suddivisioni e, cioè, l'istituzione, da parte di enti, fondi e casse che perseguono finalità assistenziali, di gestioni e contabilità separate, al fine di distinguere nettamente i contributi che vanno ad alimentare prestazioni di carattere assistenziale sociale da quelli che, invece, vanno ad alimentare prestazioni di carattere assistenziale sanitario, nonché le conseguenti erogazioni. Al riguardo, si fa presente che rientra nell'assistenza sanitaria la cura della malattia, anche se determinata da infortunio, e il ristoro delle spese affrontate per il recupero della salute compromessa da malattia o infortunio. È possibile, quindi, fare riferimento ai provvedimenti del Ministero della sanità che disciplinano la materia sanitaria per individuare le prestazioni che assumono carattere sanitario (è irrilevante la circostanza che dette prestazioni siano o meno dispensate dal servizio sanitario nazionale). L'assistenza sociale risponde, invece, a finalità fondate unicamente sulla solidarietà collettiva a soggetti che versano in uno stato di bisogno. In merito all'individuazione delle prestazioni che rispondono a tali finalità è necessario fare riferimento agli orientamenti del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, competente in materia di assistenza sociale (anche in questa ipotesi è irrilevante la circostanza che la prestazione in questione sia prevista o meno tra quelle erogabili a carico del sistema assistenziale pubblico).

Così delineata la disciplina dei diversi tipi di contributi, è opportuno precisare che il trattamento fiscale delle successive erogazioni dovrà essere determinato autonomamente in base ai principi generali che regolano l'imposizione sui redditi e, pertanto, dette prestazioni saranno assoggettabili a tassazione soltanto se inquadrabili in una delle categorie di reddito previste nell'articolo 6 del T.U.I.R. Da ciò consegue, ad esempio, che se la prestazione si sostanzia nell'erogazione di rimborsi per spese sanitarie, detti rimborsi non potranno essere assoggettati a tassazione in quanto non compresi in alcuna delle citate categorie di reddito, mentre se la prestazione consiste in una indennità inquadrabile tra quelle sostitutive di reddito, questa sarà assoggettata a tassazione con le stesse modalità previste per il reddito che va a sostituire, oppure se si tratta di prestazioni periodiche corrisposte da fondi pensione complementare, la stessa sarà tassata come reddito assimilato a quello di lavoro dipendente.

Inoltre, tenuto conto che il legislatore ha fissato la disciplina dei contributi distinguendo soltanto i contributi obbligatori versati in ottemperanza a una disposizione di legge da quelli che, invece, tali non sono, si deve ritenere che sia irrilevante la circostanza che detti contributi, obbligatori o "facoltativi", siano versati in Italia, sempreché le somme e i valori cui i contributi si riferiscono siano assoggettate a tassazione in Italia.

Va, infine, chiarito che il lavoratore dipendente, presentando la dichiarazione dei redditi, può portare in deduzione dal reddito complessivo eventuali contributi che, secondo quanto sopra precisato, non avrebbero dovuto concorrere a formare il reddito di lavoro dipendente dell'anno per il quale si presenta la dichiarazione stessa e che, invece, erroneamente sono stati assoggettati a tassazione o che sono stati pagati in base ad un reddito figurativo non percepito effettivamente dal dipendente. Le suindicate circostanze dovranno, ovviamente, essere comprovate da una certificazione rilasciata dal soggetto che ha trattenuto i contributi in questione.

2.2.2 Erogazioni liberali e sussidi

Con la lettera b) del comma 2 del nuovo articolo 48 è stata sostituita la precedente formulazione della lettera f). La relazione illustrativa del provvedimento precisa che la modifica è stata apportata "al fine di superarne la attuale ambiguità, dovuta anche all'ampiezza terminologica, che offre un pretesto per escludere dalla ritenuta erogazioni sostanzialmente reddituali di ammontare significativo. La nuova formulazione è diretta, per l'appunto, ad evitare strumentalizzazioni, regolando in modo più preciso e più aderente alle finalità della norma, la fattispecie in esame. In questo senso si è stabilito che rimangono escluse da ritenuta solo le erogazioni liberali concesse in occasione di festività o ricorrenze alla generalità o categorie di dipendenti e, comunque, per un importo non superiore, nel periodo d'imposta, a lire 500.000 (erogazioni di importo o di valore superiore, saranno assoggettate a tassazione per la parte eccedente l'importo escluso per legge dalla formazione del reddito di lavoro dipendente) e i sussidi occasionali corrisposti in relazione a esigenze personali o familiari particolarmente rilevanti. Sono state, altresì, esclusi i sussidi corrisposti alle vittime dell'usura e di richieste estorsive." In merito alla presente disposizione si osserva quanto segue. Relativamente alle erogazioni liberali, tenuto conto della volontà espressa dal legislatore delegato nella riportata relazione illustrativa del provvedimento e del limite massimo complessivo per tutto il periodo d'imposta, fissato espressamente con riferimento a ciascun dipendente, si deve ritenere che l'espressione "festività o ricorrenze" si debba intendere nel senso più ampio possibile, e, quindi, comprensivo di tutte quelle situazioni in cui oggettivamente si è soliti celebrare lietamente un evento. Rientrano, pertanto, in questa previsione non soltanto le festività religiose e civili e le ricorrenze in senso proprio, ma anche le festività del dipendente e quelle dell'azienda, quali il cinquantenario dell'azienda, il raggiungimento di una particolare anzianità, l'apertura di una nuova sede, la fusione con un'altra società, ed anche il matrimonio o la nascita di un figlio, sempreché analogo comportamento il datore di lavoro assuma nei confronti di tutti i dipendenti o categorie di dipendenti che si trovano nella stessa situazione e, quindi, ad esempio, nei casi in cui il datore di lavoro è solito fare un regalo a tutti i dipendenti che si sposano o a tutti quelli ai quali nasce un figlio. Non possono essere comprese, invece, nell'ambito applicativo di questa disposizione le erogazioni effettuate in relazione al raggiungimento di un certo fatturato da parte dell'azienda. Tale evento, infatti, non può configurarsi come festività o ricorrenza in quanto è collegato alla normale attività di qualunque impresa, il cui obiettivo naturale è rappresentato dal miglioramento della propria gestione e produttività.

Anche per quanto riguarda l'espressione "generalità o categorie di dipendenti" si ritiene che la prassi aziendale deve essere riferita a tutti i dipendenti di un certo tipo (ad esempio, tutti i dirigenti, o tutti quelli che hanno un certo livello o una certa qualifica) mentre il momento dell'erogazione può essere diverso. In pratica, mentre in occasione delle festività natalizie la cassetta natalizia sarà distribuita a tutti i dipendenti contemporaneamente, l'eventuale regalo di matrimonio sarà dato soltanto ai dipendenti che in quell'anno si sposano. Relativamente ai sussidi, si sottolinea che il sussidio fa fronte ad uno stato di bisogno del dipendente, deve trattarsi, quindi, di soggetti che si trovano in momentanee e difficili condizioni economiche a causa di "rilevanti" esigenze personali o familiari. Per familiari s'intendono, ai sensi dell'articolo 5 del T.U.I.R., il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado, mentre "rilevanti" devono ritenersi quegli eventi che, in relazione alla situazione del soggetto o al fatto oggettivamente considerato, possono ritenersi importanti e, quindi, tali che il datore di lavoro, spontaneamente o a seguito di richiesta del dipendente, sia disposto a concedere un sussidio del tutto occasionale, il cui importo, pur non avendo un tetto massimo di esenzione imposto dalla legge, deve essere coerente con l'entità dell'evento e con le condizioni economiche dei soggetti interessati (datore e dipendente). A titolo di esempio, si potrebbe pensare che il datore di lavoro possa concedere un sussidio per far fronte alle spese sostenute in occasione di un lutto del dipendente, di una malattia del dipendente o di un familiare che richieda cure molto costose e a carico del dipendente, a seguito della perdita della casa o di tutto il mobilio, per un evento eccezionale, naturale o meno (incendio, furto, alluvione o terremoto, ecc.), in funzione del sostenimento di considerevoli spese per la nascita di un figlio, ecc. Si ritiene, inoltre, che possano essere considerati sussidi esclusi dalla formazione del reddito anche alcuni piccoli prestiti di breve durata, cioè inferiori al periodo d'imposta, quali quelli, inferiori a 12 mesi, corrisposti a dipendenti in contratto di solidarietà o in cassa integrazione guadagni, o alle vittime di richieste estorsive o di usura, nonché quelli che il datore di lavoro concede per far fronte ad esigenze di semplificazione della propria gestione, come ad esempio l'anticipo delle imposte dovute dal dipendente, comprese quelle dovute in sede di assistenza fiscale.

È appena il caso di precisare che sia le erogazioni in occasione di festività o di ricorrenze sia i sussidi occasionali, trattandosi di liberalità, non devono essere previsti come obbligatori da contratti collettivi, accordi o regolamenti aziendali.

2.2.3. Somministrazioni in mense aziendali e prestazioni sostitutive

Con la lettera c) è stata razionalizzata la disciplina delle spese per i pasti dei dipendenti. In particolare, la novità consiste nell'avere esteso il trattamento fiscale delle somministrazioni in mense aziendali, gestite direttamente o da terzi, anche alle somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro e nell'aver previsto una soglia complessiva giornaliera, pari a lire 10.240, di non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente anche per le indennità di mensa oltre che per le prestazioni sostitutive del servizio di mensa, ad esempio, i ticket restaurant, per le quali l'articolo 3, comma 6, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 aveva già fissato un importo massimo complessivo giornaliero, da calcolarsi con riferimento a ciascun giorno lavorativo, oltre il quale dette prestazioni sostitutive concorrevano a formare il reddito. In tal modo, non costituiscono compensi in natura, a titolo di esempio, i pasti consumati dai camerieri o dal cuoco di un ristorante, dai collaboratori domestici, mentre concorrono a formare il reddito solo per la parte che eccede lire 10.240 le indennità di mensa corrisposte, ad esempio, ai lavoratori delle imprese edili o la panatica dei marittimi a terra. Tenuto conto della nuova formulazione della norma, è opportuno precisare che tra le prestazioni di vitto e le somministrazioni in mense aziendali, anche gestite da terzi, sono comprese le convenzioni con i ristoranti e la fornitura di cestini preconfezionati contenenti il pasto dei dipendenti.

Si ritiene che la prestazione in questione debba comunque interessare la generalità dei dipendenti o intere categorie omogenee di essi. Relativamente ai ticket restaurant (per i quali ai fini dell'esclusione si fa riferimento al valore nominale) va precisato che negli stessi deve essere individuabile un collegamento fra i tagliandi ed il tipo di prestazione cui danno diritto; i tagliandi devono recare sul retro la precisazione che non possono essere cedibili, né cumulabili, né commerciabili e né convertibili in denaro; gli stessi, quindi, dovranno consentire soltanto l'espletamento della prestazione sostitutiva nei confronti dei dipendenti che ne hanno diritto, ed essere debitamente datati e sottoscritti.

Va ricordato che l'art. 4 della legge 25 marzo 1997, n. 77, ha precisato che per servizi sostitutivi di mensa resi a mezzo buoni pasto di cui al D.M. lavoro e previdenza sociale 3 marzo 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 66, del 21 marzo 1994, devono intendersi le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate dai pubblici esercizi, nonché le cessioni di prodotti di gastronomia pronti per il consumo immediato, effettuate da mense aziendali, interaziendali, rosticcerie e gastronomie artigianali, pubblici esercizi e dagli esercizi commerciali muniti di autorizzazione per la vendita, per la produzione, la preparazione e vendita di generi alimentari, anche su area pubblica e operate dietro commessa di imprese che forniscono servizi sostitutivi di mensa aziendale. Benché la norma sembrasse assumere, all'epoca della sua emanazione, valore esclusivamente a fini previdenziali, non v'è motivo per non ritenerla ancora valida anche ai fini fiscali, tenuto conto che ora è stata effettuata l'unificazione delle basi imponibili.

Va, infine, precisato che il legislatore non ha dettato regole particolari in merito alle diverse opzioni disponibili per escludere il pasto del dipendente, in tutto o in parte, dalla formazione del reddito, si ritiene, pertanto, che il datore di lavoro sia libero di scegliere la modalità che ritiene più facilmente adottabile in funzione delle proprie esigenze organizzative e dell'attività svolta e che possa anche prevedere più sistemi contemporaneamente. Ad esempio, può istituire il servizio di mensa per una categoria di dipendenti, il sistema dei ticket restaurant per un'altra categoria e provvedere all'erogazione di una indennità sostitutiva per un'altra ancora, oppure può istituire il servizio di mensa e nello stesso tempo corrispondere un'indennità sostitutiva o i ticket restaurant ai dipendenti che per esigenze di servizio non possono usufruire del servizio mensa. Tenuto conto del tenore letterale della norma, è, invece, da escludere che lo stesso dipendente, con riferimento alla medesima giornata lavorativa, possa fruire del servizio mensa e utilizzare anche il ticket restaurant o ricevere anche l'indennità sostitutiva del servizio di mensa, fruendo dell'esclusione dalla formazione del reddito di lire 10.240. Analogamente, in presenza di indennità sostitutiva pari a lire 3.000 e ticket restaurant con valore nominale di lire 6.000, non è possibile, con riferimento alla stessa giornata, cumulare le due prestazioni sostitutive fino a raggiungere la predetta soglia di esclusione, ma è necessario assoggettare a tassazione integralmente una delle due.

2.2.4. Prestazioni di servizi di trasporto

Nella lettera d) è confermata l'irrilevanza ai fini reddituali per il dipendente delle prestazioni di servizi di trasporto collettivo per lo spostamento dei dipendenti dal luogo di abitazione o da un apposito centro di raccolta alla sede di lavoro o viceversa. Ai fini dell'irrilevanza reddituale del servizio di trasporto è necessario che lo stesso sia rivolto alla generalità dei dipendenti o a intere categorie di dipendenti, mentre resta del tutto indifferente la circostanza che il servizio sia prestato direttamente dal datore di lavoro, attraverso l'utilizzo di mezzi di proprietà dell'azienda o da questi noleggiati, ovvero sia fornito da terzi sulla base di apposita convenzione o accordo stipulato dallo stesso datore di lavoro, purché il dipendente resti del tutto estraneo al rapporto con il vettore. È stato espressamente precisato che, tra i soggetti terzi che possono fornire la prestazione di trasporto, sono compresi anche gli esercenti servizi pubblici allo scopo evidentemente di chiarire che il datore di lavoro può stipulare apposita convenzione anche con esercenti servizi pubblici, ad esempio, con la società che gestisce il servizio pubblico urbano o extra-urbano del luogo in cui si trova l'azienda oppure con il servizio taxi, rimanendo comunque fermo il principio che la prestazione, ai fini della non concorrenza al reddito di lavoro dipendente, deve essere resa in modo collettivo. Resta fermo che eventuali indennità sostitutive del servizio di trasporto sono assoggettate interamente a tassazione, così come è interamente assoggettato a tassazione l'eventuale rimborso al lavoratore di biglietti o di tessere di abbonamento per il trasporto mancando, in questa ipotesi, il requisito dell'affidamento a terzo del servizio di trasporto da parte del datore di lavoro.

È altresì da assoggettare a tassazione, con i criteri relativi alla valutazione dei beni e dei servizi, la concessione di facilitazioni sui prezzi dei biglietti di viaggio o di trasporto offerte ai dipendenti, per se stessi e per i familiari, da parte di imprese esercenti pubblici servizi di trasporto o di viaggio.

2.2.5. Compensi reversibili

La lettera e) conferma che i compensi reversibili di cui alle lettere b) ed f) del comma 1 dell'articolo 47 del T.U.I.R., non devono essere compresi nelle somme da assoggettare a tassazione. Al riguardo, si ricorda che la richiamata lettera b) qualifica reddito assimilato a quello di lavoro dipendente le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità e precisa espressamente che sono esclusi quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro e quelli che per legge devono essere riversati allo Stato. La citata lettera f), invece, qualifica redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni ed esclude espressamente quelli che per legge devono essere riversati allo Stato. La disposizione in esame ha evidentemente lo scopo di chiarire espressamente che i compensi reversibili in questione, non solo non costituiscono reddito assimilato a quello dipendente, come risulta dal tenore letterale delle norme richiamate, ma non devono essere assoggettati a tassazione neanche quali redditi di lavoro dipendente in quanto sono imputati direttamente al soggetto al quale, per legge o clausola contrattuale (per quelli della lettera b)) o soltanto per legge (per quelli della lettera f)), devono essere riversati. È appena il caso di precisare, pertanto, che detti compensi devono essere esclusi anche dall'applicazione della ritenuta a titolo di acconto.

2.2.6. Somme erogate ai dipendenti per le finalità di cui al comma 1 dell'articolo 65, con esclusione di quelle sociali e sanitarie, e utilizzazione da parte degli stessi delle relative opere e servizi.

La lettera f) riproduce, con alcune sostanziali innovazioni, la lettera e) dell'articolo 48 nel precedente testo. Nella nuova formulazione viene previsto che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente le somme erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per le finalità di cui al comma 1 dell'articolo 65 del T.U.I.R., con esclusione di quelle di assistenza sociale e sanitaria, e l'utilizzo delle relative opere e servizi da parte dei dipendenti e dei familiari indicati nell'articolo 12 del T.U.I.R. Al riguardo, si ricorda che l'articolo 65, comma 1, del T.U.I.R., dispone, per le spese relative ad opere e servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, la deducibilità, nella determinazione del reddito d'impresa, di un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell'ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi. Va precisato che il riferimento contenuto nella lettera f) dell'articolo 48 del T.U.I.R. al riportato comma 1 dell'articolo 65, è effettuato soltanto per individuare le finalità in esso previste, tra le quali, peraltro, sono state escluse quelle di assistenza sociale e sanitaria, senza che questo comporti anche, ai fini dell'esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente, l'osservanza delle ulteriori condizioni in esso contenute e cioè il limite del 5 per mille e che le opere e i servizi siano stati realizzati (direttamente o tramite terzi) volontariamente, potendo anche essere frutto di accordo o regolamento aziendale, ovvero contratto collettivo. Atteso il tenore letterale della disposizione si deve ritenere, in primo luogo, che l'esclusione, competa per le somme corrisposte al dipendente per se stesso o per i familiari indicati nell'articolo 12 del T.U.I.R.; inoltre, l'utilizzo delle opere e dei servizi può riguardare oltre che il dipendente anche i suoi familiari indicati nel predetto articolo 12. In entrambe le ipotesi sopra delineate non è necessario che il familiare in questione sia fiscalmente a carico del lavoratore; la disposizione in commento, infatti, si riferisce ai familiari indicati nell'articolo 12 del T.U.I.R. senza richiamare anche le condizioni ivi previste, come, invece, avviene a proposito delle indennità di trasferimento, disciplinate nel successivo comma 7 dello stesso articolo 48 nella nuova formulazione. Ciò costituisce una delle differenze rispetto alla corrispondente previsione legislativa contenuta nella lettera e) del precedente articolo 48, nella quale non era disciplinata l'esclusione con riferimento all'utilizzo delle opere o servizi da parte di nessuno dei familiari del dipendente. Le altre differenze si rinvengono nella previsione della non concorrenza alla formazione del reddito anche con riferimento alle somme corrisposte e all'esclusione delle finalità sociali e sanitarie. Tale esclusione trova giustificazione nell'opportunità di evitare che i contributi assistenziali, limitati dalla precedente lettera a), potessero ritenersi ricompresi in questa disposizione e che il termine "somme" potesse far escludere dalla formazione del reddito anche indennità sostitutive percepite individualmente. Infatti, è bene ribadire che:

- l'esclusione non spetta in alcun caso con riferimento al perseguimento di finalità di assistenza sociale e sanitaria, né per le somme né per le relative opere e servizi. In tal modo viene esplicitamente chiarito, ad esempio, che con riferimento alle somme, non possono rientrare nella previsione in esame i contributi assistenziali con finalità sociali e sanitarie per i quali, come si è visto a commento della lettera a) del nuovo articolo 48 (cui si rinvia per i criteri distintivi) è stata prevista, rispettivamente, la totale concorrenza al reddito imponibile (per quelli con finalità sociale) e la concorrenza parziale, se superiori ad un certo importo (per quelli con finalità sanitaria). Con riferimento alle opere e ai servizi, l'esclusione non compete, ad esempio, per le prestazioni sanitarie rese ai familiari del dipendente attraverso apposito gabinetto medico costituito dal datore di lavoro presso l'azienda (salvo quanto disposto per le spese mediche deducibili di cui all'art. 10 del T.U.I.R.), mentre per quanto riguarda le medesime prestazioni rese, però, direttamente al dipendente, si ritiene debbano rimanere sempre escluse dalla formazione del reddito di lavoro dipendente quelle che discendono dall'osservanza di specifiche disposizioni di legge relative alla tutela della salute del dipendente o dei soggetti terzi, come ad esempio, quelle di cui all'articolo 33 del D.P.R. n. 303 del 1956 o agli articoli 16 e 17 del decreto legislativo n. 626 del 1994, nonché, ovviamente, quelle conseguenti ad infortuni sul lavoro: in questo caso si tratta di costi di produzione del datore di lavoro, come tali non imponibili per il dipendente;

- deve trattarsi di somme corrisposte, o utilizzo di opere e servizi, per la generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti, intendendo anche in questo caso la generica disponibilità verso un gruppo omogeneo di dipendenti (anche se alcuni di questi non fruiscono di fatto delle opere o servizi o delle somme), poiché, invece, qualunque somma attribuita ad personam costituisce reddito di lavoro dipendente. Va, peraltro, precisato che, ai fini dell'esclusione delle somme dall'ammontare del reddito di lavoro dipendente, il datore di lavoro deve acquisire e conservare la documentazione comprovante l'utilizzo delle somme in questione da parte del dipendente per la finalità per la quale dette somme sono state corrisposte (ad esempio, l'iscrizione all'asilo nido, ecc.).

A titolo di esempio, si ritiene che rientrino in questa previsione, oltre agli asili nido, gli impianti sportivi e, più in generale, tutte le strutture ricreative, di proprietà dell'azienda o affittati (CRAL, campi da tennis, ecc.) utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o da categorie di dipendenti, inoltre la disposizione esonerativa si applica anche alle somme destinate dal datore di lavoro alla costituzione di spacci aziendali (i successivi acquisti da parte dei dipendenti costituiscono mere operazioni commerciali e, quindi, sono irrilevanti ai fini della tassazione del reddito di lavoro dipendente, anche se avvengono a prezzi scontati), alle somme corrisposte dal datore di lavoro, sempre alla generalità di dipendenti o a categorie di dipendenti, al fine di consentire l'iscrizione agli asili nido e ai soggiorni climatici per i figli dei dipendenti, quelle per iscrizione gratuita a circoli privati e club, per iscrizione gratuita a corsi di formazione extraprofessionale (quelle per corsi di formazione professionali sono costi di produzione dell'impresa), quelle per il pagamento delle tasse scolastiche ai figli dei dipendenti e, in linea di principio, alle borse di studio (cfr. anche il paragrafo relativo ai redditi assimilati).

Con riferimento a tutte le fattispecie sopra citate va ribadito che le spese in questione non rientrano nel reddito di lavoro dipendente se i servizi considerati sono utilizzabili dalla generalità dei lavoratori dipendenti o da categorie di dipendenti; ove invece gli stessi siano a disposizione solo di taluni lavoratori dipendenti essi costituiscono fringe benefits per gli utilizzatori e le spese relative concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente.

2.2.7. Azioni di nuova emissione offerte ai dipendenti

La lettera g) stabilisce che, in caso di sottoscrizione da parte dei dipendenti, anche a seguito di contrattazione, di azioni di nuova emissione di cui all'articolo 2349 e all'articolo 2441, ultimo comma, del codice civile, non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente il valore delle azioni sottoscritte. La disposizione precisa che l'esclusione dalla formazione del reddito compete anche se dette azioni sono emesse da società che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa. Come è dato rilevare facilmente, la norma agevolativa non si applica a tutte le tipologie di azioni in quanto sono escluse le azioni di vecchia emissione. Infatti, l'articolo 2349 disciplina l'ipotesi di assegnazione straordinaria di utili ai prestatori di lavoro dipendente che avvenga tramite l'emissione ed assegnazione di azioni speciali ai dipendenti, con norme particolari riguardo alla forma, al modo di trasferimento e ai diritti spettanti agli azionisti. L'articolo 2441, ultimo comma, disciplina l'ipotesi in cui, con deliberazione dell'assemblea, può essere escluso il diritto di opzione dei soci limitatamente ad un quarto delle azioni di nuova emissione, se queste sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società. La previsione della non concorrenza alla formazione del reddito in caso di sottoscrizione di azioni emesse da società che direttamente o indirettamente controllano l'impresa o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa, va intesa nel senso che deve trattarsi delle medesime azioni disciplinate nelle due norme citate del codice civile, ma che, in deroga alle stesse disposizioni richiamate, vengano offerte in sottoscrizione ai dipendenti delle società controllate o controllanti. Ad analoga conclusione si perviene allorquando il soggetto che emette le azioni nuove non sia tenuto al rispetto delle norme contenute nel codice civile, ad esempio, perché residente all'estero. In questo caso l'esclusione dalla tassazione sarà possibile soltanto con riferimento alle azioni che, sulla base della legislazione straniera, costituiscono l'equivalente di quelle emesse ai sensi dell'articolo 2349 e 2441, ultimo comma, del codice civile. In pratica, la distinzione, ai fini della esclusione o meno dalla formazione del reddito imponibile, va fatta soltanto con riferimento alle azioni di vecchia o nuova emissione, restando escluse soltanto queste ultime.

