§ 3.1.56 - L.R. 3 aprile 1995, n. 9.
Piano Sanitario regionale 1995/1997.


Settore:Codici regionali
Regione:Calabria
Materia:3. servizi sociali
Capitolo:3.1 assistenza sanitaria
Data:03/04/1995
Numero:9


Sommario
Art. 1.  Oggetto.
Art. 2.  Finalità.
Art. 3.  Obiettivi generali.
Art. 4.  Obiettivi specifici.
Art. 5.  Priorità.
Art. 6.  Criteri per l'attuazione del Piano Sanitario Regionale.
Art. 7.  Efficacia.
Art. 8.  Indirizzo e coordinamento.
Art. 9.  Unità Sanitarie Locali.
Art. 10.  Dipartimenti ospedalieri.
Art. 11.  Piani attuativi delle Unità Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere.
Art. 12.  Verifica del Piano Sanitario Regionale.
Art. 13.  Adeguamento del Piano Sanitario Regionale.
Art. 14.  Rapporti con l'Università.
Art. 15.  Vigilanza e poteri sostitutivi.
Art. 16.  Servizi di diagnosi e cura.
Art. 17.  Formazione ed aggiornamento del personale.
Art. 18.  Norme transitorie.
Art. 19.  Finanziamento del Piano Sanitario Regionale.
Art. 20.  Approvazione dei documenti allegati.
Art. 21.  Abrogazione di norme.


§ 3.1.56 - L.R. 3 aprile 1995, n. 9. [1]

Piano Sanitario regionale 1995/1997.

(B.U. 11 aprile 1995, n. 39).

 

Art. 1. Oggetto.

     1. Con la presente legge è approvato il Piano Sanitario regionale per il triennio 1995/97, costituito dai documenti allegati e dalle relative tabelle.

     2. Il Piano Sanitario di cui al precedente comma è formulato in armonia con le disposizioni della legge 23 dicembre 1978, n. 833, della legge 23 ottobre 1985, n. 595, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, articolo 8, comma 18, legge 23 dicembre 1994, n. 724, nonché delle altre normative nazionali di indirizzo in materia di programmazione sanitaria e, in particolare, del Piano sanitario nazionale di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, per come modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, di seguito denominato decreto legislativo di riordino, piano sanitario già approvato con DPR 1° marzo 1994, a seguito dell'atto di intesa Stato- Regioni.

 

     Art. 2. Finalità.

     1. Il Piano Sanitario Regionale è finalizzato a realizzare, attraverso i momenti coordinati e integrati della prevenzione, della cura e della riabilitazione, la tutela della salute dei cittadini, qualitativamente appropriata, basata sul pieno rispetto della dignità della persona, adottando criteri di efficienza, di produttività e di economicità idonei a realizzare un corretto rapporto tra costo dei servizi e relativi benefici.

     2. Ai suddetti fini il Piano Sanitario Regionale indica le modalità di riorganizzazione e coordinamento dei servizi sanitari in modo da pervenire alla progressiva eliminazione degli squilibri territoriali e strutturali esistenti.

     3. Le Unità Sanitarie Locali sono articolate, territorialmente, in Distretti Sanitari, e nell'ambito di questi, in Poli Sanitari Territoriali, in conformità ai criteri all'uopo fissati dal Piano Sanitario Regionale.

     4. Il Piano persegue le sue finalità attraverso le strutture sanitarie pubbliche e private che rispondono ai requisiti richiesti dalla normativa nazionale e regionale.

 

     Art. 3. Obiettivi generali.

     1. Il Piano Sanitario Regionale individua per il periodo della sua durata:

     A) Gli obiettivi sostanziali concernenti:

     - l'adeguamento dell'assistenza sanitaria di diagnosi e cura di base, generica e pediatrica, specialistica, infermieristica, ospedaliera e farmaceutica ai bisogni della popolazione;

     - la razionalizzazione e l'equilibrata distribuzione delle prestazioni sanitarie sul territorio regionale con riferimento ai livelli uniformi di assistenza sanitaria definiti dal Piano Sanitario Nazionale di cui all'art. 1 del decreto legislativo di riordino;

     - lo sviluppo e l'organizzazione - in riferimento all'art. 26 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, alla legge 5 febbraio 1992 n. 104 ed in armonia al dettato di cui al Piano Sanitario Nazionale (DPR 1° marzo 1994)

- delle attività di prevenzione, cura, riabilitazione e integrazione

sociale dei soggetti portatori di handicap per disabilità fisiche,

psichiche e sensoriali, individuando anche iniziative specifiche e

coordinando gli interventi previsti dal Piano Sanitario Regionale;

     - l'incremento dell'attività di prevenzione delle malattie e degli infortuni per mezzo della profilassi degli eventi morbosi e l'indicazione delle misure idonee ad eliminare i fattori di nocività, pericolosità e deterioramento negli ambienti di vita e di lavoro e ad assicurare l'igiene degli alimenti, delle bevande e dei prodotti di origine animale:

     - il coordinamento delle politiche di intervento tra i settori sociale e sanitario:

     - la formazione di una moderna coscienza sanitaria per mezzo di azioni di educazione sanitaria dei singoli e della collettività.

     B) Gli obiettivi strumentali in materia di organizzazione e funzionamento delle strutture sanitarie, prevedendo, in conformità agli indirizzi e alle indicazioni comunque desumibili dalla normativa nazionale, i criteri generali per:

     - l'articolazione delle Unità Sanitarie Locali in Distretti sanitari e in Poli sanitari territoriali nonché, in tali ambiti, la localizzazione, l'ambito territoriale di riferimento ed il dimensionamento dei servizi specialistici ambulatoriali, ospedalieri ed extraospedalieri, anche multizonali, esistenti o da istituire nel quadro del riequilibrio delle dotazioni sanitarie, nonché la riorganizzazione delle relative attività;

     - il fabbisogno quantitativo e qualitativo di personale in relazione ai servizi ed ai presidi pubblici ed il conseguente adeguamento degli organici tenuto conto anche di una corretta applicazione della disciplina delle compatibilità nonché l'attuazione della mobilità sulla base oggettiva dei servizi effettivi da coprire:

     - il fabbisogno di attrezzature per il potenziamento e l'ammodernamento dei servizi pubblici;

     - la formazione e l'aggiornamento del personale addetto al Servizio Sanitario regionale, con particolare riferimento alle funzioni tecnico- professionali, organizzative e gestionali:

     - l'adeguamento, mediante sistemi informatici, degli strumenti di rilevazione dei dati epidemiologici, statistici e finanziari, necessari alle esigenze conoscitive, di valutazione e di controllo della Regione anche ai fini dei conseguenti indirizzi gestionali per le Unità Sanitarie Locali e per le aziende ospedaliere di cui all'articolo 4 del decreto legislativo di riordino;

     - la definizione e la localizzazione del fabbisogno di prestazioni professionali convenzionate per la medicina generale e per la pediatria di libera scelta, per i servizi specialistici nei poliambulatori intra ed extraospedalieri, nonché per le attività specialistiche di ricovero, cura e riabilitazione presso strutture private, secondo le reali necessità ed in relazione alla qualità dei servizi offerti, e tenuto conto di quanto previsto dall'articolo 4, comma secondo, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 e nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo di riordino;

     - la partecipazione del volontariato ed il coordinamento delle attività che esso è ammesso a svolgere nei presidi e nei servizi pubblici territoriali;

     - la partecipazione dei cittadini alla verifica della qualità dell'assistenza sanitaria come indicato all'articolo 14 del decreto legislativo di riordino.

 

     Art. 4. Obiettivi specifici.

     1. Il Piano Sanitario Regionale, oltre agli obiettivi generali di cui al precedente articolo 3, individua, per il periodo della sua durata, gli obiettivi specifici, da perseguire mediante i progetti-obiettivo e le azioni programmate di cui al successivo articolo 20.

     2. La Giunta regionale, previo parere della Commissione regionale competente, che dovrà essere espresso entro il termine perentorio di 45 giorni dalla data di acquisizione della proposta, approva i piani attuativi per ciascun settore d'intervento di cui al comma precedente, avviando anche programmi di ricerca su specifici temi di interesse socio-sanitario, avvalendosi, ove necessario, di strutture ed istituzioni tecnico- scientifiche, pubbliche o private, di riconosciuta competenza nelle rispettive materie.

     3. Restano fermi i compiti dell'Osservatorio Epidemiologico Regionale di cui alla legge regionale 1 dicembre 1988, n. 27.

 

     Art. 5. Priorità.

     1. Le Unità Sanitarie Locali dovranno prioritariamente avviare i seguenti interventi:

     a) attivazione dei Distretti Sanitari e della rete dei Poli Sanitari Territoriali;

     b) attivazione, in tali ambiti, della rete ambulatoriale specialistica, intra ed extraospedaliera, anche per contenere i ricoveri nei limiti delle esigenze diagnostiche e curative;

     c) ristrutturazione, razionalizzazione e riqualificazione della-rete ospedaliera in conformità alle disposizioni contenute nell'articolo 10 della legge 23 ottobre 1985, n. 595 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 e della legge 24 dicembre 1993, n. 537 e della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e tenuto, altresì, conto di quanto previsto per le Aziende Ospedaliere e i presidi ospedalieri dall'articolo 4, comma decimo, del decreto legislativo di riordino;

     d) attivazione del Servizio regionale per l'Emergenza sanitaria;

     e) attivazione dei dipartimenti di prevenzione;

     f) attivazione del Sistema Informativo Sanitario;

     g) attivazione e potenziamento delle attività di formazione ed aggiornamento professionale;

     h) attivazione e potenziamento dei servizi riabilitativi (di cui all'art. 26 legge 833/78) di 1°, 2° e 3° livello e della legge 104/92;

     i) uniformare interventi, organizzazione dei servizi, ristrutturazioni e riqualificazione degli stessi ai progetti obiettivo allegati.

 

     Art. 6. Criteri per l'attuazione del Piano Sanitario Regionale.

     1. Il Piano Sanitario Regionale determina:

     a) le modalità ed i tempi di realizzazione degli interventi;

     b) gli standards di funzionalità ed efficienza dei servizi ed i parametri per l'utilizzazione ottimale delle strutture ospedaliere e dei posti letto;

     c) le indicazioni, in riferimento alla normativa vigente, per la soppressione, la trasformazione, la riconversione e l'accorpamento dei servizi eccedenti o non essenziali in quanto non riconducibili agli standards suddetti;

     d) la indicazione degli interventi riservati alla Regione e degli indirizzi cui devono attenersi le Unità Sanitarie Locali, le Aziende Ospedaliere e gli enti locali interessati anche agli effetti di quanto previsto dall'articolo 3, comma quattordicesimo, del decreto legislativo di riordino circa le attribuzioni della conferenza dei Sindaci;

     e) i tempi di attuazione e l'esercizio dei poteri sostitutivi.

 

     Art. 7. Efficacia.

     1. Il Piano Sanitario Regionale ha efficacia di indirizzo, di prescrizione e di vincolo per tutti gli interventi in materia sanitaria nell'ambito regionale. Esso ha validità per il triennio di riferimento e in ogni caso fino all'approvazione di un nuovo Piano, fatto salvo quanto previsto al successivo articolo 12.

     2. La Regione uniforma al Piano Sanitario Regionale la propria attività legislativa, regolamentare ed amministrativa nel settore sanitario, nonché la propria funzione di indirizzo, di coordinamento e di controllo nei confronti degli enti locali.

     3. Ai contenuti e agli indirizzi del Piano devono uniformarsi le Unità Sanitarie Locali, le Aziende Ospedaliere, le Province, i Comuni, singoli o associati, e le Comunità montane nell'esercizio delle loro funzioni.

 

     Art. 8. Indirizzo e coordinamento.

     1. La funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative e sanitarie delle Unità Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere, con particolare riferimento alla attuazione del Piano Sanitario Regionale, spetta alla Giunta regionale che la esercita in conformità ai criteri fissati dal Piano stesso nonché agli atti della programmazione sanitaria nazionale nel quadro delle attribuzioni conferite alla Regione dall'articolo 2 del decreto legislativo di riordino.

     2. Per l'esercizio delle suddette funzioni è istituito con deliberazione della Giunta regionale, su proposta dell'assessore alla sanità, un apposito Osservatorio Sanitario.

     3. L'Osservatorio, che è presieduto dall'assessore regionale alla Sanità o da un suo delegato, è costituito:

     a) da 5 membri esterni con specifica esperienza e comprovata competenza, con particolare riferimento alla economia e programmazione sanitaria e controllo di gestione nel settore sanitario, nominati dalla Giunta regionale su proposta dell'assessore alla sanità all'inizio di ogni legislatura e che restano in carica fino alla nomina dei nuovi componenti;

     b) dai responsabili di settore dell'Assessorato, che intervengono ai lavori dell'Osservatorio, in base alle rispettive attribuzioni in relazione alla peculiarità dei temi da trattare;

     c) da un rappresentante designato dalle associazioni di volontariato e di tutela dei diritti dei cittadini.

     4. L'Osservatorio ha compiti di monitoraggio del piano sanitario regionale nonché del sistema di indicatori previsto dall'articolo 14 - secondo comma - del Decreto Legislativo di riordino e della realizzazione dei piani attuativi, nonché dell'attività gestionale delle Unità Sanitarie Locali, ai fini di quanto previsto al successivo art. 11, comma 2. L'Osservatorio ha altresì compiti di supporto tecnico nei confronti del Consiglio regionale, della Giunta regionale e dell'Assessore regionale alla sanità, per l'esercizio delle funzioni demandategli dalla presente legge.

     5. L'attività di monitoraggio di cui al comma 4 e i relativi risultati, vanno resi pubblici attraverso il bollettino regionale, con cadenza semestrale.

     6. La Giunta regionale definisce, nell'ambito della funzione di cui al primo comma e tenuto altresì conto di quanto stabilito dall'articolo 14, comma 2, del Decreto legislativo di riordino specifici programmi di valutazione e di verifica dei servizi, avvalendosi, a tal fine, dell'Osservatorio.

     7. All'Osservatorio sarà assegnato, con provvedimento dell'Assessore alla sanità, personale regionale con specifica e documentata esperienza nella materia, in numero non superiore ad otto unità.

 

     Art. 9. Unità Sanitarie Locali.

     1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge le unità sanitarie locali di cui alla legge regionale 12 novembre 1994, n. 26, assumono la denominazione di aziende sanitarie; i presidi ospedalieri costituiti in aziende assumono la denominazione di aziende ospedaliere.

     2. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge il comune di Cerzeto è aggregato all'area dell'azienda sanitaria n. 4.

 

     Art. 10. Dipartimenti ospedalieri.

     1. In conformità a quanto previsto dall'art. 1, comma 10, del decreto legislativo di riordino, la Giunta regionale, previo parere della Commissione consiliare competente, che dovrà esprimersi entro il termine di trenta giorni dalla data di acquisizione della proposta, trascorso il quale il parere si intende acquisito, approva il regolamento che disciplina l'articolazione dei presidi ospedalieri in dipartimenti, sulla base dei principi della integrazione tra divisioni, sezioni e servizi affini e complementari, e collegamento tra servizi ospedalieri ed extra ospedalieri e della integrazione delle competenze gestionali.

 

     Art. 11. Piani attuativi delle Unità Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere.

     1. Entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge le Unità Sanitarie Locali e le Aziende ospedaliere adottano e trasmettono alla Giunta regionale i piani attuativi raccordati alla quota parte del Fondo Sanitario Regionale assegnato, per l'attuazione del Piano Sanitario regionale per il triennio 1995/97, redatti in conformità ai contenuti del Piano stesso.

     2. I piani di cui al precedente comma debbono:

     a) individuare, con riferimento ai precedenti articoli 3 e 4, gli obiettivi locali e particolari per una gestione unitaria e di utilizzazione delle risorse coerente con le funzionalità del Piano Sanitario Regionale, indicando, tra l'altro:

     - le iniziative finalizzate alla riqualificazione della spesa, con particolare riguardo alla organizzazione del lavoro nei Poli Sanitari Territoriali, al fine di rispondere alle esigenze degli assistiti e di ottenere la piena utilizzazione e la massima produttività dei servizi;

     - gli interventi innovativi e quelli di riequilibrio e riconversione della rete dei servizi sanitari prevedendo prioritariamente la utilizzazione ottimale delle strutture esistenti, da riconvertire o ancora non attivate, con destinazione preferibilmente a residenze sanitarie assistenziali. I presidi ospedalieri non ancora attivati sono utilizzati come strutture riabilitative di lungo degenza e/o ai fini dell'assistenza ospedaliera diurna, oppure per le sperimentazioni di cui all'art. 9 bis del decreto legislativo di riordino. Nei presidi ospedalieri non attivati sono comunque localizzati i Distretti sanitari ricadenti nell'ambito territoriale di riferimento;

     - le iniziative tendenti a raggiungere, a parità di costo, il miglioramento della qualità ed efficienza dei servizi e delle prestazioni;

     b) definire tempi e modalità per la realizzazione degli interventi e delle iniziative programmate, con l'indicazione dell'ordine di priorità;

     a) definire le conseguenti necessità finanziarie e la relativa spesa, distintamente per quote di parte corrente, a destinazione vincolata e in conto capitale.

     3. Ferme restando le specialità previste in ogni ambito territoriale, le Unità Sanitarie Locali e le Aziende ospedaliere nei piani attuativi possono proporre variazioni al numero di posti letto purché giustificate da dati epidemiologici e dagli indici di funzionalità (tasso di utilizzazione, degenza media, indice interventi chirurgici, tempi di attesa) e dalla produttività, efficienza ed efficacia dell'azienda stessa. Per le eventuali proposte di attivazione di specialità non previste nell'ambito territoriale la Giunta regionale individuerà l'ambito territoriale da ridurre al fine di mantenere inalterato il numero massimo nella Regione di posti letto previsti per ciascuna specialità.

     4. La Giunta regionale - assessorato alla Sanità - entro i successivi 15 giorni dal ricevimento, trasmette i piani attuativi, con le osservazioni, alla Commissione consiliare competente per il parere preventivo, ai sensi dell'articolo 14, 3° comma, dello Statuto. La Commissione esprimerà perentoriamente entro quarantacinque giorni dal ricevimento il parere di competenza.

     5. In caso di inadempienza di una o più Unità Sanitarie Locali la Giunta regionale provvede comunque all'approvazione di quelli pervenuti secondo le procedure indicate nel precedente comma, fermo restando il potere sostitutivo previsto dal successivo articolo 15 nei confronti delle Unità Sanitarie Locali inadempienti.

     6. Le disposizioni di cui ai precedenti commi sono estese, in quanto applicabili, alle Aziende Ospedaliere.

 

     Art. 12. Verifica del Piano Sanitario Regionale.

     1. Lo stato di attuazione del Piano Sanitario Regionale è sottoposto a verifica annuale con riferimento ai singoli obiettivi programmati ed ai risultati conseguiti per effetto degli interventi realizzati alla data del 31 dicembre dell'anno precedente.

     2. Il piano sanitario regionale ha validità per il triennio 1995/1997; nell'ultimo anno del triennio sarà adeguato al nuovo piano sanitario nazionale che avrà come riferimento il periodo 1997/1999.

 

     Art. 13. Adeguamento del Piano Sanitario Regionale.

     1. Entro il 28 febbraio di ciascun anno le Unità Sanitarie Locali e le Aziende ospedaliere, devono trasmettere una relazione sullo stato di attuazione dei Piani attuativi di cui al precedente art. 11 alla Giunta regionale la quale, entro il successivo 30 aprile, sottopone al Consiglio regionale la relazione sullo stato sanitario della Regione e le modifiche e le integrazioni che si rivelassero necessarie per l'aggiornamento del Piano Sanitario Regionale.

 

     Art. 14. Rapporti con l'Università.

     1. I rapporti tra la Regione e l'Università di Reggio Calabria, facoltà di Medicina e Chirurgia di Catanzaro sono regolati dalle disposizioni previste dall'articolo 6 del decreto legislativo di riordino, mediante specifici protocolli d'intesa, anche per quanto riguarda la formazione e l'aggiornamento del personale, approvati dalla Giunta regionale, previo parere della Commissione consiliare competente che dovrà esprimere il proprio parere entro il termine perentorio di 45 giorni dalla data di acquisizione della proposta.

     2. L'apporto alle attività del servizio sanitario della facoltà di medicina, nonché le specifiche esigenze del Servizio sanitario connesse alla formazione degli specializzandi, alla formazione del personale sanitario, infermieristico, tecnico e della riabilitazione sono regolamentati dai protocolli di cui al precedente comma.

     3. I protocolli d'intesa determinano in particolare:

     a) le unità operative universitarie che svolgono attività assistenziali;

     b) il numero e la tipologia delle strutture ospedaliere cui vengono affidate funzioni didattiche integrative di quelle universitarie;

     c) il personale, le attrezzature ed il materiale che le strutture universitarie utilizzano nelle attività assistenziali:

     d) l'individuazione delle strutture ospedaliere ed universitarie presso le quali si svolge la formazione degli specializzandi iscritti alle scuole universitarie di specializzazione;

     e) l'istituzione, sulla base delle esigenze di formazione e di prestazioni rilevate dalla programmazione regionale, di corsi di specializzazione presso i presidi ospedalieri delle aziende sanitarie e le aziende ospedaliere, purché le relative strutture siano in possesso dei requisiti di idoneità di cui all'art. 7 del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257;

     f) i criteri ed i principi generali per la formazione del personale sanitario infermieristico tecnico e della riabilitazione fermo restando che tale formazione, a norma dell'art. 1 lettera o) della legge 23 ottobre 1992, n. 421, avviene in sede ospedaliera, presso altre strutture del servizio sanitario.

     4. Il protocollo d'intesa Regione-Università ha durata triennale e di norma coincide con la vigenza del piano sanitario regionale.

     5. Nelle more della definizione dei protocolli di cui al precedente comma resta in vigore la convenzione già stipulata ai sensi dell'articolo 39 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.

 

     Art. 15. Vigilanza e poteri sostitutivi.

     1. L'Assessore regionale alla Sanità, avvalendosi dei propri uffici, vigila sulla regolare e puntuale attuazione del Piano Sanitario regionale da parte delle Unità Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere tenuto presente quanto previsto dall'articolo 10, comma secondo, del decreto legislativo di riordino.

     2. In caso di violazione degli indirizzi, delle prescrizioni e dei vincoli del Piano Sanitario regionale, delle disposizioni della presente legge o delle direttive della Regione, ovvero in caso di omissione di adempimenti amministrativi concernenti la pianificazione sanitaria regionale, previsti entro termini perentori, la Giunta regionale esercita il potere sostitutivo ai sensi della normativa vigente in materia. A tal fine, la Giunta regionale, previa diffida, rivolta dall'Assessore alla Sanità all'Unità Sanitaria Locale o all'Azienda ospedaliera inadempienti, esercita i poteri sostitutivi, entro il termine perentorio di 30 giorni.

 

     Art. 16. Servizi di diagnosi e cura.

     1. Le Unità Sanitarie Locali e le Aziende ospedaliere in conformità al Piano Sanitario regionale proporranno i servizi di diagnosi e cura e la loro collocazione nei Presidi Ospedalieri e nelle Aziende Ospedaliere, sulla base delle dimensioni dei Presidi, delle unità operative di degenza previste e del bacino di utenza, tenendo conto di quelli già istituiti dalla Regione e nel rispetto dei livelli di funzionalità e di produttività degli stessi servizi.

 

     Art. 17. Formazione ed aggiornamento del personale.

     1. La Regione individua nella formazione e nell'aggiornamento del personale un obiettivo da perseguire in sede regionale e locale, al fine di far progredire il livello di preparazione, il coinvolgimento professionale e la propensione ad assumere responsabilità di tutto il personale dipendente del Servizio Sanitario regionale.

     2. Ferme restando le competenze dell'Università di cui all'articolo 6 del Decreto legislativo di riordino, la Regione per il triennio di validità del piano, assume la seguente strategia per la formazione manageriale:

     - garantire lo svolgimento di corsi mirati, finalizzati non solo alla diffusione di conoscenze di natura teorica, quanto allo svolgimento di attività di insegnamento in contesti operativi concreti;

     - garantire la costante valutazione, a livello regionale e locale, dei risultati dell'attività di formazione;

     - prevedere la collaborazione tra Regione, Unità Sanitaria Locale ed Azienda ospedaliera ed Università della Calabria, nelle fasi di definizione, attuazione e valutazione delle strategie formative.

     3. A tal fine la Giunta regionale predispone i piani per la formazione e l'aggiornamento del personale delle Unità Sanitarie Locali e delle Aziende ospedaliere, previo parere della Commissione consiliare competente, che dovrà esprimersi entro 30 giorni dalla data di acquisizione della proposta, trascorso il quale il parere si intende concesso.

 

     Art. 18. Norme transitorie.

     1. La Regione, in sede di esame dei Piani attuativi delle Unità Sanitarie Locali di cui al precedente articolo 11, terrà conto delle particolari condizioni di disagio, connesse alle caratteristiche geomorfologiche e logistiche delle aree montane, ai fini dell'applicazione delle norme di cui all'art. 3 della legge 23 dicembre 1994, n. 724.

     2. Fermo restando quanto previsto dal primo comma dell'art. 3 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, i criteri per la disattivazione e/o la riconversione dei presidi ospedalieri sono quelli contenuti nel documento n. 2, «Rideterminazione della rete ospedaliera», approvato unitamente alla presente legge.

     3. Il tasso massimo di cui al comma 9 dell'articolo 3 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, è quello indicato nella tabella n. 4 di cui al citato documento n. 2 ridotto di dieci punti.

     4. Entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, fermi restando gli adempimenti di cui all'articolo 4 del decreto legge 2 ottobre 1993, n. 396, la Giunta regionale sottopone al Consiglio una proposta di adeguamento del piano degli interventi previsti in attuazione dell'articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67, al fine di renderlo compatibile e coerente con il Piano Sanitario Regionale.

     5. Nel caso in cui una divisione o servizio ospedaliero, in relazione alla attività assistenziale prestata, venga scissa in più parti, il titolare del preesistente posto ha diritto di opzione tra i due o più posti di nuova istituzione, in applicazione del 4° comma dell'art. 29 del DPR 20 dicembre 1979 n. 761.

 

     Art. 19. Finanziamento del Piano Sanitario Regionale.

     1. Al finanziamento della presente legge si provvede:

     a) con le assegnazioni di parte corrente ed in conto capitale delle quote spettanti alla Regione sul fondo sanitario nazionale secondo le modalità indicate nell'articolo 12 del decreto legislativo di riordino;

     b) con le risorse che la Regione destina al servizio sanitario regionale in sede di approvazione della legge di bilancio;

     c) con le disponibilità iscritte nel bilancio regionale, nonché quelle stanziate nei bilanci degli enti locali per le spese di natura socio- assistenziale;

     d) con i finanziamenti di cui all'articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67.

     2. La spesa di parte corrente per l'anno 1995 è quantificata in lire 3.187 miliardi, comprese le entrate proprie stimabili in lire 65.554 milioni e le spese per i rimborsi alle altre regioni per le prestazioni che saranno rese ai cittadini residenti nella regione nel corso dell'anno e stimabili in lire 205.384 milioni.

     3. Qualora nel corso dell'anno si verifichi l'insufficienza del fondo sanitario regionale, la Regione adotterà i provvedimenti previsti dall'articolo 13 del decreto legislativo di riordino ovvero integrerà il predetto fondo con risorse proprie.

 

     Art. 20. Approvazione dei documenti allegati.

     1. Sono approvati i seguenti documenti che fanno parte integrante della presente legge costituendo, nei loro contenuti dispositivi e negli indirizzi formulati, vincolo ai fini dell'attuazione del Piano Sanitario Regionale:

 

     Documento n. 1: DISTRETTI SANITARI E POLI SANITARI TERRITORIALI

     Documento n. 2: RIDETERMINAZIONE DELLA RETE OSPEDALIERA

     Documento n. 3: SERVIZIO DI URGENZA-EMERGENZA MEDICA

 

Progetti obiettivo:

     a) salute mentale;

     b) materno infantile;

     c) tutela della salute degli anziani;

     d) tutela dei soggetti portatori di handicaps;

     e) prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavori.

 

Azioni programmate:

     f) prevenzione e cura della beta thalassemia;

     g) lotta alle malattie neoplastiche;

     h) prevenzione AIDS;

     i) prevenzione e cura del diabete mellito;

     l) piano sangue regionale;

     m) prevenzione e cura delle tossicodipendenze;

     n) odontostomatologia;

     o) malattie cardiovascolari;

     p) assistenza ai pazienti nefropatici cronici;

     q) medicina veterinaria.

     r) assistenza, diagnosi, studio e ricerca delle epilessie [1];

     s) assistenza, diagnosi, studio e ricerca delle patologie neurogenetiche [2].

 

     Art. 21. Abrogazione di norme.

     1. Sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari regionali in contrasto o comunque incompatibili con la presente legge.

 

Documento n. 1

RIORGANIZZAZIONE DELL'ASSISTENZA SANITARIA TERRITORIALE

1. DISTRETTO SANITARIO E POLO SANITARIO TERRITORIALE

 

     Nella filosofia della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e nelle previsioni della normativa di programmazione sanitaria che ne è seguita, l'Area distrettuale rappresenta la dimensione ottimale per l'attuazione del principio della globalità della tutela della salute, ed in particolare il livello di funzioni più appropriato per dare una risposta e una soluzione ai seguenti obiettivi:

     a) pervenire ad una considerazione unitaria dei problemi della popolazione assistita;

     b) ricomporre in una strategia di integrazione gli interventi che una politica di assistenza per settori e per specialità renderebbe inevitabilmente frammentari e scoordinati;

     c) realizzare condizioni d'accesso ai servizi che rendano meno dispersivo e disagevole possibile il rapporto tra utenza e servizio, quest'ultimo considerato sia sotto il profilo della disponibilità di strutture e attrezzature, sia sotto quella della adeguatezza qualitativa e quantitativa degli operatori;

     d) sviluppare azioni preventive ed educative, sollecitando il coinvolgimento dei soggetti sociali e del volontariato.

     All'interno di questa area si sviluppano e si integrano le risposte che in termini di servizi di base realizzano l'immediatezza del rapporto SSN-cittadino.

     Il Distretto sanitario, secondo le indicazioni del Piano Sanitario Nazionale, è l'ambito dove si realizza l'integrazione socio-sanitaria, definito «area sistema» all'interno del quale l'insieme integrato delle attività del medico di famiglia, delle attività poli-ambulatoriali e specialistiche, nonché dell'attività ospedaliera può consentire:

     - la continuità dell'assistenza nell'ambito dello stesso episodio di malattia, indipendentemente dai diversi luoghi di trattamento;

     - la maggiore tempestività dell'invio del paziente all'ospedale quando occorre;

     - un più efficace filtro alla domanda impropria di ricoveri ospedalieri.

     In particolare, il Piano Sanitario Nazionale osserva come la struttura dei bisogni che costituiscono gran parte dell'attuale domanda di salute (età geriatrica, relazione madre-bambino, disabilità, malattia mentale, tossicodipendenza) evidenzia la necessità che la tutela della salute sia organizzata con le seguenti caratteristiche:

     - integrazione degli interventi sanitari e sociali;

     - valorizzazione della prevenzione e riabilitazione;

     - interdisciplinarietà degli approcci;

     - non occasionalità degli interventi (sostegno alla cronicità);

     - valorizzazione del privato sociale.

     Il Piano Sanitario Nazionale osserva che «l'attuazione dei distretti seguirà evidentemente strade molto differenziate, in dipendenza della localizzazione (rurale, urbana, metropolitana)».

     Le indicazioni del Piano consentono una «flessibilità

nell'organizzazione, che deve adeguarsi ai reali bisogni di intervento e non riflettere il consolidamento dell'attività precedente».

     In sostanza, quelle del Piano sono indicazioni «aperte», che lasciano alla Regione il compito di individuare la tipologia distrettuale più appropriata in rapporto alle proprie esigenze.

     La programmazione di una rete di Aree distrettuali nel territorio della Regione e, all'interno di esse, di una adeguata presenza di Poli sanitari territoriali oltre che di altre strutture sanitarie come i Presidi Multizonali, Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) ed altro, presuppone una preventiva analitica ricognizione della realtà entro la quale si dovrà agire.

     Innanzitutto la realtà demografica e la sua distribuzione nel territorio: il 34 per cento circa della popolazione è infatti aggregato nei grandi centri urbani (tali considerando i 12 comuni con popolazione superiore a 20 mila abitanti secondo i dati al 31 dicembre 1990 dell'Istituto Nazionale di Statistica), mentre il restante 66 per cento e distribuito in 397 comuni.

     Il primo nucleo di popolazione (quella urbana pari a circa 724.000 abitanti) insiste su un territorio ad alta densità abitativa [407 abitanti per Kmq]; il secondo nucleo (pari a circa 1.429.000 abitanti) è invece distribuito su un'area a densità abitativa sensibilmente più ridotta [107 abitanti per Kmq].

     Nel 1990 la popolazione residente in Calabria è pari a circa 2.156.000 abitanti, dei quali il 22 per cento localizzato nei cinque comuni capoluoghi di provincia.

     La distribuzione per fasce di età indica che la popolazione in età pediatrica risulta essere il 21 per cento del totale regionale [454.000 unità], contro il 13 per cento rappresentato da quella anziana [276.000 ultra65enni].

     L'estensione territoriale della Regione è di 15.080 Km2. con una densità di popolazione media di 143 ab/Km2.

     E' poi da considerare la configurazione geomorfologica della Regione che vede una dorsale montuosa con insediamenti abitativi e vie di comunicazione generalmente meno diffusi di quanto non siano invece sviluppati nelle zone costiere.

     La peculiarità di questa situazione con tipologie sensibilmente differenziate induce a concludere che nella Regione non e ipotizzabile un unico modello di strutture. Sarà pertanto necessario elaborare parametri differenziati che tengano conto della popolazione e del territorio e, quindi, anche degli aspetti logistici.

     Dal punto di vista metodologico l'obiettivo può essere perseguito:

     - o definendo indici e standards differenziati per ciascuna tipologia di struttura (urbano o extraurbano e, ove fosse necessario, anche costiero o montano);

     - o attribuendo valori differenziati alla popolazione, a seconda che si tratti di popolazione urbana o extraurbana (in sostanza seguendo il criterio della popolazione pesata) e calando poi sulla popolazione così risultante gli standards e indici definiti in via preventiva e generale.

     In concreto, si dovrà procedere - una volta individuato lo scenario demografico e territoriale della Regione - alle seguenti fasi:

     - determinare natura, compiti e obiettivi della struttura;

     - individuare struttura e articolazione interna;

     - prevederne l'allocazione nel territorio.

     Necessario e contestuale corollario di queste fasi sarà:

     a) la definizione qualitativa e quantitativa delle strutture e del relativo personale occorrente per le relative funzioni;

     b) la ricognizione dell'esistente;

     c) la determinazione dei deficit o surplus da ricondurre a norma.

 

     1.1 Le Unità Sanitarie Locali

     Gli ambiti territoriali e il bacino di utenza di ciascuna delle Unità Sanitarie Locali sono stati individuati con la legge regionale 13 aprile 1992, n. 3 e successive modificazioni ed integrazioni e riconfermati dalla legge regionale 12 novembre 1994, n. 26.

     La necessità di una rideterminazione delle strutture di assistenza sanitaria che tengano conto delle peculiarità delle distribuzioni relative alla popolazione risultano già evidenti ad una prima analisi riguardante l'estensione e il numero di abitanti, e quindi la corrispondente densità di popolazione.

     Il bacino di utenza medio per ciascuna Unità Sanitaria Locale risulta pari a 196.000 abitanti, con un minimo di 124.000 assistiti nella Unità Sanitaria Locale n. 2 (Castrovillari) ed un massimo di 306.000 nella Unità Sanitaria Locale n. 4 (Cosenza).

     Per quanto riguarda la densità di popolazione, al valore medio regionale precedentemente ricordato [143 ab/Km2] si contrappongono da un lato l'87 registrato ancora nella USL/2 e, dall'altro, il 299 della USL/11 (Reggio Calabria).

     Il complesso dei comuni assegnato a ciascuna Unità Sanitaria Locale determina inoltre una notevole disomogeneità per ciò che concerne l'estensione territoriale, variando quest'ultima tra un minimo di 741 Km2 della Unità Sanitaria Locale n. 6 (Lamezia Terme) ed un massimo di 2.095 Km2 della Unità Sanitaria Locale n. 3 (Rossano).

 

     1.2 Definizione del Distretto Sanitario.

     Per Distretto Sanitario deve intendersi un'area organizzativa flessibile di livello territoriale, dotata di strutture (Poli Sanitari Territoriali) con personale funzionalmente addetto. Nell'Area distrettuale vengono svolti, attraverso i PST, compiti di primo intervento per la prevenzione, la diagnosi, cura ed educazione sanitaria della popolazione residente.

     Il Distretto sanitario ha, quindi, un significato che, al di là delle esemplificazioni del Piano Sanitario Nazionale circa la natura dei servizi tipicamente erogabili nell'area distrettuale, è da considerarsi tuttavia pienamente in linea con le indicazioni di principio sulla funzione del Distretto, non a caso definito «area sistema», «ambito», e non - come forse era nell'impostazione della delibera CIPE del 20.12.1984 come mero organigramma di strutture e presidi eroganti servizi sanitari di base. Nel Piano Sanitario Regionale il Distretto assume il significato di Area territoriale, entro la quale agiscono di norma più Poli Sanitari Territoriali, che sono il complesso delle strutture e dei presidi sanitari che localmente erogano le prestazioni.

     In sostanza, si può dire che, sia pure con qualche differenza, è invece il PST, cioè un elemento subdistrettuale, che corrisponde grosso modo al vecchio modello di Distretto Sanitario di Base già delineato a suo tempo nella delibera CIPE citata, almeno per l'esercizio dell'assistenza sanitaria territoriale.

     L'articolazione proposta dalla delibera CIPE si riferiva alla configurazione dell'Unità Sanitaria Locale stabilita dalla legge 833, la quale, come è noto, indicava di norma come parametro per definire l'ambito territoriale delle Unità Sanitarie Locali, una popolazione compresa tra 50.000 e 200.000 abitanti. E' proprio con riferimento a questo parametro che con legge regionale 2 giugno 1980, n. 18, vennero a suo tempo istituite nella Regione Calabria 31 Unità Sanitarie Locali, con un bacino di utenza medio pari a circa 69 mila abitanti. Delle anzidette Unità Sanitarie Locali, 11 avevano un bacino di utenza inferiore a 50 mila abitanti, e solo 5 presentavano un bacino superiore a 100 mila abitanti.

     In un contesto indubbiamente assai frammentato e ridotto degli ambiti territoriali delle Unità Sanitarie Locali, come quello sopra richiamato, è ovvio che il livello organizzativo-funzionale immediatamente inferiore non potesse essere che quello dei servizi sanitari di base, livello individuato, a suo tempo, appunto nel Distretto Sanitario di Base.

     Tuttavia, il lungo processo di revisione del Servizio Sanitario Nazionale culminato con il decreto legislativo di riordino, ha orientato le linee di riforma del sistema verso soluzioni istituzionali ed organizzative più gestibili dal punto di vista dell'economicità e della razionalità nell'impiego delle risorse e dell'efficienza dei servizi, soluzioni dirette ad attribuire alle Unità Sanitarie Locali ambiti territoriali più vasti.

     La Regione Calabria, interpretando sollecitamente questo orientamento e per certi versi anticipando anche gli sviluppi della legislazione nazionale, con la citata legge regionale n. 3 del 1992, ha ridotto le Unità Sanitarie Locali calabresi da 31 ad 11, portando l'utenza media, come si è già evidenziato, a 196 mila abitanti. Questa legge, in tal senso, rappresenta anche una anticipata applicazione di quanto ha poi stabilito l'articolo 3, comma 5, lettera a) del decreto legislativo di riordino.

     Il provvedimento di riduzione del numero delle Unità Sanitarie Locali ha evidentemente comportato la necessità di riconsiderare il rapporto tra il livello dei servizi di base e il livello organizzativo immediatamente superiore, che non poteva essere più quello della Unità Sanitaria Locale, diventato troppo «lontano» a causa della sensibile espansione territoriale della medesima. Di conseguenza, si è ritenuto, da un lato, di mantenere ferma, in quanto prevista dalla legislazione nazionale, la suddivisione della Unità Sanitaria Locale in Distretti Sanitari, prevedendo per essi compiti di coordinamento funzionale tra i servizi - a loro volta aggregati in Poli Sanitari Territoriali - operanti nell'area distrettuale. Da un altro lato, si e ritenuto che comunque a livello locale fosse necessario mantenere un livello organizzativo di gestione dei servizi che facesse capo ad un soggetto funzionalmente definito: il Polo Sanitario Territoriale.

     Si può quindi concludere che mentre nel precedente impianto nel Distretto Sanitario di Base andavano a coincidere e a sovrapporsi il connotato territoriale e la funzione erogatrice di prestazioni sanitarie, nella soluzione proposta dal Piano Sanitario Regionale, che per altro appare interpretare in modo corretto i principi indicati dal Piano Sanitario Nazionale, si ha un Distretto Sanitario con connotato territoriale, di collegamento e coordinamento, con un dirigente amministrativo ed un dirigente sanitario e un Polo Sanitario Territoriale con esclusive funzioni di erogazione di servizi.

     Per esigenze organizzative e di economicità di gestione, è opportuno che la sede dell'Unità Sanitaria Locale, quella di un Distretto e quella di uno dei PST siano ubicate nella stessa struttura; in particolare nel PST collocato nella sede distrettuale devono essere attivate le funzioni sanitarie aventi un bacino di utenza pari a quella del Distretto.

     In ambito distrettuale devono essere garantite le seguenti funzioni:

     a) informazione ed educazione alla salute;

     b) attività del Dipartimento di prevenzione (igiene e sanità pubblica, igiene e sicurezza degli ambienti di lavoro, igiene degli alimenti e della nutrizione, medicina veterinaria);

     c) medicina legale, dello sport e fiscale;

     d) assistenza medico-generica e pediatrica ed infermieristica in forma ambulatoriale e domiciliare, (compresa la guardia medica e turistica);

     e) tutela della salute degli anziani;

     f) assistenza sanitaria ai malati terminali;

     g) consultori familiari;

     h) tutela della salute dei portatori di handicaps;

     i) assistenza riabilitativa;

     l) medicina scolastica;

     m) tutela della salute mentale;

     n) assistenza specialistica, diagnostico-analitica e strumentale nelle branche di cui al DPR 28 settembre 1990, n. 316;

     o) attività riferita alle tossicodipendenze;

     p) servizio informativo e centro unico di prenotazione;

     q) integrazione socio-sanitaria ai sensi della legge regionale n. 5/1987;

     r) servizio farmaceutico - informazione scientifica ed educazione sul farmaco.

 

     1.3 Le funzioni del Polo Sanitario Territoriale.

     Le funzioni rappresentano l'elemento che caratterizza il PST come livello organizzativo autonomo; esse coincidono con le prestazioni di primo livello ed in particolare con quelle erogabili dall'équipe residente per rispondere alle domande sanitarie più frequenti e/o non troppo complesse. Esse hanno queste caratteristiche:

     - sono direttamente erogabili dall'operatore all'utente senza la necessità di dover ricorrere a procedure-filtro di ordine amministrativo a livello di Distretto Sanitario o addirittura di Unità Sanitaria Locale;

     - richiedono, in linea generale, un livello non elevato di specializzazione delle conoscenze e di supporto strumentale;

     - si esauriscono di norma nell'ambito del PST.

     Nell'individuare le funzioni da attribuire al PST si e ritenuto che tra queste debbano essere comprese quelle funzioni che siano dirette immediatamente al singolo cittadino, escludendo quelle aventi carattere prevalentemente collettivo (come quelle di igiene pubblica e del territorio), nonché quelle già in atto che sono supportate da una specifica organizzazione a latere e, in generale, quelle rientranti nell'ambito delle competenze di prevenzione sanitaria da ridefinire come indicato nell'articolo 7 del decreto legislativo di riordino.

     Il PST può avvalersi, ove necessario, di «punti di riferimento» sul territorio, strutture di erogazione di prestazioni e servizi sia pubbliche che private.

     Le funzioni di assistenza sanitaria territoriale sono distribuite singolarmente nei vari PST, in relazione alle verificate necessità dell'utenza e comunque devono essere garantite nell'ambito del distretto sanitario. La distribuzione nei singoli PST potrà avvenire in modo differenziato tenuto anche conto dei costi di impianto e di gestione.

     Nei PST sono di norma assicurati le seguenti funzioni:

     1) certificazioni medico-legali correnti;

     2) prestazioni di primo livello di igiene pubblica;

     3) medicina dello sport;

     4) assistenza medico-generica e pediatrica, infermieristica in forma ambulatoriale e domiciliare;

     5) assistenza sanitaria nelle scuole;

     6) assistenza specialistica diagnostico-analitica e strumentale a supporto dell'assistenza di base, ivi compresa la riabilitazione nell'età evolutiva e dell'adulto:

     7) guardia medica e turistica, pronto intervento e trasporto infermi, nell'ambito del servizio di urgenza ed emergenza medica;

     8) centro unico di prenotazioni per prestazioni specialistiche e ricoveri programmati.

 

Aspetti gestionali

 

     I PST, in considerazione delle dimensioni e delle funzioni loro assegnate, svolgono anche attività amministrativa di base:

     a) rapporti con i Servizi amministrativi del Distretto della Unita Sanitaria Locale, ecc.;

     b) gestione di cassa (riscossione dei ticket, introiti per attività ambulatoriali, ecc. e rilascio ricevute);

     c) adempimenti economali e di provveditorato (inventario, inoltro richieste di approvvigionamento, gestione automezzi in dotazione, ecc.).

 

Organizzazione

 

     Nei PST gli operatori sanitari, compresi quelli attualmente addetti alla Medicina dei Servizi, possono essere «residenti» o «itineranti».

     Gli operatori dei PST operano secondo il criterio della mobilita sul territorio e del lavoro interdisciplinare. Essa dovrà essere costituita da personale che utilizza l'aggiornamento obbligatorio e che ne applica gli insegnamenti nella quotidiana attività professionale da cui trae contestuale esperienza.

 

Organizzazione territoriale

 

     Nel definire gli ambiti territoriali del PST e dei Distretti Sanitari è indispensabile tenere presenti le caratteristiche demografiche, epidemiologiche, sociali e geomorfologiche del territorio, in modo da ricomprendervi comunità omogenee e far coincidere gli ambiti con preesistenti ripartizioni amministrative (comuni, circoscrizioni frazioni ecc.).

     Per quanto concerne il ruolo del privato accreditato nel settore dell'assistenza extraospedaliera si rinvia all'articolo 8 del decreto legislativo di riordino.

 

2. STANDARDS DI RIFERIMENTO

 

     Nei piani attuativi le Unità Sanitarie Locali devono indicare gli standards ed i parametri utilizzati per definire il numero dei distretti sanitari e Poli Sanitari territoriali, nonché i servizi e le prestazioni da assicurare alla popolazione assistita.

     Le Unità Sanitarie Locali devono tener conto delle particolari esigenze e delle differenziazioni sul piano demografico e territoriale sia di quanto già esistente in termini di strutture per l'erogazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie.

     Nei piani attuativi si dovrà indicare:

     - popolazione e territorio (assistiti, estensione territoriale, densità di popolazione, numero di comuni);

     - numero di Distretti Sanitari e Poli Sanitari Territoriali previsti (fabbisogno bacino di utenza);

     - assistenza di base (fabbisogno di medici generici e pediatri e di operatori per l'assistenza territoriale domiciliare, corredata dal rapporto con la popolazione assistita per ciascuna delle voci considerate);

     - servizi di igiene pubblica e servizi di medicina preventiva e del lavoro:

     - laboratori di analisi a scopo diagnostico (bacino di utenza) secondo la legge regionale 10 maggio 1984, n. 9;

     - attività consultori familiari;

     - attività assistenza riabilitativa;

     - attività assistenza anziani;

     - attività tutela salute mentale;

     - attività riferita alle tossicodipendenze.

 

     2.1 Popolazione e territorio

     L'elaborazione dei dati relativi alla distribuzione degli abitanti sul territorio ha consentito di identificare, in ragione della realtà riscontrata in ambito regionale e di singola Unità Sanitaria Locale, quattro classi di riferimento individuate come segue:

     - classe 1 - comuni con oltre 200 abitanti per Km2

     - classe 2 - comuni con 150-200 abitanti per Km2

     - classe 3 - comuni con 50-150 abitanti per Km2

     - classe 4- comuni con meno di 50 abitanti per Km2

     In base ai dati dell'Istituto Centrale di Statistica aggiornati al 31.12.1990 (ultimo anno disponibile) la distribuzione del numero di comuni e della corrispondente popolazione tra le classi sopra specificate è riportata nella seguente tabella.

 

 

 

Distribuzione del numero di comuni e della popolazione per classe di comuni

 

------------------------------------------------------------------

                   Comuni                Popolazione

Classe        val. ass.      %        val. ass.       %

  1              76        18,6       1.112.000      51,6

  2              43        10,5         215.000      10,0

  3             223        54,5         709.000      32,9

  4              67        16,4         120.000       5,6

Totale          409       100,0       2.156.000     100,0

------------------------------------------------------------------

 

 

 

     2.2 Distretti Sanitari e Poli Sanitari Territoriali.

     Sulla base di quanto emerso dall'analisi della distribuzione della popolazione a livello comunale, gli standard di riferimento per l'articolazione in Distretti Sanitari ed in Poli Sanitari Territoriali sono fissati secondo le fasce di densità di popolazione già individuate per la classificazione dei Comuni di cui al punto 2.1.

     L'applicazione dei parametri riportati nella tabella consente di valutare in circa 32-38 il numero di Distretti Sanitari ed in 94-133 il numero di Poli Sanitari Territoriali da attivare.

 

 

 

                   Standard di riferimento per DS e PST

 

------------------------------------------------------------------

Densità di            DS (utenza media)     PST (utenza media)

popolazione (ab/km2)

------------------------------------------------------------------

oltre 200             150-170.000 ab.         40-50.000 ab.

da 150 a 200           70- 85.000 ab.         20-30.000 ab.

da 50 a 150            35- 45.000 ab.         10-15.000 ab.

minore di 50           15- 20.000 ab.          5- 7.000 ab.

------------------------------------------------------------------

 

 

 

     Per quanto riguarda il bacino di utenza dei DS, la media regionale risulta pari a circa 62.000 unità, con realtà locali estremamente diversificate: l'utenza media calcolata a livello di singola Unità Sanitaria Locale, infatti, presenta un massimo di 100.000 residenti per la Unità Sanitaria Locale 11 (Reggio Calabria) ed un minimo di 43.000 per la Unità Sanitaria Locale 2 (Castrovillari).

     I Poli Sanitari Territoriali, devono avere un bacino di utenza medio regionale pari a 16.000 unità, con punte massima e minima (ovviamente per le stesse Unità Sanitarie Locali sopra citate) di 25.000 e di 11.000 abitanti rispettivamente.

 

     2.3 Prestazioni di Medicina specialistica extraospedaliera.

     Le Unità Sanitarie Locali con i piani attuativi proporranno le specialità necessarie tenendo conto della domanda espressa dal bacino di utenza, sulla base delle prestazioni erogate nell'ultimo triennio.

 

     2.4 Guardia medica.

     Per la durata di validità del Piano, in via transitoria, le postazioni di Guardia Medica sono da ridefinire in relazione alla densità di popolazione ed alle attività del dipartimento di emergenza ed urgenza in conformità a quanto previsto dall'articolo 53 della legge regionale 8 settembre 1993, n. 9.

 

Documento n. 2

RIDETERMINAZIONE DELLA RETE OSPEDALIERA

1. RIFERIMENTI NORMATIVI NAZIONALI DI PROGRAMMAZIONE SANITARIA

 

     I riferimenti normativi nazionali di programmazione sanitaria per quanto attiene la materia ospedaliera sono:

     - la legge 23 ottobre 1985, n. 595, recante norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-88;

     - il decreto legge 8 febbraio 1988 n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 1988, n. 109, recante misure urgenti per le dotazioni organiche del personale degli ospedali e per la razionalizzazione della spesa sanitaria e, per le parti non annullate dalla Corte Costituzionale (sent. 338/88) e dal TAR Lazio (sent. 1131/89), il Decreto Ministro della Sanità 13 settembre 1988, «Determinazione degli standards del personale ospedaliero»;

     - la legge 30 dicembre 1991, n. 412, recante disposizioni in materia di finanza pubblica;

     - il D.P.R. 27 marzo 1992, Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza;

     - il D.P.R. 20 ottobre 1992 in materia di day hospital integrativo delle corrispondenti disposizioni contenute nella L. 135/1990;

     - il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni ed integrazioni;

     - la legge 24 dicembre 1993, n. 537;

     - la legge 23 dicembre 1994, n. 724;

     - e, per quanto applicabile, la legge regionale 30 maggio 1990, n. 36.

     Il quadro degli standards ospedalieri risultante dalle disposizioni normative cui può farsi riferimento è pertanto il seguente:

     - indice di 5,5 posti letto per mille abitanti, calcolati ai sensi delle disposizioni di legge vigenti, dei quali l'1 per mille è riservato alla riabilitazione e alla lungo-degenza post-acuzie. Sono esclusi dal computo i posti letto che residuano negli ex ospedali psichiatrici in quanto posti letto ad esaurimento ai sensi dell'art. 64 della L. 833/78:

     - tasso di spedalizzazione pari a 160 per mille abitanti;

     - tasso di utilizzazione non inferiore al 75 per cento in media annua riferito a ciascuna divisione fatta eccezione per le terapie intensive e per le malattie infettive;

     - attese di ricovero per casi non urgenti, non superiori a 15 giorni;

     - dimensionamento minimo dell'ospedale pari a 120 posti letto;

     - riserva del 10 per cento dei posti letto di dotazione ordinaria (media regionale) per assistenza ospedaliera diurna. Tali posti letto sono da attivare mediante la conversione di un numero corrispondente di posti letto ordinari in ambito regionale;

     - soppressione, accorpamento o trasformazione delle divisioni o sezioni autonome con tasso di utilizzazione dei posti letto (esclusi quelli a ciclo diurno) mediamente inferiori al 75 per cento nel triennio di riferimento; sono esclusi dal calcolo in ciascun anno il mese con maggiore e il mese con minore utilizzazione, nonché i periodi di chiusura per ragioni oggettive di forza maggiore.

     In relazione a quanto sopra, per quanto riguarda gli standards di personale, pur avendo perso, in ragione degli annullamenti

giurisprudenziali, carattere cogente, il D.M. 13 settembre 1988, può comunque rappresentare un riferimento sostanziale. Resta peraltro valida in materia, in quanto non modificata da provvedimenti successivi, la delibera CIPE 20 dicembre 1984, la quale, peraltro, non ha carattere di norma cogente ma semplice valore indicativo.

     In base alle normative richiamate, i piani attuativi devono prevedere:

     - la ristrutturazione delle degenze ospedaliere in aree funzionali omogenee afferenti alle attività di medicina, di chirurgia e di specialità da dimensionare in rapporto alle esigenze assistenziali;

     - la soppressione, l'accorpamento e la trasformazione delle divisioni o sezioni autonome che non raggiungono il tasso ottimale di utilizzazione dei posti letto;

     - la promozione di una migliore e più umana qualità della vita dei degenti negli ospedali.

     Gli spazi risultanti liberi dalle soppressioni sono destinati a:

     - specifiche sezioni di degenza per la riabilitazione di malati lungodegenti e ad alto rischio invalidante anche se tale indicazione sarà superata con la realizzazione delle RSA per anziani e disabili di cui all'art. 20 della legge 67/1988; va tenuto altresì conto del D.P.R. 22 dicembre 1989 (atto di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle Regioni e Province autonome concernente la realizzazione di strutture sanitarie residenziali per anziani non autosufficienti non assistibili a domicilio o nei servizi

semiresidenziali);

     - attività di day hospital;

     - all'esercizio delle attività libero-professionali in sede ospedaliera dei medici a tempo pieno;

     - a migliorare la ricettività alberghiera, anche per servizi da rendere a pagamento.