Va, precisato che nell'ipotesi di assegnazione straordinaria di utili ai dipendenti mediante, appunto, emissione di azioni, gli utili medesimi, non essendo destinati ai soci e costituendo, per i dipendenti, reddito di lavoro dipendente, anche se non soggetto ad imposizione, non sono soggetti al regime fiscale dei dividendi di cui all'articolo 27 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e all'articolo 8, comma 1, n. 4 e n. 5, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

Si sottolinea, infine, che il riferimento fatto alle società controllanti e controllate va inteso secondo i criteri di cui all'articolo 2359 del codice civile.

2.2.8. Oneri deducibili trattenuti dal datore di lavoro

La lettera h) dispone l'esclusione dalla base imponibile delle somme trattenute al dipendente per oneri di cui all'art. 10, nonché nei limiti e alle stesse condizioni previste nel medesimo art. 10, delle erogazioni fatte dal datore di lavoro in conformità a contratti collettivi o ad accordi e regolamenti aziendali delle spese sanitarie dello stesso articolo 10, comma 1, lettera b). L'ammontare degli oneri e delle erogazioni che, ai sensi di questa disposizione, è stato escluso dalla formazione del reddito imponibile deve essere attestato dal datore di lavoro. Si fa presente che ove sia stato escluso più di un onere o, unitamente agli oneri, siano state escluse erogazioni per spese sanitarie, il datore di lavoro deve attestarne l'importo distintamente per ciascuna tipologia. La finalità che è evidentemente perseguita, è quella di evitare che il lavoratore debba presentare la dichiarazione dei redditi al solo fine di fruire di oneri deducibili di cui il datore di lavoro è a conoscenza avendo effettuato trattenute per gli stessi. Al riguardo si precisa che il dipendente non potrebbe richiedere l'esclusione dalla base imponibile di oneri che, pur essendo compresi nella previsione dell'articolo 10, non sono stati sostenuti per il tramite del datore di lavoro, tuttavia, ove ciò si verifichi, il sostituto può acconsentire ad una simile richiesta. A titolo di esempio, si chiarisce che uno degli oneri deducibili che potrà rientrare nell'ambito della previsione normativa in esame è l'assegno periodico al coniuge separato o divorziato che il giudice abbia ordinato al datore di lavoro di corrispondere direttamente allo stesso coniuge separato o divorziato. Un altro onere che potrà rientrare in questa previsione è quello, inserito nell'articolo 10 da una disposizione di questo stesso decreto legislativo (art. 5, comma 1, lettera b), relativo alle somme corrisposte al lavoratore ed assoggettate a tassazione in anni precedenti, che siano state successivamente restituite al soggetto erogatore (lettera d-bis dell'articolo 10 del T.U.I.R.). Tale onere, come meglio si dirà in seguito, potrà essere utilizzato anche in caso di compensi in natura assoggettati a tassazione per un importo superiore perché il dipendente ha corrisposto soltanto nel periodo d'imposta successivo delle somme per aver fruito di detto compenso. Va, infine, precisato che il dipendente non deve fare nessuna richiesta al datore di lavoro per il riconoscimento della non concorrenza delle somme in questione, ma è, tuttavia, tenuto a fornire allo stesso tutti gli elementi necessari per il rispetto delle condizioni previste nel predetto articolo 10. Così, ad esempio, ove dall'ordine del giudice non sia rilevabile se l'assegno al coniuge separato o divorziato è dato per il proprio mantenimento o per quello dei figli o se per tutti e due, il dipendente sarà obbligato, sotto la propria responsabilità, a fornire al sostituto tutte le precisazioni necessarie alla corretta applicazione della disposizione.

2.2.9. Mance dei croupiers

La lettera i) prevede, infine, che non concorre alla formazione della base imponibile del reddito di lavoro dipendente il 25 per cento delle mance percepite dai croupiers, che sono state ricondotte tra i redditi di lavoro dipendente e non sono più comprese tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. Si tratta, come è noto, delle mance percepite dagli impiegati tecnici delle case da gioco, direttamente o per effetto del riparto eseguito a cura di appositi organismi costituiti all'interno dell'azienda, in relazione all'attività di lavoro dipendente. In tal modo, viene confermato, anche dopo la nuova qualificazione reddituale, il particolare regime di determinazione della base imponibile relativa a tali mance, che resta fissato nel medesimo importo previsto dal comma B dell'articolo 48 nella precedente formulazione. Si tratta, peraltro, dell'unica ipotesi in cui le mance sono assoggettate a tassazione per un importo ridotto.

 

 

2.3. Beni e servizi forniti al dipendente (fringe benefit).

2.3.1. Criteri generali

In attuazione di quanto previsto alla lettera c) della legge di delega, il comma 3 dell'articolo 48, nella nuova formulazione, stabilisce nel valore normale di cui all'art. 9 del T.U.I.R., il criterio generale di valutazione dei beni ceduti e dei servizi prestati al dipendente (o al soggetto a questo equiparato e, cioè al pensionato, al cassaintegrato, ecc.) o ai familiari indicati nell'articolo 12 del T.U.I.R., anche se non fiscalmente a carico, compreso il diritto di ottenerli da terzi. Tale criterio sostituisce il precedente che stabiliva, invece, la valutazione di detti beni e servizi sulla base del costo specifico sostenuto dal datore di lavoro. Relativamente alla locuzione "il diritto di ottenerli da terzi" si precisa che tale locuzione va posta in collegamento con il principio generale vigente in materia di reddito di lavoro dipendente in base al quale costituisce reddito della specie tutto ciò che il dipendente riceve, anche da soggetti terzi, in relazione al rapporto di lavoro. La fattispecie in esame si verifica, quindi, allorquando un terzo cede beni o presta servizi, compresi quelli di cui al successivo comma 4, a dipendenti di un datore di lavoro per effetto di un qualunque collegamento esistente con quest'ultimo o con il sottostante rapporto di lavoro sebbene non in forza di un accordo o di una convenzione che questi abbia con lui stipulato. È opportuno ricordare che il comma 3 dell'articolo 9 del T.U.I.R. stabilisce che per valore normale, salvo quanto disposto dal successivo comma 4 con riferimento alle azioni, obbligazioni e altri titoli, s'intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Dalla definizione di valore normale emerge che la quantificazione del valore normale del bene o servizio deve essere operata in modo diverso a seconda che gli stessi vengano ceduti o prestati dal produttore, dal grossista o dal dettagliante. Il secondo periodo del comma 3 del citato articolo 9 fissa parametri oggettivi per la determinazione del valore normale stabilendo che occorre fare riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni e i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti di uso. L'ultimo periodo del comma 3 dell'articolo 9 stabilisce una presunzione assoluta in base alla quale per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi, (ad esempio, le tariffe elettriche o quelle telefoniche) si fa riferimento ai provvedimenti in vigore. Il comma 4 dell'articolo 9 prevede, alle lettere a), b) e c), autonome regole di determinazione del valore normale con riferimento ai titoli e alle quote di partecipazione societarie. In particolare:

- la lettera a) stabilisce che per le azioni, obbligazioni e altri titoli negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, il valore normale è determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese;

- la lettera b) si riferisce alle altre azioni, alle quote di società non azionarie e ai titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, e dispone che il loro valore normale è fissato in proporzione al valore del patrimonio netto della società o ente ovvero, per le società o enti di nuova costituzione, in proporzione all'ammontare complessivo dei conferimenti;

- la lettera c) dispone che per le obbligazioni e gli altri titoli diversi da quelli compresi nelle precedenti lettere a) e b), il valore normale è determinato comparativamente al valore normale dei titoli aventi analoghe caratteristiche negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri e, in mancanza, in base ad altri elementi determinabili in modo obiettivo. Si precisa che per mercati regolamentati s'intendono quelli la cui regolamentazione è disciplinata da apposite disposizioni normative (cfr. Istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni dei redditi Modello 760).

In parziale deroga ai criteri contenuti nell'articolo 9 appena illustrato, per espressa previsione contenuta nel comma 3 dell'articolo 48, è stabilito che il valore normale dei generi in natura prodotti dall'azienda e ceduti ai dipendenti, gratuitamente o meno, è costituito dal prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni ai grossisti. Anche in questa ipotesi si dovrà fare riferimento ai listini dell'azienda, ovviamente soltanto quelli applicati nelle vendite ai grossisti, ma non si potrà tenere conto degli sconti d'uso. Dal tenore letterale della disposizione discende che la particolare previsione è applicabile soltanto ai dipendenti delle aziende che producono beni e che effettuano cessioni ai grossisti, o all'ingrosso e al dettaglio. Restano, quindi, esclusi da questa previsione i dipendenti di artisti o professionisti, quelli delle aziende che producono beni per la vendita soltanto al dettaglio, delle aziende che producono servizi e di quelle che effettuano soltanto commercializzazione dei beni. Si precisa che il reddito da assoggettare a tassazione è pari al valore normale soltanto se il bene è ceduto o il servizio è prestato gratuitamente (ciò vale anche nel caso dei beni prodotti dall'azienda e ceduti gratuitamente al dipendente), se, invece, per la cessione del bene (anche in caso di bene prodotto dall'azienda e ceduto al dipendente) o la prestazione del servizio il dipendente corrisponde delle somme (con il sistema del versamento o della trattenuta), è necessario determinare il valore da assoggettare a tassazione sottraendo tali somme dal valore normale del bene o del servizio. Va precisato che delle somme in questione si potrà tener conto soltanto nel periodo d'imposta in cui sono effettivamente trattenute o versate dal dipendente. L'ultimo periodo del comma 3 dell'articolo 48 stabilisce che non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati, se, complessivamente, di importo non superiore, nel periodo d'imposta, a lire 500.000 e che se il valore in questione è superiore a detto limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito. Si tratta di una previsione di carattere generale applicabile senza dubbio anche con riferimento ai beni indicati nel successivo comma 4. Si precisa, inoltre, che la verifica che il valore sia non superiore complessivamente nel periodo d'imposta a lire 500.000, va effettuata con riferimento agli importi tassabili in capo al percettore del reddito e, quindi, al netto di quanto il dipendente ha corrisposto (con il metodo del versamento o della trattenuta e comprensivo dell'eventuale I.V.A. a carico del dipendente) per tutti i beni o servizi di cui ha fruito nello stesso periodo d'imposta, tenendo conto di tutti i redditi percepiti, anche se derivanti da altri rapporti di lavoro eventualmente intrattenuti nel corso dello stesso periodo d'imposta. In sede di applicazione delle ritenute di acconto il sostituto d'imposta terrà conto di tutti i valori che sono stati percepiti nel corso di rapporti intrattenuti con lui, nonché, se il dipendente ha chiesto di conguagliare altri redditi di lavoro dipendente o assimilati, dei valori percepiti nel corso di altri rapporti. È opportuno chiarire, inoltre, che ai fini del calcolo del limite in questione, non devono essere considerate le erogazioni liberali di importo complessivamente non superiore nel periodo d'imposta a lire 500.000 concesse in occasione di festività o ricorrenze, di cui al precedente paragrafo 2. È appena il caso di precisare inoltre che, in sede di tassazione alla fonte del reddito di lavoro dipendente, il sostituto d'imposta deve applicare la ritenuta nel periodo di paga in cui viene superata la predetta soglia di 500 mila lire e che se risulta chiaro che il valore, tenuto conto dell'intero periodo d'imposta, sarà complessivamente superiore al suddetto importo, deve effettuare la ritenuta fin dal primo periodo di paga.

2.3.2 Criteri speciali per alcuni beni

Il comma 4 individua alcuni dei beni e servizi che più frequentemente vengono concessi ai dipendenti, e cioè gli autoveicoli indicati nell'articolo 54, comma 1, lettere a), c) e m), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, i motocicli e i ciclomotori concessi in uso promiscuo, i prestiti e gli immobili e per questi stabilisce speciali criteri di determinazione forfetaria dei valori da assoggettare a tassazione. Resta fermo il criterio del valore normale per le tipologie di beni e servizi diversi da quelli specificati nella disposizione in esame.

2.3.2.1. Veicoli

La lettera a) del comma 4 stabilisce che per gli autoveicoli indicati nell'articolo 54, comma 1, lettere a), c) e m), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, per i motocicli e i ciclomotori che il datore di lavoro abbia assegnato ad uno specifico dipendente per espletare l'attività di lavoro e per i quali abbia consentito anche l'uso personale da parte dello stesso, ad esempio per recarsi al lavoro (uso promiscuo), concorre a formare il reddito di lavoro dipendente un ammontare pari al 30 per cento dell'importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15 mila chilometri calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio, al netto di quanto trattenuto al dipendente o da questo corrisposto nello stesso periodo d'imposta in cambio della possibilità di utilizzare anche a fini personali il mezzo. Si tratta di una determinazione dell'importo da assoggettare a tassazione del tutto forfetaria, che prescinde da qualunque valutazione degli effettivi costi di utilizzo del mezzo e anche dalla percorrenza che il dipendente effettua realmente. È del tutto irrilevante, quindi, che il dipendente sostenga a proprio carico tutti o taluni degli elementi che sono nella base di commisurazione del costo di percorrenza fissato dall'A.C.I., dovendosi comunque fare riferimento, ai fini della determinazione dell'importo da assumere a tassazione, al totale costo di percorrenza esposto nelle suddette tabelle. Si precisa che, qualora il modello di veicolo utilizzato promiscuamente dal dipendente non sia compreso tra quelli inclusi nelle tabelle in questione, l'importo da assoggettare a tassazione dovrà essere determinato prendendo a riferimento quello che per tutte le sue caratteristiche risulta più simile. Per espressa previsione normativa il costo chilometrico di esercizio è desumibile dalle tabelle nazionali che l'Automobile club d'Italia deve elaborare entro il 30 novembre di ciascun anno e comunicare al Ministero delle finanze che provvede alla pubblicazione entro il 31 dicembre, con effetto dal periodo d'imposta successivo. Rispetto alla disposizione già in vigore per il periodo d'imposta 1997, si segnala l'obbligo per l'A.C.I. di elaborare e comunicare al Ministero delle finanze, entro il 30 novembre di ciascun anno, le tabelle relative alla percorrenza di 15 mila chilometri e quello successivo dello stesso Ministero di provvedere alla pubblicazione delle tabelle entro il 31 dicembre (quelle per il 1998 sono state pubblicate, con comunicato del Ministero delle finanze nella Gazzetta Ufficiale n. 292 del 16 dicembre 1997), nonché la previsione che le tabelle pubblicate entro la predetta data del 31 dicembre, abbiano effetto per tutto il periodo d'imposta successivo. In tal modo, il dipendente e il sostituto d'imposta conoscono con certezza, fin dall'inizio dell'anno, quale riferimento assumere per determinare l'ammontare che deve concorrere a tassazione. Va, peraltro, precisato che, tenuto conto della modifica del criterio di valutazione dei beni ceduti e dei servizi prestati al dipendente (come già precisato si è passati dal criterio del costo specifico a quello del valore normale) il 30 per cento della percorrenza di 15 mila chilometri calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle nazionali elaborate dall'A.C.I. rappresenta il valore normale presunto dal legislatore per la possibilità concessa dal datore di lavoro di utilizzare detti beni in modo promiscuo e non più il costo specifico presunto. È appena il caso di precisare che il datore di lavoro, oltre a concedere la possibilità di utilizzare il veicolo in modo promiscuo, può fornire, gratuitamente o meno, altri beni o servizi, ad esempio, l'immobile per custodire il veicolo, ecc., beni e servizi che andranno separatamente valutati al fine di stabilire l'importo da assoggettare a tassazione in capo al dipendente. Si sottolinea, inoltre, che, poiché la percorrenza convenzionale utilizzata dal legislatore per determinare il valore del veicolo utilizzato in modo promiscuo è determinata su base annua, l'importo da far concorrere alla formazione del reddito, determinato come sopra specificato, deve essere ragguagliato al periodo dell'anno durante il quale al dipendente viene concesso l'uso promiscuo del veicolo, conteggiando il numero dei giorni per i quali il veicolo è assegnato, indipendentemente dal suo effettivo utilizzo. Si è già detto che se il dipendente corrisponde delle somme (con il metodo del versamento o della trattenuta) nello stesso periodo d'imposta, per la possibilità di utilizzare il veicolo in modo promiscuo che il datore di lavoro gli ha concesso, tali somme devono essere sottratte dal valore del veicolo stabilito presuntivamente dal legislatore. Al riguardo si precisa che le predette somme devono essere computate al lordo dell'I.V.A.

Nel ribadire che la disposizione in esame si applica con riferimento ai veicoli aziendali utilizzati oltre che per esigenze di lavoro anche per uso privato, si precisa che qualora il veicolo sia concesso esclusivamente per l'uso personale o familiare del dipendente, ad esempio, soltanto per recarsi al lavoro e per gli ulteriori usi personali, ai fini della determinazione del valore normale del bene rimangono applicabili i criteri contenuti nell'articolo 9 del T.U.I.R. Si ricorda, infine, che non concorre a formare il reddito del dipendente l'utilizzo di veicoli aziendali esclusivamente per l'effettuazione di trasferte.

2.3.2.2. Prestiti

La lettera b) del comma 4 prevede che in caso di concessione di prestiti direttamente o che i dipendenti hanno diritto di ottenere da terzi, si assume il 50 per cento della differenza tra l'importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di sconto vigente al momento della concessione del prestito e l'importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi. La disposizione si applica a tutte le forme di finanziamento comunque erogate dal datore di lavoro, indipendentemente dalla loro durata e dalla valuta utilizzata. La norma si applica, altresì, ai finanziamenti concessi da terzi con i quali il datore di lavoro abbia stipulato accordi o convenzioni, anche in assenza di oneri specifici da parte di quest'ultimo. Pertanto, e a titolo meramente esemplificativo, rientrano nell'ambito di questa previsione, i prestiti concessi sotto forma di scoperto di conto corrente, di mutuo ipotecario e di cessione dello stipendio, mentre ne restano esclusi le dilazioni di pagamento previste per beni ceduti o servizi prestati dal datore di lavoro. In merito alla determinazione forfettaria del predetto ammontare, occorre precisare che il tasso ufficiale di sconto da assumere come parametro fisso di riferimento è quello vigente alla data in cui il contratto di mutuo è stato stipulato, a nulla rilevano le eventuali variazioni intervenute successivamente nella durata del prestito. L'importo da far concorrere nella formazione del reddito imponibile si determina effettuando la differenza tra gli interessi calcolati al suddetto tasso ufficiale di sconto e gli interessi calcolati al tasso effettivamente praticato sui prestiti e riducendo l'ammontare risultante della metà. L'importo così determinato deve essere assoggettato a tassazione alla fonte al momento del pagamento delle singole rate del prestito stabilite dal relativo piano di ammortamento. Per i prestiti in valuta estera, occorre mettere a confronto gli interessi calcolati al predetto tasso di sconto e quelli calcolati al tasso di interesse effettivamente praticato, effettuando la conversione in lire sulla base del rapporto di cambio vigente alla data di scadenza delle singole rate del prestito. In caso di prestiti a tasso variabile (caratterizzati da una variazione del tasso di interesse iniziale) il prelievo alla fonte deve essere effettuato, alle scadenze delle singole rate di ammortamento del prestito, tenendo conto anche delle variazioni subite dal tasso di interesse iniziale. Qualora, invece, il prestito venga concesso a tasso zero, il calcolo dell'importo da assoggettare a tassazione deve essere effettuato alle scadenze delle singole rate di ammortamento della quota capitale, secondo quanto già precisato. Nei casi di restituzione del capitale in un'unica soluzione oltre il periodo d'imposta, l'importo maturato va comunque assoggettato a tassazione in sede di conguaglio di fine anno. La stessa lettera b) precisa che questa modalità di determinazione dell'importo che concorre a formare il reddito di lavoro dipendente non si applica per i prestiti stipulati anteriormente al 1° gennaio 1997, per i quali resta in vigore, ai fini della determinazione dell'importo che deve concorrere a formare il reddito di lavoro dipendente, il criterio del costo specifico. La disposizione non si applica, altresì, per i prestiti di durata inferiore ai dodici mesi concessi, a seguito di accordi aziendali, dal datore di lavoro ai dipendenti in contratto di solidarietà o in cassa integrazione guadagni (sia pure non ancora autorizzata dall'I.N.P.S., fermo restando che è comunque necessaria la convalida, pure successiva da parte dello stesso istituto) o a dipendenti vittime dell'usura ai sensi della legge 7 marzo 1996, n. 108, o ammessi a fruire delle erogazioni pecuniarie a ristoro dei danni conseguenti a rifiuto opposto a richieste estorsive ai sensi del decreto-legge 31 dicembre l991, n. 419, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172, che si ritiene possano essere inquadrati tra i sussidi di cui si è parlato al paragrafo 2.2.2.

2.3.2.3. Fabbricati

La lettera c) del comma 4 stabilisce che per i fabbricati concessi in locazione, in uso o in comodato, indipendentemente dalla circostanza che il fabbricato sia di proprietà del datore di lavoro ovvero sia da questi acquisito in locazione anche finanziaria, l'importo da far concorrere alla formazione del reddito di lavoro dipendente si determina effettuando la differenza tra la rendita catastale del fabbricato, aumentata di tutte le spese inerenti il fabbricato stesso, comprese le utenze non a carico dell'utilizzatore, e quanto corrisposto (mediante versamento o trattenuta) per il godimento del fabbricato stesso. In caso di fabbricati iscritti in catasto, ma privi di rendita attribuita perché non ancora censiti o perché rurali, ai fini della determinazione dell'importo da far concorrere a formare il reddito di lavoro dipendente si dovrà fare riferimento alla rendita presunta, determinata a norma dell'articolo 34, comma 4, del T.U.I.R. Per espressa previsione normativa, la rendita catastale deve essere aumentata di tutte le spese inerenti il fabbricato stesso non sostenute dall'utilizzatore, comprese le eventuali utenze pagate dal datore di lavoro invece che dall'utilizzatore del fabbricato, ad esempio, luce, gas, telefono, tassa rifiuti solidi urbani, condominio, ecc. È appena il caso di precisare che si tratta evidentemente di tutte le spese diverse da quelle considerate in sede di determinazione della rendita medesima. A tale proposito si precisa che in sede di determinazione delle tariffe d'estimo e delle rendite catastali si tiene conto delle seguenti spese: di ordinaria manutenzione, di assicurazione, di amministrazione del fabbricato, relative ai servizi comuni. Il criterio di determinazione in esame si rende applicabile per tutti i fabbricati per i quali sussiste l'obbligo di iscrizione al catasto, cioè per tutte le costruzioni stabilmente ancorate al suolo, a qualunque uso destinate, ad esempio, ad uso abitazione (categoria A) o commerciale e varia (categoria C). Pertanto, questo criterio di determinazione dell'importo da far concorrere alla formazione del reddito di lavoro dipendente si renderà applicabile tanto nell'ipotesi in cui il datore di lavoro conceda in uso, comodato o locazione una unità immobiliare ad uso abitazione affinché, appunto, il dipendente vi abiti, quanto nell'ipotesi in cui il datore di lavoro conceda una unità immobiliare ad uso commerciale e vario affinché il dipendente ad esempio, vi custodisca l'autovettura propria o di proprietà dell'azienda, ma concessa in uso promiscuo al dipendente stesso. Analogo criterio dovrà essere utilizzato allorquando al dipendente venga consentito o richiesto, ad esempio, di utilizzare una unità immobiliare di categoria diversa dalla A quale abitazione propria, da solo o unitamente ad altri soggetti, ad esempio una soffitta, o una stanza nel retro di un negozio. Qualora l'unità immobiliare sia concessa in locazione, uso o comodato, a più dipendenti, l'importo, come sopra determinato, dovrà essere ripartito fra gli utilizzatori in parti uguali o in relazione alle parti di fabbricato a ciascuno assegnate se queste sono differenziate. In modo analogo si dovrà procedere nell'ipotesi in cui al dipendente venga concesso in locazione, uso o comodato una o più stanza in una unità immobiliare. Per i fabbricati concessi in connessione all'obbligo di dimorare nell'alloggio stesso, ad esempio, quello concesso al portiere di uno stabile o al custode di una azienda, dopo aver determinato l'importo che dovrebbe concorrere a formare il reddito di lavoro dipendente con le modalità sopra precisate, si deve assumere soltanto il 30 per cento di detto importo. Tale previsione di favore non riguarda le ipotesi in cui al dipendente è fatto soltanto obbligo di dimorare in una certa località.

Un criterio diverso è stabilito, invece, per i fabbricati che non devono essere iscritti nel catasto, ad esempio, i fabbricati situati all'estero, per i quali il valore da far concorrere alla formazione del reddito di lavoro dipendente è dato dalla differenza tra il valore del canone di locazione determinato in regime vincolistico o, in mancanza, quello determinato in regime di libero mercato, e quanto corrisposto o trattenuto per il godimento del fabbricato; tale criterio si applica, senza alcuna riduzione, anche ai fabbricati concessi in connessione all'obbligo di dimorare nell'alloggio stesso. Ai fini dell'applicazione degli speciali criteri di determinazione dell'importo da far concorrere a tassazione per i fabbricati concessi in locazione, uso o comodato, previsti nella disposizione in esame, non è richiesto che l'attribuzione degli stessi discenda da un obbligo scaturente dal contratto collettivo nazionale di lavoro, da accordo o regolamento aziendale.

 

 

2.4. Trasferte, trasfertisti, indennità di volo e navigazione, indennità ai messi notificatori, trasferimento.

I commi 5, 6, e 7 rivedono, razionalizzandola, la disciplina delle trasferte e più in generale degli spostamenti del dipendente per motivi di lavoro. Le suddette disposizioni delineano in modo più preciso le diverse fattispecie che si possono verificare nella pratica e le disciplinano specificamente.