     La riorganizzazione dei servizi ospedalieri, accompagnata dalla rideterminazione del personale da impiegare, deve consentire il potenziamento delle attività diagnostiche e di accertamento strumentale almeno su due turni giornalieri, l'utilizzo delle grandi attrezzature diagnostiche e terapeutiche per un minimo di dodici ore giornaliere, I'attivazione delle camere operatorie per non meno di cinque giorni la settimana e, ove occorra, la turnazione antimeridiana e pomeridiana, con conseguente e documentabile riduzione ad un massimo di quindici giorni dei periodi di attesa nonché la contrazione della durata media delle degenze.

     Le strutture devono essere parzialmente disattivate per ricondurre il livello di produttività entro valori parametrali prescritti ovvero devono essere totalmente disattivate e concentrate in un solo presidio ospedaliero, quando presentino valori di utilizzazione tanto bassi da pregiudicare non solo la conduzione economica ma anche la stessa funzionalità sanitaria per i cittadini che debbono servirsene.

     Va prevista, inoltre, l'attivazione delle strutture mancanti relative a specialità non presenti nell'ambito regionale o presenti in maniera non adeguata, nel quadro del fabbisogno soddisfatto con la mobilità ospedaliera extraregionale o internazionale. Le nuove attivazioni vanno realizzate con la trasformazione di strutture in disattivazione o per nuova realizzazione nell'ambito del piano straordinario di investimenti di cui all'art. 20 della legge n. 67/1988.

 

2. APPLICAZIONE STANDARD EX LEGGE 412/91 E LEGGE 537/93

 

     In applicazione degli standards previsti dalla legge n. 412/91 e n. 537/93 (tasso di utilizzazione non inferiore al 75 per cento, posti letto pari al 5,5 per mille abitanti, di cui 1 per mille per riabilitazione e lungodegenza) nella Regione, con una popolazione di riferimento pari a 2.080.021 abitanti, ne conseguono 11.415 posti letto, dei quali 9.303 per acuti e 2.112 per non acuti.

     I presidi ospedalieri devono essere riorganizzati sulla base delle disposizioni di cui all'art. 4, comma 3, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, correlando gli standards ivi previsti con gli indici di degenza media, l'intervallo di turn-over e la rotazione degli assistiti ed organizzando gli stessi presidi in dipartimenti.

 

3. SITUAZIONE ATTUALE DELLA RETE OSPEDALIERA

 

     L'attuale rete ospedaliera pubblica consiste in:

     - n. 42 ospedali pubblici funzionanti, dei quali uno in convenzione con l'università e un Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico;

     - n. 7 ospedali non ancora attivati;

     - n. 2 ospedali psichiatrici ad esaurimento.

     Tali istituti possono essere suddivisi, sulla base della dotazione di posti letto, nelle seguenti classi di ampiezza:

     - n. 5 di grandi dimensioni compresi nella fascia 500950 posti letto;

     - n. 29 di piccole e medie dimensioni compresi nella fascia 120-450 posti letto;

     - n. 8 hanno dimensioni inferiori a 120 posti letto.

     La distribuzione dei posti letto effettivi, con esclusione dei presidi ex psichiatrici ed i posti letto di Day-Hospital è riportata nella tabella che segue.

 

 

 

Distribuzione dei posti letto per acuti e non acuti e per pubblico/privato

       e applicazione standard L. n. 412/91 e n. 537/93 - Anno 1992

 

------------------------------------------------------------------

Posti letto                   Acuti    Non acuti          Totale

------------------------------------------------------------------

pubblici                      8.306           15           8.321

privati convenzionati         2.829          140           2.969

Totale posti letto           11.135          155          11.290

(a)

Standard (b)                  9.303        2.112          11.415

Differenza (a)-(b)          + 1.832      - 1.937           - 125

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     Gli ospedali pubblici sono poco utilizzati: il tasso di utilizzazione è del 50 per cento e la degenza media è di 8,6 giorni; la maggior parte dei presidi [34 su 42] ha un tasso di utilizzazione inferiore al 70 per cento.

     Il confronto con l'applicazione dei parametri della L. n. 412/91 e n. 537/93 e la dotazione effettiva attuale di posti letto pubblici e privati convenzionati evidenzia un esubero di 1.832 posti letto per acuti ed una carenza di 1.957 posti letto per non acuti.

 

4. STIMA DELLA DOMANDA DI RICOVERO OSPEDALIERO

 

     I posti letto effettivi nel 1992 sono pari a 11.290 (con esclusione degli ex Ospedali Psichiatrici), dei quali 8.321 pubblici e 2.969 privati convenzionati; nello stesso anno sono stati effettuati complessivamente 370.111 ricoveri, dei quali 251.086 nei presidi ospedalieri pubblici e 86.958 in quelli privati convenzionati.

     I pazienti provenienti da altre Regioni ed i ricoveri effettuati presso Ospedali di altre Regioni sono riportati nella seguente tabella.

 

 

 

  Mobilità interregionale dei ricoveri per la Regione Calabria per classi

                               assistenziali

               (Valori assoluti e composizione percentuale)

 

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                        Ricoveri provenienti     Ricoveri in

                          da altre Regioni      altre Regioni

Classi assistenziali

                      Val.ass.      Comp. %   Val. ass.    Comp. %

------------------------------------------------------------------

Terapia intensiva       195           2,09       808         1,68

Elevata assistenza      297           3,18     2.808         5,84

Media assistenza      1.076          11,51    10.362        21,57

Assistenza di base    7.747          82,86    32.519        67,68

Riabilitazione           23           0,25     1.028         2,14

Lungodegenza             12           0,13       521         1,08

------------------------------------------------------------------

Totale                9.350          100,0    48.046        100,0

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     La mobilità interregionale dei pazienti per classi assistenziali ha consentito, in primo luogo, di stimare e sottrarre la quota di immigrazione per ciascuna disciplina, cosi da ottenere il numero dei ricoveri effettuati nei presidi della Regione per soli pazienti residenti nella Regione stessa; tali ricoveri ammontano a 322.922.

     Aggiungendo ad essi i ricoveri effettuati in altre Regioni [48.046], si ottiene il totale dei ricoveri effettuati dai residenti nella Regione pari a 370.968.

     Il tasso di spedalizzazione complessivo dei residenti registrato è perciò risultato di 172,25 per 1.000 abitanti (su un totale di 2.153.656 residenti); i valori disaggregati per classi assistenziali sono riportati nella tabella che segue:

 

 

 

Ricoveri dei residenti nella Regione Calabria e tasso di spedalizzazione

                         per classi assistenziali

 

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Classi assistenziali                 Ricoveri           Tasso di

                                                  spedalizzazione

------------------------------------------------------------------

Terapia intensiva                       5.356               2,49

Elevata assistenza                     14.999               6,96

Media assistenza                       51.375              23,86

Assistenza di base                    296.667             137,75

Riabilitazione                          1.424               0,66

Lungodegenza                            1.147               0,53

------------------------------------------------------------------

Totale                                370.968             172,25

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     L'alto tasso di spedalizzazione (si ricorda che quello ottimale è pari a 160 per 1.000 abitanti) è presumibilmente dovuto ai cosiddetti ricoveri «impropri», se si considera che contro livelli teorici del tasso di utilizzazione pari al 75 per cento e della degenza media pari a 11 giorni, i valori relativi alla Regione sono, come già sottolineato in precedenza, rispettivamente 59 per cento e 8,6.

 

5. STIMA DEL FABBISOGNO DI POSTI LETTO

 

     In base alla domanda espressa relativamente ai ricoveri dei residenti della Regione presso i presidi ospedalieri della Regione stessa, si è proceduto, in una prima fase, a stabilire il numero dei posti letto occorrenti a soddisfare tale fabbisogno.

     La stima è stata effettuata considerando esclusivamente le divisioni già esistenti negli istituti di ricovero pubblici e privati convenzionati secondo parametri di attività ipotizzabili riferiti al tasso di utilizzazione ed alla degenza media differenziati per le diverse discipline.

     Nella tavola 3 sono riportati, per ciascuna specialità, sia i valori relativi ai suddetti standards sia la stima delle giornate di degenza e dei posti letto ricavata mediante l'applicazione di tali parametri.

     L'elaborazione ha tenuto conto di alcune peculiarità inerenti la dotazione e l'utilizzo dei posti letto nella Regione quali:

     - la carenza di posti letto per Riabilitazione e Lungodegenza, che verosimilmente determina ricoveri impropri nelle divisioni di Medicina generale e Geriatria;

     - l'assenza di posti letto nelle discipline chirurgiche di media ed elevata assistenza, che comporta una impropria utilizzazione dei posti letto di Chirurgia generale;

     - la carenza di posti letto di Terapia Intensiva.

     Tali caratteristiche hanno reso necessaria l'ipotesi di assegnare un tasso di utilizzazione ed una durata media di degenza superiore alla norma per alcune discipline così da ottenere il numero di posti letto teoricamente necessari nella Regione per il soddisfacimento dell'attuale domanda espressa dai residenti.

     I parametri medi di attività ipotizzati per ogni classe assistenziale sono stati utilizzati per stimare i posti letto necessari per soddisfare anche quella parte di domanda normalmente destinata all'emigrazione secondo la seguente tabella.

 

 

 

Stima del fabbisogno di posti letto per la Regione Calabria in base alla

                   domanda di ricoveri in altre Regioni

 

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Classi               Ricoveri        T.U.       D.M.       Posti

assistenziali                    ipotizz.   ipotizz.       letto

------------------------------------------------------------------

Terapia intensiva         808          80          7          19

Elevata assistenza      2.808          79         16         156

Media assistenza       10.362          78          8         291

Assistenza di base     32.519          84         11       1.167

Riabilitazione          1.028          90         35         110

Lungodegenza              521          90         35          56

------------------------------------------------------------------

Totale                 48.046          83         11       1.799

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     Nella tabella successiva viene invece riportato il riepilogo dei dati relativamente alla stima del fabbisogno dei posti letto atti a soddisfare l'intera domanda espressa.

 

 

 

  Stima del fabbisogno di posti letto in base alla domanda espressa nella

                             Regione Calabria

 

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Classi          P.L. per     P.L. per   Totale P.L.     P.L. per

assisten-          fabb.        fabb.     necessari         1000

ziali           emigrati    residenti

------------------------------------------------------------------

Terapia intensiva     19          251           270         0,13

Elevata assistenza   156          572           728         0,35

Media assistenza     291        1.352         1.643         0,79

Assistenza di base 1.167        5.509         6.676         3,21

Riabilitazione       110          930         1.040         0,50

Lungodegenza          56          984         1.040         0,50

------------------------------------------------------------------

Totale             1.799        9.598        11.397         5,48

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     La differenza tra i posti letto effettivi e quelli stimati evidenzia un saldo attivo di 2,73 posti letto; i dati relativi alle singole classi assistenziali sono riportati nella tabella che segue.

 

 

 

   Confronto tra posti letto stimati e posti letto effettivi per classi

                               assistenziali

 

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Classi assistenziali   P.L. effettivi   P.L. stimati   Differenza

------------------------------------------------------------------

Terapia intensiva            153              270       -   117

Elevata assistenza           539              728       -   189

Media assistenza           1.764            1.643       +    51

Assistenza di base         8.624            6.676       + 1.948

Riabilitazione               155            1.040       -   885

Lungodegenza                   0            1.040       - 1.040

------------------------------------------------------------------

Totale                    11.135           11.397       -   262

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6. CONFRONTO TRA IL FABBISOGNO SECONDO GLI STANDARDS EX LEGGE    412/91 E

LEGGE 537/90 ED IL FABBISOGNO STIMATO DI POSTI LETTO

 

     Dal confronto tra i dati ricavati sulla base dell'applicazione degli standards di cui alla legge 412/91 e legge 537/93 ed il fabbisogno di posti letto stimato sulla base della domanda soddisfatta complessivamente nel 1990 per i residenti nella Regione di cui al punto 5 si evince un esubero di posti letto per quanto riguarda le divisioni per acuti al contrario è evidenziabile una carenza di posti letto per le divisioni di Lungodegenza e Riabilitazione; il saldo comporta, in ogni caso, una leggera carenza di posti letto.

 

 

 

Confronto tra fabbisogno di posti letto secondo la L. 412/91 e 537/93 e il

          fabbisogno stimato sulla base della domanda soddisfatta

 

------------------------------------------------------------------

Posti letto     Secondo gli      Pubblici +       Differenza

                 standards di     privati conv.

                 legge

------------------------------------------------------------------

acuti           4,50 per mille   5,95 per mille   -1.620

                 9.360            10.980

non acuti       1,00 per mille   0,13 per mille   + 1.925

                 2.080            155

------------------------------------------------------------------

Totali          11.440           11.135           + 305

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     Ciò conferma l'appropriatezza del fabbisogno stimato rispetto al complessivo standard della legge 412 e della legge 537, esplicitando la necessita di incrementare i posti letto per non acuti al fine di dare una corretta risposta alla domanda che si rivolge impropriamente alle discipline di base per acuti.

 

7. TASSO DEI POSTI LETTO PER 1.000 ABITANTI PER DISCIPLINA

 

     Per giungere alla proposta di suddivisione degli standards indicati dalla legge n. 412 e della legge n. 537 è stata analizzata l'attuale distribuzione di posti letto effettivi (per 1.000 residenti) nella Regione. Sono state ricavate le dotazioni medie regionali di posti letto per disciplina (tavola 5).

     Vi è una forte carenza di posti letto per le terapie intensive, delle quali mancano inoltre alcune fondamentali discipline, come la Terapia Sub- intensiva, un Centro per grandi ustionati e la Terapia intensiva post- trapianti.

     Nelle discipline ad elevata assistenza si riscontra un deficit nella dotazione di posti letto e, rispetto alle discipline previste dal D.M. del 13 settembre 1988, non ne sono attivate alcune sicuramente indispensabili a livello regionale: Ematologia con trapianti, Nefrologia con trapianti ed Unità spinale ed ancora Cardiochirurgia, che conta di fatto solo 6 posti letto.

     Le discipline a media assistenza necessitano di un potenziamento con il completamento di quelle mancanti (Chirurgia Maxillo - facciale, Chirurgia Plastica, Neuropsichiatria infantile e oncologia).

     L'analisi delle discipline di base non può invece disgiungersi da quella delle discipline per pazienti non acuti: queste ultime sono gravemente carenti su tutto il territorio regionale. La maggior parte della domanda attesa per queste discipline viene impropriamente soddisfatta attraverso l'assistenza di base; questo spiega il sovradimensionamento delle discipline di base, che presentano una dotazione (stimata) di posti letto già di per sé esuberante, pur non essendo completamente attivate tutte le specialità previste.

     Occorrerà sia un incremento dei posti letto per la lungodegenza e la Riabilitazione sia una ridistribuzione dei posti letto tra le discipline di base, aggiungendo anche quelle che ancora non sono funzionanti (Allergologia, Angiologia, Diabetologia e Malattie del ricambio, Endocrinologia presente solo con alcuni posti di DH).

     Non si prevedono posti letto ospedalieri per Medicina del Lavoro che può essere più razionalmente presente come Servizio territoriale; per Odontostomatologia si sono previste poltrone e posti letto equivalenti nelle aziende ospedaliere mentre nelle restanti unità sanitarie locali sono previste poltrone come servizio territoriale.

     La proposta di suddivisione degli standards indicati dalla vigente normativa è stata espressa tenendo conto di parametri di attività considerati corretti e di standards indicati da vari Piani sanitari regionali (tavola 5).

     Per l'emodialisi è indicato il numero di posti letto delle unità dialitiche ospedaliere. La distribuzione fra le Unità Sanitarie Locali è stata proposta sulla base della proporzione della popolazione residente nelle stesse.

 

8. POSTI LETTO PER DISCIPLINA E PER UNITA' SANITARIA LOCALE

 

     La distribuzione dei posti letto per disciplina e per Unità Sanitaria Locale (ivi compresi quelli afferenti alle Aziende ospedaliere) è riportata nella tavola 5 e si è determinata con il confronto, per ogni singola Unità Sanitaria Locale, tra il numero di posti letto proposti e quello degli effettivi.

     Nelle elaborazione proposte sono esclusi i posti letto dell'ex Ospedale Psichiatrico.

 

9. CRITERI PER L'ATTUAZIONE DEL PROVVEDIMENTO

 

     Le Unità Sanitarie Locali sono competenti in merito alla formulazione della proposta di distribuzione delle Unità Operative di degenza e dei Servizi fra i presidi che insistono sul proprio territorio e dei conseguenti provvedimenti di potenziamento, trasformazione o disattivazione dei presidi stessi, sulla base dei criteri e delle linee di indirizzo di seguito elencati:

     1) Il processo di adeguamento dei presidi ospedalieri va attuato per fasi successive che, pur tenendo conto della situazione esistente, portino alla progressiva razionalizzazione ed al potenziamento quali-quantitativo della rete ospedaliera, conseguendo con gradualità adeguati livelli di efficienza. Le disattivazioni dovranno essere contestuali alle nuove attivazioni previste.

     2) Le aziende ospedaliere, ad esclusione dell'Università ed i presidi di dimensioni maggiori (uno per ciascuna Unità Sanitaria Locale), vanno potenziati per consentire il raggiungimento di livelli di dimensioni e polidisciplinarietà necessari rispettivamente ai fini della economia di scala e della qualità dell'assistenza per la cura delle patologie più complesse.

     3) Nei presidi di cui al precedente punto 2, va identificata per ciascuna Unità Sanitaria Locale la sede di Dipartimento di emergenza ai sensi del D.P.R. 27 marzo 1992. I posti letto di astanteria sono indicati alla tavola 5 come moduli da 16 posti letto ciascuno.

     Le restanti Unità Sanitarie Locali, con riferimento al Dipartimento di emergenza, proporranno i rispettivi posti letto di osservazione all'interno del complessivo numero di posti letto di Medicina o Chirurgia generale loro assegnati, fermi restando i posti letto già esistenti di Astanteria che riducono quelli di Chirurgia generale e Medicina generale.

     Limitatamente alle «aree interne», per far fronte ai problemi dell'emergenza sanitaria non altrimenti risolvibili, le Unità Sanitarie Locali interessate potranno indicare un'ulteriore sede di Pronto Soccorso.

     4) Nei presidi ospedalieri di minori dimensioni che si vorranno mantenere in attività, senza prevedere in essi funzioni deputate al Pronto Soccorso, vanno potenziati e/o resi efficienti i Servizi di diagnosi e cura senza posti letto.

     Qualora tali presidi, in una prima fase, non raggiungano le dimensioni considerate sufficienti per il mantenimento in autonomia, vanno gestiti in rete ed in forma integrata, prevedendo per ciascuno di essi una caratterizzazione funzionale non ripetitiva e compatibile con una gestione unitaria degli ospedali della Unità Sanitaria Locale, considerata nel suo complesso; tale indicazione vale anche per i presidi ospedalieri esistenti ma non ancora attivati, dopo aver valutato per essi ipotesi di riconversione (Residenze Sanitarie Assistenziali, Poli Sanitari Territoriali, Day Hospital, strutture riabilitative e lungodegenza) anche ricorrendo alle sperimentazioni gestionali previste dall'articolo 9 bis del decreto legislativo di riordino.

     5) Le Unità Sanitarie Locali nei piani attuativi dovranno avanzare le proposte riguardanti la rete ospedaliera, particolarmente quella relativa ai presidi di minori dimensioni, mantenendo una visione unitaria anche rispetto alle strutture distrettuali e con particolare riferimento ai Poli Sanitari Territoriali (PST).

     Per l'istituzione di questi ultimi possono essere utilizzate strutture di presidi ospedalieri da riconvertire. Équipe ospedaliere meno utilizzate potranno soddisfare esigenze diagnostico-terapeutiche in seno ai PST.

     6) Le strutture di diagnostica strumentale e di laboratorio dei presidi maggiori vanno quali-quantitativamente potenziate con dotazioni tecnologiche ottimali, prevedendo negli altri presidi la tecnologia necessaria alla esecuzione di sole prestazioni di base.

     Per tali servizi potranno essere attuate sperimentazioni gestionali ai sensi dell'articolo 9 bis citato.

     7) Con provvedimento della Giunta regionale saranno approvate le direttive inerenti gli standards di riferimento per le dotazioni strumentali di alta tecnologia.

     8) Per le U.O. di Riabilitazione e Lungodegenza in fase di prima applicazione, va attivato almeno un modulo ospedaliero per ciascuna Unità Sanitaria Locale, verificando, inoltre, per le aree dotate di maggiore presenza di strutture private, la disponibilità di queste ultime a convenzionarsi per tali specialità.

     9) Le Unità Sanitarie Locali, al fine di identificare i presidi ospedalieri e le U.O. di degenza da mantenere, da accorpare o da disattivare, dovranno dare documentata motivazione alla Giunta regionale, dimostrando per ogni Unità operativa gli attuali livelli di attività secondo i parametri oggi disponibili (indice di rotazione, indice di operatività per i reparti chirurgici, ecc.), in attesa di attivare il sistema informativo sanitario regionale. Nel caso non si giustifichi il mantenimento in autonomia di alcune Unità operative, dovranno essere attuati processi di mobilità e/o aggregazioni funzionali per le quali, in presenza di più apicali della stessa disciplina, sia affidato pro tempore il coordinamento ad uno di essi in possesso di maggiori titoli.

     10) Al fine di limitare le diseconomie di gestione va prevista, particolarmente in presenza di più presidi limitrofi di piccole dimensioni, la gestione integrata su base territoriale di vari servizi di supporto, (come lavanderia, guardaroba, pulizie, ristorazione, manutenzione delle apparecchiature tecnico-sanitarie).

     11) Le Unità Sanitarie Locali potranno proporre posti letto di terapia subintensiva, oltre a quelli già previsti, nei presidi nei quali siano presenti le corrispondenti unità operative di degenza di terapia intensiva, in numero non superiore al doppio dei posti letto di queste ultime e con pari riduzione dei posti letto della disciplina di riferimento.

     12) In conformità a quanto espressamente previsto nell'articolato della legge di Piano sanitario regionale con apposito regolamento, approvato dalla Giunta regionale, sarà disciplinata l'articolazione dei presidi ospedalieri in dipartimenti, sulla base dei principi dell'integrazione tra le divisioni, sezioni e servizi affini ed extraospedalieri, in rapporto alle esigenze di definiti ambiti territoriali e quello della integrazione delle competenze gestionali, in modo da favorire la corresponsabilizzazione degli operatori o valorizzare il lavoro di gruppo.

     13) Ferma restando la distribuzione dei moduli assistenziali per disciplina di cui all'allegata tavola 5, per le Unità Sanitaria Locali nelle quali sono previste le Aziende ospedaliere l'individuazione delle Unità Operative di degenza da attribuire alle predette aziende sarà effettuata con le modalità previste dall'art. 2 della legge regionale 12 novembre 1994, n. 26.

     14) I posti letto di terapia intensiva e terapia intensiva post- trapianto previste per le Unità Sanitarie Locali 4 Cosenza, 7 - Catanzaro, 11 - Reggio Calabria vanno anche riferiti alle funzioni chirurgiche che svolgono attività di trapianto.

     15) Nei piani attuativi dell'ambito territoriale della Unità Sanitarie Locale n. 4 si dovrà tener conto di posti letto obbligatoriamente convenzionati con INRCA (Cardiologia, UTIC, Riabilitazione, Medicina Generale, Geriatria).

 

     Tavole:

     (Omissis).

 

Documento n. 3

IL SERVIZIO DI URGENZA-EMERGENZA MEDICA

1. PREMESSA.

 

     Il Servizio è rivolto in modo specifico alla soluzione della situazione di urgenza ed emergenza medica per regolamentare le questioni organizzative ed assistenziali finalizzate a consentire l'immediato ricovero ospedaliero in attuazione del DPR 23 marzo 1992 «Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza».

     Per Urgenza si intende una condizione clinica che riguarda individui colpiti da processi patologici per i quali, pur non esistendo immediato pericolo di vita e tuttavia necessario adottare, entro breve tempo, l'opportuno intervento terapeutico.

     Per Emergenza si intende una condizione clinica che coinvolge individui che necessitano di immediato ed adeguato intervento terapeutico anche con ricorso a mezzi speciali di trattamento.

     Si individuano cinque tipologie di patologie ed esattamente:

     - lesioni acute del sistema nervoso centrale con implicazione neurochirurgiche e politraumatismi;

     - patologie multiorgano particolarmente acute e complesse;

     - malattie cardiovascolari ad insorgenza improvvisa con necessità interventistiche di emergenza;

     - ustioni estese e gravi;

     - patologie neonatali e pediatriche con necessità diagnostiche e terapeutiche complesse.

     Per la soluzione dei problemi diagnostici e terapeutici posti dall'Urgenza e dall'Emergenza è necessaria l'istituzione di sistemi funzionali che per struttura, organizzazione, personale e mezzi tecnici possano fornire le cure migliori, nel più breve tempo possibile, nella sede più adatta.

     Il Servizio di Urgenza ed Emergenza Medica (SUEM) si realizza attraverso tre sistemi:

     1) Sistema di Allarme sanitario (Centrale Operativa: CO)

     2) Pronto soccorso attivo (PS)

     3) Dipartimento di Emergenza (DE).

     Per quanto riguarda la disponibilità e la distribuzione di posti letto si rimanda al Documento n. 2 - Rideterminazione della rete ospedaliera.

 

2. SISTEMA DI ALLARME SANITARIO ED INTERVENTO TERRITORIALE.

 

     2.1. La centrale operativa.

     2.1.1 Definizione.

     La Centrale Operativa è la struttura che assicura il sistema allarme sanitario cui fa riferimento telefonico unico il numero «118» e ad essa affluiscono tutte le richieste di intervento per le emergenze sanitarie.

     L'attivazione del numero unico comporta il superamento degli altri eventuali numeri di urgenza ed emergenza sanitaria di Enti, Associazioni e Servizi delle Unità Sanitarie Locali nell'ambito territoriale di riferimento, anche tramite convogliamento automatico sulla centrale operativa 118 delle chiamate di eventuali numeri di soccorso.

 

     2.1.2 Competenze.

     La Centrale Operativa raccoglie, attraverso il numero telefonico unico, tutte le richieste di intervento per Urgenze ed Emergenze Sanitarie provenienti dai cittadini e, attraverso la predisposizione di appositi sistemi radio-telefonici, dalle strutture sanitarie; garantisce, di conseguenza, gli interventi nell'ambito territoriale di competenza, assicura i collegamenti con i servizi sanitari dell'emergenza sanitaria del territorio di competenza (Dipartimento di Emergenza, Pronto Soccorso, Guardia Medica, ecc.) con le ambulanze e gli altri mezzi di soccorso su frequenze dedicate e riservate al Servizio Sanitario Nazionale.

     Ogni centrale operativa è collegata con le centrali operative delle altre provincie ed è compatibile con le stesse e con quelle delle altre regioni (art. 3 DPR 27 marzo 1992) per consentire il traffico regionale ed interregionale delle chiamate; si raccorda con la protezione civile ed i piani di intervento della Prefettura in ogni provincia.

     La centrale operativa:

     - valuta il tipo di intervento richiesto;

     - coordina i mezzi di soccorso, mantenendo il contatto e conoscendo la dislocazione e la disponibilità di tutti i mezzi, anche mediante radio collegamento;

     - conosce la disponibilità dei posti letto nel territorio di competenza.

 

     2.1.3 Organizzazione territoriale.

     Le Centrali Operative sono organizzate su base provinciale ed hanno sede nell'area dei presidi ospedalieri dei capoluoghi di provincia: Reggio Calabria (Ospedali Riuniti), Catanzaro (Ospedale Pugliese), Cosenza (Ospedale dell'Annunziata), Crotone, Vibo Valentia.

 

     2.1.4 Modalità di funzionamento e profilo organizzativo.

     La Centrale Operativa valuta la gravità dell'evento segnalato e dispone l'intervento di soccorso adeguato attraverso cinque tipologie di risposta:

     1) non necessita di intervento;

     2) utilizzo di competenza medica territoriale (guardia medica, medicina dei servizi, medicina di base, ecc.);

     3) invio di ambulanza (taxi-ambulanza);

     4) soccorso e trasporto assistito (ambulanza con personale infermieristico specializzato ed eventuale medico a bordo);

     5) soccorso e trasporto avanzato (Centro Mobile di rianimazione o eliambulanza di rianimazione con personale medico ed infermieristico di rianimazione a bordo).

     I punti 4) e 5) devono essere assicurati dalla Centrale Operativa dal momento della chiamata fino al ricovero nell'ospedale più idoneo.

     6) Il collegamento organizzativo e funzionale della Centrale Operativa con le strutture sanitarie provinciali ed altre strutture deputate anche alla maxi emergenza (prefettura, protezione civile, vigili del fuoco, polizia di Stato, carabinieri, guardie di finanza, corpo forestale dello Stato, forze armate. ecc)..

 

     2.1.5 Organizzazione tecnologica, strutturale e dimensionamento.

     Le Centrali Operative adottano gli standards di comunicazione e di servizio definiti con Decreto del Ministro della Sanità di concerto col Ministro delle Poste e Telecomunicazioni, compatibili tra loro e con quelli delle altre Regioni.

     Le Centrali Operative devono possedere sistemi automatici di registrazione delle conversazioni telefoniche inerenti le Urgenze ed Emergenze Sanitarie.

     Le stesse sono caratterizzate da:

     - adeguato numero di locali per gli impianti di

radiotelecomunicazione, climatizzazione ed altre attrezzature;

     - area operativa organizzata in relazione alle diverse esigenze;

     - area direzionale e multifunzionale (uffici, sala riunioni ed altri servizi);

     - area dedicata per le sezioni di potenza degli apparati di ricetrasmissione, del sistema antennistico e del sistema informatico.

     I contenuti tecnologici devono prevedere:

     - apparati ricetrasmittenti e di telefonia secondo gli standards previsti dal DPR 27 marzo 1992;

     - un sistema informatico in grado di assicurare in tempo reale la disponibilità di tutte le informazioni utili alla gestione dell'intervento sanitario di emergenza:

     - sistemi automatici di registrazione delle conversazioni telefoniche inerenti le urgenze e le emergenze sanitarie.

 

     2.1.6 Responsabilità medico-organizzativa ed operativa.

     La Centrale Operativa è attiva 24 ore su 24 e si avvale delle seguenti figure:

     - medico ospedaliero del primo livello dirigenziale della disciplina di Anestesia e Rianimazione e in possesso di documentata esperienza ed operante nella medesima area dell'emergenza-urgenza in qualità di responsabile della centrale operativa:

     - personale infermieristico adeguatamente addestrato con documentata e concreta esperienza nel settore dell'emergenza-urgenza;

     - medici individuati tra il personale dipendente nominativamente anche a rotazione per garantire la immediata consultazione e con documentata esperienza e competenza nel settore dell'Emergenza-Urgenza;

     - guardia medica ex art. 22 DPR n. 41/1991;

     - personale tecnico ed amministrativo.

     Al medico responsabile della centrale operativa sono demandati i seguenti compiti:

     - organizzazione generale del Servizio su tutto il territorio di competenza;

     - gestione del personale con particolare riguardo all'aggiornamento continuo medico ed infermieristico. La formazione e l'aggiornamento del personale infermieristico delle centrali operative si svolge, in ottemperanza all'art. 4, DPR 27 marzo 1992, tramite specifici corsi in sede locale e/o residenziale presso centrali operative di altre Regioni dove queste sono già operanti. Il personale infermieristico addetto al territorio seguirà corsi di aggiornamento presso gli Ospedali della regione all'uopo identificati ed idonei;

     - continuità organizzativa e gestionale.

     Al personale infermieristico è affidata la gestione operativa della Centrale, previa consultazione del medico di centrale nell'ambito dei protocolli stabiliti dal medico responsabile della centrale operativa.

     In particolare l'operatore della Centrale dovrà identificare il livello apparente di gravità dell'evento segnalato (grado di urgenza), la motivazione medica apparentemente dominante, la complessità organizzativa dell'intervento, in relazione al numero dei soggetti da assistere, classificando la chiamata e la risposta secondo il sistema di codificazione definito dal Ministero della Sanità.

     L'operatore di Centrale, qualora ravvisi la necessita di invio di auto attrezzata per rianimazione o di auto/eliambulanza medicalizzata, o nel caso ritenga non necessario l'intervento, o qualora la richiesta riguardi situazioni non previste dal protocollo interno predisposto dal medico responsabile della centrale operativa, dovrà consultare, contestualmente, il medico di centrale.

     Il medico di centrale, immediatamente consultabile 24 ore su 24, deve tenere sia i collegamenti con il medico a bordo dell'auto attrezzata o dell'eli/autoambulanza, con il quale decide in merito agli interventi sanitari immediati da prestare, alle modalità di trasporto ed all'individuazione dell'ospedale più idoneo in relazione alla patologia riscontrata, ad accogliere il paziente, sia i collegamenti con i responsabili delle strutture.

 

     2.1.7 Organizzazione del trasporto sanitario.

     La centrale operativa, per ogni attività di soccorso sul territorio e di trasporto sanitario, in collegamento con il Pronto Soccorso, si serve di:

     - mezzi di trasporto per i servizi ordinari da utilizzare direttamente nell'ambito del sistema complessivo dei trasporti sanitari:

     - mezzi di trasporto per l'Urgenza e l'Emergenza sanitaria collegati direttamente alla centrale operativa ed utilizzati in base a precisi protocolli operativi predisposti dal medico responsabile della centrale operativa sia per quanto attiene le modalità di gestione sia per quanto concerne la dotazione delle attrezzature che la dotazione di personale.

     E' necessaria, pertanto, l'identificazione di un autoparco sanitario con un responsabile amministrativo ed operatori tecnici (autisti, meccanici, ecc.) per mantenere la perfetta efficienza di:

     - vetture medicalizzate (taxi-ambulanze);

     - ambulanze;

     - ambulanze attrezzate;

     - centri mobili di rianimazione;

     - eliambulanze [*]

 

[*] La sede dell'Eliambulanza sarà a Lamezia Terme mentre in ogni Dipartimento di Emergenza-Urgenza vi sarà un idoneo Eliporto.

 

3. SERVIZIO DI PRONTO SOCCORSO

 

     3.1. Competenze

     Per servizio di pronto soccorso si intende l'attività diagnostica e terapeutica di Urgenza ed Emergenza sanitaria funzionante 24 ore su 24 in ospedale ed eventualmente, sul territorio di competenza in base alle indicazioni precedentemente concordate con la centrale operativa.

     Il Servizio di Pronto Soccorso assicura gli interventi diagnostico- curativi di urgenza, compatibili con le specialità di cui è dotato l'ospedale, nonché il primo accertamento diagnostico clinico, di laboratorio e gli interventi necessari alla stabilizzazione del paziente; decide altresì sul ricovero e garantisce il trasporto protetto di concerto con la centrale operativa.

 

     3.2 Modalità di funzionamento e profilo organizzativo.

     Il Servizio di Pronto Soccorso opera 24 ore su 24 ed espleta la propria attività con personale medico ed infermieristico addetto, mantenendo anche i collegamenti con la centrale operativa e il Dipartimento di Emergenza.

     La responsabilità delle attività previste è attribuita al dirigente di secondo livello del Servizio di Pronto Soccorso: in mancanza di servizio autonomo, la responsabilità viene attribuita nominativamente, anche a rotazione, ad un dirigente medico di primo livello di disciplina medica o chirurgica.

     Le sedi di pronto soccorso sono quelle indicate nel documento n. 2.

 

     3.3 Disciplina dei ricoveri.

     I ricoveri di elezione negli ospedali sede di pronto soccorso devono essere programmati ed avvengono su richiesta documentata del medico curante corredata dagli accertamenti diagnostici, di laboratorio, strumentali e di altre strutture sanitarie.

 

4. IL DIPARTIMENTO DI EMERGENZA

 

     4.1. Definizione

     Il Dipartimento di Emergenza si configura come l'organizzazione multidisciplinare derivante dall'integrazione funzionale delle Divisioni e Servizi Sanitari necessari per affrontare il problema diagnostico e terapeutico posto dal malato in stato di urgenza e/o emergenza sanitaria.

 

     4.2 Composizione.

     Il Dipartimento di Emergenza è costituito, oltre che dalla Direzione Sanitaria, dalle Divisioni e dai Servizi di seguito elencati:

     - Pronto Soccorso;

     - Medicina generale;

     - Chirurgia generale;

     - Ortopedia e Traumatologia;

     - Anestesia e Rianimazione (con posti letto di Terapia intensiva);

     - Cardiologia (con Unità di Terapia Intensiva cardiologica);

     - Radiologia;

     - Laboratorio di Analisi;

     - Centro trasfusionale;

     - Ostetricia e Ginecologia;

     - Pediatria;

     - Psichiatria.

 

     4.3 Requisiti minimi di un ospedale sede di Dipartimento di Emergenza.

     Devono essere garantiti 24 ore su 24, oltre alla Direzione Sanitaria, i seguenti Servizi e Divisioni:

     - servizio di Pronto Soccorso;

     - guardie attive di Medicina Generale, Chirurgia generale, Ortopedia e Traumatologia, Cardiologia, Pediatria, Ostetricia e Ginecologia, Anestesia e Rianimazione:

     - attività di accettazione ordinaria;

     - attività di osservazione temporanea con durata massima di 24-48 ore;

     - servizio di Anestesia e Rianimazione;

     - servizio di Terapia intensiva;

     - divisione di Cardiologia (con Unità di Terapia Intensiva Cardiologica);

     - divisione di Ortopedia e Traumatologia;

     - divisione di Ostetricia e Ginecologia;

     - divisione di Medicina Generale;

     - divisione di Chirurgia Generale.

     Devono essere garantiti 12 ore su 24 con pronta disponibilità notturna e festiva oltre alla Direzione Sanitaria, le seguenti Divisioni:

     - Divisione di Oculistica;

     - Divisione di Otorinolaringoiatria;

     - Divisione di Urologia;

     - Servizio o Divisione di Psichiatria.

     Le suddette componenti specialistiche hanno l'obbligo di intervenire nel Dipartimento di Emergenza e devono garantire il ricovero di ammalati in situazione di emergenza.

     In caso di presenza di più strutture della stessa disciplina sussiste l'obbligo della turnazione; deve essere assicurato, inoltre, il collegamento con la Centrale Operativa ed il Servizio di Pronto Soccorso per quanto di competenza e per il trasporto protetto.

     Il Dipartimento di Emergenza deve assicurare, nell'arco delle 24 ore anche attraverso le altre unità specialistiche di cui è dotato l'ospedale, oltre alle funzioni di pronto soccorso relative all'urgenza sanitaria, anche le prestazioni per i pazienti in emergenza mediante:

     a) interventi diagnostico-terapeutici di emergenza di carattere medico, chirurgico, ortopedico, ostetrico e pediatrico:

     b) assistenza cardiologica e rianimatoria;

     c) osservazione temporanea.

     La dotazione di posti letto per terapia intensiva e subintensiva (art. 9 DPR 27 marzo 1992) è stabilita nella tabella n. 5 del documento n. 2.

     Il Dipartimento di Emergenza assicura, per l'arco delle 24 ore e con priorità, le prestazioni diagnostiche, analitiche, strumentali e di immunoematologia e le consulenze specialistiche intraospedaliere.

     In caso di calamità naturali e/o disastri è facoltà del Dipartimento di Emergenza sospendere, quando e per quanto è necessario l'accettazione ordinaria.

 

     4.4 Organizzazione territoriale.

     Presso ciascuna Unità Sanitaria Locale è collocato Dipartimento di Emergenza (per un totale di 11 DE).

     I Dipartimenti sono collocati presso gli ospedali di Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria, Crotone, Vibo Valentia, sedi delle Centrali Operative; per le altre sedi il Dipartimento è collocato nel Presidio ospedaliero della Unità Sanitaria Locale che abbia i requisiti minimi previsti.

 

     4.5 Responsabilità medico-organizzativa e funzionale.

     La responsabilità del Dipartimento di Emergenza è attribuita nominativamente, anche a rotazione per un periodo non inferiore a sei mesi al dirigente medico di secondo livello, con idoneità in Anestesia e Rianimazione o Medicina Generale o Chirurgia Generale, con documentata esperienza nel settore dell'emergenza, che si avvarrà della collaborazione del Comitato di Dipartimento che è composto dal Direttore Sanitario (o suo delegato) e da tutti i dirigenti sanitari di secondo livello dirigenziale delle divisioni e servizi interessati.

     Il responsabile del Dipartimento provvede a tutti i compiti di attuazione inerenti la programmazione, l'organizzazione, la formazione, la ricerca ed al controllo dei risultati e delle attività ivi comprese quelle di prelievi e di trapianti di organi.

 

     4.6 Modalità di funzionamento.

     In presenza di un ammalato in emergenza il medico in servizio al pronto soccorso del servizio di emergenza deve provvedere a coordinare tutti gli interventi intra-ospedalieri necessari alla gestione del paziente, ed in particolare:

     - accoglie il paziente nella sede e con le modalità più appropriate a consentire l'assistenza necessaria;

     - convoca, ove necessario, gli specialisti e con la loro collaborazione segue il paziente fino alla struttura di competenza.

 

     4.7 I medici di guardia medica possono essere utilizzati nel servizio e nell'attività di emergenza sanitaria secondo quanto previsto dall'articolo 22 della convenzione nazionale sulla guardia medica approvata con DPR n. 41/1991.

 

     4.8 Convenzioni con enti pubblici, privati e associazioni di volontariato (art. 5, DPR 27 marzo 1992).

     La Regione stabilisce i termini e le modalità del concorso all'attività di soccorso sanitario di enti ed associazioni pubbliche e private in possesso della apposita autorizzazione sanitaria, sulla base di uno schema di convenzione, definito dalla Conferenza Stato-Regioni su proposta del Ministro della Sanità ai sensi dell'art. 5 DPR 27 marzo 1992.

     La Giunta regionale, previo parere favorevole della competente Commissione consiliare, - limitatamente al trasporto tramite ambulanze di tipo B - può instaurare apposite convenzioni con associazioni ed enti di volontariato in misura non superiore al 50% della dotazione di autoambulanze di tipo B necessarie al trasporto infermi per ciascun ambito territoriale di riferimento delle centrali operative.

     Le suddette autoambulanze devono essere dotate di sistema di radiocollegamento con la centrale operativa di riferimento territoriale. La centrale operativa deve essere a conoscenza dei mezzi di soccorso e della relativa dislocazione territoriale, che può modificare in base alle necessità assistenziali. I mezzi di soccorso della Croce Rossa Italiana, delle associazioni e di enti pubblici e privati possono essere utilizzati previa verifica, da parte della Regione della conformità al D.M. 17 dicembre 1987, n. 553 ed alla presente legge.

 

     4.9 Informazione ed educazione sanitaria.

     La Regione e le unità sanitarie locali promuovono campagne di informazione e di educazione sanitaria alle popolazioni al fine di evitare il ricorso indiscriminato ed improprio al S.U.E.M.

     Tali campagne forniranno alle popolazioni le adeguate conoscenze per:

     - chiamare unicamente per reale emergenza sanitaria la centrale operativa;

     - rivolgersi ai distretti ed ai poli sanitari, ai medici curanti per richieste di emergenza sanitaria più qualificata;

     - comunicare l'esatta ubicazione del luogo sede dell'emergenza;

     - rispondere a semplici domande circa la natura e la gravità dell'emergenza;

     - fornire tutti gli elementi ritenuti utili per un rapido intervento dei mezzi di soccorso.

 

     4.10 Aziende ospedaliere quali centro di riferimento regionale per le emergenze (art. 4, comma 4, L. 502/92).

     Vengono individuate le aziende ospedaliere di Reggio Calabria (Ospedali Riuniti), Catanzaro (Pugliese) e Cosenza (Annunziata), ed i presidi ospedalieri di Vibo Valentia e Crotone.

 

 

A) Progetto obiettivo salute mentale.

 

1. PREMESSA

 

     La necessità di riorganizzare l'assistenza psichiatrica entra nel riassetto generale del Piano Sanitario Nazionale in rapporto al nuovo assetto istituzionale per garantire l'equilibrata disponibilità dei Servizi sul territorio regionale.

     Il Progetto Obiettivo Nazionale ha postulato un diverso approccio alla malattia mentale; si è modificato l'obiettivo fondamentale dell'intervento pubblico, si passa dal controllo sociale dei malati di mente alla promozione della salute e alla prevenzione dei disturbi mentali, si è spostato l'asse portante delle istituzioni assistenziali dagli interventi fondati sul ricovero ospedaliero a quelli incentrati sui servizi territoriali.

     Le linee guida contenute nel progetto nascono da esigenze specifiche della Regione:

     a) necessità definitiva superamento dell'Ospedale Psichiatrico;

     b) tipologia e territorializzazione dei servizi;

     c) parametri di riferimento per bacini di utenza;

     d) congruità degli organici al funzionamento dei servizi;

     e) interconnessione funzionale delle attività preventive, terapeutiche e riabilitative e loro coordinamento;

     f) formazione e/o riqualificazione e aggiornamento degli operatori;

     g) monitoraggio e verifica delle attività;

     h) individuazione e destinazione delle risorse.

     Le attività assistenziali psichiatriche, a differenza della maggior parte delle specialità mediche, richiedono investimenti strumentali e tecnologici relativamente contenuti, ma assorbono risorse consistenti per l'attivazione ed il funzionamento dei servizi a contenuto socio-sanitario

     Poiché l'efficienza e l'efficacia dipendono in larga misura dalla capacità professionale degli operatori, è necessario monitorare e valutare l'operatività e garantire la formazione, la riqualificazione e l'aggiornamento permanente del personale a tutti i livelli.

     Si punta, pertanto, alla funzionalità ottimale dei servizi dipartimentali in ogni Unità Sanitaria Locale della Regione al fine di assicurare lo svolgimento di tutte le attività di prevenzione, di risposta all'emergenza di terapia e di riabilitazione, garantendo che le stesse si svolgano nel territorio di appartenenza dei pazienti.

 

2. DIPARTIMENTO DI SALUTE MENTALE (D.S.M.).

 

     Il dipartimento di salute mentale appartiene alla azienda USL e rappresenta la forma organizzativa che meglio risponde alle esigenze di garantire:

     - unitarietà della programmazione e gestione delle attività in psichiatria;

     - la pari dignità dei compiti operativi nelle diverse sedi di intervento.

     Al dipartimento di salute mentale fanno capo tutte le attività territoriali e ospedaliere dell'assistenza psichiatrica in modo da garantire:

     - il riconoscimento in termini di rilevanza istituzionale e potenzialità operativa, all'interno dell'Unita Sanitaria locale, della sua parità con le altre strutture dell'azienda sanitaria:

     - il coordinamento della gestione dei poli operativi nel contesto di una direzione affidata ad una figura medica apicale;

     - la programmazione dei progetti terapeutici e di risocializzazione;

     - l'integrazione con l'ospedale (Dipartimento di emergenza e la consulenza nelle strutture di degenza), la Medicina di base (particolare riguardo al Distretto socio-sanitario), il Dipartimento materno-infantile, i servizi per le tossicodipendenze, i servizi di assistenza agli anziani;

     - il collegamento con associazionismo dei familiari, degli utenti;

     - il rapporto con le cooperative sociali ed il volontariato;

     - la limitazione dei ricoveri e delle situazioni di «porta girevole»;

     - la limitazione della cronicità e delle pratiche assistenzialistiche;

     - la prevenzione e la gestione delle crisi.

     - l'incremento degli interventi di rete sociale e familiare con riduzione della sofferenza e del disagio nel contesto di vita del paziente psichiatrico;

     - la disponibilità ad accogliere i tirocini professionali delle varie figure professionali e le prestazioni degli obiettori di coscienza e di volontari:

     - la rilevazione e la valutazione epidemiologica dell'attività svolta (sistema informativo di servizio);

     - la responsabilizzazione nella gestione economico-finanziaria fino alla autonomia di budget.

     Il dipartimento di salute mentale rappresenta il modello d'intervento territoriale integrato ed articolato di attività e funzioni tramite l'organizzazione dei servizi diversi, in grado di assicurare unitarietà e continuità terapeutica.

     Il dipartimento di salute mentale dispone di strumenti organizzativi utilizzati in comune da tutti i servizi che vi afferiscono quali l'archivio, il sistema informativo, la sede per le riunioni di coordinamento, la biblioteca, ecc.

     Il dipartimento di salute mentale è coordinato da un medico psichiatra di livello apicale. Il dipartimento di salute mentale appartiene all'azienda USL e comprende, anche gli SPDC dell'azienda ospedaliera.

     L'organico del dipartimento di salute mentale è formato dall'insieme delle équipes dei vari servizi che pur mantenendo unicità organica e funzionale lavorano nella propria autonomia e specificità. Esso esplica la propria operatività nelle seguenti aree funzionali:

     a) polo sanitario territoriale (PTS) per l'integrazione con gli altri servizi di base;

     b) distretto sanitario, per lo svolgimento delle attività del CSM;

     c) ospedale generale per lo svolgimento delle attività dell'SPDC e del pronto soccorso psichiatrico ospedaliero;

     d) l'area funzionale della riabilitazione per lo svolgimento delle attività di riabilitazione e di reinserimento psico-sociale (Centro diurno, Day-hospital, Comunità terapeutica, comunità protetta, comunità alloggio).

     Afferiscono al dipartimento di salute mentale i seguenti servizi con i rispettivi parametri d'utenza territoriale:

     1) Centro di salute mentale (CSM): uno ogni distretto sanitario:

     2) Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) - un posto letto ogni 10.000 abitanti;

     3) Pronto soccorso psichiatrico nel Dipartimento d'emergenza e del SUEM;

     4) Day-hospital - uno ogni CSM;

     5) Centro diurno - uno ogni CSM;

     6) Comunità terapeutica (CT) - un posto ogni 10.000 abitanti, destinata alla nuova utenza;

     7) Comunità protetta ad esaurimento per il superamento dell'ex OP e pertanto destinata a pazienti tuttora ivi ospitati, comunità alloggio destinate ad accogliere la nuova cronicità e pazienti provenienti dagli ex O.P.;

     8) Servizio di psicologia quale nucleo organizzativo di tutte le unità di psicologia all'interno del dipartimento di salute mentale;

     9) Servizio di sociologia quale nucleo organizzativo di tutte le unita di sociologia all'interno del dipartimento di salute mentale.

 

     2.1 Centro di Salute Mentale (CSM)

     Il centro di salute mentale è il perno del sistema assistenziale psichiatrico per il costante e preciso incardinamento al territorio, che si identifica in quello del Distretto Sanitario:

     - è l'area intermedia cui competono le attività ricadenti nel proprio territorio, in cooperazione con i servizi ospedalieri e con quelli socio- assistenziali;

     - è aperto 12 ore al giorno ed assicura la reperibilità 24 ore su 24 anche festiva;

     - attua prestazioni assistenziali di primo e di secondo livello nell'ambito delle attività psichiatriche di prevenzione, cura e riabilitazione, anche semiresidenziali (Centri diurni);

     - garantisce interventi terapeutici (Day-hospital), ambulatoriali, domiciliari;

     - il centro di salute mentale, inoltre, assicura il filtro ai ricoveri e il controllo della degenza nelle case di cura neuropsichiatriche e in quelle convenzionate come neurologiche, al fine di verificare che le patologie siano specifiche della patologia convenzionata.

 

     2.1.2 Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC).

     Il servizio psichiatrico di diagnosi e cura è l'unità ospedaliera psichiatrica che provvede alla terapia, in condizioni di degenza, di pazienti acuti, accolti, in regime di ricovero volontario e/o di ricovero in trattamento sanitario obbligatorio (TSO).

     Il servizio psichiatrico di diagnosi e cura deve essere collocato in una struttura ospedaliera pubblica presso la quale esista il Dipartimento di emergenza e accettazione.

     Dispone di non più di 16 posti letto [1 p.l./10.000] e dovrà disporre di spazi adeguati oltre quelli occupati dai letti; qualora il fabbisogno indicato o stimato sia superiore ai 16 posti letto, va predisposto l'attivazione di un altro SPDC; per il numero di SPDC previsti nell'ambito regionale si definisce una dotazione complessiva massima di 240 posti letto, corrispondente circa allo standard di uno ogni 10.000 abitanti.

     Per l'ubicazione si è tenuto conto dell'esistente, della densità di popolazione, della centralità degli ospedali presenti nelle aree accorpate, della loro efficienza ed organizzazione interna, della conformazione geografica del territorio, per un totale di 176 posti letto da attivare nel triennio:

 

 

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USL                        SPDC                        P.L.

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  1 - Paola                 Cetraro                     16

  2 - Castrovillari         Castrovillari               16

  3 - Rossano               Corigliano                  16

  4 - Cosenza               Cosenza                     16

                            Rogliano                    16

  5 - Crotone               Crotone                     16

                            S. Giovanni in Fiore        16

  6 - Lamezia Terme         Lamezia Terme               16

  7 - Catanzaro             Catanzaro                   16

                            Soverato                    16

  8 - Vibo Valentia         Vibo Valentia               16

  9 - Locri                 Locri                       16

10 - Palmi                 Polistena                   16

11 - Reggio Calabria       Reggio Calabria             16

                            Melito Porto Salvo          16

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     2.1.3 Emergenza psichiatrica.

     La gestione dell'emergenza psichiatrica è espletata dal Pronto Soccorso Psichiatrico Ospedaliero, di concerto con il SUEM.

     Il Pronto Soccorso Psichiatrico Ospedaliero provvede alla assistenza, nelle situazioni di emergenza, ai pazienti per i quali sia necessario trattamento immediato in condizione di degenza e coopera alle attività del Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DEA).

     Deve essere attivato nelle strutture ospedaliere sede di SPDC, è sottoposto a disciplina che regola il funzionamento delle attività del DEA.

 

     2.1.4 Day-hospital.

     Il Day-hospital è una struttura semiresidenziale in cui vengono attuati programmi terapeutici e riabilitativi a breve e medio termine programmati dal CSM.

     E' aperto 8 ore al giorno ed è utilizzato da pazienti con patologia sub-acuta aventi necessità di intervento farmacoterapeutico e psicoterapeutico-riabilitativo. Ha la funzione di evitare ricoveri a tempo pieno nonché di limitarne la durata quando questi si rendono indispensabili.

     Il Day-hospital costituisce, pertanto, un prototipo di struttura intermedia le cui funzioni non sono solo quelle di accompagnare i pazienti nel percorso di uscita da una situazione di scompenso e favorirne il reingresso nella società, ma di realizzare strutturalmente e funzionalmente un'area terapeutica a cui i pazienti accedono anche direttamente secondo i programmi del CSM.

 

     2.1.5 Centro diurno (C.D.).

     E' una struttura semiresidenziale con funzioni terapeutiche- riabilitative (compreso l'intervento farmacologico) tese a prevenire e contenere il ricovero. E' aperto 8 ore al giorno.

     Il Centro Diurno configura uno spazio in cui l'équipe operante offre strumenti e opportunità per attivare, sperimentare ed apprendere idonee modalità di contatto interpersonale nella forma di rapporti individuali e di gruppo.

     L'offerta comprende anche una gamma di programmi occupazionali volti all'apprendimento di specifiche competenze utilizzabili in senso lavorativo, per le quali andranno individuate le risorse personali e le attitudini di ogni singolo utente e progettati per ciascuno programmi adeguati.

     Il Centro Diurno può essere utilizzato da soggetti la cui sofferenza psichica è riferibile a cause diverse e iscrivibile in quadri psicopatologici molto differenziati. Il Centro Diurno deve essere situato in locali idonei ed adeguatamente attrezzato.

 

     2.1.6 Strutture residenziali.

     I bisogni di lungo-assistenza e la domanda di residenzialità protetta e semiprotetta sono da leggere in rapporto sia al mancato superamento del residuo manicomiale che al moltiplicarsi dei bisogni assistenziali, terapeutici e riabilitativi della cosiddetta «nuova cronicità».

     Si possono al riguardo identificare almeno tre diverse situazioni:

     a) i casi per i quali non sussiste di nonna alcuna competenza specialistica psichiatrica (ad esempio l'handicap adulto) e i cui programmi assistenziali e di socializzazione dovrebbero essere gestiti da servizi non psichiatrici;

     b) i casi con programmi assistenziali gestiti da servizi non psichiatrici, ma con la consulenza garantita dal DSM (es. anziani con patologia, neuropsichiatria, tossicodipendenti con problematiche psichiatriche, pazienti AIDS terminali, ecc.):

     c) i casi di esclusiva competenza psichiatrica.