2.4.1 Trasferte

Il comma 5 del nuovo testo dell'articolo 48 del T.U.I.R., stabilisce il trattamento fiscale delle indennità di trasferta erogate al lavoratore dipendente per la prestazione dell'attività lavorativa fuori dalla sede di lavoro e dei rimborsi di spese sostenute in occasione di dette trasferte. Come precisato in sede di commento all'articolo 46 del T.U.I.R., il lavoratore dipendente è tenuto, tra l'altro, a svolgere la propria prestazione di lavoro nel luogo stabilito dal datore di lavoro, che è generalmente indicato nella lettera o contratto di assunzione. È, quindi, del tutto naturale che gli stessi contratti di lavoro, collettivi o individuali, prevedano la corresponsione di una indennità aggiuntiva allorquando il dipendente sia chiamato a svolgere una attività fuori della sede naturale in cui lo stesso è tenuto contrattualmente a svolgere la sua attività. L'individuazione della sede di lavoro è, ovviamente, rimessa alla libera decisione delle parti contrattuali, decisione sulla quale né il legislatore né, tanto meno, l'Amministrazione finanziaria, hanno possibilità di intervenire, così come non è consentito sindacare le modalità di erogazione o gli importi dell'indennità all'uopo stabiliti. Il legislatore fiscale può e deve, invece, introdurre criteri di tassazione delle indennità, corrisposte in occasione di tali trasferte del dipendente, che siano coerenti con l'insieme delle disposizioni tributarie (ciò è stato riconosciuto legittimo in più occasioni anche dalla Corte Costituzionale). Per questo il legislatore ha differenziato il trattamento delle indennità di trasferta a seconda che le stesse siano o meno svolte nell'ambito del territorio comunale in cui è stabilita la sede di lavoro del dipendente, rilevabile, come già precisato, dalla documentazione relativa all'assunzione, stabilendo un trattamento di favore per le indennità percepite in occasione di trasferte effettuate fuori dal territorio comunale in cui si trova la sede di lavoro. È opportuno precisare che la scelta legislativa circa il trattamento fiscale delle indennità di trasferta, è stata certamente influenzata dalla considerazione che per i lavoratori dipendenti è stata prevista contestualmente, da parte dello stesso legislatore, l'attribuzione di una specifica detrazione d'imposta (articolo 13 del T.U.I.R.) anche per tener conto degli oneri inerenti alla produzione del reddito. La nuova disciplina ricalca in linea di massima la precedente, e, quindi, conferma le scelte effettuate dal legislatore circa il trattamento di favore delle indennità corrisposte per le trasferte effettuate fuori dal territorio comunale in cui è fissata la sede di lavoro, ma è più articolata e più idonea, fra l'altro, a chiarire espressamente, con l'inserimento dopo la parola "trasferte" del termine "missioni", che le relative disposizioni hanno valenza tanto per i lavoratori dipendenti del settore privato che per quelli del settore pubblico. Il quadro che ne risulta può essere così sintetizzato:

- trasferte nell'ambito del territorio comunale dove si trova la sede di lavoro: viene confermato il precedente regime in base al quale le indennità e i rimborsi di spese per le trasferte nell'ambito del territorio comunale in cui si trova la sede di lavoro, tranne i rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore, concorrono integralmente a formare il reddito. Per quanto riguarda, invece, la documentazione che, provenendo dal vettore, legittima l'esclusione di tale rimborso di spesa dal concorso al reddito imponibile, si ritiene che, oltre alla documentazione rilasciata dal vettore (biglietti dell'autobus. ricevuta del taxi), sia necessario soltanto che dalla documentazione interna risulti in quale giorno l'attività del dipendente è stata svolta all'esterno della sede di lavoro. È opportuno ribadire che non assume alcuna rilevanza l'ampiezza del comune in cui il dipendente ha la sede di lavoro, neppure nell'ipotesi in cui esista una legge che preveda la corresponsione di una indennità per coloro che si recano in missione fuori dalla sede di servizio in località distanti almeno 10 chilometri (cfr. legge 26 luglio 1978, n. 417.) Alla stregua, infatti, della disposizione contenuta nel comma 5 dell'art. 48 concorrono a formare il reddito le indennità e i rimborsi spese per trasferte in località comprese nel territorio comunale, anche se più distanti di 10 Km dal centro abitato o dalla località in cui hanno sede l'ufficio o l'impianto, con la sola esclusione dei rimborsi delle spese di trasporto, comprovate da documenti provenienti dal vettore, e non assume alcun rilievo la eventuale ripartizione del territorio in entità subcomunali, come le frazioni, dovendosi comunque aver riguardo al territorio comunale;

- trasferte fuori del territorio comunale dove si trova la sede di lavoro: è possibile distinguere tre sistemi l'uno alternativo all'altro schematizzabili nel modo seguente:

1. indennità forfetaria: le indennità di trasferta sono escluse dall'imponibile fino all'importo di lire 90.000 al giorno, elevate a 150.000 per le trasferte all'estero. Si ricorda che gli importi della indennità che non devono essere assoggettati a tassazione erano già stati così elevati (90.000 e 150.000) rispetto ai precedenti (60.000 e 100.000) dall'art. 33, comma 3, del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, con effetto dalle trasferte iniziate successivamente alla data del 24 febbraio 1995. Va peraltro precisato che deve ritenersi superato il disposto del comma 5, dello stesso art. 33 nella parte in cui prevede che l'Amministrazione finanziaria può rivedere gli importi delle franchigie delle indennità di trasferta "indicati nel comma 4 dell'art. 48" (ora comma 5) con il D.P.C.M. previsto dall'art. 3, comma 2, del D.L. 2 marzo 1989, n. 69, convertito dalla legge 27 aprile 1989, n. 154, con il quale vengono annualmente adeguate le detrazioni per carichi familiari dell'art. 12 e altre detrazioni dell'art. 13 del T.U.I.R. sulla base dell'indice Istat. Come si vedrà in seguito, nell'articolo 48 è stato inserito un nuovo comma, in base al quale l'Amministrazione finanziaria può, in presenza di alcune condizioni, aggiornare gli importi che secondo il nuovo articolo 48 non concorrono a formare il reddito. Questa nuova previsione supera la precedente, che potrà eventualmente essere applicata soltanto per adeguare i limiti fissati dalla stessa legge n. 85 del 1995 ai fini della deducibilità, nella determinazione del reddito del datore di lavoro, delle spese di vitto e alloggio relative alle trasferte dei dipendenti. La quota di indennità che non concorre a formare il reddito non subisce alcuna riduzione in relazione alla durata della trasferta e, pertanto, anche nell'ipotesi di trasferta inferiore a 24 ore o, più in generale, di trasferta che per la sua durata non comporti alcun pernottamento fuori sede, la quota di franchigia esente resta fissata a lire 90.000 al giorno per le trasferte in Italia e a lire 150.000 al giorno per quelle all'estero. I rimborsi analitici delle spese di viaggio, anche sotto forma di indennità chilometrica, e di trasporto non concorrono comunque a formare il reddito quando le spese stesse siano rimborsate sulla base di idonea documentazione, mentre restano assoggettati a tassazione tutti i rimborsi di spesa, anche se analiticamente documentati, corrisposti in aggiunta all'indennità di trasferta (salvo quanto precisato nel prosieguo per l'ipotesi del rimborso misto);

2. rimborso misto: nel caso venga corrisposta, unitamente al rimborso analitico delle spese di vitto e alloggio anche un'indennità di trasferta, le franchigie di 90 e 150 mila lire sono ridotte (ed è questa, dunque, l'unica ipotesi in cui le franchigie di esenzione sono ridotte, cioè in presenza di rimborsi di tipo misto). In particolare, la quota esente è ridotta di un terzo in caso di rimborso delle spese di alloggio o di vitto, nonché nei casi di alloggio o di vitto fornito gratuitamente e di due terzi in caso di rimborso sia delle spese di alloggio che di quelle di vitto o di vitto e alloggio forniti gratuitamente. I rimborsi analitici delle spese di viaggio, anche sotto forma di indennità chilometrica, e di trasporto non concorrono comunque a formare il reddito quando siano effettuati sulla base di idonea documentazione, mentre ogni altro eventuale rimborso di spese (ulteriori rispetto a vitto, alloggio, viaggio e trasporto) è assoggettato interamente a tassazione;

3. rimborso analitico: i rimborsi analitici delle spese di vitto e alloggio, quelli delle spese di viaggio, anche sotto forma di indennità chilometrica, e di trasporto, non concorrono a formare il reddito. È, inoltre, escluso da imposizione il rimborso di altre spese (ulteriori rispetto a quelle di viaggio, trasporto, vitto e alloggio, ad esempio, la lavanderia, il telefono, il parcheggio, le mance, ecc.), anche non documentabili, se analiticamente attestate dal dipendente in trasferta, fino ad un importo di lire 30.000 al giorno, elevato a 50.000 per le trasferte all'estero. L'eventuale corresponsione, in aggiunta al rimborso analitico, di una indennità, indipendentemente dall'importo, concorre interamente a formare il reddito di lavoro dipendente.

Come è agevole rilevare, la nuova disciplina rende quasi irrilevante la scelta tra il sistema di rimborso misto e quello analitico, in quanto una volta rimborsate le spese di vitto, alloggio, viaggio e trasporto, possono essere corrisposte, in esenzione da imposte, soltanto lire 30.000 da attribuire o quale indennità (quindi, prescindendo dal sostenimento di altre spese) o quali ulteriori spese, anche non documentabili, ma comunque analiticamente attestate dal dipendente. È opportuno precisare, tuttavia, che la scelta per uno dei sistemi sopra esposti va fatta con riferimento all'intera trasferta. Non è consentito, pertanto, nell'ambito di una stessa trasferta adottare criteri diversi per le singole giornate comprese nel periodo in cui il dipendente si trova fuori dalla sede di lavoro. Per quanto riguarda la documentazione del viaggio e trasporto, mentre le spese per i viaggi compiuti con mezzi pubblici (ferrovie, aerei, ecc.) sono direttamente documentabili mediante l'esibizione da parte del dipendente dei relativi biglietti, quelle per i viaggi compiuti con propri mezzi devono essere determinate dallo stesso datore di lavoro sulla base di elementi concordanti, sia diretti che indiretti.

Relativamente all'indennità chilometrica per le trasferte fuori del comune dove il dipendente ha la sede di lavoro, si precisa che, al fine di consentire l'esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente dell'indennità chilometrica, non è necessario che il datore di lavoro provveda al rilascio di una espressa autorizzazione scritta che contenga tutti i dati relativi alla percorrenza e al tipo di autovettura ammessa per il viaggio. È, invece, necessario che, in sede di liquidazione, l'ammontare dell'indennità sia determinato avuto riguardo alla percorrenza, al tipo di automezzo usato dal dipendente e al costo chilometrico ricostruito secondo il tipo di autovettura. Detti elementi dovranno risultare dalla documentazione interna conservata dal datore di lavoro.

Va, inoltre, precisato che, in merito al trattamento di missione corrisposto ai dipendenti del settore pubblico, la disciplina di carattere generale riguardante il trattamento economico di missione, prevede che la corresponsione di detta indennità si ha quando il dipendente è incaricato di svolgere temporaneamente un servizio fuori della sua abituale sede d'ufficio. La temporaneità è riferita ad una esigenza di servizio di carattere transitorio, dato che per esigenze permanenti non si fa ovviamente ricorso all'istituto della missione ma a quello del trasferimento. Sempre il medesimo ordinamento detta la disciplina in concreto applicabile nel caso della trasferta, individuando, ad esempio, la distanza chilometrica minima, l'orario minimo impiegato (incluso il viaggio) ed altri aspetti di vario genere che devono sussistere nella fattispecie.

Un certo rilievo presenta anche la durata massima della missione ed il criterio in base al quale la stessa deve essere computata, atteso che in tal modo si viene a stabilire se ed in quale misura debba essere corrisposta l'indennità di missione.

Lo schema di fondo di questa particolare disciplina è fornito dall'art. 1 della legge 18 dicembre 1973, n. 836, come integrato dall'art. 1 del D.P.R. 16 gennaio 1978, n. 513, nonché dalla legge 26 luglio 1978, n. 417. Dalla lettura congiunta di questi articoli si desume che:

a) la missione eseguita, anche saltuariamente, in una stessa località, non può mai superare i 240 giorni (è il concetto di "missione unica e continuativa");

b) l'interruzione per un periodo superiore a 60 giorni fa venir meno la missione continuativa;

c) le interruzioni dovute a motivi diversi da quelli di servizio (compresi i periodi di aspettativa, di congedo ordinario e straordinario) non si computano ai fini della durata e del rinnovo della missione.

Sulla base di questa disciplina, è stato agevolmente concluso che, all'eventuale attribuzione di trattamenti economici di missione continuativa protrattasi per un periodo superiore ai 240 giorni non può applicarsi il particolare trattamento fiscale previsto per i casi di trasferta (detassazione dell'indennità forfetaria fino a lire 90.000 giornaliere) perché dopo 240 giorni come sopra calcolati - la percezione sotto qualsiasi forma della relativa indennità non è correlabile ad una temporaneità della trasferta e, conseguentemente, le somme eventualmente corrisposte a titolo di indennità di missione sono, fin dall'inizio, soggette a tassazione secondo i criteri previsti per le normali voci retributive, sempreché non ricorrano i presupposti per una diversa qualificazione e, cioè quali indennità di trasferimento (se, invece, una trasferta occasionale si trasforma in un trasferimento, per le indennità corrisposte per i giorni di trasferta compiuti prima dell'avvenuto trasferimento si renderà applicabile la specifica disciplina prevista per le indennità di trasferta). Una analoga disposizione di legge non è prevista per i dipendenti del settore privato, ai quali, quindi, la suddetta disciplina non è immediatamente applicabile, anche perché in questo settore il contratto collettivo nazionale di lavoro e lo stesso contratto individuale di lavoro assumono un ruolo assai rilevante. Si può ritenere tuttavia, che la stessa possa essere di ausilio allorquando si renda necessario stabilire se la corresponsione di indennità di trasferta per un periodo particolarmente lungo non nasconda, invece, una diversa fattispecie, come, ad esempio un trasferimento. È comunque indispensabile evitare l'assunzione di criteri generalizzati e procedere all'esame della singola fattispecie poiché a seconda dell'attività di lavoro può essere giustificato un periodo più o meno lungo di trasferta. Ad esempio, nel settore dell'edilizia è lecito pensare che il dipendente in trasferta presso un cantiere vi permanga fino alla fine dei lavori, e, quindi, anche per un periodo superiore a 240 giorni. Va, infine, precisato che l'art. 1 della legge 25 marzo 1986, n. 80 estende la disciplina prevista dall'articolo 48 del T.U.I.R. per le trasferte dei lavoratori dipendenti, alle indennità di trasferta, al netto delle relative spese di vitto, alloggio e viaggio documentate o delle indennità chilometriche, e i rimborsi forfetari di spese, corrisposti ai soggetti che svolgono attività sportiva dilettantistica in manifestazioni sportive organizzate e svolte sotto il controllo del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, delle federazioni Sportive nazionali, dei rispettivi organismi internazionali, nonché degli enti ed associazioni di cui all'articolo 31 del D.P.R. 2 agosto 1974, n. 530. Le stesse disposizioni, si applicano ai soggetti che effettuano prestazioni a titolo gratuito, preposti, secondo l'ordinamento sportivo, a realizzare lo svolgimento delle manifestazioni sportive e ad assicurarne la regolarità, quali i giudici di gara, i giudici di linea, i commissari di campo, i cronometristi, il personale addetto ai controlli, il personale sanitario, ecc.. L'applicabilità del regime previsto dall'articolo 48 riguarda sia le indennità corrisposte per le trasferte relative allo svolgimento delle manifestazioni sportive vere e proprie, sia quelle corrisposte per le trasferte necessarie agli allenamenti preparatori delle manifestazioni stesse. Tale disposizione deve ritenersi ancora in vigore, benché non richiamata, ciò in quanto le indennità e i rimborsi in questione sono qualificati redditi diversi dall'articolo 81, comma 1, lettera m), del T.U.I.R. e, quindi, la disposizione non può ritenersi tacitamente soppressa dall'articolo 9, comma 3, del decreto legislativo in esame, che stabilisce, invece, l'abrogazione di tutte le disposizioni che dettano regole di determinazione dei redditi di lavoro dipendente e che non sono contenute nei corrispondenti riformulati articoli del T.U.I.R.

2.4.2 Indennità e maggiorazioni di retribuzione ai "trasfertisti"

Il comma 6 dell'articolo 48 del T.U.I.R. stabilisce il trattamento fiscale delle indennità e delle maggiorazioni di retribuzione corrisposte ai cosiddetti "trasfertisti". Si tratta di quei lavoratori tenuti per contratto all'espletamento dell'attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, ai quali, in funzione delle modalità di svolgimento dell'attività, vengono attribuite delle somme non in relazione ad una specifica "trasferta" (quest'ultimo istituto presuppone che il lavoratore, più o meno occasionalmente, venga destinato a svolgere un'attività fuori della propria sede di lavoro). Si è visto nel paragrafo precedente che il lavoratore dipendente è tenuto a prestare la sua attività nel luogo indicato dal datore di lavoro e che la sede di lavoro è rilevabile dal contratto o dalla lettera di assunzione. È stato, poi, sottolineato come il legislatore fiscale, coerentemente con i criteri generali vigenti nell'ordinamento fiscale, abbia stabilito un regime differenziato di tassazione delle indennità di trasferta, a seconda che le stesse siano svolte all'interno o all'esterno del territorio comunale in cui il dipendente ha la sede di lavoro e come tale criterio differenziato, ritenuto legittimo anche dalla Corte Costituzionale, sia giustificato tra l'altro dalla circostanza che al lavoratore dipendente viene riconosciuta una specifica detrazione d'imposta, a fronte anche delle spese di produzione del reddito. In virtù di questo, tutte le somme e i valori che il dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro, compresi i rimborsi di spese, sono assoggettati integralmente a tassazione, salvo le tassative deroghe contenute nello stesso articolo 48. Il comma 6 contiene una deroga al principio dell'integrale tassazione di tutto ciò che il dipendente riceve, che è assolutamente nuova rispetto alla precedente disciplina del reddito di lavoro dipendente, che consiste nella riduzione del 50% della base imponibile delle indennità e delle maggiorazioni di retribuzioni che vengono attribuite ad alcuni lavoratori dipendenti proprio in funzione delle particolari caratteristiche dell'attività di lavoro. Si devono comprendere nell'ambito di questa disposizione tutti quei soggetti ai quali viene attribuita una indennità, chiamata o meno di trasferta, ovvero una maggiorazione di retribuzione, che in realtà non è precisamente legata alla trasferta poiché è attribuita, per contratto, per tutti i giorni retribuiti, senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove si è svolta la trasferta. È irrilevante, ai fini della tassazione, cercare le motivazioni di detta decisione contrattuale, se cioè dipenda da una volontà delle parti di semplificare le modalità di calcolo della retribuzione, trattandosi comunque di soggetti che per l'attività svolta sono di frequente in trasferta, ovvero se dipenda dal fatto che si tratta di soggetti il cui contratto o lettera di assunzione non prevede affatto una sede di lavoro predeterminata, cosicché non è possibile individuare quando il dipendente sia in trasferta, né, tanto meno, se è in trasferta all'interno del territorio comunale o all'esterno del territorio stesso. In queste ipotesi, cioè quando l'indennità o la maggiorazione di retribuzione è attribuita con carattere continuativo e senza alcun controllo circa l'effettuazione o meno di prestazioni in trasferta o del luogo di trasferta (e, in assenza di specifiche disposizioni agevolative, il legislatore avrebbe dovuto prevedere l'integrale tassazione), tenuto conto, evidentemente, delle particolari modalità di svolgimento della prestazione stessa e delle esigenze di semplificazione, è stata prevista una riduzione al 50 per cento della base imponibile. È appena il caso di precisare che, in linea di principio, per i soggetti cui si rende applicabile questa disposizione non dovrebbe mai verificarsi anche l'ipotesi della trasferta vera e propria, tuttavia, ove, con riferimento ad uno o più specifici incarichi, ricorrano tutte le condizioni previste dal precedente comma 5, il lavoratore dipendente avrà diritto, per le indennità e i rimborsi spese riferibili a quegli incarichi, al trattamento previsto per le indennità di trasferta. In questa disposizione, infatti, il legislatore non ha espressamente escluso la possibilità di applicare, laddove ne ricorrano i presupposti, anche la specifica disciplina prevista per le indennità di trasferta, come, invece, ha stabilito a proposito delle indennità di trasferimento (cfr. paragrafo 2.4.4.). Al fine di evitare pericolosi fenomeni elusivi è stata, altresì, prevista la possibilità di stabilire, con apposito decreto del Ministro delle finanze, di concerto con quello del lavoro e della previdenza sociale, categorie di lavoratori e condizioni di applicabilità della disposizione in questione.

2.4.3. Indennità di volo e indennità ai messi notificatori

Lo stesso comma 6 dell'articolo 48 stabilisce il medesimo trattamento previsto per le indennità e le maggiorazioni di retribuzioni corrisposte ai "trasfertisti", anche per le indennità di navigazione e di volo previste dalla legge o dal contratto collettivo e per le indennità corrisposte ai messi notificatori. Pertanto, anche per queste indennità viene riconosciuta una riduzione del 50 per cento della base imponibile. Per le indennità di navigazione e volo la riduzione è inferiore a quella del 60 per cento prevista dal comma 5 della precedente formulazione dell'articolo 48 e, peraltro, a seguito dell'unificazione, ha effetto anche a fini previdenziali; si ricorda che le indennità in questione, prima dell'unificazione, erano integralmente assoggettate a contribuzione. Va rilevato che la previsione della riduzione della base imponibile delle indennità di volo e navigazione non riguarda soltanto le indennità di volo e quelle di cui al codice della navigazione, già esonerate in base all'art. 6 del D.P.R. 5 aprile 1978, n. 131, ma tutte le indennità di volo e le indennità di navigazione (di ogni tipo e, quindi, percepite da dipendenti pubblici o privati, o dal personale militare e tecnico del registro Aeronautico Italiano compresa la panatica dei marittimi imbarcati). Va ribadito che la percezione dell'indennità di imbarco è legata all'effettiva prestazione del servizio sui mezzi navali atti alla navigazione e l'indennità non può competere al personale collocato a riposo. Relativamente a detti soggetti, non si è in presenza di indennità di imbarco, bensì di una valutazione dei periodi di servizio nei quali le indennità stesse sono state percepite ai fini del calcolo del trattamento di quiescenza spettante al personale a riposo che durante la propria carriera ha trascorso periodi in posizione di imbarco; pertanto non è possibile applicare il comma 6 dell'articolo 48. La disposizione in esame, è, invece, applicabile a tutte le indennità sia del settore marittimo che del settore aereo, tanto se previste dalla legge quanto se previste dai contratti collettivi di lavoro, che premiano l'effettivo imbarco, con lo svolgimento delle funzioni connesse.

Per quanto riguarda, invece, le indennità di cui all'articolo 133 del D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, corrisposte ai messi notificatori, la previsione dell'assoggettamento a tassazione nella misura del 50 per cento è del tutto innovativa e di favore, atteso che fino ad oggi le stesse concorrevano integralmente a formare il reddito imponibile. La stessa Corte di Cassazione, (Sez. I civ. del 9 maggio 1991, sentenza n. 5197) aveva precisato che l'indennità attribuita agli Ufficiali giudiziari per il servizio di notifica era tassabile ai fini dell'IRPEF in quanto "all'ufficiale giudiziario compete la predetta indennità non per ogni uscita dall'edificio ove l'ufficio ha sede, ma per ogni atto che compie fuori dall'edificio predetto; ed è chiaro, allora, che se è prevista una pluralità di introiti (corrispondenti al numero di atti) anche a fronte di una spesa unica, si è in tema di indennità di tipo retributivo, non di rimborso spese." La stessa Corte aveva osservato che la circostanza che l'indennità in questione fosse comprensiva anche del rimborso spese non legittimava la conclusione dell'intassabilità, in quanto il legislatore fiscale, nell'art. 48 del T.U.I.R., non dettava in questo caso i criteri per stabilire quale parte dell'indennità dovesse essere considerata tassabile e quale, invece, fosse esclusa. In senso conforme, si era espresso anche lo scrivente. La questione risulta ora definitivamente risolta in quanto, appunto, per le indennità corrisposte ai messi notificatori, è stata stabilita, a decorrere dal 1° gennaio 1998, una riduzione al 50 per cento dell'importo da assoggettare a tassazione. È appena il caso di ribadire, invece, che la tassa del dieci per cento dovuta sui proventi degli ufficiali giudiziari e loro aiutanti ai sensi dell'articolo 154 del medesimo decreto presidenziale n. 1229 del 1959, mentre resta esclusa dalla base imponibile ai fini dell'applicazione della ritenuta alla fonte, non può essere considerata come acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dagli ufficiali giudiziari.

2.4.4. Indennità di trasferimento, di prima sistemazione ed equipollenti

Il comma 7 dell'articolo 48 fissa uno speciale regime per le somme corrisposte in occasione del trasferimento della sede di lavoro del dipendente. Infatti, al fine di tener conto delle reali esigenze dei lavoratori trasferiti e per evitare che fattispecie di tal genere vengano fatte confluire nell'ambito della disciplina delle trasferte, è stato disposto che le indennità di trasferimento ed equipollenti, fruiscono di un abbattimento al 50% della base imponibile. L'importo escluso da tassazione non può superare un importo massimo che è diversificato a seconda che il trasferimento avvenga all'interno del territorio nazionale o dal territorio nazionale all'estero e viceversa o estero su estero, rispettivamente, 3 milioni per il territorio nazionale e 9 milioni per quelli con l'estero (12 milioni se nello stesso anno il dipendente subisce un trasferimento all'estero e uno in Italia). Contestualmente, è stato espressamente previsto che tale trattamento di favore non può essere riconosciuto che per il primo anno, intendendosi per anno un periodo di 365 decorrente dalla data del trasferimento. Al riguardo va precisato che una volta fissato l'importo dell'indennità e la relativa quota esente, la materiale erogazione può anche avvenire in più periodi d'imposta se ciò è più agevole per la parti. Così, ad esempio, se per il trasferimento avvenuto nel territorio nazionale è stata stabilita una indennità di lire 10 milioni, la quota teoricamente esente dovrebbe essere di lire 5 milioni, ma poiché superiore all'importo massimo esentabile, la detta quota esente va ridotta a lire 3 milioni. Supponendo che l'indennità, per esigenze di liquidità del datore di lavoro, venga corrisposta in due rate, la prima nell'anno di trasferimento, pari a lire 2 milioni, e la seconda, pari a lire 7 milioni l'anno successivo, nel primo anno tutto l'importo erogato sarà escluso da tassazione e nel secondo anno sarà esentato il primo dei sette milioni corrisposti.