     Questa distinzione permette di definire bisogni e titolarità di interventi sia per la «nuova» che per la «vecchia» cronicità.

     Va ribadito che le strutture ed i servizi di assistenza psichiatrica non devono né possono farsi carico della domanda di residenzialità e di asilo riferibile alle situazioni a) e b).

     Per quanto riguarda i caratteri delle strutture riabilitative residenziali, si respingono soluzioni che prevedano eccessive concentrazioni di popolazione assistita e una residenzialità in cui non sia garantita una adeguata assistenza medico-psico-sociale del DSM.

     L'accesso può avvenire solo sulla base di uno specifico programma concordato fra i servizi, i pazienti ed i familiari.

     Alla luce di questi enunciati, le strutture residenziali avranno caratteristiche che variano a seconda della esigenza della popolazione servita e del territorio su cui insistono.

     Esse potranno pertanto ospitare per periodi medio lunghi, pazienti in trattamento riabilitativo che necessitano dell'intermediazione dell'assistenza psichiatrica per lo svolgimento delle attività di vita quotidiana.

     E' da prevedere, infine, la costituzione di gruppi appartamento con pazienti giunti in una fase avanzata del loro reinserimento sociale.

     I presidi dell'area residenziale potranno essere garantiti sia direttamente dal Servizio Pubblico, sia dalla partecipazione del privato sociale o del privato imprenditoriale o di associazioni di volontariato familiare attraverso un rapporto di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale. In questi casi, essi saranno sottoposti alla programmazione, al controllo e alla verifica di qualità da parte della Direzione del Dipartimento e la presa in carico dei pazienti potrà avvenire solo su indicazione del Dipartimento stesso.

     La Comunità terapeutica è destinata alla nuova utenza, proveniente dal territorio, accoglie da 12-18 pazienti, ciascuno con fabbisogno di un posto in comunità ogni 10.000 abitanti.

     Si potranno attivare piccole comunità sperimentali per giovani psicotici con un massimo di 10 pazienti, indipendentemente dal vincolo del parametro, in particolari realtà urbane.

     La Comunità protetta è una struttura destinata a pazienti dell'ex OP, pertanto non è possibile l'ammissione di nuova utenza. Essa sarà funzionante per un massimo di 20 pazienti, fino al completamento del processo riabilitativo, da parte del singolo paziente, e delle capacità di usufruire dei programmi riabilitativi di altri servizi del DSM.

     La Comunità alloggio è una struttura residenziale inserita nel territorio destinata ad un massimo di venti pazienti. Ospiterà pazienti già provenienti dall'ex O.P. e la nuova cronicità fino al completamento del processo riabilitativo da parte del singolo utente, oppure al raggiungimento delle capacità di usufruire dei programmi riabilitativi del D.S.M.

 

     2.1.7 Le strutture residenziali potranno usufruire della partecipazione del privato sociale e del privato imprenditoriale o di associazioni di volontariato familiare attraverso un rapporto di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale.

 

     In questi casi essi saranno sottoposti alla programmazione, al controllo, alla verifica di qualità da parte del DSM e la presa in carico dei pazienti potrà avvenire solo su indicazione del Dipartimento stesso.

     Per le case di cura private ad indirizzo neuropsichiatrico già convenzionate o autorizzate la Regione, sentite le organizzazioni di categoria delle Case di cura private, emana gli indirizzi di riconversione per le quote eccedenti la patologia acuta in:

     - quota di posti letto da destinare alla psicogeriatria;

     - quota di posti letto da destinare alla lungodegenza;

     - quota di posti letto da destinare alla risocializzazione e lavorativo.

 

3. SUPERAMENTO DEFINITIVO OSPEDALI PSICHIATRICI

 

     La progressiva delegittimazione che ha investito questo tipo di istituzione non è stata accompagnata da un eguale lavoro sul territorio per preparare prima e seguire poi le condizioni di inserimento non traumatico dei pazienti nel circuito dell'assistenza e nei contesti familiare, sociale e lavorativo.

     La deospedalizzazione, dunque, costituisce il fine principale del progetto-obiettivo.

     Pertanto è necessario provvedere a:

     a) l'attribuzione ai servizi per handicap e ai servizi per anziani dei pazienti con patologie organiche stabilizzate che richiedono trattamenti protratti di ospitalità e di riabilitazione, anche fisica;

     b) la creazione di opportunità alloggiative degli ex OP per i pazienti con problemi di natura psichiatrica e socio-assistenziale, in assenza di patologie organiche gravi;

     c) l'eventuale riconversione delle strutture ex OP, in comunità protette ed a esaurimento, solo per quei pazienti che richiedono cure psichiatriche specifiche e continuative e che presentano una riduzione dell'autonomia e delle potenzialità riabilitative tali da rendere necessaria la residenzialità protetta.

     Quanto contenuto nei punti precedenti dovrà avvenire con specifico programma elaborato e proposto dalla Commissione Tecnico Scientifica alla Giunta regionale entro 8 mesi dall'approvazione del progetto obiettivo.

 

4. PERSONALE DEL DIPARTIMENTO.

 

     Gli operatori del Dipartimento di Salute Mentale fanno parte di un unico organico. Questo va concepito come un insieme di gruppi interdisciplinari che dovranno essere organizzati secondo il criterio della mobilità funzionale, secondo le caratteristiche delle aree d'intervento e dei compiti specifici di ciascun servizio, tenendo conto anche delle aree di confine e dell'articolazione dei Servizi affini.

 

5. COMMISSIONE TECNICO SCIENTIFICA.

 

     Presso l'Assessorato regionale alla Sanità sarà istituita una Commissione Tecnico Scientifica per la tutela della salute mentale formata da 16 componenti:

     1) Assessore o suo delegato in qualità di presidente;

     2) Cattedratico della disciplina-Psichiatria;

     3) Cattedratico della disciplina-Psicologia;

     4) Cattedratico della disciplina-Sociologia;

     5) Cinque primari psichiatrici da scegliere tra le strutture della Regione:

     6) Un dirigente psicologo da scegliere tra le strutture regionali;

     7) Un dirigente sociologo da scegliere tra le strutture regionali;

     8) Un rappresentante delle Associazioni rappresentative dei malati:

     9) Un rappresentante delle Associazioni di volontariato;

     10) Un rappresentante del Tribunale del Malato;

     11) Due funzionari del servizio psichiatria - Settore 61 di cui uno con compiti di segretario.

     Il Comitato Tecnico Scientifico sarà nominato dalla Giunta regionale su proposta dell'Assessore alla Sanità e resterà in carica quattro anni rinnovabili.

 

7. GLI INTERVENTI DA COMPIERE

 

     Gli interventi da realizzare nel triennio 95/97:

     1) realizzare il modello organizzativo del DSM su tutto il territorio regionale entro 6 mesi dall'approvazione del progetto obiettivo;

     2) superamento del residuo manicomiale da effettuarsi con specifico programma che dovrà essere presentato alla Giunta regionale entro otto mesi dall'approvazione del progetto obiettivo;

     3) promozione di un sistema informativo, con particolare riferimento al monitoraggio della spesa nel settore dell'assistenza psichiatrica, finalizzato anche alla costituzione dei centri di costo:

     4) formazione ed aggiornamento degli operatori mirata alla finalità del progetto-obiettivo.

 

 

B) Progetto obiettivo materno infantile.

 

PREMESSA

 

     Il progetto obiettivo materno-infantile assolve ai compiti di prevenzione, educazione sanitaria, attività diagnostiche, terapeutiche, attività assistenziali altamente specialistiche, attività sociali, psicologiche, riabilitative che interessano il bambino, la madre, la coppia e la famiglia.

 

     Sono obiettivi prioritari:

     - riduzione della mortalità perinatale, che raggiunge in Calabria il più alto indice, il 72,2 per mille;

     - il miglioramento della rete di servizi ospedalieri ed extra- ospedalieri, organizzati in forma dipartimentale a vantaggio della donna e del bambino malato per ridurre i disagi legati alla migrazione extraregionale della gestante e del bambino malato, potenziare le strutture e le attività destinate alla prevenzione, diagnosi, trattamento e riabilitazione delle disabilità infantili e di tutto ciò che attiene la salute della donna e del prodotto del concepimento.

     Tutto ciò richiede l'integrazione funzionale delle attività ostetrico- ginecologiche, pediatriche, neuropsichiatriche, previste a livello ospedaliero ed extraospedaliero, unitamente alla pediatria di libera scelta e di comunità.

 

AREA PER LA TUTELA DELLA SALUTE DELLA DONNA, DELLA COPPIA, DELLA FAMIGLIA,

   DEL PRODOTTO DEL CONCEPIMENTO, ASSISTENZA ALLA PROCREAZIONE LIBERA E

RESPONSABILE

     La tutela della maternità viene intesa non soltanto come attenzione della sopravvivenza della madre e del bambino, ma anche alla qualità della loro vita.

     Ciò implica la lotta alla mortalità materna, la riduzione del numero di interruzioni volontarie di gravidanza, l'individuazione delle gravidanze a rischio, l'intensificazione di interventi utili alla identificazione e rimozione dei fattori connessi a tutti gli esiti sfavorevoli della maternità ed in particolare: sterilità, immaturità/prematurità, malattie genetiche, malformazioni, malattie congenite, problematiche del puerperio ed handicaps.

     Risulta indispensabile prevedere fasi unitarie di programmazione e di verifica delle attività socio-assistenziali e sanitarie, consultoriali, ospedaliere ed extraospedaliere in ordine alla tutela della maternità e del prodotto del concepimento.

 

     Organizzazione dell'intervento:

     1. Individuazione delle gravidanze a rischio ed organizzazione dell'assistenza perinatale:

     - creazione di una attività di genetica chimica, biochimica e di biologia molecolare comprensiva di consulenza genetica;

     - creazione di un'attività completa di diagnostica prenatale che comprenda: diagnostica ecografica, amniocentesi, villocentesi, diagnostica genetica e clinica ed ematochimica. Ciò dovrebbe avvenire almeno nelle tre Aziende principali, e per alcune attività anche in altre unità sanitarie di diagnostica ostetrica e ginecologica;

     - individuazione di gravidanza a rischio e trasferimento della gestante ove vi sia un centro di terapia intensiva neonatale e di chirurgia pediatrica;

     - potenziamento delle unità operative dei centri di terapia intensiva neonatale e di neonatologia coordinati con i punti nascita adeguatamente distribuiti sul territorio;

     - specializzazione dell'assistenza pediatrica medica e chirurgica per far fronte all'assistenza di routine, d'urgenza e di rianimazione.

     - articolazione specialistica dell'assistenza pediatrica medica e chirurgica che assolva a tutte le esigenze assistenziali necessarie.

 

Trasporto del neonato

 

     Il trasporto del neonato rimane a carico del sistema di emergenza ed urgenza «Calabria Soccorso».

 

Chirurgia pediatrica

 

     In considerazione del bacino di utenza per la chirurgia pediatrica e/o neonatale (un posto letto ogni 100.000 abitanti) nella regione vengono individuati due centri in funzione della organizzazione geografica del territorio.

 

Terapia intensiva pediatrica

 

     Non vi sono in tutta la Regione centri abilitati alla terapia intensiva del bambino da 2 mesi a 14 anni. Il fabbisogno è calcolato in 2-4 letti per 1.000.000 di abitanti per cui sarà necessario da garantire nell'ambito del servizio di rianimazione presso le strutture delle aziende ospedaliere in cui opera una chirurgia pediatrica.

 

Unità operativa di pediatria

 

     Le strutture pediatriche sottoutilizzate dovranno essere ridimensionate e/o riconvertite in strutture pediatriche diverse (day- hospital, servizi ambulatoriali, servizi riabilitativi, ecc.), tenendo conto della localizzazione geografica, del bacino di utenza, della presenza o meno di un punto nascita, della capacità di erogare prestazioni di un buon livello professionali.

     Pertanto, dovranno essere garantiti in queste strutture degli standards minimi di assistenza pediatrica:

     - assistenza in sala parto e cure intermedie neonatali;

     - ambulatori anche per eventuali patologie croniche da seguire in collaborazione con i centri regionali di 3° livello.

     Le divisioni di 3° livello di pediatria dovranno differenziarsi in senso multispecialistico con modelli organizzativi di tipo dipartimentale potenziando servizi ambulatoriali e di day-hospital coordinati con i servizi territoriali di N.P.I. per trattare nell'area pediatrica tutte le patologie del bambino.

     E' indispensabile mantenere il bambino in un ambiente idoneo tra gli altri coetanei, con personale adatto e qualificato ad assisterlo e con la presenza di un genitore, organizzando locali attrezzati per l'attività ludica e scolastica.

     Si dovrà provvedere ad istituire servizi specialistici pediatrici di:

     - malattie gastroenterologiche

     - malattie respiratorie acute e croniche (fibrosi cistica)

     - malattie nefrologiche

     - malattie neuropsichiatriche infantili

     - malattie del ricambio

     - malattie endocrinologiche ed auxologia

     - malattie ematologiche ed oncologiche [*]

     - malattie metaboliche

     - malattie infettive

     Queste ultime richiedono l'individuazione di box d'isolamento.

     Ai fini della prevenzione e della cura della fibrosi cistica la Giunta regionale, sentito l'osservatorio sanitario di cui all'art. 8, provvederà ad istituire, a livello ospedaliero o universitario, un centro regionale specializzato con funzioni di prevenzione, di diagnosi, di cura e riabilitazione dei malati, di orientamento e coordinamento delle attività sanitarie, sociali, formative ed informative.

     Con lo stesso provvedimento o con una o più direttive la Giunta regionale provvederà all'attuazione degli altri interventi previsti dalla legge 23 dicembre 1993, n. 548, in maniera graduale e con la procedura di cui all'art. 19 procederà all'adeguamento del piano sanitario regionale.

     [*] Per quanto attiene all'Oncologia Pediatrica occorrerà individuare almeno una funzione di day-hospital oncologico pediatrico nelle aziende ospedaliere regionali.

 

Ricovero per gli adolescenti

 

     Anche gli adolescenti rappresentano un gruppo di pazienti a cui finalmente anche in Italia si presta attenzione. Si tratta infatti di una fascia di popolazione che presenta problemi specifici, sanitari, psicologici, di relazione.

     E' ormai riconosciuto a livello nazionale che l'adolescente deve essere ricoverato in una struttura medica o chirurgica con spazi e ambienti a loro confacenti.

 

AREA PER LA TUTELA DELLA SALUTE DELL'INFANZIA E DELL'ADOLESCENZA

 

     Va incentivata l'estensione e la capillarizzazione della pediatria di comunità e della pediatria di libera scelta su tutto il territorio regionale, promuovendo, altresì, l'integrazione con i servizi ospedalieri, cosi da favorire la verifica ed il confronto dei momenti diagnostici e prognostici e fornire un modello terapeutico unitario dell'età evolutiva.

     Vi è la necessita di garantire, attraverso il servizio di neuropsichiatria infantile, organizzata in maniera duttile e polifunzionale, la erogazione di prestazioni di assistenza e riabilitazione allo sviluppo, per tutti quei soggetti in età pediatrica ed adolescenziale, portatori di disfunzioni e di disabilita transitorie o permanenti, per cause di natura psico-fisica e sensoriale.

     Per assistenza allo sviluppo s'intende l'insieme degli interventi diagnostico-riabilitativi, psicoterapici, educativi e sociali che. in una visione dinamica globale, mirino al raggiungimento della maggiore armonia possibile sul piano personale e di relazione.

     Bisogna altresì promuovere iniziative di informazione sanitaria e sociale e di educazione sanitaria e sessuale d'intesa con gli organismi scolastici ai vari livelli, nonché di educazione alla procreazione cosciente e responsabile.

 

ARTICOLAZIONE DEGLI INTERVENTI E STRUMENTI OPERATIVI SUL TERRITORIO

 

     Il progetto deve colmare la carenza di interventi preventivi a livello territoriale nella regione con la riorganizzazione della rete consultoriale.

     Ciò comporta:

     - promozione di strumenti operativi di collegamento fra le strutture extraospedaliere ed ospedaliere;

     - miglioramento dell'attività consultoriale che promuova le iniziative di prevenzione e di informazione per la tutela della salute della donna e della famiglia, secondo le direttive della Legge 29 luglio 1975, n. 405 e della legge 22 maggio 1978, n. 194;

     - potenziamento ed attivazione di servizi ostetrico-ginecologici con caratteristiche interdipartimentali anche mediante un'integrazione tra servizi territoriali ed ospedalieri, preposti alla individuazione del potenziale «rischio» ostetrico-pediatrico, alle problematiche femminili, della sfera sessuale, alla diagnosi precoce in fase preclinica anche mediante l'impiego di tecniche semplici e poco invasive, al fine di creare un filtro ed una deospedalizzazione delle pazienti nonché il contenimento della migrazione extraregionale;

     - attivazione e potenziamento delle attività di pediatria di comunità, di pediatria di libera scelta, con compiti e ruoli differenziati. Si tratta, infatti, di funzioni diverse che possono essere assunte contemporaneamente dallo stesso pediatra operante sul territorio. La funzione del pediatra di comunità è rivolta alla soluzione dei bisogni socio-sanitari dei soggetti in eta evolutiva. Le aree di intervento della pediatria di comunità sono la prevenzione, l'educazione sanitaria, l'integrazione ed i rapporti con strutture scolastiche territoriali. Fanno parte dell'area di intervento della pediatria di comunità tutti i medici che attualmente svolgono attività di medicina scolastica e/o consultoriale. La funzione del pediatra di libera scelta riguarda la tutela globale della salute del singolo bambino, dalla nascita al termine dell'età evolutiva.

     - istituzione in ogni unità sanitaria di un servizio territoriale di neuropsichiatria infantile che consenta la identificazione e la organizzazione delle strutture da destinare al trattamento delle disabilità minorili, articolato in équipe pluriprofessionali allo scopo di attivare un modello di intervento multidisciplinare che superi la disomogeneità delle attuali modalità operative.

 

ATTIVITA' DI GENETICA

 

     E' necessario sviluppare un progetto di consulenza genetica su tutto il territorio regionale che fornisca quanto meno agli utenti di ogni unità sanitaria locale un ambulatorio consultoriale collegato ai centri ed ai laboratori di genetica delle aziende ospedaliere già esistenti (centro di immunogenetica presso l'azienda ospedaliera di Cosenza, centro regionale di genetica presso l'azienda ospedaliera Pugliese di Catanzaro, centro di citogenetica presso l'azienda ospedaliera Ospedali Riuniti di Reggio Calabria).

 

FORMAZIONE OPERATORI

 

     La formazione degli operatori socio-sanitari ha lo scopo di migliorare le conoscenze sanitarie, sociologiche ed educative al fine di migliorare gli interventi di prevenzione e tutela della salute durante la gravidanza in relazione alla scelta procreativa, alla cura della sterilità, alla contraccezione ed alla IVG.

     Una formazione sociologica potrà essere utile come sostegno alla soluzione dei problemi della coppia, della famiglia, degli adolescenti, delle donne in menopausa.

 

Programmi attuativi

 

     E' prevista la predisposizione di specifici programmi, da approvare con deliberazione della Giunta regionale, che prevedano il recepimento unitario, complessivo e coordinato della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, attraverso una interazione degli interventi, tra le diverse componenti coinvolte e interessate. Gli obiettivi devono salvaguardare la doppia polarità sanitaria e sociale della problematica dell'handicap e diversificare le prestazioni in rapporto all'età.

     Va attivato un incisivo sistema informativo per il rilevamento ed elaborazione dei dati afferenti alle singole unità operative del dipartimento materno-infantile, che consenta la ricognizione dei bisogni per la conseguente predisposizione dei progetti.

 

Allegato A

RUOLO E FUNZIONI DELLA PEDIATRIA DI COMUNITA'

     - compilazione e diffusione del libretto sanitario regionale (per la parte che interessa la collettività);

     - collaborazione e coordinamento con i servizi ostetrico-ginecologici delle unità sanitarie locali nelle situazioni di rischio genetico;

     - collaborazione e coordinamento con i servizi ostetrico-ginecologici nelle diagnosi prenatali e precoci delle menomazioni;

     - indagini sullo stato di salute della popolazione scolastica;

     - attività di educazione e consulenza sanitaria nelle scuole di ogni ordine e grado, pubbliche o private, secondo gli indirizzi dei programmi regionali e locali;

     - collaborazione con gli organi competenti al fine di garantire ambienti fisici sicuri ed idonei delle strutture educative, con particolare attenzione alle necessità dei portatori di handicap;

     - consulenze, a richiesta, per la definizione dei capitolati su materie prime per la ristorazione scolastica;

     - promozione e realizzazione, per la parte di propria pertinenza di interventi mirati sui soggetti a rischio sociale.

 

Allegato B

RUOLO E FUNZIONI DELLA PEDIATRIA DI LIBERA SCELTA

     - compilazione e diffusione del libretto sanitario regionale (parte che interessa l'individuo);

     - attività ambulatoriale pediatrica di diagnosi, cura riabilitazione per ogni singola patologia;

     - collegamento coordinato con i servizi di pediatria e neonatologia attraverso l'adozione di specifici protocolli operativi;

     - promozione e gestione dell'assistenza domiciliare ai malati cronici e disabili con l'istituzione obbligatoria di appositi registri, in stretto raccordo operativo con il servizio materno-infantile;

     - programmazione ed attuazione di interventi mirati a bilanci di salute, di riconosciuta validità scientifica, secondo criteri di efficienza ed efficacia:

     - predisposizione di consulenze sistematiche delle branche specialistiche di neuropsichiatria infantile, ortopedia, fisiatria, ORL, oculistica, dei servizi poliambulatoriali ed ospedalieri;

     - gestione degli interventi necessari per la prevenzione e diagnosi precoce dell'handicap, in stretto raccordo operativo con la patologia neonatale, la N.P.I. e la pediatria di comunità ed ospedaliera.

 

Allegato C

  RUOLO E FUNZIONI INTEGRATE DI PEDIATRIA DI COMUNITA' E DI PEDIATRIA DI

LIBERA SCELTA

     - consultazioni e informazione individuali e di gruppo. rivolte alle famiglie nell'espletamento delle cure parentali;

     - partecipazione con propri operatori ai corsi di preparazione alla maternità, al parto e al puerperio;

     - approccio educativo e preventivo alle grosse tematiche adolescenziali;

     - promozione e realizzazione, per la parte di propria pertinenza, di programmi per la prevenzione degli infortuni domestici e stradali e da abuso farmacologico;

     - promozione e realizzazione, per la parte di propria pertinenza, di interventi mirati sui soggetti a rischio ambientale;

     - promozione e collaborazione con gli altri servizi a favore di soggetti portatori di handicaps e malattie croniche al fine di garantire l'integrazione scolastica e l'assistenza domiciliare;

     - cooperazione con le altre strutture della unità sanitaria locale e le agenzie sociali per la prevenzione e rimozione dei fattori di disadattamento minorile e scolastico:

     - prevenzione e rimozione dei fattori di rischio relativi a maltrattamento, abuso ed abbandono dei minori, per quanto di propria competenza.

     Nello specifico, nelle zone dove la pediatria di comunità è ancora assente, il ruolo e le funzioni possono essere svolte dal pediatra di libera scelta, nel rispetto delle quote massimali.

     Nelle zone dove la Pediatria di libera scelta è assente, il ruolo e le funzioni possono essere temporaneamente svolte dallo Specialista Pediatra del servizio di Pediatria di Comunità, in attesa della pubblicazione ed occupazione della zona carente, nel rispetto dell'orario massimale.

 

Allegato D

RUOLO E FUNZIONI DELLA NEUROPSICHIATRIA INFANTILE TERRITORIALE

     - educazione socio-sanitaria per la promozione di condizioni idonee ad un armonico sviluppo del soggetto in età evolutiva;

     - promozione di forme incisive di sostegno e orientamento della famiglia nella sua azione formativa;

     - integrazione con i servizi scolastici per la costituzione delle équipes multidisciplinari e relativi adempimenti di legge, nonché per una presa in carico longitudinale e globale dei soggetti con difficoltà di apprendimento;

     - follow-up dei soggetti con rischio neurologico e psichiatrico in collaborazione con i pediatri di libera scelta ed ospedalieri, nonché con la divisione di pediatria neonatale;

     - attività di prevenzione, diagnostica, cura  e psicoterapia per adolescente vulnerabile e disturbati;

     - consulenza alle strutture educative extra-scolastiche (sociali, ricreative, sportive, centri diurni, di soggiorno, ecc.);

     - consulenza sistematica alle strutture preposte alla formazione professionale con particolare riferimento alla formazione, avviamento ed inserimento lavorativo dei portatori di handicap;

     - prevenzione delle cause di handicap psico-fisico e sensoriale, conseguenti a danno accertato in epoca pre e postnatale:

     - sviluppo delle funzioni integrative di assistenza familiare quali tutela, affido temporaneo, affidamento sociale. ecc. e quelle sostitutive quali adozione, case famiglia, comunità educative:

     - erogazione di prestazioni di diagnosi e cura per le problematiche di natura neurologica, psicologica e dismaturativa dell'età evolutiva:

     - erogazione di prestazioni di assistenza e di riabilitazione allo sviluppo per tutti quei soggetti in età evolutiva portatori di disfunzioni o disabilità transitorie o durature, per cause di natura psico-fisica e sensoriale;

     - erogazione di consulenza specialistica ai presidi ospedalieri e ai presidi polispecialistici ambulatoriali, nonché alle strutture per l'accertamento dell'handicap ed invalidità civile, secondo le direttive della vigente normativa;

     - sviluppo attraverso specifici protocolli operativi, della collaborazione e della funzione di verifica tecnica con le strutture riabilitativo-assistenziali convenzionate con la unità sanitaria locale;

     - promozione del coordinamento attraverso specifici protocolli operativi, con gli altri servizi della unità sanitaria locale, con altri enti ed agenzie sociali, per la tutela, l'assistenza e l'integrazione della persona svantaggiata.

 

C) Progetto Obiettivo

TUTELA DELLA SALUTE DEGLI ANZIANI

  MODELLO OPERATIVO PER L'ASSISTENZA INTEGRATA A FAVORE DELLA POPOLAZIONE

ANZIANA NELLA REGIONE CALABRIA

INTRODUZIONE

 

     La realizzazione nella Regione Calabria di un sistema di protezione ed assistenza, in campo sanitario e sociale, rivolto alle persone anziane richiede un nuovo approccio metodologico dal momento che sono profondamente mutate le condizioni oggettive dell'invecchiamento demografico della popolazione calabrese e nel contempo si sono meglio definiti i riferimenti legislativi per la politica sanitaria e sociale connessa al fenomeno.

     L'invecchiamento progressivo della popolazione ha generato notevoli scompensi nella erogazione dei servizi con un considerevole incremento dei costi di gestione; nel contempo il sistema tende ad «impazzire» sotto l'incalzare di richieste di nuovo tipo alle quali si risponde con organizzazione e strumenti inadeguati.

     In campo mondiale e nazionale è in atto uno sforzo per adeguare le risorse e le strutture alle mutate condizioni demografiche, sforzo che è primariamente metodologico nel tentativo di uniformare il nuovo sistema a criteri più razionali, sia sul piano della protezione del soggetto anziano che su quello della ottimizzazione dei meccanismi della gestione.

     Il presente piano di intervento è formulato in ottemperanza alla legislazione Nazionale e Regionale vigente ed agli orientamenti che emergono da:

     a) il progetto-obiettivo nazionale «Tutela della salute degli anziani»;

     b) la relazione della III Sezione del Consiglio Sanitario Nazionale su «Documenti predisposti dal Gruppo di Lavoro per la elaborazione ed attuazione di proposte finalizzate alla tutela della salute degli anziani»;

     c) i documenti del «Gruppo di Lavoro» per la elaborazione e l'attuazione di programmi finalizzati alla tutela della salute degli anziani;

     d) indicazioni delle Commissioni Affari Sociali della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica contenute nel documento della salute del 30/1/92.

     Si ritiene di definire l'organizzazione generale proponendo un modello operativo unico sul territorio regionale, sistematizzando la componente sanitaria (nei suoi aspetti più peculiari: valutativi/curativi, preventivi/riabilitativi, istituzionali/territoriali, acuzie/cronicità) e sociali ed assumendo come idee-guida la stretta embricatura della componente sociale e sanitaria nel determinismo dello stato di salute del soggetto anziano e le caratteristiche peculiari ad ogni intervento geriatrico, ché deve essere: coordinato, globale e continuativo nel tempo.

 

PREMESSA DEMOGRAFICA E TERRITORIALE

 

     E' noto che è in atto in tutto il mondo un progressivo incremento della popolazione in età senile, ed il fenomeno, almeno per i paesi industrializzati dell'occidente, secondo le proiezioni demografiche più accreditate, tenderà ad accentuarsi. L'Italia è coinvolta in questo fenomeno, in maniera certamente non omogenea su tutto il territorio nazionale, con dimensioni superiori alle altre nazioni occidentali.

     E' indubbia anche una modificazione della struttura socioeconomica della popolazione anziana, ad esempio:

     a) l'incremento del numero di anziani soli, specie le donne;

     b) gli anziani con il pensionamento subiscono una brusca caduta del tenore di vita (si calcola che la percentuale dei soggetti a basso reddito aumenti di cinque volte con il pensionamento).

     La solitudine e le scarse disponibilità economiche, specie nei centri urbani sono fattori di rischio primari per la perdita dell'autosufficienza.

     La Calabria, anche se fino qualche tempo fa mostrava percentuali di popolazione ultra sessantacinquenni inferiore alla media nazionale, fatto legato ad un più alto indice di natalità, nell'ultimo decennio tende ad allinearsi alla media nazionale e le proiezioni mostrano una sua piena omologazione attorno al 2000.

     Nella Regione Calabria vi sono due fenomeni peculiari:

     a) il primo costituito dall'emigrazione (specialmente quella verificatasi nel primo e secondo dopoguerra - verso l'Europa continentale e del Nord Italia e che comporta adesso un'immigrazione di ritorno in età non lavorativa).

     b) il secondo è costituito dalla distribuzione della popolazione anziana sul territorio regionale per la massima parte concentrata nelle zone collinari e montane ed a causa della parcellizzazione delle Comunità comunali i centri piccoli e piccolissimi. in raggruppamenti di anziani non molto numerosi ma grandemente dispersi sul territorio regionale. (A questo va aggiunto che la viabilità interna alla Regione e spesso approssimativa, per cui risultano fortemente penalizzati i centri più piccoli, con maggiore densità di popolazione ultrasessantacinquenne).

     La nuova configurazione del territorio regionale in n. 11 Unità Sanitarie Locali, determina aree sufficientemente ampie per costruire una rete di assistenza all'anziano che abbia i criteri della razionalità d'impiego delle risorse e nel contempo sufficientemente ristrette per ritenere omogenea la popolazione anziana residente. (La stessa, semplice, distribuzione numerica dei soggetti ultrasessantacinquenni risulta omogenea nelle aree individuate con l'eccezione naturalmente, delle città capoluogo).

     La distribuzione dei presidi geriatrici nella Regione è carente; si riconoscono, sotto questo aspetto, due tipologie di territorio:

     a) Unità Sanitarie Locali dotate di una Divisione di Geriatria: esse sono 4 e segnatamente quelle di Cosenza, Crotone, Catanzaro e Locri;

     b) Unità Sanitarie Locali sprovviste di qualsiasi presidio geriatrico: esse sono le rimanenti 7.

 

3. PREMESSA METODOLOGICA

 

     L'età avanzata comporta una riduzione delle capacità di compenso, che si traduce in una diminuita capacità di risposta a modificazioni dell'omeostasi, intendendo per omeostasi il complesso equilibrio tra i molteplici fattori che condizionano la salute fisica, mentale, e quindi, in ultima analisi, il rapporto di equilibrio tra individuo o gruppo di individui e l'ambiente.

     Questi fattori. solo in parte legati alla condizione di salute fisica, dipendono anche dalle condizioni socio-economiche e da quelle ambientali.

     L'obiettivo di fondo di ogni attività in campo geriatrico è quello di prevenire la perdita dell'omeostasi, che è condizione indispensabile al mantenimento dell'autosufficienza intesa, nel criterio più estensivo, come capacità di mantenere una vita pienamente indipendente ed a svolgere le comuni attività quotidiane e di relazione. Tale condizione è una entità funzionale e come tale passibile di una quantificazione oggettiva. Pertanto, le discipline che operano in campo gerontologico e geriatrico ciascuna per le sue competenze ed in maniera integrata, concorrono alla valutazione del grado di autosufficienza di ogni individuo anziano, indagano sulle cause che ne hanno determinato la perdita o una sua riduzione, elaborano e mettono in atto le strategie d'intervento ritenute più efficaci per il recupero funzionale.

     Pur avendo preminenza il fatto medico, l'approccio ad ogni soggetto anziano è per antonomasia multidisciplinare, per cui il mantenimento dell'omeostasi non può risolversi con interventi episodici, anche se ripetuti nel tempo, ma deve essere globale e continuativa. A tal fine, anche in conseguenza di quanto detto nei paragrafi precedenti si pone al centro il Metodo della Valutazione Multidisciplinare e Multifattoriale, sia essa connessa all'integrazione delle fasi operative dell'assistenza, secondo le indicazioni del Workshop on the Multidisciplinary Assessment of Elderly di Goteborg del 1987, oppure alla più ampia analisi della fruibilità ed efficienza del sistema.

     Una rete di servizi per anziani, infine, deve essere articolata in maniera da offrire protezione ponendosi come obiettivo primario quello del mantenimento del soggetto al suo domicilio, scopo questo che può essere raggiunto soltanto attraverso la formulazione di un progetto integrato, istituzionale e territoriale. La creazione di una rete di assistenza non è però un atto semplice in quanto le peculiarità dei singoli delle comunità e dei territori sono molteplici, anche in ambiti ristretti come quelli delle unità sanitarie locali: pertanto l'altra caratteristica di fondo deve essere la duttilità, cioè la capacità di adattarsi alle diverse esigenze locali, ma anche a modificarsi nel tempo per adeguarsi a mutamenti loco- regionali e/o a nuove acquisizioni scientifiche e tecniche. Tali finalità si ritiene che possano essere raggiunte attraverso l'istituzione sul territorio regionale di Dipartimenti Geriatrici.

 

4. IL DIPARTIMENTO GERIATRICO

 

     Per Dipartimento geriatrico deve intendersi un'organizzazione funzionale nella quale confluiscono le strutture e gli operatori specificatamente addetti all'assistenza all'anziano in un dato territorio, i quali ultimi, coordinati dal primario della divisione di geriatria e per l'azienda Policlinico Mater Domini dal direttore della Cattedra di Geriatria, costituiscono l'équipe operativa geriatrica del dipartimento.

     Tale organizzazione non è corpo separato dal resto della organizzazione sanitaria regionale ma, accanto alle strutture proprie, deve accedere all'intero sistema sanitario regionale.

     Si istituisce pertanto in Calabria una rete di assistenza sanitaria geriatrica integrata, ospedaliera ed extra ospedaliera, attraverso la costituzione dei Dipartimenti geriatrici, uno per ciascuna delle 11 unità sanitarie locali ed uno per l'azienda policlinico Mater Domini individuate nel Piano Sanitario Regionale.

     Sono elementi strutturali costitutivi dell'attività sanitaria di ogni Dipartimento Geriatrico le seguenti aree di intervento.

     1) Area della valutazione geriatrica, che si articola in:

     A) Centro della valutazione geriatrica (C.V.G.);

     B) Unità valutative geriatriche (U.V.G.);

     C) Verifica e revisione di qualità (V.R.Q.);

     D) Osservatorio geriatrico (O.G.).

     2) Aree delle funzioni territoriali, che si articola in:

     A) attività ambulatoriale;

     B) assistenza domiciliare integrata (ADI).

     3) Area delle funzioni istituzionali, che si articola in:

     A) intensività geriatrica;

     B) recupero funzionale e trattamento della cronicità. Per quanto detto al paragrafo 2, un sistema dipartimentale complesso per le diversità territoriali, deve prevedere in questa prima fase tempi di attuazione diversi, anche se la tipologia, a regime, deve essere identica.

     In particolare:

     a) per le aree provviste di una Divisione di Geriatria, si può immediatamente provvedere ad avviare il completamento della struttura dipartimentale, con priorità in questo ambito alle strutture di recupero funzionale in regime di degenze parziale ed alle funzioni territoriali decentrate, con particolare attenzione alle metodologie della valutazione multidisciplinare.

     b) Per le aree sprovviste di presidio geriatrico: è prioritaria la istituzione della Divisione di Geriatria che garantisca interventi sanitari adeguati ed attorno alla quale si costituisca il primo nucleo di operatori geriatrici (il completamento della struttura dipartimentale sarà effettuata nel medio periodo secondo le priorità riferite nel precedente comma).

 

5. AREA DELLA VALUTAZIONE GERIATRICA

 

     Dalle premesse d'ordine metodologico deriva la centralità del momento della Valutazione geriatrica. sia essa rivolta al singolo soggetto anziano, sia essa connessa all'integrazione delle fasi operative dell'assistenza, o alla più ampia analisi del grado di efficienza e di fruibilità del sistema. E' un'area multidisciplinare nella quale confluiscono figure professionali le cui competenze si configurino come «efficaci», per la conduzione del compito assistenziale.

     A livello locale la competenza della Valutazione Geriatrica fa capo all'équipe del dipartimento, utilizzando operatori propri al dipartimento stesso. Esso esplica le sue funzioni, all'interno ed all'esterno delle strutture di ricovero, in tutte le attività del territorio che comportino la definizione di strategie operative volte al mantenimento dell'autosufficienza ed al recupero funzionale. Nel contempo costituisce Osservatorio Geriatrico Locale essendo compito precipuo l'analisi dei dati e delle strategie operative a livello locale, nonché la verifica dell'omogeneità delle prestazioni della loro qualità ed adeguatezza secondo standard comparabili e definiti a livello regionale nella funzione referente di Osservatorio Geriatrico Regionale, che sarà nominato con deliberazione della Giunta regionale.

 

6. LE ATTIVITA' TERRITORIALI

 

     Pur ribadendo il principio della non settorialità degli interventi assistenziali, la dimensione più propria per le attività geriatriche è il domicilio del soggetto, pertanto l'obiettivo di fondo è il decentramento delle attività di Dipartimento geriatrico al livello territoriale più ristretto, che nella nostra legislazione è il distretto sanitario di base. Sono quindi articolate a livello del distretto le funzioni della valutazione geriatrica, la consulenza geriatrica, le attività riabilitative e di recupero, l'assistenza domiciliare.

     Il soggetto anziano, pur restando affidato al controllo del medico di base, usufruisce, a livello decentrato, delle articolazioni del Dipartimento Geriatrico ma anche di quelle dell'intero sistema sanitario. ove ciò fosse necessario. Il Dipartimento, anche a questo livello, coordina e garantisce la globalità e la continuità degli interventi non solo curativi e riabilitativi, ma anche quelli rivolti al mantenimento dello stato di salute; pertanto ogni distretto sanitario di base sarà dotato di UVG.

     Sono decentrate anche al livello del distretto quelle prestazioni riabilitative ed infermieristiche che possono costituire supporto per la deospedalizzazione; tenendo conto che il personale addetto, pur se in alcune funzioni può non essere specificatamente geriatrico (ad esempio le prestazioni infermieristiche ambulatoriali), deve essere riqualificato fino a giungere, se la legislazione evolverà in tal senso, verso una figura di Operatore Geriatrico polivalente. Si studieranno inoltre in questa fase i tempi, i modi e le compatibilità economiche e la fattibilità dell'assistenza domiciliare, per arrivare all'ospedalizzazione a domicilio a partire da alcune categorie di soggetti (ad esempio i pazienti oncologici e/o terminali).

     A livello di distretto sarà curata una cartella geriatrica cui troveranno posto notizie d'interventi non solo medici ma anche di ogni altro operatore del dipartimento. Per tale ragione essa deve avere una tipologia unica regionale e deve essere posta particolare attenzione alla possibilità di una sua computerizzazione perché costituisce essa stessa, elemento primario della rilevazione della condizione anziana sul territorio, a livello regionale e locale, che deve essere effettuata dall'osservatorio epidemiologico. Tale cartella è affidata al dipartimento geriatrico ed alle sue strutture decentrate, ma deve possedere le caratteristiche della polifunzionalità, nel senso che deve essere interscambiabile tra i momenti istituzionali (Reparti di: Geriatria, Recupero funzionale, Day hospital, Residenze sanitarie, ecc.), il territorio, la medicina di base e gli altri operatori del sistema sanitario regionale.

     Il personale addetto al servizio territoriale del Dipartimento deve essere quantitativamente in grado di articolare la sua attivita in maniera da garantire la piena efficienza del servizio e nel contempo la continuità ed il coordinamento delle attività. Pertanto, mentre per il personale infermieristico, ausiliario socio-sanitario, riabilitativo e di assistenza sociale può essere configurata un'attività esclusivamente territoriale a livello di distretto (èquipe stanziale), quello laureato, medico e non, esso dovrà operare in part-time tra ospedale o struttura di ricovero e territorio, ricalcandone la dotazione rispetto a quanto configurato negli standard dei moduli, in proporzione alle prestazioni decentrate sul territorio.

 

7. LA DIVISIONE DI GERIATRIA

 

     La divisione di Geriatria è parte integrante del dipartimento geriatrico.

     Compito della Divisione Ospedaliera di Geriatria è intervento sul malato ultrasessantacinquenne in fase acuta di malattia, che esplicherà attraverso l'acquisizione di moduli per la terapia intensiva e per la specialità. La sua tipologia deve essere funzionale ad un trattamento idoneo e tempestivo per prevenire l'insorgenza di invalidità, l'instaurarsi di cronicità, la perdita dell'autosufficienza, anche attraverso l'esplicazione in fase precoce di attività di recupero funzionale.

     Tale strutturazione avrà come obiettivo la riduzione drastica dei tempi della degenza: per tutte le fasi successive (controllo della cronicità, recupero funzionale, ecc.) provvederà a coordinarsi con le altre strutture istituzionali del Dipartimento.

     I medici ed il personale laureato della divisione ospedaliera di geriatria fanno parte integrante dell'èquipe operativa geriatrica, configurandosi una loro attività anche nelle strutture geriatriche territoriali, al fine di realizzare le necessarie funzioni di raccordo e di unitarietà dell'intervento tra il momento istituzionale della cura ed il mantenimento al domicilio.

     Le divisioni di Geriatria Ospedaliera saranno dotate di capacità operative per:

     a) il trattamento intensivo della patologia acuta dell'anziano che presenta sempre peculiari caratteristiche non vicariabili da altre specialità, in particolar modo per quel che concerne la valutazione del rischio di invalidità e della prevenzione dello «scompenso a cascata», derivante dalla frequente condizione di pluripatologia del soggetto anziano e dell'alterata omeostasi, configurandosi pertanto come unità della valutazione geriatrica intraospedaliera.

     b) Le funzioni di specialità di base diagnostiche e terapeutiche, con propensione alle attività in regime di ricovero parziale (diurno, notturno, ecc.) da definire in relazione alla tipologia della richiesta. A tale scopo si valuteranno le modalità in accordo con gli indirizzi nazionali, per modificare negli ospedali generali le prassi per l'accesso a ricovero delle divisioni di geriatria.

     Ogni unità sanitaria locale ed azienda ospedaliera, compresa quella universitaria, dovrà essere dotata di una divisione di geriatria evitandone il frazionamento in più sedi. con una destinazione di almeno il 15% della dotazione di posti letto a tipologie di ricovero non convenzionale.

     Ogni unità sanitaria locale ed ogni azienda ospedaliera dovrà essere dotata di unità valutativa geriatrica, coordinata da un medico geriatra e che comprenda:

     1) un medico di base;

     2) un infermiere professionale;

     3) un terapista della riabilitazione;

     4) un assistente sociale;

     5) uno o più assistenti sanitari.

     L'unità valutativa geriatrica dell'azienda ospedaliera Mater Domini sarà coordinata dal titolare della cattedra di geriatria della Facoltà di Medicina e Chirurgia.

     L'azienda universitaria ospedaliera Mater Domini dovrà essere dotata anche di un centro per lo studio, la cura, la prevenzione e la riabilitazione delle malattie geriatriche.

 

8. IL RECUPERO FUNZIONALE GERIATRICO

 

     Il recupero funzionale specificatamente destinato al soggetto anziano, è parte integrante delle attività del Dipartimento geriatrico.

     Tale attività viene rivolta verso la popolazione anziana che presenti una patologia ad alto rischio invalidante nel senso più estensivo; attività quindi non limitata soltanto alla fase di recupero e riabilitazione dopo un'affezione acuta, ma rivolta anche al controllo continuo della patologia cronica a rischio e riacutizzazione, al fine di evitare, con le riaccensioni acute di processi morbosi cronici, i ricoveri ospedalieri ripetuti, eliminando una delle cause frequenti della istituzionalizzazione del soggetto anziano e di perdita dell'autosufficienza.

     L'attività di recupero e riabilitazione geriatrica viene erogata a quei soggetti che abbiano la possibilità del ripristino di un grado superiore di autosufficienza; sono quindi esclusi quei soggetti che, non autosufficienti, non possono trarre benefici da tali prestazioni e necessitino quindi prevalentemente di prestazioni di nursing. Per tali soggetti, se necessitano di ambiente protetto, la soluzione è da ricercarsi sempre nell'ambito delle strutture dipartimentali sanitarie, con l'integrazione delle competenze sociali, nelle RSA, con permanenza temporanea o definitiva.

     Essendo evidente che queste attività sono la fase intermedia tra il domicilio e la struttura ospedaliera, la loro collocazione territoriale, nell'ambito dell'U.S.L., deve essere strettamente connessa alle caratteristiche del territorio ed alle reali esigenze dell'utente anziano per la loro piena fruibilità.

     Il modello operativo per le strutture di ricovero (non bisogna dimenticare che le attività di riabilitazione e recupero hanno anche e soprattutto una dimensione territoriale) si pone su due piani in relazione alla tipologia dei pazienti, alle caratteristiche del territorio ed ai collegamenti vari:

     a) secondo il regime dell'ospedalizzazione diurna (day hospital geriatrico): con lo scopo di ridurre al minimo la permanenza dell'anziano in Ospedale ed il ricovero non necessario;

     d'altro canto svolge la necessaria funzione d'integrazione tra le attività territoriali ed istituzionali verso la patologia cronica.

     b) Secondo il regime della ospedalizzazione convenzionale rivolta verso soggetti anziani con necessità riabilitative e che, per motivi diversi, non possono accedere alla struttura day-hospital.

     In relazione all'attuale distribuzione della popolazione sul territorio ed alle attuali esigenze di recupero funzionali ogni U.S.L. sarà dotata di un Reparto di Degenza finalizzato a questa funzione, di tale dotazione almeno il 50% deve essere utilizzato secondo il regime di ospedalizzazione diurna.

 

9. CONCLUSIONI

 

     Il piano costituisce una prima risposta per la costruzione di una rete integrata di servizi geriatrici nella Regione Calabria, specie per quel che concerne gli standard organizzativi, le metodologie di attività e gli indirizzi programmatici. Esso non costituisce una risposta esaustiva dei bisogni della popolazione anziana e calabrese, necessiterebbe per questo della piena integrazione degli interventi e degli apporti derivanti da una più approfondita conoscenza del territorio e dei bisogni reali, sociali e sanitari. Per tale motivo, nel riaffermare la necessita di un coordinamento di livello regionale, obiettivo primario è l'elaborazione di una mappa della distribuzione degli anziani sul territorio e la gestione dinamica dei dati circa l'invecchiamento della popolazione in Calabria, con particolare riguardo ai fenomeni demografici accennati in precedenza. Inoltre la definizione di una mappa dei bisogni della popolazione anziana, prestando la massima cura nel distinguere quelli sociali da quelli sanitari ed alla loro evoluzione nel tempo.

     E' fondamentale l'istituzione di un osservatorio geriatrico regionale nell'ambito dell'osservatorio sanitario il quale: promuove le attività territoriali, verifica l'uniformità degli interventi, rende omogenei su tutto il territorio i criteri valutativi. Nello stesso tempo, momento di sintesi dei dati provenienti dall'intero territorio regionale, elabora e propone le strategie dell'intervento, in favore della popolazione anziana, da acquisire, sul piano operativo, nei successivi piani sanitari regionali.

     Si opta infine, per non frazionare le singole funzioni operative istituzionali ma per distribuirle sul territorio, nell'ambito della struttura dipartimentale, definendone con chiarezza i ruoli ed i campi d'intervento.

     Pertanto ogni unità sanitaria locale sarà dotata di:

     a) Divisione di Geriatria: con almeno il 15% dei posti letto in regime di ricovero non convenzionale per la cura della fase di acuzie della malattia e nel cui ambito espletare le funzioni di valutazione geriatrica intraospedaliera;

     b) Servizio per il recupero funzionale dell'anziano (ex lungodegenza), con almeno il 50% dei posti letto in regime di ricovero non convenzionale, per il trattamento della cronicità e il recupero funzionale post-acuto, con la funzione anche di centro della valutazione geriatrica. in raccordo tra le funzioni istituzionali e territoriali;

     c) Residenza sanitaria assistenziale, con una dotazione complessiva di 40-60 posti letto, nel quale realizzare i programmi di recupero e di assistenza di più lungo termine oppure di trovare soluzione e patologie croniche invalidanti irreversibili.

     d) Unità di valutazione geriatrica di distretto, quale nucleo operativo a livello territoriale che. funzionalmente collegato ad istanze successive ed alle strutture istituzionali, elabora e realizza i programmi di intervento nell'ambito del distretto;

     e) Assistenza ambulatoriale e domiciliare integrata, che si colloca come struttura organizzativa ed operativa dei servizi destinati all'anziano sul territorio di riferimento, il cui ambito più ampio coincide con il distretto sanitario di base.

 

10. DEFINIZIONE DELLE EQUIPES OPERATIVE

 

A) Équipe dell'Unità valutativa intraospedaliera

 

     1) Medico Geriatra.

     2) Medico Fisiatra.

     3) Infermiere professionale, abilitato a funzioni direttive.

     4) Terapista della riabilitazione.

     5) Assistenza sociale.

     L'équipe potrà avvalersi di ogni altra competenza o professionalità che ritenga necessaria per definire il proprio programma d'intervento.

 

B) Équipe dell'Unità valutativa territoriale o di distretto

 

     1) Medico Geriatra.

     2) Medico di base, del soggetto.

     3) Infermiere professionale.

     4) Assistente sociale.

     5) Assistente sanitaria visitatrice.

     L'équipe potrà avvalersi di ogni competenza o struttura ambulatoriale presente sul territorio che ritenga necessaria per definire il proprio programma d'intervento.

 

 

C) Equipe del Centro della valutazione geriatrica

 

     - Coincide nella pratica con l'équipe del reparto (geriatria o recupero funzionale) cui viene, nell'unita sanitaria locale, demandata tale funzione.

 

 

D) Progetto obiettivo

TUTELA DEI SOGGETTI PORTATORI DI HANDICAP

INTRODUZIONE

 

     Per rendere applicativa sul territorio della Regione Calabria la vigente normativa sui soggetti portatori di handicaps (legge 104/92), è necessaria l'approvazione di una apposita legge regionale, che recepisca in modo unitario e complessivo l'attivazione coordinata ed interattiva degli interventi tra le diverse componenti coinvolte.

     In attesa dell'approvazione della predetta legge regionale, per far fronte alle immediate emergenze sul territorio, è stato predisposto il presente progetto obiettivo; l'azione della Regione si dovrà sviluppare con la promozione e il coordinamento a livello regionale della tutela dell'handicap, attraverso obiettivi precisi e nel rispetto della duplice valenza, sanitaria e sociale, nonché nella chiara identificazione degli strumenti ed opportuna diversificazione degli interventi dell'età evolutiva da quelli dell'età adulta ed involutiva, di pertinenza dei servizi riabilitativi-fisiatrici.

 

PREMESSA

 

     «Disabilità» è anzitutto minorazione di carattere fisico, psichico e sensoriale: le difficoltà di adattamento al contesto ambientale e sociale trasformano la disabilità in «handicap».

     Per rispondere alla doppia connotazione biologico-sociale dell'handicap, la legge di riforma sanitaria, ribadisce che le prestazioni sanitarie di carattere riabilitativo sono finalizzate sia al recupero «funzionale» che «sociale» del minorato.

     In ogni intervento clinico e tecnico di recupero, perché sia tale, le modalità riabilitative fondate su criteri scientifici precisi, debbono realizzarsi nella dimensione psico-sociale in cui è inserito il disabile, tendendo alla sua massima autonomia, integrazione e autorealizzazione, secondo aspirazione e tendenza.

     Conseguentemente, le funzioni riabilitative non possono limitarsi ad utilizzare attività o discipline sanitarie quali la fisiochinesi terapia, la rieducazione sensoriale, la psicoterapia, la logopedia, la psicomotricità, ecc., ma richiedono contestualmente l'utilizzo di prestazioni tecnico-pedagogiche quali la scolarizzazione, la formazione professionale e l'avvio ad attività occupazionali, portando così l'intervento di recupero all'interno degli ambienti di vita e di lavoro.

 

Obiettivi.

     Nel campo degli handicaps, gli obiettivi fondamentali sono:

     A) l'abbattimento della incidenza degli handicaps;

     B) il potenziamento e la qualificazione complessiva delle attività di riabilitazione nei confronti dei disabili fisici, psichici, sensoriali;

     C) adeguare la struttura organizzativa.

 

ISTITUZIONE DEL COORDINAMENTO REGIONALE SUI PROBLEMI DELL'HANDICAP

 

     La Regione secondo le finalità previste dall'art. 6 della legge 5 febbraio 1992 n. 104 ed in particolare per coordinare a livello regionale gli interventi di prevenzione, diagnosi prenatale e precoce degli handicap, cura e tutela della popolazione infantile e dell'età evolutiva, istituisce il Coordinamento regionale sui problemi dell'handicap, articolato nelle seguenti aree:

     a) area della genetica, a cui afferiscono le strutture che operano nel campo della prevenzione, cura e riabilitazione delle patologie genetiche nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale, e l'Università degli studi facoltà di Medicina di Catanzaro;

     b) area della nascita e della diagnosi prenatale a cui afferiscono le strutture che operano nel campo della ostetricia. ginecologia, neonatologia e rianimazione neonatale nell'ambito degli enti di cui alla lettera a);

     c) area consultoriale e della riabilitazione, a cui afferiscono le strutture che operano nelle attività distrettuali delle Unità Sanitarie Locali.

     Il Coordinamento, ed in particolare l'area consultoriale e della riabilitazione, si collega con i servizi sociali dei comuni singoli o associati tramite loro rappresentanti.

 

FUNZIONI DEL COORDINAMENTO

 

     Il Coordinamento allo scopo di raccordare e promuovere prestazioni e servizi a favore dei portatori di handicap, effettuati dalle strutture sanitarie (ospedaliere e territoriali) dagli enti locali e dalle associazioni di volontariato e del privato sociale, di cui all'articolo 39 della legge n. 104/1992, provvede alle seguenti attività:

     a) indirizzo sul piano scientifico ai servizi afferenti alle aree in cui è articolato il Coordinamento, anche attraverso la predisposizione di linee guida e consulenza alle strutture operative che ne facciano richiesta;

     b) promozione ed attuazione di programmi di ricerca, in collegamento con l'Università, con esperienze nazionali ed internazionali;

     c) attivazione a livello di ciascun ambito territoriale delle Unità Sanitarie Locali, di un osservatorio per la raccolta dei dati epidemiologici relativi alle patologie che danno origine a deficit permanenti fisici, psichici e sensoriali. L'osservatorio della unità sanitaria locale si raccorda con l'osservatorio epidemiologico regionale;

     d) monitoraggio degli osservatori attraverso l'aggiornamento semestrale dei dati e la predisposizione di una relazione sull'andamento del fenomeno;

     e) iniziative in materia di formazione e aggiornamento del personale operante nei servizi delle Unità Sanitarie Locali;

     f) promozione di iniziative di informazione e di educazione sanitaria nei confronti della popolazione sulle cause, sulle conseguenze dell'handicap e sui servizi che provvedono alle attività di prevenzione, cura e riabilitazione;

     g) azione promozionale di sostegno e di collaborazione con le associazioni di volontariato che operano nell'ambito dell'handicap;

     h) organizzazione di conferenze annuali per valutare l'andamento del fenomeno ed individuare gli indirizzi, di cui alla lettera a).