La disposizione stabilisce anche che il rimborso di talune spese da parte del datore di lavoro, in aggiunta alla corresponsione dell'indennità, se analiticamente documentate, non costituisce reddito imponibile. Si tratta soltanto di:

1. spese di viaggio, anche per i familiari fiscalmente a carico ai sensi dell'articolo 12 del T.U.I.R., e di trasporto delle cose, strettamente collegate al trasferimento. Non vi rientrano i successivi viaggi che il dipendente nel corso dell'anno faccia, ad esempio, per visitare la famiglia che non si è trasferita con lui;

2. spese ed oneri sostenuti dal dipendente in qualità di conduttore, per recesso dal contratto di locazione in dipendenza dell'avvenuto trasferimento della sede di lavoro.

Va, infine, precisato che la disposizione non subordina il trattamento di favore previsto per tali indennità a circostanze particolari che originano il trasferimento della sede di lavoro, né al trasferimento della residenza anagrafica. Si deve ritenere, pertanto, che lo stesso possa essere applicato anche nell'ipotesi in cui la corresponsione di indennità di prima sistemazione o equipollente avvenga in occasione di un trasferimento a richiesta del dipendente, così come se, invece, il trasferimento è dovuto ad un'assegnazione del dipendente ad una sede diversa da quella originaria in relazione al trasferimento in altro comune del datore di lavoro stesso ovvero di parte dei propri uffici.

 

 

2.5. Assegni di sede e altre indennità per servizi prestati all'estero

Il comma 8 dell'articolo 48 del T.U.I.R. conferma, con alcune novità, l'attuale regime degli assegni di sede e delle altre indennità percepite per servizi prestati all'estero, contenuto nel comma 5 dell'articolo 48 nella precedente formulazione. In particolare, è stata elevata la base imponibile di dette indennità e assegni dal 40% al 50%; è stato confermato che se per i servizi prestati all'estero dai dipendenti delle Amministrazioni statali la legge prevede la corresponsione di una indennità base e di maggiorazioni ad essa collegate concorre a formare il reddito la sola indennità base nella misura del 50 per cento; è stato espressamente precisato che qualora l'indennità per servizi prestati all'estero comprenda emolumenti spettanti anche con riferimento all'attività prestata nel territorio nazionale, la riduzione compete solo sulla parte eccedente gli emolumenti predetti. Inoltre, come già rilevato, non è più contenuta in questo comma la previsione relativa alle indennità di volo e di navigazione, che, invece, è stata trasferita nel precedente comma 7. Infine, va osservato, che è stato, espressamente previsto che l'applicazione di questa disposizione esclude la possibilità di fruire per la medesima fattispecie della disciplina delle trasferte. In pratica, il lavoratore dipendente non può fruire contemporaneamente delle due previsioni agevolative. La precisazione potrebbe risultare priva di effettivo contenuto atteso che si tratta di due ipotesi diverse: nelle trasferte lo spostamento è del tutto momentaneo ed è collegato allo svolgimento di uno specifico incarico, l'assegno di sede e le indennità per i servizi prestati all'estero sono, invece, collegati ad un trasferimento, sia pure a tempo determinato, della sede di lavoro del dipendente.

La disposizione in esame pone dei difficili problemi interpretativi a causa della previsione esonerativa contenuta nell'articolo 3, comma 3, lettera c), del T.U.I.R. Si ricorda che, in base alla norma da ultimo citata, non concorrono a formare il reddito complessivo i redditi di lavoro dipendente prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto e, quindi, la disposizione contenuta nel comma 8 (nella precedente disciplina era il comma 5) dell'articolo 48 non può che avere carattere residuale, in quanto in primo luogo si deve verificare se per caso non ricorrono le condizioni previste nell'articolo 3 citato e soltanto dopo si può considerare se spetti la riduzione della base imponibile prevista dall'articolo 48. Il decreto legislativo in commento ha disposto la soppressione dell'articolo 3, comma 3, lettera c), del T.U.I.R.; tuttavia, per espressa previsione normativa, la disposta soppressione è stata differita al periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2000. Pertanto, fino a tale data l'articolo 48, comma 8, continuerà ad avere carattere residuale, per estendere successivamente il suo ambito applicativo anche alle ipotesi di redditi di lavoro dipendente prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto. Sulla base della legislazione vigente al primo gennaio 1998, si deve ritenere che la norma in esame abbia riguardo all'espletamento di attività di lavoro dipendente all'estero da parte dei cittadini italiani, o comunque di soggetti iscritti nelle anagrafi della popolazione residente (altrimenti mancherebbe il presupposto per la soggezione all'imposizione italiana), e per motivi diversi dalla semplice trasferta all'estero, che è regolata dal comma 5 dell'art. 48 del T.U.I.R. Cioè ha riguardo a soggetti che si considerano residenti in Italia ai sensi del secondo comma dell'art. 2 del T.U.I.R. e che non prestano all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto la propria attività di lavoro dipendente, nel qual caso i relativi redditi sarebbero esclusi dalla base imponibile in forza di quanto disposto dall'art. 3, comma 3, lett. c), del T.U.I.R.

Da ciò consegue che la disposizione in esame si rende applicabile solo alle seguenti categorie di soggetti:

1) prestatori di lavoro dipendente del settore privato residenti in Italia in base all'articolo 2 del T.U.I.R. che, non in base a trasferta, svolgono la loro attività all'estero in via non continuativa e non come oggetto esclusivo del rapporto;

2) cittadini italiani che si trovano all'estero per prestarvi servizio nell'interesse di pubbliche amministrazioni e altri enti pubblici non economici e che istituzionalmente non svolgono all'estero l'attività stessa in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto.

Come precisato anche in passato si ritiene che rientri nell'ipotesi del comma 8 dell'art. 48, sia l'assegno di confine in valuta estera corrisposto ai sensi della legge 28 dicembre 1989, n. 425, che le indennità di servizio all'estero spettanti al personale di cui alla legge 27 dicembre 1973, n. 838.

Va osservato, infine, che, per effetto del comma 3 dell'articolo 9 del decreto legislativo in esame, dall'entrata in vigore del decreto legislativo stesso, cessano di avere vigore tutte le disposizioni concernenti la determinazione dei redditi di lavoro dipendente non contenute nel T.U.I.R., e, quindi, ad esempio, anche quelle di cui all'articolo 6 del decreto-legge 22 maggio 1993, n. 155, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 243, relative al personale in servizio all'estero in qualità di dipendente statale o di enti o istituti ai sensi degli articoli 152 e seguenti del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 e successive modificazioni.

 

 

2.6. Rivalutazione degli importi che non concorrono a formare il reddito.

Il comma 9 dell'articolo 3 del decreto legislativo in commento, ha previsto una indicizzazione degli ammontari degli importi che non concorrono a formare il reddito. Al riguardo si ritiene che la disposizione abbia un contenuto assai ampio e che nella locuzione siano compresi tutti gli ammontari che, a qualunque titolo, non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente. Vi rientrano, pertanto, a titolo di esempio, l'importo massimo delle erogazioni liberali, quello dei contributi sanitari e per previdenza complementare, quello delle prestazioni sostitutive del servizio di mensa, quello del valore dei beni ceduti e dei servizi prestati al dipendente, la franchigia delle indennità di trasferta, ecc. La rivalutazione degli importi può essere deliberata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, quando la variazione percentuale del valore medio dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati relativo al periodo di dodici mesi che termina il 31 agosto supera il 2 per cento rispetto al valore medio del medesimo indice rilevato con riferimento allo stesso periodo dell'anno 1998. L'anno 1998, cioè l'anno di entrata in vigore della nuova disciplina, resta, quindi, il punto di riferimento fisso che dovrà essere tenuto in considerazione nell'ipotesi in cui s'intenda verificare se sussistono le condizioni per procedere alla rivalutazione degli ammontari degli importi che non concorrono a formare il reddito.

 

 

2.7. Circolari e risoluzioni confermate.

Restano confermate:

- la voce di Appendice delle istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni dei redditi intitolata: "Stipendi e pensioni prodotti all'estero.";

- la voce di Appendice delle istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni dei redditi intitolata: "Redditi esenti e rendite che non costituiscono reddito;

- la risoluzione n. 8/937 del 30 agosto 1977, con la quale è stata ritenuta non equiparabile all'indennità di trasferta la cosiddetta indennità di comando di cui all'art. 8 del D.Lgs. 7 giugno 1949, n. 320, corrisposta al personale dei ruoli centrali delle amministrazioni dello Stato destinato a prestare servizio fuori della Capitale;

- la circolare n. 27 del 3 luglio 1986 e la risoluzione n. 65/E del 4 maggio 1996 con le quali, rispettivamente, è stata illustrata la disciplina concernente i rimborsi spese degli sportivi dilettanti ed è stata precisato che l'applicabilità del regime previsto dall'articolo dell'articolo 48 del T.U.I.R. riguarda sia le indennità corrisposte per le trasferte relative allo svolgimento delle manifestazioni sportive vere e proprie, sia a quelle corrisposte per le trasferte necessarie agli allenamenti preparatori delle manifestazioni stesse.

- la risoluzione n. 8/1201 del 9 giugno 1979, con la quale è stato chiarito che il trattamento agevolativo previsto ai fini della tassazione delle indennità di volo e di navigazione, si applica anche alle indennità di volo e di aeronavigazione corrisposte al personale militare;

- la risoluzione n. 8/572 del 26 aprile 1988 con la quale è stata esclusa la possibilità di applicare il particolare regime di favore delle indennità di volo e navigazione anche alle maggiori somme corrisposte al personale militare in quiescenza per effetto della valenza a fini pensionistici delle indennità della specie percepite in costanza di rapporto;

- la risoluzione n. 8/1740 del 27 gennaio 1988 (salvo che per quanto riguarda la misura della parte esente da imposizione) con la quale è stato chiarito che tra le indennità cui si rende applicabile il regime previsto per le indennità di volo è compresa l'indennità di imbarco corrisposta ai militari in servizio attivo sui mezzi navali;

- la risoluzione n. 10/892 del 1° luglio 1974 e la risoluzione n. 10/1209 del 22 luglio 1974 con le quali è stata riconosciuta la tassabilità delle somme integrative della retribuzione derivanti da transazioni intervenute dinanzi al giudice del lavoro;

- la circolare n. 4 del 8 febbraio 1984 (prot. n. 8/1584) e la circolare n. 12 del 7 maggio 1990 (prot. n. 8/311) con le quali, è stata ribadita la tassabilità dell'indennità integrativa speciale corrisposta ai pubblici dipendenti;

- la circolare n. 31 (prot. n. 8/822) del 30 ottobre 1992, con la quale è stato recepito il parere del Consiglio di Stato del 14 aprile 1992, n. 340/1992 in merito alla tassabilità dell'indennità per ferie non godute;

- la circolare n. 95 (prot. n. 8/1053) del 18 ottobre 1977 e la risoluzione prot. n. 8/777 del 27 marzo 1979 con le quali è stato illustrato l'ambito applicativo dell'articolo 3, comma 3, lettera c), del T.U.I.R., concernenti i redditi di lavoro dipendente prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto. I chiarimenti in essa contenuti avranno effetto fino al 31 dicembre 2000, data da cui decorre la soppressione della disposizione agevolativa;

- la risoluzione n. 12/1197, del 30 luglio 1990, con la quale è stata confermata la non imponibilità delle retribuzioni corrisposte ai marittimi italiani imbarcati su navi che abitualmente operano fuori del territorio nazionale.

 

 

3. Ritenute sui redditi di lavoro dipendente.

L'articolo 7, comma 1, lettera d), del decreto legislativo in commento, sostituisce l'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, concernente le ritenute sui redditi di lavoro dipendente.

 

 

3.1. Soggetti obbligati ad effettuare le ritenute.

L'articolo 23 del citato D.P.R. ai commi 1 e 5 individua i soggetti tenuti ad effettuare, con obbligo di rivalsa, una ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti sui redditi di lavoro dipendente loro corrisposti.

Tali soggetti sono:

1) gli enti e le società di cui all'articolo 87, comma 1, del T.U.I.R., e cioè:

a) le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato;

b) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;

c) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;

d) le società e gli enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato. Si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d'imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato, per i redditi corrisposti da loro sedi fisse in Italia.

Tra gli enti diversi dalle società di cui alle lettere b) e c), si comprendono, oltre alle persone giuridiche, le associazioni non riconosciute, i consorzi, le aziende speciali istituite ai sensi degli articoli 22 e 23 della legge 8 giugno 1990, n. 142 e le altre organizzazioni non appartenenti a altri soggetti. Tra le società e gli enti di cui alla lettera d) sono comprese anche le società e le associazioni indicate nell'articolo 5 del T.U.I.R.;

2) le società e le associazioni indicate nell'articolo 5 del T.U.I.R., e cioè:

- le società semplici;

- le società in nome collettivo;

- le società in accomandita semplice;

- le società di armamento;

- le società di fatto;

- le società o associazioni fra artisti e professionisti per l'esercizio in forma associata dell'arte o professione;

3) le persone fisiche che esercitano attività da cui derivano redditi d'impresa (imprese commerciali) ai sensi dell'articolo 51 del T.U.I.R. o imprese agricole per i redditi corrisposti nell'esercizio dell'attività;

4) le persone fisiche che esercitano arti e professioni ai sensi dell'articolo 49 del T.U.I.R. quando corrispondono redditi di lavoro dipendente (somme e valori di cui all'articolo 48 del T.U.I.R.) deducibili ai fini della determinazione del loro reddito di lavoro autonomo.

È opportuno ricordare che, ai sensi dell'articolo 11, comma 3, del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, soggetto obbligato ad effettuare le ritenute previste nel Titolo III del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 è anche il Gruppo europeo di interesse economico (GEIE), il quale è anche tenuto a presentare la dichiarazione in qualità di sostituto d'imposta.

Va sottolineato, infine, che il disegno di legge collegato alla finanziaria del 1998, in corso di approvazione, contiene una disposizione modificativa del testo dell'articolo 23 in discorso, volta ad inserire nel comma 1 anche gli esercenti arti e professioni, con conseguente soppressione del comma 5, e i condomini. Per effetto di questa modifica dal primo gennaio 1998 i condomini acquisteranno la qualifica di sostituti d'imposta, della quale erano privi, mentre gli esercenti arti e professioni, che, come sopra precisato, rivestivano tale qualifica soltanto con riferimento ai redditi di lavoro dipendente deducibili nella determinazione del proprio reddito, acquisteranno la qualifica di sostituti d'imposta in maniera piena e così saranno tenuti ad effettuare le ritenute anche sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente eventualmente corrisposti, nonché, per effetto del richiamo contenuto nell'articolo 25 dello stesso decreto ai soggetti del comma 1 dell'articolo 23, anche con riferimento ai compensi di lavoro autonomo corrisposti ad altri professionisti o ai collaboratori coordinati e continuativi.

 

 

3.2. Somme e valori soggetti a ritenuta di acconto.

Si è già detto che i sostituti d'imposta come sopra individuati devono effettuare, con obbligo di rivalsa, una ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta sui redditi di lavoro dipendente loro corrisposti. È ora opportuno porre in rilievo che sulla base delle disposizioni contenute nel nuovo articolo 23 del D.P.R. n. 600 del 1973, i sostituti d'imposta saranno tenuti ad effettuare la ritenuta di acconto ogni qual volta corrispondono somme e valori di cui all'articolo 48 del T.U.I.R. A tale riguardo va sottolineato come, rispetto alla precedente formulazione dell'articolo 23, l'obbligo di effettuare la predetta ritenuta sia stato previsto per la corresponsione di somme e valori di cui all'articolo 48 del T.U.I.R. e non più soltanto per quella di "compensi e altre somme di cui all'articolo 46 dello stesso decreto per prestazioni di lavoro dipendente" e che è stato eliminato ogni riferimento alla circostanza che il percipiente assuma la qualifica di dipendente dello stesso sostituto che corrisponde le somme e i valori. In pratica, non è più previsto, ai fini dell'applicazione della ritenuta di acconto, la contemporanea sussistenza dei due presupposti prima richiesti: il soggetto erogante doveva rivestire la qualifica di sostituto di imposta; le somme e i valori dovevano essere corrisposti in funzione di una prestazione di lavoro dipendente. In tal modo, tenuto conto, che l'articolo 48 citato nella norma in commento, come è stato illustrato nei paragrafi precedenti, disciplina in linea generale la determinazione dei redditi di lavoro dipendente, vale a dire quelli che sono considerati tali ai sensi del comma 1 dell'articolo 46 del T.U.I.R., nonché di quelli che ai sensi del comma 2 dello stesso articolo 46 sono equiparati a quelli di lavoro dipendente e di quelli che, a norma dell'articolo 6, comma 2, dello stesso T.U.I.R. sono qualificati come proventi, indennità e somme sostitutive di redditi di lavoro dipendente, l'obbligo di effettuare la ritenuta tenendo conto anche di questo valore incombe sul datore di lavoro, che è tenuto ad acquisirne l'importo. Un meccanismo analogo di comunicazioni dovrà essere istituito in presenza di un soggetto che ha ricevuto un compenso in natura dal datore di lavoro, ad esempio, un prestito a tasso agevolato e che poi sia collocato a riposo. Il datore di lavoro si trova a corrispondere soltanto il compenso in natura, mentre un ente pensionistico corrisponde il relativo trattamento pensionistico. In questo caso l'ex datore di lavoro sarà tenuto a comunicare all'ente pensionistico e, in mancanza o ritardo, questi ad acquisire, l'importo del valore da assumere a tassazione unitamente al trattamento pensionistico. Analogamente si deve procedere in caso di distacco del dipendente presso un altro datore di lavoro nel caso in cui alcune somme e valori siano corrisposti dal datore di lavoro distaccante e altri dal datore di lavoro presso cui è stato distaccato il dipendente.

Va, inoltre, sottolineato che, per espressa previsione normativa, nel caso in cui la ritenuta da operare sui valori relativi ai compensi in natura non trova capienza, in tutto o in parte sui contestuali pagamenti in denaro, il sostituito è obbligato a fornire al sostituto le somme necessarie al versamento. In tal caso il sostituto è tenuto comunque a versare le ritenute all'erario nei termini ordinariamente previsti, anche se il sostituito non ha ancora provveduto al pagamento. Si ritiene che tale previsione si renda applicabile tanto in presenza di contestuali pagamenti in denaro quanto in assenza dei predetti pagamenti in denaro. L'ipotesi si verifica, ad esempio, quando il sostituto si trova a dover effettuare la ritenuta soltanto sul compenso in natura perché in quel periodo di paga il sostituito non ha diritto ad alcun compenso in denaro. Si pensi, ad esempio, al dipendente al quale è stato concesso in uso un immobile dal datore di lavoro e che si trovi a fruire di un periodo di aspettativa dal servizio senza retribuzione di assegni.

 

 

3.3. Periodo di paga.

I sostituti d'imposta devono operare la ritenuta a titolo di acconto sulle somme (stipendi, salari, indennità, ecc.) e i valori corrisposti in ciascun periodo di paga. Il periodo di paga costituisce un criterio pratico per la commisurazione dell'imposta da prelevare per quanto più possibile in coincidenza col momento di percezione del reddito, in vista della tassazione di conguaglio di fine anno o, se antecedente, di fine rapporto di lavoro. Pertanto la tassazione in base al periodo di paga ha carattere provvisorio, in quanto l'imposta, salvo casi particolari di tassazione separata, è dovuta per anno solare, con l'estensione al 12 di gennaio per i compensi corrisposti entro tale data e riferibili al periodo d'imposta precedente, e ad ogni anno corrisponde un'obbligazione tributaria autonoma (articolo 7 del T.U.I.R.). Per la determinazione del periodo di paga si fa riferimento al sistema periodico di pagamento delle retribuzioni, secondo le norme legislative, regolamentari e contrattuali, generalmente costituito dal mese, dalla quindicina, dalla settimana o dalla giornata. Il periodo di paga a mese può essere a cavallo di due mesi solari, ad esempio, 13 gennaio - 12 febbraio e così di seguito fino a 13 dicembre-12 gennaio dell'anno successivo. Per il computo dei termini si applicano le disposizioni contenute nell'articolo 2963 del codice civile. Per l'applicazione della ritenuta, l'anno si deve intendere suddiviso in 12 mesi, 24 quindicine, 52 settimane e 365 giorni (anche negli anni bisestili). Per la determinazione della ritenuta da operare sulle somme e valori, occorre applicare le aliquote dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, previo ragguaglio al periodo di paga degli scaglioni annui di reddito. È necessario pertanto scomporre l'ammontare complessivo delle somme e valori del periodo di paga in tante parti quante sono le frazioni degli scaglioni annui di reddito comprese nel suo ammontare, applicando su ciascuna parte la rispettiva aliquota. Le aliquote dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e gli scaglioni di reddito sono contenute nell'articolo 11 del T.U.I.R. (così come recentemente modificato).

 

 

3.4. Effettuazione della ritenuta.

La ritenuta va applicata sull'ammontare complessivo di tutte le somme e i valori percepiti dal sostituito nel periodo di paga (mese, quindicina, settimana, giornata) in relazione al rapporto di lavoro così come individuati e determinati ai sensi dell'articolo 48 del T.U.I.R., già commentato nei paragrafi da 1 a 6. A tal fine il sostituto d'imposta dovrà procedere per ciascun periodo di paga al cumulo di tutte le somme e i valori imponibili imputabili al periodo stesso secondo il criterio di cassa, con esclusione delle mensilità aggiuntive e dei compensi della stessa natura per i quali è previsto un trattamento autonomo. Si ricorda che, come già chiarito al paragrafo 2.1, il momento di percezione è quello in cui il provento esce dalla disponibilità dell'erogante per entrare nel compendio patrimoniale del percettore. Tale principio si applica anche con riferimento all'imputazione dei valori relativi ai beni e servizi concessi al sostituito. In tal caso, in linea di principio, si dovrà fare riferimento al momento in cui il bene o servizio esce dalla disponibilità dell'erogante per entrare nel compendio patrimoniale del percettore. Relativamente ai contributi che devono concorrere, in tutto o in parte, alla formazione del reddito di lavoro dipendente, ai premi di assicurazioni sanitarie e per infortuni extra-professionali, l'assoggettamento a tassazione deve avvenire nel periodo di paga in cui sono effettuate le erogazioni da parte del sostituto d'imposta.

Sull'ammontare complessivo di tutte le somme e i valori imponibili (dall'importo, dunque, saranno stati anche dedotti i contributi a carico del datore di lavoro, gravanti sul totale delle suddette somme e valori) imputabili al periodo di paga il sostituto d'imposta, per ciascun periodo di paga, dovrà applicare la ritenuta sulla base delle aliquote progressive per scaglioni di reddito rapportati al periodo stesso. L'imposta cosi risultante dovrà essere decurtata delle detrazioni previste negli articoli 12 e 13 dello stesso T.U.I.R., rapportate al periodo stesso. Le detrazioni di cui agli articoli 12 e 13 sono effettuate se il percipiente dichiara di avervi diritto, indica le condizioni di spettanza e si impegna a comunicare tempestivamente le eventuali variazioni. La dichiarazione ha effetto anche per i periodi di imposta successivi. In merito alla necessità di precisare le condizioni di spettanza delle detrazioni si fa presente che si tratta delle condizioni previste negli articoli 12 e 13 del T.U.I.R. Pertanto, tenuto conto della nuova disciplina delle detrazioni per carichi di famiglia, il sostituito deve dichiarare in primo luogo che il familiare, tenuto conto anche delle retribuzioni corrisposte da enti e organismi internazionali, rappresentanze diplomatiche e consolari e missioni, nonché di quelle corrisposte dalla Santa Sede, dagli enti gestiti direttamente da essa e dagli enti centrali della Chiesa cattolica, possiede un reddito complessivo non superiore al limite fissato nel comma 3 dell'articolo 12 del T.U.I.R., che per il 1998 è di lire 5.500.000 al lordo degli oneri deducibili. Per quanto riguarda la detrazione per figli e altri familiari a carico, il sostituito dovrà, altresì, dichiarare la misura percentuale in cui può fruire della corrispondente detrazione (100 per cento se ne fruisce da solo, altra diversa misura se esistono altri soggetti che possono fruire della stessa). L'importo di detta percentuale è liberamente indicato dal sostituito e nessuna indagine va compiuta da parte del sostituto d'imposta circa le motivazioni in base alle quali è stato dichiarato un importo piuttosto che un altro. La maggiore novità della disciplina introdotta è, infatti, costituita proprio dalla possibilità di ripartire la detrazione in questione in modo da consentirne la completa fruizione. Resta fermo che il sostituito può chiedere l'attribuzione della detrazione al 100 per cento soltanto se nessun altro può fruirne, così come se indica, ad esempio, l'80 per cento soltanto il rimanente 20 per cento potrà essere utilizzato da altri eventuali soggetti. Il sostituito deve anche dichiarare se ricorrono le condizioni previste dal comma 2 dello stesso articolo 12 (mancanza fisica di un coniuge), ai sensi del quale avrebbe diritto, soltanto per il primo figlio a carico, alla detrazione prevista per il coniuge in luogo di quella per il figlio. Relativamente alla detrazione per coniuge a carico, il sostituto, salvo eventuale diversa indicazione del sostituito circa il presumibile importo del proprio reddito complessivo per l'anno cui si riferisce la detrazione, deve considerare, in via presuntiva, quale reddito complessivo quello di lavoro dipendente che nel corso dell'anno corrisponde.

Anche per quanto riguarda le detrazioni per redditi di lavoro dipendente, compresa la ulteriore detrazione spettante ai titolari di trattamenti pensionistici di importo complessivamente non superiore a lire 18 milioni che possiedono soltanto (in aggiunta al trattamento pensionistico) il reddito dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale e delle relative pertinenze, il sostituto, salva diversa indicazione del sostituito, deve far riferimento, in via presuntiva, all'ammontare complessivo dei redditi di lavoro dipendente che nel corso dell'anno corrisponde.

Si è già detto che per le somme e gli eventuali valori relativi alle mensilità aggiuntive e per i compensi della stessa natura è stato previsto un trattamento autonomo; è necessario cioè applicare le aliquote dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, ragguagliando a mese i corrispondenti scaglioni annui di reddito. Per mensilità aggiuntive s'intendono tutte quelle somme corrisposte nel corso dell'anno con frequenza superiore all'ordinario periodo di paga e che non costituiscono contabilmente normali integrazioni delle somme relative ai singoli periodi di paga. Vanno considerate tali, oltre alle mensilità aggiuntive propriamente dette (quali la tredicesima, la quattordicesima mensilità, ecc.) anche quelle somme che adempiono alla stessa funzione delle precedenti, quali, ad esempio, le gratifiche natalizie e pasquali, le duecento ore degli edili, le gratifiche annuali di bilancio, i cosiddetti premi trimestrali, semestrali e annuali.

Per quanto riguarda gli emolumenti arretrati relativi ad anni precedenti di cui all'articolo 16, comma 1, lettera b), del T.U.I.R., le ritenute vanno applicate con i criteri di cui all'articolo 18 dello stesso T.U.I.R., intendendo per reddito complessivo netto l'ammontare globale dei redditi di lavoro dipendente corrisposti dal sostituto al sostituito nel biennio precedente, mentre sulla parte imponibile del trattamento di fine rapporto e delle indennità equipollenti e delle altre indennità e somme di cui all'articolo 16, comma 1, lettera a), del T.U.I.R. le predette ritenute vanno effettuate con i criteri di cui all'articolo 17 dello stesso T.U.I.R.

È opportuno precisare che per quanto riguarda le somme e i valori corrisposti agli eredi dei contribuenti deceduti, le ritenute devono essere operate, con l'aliquota del primo scaglione di reddito, sulla parte imponibile delle somme e dei valori di cui all'articolo 48 del T.U.I.R., non compresi nell'articolo 16, comma 1, lettera a), dello stesso T.U.I.R. Una previsione di identico contenuto era prima prevista nel D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, articolo 33, comma 2, abrogata dall'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo in esame. Va sottolineato, al riguardo, che restano nella sfera di competenza del sostituito deceduto non solo le somme e i valori dallo stesso riscossi, ma anche tutti quelli messi a sua disposizione dal sostituto (ancorché, per qualsiasi ragione, materialmente non riscossi) sui quali è stata effettuata e versata la relativa ritenuta. Conseguentemente, vanno considerati come redditi di spettanza degli eredi, sui quali applicare la ritenuta con l'aliquota del primo scaglione di reddito, soltanto le somme e i valori maturati ma non ancora liquidi o quelli in via di maturazione (ad esempio, somme e valori della mensilità in corso di formazione al momento del decesso, rateo della 13 e della 14 mensilità; competenze arretrate maturate successivamente al decesso, ecc.).

Nessuna disposizione di carattere particolare è stata riprodotta con riferimento alle modalità di effettuazione delle ritenute relativamente ai rapporti che importano la prestazione di attività lavorativa e la corresponsione di emolumenti per una sola parte dell'anno; in tali casi, pertanto, si applicano le disposizioni di carattere generale sopra illustrate.

Va, infine, precisato che nell'effettuazione delle ritenute il sostituto può, d'accordo con il sostituito, applicare una aliquota più elevata di quella che deriva dal ragguaglio al periodo di paga degli scaglioni annui di reddito. In tal modo, infatti, senza arrecare alcun danno all'erario, che anzi si vede anticipato il versamento di imposte, si può evitare che, al momento dell'effettuazione delle operazioni di conguaglio, l'imposta effettivamente dovuta sia troppo elevata, con il rischio di chiudere con un conguaglio incapiente.

 

 

3.5. Conguaglio di fine anno o, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, all'atto di cessazione dello stesso.

L'articolo 23, dopo aver disciplinato l'applicazione delle ritenute di acconto nei vari periodi di paga, stabilisce, al comma 3, che i sostituti d'imposta, entro il 28 febbraio dell'anno successivo o alla data di cessazione del rapporto di lavoro se precedente, devono effettuare il conguaglio tra l'ammontare delle ritenute operate sulle somme e i valori corrisposti in ciascun periodo di paga, compreso, rispettivamente, quello eventualmente terminante il 12 di gennaio dell'anno successivo o quello in cui è intervenuta la cessazione del rapporto, e l'imposta dovuta sull'ammontare complessivo delle somme e i valori corrisposti nel corso dell'anno. In tal modo il legislatore ha inteso dare, per quanto possibile, definitività alla ritenuta di acconto operata dal sostituto d'imposta nei vari periodi di paga mediante una riconsiderazione alla fine del periodo d'imposta di tutti gli emolumenti corrisposti durante l'anno. Si fa presente che il termine del 28 febbraio, entro il quale devono essere effettuate le operazioni di conguaglio, riguarda soltanto gli effetti finanziari del risultato finale delle predette operazioni, che reagiranno sulle somme e i valori erogati nel mese in cui effettivamente il conguaglio viene operato, fermo restando il riferimento alle somme e i valori corrisposti (criterio di cassa) fino al 31 dicembre o al 12 di gennaio se riferiti all'anno precedente (ovvero fino alla cessazione del rapporto) e alle relative ritenute operate fino a tale data. Ai fini delle operazioni di conguaglio il sostituto d'imposta, dovrà, per ciascun sostituito, sommare tutte le somme e i valori corrisposti (con esclusione degli arretrati relativi ad anni precedenti e delle indennità di fine rapporto), comprese le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi per incarichi svolti in relazione a tale qualità comunicati dall'erogatore entro il 12 di gennaio. Per espressa previsione normativa, gli importi delle indennità e dei compensi a carico di terzi comunicati dopo il 12 di gennaio dell'anno successivo devono, invece, essere conguagliati unitamente alle retribuzioni del periodo d'imposta successivo. In considerazione delle finalità che il legislatore ha inteso raggiungere (cioè, come sopra chiarito, la definitività del prelievo alla fonte operata, riconsiderando alla fine del periodo d'imposta tutti gli emolumenti corrisposti durante l'anno) si ritiene che, in presenza di successivi rapporti con lo stesso sostituito, in sede di effettuazione delle operazioni di conguaglio (di fine anno o in corso di anno) il sostituto debba tener conto delle somme e dei valori complessivamente corrisposti al medesimo nel corso dei diversi periodi lavorativi dell'anno, indipendentemente dalla circostanza che lo stesso ne abbia fatto richiesta. Una volta effettuato il totale di tutte le somme e i valori, il sostituto d'imposta deve calcolare l'imposta dovuta sull'ammontare complessivo delle somme e dei valori stessi applicando le aliquote progressive dell'imposta sul reddito delle persone fisiche in base agli scaglioni di reddito, di cui all'articolo 11 del T.U.I.R. L'ammontare dell'imposta così determinato dovrà essere diminuito di quello delle detrazioni, spettanti ai sensi degli articoli 12 e 13 del T.U.I.R. e richieste, anche se per caso di esse non ha tenuto conto nel corso dell'anno. In questa occasione il sostituto deve apportare anche le eventuali correzioni alle detrazioni il cui importo è variabile in relazione all'ammontare del reddito. Inoltre, deve riconoscere (e deve farlo solo al momento del conguaglio e non nei diversi periodi di paga e senza alcuna richiesta da parte del dipendente) anche la detrazione prevista per gli oneri compresi nell'articolo 13-bis del T.U.I.R., e alle condizioni e nei limiti ivi stabiliti, se gli oneri in questione sono stati sostenuti attraverso il suo intervento (cioè sono stati pagati dal sostituto trattenendo l'importo dalle somme da corrispondere al sostituito), nonché, per le spese mediche (lett. c) dell'art. 13-bis) e per i premi di assicurazione sulla vita e sugli infortuni (lett. f) dell'art. 13-bis), per le erogazioni effettuate in conformità a contratti collettivi, accordi e regolamenti aziendali. Al riguardo si precisa che, come già chiarito a proposito degli oneri deducibili, il sostituito non può pretendere l'attribuzione della detrazione per oneri che, pur essendo compresi nella previsione dell'articolo 13-bis, non sono stati sostenuti per il tramite del datore di lavoro, restando comunque ferma la possibilità per il sostituto di acconsentire ad una simile richiesta. Tenuto conto che il sostituto deve attribuire la detrazione per oneri nel rispetto dei limiti e delle condizioni previste nell'articolo 13-bis del T.U.I.R., il sostituito è obbligato a fornirgli tutti quegli elementi di carattere più personale che non sono noti al sostituto (ad esempio, che si tratta di un mutuo relativo all'acquisto dell'abitazione principale e che è presente il requisito relativo alla permanenza del contribuente nell'abitazione principale, ecc.). È stata prevista, inoltre, la possibilità di riconoscere, in sede di effettuazione delle operazioni di conguaglio, l'eventuale credito d'imposta spettante relativamente ai redditi prodotti all'estero qualora alla formazione del reddito concorrano redditi di lavoro dipendente prestato all'estero e ivi assoggettati a tassazione in via definitiva. Per espressa previsione normativa, il credito d'imposta in questione può essere attribuito dal sostituto anche nell'ipotesi in cui le somme o i valori prodotti all'estero abbiano concorso a formare il reddito di lavoro dipendente in periodi d'imposta precedenti. Nella stessa disposizione è stato, inoltre, precisato, conformemente a quanto previsto nell'articolo 15 del T.U.I.R. che se alla formazione, del reddito di lavoro dipendente concorrono redditi prodotti in più Stati esteri la detrazione si applica separatamente per ciascuno Stato. La nuova previsione è collegata a quella che sopprime la disposizione che consentiva di escludere dalla formazione del reddito complessivo i redditi di lavoro dipendente prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto (articolo 3, comma 3, lettera c), del T.U.I.R.). Va, tuttavia, precisato che l'articolo 5, comma 1, lettera a), numero 1), del decreto legislativo in esame, che sopprime tale esenzione, ha effetto a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 2000. È opportuno sottolineare che nel comma 3 del nuovo articolo 23, è stabilito che, in caso di incapienza delle retribuzioni a subire il prelievo delle imposte dovute all'atto del conguaglio entro il 28 febbraio dell'anno successivo, il sostituito può dichiarare per iscritto al sostituto di volergli versare l'importo corrispondente alle ritenute ancora dovute. In tal caso resta fermo l'obbligo del sostituto di versare interamente all'erario le somme dovute dal sostituito nel mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni di conguaglio indipendentemente dal materiale rimborso delle stesse da parte del sostituito. In alternativa, il sostituito può dichiarare, sempre per iscritto, di autorizzare il sostituto ad effettuare il prelievo anche sulle retribuzioni dei periodi di paga successivi al 28 febbraio. In questo caso, sugli importi di cui è differito il pagamento rispetto alla data del 28 febbraio, termine entro il quale, nelle altre ipotesi, devono cessare gli effetti economici delle operazioni di conguaglio, si applica l'interesse in ragione dell'un per cento mensile che è trattenuto e versato nei termini e con le modalità previste per le somme cui si riferisce. L'importo che al termine del periodo d'imposta non è stato trattenuto per incapienza delle retribuzioni o per cessazione del rapporto di lavoro deve essere comunicato al sostituito che deve provvedere al versamento entro il 15 di gennaio dell'anno successivo. Sulla base della disciplina appena esposta non è, dunque, possibile chiudere a debito le operazioni di conguaglio obbligando il sostituito a presentare la dichiarazione dei redditi. Conseguentemente, se le operazioni di conguaglio si chiudono con un credito per il sostituito, il sostituto deve effettuare la restituzione delle maggiori ritenute applicate nel corso dell'anno. Ciò vale anche nell'ipotesi in cui tali operazioni sono effettuate in corso di anno a causa della cessazione del rapporto di lavoro (anche se per decesso del sostituito). Si ricorda, infatti, che, come già rilevato, anche per i rapporti di lavoro che comportano prestazione dell'attività lavorativa e corresponsione di emolumenti per un periodo inferiore all'anno si rendono ora applicabili le ordinarie modalità di effettuazione delle ritenute alla fonte non essendo state riprodotte le precedenti disposizioni particolari. Del resto tutta la nuova disciplina concernente l'applicazione delle ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente è volta ad evitare che il sostituito sia poi obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi, ad esempio, per far valere oneri o a versare le imposte che non hanno trovato capienza in sede di conguaglio. È, quindi, coerente consentire anche l'effettuazione del rimborso dell'eventuale credito atteso che, ove ciò non fosse consentito, il sostituito si vedrebbe costretto a presentare la dichiarazione dei redditi al solo scopo di ottenere un rimborso, che comunque è dovuto, penalizzando proprio un contribuente che nel corso dell'anno ha già subito una tassazione per periodo di paga.

Va, poi, sottolineato che il comma 4 dell'articolo 23 dispone che ai fini del compimento delle operazioni di conguaglio di fine anno il sostituito può chiedere al sostituto di tener conto anche di altri redditi di lavoro dipendente, o assimilati a quelli di lavoro dipendente, percepiti nel corso di precedenti rapporti intrattenuti nel corso dell'anno ed anche se erogati da soggetti non tenuti all'effettuazione delle ritenute alla fonte. Ovviamente si tratta di redditi diversi da quelli che ha erogato il sostituto stesso e per i quali, invece, non necessita alcuna richiesta da parte del sostituito (ad esempio, gettoni di presenza e altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle Regioni, ecc., borse di studio, assegni periodici corrisposti dal coniuge separato o divorziato, compensi per l'attività intramurale del personale dipendente del servizio sanitario nazionale, trattamenti in forma periodica corrisposti dai fondi pensione complementare, ecc.). Per espressa previsione normativa questa facoltà non può essere esercitata nei confronti di enti che corrispondono trattamenti pensionistici. La richiesta è effettuata consegnando al sostituto d'imposta, entro il 12 di gennaio del periodo d'imposta successivo, la certificazione unica rilasciata dagli altri soggetti erogatori. A questo proposito è opportuno sottolineare che proprio per consentire l'applicabilità della disposizione in commento il nuovo testo dell'articolo 7-bis, anch'esso sostituito dal decreto legislativo in esame (cfr. art. 7, comma 1, lettera b), è stato previsto, fra l'altro, che la certificazione va consegnata entro il mese di febbraio dell'anno successivo e che soltanto in caso di richiesta del sostituito la certificazione debba essere consegnata entro 12 giorni dalla richiesta stessa. Il sostituito, qualora si avvalga di questa previsione, deve precisare anche quale delle opzioni intende adottare, tra quelle previste per l'ipotesi in cui le somme e i valori risultino insufficienti a coprire le ritenute dovute in sede di conguaglio.

È evidente che, come già rilevato, le operazioni di conguaglio di fine anno devono ora essere effettuate comprendendo anche le somme e i valori corrisposti entro il 12 di gennaio dell'anno successivo, se riferibili all'anno precedente; inoltre, deve essere consentito l'esercizio della facoltà concessa dal legislatore al sostituito di chiedere il conguaglio di altri redditi di lavoro dipendente o assimilati a quelli di lavoro dipendente. Se necessario il conguaglio potrà anche essere ripetuto, ad esempio per tener conto di altre somme e valori non considerati in precedenza, purché, in ogni caso, i relativi effetti economici si concludano entro il mese di febbraio dell'anno successivo.

È appena il caso di precisare che il versamento delle ritenute operate in sede di conguaglio deve avvenire sempre alla scadenza ordinaria del mese successivo a quello di effettuazione e che le operazioni di conguaglio possono essere effettuate anche non per tutti i sostituiti contemporaneamente. Resta fermo che il sostituto, qualora si trovi, per tutti o parte dei sostituiti, nell'impossibilità di procedere, a causa dell'incapienza del monte-ritenute a sua disposizione, al rimborso dell'imposta che risulta trattenuta in più, è autorizzato ad eseguire la compensazione con le ritenute da effettuare sulle somme e i valori dell'anno successivo, a partire dal mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni di conguaglio relativamente a quei crediti d'imposta che non hanno potuto essere soddisfatti in tale sede. Naturalmente, al medesimo recupero in sede di versamento delle ritenute relative ai periodi di paga dell'anno successivo, potranno procedere anche i datori di lavoro che abbiano, in tutto o in parte, anticipato le somme necessarie per rimborsare tempestivamente i sostituiti le eccedenze a loro credito.

 

 

4. Ritenute sui compensi e altri redditi corrisposti dallo Stato.

L'articolo 7, comma 1, lettera f), del decreto legislativo in commento, sostituisce l'articolo 29 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, concernente l'applicazione delle ritenute di acconto sui redditi corrisposti dallo Stato.

 

 

4.1. Soggetti obbligati ad effettuare le ritenute.

Ai sensi del comma 1 dell'articolo 29 del D.P.R. n. 600 del 1973, le Amministrazioni dello Stato, comprese quelle con ordinamento autonomo, sono tenute ad effettuare, all'atto del pagamento, una ritenuta diretta in acconto dell'imposta dovuta dai pubblici dipendenti sulle somme e i valori di cui all'articolo 23 dello stesso decreto, cioè sulle somme e i valori determinati a norma dell'articolo 48 del T.U.I.R. In base al successivo comma 3 dello stesso articolo 29, anche le Amministrazioni della Camera dei Deputati, del Senato e della Corte Costituzionale, nonché della Presidenza della Repubblica e degli organi legislativi delle regioni a statuto speciale, che corrispondono somme e valori determinati a norma del citato articolo 48 del T.U.I.R., devono, altresì, effettuare una ritenuta di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti.

È opportuno sottolineare che l'elencazione di soggetti che devono effettuare le ritenute di acconto con le modalità che di seguito saranno illustrate costituisce una elencazione tassativa che non ammette interpretazioni estensive.

 

 

4.2. Modalità di effettuazione delle ritenute.

La disciplina concernente l'applicazione delle ritenute di acconto da parte dei soggetti elencati al paragrafo precedente si discosta soltanto per qualche piccolo elemento da quella già illustrata per gli altri sostituti d'imposta. In particolare, la ritenuta è operata sulla parte imponibile delle somme e dei valori di cui all'articolo 48 del T.U.I.R. aventi carattere fisso e continuativo (cioè gli stipendi, le pensioni, ecc.) con i criteri e le modalità di cui al comma 2 dell'articolo 23, già sopra illustrati. Per le altre somme e valori l'aliquota applicabile in sede di ritenuta è quella riferita allo scaglione di reddito più elevato della categoria o classe di stipendio del percipiente all'atto del pagamento o, in mancanza, l'aliquota del primo scaglione di reddito. Rientrano tra questi le somme e i valori corrisposti per:

- mensilità aggiuntive;

- lavoro straordinario;

- missioni;

- prestazione dell'attività in luoghi sempre variabili e diversi;

- volo e navigazione;

- messi notificatori;

- trasferimento e prima sistemazione e equipollenti;

- servizio prestato all'estero;

- arretrati di precedenti periodi di paga dello stesso anno;

- ogni altra ipotesi che comporti corresponsione eventuale e eccezionale nel periodo di paga (ad esempio, premi, sussidi, liberalità, compensi incentivanti,

- ecc.);

- incarichi svolti presso terzi di cui all'articolo 47, comma 1, lettera b), del T.U.I.R. (ad esempio, gettoni di presenza, ecc.).

Pertanto, le Amministrazioni dello Stato sulle somme e i valori sopra indicati devono applicare, all'atto del pagamento e senza necessità di cumulo con le altre somme e valori a carattere fisso del periodo di paga (talvolta, peraltro, può trattarsi di una amministrazione dello Stato diversa da quella che eroga il trattamento fisso) la ritenuta riferita allo scaglione di reddito più elevato dello stipendio spettante al dipendente. In pratica se, ad esempio, durante il mese di ottobre nel quale il dipendente statale fruisce di uno stipendio sulla cui ultima parte la ritenuta incide con l'aliquota del 33,5 per cento - il dipendente stesso percepisce compensi per lavoro straordinario, su detti compensi sarà operata la ritenuta con l'aliquota del 33,5 per cento. Nell'ipotesi che manchi una classe di stipendio, come ad esempio nel caso dei cottimisti, su tali emolumenti si applicherà la ritenuta del primo scaglione di reddito (a decorrere dal 1998 pari a lire 18,5%).

Per gli emolumenti arretrati relativi ad anni precedenti, la parte imponibile dei trattamenti di fine rapporto e delle indennità equipollenti, delle altre indennità e somme connesse alla cessazione del rapporto e per la parte imponibile delle somme e dei valori corrisposti agli eredi, si rinvia ai chiarimenti forniti a proposito dell'articolo 23 del D.P.R. n. 600 del 1973.

 

 

4.3. Conguaglio di fine anno o, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, all'atto di cessazione dello stesso.

Ai sensi del comma 2 dell'articolo 29 in commento, gli uffici che dispongono il pagamento di emolumenti aventi carattere fisso e continuativo devono effettuare entro il 28 febbraio o entro due mesi dalla data di cessazione del rapporto, se questa è anteriore all'anno, il conguaglio di cui al comma 3 dell'articolo 23, con le modalità in esso stabilite. A tal fine, all'inizio del rapporto, il sostituito deve specificare quale delle opzioni previste al comma 2 dell'articolo 23 intende adottare in caso di incapienza delle retribuzioni a subire il prelievo delle imposte. La medesima disposizione stabilisce che ai fini delle operazioni di conguaglio i soggetti e gli altri organi che corrispondono compensi e retribuzioni non aventi carattere fisso e continuativo devono comunicare agli uffici che devono effettuare il conguaglio, entro la fine dell'anno e, comunque, non oltre il 12 gennaio dell'anno successivo, l'ammontare delle somme e dei valori corrisposti, nonché l'importo degli eventuali contributi previdenziali e assistenziali, compresi quelli a carico del datore di lavoro e le ritenute effettuate. È appena il caso di precisare che, in caso di interruzione del rapporto, avvenuta antecedentemente alla fine dell'anno, la comunicazione degli elementi prima indicati deve avvenire in tempi tali da consentire all'ufficio competente l'effettuazione delle operazioni di conguaglio entro due mesi dalla cessazione del rapporto. Va, inoltre, precisato che lo stesso comma 2 dell'articolo 29 in esame, stabilisce che per le somme e i valori a carattere ricorrente la comunicazione deve essere effettuata su supporto magnetico secondo specifiche tecniche approvate con apposito decreto del Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro delle finanze. L'ultima parte del suddetto comma 2 dispone, inoltre, che qualora, alla data di cessazione del rapporto di lavoro, l'ammontare degli emolumenti dovuti non consenta la integrale applicazione della ritenuta di conguaglio, la differenza è recuperata mediante ritenuta sulle competenze di altra natura che siano liquidate anche da altro soggetto in dipendenza del cessato rapporto di lavoro. Infine, il comma 2 in commento precisa espressamente che si applicano anche le disposizioni dell'articolo 23, comma 4, cioè quelle che consentono al sostituito di chiedere, entro il 12 di gennaio dell'anno successivo, il conguaglio di altri redditi di lavoro dipendente o assimilati a quelli di lavoro dipendente percepiti nel corso di altri rapporti intrattenuti; a tale riguardo si rinvia al commento dell'articolo 23.

 

 

4.4. Versamento delle ritenute da parte del sostituito.

Va sottolineato che in base alla nuova formulazione dell'articolo 29 in rassegna (cfr. commi 2 e 4), nel caso in cui la ritenuta da operare sui valori non trovi capienza, in tutto o in parte, sui contestuali pagamenti in denaro, così come, sia pure facoltativamente, nell'ipotesi in cui le retribuzioni siano insufficienti a subire il prelievo delle imposte dovute a seguito delle operazioni di conguaglio, il sostituito è tenuto a versare al sostituto l'importo corrispondente all'ammontare della ritenuta. Nel primo caso, quando si tratta di valori che non si accompagnano a retribuzioni in denaro ovvero queste sono inferiori alle ritenute dovute sui predetti valori, il sostituito è obbligato ad effettuare il corrispondente versamento; nel secondo caso, cioè quando le retribuzioni sono insufficienti a subire il prelievo delle imposte scaturenti dalle operazioni di conguaglio, il sostituito può scegliere se provvedere al versamento o chiedere che le imposte siano trattenute nei periodi di paga successivi a quello di febbraio. In tal caso le somme trattenute dopo il febbraio dell'anno successivo saranno maggiorate dell'1 per cento. È peraltro previsto che al termine del periodo d'imposta successivo o quando il rapporto si interrompe, anche per decesso del sostituito, le somme ancora dovute e non ancora trattenute devono essere versate direttamente dal sostituito entro il 15 gennaio dell'anno successivo. Con riferimento a tutte le ipotesi sopra descritte va precisato che i versamenti in questione devono essere effettuati direttamente all'erario poiché il sostituto, nelle ipotesi dell'articolo 29 in commento, è parte dello Stato. In merito alle modalità di effettuazione dei suddetti versamenti saranno dettate separate istruzioni.