     Il Coordinamento, in relazione a quanto previsto dall'articolo 6, comma 2, lettera c) ed i) della legge n. 104/1992, collega la propria attività a quella dei dipartimenti di prevenzione di cui all'articolo 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502, come modificato dall'articolo 8 del decreto legislativo 7 dicembre 1993 n. 517.

     Il Coordinamento verifica periodicamente la consistenza e la tipologia dei servizi esistenti a livello regionale afferenti alle aree di competenza e formula alla Regione proposte per la pianificazione sanitaria, in vista del raggiungimento degli obiettivi previsti dall'articolo 6 della legge n. 104/1992, nonché dal Piano Sanitario Nazionale in materia di tutela materno infantile, prevenzione degli handicap e riabilitazione dei disabili.

     Spetta al Coordinamento la predisposizione del libretto sanitario personale di cui all'articolo 6, lettera h) della legge n. 104/1992 e di una scheda per la diagnosi neonatale e la riabilitazione della prima infanzia.

 

Organi del coordinamento

 

     Al Coordinamento è preposto un Comitato direttivo nominato dalla Giunta regionale tra i responsabili delle strutture operative afferenti allo stesso, in possesso di comprovate e qualificate esperienze tecnico- scientifiche nel settore di competenza da attestarsi con idonei titoli. Il Comitato Direttivo resta in carica tre anni, i componenti decadono automaticamente se sostituiti dalle amministrazioni di appartenenza.

     I responsabili delle strutture operative sono indicati, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del Piano Sanitario Regionale, dall'Ente di appartenenza.

     Il Comitato Direttivo entro 30 giorni dalla sua costituzione elegge nel proprio seno un coordinatore che resta in carica per lo stesso triennio del Comitato e adotta un regolamento per disciplinare l'organizzazione funzionale dell'area dipartimentale.

     Il Coordinatore convoca il Comitato Direttivo almeno ogni 3 mesi, ne assicura il funzionamento con particolare riferimento alla predisposizione degli indirizzi e dei programmi previsti dal precedente capitolo «Funzioni del Dipartimento».

     I membri del Comitato Direttivo e il Coordinatore, restano alle dipendenze amministrative ed economiche dei rispettivi enti di appartenenza.

     La sede ed il supporto amministrativo al Comitato Direttivo del Coordinamento sono forniti dagli enti afferenti allo stesso. La Regione, se del caso, favorisce apposite intese.

 

Modalità operative del coordinamento.

 

     Allo scopo di dare concreta attuazione alle attività di Coordinamento la Regione promuove accordi di programma tra gli enti cui appartengono le strutture previste dal Capitolo «Istituzione del Coordinamento regionale sui problemi dell'handicap».

 

Interventi.

 

     Per come previsto nel capitolo: «Obiettivi». Sono interventi idonei per l'obiettivo A):

     1) Il potenziamento dell'attività di prevenzione e diagnosi precoce, affidandola ai servizi che tutelano la nascita dell'individuo, con particolare riferimento alle fasi della gravidanza, del parto e della natalità. In particolare, i servizi dell'area consultoriale e i presidi ospedalieri provvedono ad effettuare controlli periodici delle gravidanze per l'individuazione e la terapia di eventuali patologie complicanti a carico della madre e del nascituro, al fine di garantire assistenza intensiva nelle gravidanze e nelle nascite a rischio. I Direttori generali, individuano per ciascuna Unità Sanitaria Locale e nelle aziende ospedaliere unità operative particolarmente attrezzate che operano in forma dipartimentale con i servizi dell'area consultoriale; il trasporto dei neonati a rischio sarà garantito dal SUEM.

     I servizi di cui sopra, nel periodo neonatale dei soggetti a rischio provvedono, direttamente o tramite l'utilizzazione di strutture di 11 e 111 livello e/o centri unici regionali, a tutti gli accertamenti utili alla diagnosi precoce della patologia invalidante, attivando tempestivamente trattamenti per la cura e la riabilitazione precoce.

     2) Il potenziamento del centro regionale di genetica e di diagnosi prenatale per indagini cliniche e citogenetiche in epoca pre-post e perinatale operante presso l'azienda ospedaliera di Catanzaro.

     Il Centro si avvale oltre che delle competenze già esistenti nella predetta azienda per la genetica, per l'ostetricia e per la ginecologia, di esperti in queste discipline della facoltà di Medicina e Chirurgia di Catanzaro.

     3) Gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell'intervento esistenziale permanente e capacita complessiva individuale residua del portatore di handicap sono effettuate dalle Unità Sanitarie Locali mediante le commissioni mediche di cui all'art. I della legge 15 ottobre 1990, n. 295, integrate da un assistente sociale dell'Unità Sanitaria Locale con posizione funzionale di coordinatore ed appartenente. in relazione alla disabilità del soggetto, ai servizi per le attività distrettuali ed al servizio di salute mentale, nonché da un esperto da individuarsi tra gli psicologi, psichiatri o altri medici specialisti nella patologia di cui è portatore il soggetto da esaminare, dipendente dall'Unità Sanitaria Locale.

     4) Attivare la ricerca finalizzata alla prevenzione negli handicap anche attraverso il finanziamento di specifici progetti nel campo della genetica e della riproduzione circa i problemi connessi alla gravidanza a rischio.

     Le Azioni da prevedersi per il conseguimento dell'obiettivo B) sono:

     1) evitare di regola il ricorso alla degenza ospedaliera ed il ricovero a tempo pieno a fini non riabilitativi;

     2) estendere l'intervento riabilitativo all'ambiente di vita del soggetto, attraverso un'armonizzazione dell'ambiente stesso alle esigenze riabilitative, realizzando il collegamento sia con gli operatori degli altri servizi sanitari sia con gli operatori dei servizi sociali gestiti dagli enti locali;

     3) attivare la ricerca finalizzata all'acquisizione di idonee strumentalità di intervento specifico relativo all'azione riabilitativa settoriale e nel contempo prevenire situazioni di aggravamento connesse alla non specificità e qualità degli interventi;

     4) realizzare in tutte le Unità Sanitarie Locali le attività di accertamento e approfondimento diagnostico ai fini della elaborazione di un progetto di recupero per ciascun soggetto portatore di handicap anche con riferimento ad interventi sul nucleo familiare;

     5) qualificare le attività ambulatoriali di recupero e di rieducazione funzionale e motoria;

     6) erogare consulenza tecnica specifica alle strutture dei servizi sociali preposte all'integrazione in ambito scolastico nella formazione professionale ed agli ambienti di lavoro per facilitare l'inserimento dei soggetti portatori di handicap;

     7) svolgere attività di socializzazione - preformazione, nonché interventi propedeutici all'inserimento al lavoro per soggetti adolescenti e giovani adulti;

     8) svolgere attività di assistenza diurna ed assistenza residenziale per soggetti gravi attraverso attività riabilitativa anche in convenzioni ai sensi dell'art. 26 della legge 833/78;

     9) erogare l'assistenza protesica nei termini delle norme legislative in vigore, con particolare attenzione ai soggetti minori ed in età evolutiva;

     10) attivare presso ogni divisione ospedaliera di neurologia, attività diagnostiche di neuropsicologia per i deficit cerebrovascolari «acuti e cronici»;

     11) in particolare promuovere un censimento dei soggetti con sindrome Down viventi in Regione, azione programmata per la prevenzione di tale sindrome e la cura e la riabilitazione dei soggetti portatori.

     Per il conseguimento dell'obiettivo C) sono da realizzarsi i seguenti interventi:

     1) l'istituzione in ogni Distretto di almeno una unita operativa di riabilitazione per disabili in età evolutiva;

     2) l'istituzione in ogni Distretto di almeno una unità operativa di riabilitazione per disabili, adulti ed anziani;

     3) l'istituzione, come previsto dall'art. 3 del D.M. 24.2.1994, nelle Unità Sanitarie Locali di unità multidisciplinari per la diagnosi funzionale composta:

     - da un medico specialista nella patologia segnalata;

     - dallo specialista in neuropsichiatria infantile;

     - da un terapista della riabilitazione;

     - dagli operatori sociali in servizio presso l'Unità Sanitaria Locale o in regime di convenzione con la medesima.

 

L'Unità' operativa di riabilitazione

 

     Le funzioni riabilitative svolte da questa Unità Operativa sono rivolte a tutta la popolazione in condizione di disabilità, con particolare riguardo a quella anziana, e sono le seguenti:

     a) rieducazione funzionale e motoria degli handicaps fisici, psichici e sensoriali a carattere ambulatoriale e domiciliare:

     b) rieducazione funzionale e motoria nelle strutture di assistenza sociale e sanitaria per anziani qualora le stesse non vi provvedono direttamente;

     c) espletamento dei controlli tecnici per l'assistenza protesica concedibili dalle normative nazionali e regionali;

     d) sezione per adulti dei centri diurni e residenziali per handicappati psicofisici gravi e gravissimi. In ragione delle patologie degli utenti si rende necessario un collegamento con l'unità operativa di riabilitazione dell'età evolutiva e la consulenza del servizio di salute mentale;

     e) attività di vigilanza e controllo nei confronti delle strutture convenzionate.

     L'Unità Operativa lavora sui contenuti e le finalità indicate dai progetti obiettivo per gli anziani e i disabili e cosi come assunti e specificati in termini di priorità di attività dal corrispondente progetto della Unità Sanitaria Locale. L'Unità Operativa è diretta da un fisiatra.

     E' composta da un neurologo, da un terapista della riabilitazione (Fisiochinesiterapisti, logopedisti, psicomotricisti, educatori) ogni 8.000 abitanti da due infermieri.

 

L'Unità operativa di riabilitazione dell'età evolutiva

 

     Le funzioni ed attività di tale Unità operativa sono le seguenti:

     a) prevenzione, diagnosi e trattamento delle patologie neuropsichiatriche e psico organiche dei minori e degli adolescenti;

     b) prevenzione dei disturbi psicologici, adattativi, relazionari; prevenzione sul neonato a rischio; depistage neuromotorio, sensoriale, neuropsicologico;

     c) intervento riabilitativo specifico degli handicap intellettivi, motori, psichici e sensoriali comprendente oltre che al trattamento funzionale proprio dell'handicap, anche il sostegno della famiglia e l'intervento psico-pedagogico;

     d) consulenza e sostegno alle strutture scolastiche, nonché a quelle di formazione professionale e agli ambienti di lavoro;

     e) trattamento dei soggetti con handicap psicofisici gravi e gravissimi nei centri diurni residenziali costituiti in ciascuna Unità Sanitaria Locale di cui si garantirà un'impostazione e gestione tecnico- professionale. Se si tratta di strutture convenzionate, l'Unità Operativa provvederà ai necessari controlli di «qualità» delle erogazioni prestate in convenzione.

     L'Unità Operativa lavora sui contenuti e per le finalità indicate dal progetto obiettivo «Tutela materno-infantile» del Piano Sanitario regionale.

     L'Unità Operativa è diretta da un neuropsichiatra infantile ed è composta da psicologi e da terapisti della riabilitazione

(fisiochinesiterapisti, logopedisti, psicomotricisti, educatori) distaccati dalla Unità Operativa di Riabilitazione. Essa presta la propria attività anche nei centri diurni e residenziali per portatori di handicap gravi e gravissimi e nelle comunità terapeutiche, dove collabora con il personale in essi operanti.

 

Definizione di centri di riabilitazione

 

     Al fine di garantire l'uniformità degli interventi in tutte le Unità Sanitarie Locali della Regione, si riportano le definizioni ed i requisiti organizzativi di riferimento.

     Si definiscono Centri di Riabilitazione le strutture sanitarie extraospedaliere che provvedono alla erogazione di prestazioni sanitarie dirette al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni psichiche, fisiche e sensoriali. Erogano a seconda delle necessità terapeutiche dell'assistito, prestazioni a tempo pieno, a carattere diurno, ambulatoriale. extramurale e domiciliare.

     Svolgono, per i soggetti di cui sopra, l'attività di diagnosi cliniche e strumentali specialistiche, di cura e di riabilitazione necessarie per la definizione della diagnosi, l'applicazione delle specifiche metodiche terapeutico-riabilitative.

     L'intervento riabilitativo consiste:

     1) nella tempestiva individuazione delle menomazioni che necessitano di interventi di recupero e abilitazione e del bilancio diagnostico- prognostico corrispondente e nella descrizione del piano personalizzato di intervento;

     2) nell'applicazione delle metodiche che consentono di ottenerlo;

     3) nel suo mantenimento attraverso interventi di prevenzione secondaria (attinenti cioè ad evitare che la minorazione si traduca in uno stato di disabilità di handicap);

     4) nei casi di danno stabilizzato ma passibile di processi ulteriormente involuti della persona, di interventi di prevenzione terziaria, consistenti nella sistematica applicazione delle metodiche atte ad arginare gli effetti lesivi del danno.

     Tale intervento si realizza attraverso modalità pluridisciplinari, non solo di tipo strettamente clinico, coinvolgendo nel processo varie specialità mediche, ma anche di tipo psicopedagogico e sociale, onde ricomprendere nel suo ambito tutte le competenze che concorrono alla reintegrazione globale dell'autonomia.

     Il presupposto necessario per la realizzazione di interventi riabilitativi efficaci consiste nella definizione di diversi livelli di intervento, che si caratterizzano per la complessità, la durata e l'ambito sanitario di riferimento dell'assistenza richiesta.

     a) primo livello: fase acuta. Le strutture ospedaliere del territorio attuano il pronto intervento e si collegano con i Servizi Multizonali ed ad alta specialità (Unità spinali, reparti di rianimazione, neonatologia) per i casi più gravi e complicati;

     b) secondo livello: fase del massimo recupero funzionale, attuano in strutture sanitarie prevalentemente extra ospedaliere (multizonali e zonali) con trattamenti a seconda del bisogno, a pieno tempo, a carattere diurno, ambulatoriale, domiciliare ed extra murale. Il carattere specifico di tali strutture, e quello di disporre di competenze e strumentazioni particolarmente qualificate ed elaborate piani di trattamento intensivo da effettuarsi in base ai bilanci clinici, al funzionamento cognitivo- relazionale, alla particolare situazione ambientale e personale e tali da consentire di formulare nel più breve tempo possibile prognosi a lungo termine sufficientemente precisi. Le équipes riabilitative di tali strutture garantiscono perciò valutazioni diagnostiche e pratiche terapeutico-riabilitative di tipo neuropsicologico, fisiatrico e strumentale in base alla tipologia del paziente;

     c) terzo livello: fase della stabilizzazione del quadro clinico, attuata in strutture sanitarie extraospedaliere (multizonali e zonali) con trattamenti, a seconda del bisogno, a tempo pieno, a carattere diurno, ambulatoriale, domiciliare ed extra murale.

     Le strutture di questo tipo danno specifiche risposte ad esigenze riabilitative per l'attivazione ed il mantenimento dei livelli funzionali raggiunti e ad esigenze assistenziali per la cura dei pazienti non autosufficienti. Il Servizio, se rivolto a soggetti in età scolare o giovani-adulti, garantisce anche adeguati interventi di sostegno per attività di ordine didattico, per le disabilità plurime e complesse e di formazione professionale o riqualificazione professionale.

     d) quarto livello: fase di prevenzione dell'aggravamento. Le strutture, in questa fase, nella quale è prevista una prolungata lungodegenza, attuano interventi riabilitativi atti ad impedire involuzioni o aggravamenti della situazione minorativa, garantendo, nel contempo, il massimo di socializzazione possibile. Tale livello è attuabile in forma ambulatoriale, domiciliare ed extramurale nei Centri di Riabilitazione, a carattere diurno nelle strutture previste dalla legge 104/92 ed in forma di degenza a tempo pieno nelle Residenze Sanitarie-Assistenziali.

 

Requisiti strutturali e tecnologici

 

     - Comuni a tutte le forme di trattamento:

     caratteristiche generali, illuminazione, impianti, caratteristiche microclimatiche come da normative specifiche vigenti;

     ambulatoriali medici per visite specialistiche e, se del caso, per effettuazione di esami strumentali attinenti le patologie trattate:

     locali di attesa;

     locali ed attrezzature adeguate in relazione le patologie trattate;

     a) chinesiterapia individuale e/o di gruppo

     b) psicomotricità

     c) rieducazione logopedica

     d) rieducazione neuropsicologica

     e) terapia occupazionale

     f) rieducazione neurovisiva

     g) psicoterapia individuale e/o di gruppo

     h) orientamento psicopedagogico

     i) intervento sociale

     l) prescrizione e collaudo ortesi, protesi e ausili;

     servizi igienici distinti per il personale e per gli utenti adeguati per numero e tipologia dei soggetti assistiti;

     locali per le attività amministrative

     2) per le prestazioni a carattere diurno (in aggiunta ai precedenti):

     locali di refezione, di attività o di addestramento professionale, di soggiorno per il tempo libero;

     3) per le prestazioni a tempo pieno (in aggiunta ai precedenti 1 e 2)

     locali di degenza adatti ad accogliere un numero di posti letto non superiore a 30 come descritti locali per il servizio religioso

 

Requisiti organizzativi

 

     Aggregazione delle degenze a tempo pieno: in unità operative non superiori a 30 posti letto.

     Orario di funzionamento:

     nel trattamento a tempo pieno il Centro funziona 24 ore su 24 e per 7 giorni settimanali;

     nel trattamento a carattere diurno, gli assistiti sono accolti per un tempo non inferiore a 6 ore giornaliere;

     nel trattamento ambulatoriale, l'orario giornaliero di apertura si orienta a una articolazione giornaliera di 8 ore per una media di 5 giorni settimanali.

 

Direzione responsabile

 

     dirigente medico per le funzioni di organizzazione tecnico-sanitaria:

     dirigente amministrativo per l'esercizio delle funzioni gestionali coordinamento amministrativo;

     operatore professionale dirigente di area riabilitativa (direttore tecnico) con compiti di coordinamento funzionale del servizio.

 

     Personale: in numero e ore di presenze adeguato alla tipologia della struttura e degli assistiti.

     operatori medici, tecnici laureati, terapisti e tecnici della riabilitazione (chinesi terapisti, psicomotricisti, logopedisti, ortottisti, ecc.), assistenti sociali, educatori professionali, infermieri professionali, addetti alla pulizia, amministrativi ausiliari in numero adeguato alla tipologia della struttura e degli assistiti.

 

Obbligo:

 

     di compilare e conservare la cartella clinica da cui risultino:

     a) le generalità complete

     b) la diagnosi

     c) l'anamnesi familiare e personale

     d) l'esame obiettivo

     e) gli eventuali esami strumentali e di laboratorio

     f) il programma individualizzato di intervento riabilitativo

     g) gli esiti e i postumi.

     di esibire, a richiesta degli organi incaricati della vigilanza, le cartelle cliniche di fornire dati statistici

 

Garanzie per gli assistiti:

 

     di accesso all'istruzione scolastica ai sensi dell'art. 29 della legge 118/71;

     all'orientamento, alla qualificazione e riqualificazione professionale ai sensi artt. 3 m), 4 d) e 8 h) della legge 845/78;

     di trasporto, dal domicilio ai Centri, a carico degli Enti locali di competenza secondo le normative regionali

     provvidenze previste dalla Legge 104/92.

 

Compiti delle Unità Sanitarie Locali

 

     Le unità sanitarie locali nei piani attuativi dovranno indicare i tempi di adeguamento ai requisiti fisici e funzionali dei centri di riabilitazione, pubblici e privati, esistenti nel proprio territorio in conformità a quanto previsto nelle linee guida del Ministero della Sanità ed in conformità a quanto fissato nel progetto obiettivo, la determinazione degli interventi di riabilitazione a carattere diurno domiciliare, extramurale e residenziale.

     Per le attività di riabilitazione in regime ambulatoriale si fa riferimento al parametro minimo indicato nel progetto obiettivo.

 

Uniformità degli interventi

 

     I progetti che enti pubblici e privati, associazioni di volontariato presentano alle unità sanitarie locali ed alla Regione per interventi di tutela della salute per azioni di prevenzione, cura e riabilitazione dei soggetti disabili devono uniformarsi alla legge quadro 104/92 ed alle prescrizioni del presente progetto.

 

 

E) Progetto obiettivo prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

SERVIZIO PER LA PREVENZIONE,

L'IGIENE E LA SICUREZZA NEI LUOGHI

DI LAVORO

1. LEGISLAZIONE, PROGRAMMAZIONE E OBIETTIVI

 

     1.1 Legislazione

     Ai sensi della legge 23 dicembre 1978, n. 833 tutte le funzioni di prevenzione e controllo nei luoghi di lavoro sono attribuite alle unità sanitarie locali.

     Con legge regionale del 25/11/1989 n. 12 «Norme per la programmazione ed organizzazione delle Unità Operative per la Prevenzione, Igiene e la Sicurezza nei luoghi di lavoro», la Regione Calabria ha fissato gli obiettivi di tipo strutturale-organizzativi delle UU.OO. per ogni singola unità sanitaria locale, i compiti e le modalità operative e procedurali.

     Ai sensi dell'art. 7 del D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, come modificato dall'art. 8 D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, la Regione provvederà con propria legge a costituire il Dipartimento di Prevenzione, struttura operativa dell'Azienda U.S.L. preposta a garantire l'attività di prevenzione.

     La Regione, provvederà, altresì, a disciplinare i rapporti tra il Dipartimento di Prevenzione e l'Agenzia regionale per la prevenzione ambientale di cui alla legge 21.01.1994 n. 61.

 

     1.2 Obiettivi - Generali e specifici

     Obiettivi del progetto sono: la conoscenza di fattori di rischio presenti nell'ambiente di lavoro e nel territorio e delle condizioni di salute ad essi connessi, l'organizzazione dei controlli e della struttura necessaria all'espletamento d'interventi preventivi e di risanamento, per la riduzione dell'esposizione a rischio e la sua Graduale eliminazione.

     Il tipo di rischio da aggredire, il settore o i settori cui indirizzarsi in via prioritaria, i controlli sanitari per un certo tipo di patologia, non possono essere tutti individuati a livello di Regione in modo esauriente in quanto vanno analizzati in riferimento alle singole zone e alle realtà produttive.

     Il presente progetto indica gli obiettivi da realizzarsi nel triennio nel settore della prevenzione dei rischi e dei danni da lavoro e le risorse disponibili nell'ambito del Fondo Sanitario Regionale.

     Gli obiettivi definiti nel triennio 1995/97 secondo criteri di priorità connessi ai rischi professionali più gravi e diffusi nella Regione, si realizzano mediante l'utilizzo integrato da parte delle unità sanitarie locali di tutte le strutture e dei presidi sanitari territoriali. Come espressamente previsto nel secondo comma dell'art. 20 della legge n. 833/78, nell'esercizio ad esse attribuito per l'attività di prevenzione le unità sanitarie locali si avvalgono degli operatori dei propri servizi di prevenzione, degli operatori che, nell'ambito della loro competenza, erogano prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione.

     Costituiscono finalità fondamentali per le Unità Operative di prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, anche sulla base di quanto previsto dall'art. 4 della legge regionale 25 novembre 1989, n. 12:

     a) l'individuazione, l'accertamento e il controllo dei fattori di rischio, di deterioramento, di nocività e di pericolosità negli ambienti di lavoro e di controllo dello stato di salute degli addetti esposti a rischio in tutte le unità produttive delle singole aziende;

     b) lo svolgimento di indagini, finalizzate all'accertamento delle cause di nocività ed alla individuazione degli strumenti e dei modi di rimozione delle nocività presenti nei singoli settori, aziende ed unità produttive;

     c) la formulazione di mappe di rischio con l'obbligo per le aziende di comunicare le sostanze presenti nel ciclo produttivo e le loro caratteristiche tossicologiche, nonché i possibili effetti sull'uomo e sull'ambiente:

     d) la comunicazione dei dati accertati e la diffusione della loro conoscenza a livello dei luoghi di lavoro e degli interessati;

     e) l'impostazione e la gestione degli strumenti informativi in ottemperanza a quanto stabilito dall'art. 27 della legge 23.12.1978, n. 833: mappe di rischio, registro dei dati ambientali e biostatistici, le denunce ed il registro degli infortuni, libretti sanitari individuali al fine di acquisire i dati epidemiologici mirati alla tutela della salute dei lavoratori;

     f) visite ispettive e di controllo relativamente all'applicazione della legislazione sulla sicurezza del lavoro ex Ispettorato del Lavoro;

     g) la determinazione delle prescrizioni e delle misure conseguenti alle attività ispettive atte ad eliminare i fattori di rischio ed a risanare gli ambienti di lavoro:

     h) la profilassi degli eventi morbosi, mediante l'adozione delle misure idonee a prevenire l'insorgenza e la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali;

     i) la promozione di idonee iniziative nel campo dell'educazione sanitaria e della formazione e dell'informazione di operatori e di lavoratori interessati anche di concerto con gli altri servizi del Dipartimento di Prevenzione (DIP) e i competenti presidi delle Unità Sanitarie Locali e Aziende Ospedaliere:

     l) il coordinamento e/o l'effettuazione degli accertamenti previsti dall'art. 33 del D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 e del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nonché delle altre visite mediche preventive e periodiche stabilite dalle norme vigenti negli ambienti di lavoro. L'Unita Operativa può avvalersi nell'espletamento delle visite periodiche anche dei servizi e strutture delle Unità Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere;

     m) formulazione, in collaborazione con l'Igiene Pubblica, secondo le modalità previste dalle leggi e dai regolamenti di igiene dei singoli comuni, pareri preventivi sui progetti di insediamenti produttivi, nonché sulla ristrutturazione degli stessi, al fine di accertarne la compatibilità con la Tutela dell'Ambiente e la difesa della salute, della popolazione e dei lavoratori:

     n) predisposizione di idonee misure per assicurare ai lavoratori il pieno esercizio dei diritti ad essi spettanti a norma dell'art. 9 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori);

     o) le Unità Operative di Sicurezza degli ambienti di lavoro, nell'effettuazione degli interventi sui luoghi di lavoro, promuovono la partecipazione dei lavoratori direttamente interessati, anche allo scopo di realizzare un sistema informativo permanente sui rischi.

 

     1.3 Programmazione

     Il presente progetto si articola sostanzialmente in sei aree fondamentali d'intervento, al cui interno si collocano le diverse azioni programmatiche da realizzare nel triennio e cioè:

     - riassetto organizzativo e potenziamento strutturale delle Unità Operative di prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro sulla base degli ambiti territoriali dell'Unità Sanitarie Locali, di cui alla legge 13 aprile 1992 n. 3;

     - procedure per il raggiungimento degli obiettivi;

     - realizzazione di appositi programmi formativi e di aggiornamento del personale anche mediante la diretta collaborazione di Istituti Universitari:

     - attivazione di un Sistema Informativo fondato sulla predisposizione di mappe di rischio a livello territoriale e sull'uso di appositi strumenti di informazione;

     - costituzione di un Centro Regionale di Documentazione e di Informazione sui rischi e danni da lavoro nell'ambito dell'Osservatorio Epidemiologico, di cui alla legge regionale 1° dicembre 1988, n. 27.

     - realizzazione di piani «mirati» di intervento per settore o comparto di interesse regionale.

 

2. IL RIASSETTO ORGANIZZATIVO E STRUTTURALE

 

     2.1 In conformità a quanto previsto dalla L.R. n. 12/89 tutte le competenze assegnate alle unità sanitarie locali in materia, vengono esercitate dalle Unità Operative di prevenzione, igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro.

     Condizione fondamentale per garantire un effettivo esercizio di tutte le funzioni previste dal presente progetto, nonché dalla L.R. n. 12/89, e quello di procedere nel triennio, ad un potenziamento quali-quantitativo delle Unità Operative di prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro.

     Tale potenziamento riguarderà sia la dotazione organica che le attrezzature dei laboratori di igiene ambientale, tale da garantire, nel triennio, la presenza delle professionalità tecniche, previste dall'art. 6 della citata legge regionale n. 12/89.