 

 

4.5. Circolari e risoluzioni confermate.

Restano confermate:

- la risoluzione prot. n. 8/230 del 29 aprile 1986, con la quale è stato precisato che la Consob non effettua le ritenute d'acconto di cui al Titolo III del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ai sensi dell'articolo 29, bensì ai sensi dell'articolo 23 del medesimo decreto;

- la risoluzione prot. n. 8/50021 del 22 novembre 1975, con la quale è stato precisato che le indennità e gli assegni corrisposti agli ufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica cessati dal servizio e posti in posizione di ausiliari a norma della legge 10 aprile 1954, n. 113, devono essere assoggettate da parte dei Distretti militari, all'atto dell'erogazione, alla ritenuta riferita allo scaglione di reddito più elevato dell'assegno di ausiliaria spettante all'ufficiale che trovasi nella suindicata posizione e poi comunicati alle Direzioni Provinciali del Tesoro ai fini dell'effettuazione delle operazioni di conguaglio da parte di queste ultime.

 

 

5. Redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. Qualificazione.

5.1 Generalità

5.2. Compensi percepiti dai lavoratori soci di cooperative di produzione e lavoro, di servizi, agricole e di prima trasformazione di prodotti agricoli e della piccola pesca

5.3 Indennità e compensi percepiti a carico di terzi da prestatori di lavoro dipendente

5.4 Borse di studio o assegni, premi o sussidi per fini di studio o di addestramento professionale

5.5 Remunerazioni e congrue dei sacerdoti

5.6 Attività libero professionale intramuraria del personale dipendente del Servizio Sanitario Nazionale

5.7 Indennità ed altri compensi per l'esercizio di pubbliche funzioni

5.8 Indennità corrisposte per cariche elettive

5.9. Rendite vitalizie e rendite a tempo determinato

5.10. Prestazioni erogate ai sensi del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124

5.11 Altri assegni periodici alla cui produzione non concorrono attualmente né capitale né lavoro

5.12 Lavori socialmente utili

5.13 Risoluzioni e circolari confermate

 

 

5.1. Generalità.

L'art. 2 del decreto legislativo in commento, modifica l'art. 47 del T.U.I.R., che individua una serie di redditi che vengono assimilati ai redditi di lavoro dipendente. In particolare, l'art. 2, comma 1, lettera a), modifica le lettere e), f), g), ed 1) del comma 1 dell'articolo 47 del T.U.I.R., mentre l'art. 2, comma 1, lettera b), modifica il comma 3 dello stesso articolo 47, concernente l'indicazione delle tipologie di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente che possono fruire delle detrazioni per lavoro dipendente di cui all'articolo 13 del T.U.I.R., al fine di coordinarlo con gli interventi operati nel corpo dell'articolo 47 stesso.

L'intervento del legislatore delegato in questo caso è stato finalizzato soprattutto ad un riordino delle fattispecie, in modo da raccogliere nel corpo dell'art. 47 alcune ipotesi per le quali altre disposizioni avevano fissato il principio dell'assimilazione ai redditi di lavoro dipendente o di eliminare talune previsioni. Sono state soppresse, infatti, le previsioni relative:

a) all'indennità di disoccupazione di cui alla legge n. 1115 del 1968, in quanto superflua, atteso che detta indennità, essendo sostitutiva di reddito, se percepita in sostituzione del reddito di lavoro dipendente è già compresa nell'art. 46 in forza di quanto disposto dall'art. 6, comma 2, del T.U.I.R. (cfr. paragrafo 1.5 della presente circolare);

b) alle mance percepite dai croupiers. La relazione illustrativa del provvedimento giustifica la soppressione di questa disposizione dal corpo dell'articolo 47 e il contestuale inserimento di una identica previsione nel corpo dell'articolo 48, concernente la determinazione dei redditi di lavoro dipendente, con una incoerenza della vigente disciplina che prevedeva al tempo stesso l'assimilazione al reddito di lavoro dipendente e la riduzione dell'imponibile, nonché, trattandosi, in effetti, di redditi di lavoro dipendente il conguaglio con i redditi di lavoro dipendente corrisposti ai medesimi soggetti.

Prima di entrare nel dettaglio delle singole ipotesi, è opportuno ricordare che il legislatore ha raccolto nel corpo dell'articolo 47, con una elencazione che ha carattere assolutamente tassativo e che, quindi, non ammette interpretazioni estensive o analogiche, una serie di fattispecie i cui redditi, in assenza di una specifica previsione di legge, sarebbero stati di incerta qualificazione, in quanto non facilmente inquadrabili né tra i redditi di lavoro dipendente né tra quelli di lavoro autonomo. Ciascuno di essi, infatti, è privo di almeno uno degli elementi che caratterizzano le due categorie di reddito. Tradizionalmente i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente possono essere ricondotti a tre distinti gruppi:

- nel primo gruppo si possono ricomprendere le ipotesi in cui manca in radice un collegamento con una prestazione lavorativa (si tratta, come vedremo, delle rendite vitalizie e di quelle a tempo determinato costituite a titolo oneroso, nonché degli assegni periodici alla cui formazione non concorrono né capitale né lavoro, quali gli assegni conseguenti a separazione o scioglimento del matrimonio, ecc., rispettivamente lettere h) ed i) dell'articolo 47);

- nel secondo gruppo si possono inquadrare i casi in cui, pur sussistendo un nesso relazionale con una prestazione lavorativa, manca un rapporto di servizio che possa configurare un vero e proprio rapporto di lavoro dipendente (si tratta delle indennità, gettoni di presenza ed altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni, nonché delle indennità percepite dai membri del Parlamento nazionale e dal Parlamento europeo e le indennità, comunque denominate, percepite per le cariche elettive in seno alle Regioni, Province e Comuni e per le funzioni di giudice costituzionale, rispettivamente, lettere f) e g) dell'articolo 47);

- nel terzo gruppo, infine, possono collocarsi tutte le altre ipotesi in cui, per ragioni perequative, sono disciplinate fattispecie in cui esiste una prestazione lavorativa, ma questa è scissa da un elemento caratterizzante quale la retribuzione, in quanto il relativo compenso discende da elementi diversi dalla effettiva prestazione lavorativa (tutte le altre lettere dell'articolo 47).

Va osservato, peraltro, che soltanto per le fattispecie inquadrabili nel terzo gruppo il legislatore ha previsto l'attribuzione delle detrazioni per redditi di lavoro dipendente, in quanto si tratta comunque di ipotesi più vicine concettualmente ai redditi di lavoro dipendente. L'assimilazione al reddito di lavoro dipendente, in linea di principio, comporta, grazie anche alle precisazioni contenute al riguardo nell'articolo 48-bis, introdotto nel T.U.I.R. dall'articolo 4 del decreto legislativo in commento, un trattamento tributario quasi identico a quello riservato ai redditi di lavoro dipendente, se si esclude quanto già precisato in merito al diritto alle detrazioni di cui all'art. 13 del T.U.I.R. e ad alcune altre specificità previste per taluni di essi, che saranno poste in rilievo nei paragrafi seguenti. Va evidenziato, inoltre, che l'art. 5, comma 1, lett. c), del decreto legislativo in commento, ha eliminato, quasi per la totalità di essi, l'ulteriore differenza con i redditi di lavoro dipendente costituita dalla esclusione, per la maggior parte di essi, della possibilità di applicare il regime di tassazione separata. Infatti, la norma citata ha modificato l'art. 16, comma 1, lett. b), del T.U.I.R., prevedendo che possono costituire "arretrati", in presenza di tutte le condizioni richieste dalla norma, anche tutte le indennità e le somme di cui al comma 1 dell'articolo 47 del T.U.I.R. Si ricorda, al riguardo, che la precedente formulazione dell'articolo 16, comma 1, lettera b), del T.U.I.R., aveva portato, recentemente, ad una declaratoria di parziale illegittimità costituzionale della lettera b) in questione (cfr. sentenza della Corte Costituzionale n. 287 dell'11-22 luglio 1996). È noto, infatti, che, in base alla precedente formulazione, la nozione di "arretrati" riguardava soltanto i redditi di lavoro dipendente e, tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, soltanto i compensi dei soci di cooperative di produzione e lavoro, le remunerazioni dei sacerdoti e le indennità dei parlamentari, dei consiglieri regionali e dei giudici della Corte Costituzionale. A decorrere dal 1° gennaio 1998, invece, la nozione di arretrato è applicabile a tutti i compensi e alle indennità compresi tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. Considerato il tenore letterale della disposizione, che fa riferimento "ai compensi e alle indennità di cui al comma 1 dell'art. 47", restano ancora esclusi, in linea di principio, dalla possibilità di fruire del regime di tassazione separata, le rendite e gli assegni periodici, per i quali, peraltro, l'articolo 48-bis del T.U.I.R. conferma una presunzione di percezione nella misura e alle scadenze risultanti dai relativi titoli.

 

 

5.2. Compensi percepiti dai lavoratori soci di cooperative di produzione e lavoro, di servizi, agricole e di prima trasformazione di prodotti agricoli e della piccola pesca.

Nella lett. a) dell'art. 47 è disposto che sono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente i compensi, in denaro e in natura, percepiti, entro i limiti dei salari correnti maggiorati del 20 per cento, dai lavoratori soci delle cooperative di produzione e lavoro, delle cooperative di servizi, delle cooperative agricole e di prima trasformazione dei prodotti agricoli e delle cooperative della piccola pesca. L'assimilazione in parola, ai sensi del secondo comma dello stesso art. 47, è sottoposta alla condizione che la cooperativa sia iscritta nel registro prefettizio o nello schedario generale della cooperazione e che nello statuto siano inderogabilmente indicati i principi della mutualità stabiliti dalla legge e che tali principi siano effettivamente osservati. Ai sensi del combinato disposto delle disposizioni contenute nel D.L.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1557, modificato con legge 8 maggio 1949, n. 285, ratificato e modificato con legge 2 aprile 1951, n. 302, e ulteriormente modificato con legge 17 febbraio 1971, n. 127, e nell'art. 14 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, concernenti le condizioni di applicabilità delle agevolazioni alle società cooperative, emerge che:

a) la mancata iscrizione nel registro prefettizio o nello schedario generale della cooperazione esclude le cooperative da ogni agevolazione tributaria o di qualsiasi altra natura disposta dalle citate norme di legge o da altre leggi;

b) la sussistenza dei requisiti mutualistici si presume quando negli statuti delle cooperative siano contenute le seguenti clausole: divieto di distribuzione dei dividendi in misura superiore a quella massima degli interessi spettanti ai detentori dei buoni postali fruttiferi, aumentata di 2,5 punti (cfr. art. 17, ultimo comma, della legge n. 72 del 1983 che ha implicitamente abrogato la lett. a) dell'art. 26 del D.L.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577); divieto di distribuzione delle riserve tra i soci durante la vita sociale; devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell'intero patrimonio sociale - dedotto soltanto il capitale versato e i dividendi eventualmente maturati - a scopi di pubblica utilità conformi allo spirito mutualistico.

Inoltre, il citato art. 14 del citato decreto n. 601 del 1973, nel ribadire che le agevolazioni tributarie si applicano alle società cooperative e loro consorzi, che siano disciplinate dai principi della mutualità previsti dalle leggi dello Stato e siano iscritti nei registri prefettizi o nello schedario generale della cooperazione, soggiunge che:

a) i requisiti della mutualità si ritengono sussistenti quando negli statuti sono espressamente ed inderogabilmente previste le condizioni sopraindicate (art. 26 del D.L. 14 dicembre 1974, n. 1577 e successive modificazioni) e tali condizioni sono state di fatto osservate nel periodo di imposta e nei cinque precedenti, ovvero nel minor tempo trascorso dall'approvazione degli statuti stessi;

b) i presupposti di applicabilità delle agevolazioni sono accertati dall'Amministrazione finanziaria, sentiti il Ministero del lavoro o gli altri organi di vigilanza.

Questi compensi, non essendo compresi tra quelli citati nell'ultimo comma dello stesso articolo 47, danno diritto a fruire delle detrazioni per lavoro dipendente di cui all'art. 13 del T.U.I.R.

 

 

5.3. Indennità e compensi percepiti a carico di terzi da prestatori di lavoro dipendente

In base al disposto della lett. b) dell'art. 47 del T.U.I.R., sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità, ad esclusione di quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro, nonché di quelli che, per legge, devono essere versati allo Stato. Non concorrono, quindi, a formare il reddito quei compensi, che per clausola contrattuale, devono essere riversati al datore di lavoro e quelli che, per legge, debbono essere riversati allo Stato. Detti compensi devono essere esclusi dalla tassazione anche in sede di applicazione delle ritenute di acconto.

In merito alle indennità e compensi percepiti a carico di terzi, va precisato che si tratta di somme e valori che il prestatore di lavoro percepisce da soggetti diversi dal proprio datore di lavoro, quindi, per i dipendenti pubblici da soggetti diversi dallo Stato (eventuali somme e valori corrisposti da una amministrazione pubblica diversa da quella cui appartiene il dipendente pubblico costituiscono redditi di lavoro dipendente), per incarichi svolti in relazione alle funzioni della propria qualifica e in dipendenza del proprio rapporto di lavoro, come ad esempio, i compensi per la partecipazione a taluni comitati tecnici, organi collegiali, commissioni di esami, organi consultivi di enti privati o pubblici, ivi compresi quelli percepiti da dipendenti dello Stato e degli altri enti pubblici per prestazioni comunque rese in connessione con la carica o in rappresentanza degli enti di appartenenza. In queste ipotesi, l'assimilazione al lavoro dipendente di un'attività che può anche essere oggettivamente autonoma, deriva dal fatto che essa viene fornita dal dipendente in relazione ad un ordine di servizio ricadente nel rapporto di lavoro subordinato intrattenuto in via principale. La relazione tra l'espletamento dell'incarico e la qualifica di lavoratore dipendente sussiste nel caso in cui risulti, per legge, regolamento, altro atto amministrativo, statuto o capitolato, che l'incarico debba essere affidato ad un componente della categoria alla quale il contribuente appartiene. In altri termini, la relazione suddetta si deve desumere dal fatto che la norma extratributaria regolatrice dell'incarico abbia collegato una presunzione di possesso della competenza specifica alla circostanza dell'appartenenza del soggetto ad una certa categoria di lavoratori dipendenti o ad una certa posizione di impiego. Qualora, invece, detta relazione non sussista, i compensi e le indennità percepite vanno qualificati quali redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 49, comma 2, lettera a), del T.U.I.R., sempreché sussistano i requisiti ivi previsti e cioè che il rapporto abbia per oggetto la prestazione di attività non rientranti fra quelle di cui all'articolo 49, comma 1, dello stesso T.U.I.R. e che pur avendo contenuto intrinsecamente professionale, siano svolte senza vincolo di subordinazione in favore di un determinato soggetto, nel quadro di un rapporto unitario e continuativo, senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita. Qualora, invece, manchino dette condizioni, i compensi possono essere qualificati come derivanti da prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente di cui all'articolo 81, comma 1, lettera l), del T.U.I.R. Non va confusa con la fattispecie in esame quella del distacco di un dipendente presso un altro datore di lavoro per un periodo più o meno lungo. Nel distacco, infatti, il dipendente, senza interrompere il rapporto di lavoro con il proprio datore di lavoro, è, tuttavia, inquadrato nella struttura ricevente. Il datore di lavoro che ha proceduto a distaccare il dipendente, come già precisato in sede di commento dell'articolo 23, è obbligato ad effettuare le ritenute anche sulle somme e i valori che il soggetto presso il quale il dipendente è distaccato corrisponde e che vanno qualificate come redditi di lavoro dipendente.

 

 

5.4. Borse di studio o assegni, premi o sussidi per fini di studio o di addestramento professionale.

La lett. c) dell'art. 47 del T.U.I.R. ricomprende tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente le somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario non è legato da rapporti di lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante.

Il primo elemento che caratterizza le somme in questione, al fine di inquadrarle tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, consiste nel fatto che il beneficiario delle stesse non deve essere legato da rapporti di lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante. Nello specificare quest'ultima circostanza il legislatore ha inteso sancire che l'autonoma previsione tributaria di cui all'art. 47 deve essere riferita esclusivamente a quelle ipotesi in cui la percezione delle somme ad uno degli anzidetti titoli non avvenga in dipendenza del rapporto di lavoro dipendente, in quanto altrimenti le somme erogate si dovrebbero cumulare con gli emolumenti corrisposti al lavoratore nella sua veste di dipendente. Come rilevato in sede di commento al riformulato articolo 48 del T.U.I.R., a decorrere dal 1° gennaio 1998, le somme corrisposte al suindicato titolo al lavoratore dipendente, per se stesso o per i familiari indicati nell'articolo 12 del T.U.I.R., anche non fiscalmente a carico, possono essere, in linea di principio, escluse, invece, da tassazione se ricorrono i presupposti di cui al comma 2, lettera f), del citato articolo 48 (cfr. paragrafo 2.2.6.).

Poiché la lett. c) del comma 1 dell'articolo in commento non viene richiamata nell'ultimo comma dell'articolo stesso, ne consegue che l'assimilazione ai redditi di lavoro dipendente comporta anche l'applicabilità, oltre che delle detrazioni di natura soggettiva di cui all'art. 12 del T.U.I.R., comunque spettanti a tutti i residenti che siano soggetti d'imposta, anche delle detrazioni per lavoro dipendente previste dall'art. 13 del T.U.I.R., rapportate al periodo di studio. A tale proposito si ricorda che il periodo da assumere ai fini del calcolo delle detrazioni è quello assunto ai fini dell'erogazione delle borse di studio, anche se relativo ad anni precedenti. Pertanto, se la borsa di studio è corrisposta per il rendimento scolastico o accademico, le detrazioni spettano per l'intero anno; se, invece, è stata corrisposta in relazione alla frequenza di un particolare corso, spetta per il periodo di frequenza obbligatorio.

Non rientrano, nella fattispecie in rassegna in quanto la legge ne dispone la totale esenzione le borse di studio corrisposte dalle università e dagli istituti di istruzione universitaria in base alla legge n. 398 del 1989 per la frequenza dei corsi di perfezionamento e delle scuole di specializzazione per i corsi di dottorato di ricerca, per attività di ricerca post-dottorato e per i corsi di perfezionamento all'estero. Sono altresì, esenti, le borse di studio corrisposte ai sensi del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 per la frequenza delle scuole di specializzazione delle facoltà di medicina e chirurgia.

Non fruiscono, invece, di esenzione le borse di studio corrisposte in favore dei medici che partecipano ai corsi di formazione specifica in medicina generale, istituite dal D.L. 30 maggio 1994, n. 325, convertito dalla legge 19 luglio 1994, n. 467.

Per quanto riguarda poi l'ambito oggettivo delle erogazioni di cui trattasi, si osserva che per la nozione di borsa di studio si deve far riferimento alle erogazioni attribuite a favore di soggetti, anche non studenti, per sostenere l'attività di studio o di ricerca scientifica, di specializzazione, ecc.. Relativamente agli assegni, premi o sussidi per fini di studio o di addestramento professionale si precisa che rientrano nel novero di tali erogazioni oltre quelle relative ai corsi di specializzazione, qualificazione o riqualificazione per fini di studio o di addestramento professionale anche quelle per corsi finalizzati ad una futura eventuale occupazione di lavoro, mentre sono comunque da escludere dalla previsione di cui alla lett. c) dell'art. 47 del T.U.I.R. le spese sostenute ai fini delle selezioni preliminari del personale da assumere.

Si precisa, infine, che non sono da assoggettare a tassazione le somme percepite a titolo di borsa di studio da soggetti non residenti in Italia anche se pagate da soggetti residenti

 

 

5.5. Remunerazioni e congrue dei sacerdoti.

Nella lett. d) dell'art. 47 del T.U.I.R. sono inseriti tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente le remunerazioni dei sacerdoti, di cui agli artt. 24, 33, lett. a), e 34 della legge 20 maggio 1985, n. 222, nonché le congrue e i supplementi di congrua di cui all'art. 33, primo comma, della legge 26 luglio 1974, n. 343.

Si tratta delle remunerazioni che vengono percepite dai sacerdoti in relazione al servizio prestato in favore delle diocesi. Al riguardo, si rileva che ai sensi dell'art. 33, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, i sacerdoti ricevono la remunerazione dagli enti ecclesiastici secondo le norme stabilite dal vescovo diocesano, sentito il Consiglio presbiterale. L'art. 34 della stessa legge prevede delle integrazioni a favore dei sacerdoti se non viene raggiunta la misura determinata dalla Conferenza episcopale italiana. Detta integrazione è posta a carico dell'Istituto diocesano per il sostentamento del clero. Inoltre, sono assimilate ai redditi di lavoro dipendente le congrue e i supplementi di congrua corrisposti sui bilanci del Fondo per il culto e del Fondo di beneficenza e di religione nella città di Roma, sia per concessione delle Amministrazioni suddette sia per concessione anteriore dello Stato. Dette congrue sono previste dall'art. 33, primo comma, della legge 26 luglio 1974, n. 343. Competono le detrazioni per redditi di lavoro dipendente di cui al più volte citato articolo 13 del T.U.I.R.

Va precisato, per completezza, che alcune altre leggi contengono disposizioni, non richiamate nell'articolo 47 del T.U.I.R., che assimilano ai redditi di lavoro dipendente, i redditi percepiti dai Ministri di culto e dai missionari di altre confessioni religiose. Si tratta dell'Unione Cristiana Avventiste del 7 giorno, delle Assemblee di Dio in Italia, dell'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia e della Chiesa Evangelica Luterana in Italia.

 

 

5.6. Attività libero professionale intramuraria del personale dipendente del Servizio Sanitario Nazionale.

La lett. e) costituisce la prima delle nuove ipotesi introdotte nell'articolo 47 del T.U.I.R. dall'art. 2, comma 1, lettera a), n. 1), del decreto legislativo in esame. La nuova previsione riguarda i compensi per l'attività libero professionale intramuraria del personale dipendente dal Servizio sanitario nazionale, del personale di cui all'art. 102 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 e del personale di cui all'articolo 6, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, nei limiti e alle condizioni di cui all'art. 1, comma 7, della legge 23 dicembre 1996, n. 662; detti compensi erano stati assimilati ai redditi di lavoro dipendente proprio dalla disposizione da ultimo richiamata.

Il comma dell'articolo 1 della citata legge n. 662 del 1996, tuttavia, non prevede direttamente né limiti né condizioni, ma rinvia a quanto stabilito nei due commi precedenti dello stesso articolo. Dal combinato disposto delle norme richiamate si evince che l'assimilazione in parola è applicabile a condizione che venga rispettata la disciplina amministrativa dell'attività in questione, contenuta nei decreti del Ministero della sanità 11 giugno 1997 e 31 luglio 1997, rispettivamente pubblicati nelle Gazzette Ufficiali n. 140 del 18 giugno 1997 e n. 204 del 2 settembre 1997.

La disciplina in argomento si applica all'attività libero professionale intramuraria svolta dalle seguenti categorie professionali:

- personale appartenente ai profili di medico-chirurgo, odontoiatra e veterinario e altre professionalità della dirigenza del ruolo sanitario (farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi) dipendente del Servizio sanitario nazionale;

- personale docente universitario e ricercatori che esplicano attività assistenziale presso cliniche e istituti universitari di ricovero e cura anche se gestiti direttamente dalle università, convenzionati ai sensi dell'art. 38 della legge 23 dicembre 1978, n. 833;

- personale laureato, medico di ruolo in servizio nelle strutture delle facoltà di medicina e chirurgia delle aree tecnico-scientifica e socio sanitaria;

- personale dipendente degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico con personalità giuridica di diritto privato, degli enti ed istituti di cui all'art. 4, comma 12, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, che svolgono attività sanitaria e degli enti pubblici che già applicano al proprio personale l'istituto dell'attività libero-professionale intramuraria della dirigenza del Servizio Sanitario, sempreché i predetti enti e istituti abbiano adeguato i propri ordinamenti ai principi di cui all'art. 1, commi da 5 a 19, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ed a quelli contenuti nel citato decreto del Ministro della Sanità 31 luglio 1997.

Per i compensi in esame l'assimilazione al reddito di lavoro dipendente non comporta la fruibilità delle detrazioni previste dall'art. 13 del T.U.I.R. atteso che l'ultimo comma dell'art. 47 dello stesso T.U.I.R., tra le ipotesi per cui non sono concesse le dette detrazioni richiama espressamente quella di cui alla lett. e) dello stesso articolo. La relazione illustrativa del provvedimento precisa che l'esclusione in questione è dovuta alla considerazione che tali soggetti, essendo comunque lavoratori dipendenti, fruiscono già di dette detrazioni per i relativi redditi.

 

 

5.7. Indennità ed altri compensi per l'esercizio di pubbliche funzioni.

Nella lett. f) dell'art. 47 del T.U.I.R. è stata inserita, ad opera dell'articolo 2, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto legislativo in esame, una nuova previsione volta a specificare che sono assimilati al reddito di lavoro dipendente oltre le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni anche i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie, ai giudici di pace e agli agenti del tribunale di sorveglianza, ad esclusione di quelli che, per legge, debbono essere riservati allo Stato.

Si tratta di quei compensi e indennità più comunemente denominati gettoni di presenza, a chiunque corrisposti dalle amministrazioni statali e dagli enti territoriali sopra menzionati per l'esercizio di pubbliche funzioni, come quelli di componenti di seggi elettorali, di giudici popolari, giudici conciliatori, testimoni, richiamati alle armi, ecc.

In riferimento alle modifiche apportate alla lettera f) viene confermata anche sul piano legislativo la recente interpretazione dell'amministrazione finanziaria che, basata su una più approfondita valutazione del ruolo e delle funzioni che i giudici tributari rivestono nel nuovo contenzioso tributario, che aveva portato al superamento del precedente orientamento secondo cui i compensi corrisposti ai giudici delle Commissioni tributarie costituivano reddito di lavoro dipendente se percepiti da membri che rivestivano la qualifica di dipendenti dello Stato e redditi di lavoro autonomo (comprese le collaborazioni coordinate e continuative) se percepiti da membri estranei alla pubblica amministrazione.

È opportuno ricordare, per quanto riguarda gli onorari dei componenti gli uffici elettorali di cui alla legge 13 marzo 1980, n. 70, che l'art. 9, comma 2, della legge 21 marzo 1990, n. 53, ha stabilito che detti onorari costituiscono rimborso spese, fisso, non assoggettabile a ritenute o imposte e non concorrono alla formazione della base imponibile.

Si precisa che per i compensi in questione non spettano le detrazione per lavoro dipendente di cui all'art. 13 del T.U.I.R. (cfr. art. 47, ultimo comma).

 

 

5.8. Indennità corrisposte per cariche elettive.

Nella lett. g) dell'art. 47 del T.U.I.R., l'articolo 2, comma 1, lettera a), numero 3), del decreto legislativo in commento ha specificato che costituiscono indennità per cariche elettive anche gli assegni vitalizi percepiti al termine del mandato e delle funzioni, conformemente a quanto implicitamente disposto dall'art. 14, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, che ha abrogato la disposizione recante l'equiparazione degli assegni vitalizi in questione alle rendite vitalizie, nonché l'assegno del Presidente della Repubblica, per il quale l'art. 3, comma l, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ha stabilito l'assoggettamento a tassazione secondo le modalità previste per le indennità parlamentari.

Conseguentemente, gli assegni appena citati si aggiungono alle indennità che, ai sensi del previgente art. 47, comma 1, lettera g), erano già assimilati ai redditi di lavoro dipendente, e cioè:

- le indennità di cui all'art. 1 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, percepite dai membri del Parlamento nazionale;

- le indennità, comunque denominate, percepite per le cariche elettive e le funzioni di cui agli artt. 114 (indennità per i consiglieri regionali, provinciali e comunali) e 135 (giudici della Corte Costituzionale) della Costituzione,

- le indennità di cui all'art. 1 della legge 13 agosto 1979, n. 384 spettanti ai rappresentanti italiani in seno al Parlamento europeo;

- le indennità spettanti, ai sensi della legge 27 dicembre 1985, n. 816, agli amministratori locali e cioè ai sindaci, agli assessori comunali, al presidente e agli assessori provinciali, al presidente e ai componenti di organi esecutivi delle aziende speciali, al presidente e ai componenti di organi esecutivi di consorzi fra enti locali e loro aziende. Sono riconducibili nella previsione normativa della lett. g) in esame le indennità percepite dagli amministratori delle comunità montane.

Per le indennità, le somme e i valori relativi alle cariche considerate in questa disposizione, in base all'ultimo comma dell'art. 47, è prevista l'inapplicabilità delle detrazioni per lavoro dipendente di cui all'art. 13 del T.U.I.R.

 

 

5.9. Rendite vitalizie e rendite a tempo determinato.

Nella lett. h) dell'art. 47 del T.U.I.R., che non ha subito alcuna modifica, è disposto che sono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente le rendite vitalizie e le rendite a tempo determinato costituite a titolo oneroso. Come è agevole rilevare, le rendite costituite per un lasso determinato di tempo a titolo oneroso, mediante alienazione di un bene mobile o immobile o mediante cessione di un capitale, vengono inquadrate tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente anche se costituite mediante contratti assicurativi. Relativamente al vitalizio oneroso si rileva che l'elemento che lo caratterizza è costituito dall'alternativa di guadagno e di perdita, per entrambe le parti, che deve sussistere fin dal momento iniziale della stipulazione con contratto. In genere, quindi, la rendita garantita dal vitalizio deve superare l'ammontare dei frutti del cespite alienato. Anche il contratto di vitalizio alimentare deve ricondursi nello schema del contratto di vitalizio: esso si configura quando una persona si obbliga, in corrispettivo dell'alienazione di un immobile, a fornire vitto e alloggio all'alienante, vita natural durante, ed in misura variabile secondo i bisogni del medesimo, nonché ad assisterlo in caso di malattia.

In base all'ultimo comma dell'art. 47 del T.U.I.R., l'assimilazione delle rendite in discorso ai redditi di lavoro dipendente non comporta la fruibilità delle detrazioni previste per detti redditi dall'art. 13 del T.U.I.R.

 

 

5.10. Prestazioni erogate ai sensi del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

La lett. h-bis) stabilisce che le prestazioni comunque erogate in forma di trattamento periodico ai sensi del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni ed integrazioni, costituiscono reddito assimilato quello di lavoro dipendente.

Tale lettera è stata introdotta nell'art. 47 del T.U.I.R. dall'art. 13, comma 7, del decreto legislativo n. 124 del 1993, come modificato dall'art. 11, comma 1, della legge 8 agosto 1995, n. 335. La legge n. 335 del 1995 ha profondamente innovato la disciplina vigente in materia di previdenza complementare al fine di eliminare, totalmente o parzialmente, le cause, anche fiscali, che impedivano lo sviluppo delle forme di previdenza complementare.

Tale disciplina si applica alle prestazioni periodiche comunque erogate dai fondi pensione a decorrere dal 17 agosto 1995, data di entrata in vigore della legge n. 335 del 1995 che ha modificato il D.Lgs. n. 124 del 1994 e, quindi, senza operare alcuna distinzione tra fondi pensione vecchi e nuovi, né tra iscritti vecchi e nuovi.

Va, infine, osservato che, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 47, per le prestazioni periodiche previste dalla lett. h-bis) in commento, spettano le detrazioni per lavoro dipendente.

 

 

5.11. Altri assegni periodici alla cui produzione non concorrono attualmente né capitale né lavoro.

La lett. i) del comma 1 dell'art. 47 del T.U.I.R., dispone che gli altri assegni periodici, comunque denominati, alla cui produzione non concorrono attualmente né capitale né lavoro, compresi quelli indicati nelle lett. h) e i) del comma 1 dell'art. 10 del T.U.I.R. (da intendersi ora lett. c) e d), a seguito della riformulazione dell'art. 10 effettuata con D.L. 31 maggio 1994, n. 330, convertito dalla legge 27 luglio 1994, n. 473) ed esclusi quelli indicati alla lett. c) del comma 1 dell'art. 41, rientrano tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

Rientrano in questa previsione normativa le rendite e i vitalizi diversi da quelli sopra esaminati, i sussidi ed ogni altro assegno periodico corrisposto con carattere di ricorrenza e che non costituiscano remunerazioni di capitale o di lavoro e indipendentemente dal fatto che la corresponsione sia subordinata al verificarsi di determinate condizioni o al possesso di specifici requisiti. Va precisato che presupposto per la tassazione è che gli assegni abbiano carattere di periodicità, pertanto, sono escluse dalla previsione della legge le erogazioni che non abbiano tale carattere. Per espressa previsione normativa sono compresi nella categoria in esame:

a) gli assegni periodici corrisposti al coniuge in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento od annullamento di matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria (articolo 10, comma 1, lettera c), del T.U.I.R., corrispondente alla richiamata lettera h) dell'articolo 10 nella precedente formulazione);

b) gli assegni periodici corrisposti al beneficiario in forza di testamento, in adempimento di oneri modali a carico del donatario e nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria, gli assegni alimentari corrisposti alle persone indicate nell'art. 433 c.c. (articolo 10, comma 1, lettera d), del T.U.I.R. corrispondente alla richiamata lettera i) dell'articolo 10 nella precedente formulazione).

Si ritiene, inoltre, che l'assegno integrativo erogato dalla Cassa Nazionale del Notariato ai notai che non raggiungono un livello predeterminato di onorari professionali deve essere considerato quale assegno periodico alla cui produzione non concorrono attualmente né capitale né lavoro.

Sono, invece, escluse dalla lettera in commento le rendite perpetue e le prestazioni annue perpetue di cui agli artt. 1861 e 1869 c.c. comprese fra i redditi di capitale di cui all'art. 41, lett. c), del T.U.I.R.).

 

 

5.12. Lavori socialmente utili.

L'articolo 2, comma 1, lettera a), numero 4), del decreto legislativo in commento ha sostituito la lettera l) dell'art. 47 del T.U.I.R. Nella nuova lettera l) sono stati inseriti i compensi percepiti dai soggetti impegnati in lavori socialmente utili in conformità a specifiche disposizioni normative. Come risulta dalla relazione illustrativa del decreto legislativo n. 314 del 1997, rispetto alla analoga previsione contenuta nella precedente lettera e) dell'art. 47, del T.U.I.R., è stato ampliato l'ambito oggettivo, in quanto la formulazione ora sostituita assimilava ai redditi di lavoro dipendente solo i compensi percepiti da lavoratori impegnati in lavori socialmente utili e, quindi, non consentiva di ricomprendervi simili compensi, percepiti da soggetti che non rivestivano la qualifica di lavoratori. Ciò comportava che i relativi compensi dovessero essere inquadrati, a seconda dei casi, tra i redditi di collaborazione coordinata e continuativa o tra quelli derivanti da attività saltuaria di lavoro autonomo.

Ai fini dell'assimilazione ai redditi di lavoro dipendente, non è più indispensabile che i compensi della specie siano percepiti da "lavoratori" sia pure in mobilità o in cassa integrazione. Inoltre, l'utilizzo in lavori socialmente utili non deve necessariamente derivare dall'applicazione diretta della legge, potendo avvenire in conformità anche ad altre disposizioni normative. La previsione contenuta nella lettera l) in esame è potenzialmente suscettibile, dunque, di un'applicazione più ampia di quanto potrebbe discendere dalla recente riforma della disciplina dei lavori socialmente utili, approvata con il decreto legislativo di attuazione dell'articolo 22 della legge 24 giugno 1997, n. 196 (al momento in corso di pubblicazione).

 

 

5.13. Risoluzioni e circolari confermate.

Restano confermate:

- la risoluzione n. 9/2282 del 18 dicembre 1979, con la quale, ai fini dell'inclusione nella previsione di cui alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 47, non è necessario che vi sia un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato del socio nei confronti della cooperativa, essendo sufficiente che costui presti la propria attività lavorativa di qualunque genere essa sia - nei confronti ed a favore della cooperativa;

- le risoluzioni n. 56/E del 17 aprile 1996 e n. 290/E del 17 settembre 1996, in base alle quali, ai fini dell'inquadramento tra i compensi percepiti a carico di terzi, la relazione con la qualità di lavoratore dipendente sussiste nel caso in cui risulti che per legge, regolamento, altro atto amministrativo, statuto o capitolato, l'incarico debba essere affidato ad un componente della categoria alla quale il contribuente appartiene (ove tale relazione non sussista, la prestazione dovrà essere inquadrata, in base ai suoi caratteri, nel lavoro autonomo professionale o in quello occasionale ovvero nella collaborazione coordinata e continuativa);

- la circolare n. 109/E, del 6 aprile 1995, in base alla quale sono esenti gli assegni di studio universitario corrisposti dalle Regioni a statuto ordinario, in base alla legge 2 dicembre 1991, n. 390 agli studenti universitari e quelle corrisposte dalle regioni a statuto speciale e dalle province autonome di Trento e Bolzano allo stesso titolo.

 

 

6. Redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente - Determinazione.

6.1 Generalità

6.2 Compensi percepiti dai soci di cooperative di produzione e lavoro, di servizi, agricole e di prima trasformazione di prodotti agricoli e della piccola pesca.

6.3. Indennità corrisposte per cariche elettive e assegni vitalizi

6.4 Rendite vitalizie o a tempo determinato e altri assegni periodici alla cui produzione non concorrono attualmente né capitale né lavoro

6.5 Prestazioni erogate in forma di trattamento periodico ai sensi del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124

 

 

6.1. Generalità

L'articolo 4 del decreto legislativo in commento introduce nel T.U.I.R. l'art. 48-bis, avente ad oggetto i criteri per la determinazione dei redditi assimilati a quello di lavoro dipendente.

La relazione illustrativa del provvedimento specifica che la scelta di raccogliere in un separato articolo le disposizioni concernenti la determinazione dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente è motivata dalla circostanza che soltanto per i redditi di lavoro dipendente di cui al comma 1 dell'articolo 46 del T.U.I.R. lo stesso decreto legislativo prevede l'unificazione delle basi imponibili fiscali e previdenziali e da esigenze di chiarezza per i contribuenti. Il nuovo articolo 48-bis, mentre conferma talune disposizioni già vigenti in materia di determinazione di alcuni dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, ha il pregio di chiarire espressamente al comma 1 che, salve le specifiche deroghe contenute nelle lettere a), b), c) e d) dello stesso comma 1, nella determinazione dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente si applica tutta la disciplina concernente la determinazione dei redditi di lavoro dipendente. Dalla disposizione, che ha una portata parzialmente innovativa, consegue che ai fini della determinazione dei redditi assimilati si dovranno applicare, se compatibili, tutte le previsioni contenute nella nuova formulazione dell'art. 48 del T.U.I.R., (già commentate nei paragrafi contraddistinti con il numero 2), ivi comprese, in particolare, quelle relative alle somme e ai valori che non concorrono, in tutto o in parte, alla formazione del reddito, ai criteri di valutazione dei compensi in natura, alla imputazione al periodo di imposta cui si riferiscono le somme e i valori corrisposti entro il 12 gennaio. Circa la possibilità di applicare il regime di tassazione separata si è già detto al paragrafo precedente. In merito alle deroghe contenute nelle citate lettere dell'articolo 48-bis, va precisato che mentre per le prestazioni in forma periodica della previdenza complementare è espressamente esclusa la possibilità di applicare anche l'articolo 48 del T.U.I.R., per le altre previsioni nulla è detto al riguardo. Pertanto si deve ritenere che, per le altre fattispecie, la disciplina contenuta nell'articolo 48-bis debba essere coordinata con quella prevista nell'articolo 48 del medesimo T.U.I.R.

 

 

6.2. Compensi percepiti dai soci di cooperative di produzione e lavoro, di servizi, agricole e di prima trasformazione di prodotti agricoli e della piccola pesca.

La lettera a) dell'articolo 48-bis, comma 1, del T.U.I.R., prevede, con riguardo alla determinazione del reddito dei soci di cooperative di produzione e lavoro, di servizi, agricole e di prima trasformazione di prodotti agricoli e della piccola pesca, una deroga a quanto stabilito nella lettera a) del comma 2 dell'art. 48 del T.U.I.R. relativamente ai contributi per previdenza complementare. Stabilisce, infatti, che i contributi versati alle forme pensionistiche complementari previste dal decreto legislativo n. 124 del 1993, dai lavoratori soci o dalle cooperative di produzione e lavoro, intendendo per tali tutte quelle cui si rende applicabile la previsione di cui all'articolo 47, comma 1, lettera a), del T.U.I.R., sono deducibili dal reddito fino ad un importo complessivo non superiore al 6% dell'imponibile rilevante ai fini della contribuzione previdenziale obbligatoria, e comunque, per un importo non superiore a cinque milioni di lire. Si precisa che la deduzione in questione e con gli stessi limiti, era stata introdotta nell'articolo 48 del T.U.I.R. (cfr. comma 8-bis), dall'art. 13, comma 3, lettera b), del decreto legislativo n. 124 del 1993.

 

 

6.3. Indennità corrisposte per cariche elettive e assegni vitalizi.

La lettera b) dell'art. 48-bis del T.U.I.R., nella prima parte riproduce la disposizione contenuta nel comma 8-ter del precedente articolo 48 del T.U.I.R. (era stata introdotta dall'art. 1-bis del decreto-legge 28 giugno 1995, n. 250, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1995, n. 349), in base alla quale non concorrono a formare il reddito indicato alla lettera g) del comma 1 dell'art. 47 del T.U.I.R., le somme corrisposte ai titolari di cariche elettive pubbliche, nonché a coloro che esercitano le funzioni di cui agli artt. 114 e 135 della Costituzione, a titolo di rimborso spese, a condizione che l'erogazione di tali somme e i relativi criteri siano disposti dagli organi competenti a determinare i trattamenti dei soggetti stessi. Nella seconda parte stabilisce che gli assegni vitalizi percepiti in dipendenza delle suddette cariche e funzioni sono assoggettati a tassazione per la quota parte che non deriva da fonti riferibili a trattenute effettuate al percettore già assoggettate a ritenute fiscali. Viene specificato, altresì, che detta quota parte si deve determinare, per ciascun periodo d'imposta, in misura corrispondente al rapporto complessivo delle trattenute effettuate, assoggettate a ritenute fiscali, e la spesa complessiva per assegni vitalizi. In tal modo l'importo assoggettabile a tassazione dell'assegno vitalizio è determinato sulla base del rapporto esistente tra l'intero ammontare delle trattenute effettuate, assoggettate a ritenute fiscali, e la spesa complessiva per assegni. Il suddetto rapporto va effettuato separatamente dai distinti soggetti erogatori degli assegni stessi, prendendo a base ciascuno i propri elementi. A tale riguardo va osservato che una disposizione di analogo contenuto era stata introdotta nell'ordinamento tributario dall'art. 5-bis del citato decreto-legge n. 250 del 1995. Tuttavia, la norma riguardava soltanto i membri del Parlamento e il predetto rapporto veniva effettuato prendendo a base congiuntamente i dati della Camera dei Deputati e quelli del Senato. La nuova disposizione, come già rilevato, estende questa modalità di tassazione anche relativamente agli assegni vitalizi conseguenti all'esercizio di tutte le altre cariche elettive previste nell'articolo 47, comma 1, lettera g), del T.U.I.R., comprese le funzioni di giudice della Corte Costituzionale, abbandonando, quindi, il criterio delle basi imponibili personalizzate, determinate, cioè per ciascun percettore in relazione alla quota parte che deriva da trattenute effettuate allo stesso percettore e non assoggettate a ritenuta fiscale, secondo quanto era stato stabilito dall'art. 26 della legge n. 724 del 1994. Inoltre, viene disposto che il rapporto complessivo tra le trattenute effettuate, assoggettate a ritenute fiscali, e la spesa complessiva per assegni vitalizi, deve essere effettuato separatamente dai distinti soggetti erogatori degli assegni stessi, prendendo a base ciascuno i propri elementi. Conseguentemente, con riferimento agli assegni vitalizi corrisposti ai membri del Parlamento, a decorrere dal primo gennaio 1998, si dovrà determinare una base imponibile separata tra Camera dei Deputati e Senato che tenga conto della spesa sostenuta per assegni vitalizi di ex onorevoli (o ex senatori) e delle trattenute ad essi operate e assoggettate a ritenuta.

 

 

6.4. Rendite vitalizie o a tempo determinato e altri assegni periodici alla cui produzione non concorrono attualmente né capitale né lavoro.

La lettera c) dell'art. 48-bis del T.U.I.R. riguarda gli assegni indicati nelle lettere h) ed i) del comma 1 dell'art. 47 del T.U.I.R. Si tratta quindi, rispettivamente delle rendite costituite a titolo oneroso, sia vitalizie che a tempo determinato, nonché dei sussidi e di ogni altro assegno periodico, aventi carattere di ricorrenza, alla cui erogazione non concorrano né capitale né lavoro. Sempre nella lettera i) rientrano anche le rendite non onerose, derivanti da donazione o testamento, nonché gli assegni periodici corrisposti al coniuge separato o divorziato, nella misura in cui risultino da provvedimenti dell'Autorità giudiziaria, quelli corrisposti in forza di testamento o di donazione modale, gli assegni alimentari corrisposti alle persone indicate nell'art. 433 del codice civile, nella misura in cui risultino da provvedimenti dell'Autorità giudiziaria. Inoltre, per espressa previsione normativa, contenuta, appunto, nella lettera c) in esame, le predette rendite si considerano percepite, salvo prova contraria, nella misura e alle scadenze risultanti dai relativi titoli, e concorrono a formare il reddito solo per il 60% dell'ammontare lordo percepito nel periodo d'imposta.

 

 

6.5. Prestazioni erogate in forma di trattamento periodico ai sensi del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

La lettera d) dell'art. 48-bis del T.U.I.R., riguarda le prestazioni comunque erogate in forma di trattamento periodico ai sensi della normativa sulle forme pensionistiche complementari, di cui alla lettera h-bis) del comma 1 dell'art. 47. Tali prestazioni, in deroga a quanto stabilito nell'art. 48 e conformemente a quanto stabilito dall'art. 11, comma 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, costituiscono reddito solo per l'87,5% dell'ammontare lordo corrisposto.

 

 

7. Ritenute sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

L'art. 7, comma 1, lettera e), del decreto legislativo in commento, sostituisce l'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, concernente le ritenute sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

L'art. 24 del D.P.R. n. 600 del 1973, così come riformulato, nel comma 1 dispone che i soggetti indicati nel comma 1 dell'articolo 23 dello stesso decreto, che corrispondono redditi di cui all'articolo 47 del T.U.I.R., devono operare, all'atto del pagamento di tali redditi e con obbligo di rivalsa, una ritenuta di acconto dell'IRPEF dovuta dai percipienti, commisurata alla parte imponibile di detti redditi, determinati a norma dell'articolo 48-bis del T.U.I.R. La ritenuta è effettuata, con le modalità previste nel citato articolo 23 e, quindi, almeno con l'aliquota prevista per il primo scaglione di reddito (ad esempio, in caso di un singolo gettone di presenza). È stata così completamente superata la precedente disciplina che per ogni tipologia di reddito assimilato fissava importi diversi di ritenuta e modalità particolari di applicazione. La nuova formulazione dell'art. 24 generalizza, invece, l'applicazione della ritenuta d'acconto sulla parte imponibile di tutti i redditi assimilati e per tutti prevede l'applicazione di detta ritenuta con le modalità previste per i redditi di lavoro dipendente, compreso l'obbligo di effettuare il conguaglio disciplinato ai commi 3 e 4 dell'art. 23 del D.P.R. n. 600 del 1973. Inoltre, la genericità della disposizione, che si riferisce ai redditi di cui all'articolo 47 del T.U.I.R., determinati a norma dell'art. 48-bis del T.U.I.R., fa sì che qualora in futuro vengano introdotte nuove ipotesi di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, si renderà immediatamente applicabile, anche con riferimento alle nuove fattispecie, la disciplina concernente l'applicazione delle ritenute di acconto. Nel comma 1 dell'art. 24 del D.P.R. n. 600 del 1973 viene, altresì, previsto che il sostituito è tenuto a versare al sostituto l'importo corrispondente alla ritenuta qualora detta ritenuta da operare sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente non trovi capienza, in tutto o in parte, sui contestuali pagamenti in danaro.

Al riguardo valgono i chiarimenti già forniti a proposito della analoga disposizione contenuta negli articoli 23 e 29 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Il comma 2 dell'art. 24 del D.P.R. n. 600 del 1973 conferma, infine, l'obbligatorietà per i soggetti che corrispondono compensi e indennità di cui all'art. 47, comma 1, lettera b), del T.U.I.R., di comunicare al datore di lavoro del percipiente l'ammontare delle somme corrisposte, delle ritenute operate e ora dei relativi contributi. Tenuto conto, poi, che l'articolo 23 del citato D.P.R. n. 600 del 1973 dispone espressamente che se le comunicazioni dei compensi corrisposti da terzi pervengono oltre il termine del 12 di gennaio dell'anno successivo, i relativi importi devono essere conguagliati nell'anno successivo, resta confermato che il sostituito non può provvedere autonomamente al pagamento delle maggiori imposte indicando gli importi in questione nella dichiarazione dei redditi.

Va, inoltre precisato che ai sensi dell'articolo 29 del D.P.R. n. 600 del 1973 le amministrazioni della Camera dei Deputati, del Senato e della Corte Costituzionale, nonché della Presidenza della Repubblica e degli organi legislativi delle regioni a statuto speciale, che corrispondono le indennità e gli assegni vitalizi di cui all'articolo 47, comma 1, lettera g), del T.U.I.R., devono applicare, all'atto del pagamento, una ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, commisurata alla parte imponibile di dette indennità e assegni, con le aliquote determinate secondo i criteri indicati nel comma 1 dello stesso articolo 29 ed effettuare, a norma del comma 2, le previste operazioni di conguaglio entro il mese di febbraio dell'anno successivo o entro due mesi dalla data di cessazione del rapporto. Infine, il comma 5 del richiamato articolo 29 dispone che le Amministrazioni dello Stato, comprese quelle con ordinamento autonomo, nonché le amministrazioni della Camera dei Deputati, del Senato e della Corte Costituzionale, nonché della Presidenza della Repubblica e degli organi legislativi delle regioni a statuto speciale che corrispondono i compensi e le altre somme di cui agli articoli 24, 25, 25-bis e 28 effettuano all'atto del pagamento le ritenute stabilite dalle disposizioni stesse.

 

 

8. Altre disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 314 del 1997.

8.1 Generalità

8.2 Modifiche delle disposizioni del T.U.I.R.

8.3 Modifiche ad altre disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600

8.4. Casellario dei trattamenti pensionistici

 

 

8.1. Generalità.

L'articolo 5 del decreto legislativo in commento interviene su altri articoli del T.U.I.R., concernenti disposizioni connesse al trattamento dei redditi di lavoro dipendente. Si tratta, in particolare, dell'articolo 3, comma 3, concernente le esclusioni dalla base imponibile, dell'articolo 10, relativo agli oneri deducibili, nonché degli articoli 16 e 17, concernenti la disciplina della tassazione separata. L'articolo 7 dello stesso decreto contiene ulteriori modifiche al decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, in particolare in materia di esoneri dall'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, di certificazione dei redditi soggetti a ritenute e di scritture contabili dei sostituti d'imposta. L'articolo 8 completa la disciplina del casellario dei trattamenti pensionistici.

 

 

8.2. Modifiche delle disposizioni del T.U.I.R.

Come si è già rilevato l'articolo 5 del decreto legislativo apporta alcune modificazioni ad altre disposizioni del T.U.I.R. comunque connesse alla disciplina dei redditi di lavoro dipendente. L'intervento del legislatore delegato, che ha interessato anche piccole correzioni formali che qui si tralasciano (cfr., ad esempio, l'art. 5, comma 1, lettera e), del decreto in esame, che modifica l'art. 62, comma 1-bis, correggendo il riferimento, non più adeguato, al comma 3 dell'articolo 48), può essere sintetizzato nel modo seguente.

- Base imponibile

L'articolo 5, comma 1, lettera a), in aderenza al principio in base al quale i soggetti residenti sono tenuti al pagamento delle imposte relativamente a tutti i redditi ovunque prodotti (salva l'applicazione di convenzioni per evitare la doppia imposizione sul reddito), e in considerazione del fatto che una analoga esenzione non era prevista in campo previdenziale, ha soppresso la disposizione (contenuta nell'art. 3, comma 3, lett. c), del T.U.I.R.), che attualmente esclude dalla formazione del reddito complessivo i redditi di lavoro dipendente prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto. Il comma 2 dello stesso articolo 5 stabilisce che la disposizione che prevede la soppressione della norma di favore ha effetto dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 2000. Fino alla predetta data, in deroga al principio di unificazione delle basi imponibili fiscali e previdenziali, i redditi di lavoro dipendente prodotti all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, saranno disciplinati ciascuno dalla propria normativa. Dal punto di vista fiscale resta, dunque, in vigore l'esclusione dalla formazione del reddito complessivo secondo i criteri forniti in altre occasioni. In particolare restano confermate, fino al 31 dicembre 2000: la circolare n. 95 (prot. n. 8/1053) del 18 ottobre 1977 e la risoluzione prot. n. 8/777 del 27 marzo 1979 con le quali è stato illustrato l'ambito applicativo dell'articolo 3, comma 3, lettera c), del T.U.I.R.; la risoluzione prot. n. 8/034 del 23 marzo 1987, con la quale è stato esclusa l'applicabilità della disposizione in esame relativamente alle retribuzioni percepite da ufficiali in forza allo Squadrone Elicotteri Italair durante il servizio prestato in Libano per esigenze delle Nazioni Unite; la risoluzione n. 108/E del 3 maggio 1996 (confermata anche con circolare n. 137 del 15 maggio 1997, punto 6) secondo cui i redditi percepiti dai cosiddetti lavoratori frontalieri (in particolare a S. Marino, in Francia e pure nel Principato di Monaco) non rientrano nell'ambito applicativo della disposizione agevolativa; la risoluzione prot. n. 12/1197, del 30 luglio 1990, con la quale è stata confermata la non imponibilità delle retribuzioni corrisposte ai marittimi italiani imbarcati su navi che abitualmente operano fuori del territorio nazionale. Come già sottolineato in sede di commento all'articolo 23, proprio in considerazione del fatto che a decorrere dal 1° gennaio 2001 anche i redditi della specie saranno assoggettati a tassazione, è stato previsto che il sostituto d'imposta possa riconoscere, in sede di tassazione del reddito di lavoro dipendente, l'eventuale credito d'imposta spettante per i redditi prodotti all'estero. In questo modo si evita che gli interessati, eventualmente esonerati dall'obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi, siano costretti alla presentazione della dichiarazione stessa al solo fine di fruire del credito in questione. Poiché presupposto per il riconoscimento del credito è che i redditi di lavoro dipendente prodotti all'estero concorrano alla formazione del reddito assoggettato a tassazione, anche questa previsione si renderà applicabile soltanto a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2000.

Lo stesso articolo 5, comma 1, alla lettera a), numero 2), sostituisce la lettera d) dell'articolo 3, comma 3, concernente l'esclusione dalla base imponibile degli assegni familiari, per inserire il riferimento all'assegno per il nucleo familiare in luogo di quello ai detti assegni familiari. Di ciò si è già avuto modo di trattare in sede di commento all'articolo 48 del T.U.I.R., cui ora si rinvia.

- Oneri deducibili

Nell'articolo 10 del T.U.I.R. è stata inserita la lettera d-bis) concernente le somme restituite all'ente erogatore, che abbiano concorso a formare il reddito in anni precedenti. Attraverso l'introduzione di un nuovo onere deducibile, pari, appunto, all'importo delle somme che in un periodo d'imposta sono state assoggettate a tassazione e, successivamente, vengono rimborsate all'ente erogatore, il legislatore ha cercato di risolvere il problema del rimborso delle imposte pagate su somme percepite e assoggettate a tassazione secondo il criterio di cassa e poi restituite al soggetto erogatore. Non essendo previsto, infatti, l'istituto delle sopravvenienze passive per i redditi tassati con il criterio di cassa, rimaneva dubbia l'esistenza di un supporto giuridico per procedere al rimborso delle imposte relative a somme che erano entrate nella disponibilità del contribuente, ma che successivamente erano state restituite. Come già precisato, la disposizione non riguarda soltanto i redditi di lavoro dipendente, bensì tutti i redditi assoggettati a tassazione con il criterio di cassa e, quindi, potrà trattarsi anche di compensi di lavoro autonomo professionale o altri redditi di lavoro autonomo (collaborazioni coordinate e continuative, diritti di autore, ecc.), nonché redditi diversi (lavoro autonomo occasionale o altro). Va evidenziato, inoltre, come già rilevato, che per effetto della lettera h) del comma 2 del nuovo articolo 48, il predetto onere deducibile potrà anche essere riconosciuto direttamente dal sostituto di imposta e non concorrerà a formare il reddito imponibile, evitando così che il contribuente debba presentare la dichiarazione dei redditi per ottenere il riconoscimento di tale onere.

- Somme e indennità soggette a tassazione separata

L'articolo 5, comma 1, lettera c), del decreto legislativo in commento ha modificato la lettera b) dell'articolo 16 del T.U.I.R., concernente gli emolumenti arretrati per i quali è consentita l'applicazione di tale istituto. Di tale modifica si è già parlato in sede di commento all'articolo 47 del T.U.I.R. cui ora si rinvia, precisando che per gli altri aspetti resta confermata la circolare n. 23/E del 5 febbraio 1997. Sempre in ambito di disciplina della tassazione separata, l'articolo 5, comma 1, lettera d), numeri 1) e 2), contiene due modifiche all'articolo 17 del T.U.I.R. concernente le indennità di fine rapporto. In particolare, è stato modificato il comma 4 ed è stato inserito un comma 4-bis. Fermo restando, come anticipato in premessa, che sull'articolo 17 del T.U.I.R. saranno fornite ulteriori istruzioni più complete, gli interventi possono essere così sintetizzati:

1. sulle anticipazioni e sugli acconti relativi al trattamento di fine rapporto e alle indennità equipollenti, nonché sulle anticipazioni relative alle altre indennità e somme, l'imposta si applica, salvo conguaglio all'atto della liquidazione definitiva, con le stesse modalità previste, rispettivamente, per il trattamento di fine rapporto e per le altre indennità e somme. Attualmente, invece, sulle anticipazioni relative alle altre indennità e somme l'imposta si applica, sempre salvo conguaglio all'atto della liquidazione definitiva, con l'aliquota stabilita per il primo scaglione di reddito. La modifica comporta che l'aliquota debba essere determinata sulla base del T.F.R. accantonato in bilancio a nome del dipendente;

sulle somme aggiuntive corrisposte in occasione della cessazione del rapporto al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori che abbiano superato l'età di 55 anni se uomini e 50 anni se donne, l'imposta si applica con l'aliquota pari alla metà di quella applicata per la tassazione del trattamento di fine rapporto e delle altre indennità e somme. Tenuto conto che, per espressa previsione normativa, deve trattarsi di somme aggiuntive corrisposte al fine di incentivare l'esodo, ai fini dell'applicazione della aliquota ridotta è necessario che la cessazione anticipata del rapporto sia concordata e che in relazione a ciò siano offerte al dipendente maggiori somme. La riduzione dell'aliquota non scatta, quindi, con la semplice cessazione del rapporto da parte di un soggetto che possiede i requisiti di età previsti dalla norma. Si ritiene, peraltro, sempre sulla base del tenore letterale della disposizione, che utilizza il termine "esodo", che, in linea di principio, sia necessario che l'offerta del datore di lavoro a corrispondere maggiori somme, in funzione di detta cessazione anticipata, debba essere rivolto alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti in possesso dei requisiti previsti dalla norma, anche se, poi, di fatto venga utilizzato da uno soltanto dei destinatari dell'offerta. È appena il caso di sottolineare, comunque, che l'aliquota agevolata si applica soltanto sulle somme aggiuntive e non su tutte le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto.

 

 

8.3. Modifiche ad altre disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

L'articolo 7 del decreto legislativo in commento ha apportato ulteriori modifiche al D.P.R. n. 600 del 1973, che possono essere sintetizzate nel modo seguente.

- Esonero dall'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi

La lettera a) del comma 1 dell'articolo 7 modifica le disposizioni relative all'esonero dall'obbligo di presentazione della dichiarazione introducendo (nel comma 4 dell'articolo 1 del D.P.R n. 600 del 1973 alla lettera c)) una nuova disposizione che assorbe ed amplia le ipotesi di esonero contenute nelle lettere c), d), e) ed e-bis) del medesimo articolo l, comma 4, che vengono conseguentemente abrogate. Le norme abrogate prendevano in considerazione una pluralità di fattispecie sostanzialmente analoghe che si differenziavano in relazione ai soggetti che ne erano destinatari. Questa disciplina casistica viene sostituita con una disposizione di carattere generale che risulta applicabile nei confronti di tutti i contribuenti che non risultano obbligati alla tenuta delle scritture contabili. La nuova disposizione, che sostituisce le precedenti, prevede che sono esonerati dall'obbligo di presentazione della dichiarazione le persone fisiche non obbligate alla tenuta delle scritture contabili che possiedono:

- soltanto redditi esenti, redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, reddito fondiario dell'abitazione principale e delle sue pertinenze di importo non superiore a quello della deduzione spettante per tale abitazione;

e

- altri redditi per i quali la differenza tra l'imposta lorda complessiva e l'ammontare spettante delle detrazioni di cui agli articolo 12 e 13 del T.U.I.R. e le ritenute operate risulta non superiore a lire 20.000.

La nuova formulazione copre tutta la casistica precedentemente in vigore ed introduce nuove ipotesi di esonero. Si ricorda, infatti, che la previgente disciplina contenuta nelle disposizioni abrogate riguardava:

- (lettera c) i contribuenti che possiedono solo reddito di lavoro dipendente per un ammontare complessivo non superiore a quello della detrazione spettante per tali tipi di reddito. Tale ipotesi di esonero era riconosciuta anche ai titolari di due sole tipologie di redditi assimilati a quello di lavoro dipendente: i compensi percepiti dai soci delle cooperative di produzione e lavoro e le borse di studio;

- (lettera d) i contribuenti che possiedono solo reddito di lavoro dipendente (corrisposto anche da più datori di lavoro, ma certificato dall'ultimo datore di lavoro) ovvero solo uno dei redditi assimilati previsti dall'articolo 47, comma 1, lettere a) e d) (soci di cooperative di produzione e lavoro e sacerdoti) e reddito dei fabbricati, derivante esclusivamente dal possesso dell'abitazione principale e di sue eventuali pertinenze (box, cantina, ecc.), non superiore all'importo della deduzione spettante per l'abitazione principale. Il limite della deduzione va rapportato al periodo dell'anno durante il quale il fabbricato è stato adibito ad abitazione principale e alla quota di possesso;

- (lettera e) i contribuenti non obbligati alla tenuta delle scritture contabili che non possiedono alcun reddito o possiedono soltanto redditi esenti e redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta;

- (lettera e-bis) i contribuenti che possiedono solo redditi di lavoro dipendente (corrisposti anche da più datori di lavoro) e altri redditi, diversi da quelli derivanti dall'esercizio di attività imprenditoriali e professionali, e non soggetti a ILOR, per i quali la differenza tra l'imposta corrispondente al reddito complessivo e la somma delle detrazioni per lavoro dipendente e per familiari a carico non è superiore a L. 20.000.

A decorrere dal 1° gennaio 1998 l'esonero dalla presentazione dei redditi compete, invece, anche nell'ipotesi in cui i contribuenti risultano tenuti a versare un imposta non superiore a lire 20.000 sia pure per effetto delle ritenute d'acconto subite nel corso dell'anno.

- Certificazioni

La lettera b) dell'articolo 7, comma 1, del decreto legislativo in commento sostituisce l'articolo 7-bis del D.P.R. n. 600 del 1973. Con la nuova formulazione è stato previsto che il sostituito debba ricevere una certificazione unica ai fini fiscali e contributivi (i cui elementi, compresa la sequenza di esposizione dei dati, sono fissati con decreto del Ministro delle Finanze) e la conseguente eliminazione di tutte le certificazioni eventualmente previste ai fini contributivi, coerentemente con quanto stabilito con il decreto legislativo n. 241 del 1997 di attuazione del comma 134 della legge n. 662 del 1996 con riferimento alle dichiarazioni dei sostituti d'imposta. La nuova certificazione non deve essere conforme a modello approvato con decreto del Ministro delle finanze (Certificato Modello 101 che è soppresso), ma deve soltanto contenere, come già precisato, gli elementi indicati nel suddetto decreto, rispettandone la sequenza. I dati in questione potranno essere esposti su certificazioni di qualunque dimensione e potranno essere incorporate in altri documenti che il sostituto sia obbligato, sulla base di altre disposizioni, a consegnare. In questo modo è stata eliminata anche la consueta distinzione tra il certificato modello 101 o 201, storicamente dedicati alla certificazione dei redditi di lavoro dipendente e di pensione, e gli altri certificati relativi agli altri redditi assoggettati a ritenuta. La relazione esplicativa specifica che alla base della soppressione della distinzione c'è anche la finalità di evitare che l'utilizzo improprio dei certificati modello 101 per attestare la corresponsione di redditi diversi da quelli di lavoro dipendente, possa trarre in errore il sostituito circa la natura del reddito che gli è stato corrisposto. Per quanto riguarda i termini di consegna della certificazione unica viene confermato il termine del 28 febbraio, quale termine ordinario, ma in caso di interruzione del rapporto la certificazione deve essere consegnata entro dodici giorni dalla richiesta. In sostanza, mentre il previgente sistema obbligava il sostituto a consegnare sempre la certificazione entro 60 giorni dalla fine del rapporto (creando disagi notevoli e spesso anche inutili), la nuova disciplina prevede che il sostituto debba comunque consegnare entro il 28 febbraio, salvo che il sostituito non chieda la consegna anticipata. È stato previsto, dunque, che in caso di richiesta il sostituto debba adempiere entro 12 giorni, naturalmente se la richiesta è effettuata prima che siano state liquidate le ultime competenze soggette a tassazione ordinaria, i 12 giorni decorreranno da detta liquidazione. Entrambi i termini di consegna si applicano anche a tutte le ipotesi caratterizzate da un rapporto tra il sostituto e il sostituito inferiore all'anno. La finalità della norma è quella di consentire al sostituito di chiedere, al sostituto che effettua le operazioni di conguaglio, di conguagliare anche altri redditi di lavoro dipendente o assimilati percepiti nel corso dell'anno. Pertanto, il massimo rigore nel rispetto del termine di 12 giorni dalla richiesta dovrà essere preteso nell'approssimarsi delle fine del periodo d'imposta, mentre più tolleranza potrà essere adottata in periodi più lontani da quello di effettuazione delle suddette operazioni di conguaglio. La certificazione unica può essere sottoscritta mediante sistemi di elaborazione automatica, senza che siano previsti particolari limiti. In precedenza era consentita solo a coloro che presentavano la dichiarazione di sostituto di imposta su supporto magnetico. Per completezza di argomento, si fa presente che il comma 2 dell'articolo 6 dello stesso decreto legislativo n. 314 del 1997 in commento, dispone l'ampliamento del vigente estratto conto previdenziale e, affinché il lavoratore venga informato con precisione anche dell'ammontare dei redditi di lavoro dipendente e delle relative ritenute indicati nelle dichiarazioni dei sostituti d'imposta, prevede l'inserimento in detto estratto conto anche dei dati fiscali. In pratica, con la certificazione unica il sostituto comunica al lavoratore i redditi corrisposti, le detrazioni riconosciute, le ritenute operate e i contributi relativi; con la dichiarazione Modello 770 il sostituto comunica all'Amministrazione finanziaria i dati relativi ai redditi, alle ritenute, alle detrazioni, ecc. nonché i dati contributivi del sostituito; con l'estratto conto il sostituito viene informato ufficialmente dei contributi che risultano accreditati e dei dati relativi ai suoi redditi di lavoro dipendente e alle corrispondenti ritenute di acconto che sono state indicati dal datore di lavoro nella dichiarazione Mod. 770 che è stata presentata in qualità di sostituto d'imposta e che risultano acquisiti dall'Amministrazione finanziaria.

- Scritture contabili dei sostituti d'imposta

La lettera c) dell'articolo 7, comma 1, del decreto legislativo in esame, sostituisce l'articolo 21 del più volte citato D.P.R. n. 600 del 1973, concernente le scritture contabili dei sostituti d'imposta al fine di evitare la duplicazione di indicazioni di dati concernenti le detrazioni per carichi familiari e per lavoro dipendente nelle scritture contabili o in libri obbligatori tenuti ai sensi della vigente legislazione sul lavoro. Sulla base della nuova formulazione, per ciascun dipendente, nel libro matricola o in altri libri obbligatori tenuti ai sensi della vigente legislazione sul lavoro (e questo costituisce la novità), devono essere indicate le detrazioni per carichi familiari e per lavoro dipendente attribuite in base alla richiesta effettuata dal dipendente (a norma dell'articolo 23 del D.P.R. n. 600 del 1973). Le somme e i valori corrisposti a ciascun dipendente devono risultare dal libro paga o da documenti equipollenti tenuti ai sensi della vigente legislazione sul lavoro (e anche questo costituisce una novità).

 

 

8.4. Casellario dei trattamenti pensionistici.

L'articolo 8 del decreto legislativo in esame, introduce nella normativa concernente il casellario dei trattamenti pensionistici le disposizioni fiscali volte a consentire il pieno raggiungimento degli obiettivi perseguiti con l'istituzione di detto casellario e cioè l'esonero dall'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi cui si è tenuti per il semplice fatto di essere possessori di due o più trattamenti pensionistici. In particolare, i commi quarto, quinto e sesto dell'articolo unico del decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388, concernente l'istituzione del casellario centrale dei pensionati, come sostituiti dall'articolo 6 del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, vengono a loro volta sostituiti, con decorrenza 1° gennaio 1998. La nuova disciplina risulta così disegnata:

- entro il mese di febbraio di ciascun anno, gli enti che corrispondono trattamenti pensionistici trasmettono al casellario, con le modalità da questo precisate, i dati relativi ai trattamenti pensionistici che verranno erogati nel corso dell'anno, nella forma richiesta dal casellario stesso;

- entro il mese di giugno dello stesso anno, il casellario centrale, sulla base dei dati ricevuti e mediante l'utilizzo di procedure automatiche:

1. individua i titolari di due o più trattamenti pensionistici;

2. calcola l'aliquota dei percipienti;

3. determina le detrazioni complessivamente spettanti;

4. comunica all'ente che eroga il trattamento di minore importo l'aliquota da operare, se e quali detrazioni attribuire, nonché i contributi eventualmente da trattenere. Le detrazioni potranno anche essere riconosciute frazionandone l'importo tra i diversi enti pensionistici, se ciò si rendesse necessario per consentire al pensionato di fruire totalmente delle detrazioni spettanti;

A partire dalla data della comunicazione, gli enti che erogano il trattamento di minore importo devono adeguare la tassazione del trattamento pensionistico in modo corrispondente ai risultati della comunicazione ricevuta.

Entro il 28 febbraio dell'anno successivo, ciascun ente effettua le consuete operazioni di conguaglio relativamente ai trattamenti pensionistici corrisposti, tenendo sempre conto della comunicazione ricevuta dal casellario pensionistico e consegna la propria certificazione unica, annotando sulla stessa che sono state applicate le disposizioni fiscali previste per i titolari di due o più trattamenti pensionistici.

Sulla base delle dichiarazioni e degli elenchi presentati annualmente dai soggetti che corrispondono trattamenti pensionistici in qualità di sostituti d'imposta, l'Amministrazione finanziaria provvede ad effettuare gli eventuali ulteriori conguagli iscrivendo a ruolo le maggiori imposte, senza applicazione di sanzioni, ma con gli interessi, se dovuti.

I titolari di più trattamenti pensionistici che possiedano soltanto i suddetti trattamenti che sono stati assoggettati a ritenuta alla fonte attraverso il casellario delle pensioni, sono esonerati dalla presentazione della dichiarazione dei redditi.

Si ritiene che gli enti pensionistici possano prevedere ulteriori modalità organizzative (ad esempio, altre comunicazioni, ecc.). In ogni caso deve essere garantita una tassazione alla fonte il più possibile aderente al cumulo dei trattamenti pensionistici di competenza degli amministrati così da evitare di esporre gli interessati ad un prelievo troppo gravoso in sede di conguaglio o ad una successiva iscrizione a ruolo di considerevoli somme, gravate da interessi, da parte dell'Amministrazione finanziaria. Si ritiene, infine, che nell'ambito applicativo della disposizione in questione possano essere compresi anche i trattamenti in forma periodica corrisposti dai fondi pensione complementare e che, quindi, detti trattamenti debbano essere gestiti unitamente ai trattamenti pensionistici veri e propri, tenendo conto, ovviamente, della riduzione dell'imponibile per essi prevista. Infatti, la natura del trattamento è analoga a quella delle pensioni, benché per la previdenza complementare si sia previsto una riduzione della base imponibile.

 

 

9. Entrata in vigore delle disposizioni contenute nel decreto legislativo.

L'articolo 9 del decreto legislativo in commento fissa, in linea generale, l'entrata in vigore delle disposizioni in esso contenute alla data del 1° gennaio 1998, senza fornire ulteriori indicazioni. Al riguardo va osservato che il provvedimento si pone come un corpo organico nuovo che va unitariamente considerato e che suppone il primo gennaio 1998 come punto di partenza per tutto ciò che in esso è disciplinato. Si ritiene, pertanto, che allorquando l'articolo 9 del decreto legislativo dispone che il "decreto entra in vigore dal 1° gennaio 1998" ha inteso fare riferimento a tale data anche per individuare la decorrenza dei fatti considerati nelle norme che danno origine alla corresponsione delle somme e dei valori. Pertanto, a titolo di esempio, le nuove disposizioni si applicano alle trasferte che iniziano dal 1° gennaio 1998, ai trasferimenti disposti dallo stesso 1° gennaio 1998, ovvero disposti antecedentemente, ma con decorrenza dalla stessa data, agli anticipi o agli acconti di T.F.R. chiesti dal primo gennaio 1998. Per quanto riguarda le disposizioni relative alla disciplina delle somme corrisposte per incentivi agli esodi, si precisa che in questo caso si deve far riferimento alla data in cui, essendosi realizzato l'evento, matura il diritto alla percezione delle somme in questione. In particolare, si ritiene che le nuove disposizioni debbano applicarsi alle somme corrisposte per incentivi all'esodo a seguito di cessazioni del rapporto di lavoro che decorrono dal 1° gennaio 1998, vale a dire nei confronti di soggetti che il 31 dicembre 1997 sono in costanza di servizio e il cui diritto alla percezione delle somme sorge, quindi, dal primo minuto del primo gennaio 1998.

Si ritiene, altresì, che l'imputazione dei redditi corrisposti entro il 12 di gennaio 1998 e l'effettuazione delle conseguenti operazioni di conguaglio debba avvenire con le regole in vigore fino al periodo d'imposta 1997 e che, quindi, anche la nuova previsione contenuta nel comma 1 del nuovo articolo 48 entri in vigore con riferimento ai redditi del 1998. In pratica, la nuova disposizione si applicherà per la prima volta con riferimento al periodo dicembre 1998-12 gennaio 1999. Infatti, tenuto conto che i redditi della specie sono assoggettati per periodi di paga, le nuove disposizioni, che entrano in vigore dal 1° gennaio 1998, si applicheranno a partire dalle competenze del periodo di paga di gennaio 1998, e la nuova disciplina delle operazioni di conguaglio contenuta nel novellato articolo 23 del D.P.R. n. 600 del 1973 si renderà applicabile la prima volta con riferimento ai redditi corrisposti nel corso del 1998 (periodo di paga di dicembre o entro i due mesi successivi). L'interpretazione adottata, pur costituendo, per alcuni aspetti, una sorta di deroga al criterio di cassa che regola l'imputazione al periodo d'imposta dei redditi di lavoro dipendente e dei redditi assimilati a questi, consente di mantenere una logica coerente con il provvedimento nel suo complesso, semplifica gli adempimenti dei sostituti d'imposta e fa sì che l'unificazione delle basi imponibili fiscali e previdenziali non abbia immediatamente con una divaricazione. È bene ricordare, infatti, che la previdenza mantiene, anche dopo l'entrata in vigore del provvedimento, l'imputazione al periodo d'imposta per competenza e, pertanto, tutto ciò che è pagato nel 1998, ma si riferisce al 1997, in via di principio è già stato assoggettato a contribuzione nell'anno di riferimento. Le disposizioni concernenti l'esonero dalla presentazione della dichiarazione dei redditi e le scritture contabili dei sostituti d'imposta si applicano con riferimento agli adempimenti da compiere a decorrere dal 1° gennaio 1998.

Gli uffici in indirizzo sono pregati di dare la massima diffusione al contenuto della presente circolare.

 

 

Allegato

Decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314

Armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi di lavoro dipendente e dei relativi adempimenti da parte dei datori di lavoro .