     Il potenziamento quali-quantitativo del personale dovrà tener conto delle differenziate realtà territoriali prendendo in considerazione il rapporto tra il numero della popolazione residente, il numero dei lavoratori occupati nei diversi settori produttivi (agricoltura, industria, terziario).

 

TABELLA N. 1

RILEVAMENTO STATISTICO DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE E DEL NUMERO DEGLI ADDETTI NELLE 11 UNITA' SANITARIE LOCALI DELLA REGIONE CALABRIA

 

Provincia di Cosenza

 

U.S.L. N. 1 - Sede: Paola

U.S.L. N. 2 - Sede: Castrovillari

U.S.L. N. 3 - Sede: Rossano

U.S.L. N. 4 - Sede: Cosenza

 

 

Popolazione residente n. 137.840   Addetti n. 28.080

                      n. 124.083           n. 20.082

                      n. 180.656           n. 25.214

                      n. 286.088           n. 60.999

 

 

Provincia di Catanzaro

 

U.S.L. N. 5 - Sede: Crotone

Popolazione residente n. 195.020 Addetti n. 32.270

U.S.L. N. 6 - Sede: Lamezia Terme

n. 128.180 » n. 21.780

U.S.L. N. 7 - Sede: Catanzaro

n. 246.489 » n. 50.752

U.S.L. N. 8 - Sede: Vibo Valentia

n. 174.779 » n. 23.533

 

Provincia di Reggio Calabria

 

U.S.L. N. 9 - Sede: Locri

popolazione residente n. 138.584 Addetti n. 21.384

U.S.L. N. 10- Sede: Palmi

n. 169.472  »  n. 24.877

U.S.L. N. 11 - Sede: Reggio Calabria

n. 256.095  »  n. 50.876

 

 

         Totale popolazione residente                    2.037.286

         Totale Addetti                                    359.847

        % Addetti su popolazione                           17,663%

 

 

     2.2 Laboratorio di Igiene Ambientale di Primo Livello

     Per poter raggiungere gli obiettivi individuati nel presente piano ed in modo specifico all'art. 4 della L.R. n. 12/89 deve essere prevista l'attivazione di una struttura laboratoristica di primo livello per ogni unità operativa di prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro delle 11 unità sanitarie locali.

     Per quanto concerne le indagini volte alla rilevazione dei rischi ambientali si individuano competenze definite per l'appunto di primo livello (o di base) e competenze specialistiche.

     Le prime comprendono le rilevazioni di semplici parametri (microclima, rumore, polveri, luminosità, gas, fumi, ecc.) ed il prelievo di campioni di vario genere da sottoporre ad analisi complesse. Tale attività si svolge utilizzando attrezzature strumentazioni semplici di base, che bisognerà rendere disponibili in ogni Unità Operativa di prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro delle 11 unità sanitarie locali.

     Il tipo e le caratteristiche delle indagini dovranno essere determinate sulla base delle mappe di rischio costituite nelle varie zone e nelle diverse situazioni produttive. In via preliminare si tratterà di sviluppare indagini sull'area, su materiali vari, sulla determinazione di polveri e loro componenti, di fumi, gas, vapori, metalli, sulla misurazione dell'intensità del rumore con il metodo e modalità espressamente prescritte dal D.Lgs. 277/91, e indagine impiantistico-tecnologiche.

     In primo luogo, anche al fine di consentire una massima autonomia d'intervento, oltre ad usare attrezzature per le visite mediche si ritiene necessario dotare le Unità Operative almeno di audiometro e di spirometro.

     Inoltre, secondo gli stessi criteri prima espressi, si possono prevedere le seguenti attrezzature: Fonometro di primo livello; Dosimetri personali; Registratore grafico del rumore o Registratore magnetico con possibilità di utilizzo di Analizzatore Statistico; Strumentazioni per Vibrazioni; Stazioni per microclima (psicometro, anemometro, globotermometro, termometro). Registratore grafico per centralina microclima; Luxometro; quattro o più linee di prelievo per gas e polveri; Sei o più campionatori personali per gas e polveri; Bilancia di precisione (almeno quattro cifre decimali); Stufa per condizionamento delle membrane; Microscopio a contrasto di fase di trasporto per strumentazione.

 

3. PROCEDURA PER IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI

 

     3.1 Per il raggiungimento degli obiettivi vengono indicate le prestazioni da realizzare. Tali prestazioni rappresentano lo standard operativo da raggiungere in rapporto alle risorse disponibili e secondo una metodologia omogenea su tutto il territorio regionale:

     - Censimento delle attività produttive e costruzione delle «mappe».

     - Interventi di prevenzione nei luoghi di lavoro.

     - Parere sui nuovi insediamenti industriali e produttivi.

     - Accertamenti sanitari.

     - Informazione, formazione ed educazione alla salute e alla sicurezza.

 

     3.1. I Censimento delle attività produttive e costruzione delle «mappe»

     La prima fase indispensabile per avviare qualsiasi programma di prevenzione è la corretta informazione dei rischi lavorativi del territorio considerato. Ciò permette di individuare i settori e comparti in cui sono presenti i rischi più gravi, più diffusi (cioè con un maggior numero di lavoratori esposti) e più prevenibili.

     Tale conoscenza non ha tanto un valore statistico, ma è finalizzato ad una programmazione di interventi mirati alla rimozione dei rischi stessi.

     La mappa dei rischi lavorativi si configura, pertanto, come uno strumento flessibile e dinamico che va continuamente aggiornata.

     Le tappe per giungere ad una mappa dei rischi del territorio sono le seguenti:

     - Censimento (anagrafe) delle singole unità produttive del territorio, identificate per i dati anagrafici e le informazioni essenziali (tipo di produzione, settore e comparto, addetti);

     - Costruzione elenchi di comparto e settore desunti dai dati del censimento:

     - Compilazione questionari d'Azienda omogenei su tutto il territorio regionale: schede con cui, con varie modalità (o di autonotifica dell'Azienda, o con compilazione assistita o no da parte dell'Azienda, o con compilazione assistita o no da parte delle RSU) vengono raccolte informazioni molto più analitiche e dettagliate sulle singole aziende;

     - Costruzione profili di rischio per comparto e/o per lavorazione:

     - Archivio prodotti/componenti: è un archivio in cui vanno conservate le informazioni relative ai prodotti utilizzati nei luoghi di lavoro e alla loro composizione chimica;

     - Registro degli esposti: registri (per aziende a rischio) in cui sono elencati i lavoratori esposti a determinati rischi di particolare gravità (es. cancerogeni);

     - Archivio cambiamenti: è l'archivio in cui vengono registrati i principali mutamenti avvenuti nei luoghi di lavoro, articolato per lavorazioni e rischi;

     - Aggiornamento permanente della «mappa» tramite le informazioni acquisite durante le varie attività di prevenzione.

 

     3.1.2 Interventi di prevenzione nei luoghi di lavoro

     Gli interventi nei luoghi di lavoro affrontano in modo compiuto parziale o mirato i problemi di igiene e sicurezza del lavoro presenti in una fabbrica o in un luogo di lavoro. Le indagini, che possono avvenire su richiesta o di iniziativa dell'Unita Operativa nell'ambito dell'attività ispettiva e di vigilanza, o in modo programmato in base alla mappa dei rischi individuati per territorio, approfondiscono la conoscenza dei rischi e dei danni anche con l'esecuzione di un monitoraggio ambientale al fine di indicare le bonifiche necessarie al risanamento aziendale:

     - Assicurano ogni anno la realizzazione di almeno in piano mirato di prevenzione su un comparto, su una lavorazione o su un rischio indicati come prioritari nel progetto obiettivo;

     - Prevedono per tutti gli interventi che si siano conclusi con prescrizione o diffide miranti ad eliminare o a ridurre i rischi, una fase di rivisita, utile per conoscere sia le soluzioni adottate e la verifica degli adempimenti alle prescrizioni e sia i mutamenti provocati sulle condizioni di igiene e di sicurezza.

     Dovranno, inoltre, essere eseguite indagini sulle circostanze e responsabilità di infortunio o malattie professionali sia se richiesta dall'Autorità Giudiziaria sia su richiesta dei lavoratori o RSU. Inoltre il servizio delle Unità Operative esegue inchieste in tutti i casi di infortuni mortali e nei casi di particolare gravità o rilevanza.

 

     3.1.3 Parere sui nuovi insediamenti industriali e produttivi

     Il controllo preventivo sui nuovi insediamenti produttivi costituisce un'attività di fondamentale importanza per conoscere, limitare e rimuovere, fin dalla fase di progettazione e di avvio i nuovi impianti produttivi e le eventuali possibili fonti di nocività.

     A questo fine, attraverso un intervento a carattere interdisciplinare e in collaborazione con l'igiene pubblica, secondo le modalità previste dalla legge e dai regolamenti dei singoli comuni, formula pareri preventivi sui progetti di insediamenti industriali e di attività produttive in genere, nonché su ristrutturazione, modifica o ampliamento degli stessi al fine di accertarne la compatibilità con la tutela dell'ambiente e la difesa della salute dei lavoratori e della popolazione.

     A tal proposito i Comuni, ai sensi dell'art. 20 della legge 833/78 e dell'art. 4 della L.R. n. 12/1989 devono inviare all'Unità Operativa di prevenzione igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro e all'igiene pubblica delle unita sanitarie locali competenti per territorio i progetti corredati da circostanziata relazione tecnica mirante a far conoscere il processo produttivo al fine del rilascio del parere preventivo sull'impatto ambientale e sulla tutela dei lavoratori. I pareri sono definiti dalle singole Unità Operative ognuno per gli aspetti tecnico-funzionali di competenza.

 

     3.1.4 Accertamenti sanitari.

     Gli accertamenti sanitari periodici imposti dalla legge o da disposizioni dell'Autorità competenti (visite mediche generali o specialistiche, esami di laboratorio, indagini strumentali), possono risultare assai utili all'attività di prevenzione a condizione che siano:

     - mirati ai rischi ambientali presenti;

     - valutati non solo individualmente ma anche sul piano epidemiologico;

     - correlati con i dati ambientali;

     - basati su indicatori biologici o strumentali sensibili specifici.

     Le Unità Operative di prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, in via prioritaria, dovranno controllare che i lavoratori esposti a rischi individuati, di tutte le aziende facenti Parte dei comparti lavorativi che sono di prevalente interesse regionale, siano sottoposti a specifici accertamenti sanitari.

     Per fare ciò dovranno fornire omogenei protocolli diagnostici standardizzati ai rischi presenti.

     Dovranno altresì garantire il coordinamento degli accertamenti sanitari acquisendo regolarmente, elaborando e socializzando le informazioni che ne derivano.

     Le Unità Operative di prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro sia per verificare la validità del protocollo diagnostico e sia per particolari indagini epidemiologiche possono effettuare gli accertamenti sanitari.

     D'altra parte le aziende, che per obbligo di legge devono sottoporre i propri lavoratori ad accertamenti sanitari preventivi e periodici, potranno richiedere che tali accertamenti siano eseguiti dall'Unità Operativa di prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro dell'unità sanitaria locale. Queste ultime potranno soddisfare la richiesta solo dopo stipula di un'apposita convenzione che oltre a definire gli aspetti organizzativi ed operativi, definisca anche l'entità dell'onere economico a carico dell'azienda.

 

     3.1.5 Informazione, formazione ed educazione alla salute e alla sicurezza.

     Le attività di educazione sanitaria costituiscono precisi compiti istituzionali delle Unità Operative di prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro; con il recepimento delle direttive CEE, (D.Lgs. 277/91 «in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi determinati da esposizione ad agenti fisici, chimici, e biologici durante il lavoro» e D.Lgs. 10 settembre 1994 n. 626 riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori nel luogo di lavoro), l'informazione dei lavoratori sui rischi a cui sono esposti e la formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni, rappresentano un aspetto di grande rilevanza preventiva per modificare i comportamenti sia individuali che collettivi, che sono di ostacolo alla realizzazione di accettabili condizioni di vita negli ambienti di lavoro.

     I destinatari di tale attività non devono essere soltanto i lavoratori ma anche i datori di lavoro, i sindacati, gli operatori sanitari in genere, gli studenti, la popolazione nel suo complesso.

     I contenuti principali delle attività educative possono essere così sintetizzati come dati e notizie:

     - Dati relativi alle mappe di rischio a danni articolati per settore, comparti ed aree.

     - Dati relativi ad indagini ambientali e sanitarie secondarie ad interventi di prevenzione.

 

4. LE ATTIVITA' FORMATIVE E DI AGGIORNAMENTO DEL PERSONALE

 

     La formazione degli operatori delle Unità Operative di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro rappresenta un'attività necessaria di primaria importanza per il raggiungimento degli obiettivi di prevenzione e per l'efficacia degli interventi.

     L'attività di formazione dovrà far riferimento sia agli petti metodologici ed organizzativi dei servizi di prevenzione sia agli aspetti tecnici specifici delle diverse figure professionali.

     Per ogni iniziativa di formazione dovranno essere definiti:

     - i contenuti formativi ed i metodi didattici idonei al raggiungimento degli obiettivi;

     - i criteri e gli strumenti per la verifica e la valutazione del processo formativo e dei livelli di apprendimento;

     - in particolare saranno organizzati corsi di formazione per l'inserimento dei nuovi assunti.

     Tali corsi di formazione dovranno riguardare:

     - il quadro normativo di riferimento;

     - l'analisi delle specifiche attività di prevenzione;

     - le metodologie organizzative ed operative;

     - le funzioni di vigilanza e controllo;

     - gli aspetti tecnico professionali propri degli operatori.

     Nel corso del periodo di validità del piano sanitario regionale dovranno inoltre essere realizzate specifiche iniziative formative concernenti:

     - modelli e tecniche per l'educazione alla sicurezza e alla salute negli ambienti di lavoro.

     Per quanto riguarda l'aggiornamento tecnico professionale dovranno essere realizzate iniziative formative per gli operatori con riferimento ai piani mirati di settore e di comparto indicati nel presente obiettivo.

 

5. PROGRAMMAZIONE E SISTEMA INFORMATIVO: MAPPE DI RISCHIO

 

     La programmazione delle attività di prevenzione per la tutela della salute nei luoghi di lavoro e di vita il suo presupposto nella creazione di un sistema informativo in grado di costruire immagini del territorio utili alla prevenzione.

     Gli strumenti informativi previsti dalla legge di riforma sanitaria e dalla legge regionale n. 12/89 (libretto individuale di rischio, registri dei dati biostatici ed ambientali, registro infortuni) già strumenti dei pochi servizi territoriali attivati in Calabria vanno estesi e standardizzati in tutte le nuove 11 Unità Sanitarie Locali in quanto individuano azienda per azienda e fabbrica per fabbrica il soggetto centrale per la prevenzione che è il gruppo operaio omogeneo.

     L'esigenza di disporre di strumenti informativi nell'ambito di ciascuna azienda è il più elementare strumento necessario per la creazione di un sistema informativo articolato a vari livelli, dalla Unità Sanitaria Locale, alla regione allo Stato.

     Il fondamento di un sistema informativo è rappresentato dall'anagrafe delle imprese presenti sul territorio, (ciclo tecnologico, materie grezze e sostanze chimiche utilizzate, prodotti finiti, rischio occupazionale ed ambientale).

     L'insieme di queste informazioni consente di aggregare le situazioni per problemi omogenei e di passare ad un momento descrittivo delle realtà produttive ad un momento interpretativo per la formulazione delle mappe di rischio territoriali.

     La mappa dei rischi è lo strumento operativo per le attività di prevenzione nei luoghi di lavoro.

     Essa consente la conoscenza dei rischi presenti nel territorio, la diffusione di queste conoscenze, la costruzione di indicatori di rischio, i protocolli per la sorveglianza sanitaria, la messa a punto di piani di bonifica mirati, la verifica dei risultati raggiunti e l'individuazione di programmi per l'educazione alla prevenzione dei lavoratori, degli studenti. ecc.

     Per consentire una reale possibilità di comunicazione delle informazioni utili alla prevenzione non solo tra i servizi territoriali di una Unità Sanitaria Locale ma anche tra i servizi di diverse Unità Sanitarie Locali, tra i servizi e i vari livelli istituzionali quali la Regione (Assessorato alla Sanità), nel corso del triennio saranno definiti modelli di archiviazione, elaborazione che prevedano l'utilizzo di un sistema informatico per quanto concerne il software e gli standard tecnologici comuni per quanto riguarda l'hardware.

 

6. CENTRO REGIONALE DI DOCUMENTAZIONE E INFORMAZIONE SUI RISCHI E DANNI DAL LAVORO

 

     Con la realizzazione del Mercato Comune Europeo e con lo sviluppo dei servizi di prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, è divenuto ormai una esigenza improrogabile il bisogno di accrescere le conoscenze nel settore dei rischi e dei danni alla salute di origine professionale. Si sottolinea quindi l'importanza della circolazione delle informazioni per la tutela della salute nei luoghi di vita e di lavoro.

     Tali esigenze, che non possono essere soddisfatte completamente a livello locale, sono costituite essenzialmente:

     - dalla necessità di documentazione bibliografica: raccolta di testi, relazioni dei servizi, atti di convegni, segnalazioni;

     - dalla necessità di approfondimento conoscitivo sia sui rischi e danni che sulle possibili soluzioni dei problemi;

     - dalla necessità di produzione di materiale qualificato per le attività formative ed informative;

     - dalla necessità di creare una banca dati di tutte le esperienze regionali al fine di costituire una struttura informativa della Regione sulla rete dei servizi territoriali di prevenzione.

     Per affrontare tale problematica si presenta le necessità non solo di dotare ciascun servizio e presidio multizonale di prevenzione della documentazione di base in materia di infortuni e malattie professionali, ma disporre altresì di un momento organizzativo specifico. A tale ultimo fine si prevede di attivare nell'ambito dell'Osservatorio Epidemiologico di cui alla legge 1 Dicembre 1988, n. 27 un apposito Centro di Documentazione ed Informazione con bacino di utenza regionale.

     Tale Centro Regionale rappresenterà un punto di raccolta e memoria di dati ed esperienze, fonte di informazioni, e sarà il supporto organizzativo per ricerche, per processi formativi e per produzione di materiali per la formazione l'informazione.

     L'attività del settore dovrà esplicarsi, su scala regionale, in direzione di una utenza costituita essenzialmente dai servizi delle unità sanitarie locali, dai presidi multizonali di prevenzione, nonché dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e degli imprenditori.

 

7. I PIANI MIRATI DI SETTORE E COMPARTO

 

     7.1 Il Settore Edilizia.

     Le statistiche ufficiali relative agli infortuni sul lavoro per il settore delle «costruzioni» presentano dati decisamente allarmanti per quanto concerne la frequenza e la gravità degli infortuni: per meglio quantificare la dimensione del fenomeno converrà ricordare che i lavoratori del settore delle costruzioni rappresentano il 7,38% del totale dei lavoratori dipendenti, gli infortuni che interessano il settore risultano il 21,8% del totale degli infortuni nell'industria e nell'artigianato, i casi mortali il 36,5% del totale degli infortuni sopra ricordati.

     Se si effettua una ulteriore elaborazione statistica risulta che il 10,8% della forza lavoro in edilizia subisce un evento traumatico nel corso di un anno lavorativo «elaborazione da fonte Inail e Istat». Nel settore edilizia data l'alta incidenza di infortuni gravi è necessario nel prossimo triennio, sviluppare un'attività di intervento sui cantieri edili prioritaria nell'attività di programmazione dei servizi territoriali con continuità e persistenza.

     Per consentire interventi uniformi ed equilibrati sul territorio regionale, l'assessorato regionale alla sanità formulerà un «protocollo d'intervento per l'attività di vigilanza ed ispezione delle unità sanitarie locali nei cantieri edili».

     L'operatore dell'Unità Operativa di prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro addetto alla vigilanza disporrà così immediatamente di uno strumento efficace che esemplificherà il suo lavoro e consentirà di avere presente, fase lavorativa per fase lavorativa, tutta la normativa vigente che si trova dispersa in più testi di legge.

     Le amministrazioni pubbliche (Comuni, Province, Regioni) vigileranno a che le ditte appaltatrici dei lavori pubblici redigano un piano di sicurezza del cantiere, dove fra l'altro si indicheranno le misure di prevenzione adottate o da adottare.

     Tale piano deve essere presentato all'Autorità Sanitaria (U.S.L.) ed all'Autorità Amministrativa.

     Le Amministrazioni Pubbliche dovranno, altresì, informare l'Unità Sanitaria Locale almeno dieci giorni prima dell'inizio dei lavori.

     Le Unità Operative di prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro effettueranno controlli sul maggior numero dei cantieri possibili per verificare l'applicazione delle misure tecniche-antinfortunistiche ed organizzative previste dalla normativa di settore.

     E' indispensabile quindi, sviluppare attività coordinate tra i servizi di prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro ed il settore impiantistico ed antinfortunistico della struttura regionale che sarà istituita per la Prevenzione Ambientale.

     Nel settore dell'edilizia vanno promosse iniziative di formazione ed informazione del personale con qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria e favorite le iniziative per socializzare ed approfondire le norme ed i requisiti di prevenzione sia nei confronti degli imprenditori edili (in particolare le aziende artigiane) che dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali.

 

     7.2 Il Settore agricolo

     Nel corso di questi ultimi decenni si è assistito in agricoltura alla progressiva meccanizzazione del settore nonché all'uso sempre più intensivo di sostanze chimiche.

     Da un lato tale processo ha diminuito la fatica muscolare ed ha nel contempo aumentato la produttività delle colture ma ha altresì introdotto nuovi fattori di rischio lavorativo.

     In agricoltura infatti sono in costante aumento il numero degli infortuni e la loro gravità così come pure appaiono malattie professionali (ipoacusia) di stretta pertinenza, fino ad oggi, al settore industriale.

     L'obiettivo del piano mirato per gli infortuni dovrà essere orientato verso lo studio, l'analisi e la definizione dei criteri di sicurezza che le macchine e le attrezzature agricole dovranno possedere.

     Per le malattie professionali (ipoacusie, malattie da strumenti vibranti) provocate da rumore e vibrazioni sono auspicabili interventi preventivi a livello nazionale sulle aziende produttrici delle macchine stesse così come sono auspicabili controlli e verifiche sull'applicazione delle norme di cui al D.Lgs. 15 Agosto 1991 n. 277.

 

     7.2.1 Piano Mirato: Pesticidi.

     Un piano mirato speciale dovrà essere intrapreso per ridurre gli effetti dannosi dei pesticidi, spesso provocato dall'uso indiscriminato e scorretto di queste sostanze, sia per salvaguardare la salute dei lavoratori addetti, che per tutelare i consumatori e l'ambiente di vita.

     Pertanto, le attività di prevenzione da realizzare dovranno essere affrontate con modalità di tipo dipartimentale tra i servizi ed i presidi delle Unità Sanitarie Locali alle cui competenze tali problematiche sono riconducibili per conseguire i seguenti obiettivi:

     - una mappazione delle aziende agricole;

     - un censimento dei punti di vendita dei presidi sanitari;

     - un censimento dei presidi sanitari e relative quantità vendute;

     - un controllo e vigilanza sui punti di vendita (requisiti di idoneità dei locali, autorizzazione alla vendita);

     - predisposizione di protocolli diagnostici;

     - coordinamento e/o effettuazione degli accertamenti sanitari mirati;

     - indagini epidemiologiche in particolari categorie di lavoratori esposti;

     - informazione sul corretto modo di acquisto, di trasporto, di manipolazione e di conservazione e sul corretto uso dei mezzi personali di protezione;

     - monitoraggio ambientale per la ricerca dei residui di pesticidi nelle acque potabili, nel terreno, sui prodotti alimentari di largo consumo.

     Nel settore agricolo vanno promosse iniziative di formazione e di aggiornamento professionale per quanto riguarda gli operatori dei servizi territoriali e dei presidi multizonali ed iniziative di informazione ed educazione alla salute degli utenti con idonei strumenti di comunicazione.

 

     7.3 I rischi professionali da rumore.

     Il rumore è forse uno degli inquinanti che maggiormente è presente negli ambienti di lavoro nella nostra Regione.

     Il rumore può provocare danni uditivi (ipoacusia, sordità) o extrauditivi (disturbi del cuore, dell'apparato digerente, del sistema nervoso, ecc.), nonché rappresentare momento favorevole di infortuni del lavoro.

     I Settori produttivi dove maggiormente è presente il rumore sono:

     - metalmeccanica (carpenteria metallica - lavorazione con macchine utensili - produzione di contenitori metallici);

     - inerti (movimento di materia, frantumazione pietre);

     - alimentazione (mulini, mangimifici, linee di imbottigliamento);

     - edilizia (manufatti, prefabbricati in cemento);

     - legno (segherie, falegnamerie, mobilifici);

     - agricoltura (trattori).

     La misurazione del rumore cui all'art. 40, comma 2, del D.L. 25/8/91, n. 277, avviene con un fonometro integratore conforme alle prescrizioni della norma 804 gruppo 1, oppure della norma IEC 651 gruppo I pertanto, considerate le metodiche standardizzate per la valutazione e il monitoraggio dei rischi e dei danni di cui al D.L. 25/8/1991 n. 277, si dovranno dotare, i servizi degli strumenti idonei a potere eseguire indagini ambientali e sanitarie.

     Il summenzionato decreto ha introdotto per la prima volta nel nostro paese il livello massimo di esposizione al rumore del lavoratore; il dovere del datore di lavoro, è di provvedere periodicamente ad ogni cambiamento del ciclo lavorativo o sostituzione di macchine, alla «mappa» del rumore presente nella propria azienda, nonché di comunicare alle unità sanitarie locali l'elenco dei lavoratori esposti al rischio.

     Uno degli obiettivi da raggiungere in campo regionale deve essere quello di ridurre al minimo i danni da rumore alla salute dei lavoratori mediante azioni di prevenzione primaria che devono mirare alla bonifica ambientale: con l'abbattimento delle fonti nelle aziende già esistenti ed «edificazione» di aziende non inquinanti attraverso i pareri preventivi sui nuovi insediamenti produttivi; informazione ai lavoratori sull'utilizzo corretto dei mezzi personali di protezione acustica; indagine epidemiologica di gruppi di lavoratori a rischio indirizzata al controllo e valutazione dei danni uditivi ed extrauditivi.

     Iniziative formative e di aggiornamento professionale devono essere realizzate nei confronti dei tecnici e degli operatori sanitari nel triennio di validità del piano sanitario regionale.

     Nei confronti degli utenti vanno privilegiate iniziative formative e di educazione alla salute ed alla sicurezza.

 

     7.4 Piano mirato alla cessione dell'impiego dell'amianto.

     I tumori rappresentano la seconda causa di morte nel nostro paese e sempre più è dimostrata la correlazione esistente tra l'insorgenza di una plasia e l'azione di sostanze dannose alla salute.

     La gravità degli effetti prodotti all'inalazione di fibre di amianto è ormai abbondantemente dimostrata dalla letteratura scientifica.

     Il Parlamento con legge del 27 marzo 1992, n. 257 ha provveduto ad emanare una norma per la «cessazione dell'impiego dell'amianto sul suo territorio» e successivamente con D.M. del 6 settembre 1994 ha provveduto ad emanare le metodologie tecniche per la cessazione dell'impiego dell'amianto.

     Al fine di dare compiuta attuazione su tutto il territorio regionale alla legge nazionale, di seguito sono indicate le attività di prevenzione specifiche da realizzare nel triennio:

     - censimento di tutte le realtà lavorative che utilizzino l'amianto per la produzione di manufatti o effettuino la demolizione di prodotti contenenti amianto;

     - censimento delle strutture edilizie adibite a scuole, palestre, asili, ospedali, costruiti con pannelli in cemento amianto o che hanno utilizzato questi prodotti;

     - interventi per la conoscenza delle condizioni di rischio presenti nei luoghi di lavoro e negli ambienti di vita, per la misurazione dei livelli di esposizione o le indicazioni per la bonifica.

     La strumentazione necessaria per lo svolgimento delle attività di controllo previste sono il Difrattometro a Rx, il Microscopio ottico a contrasto di fase ed un Campionatore delle fibre areodisperse da collocare inizialmente nei servizi delle città capoluogo di provincia e successivamente nei restanti servizi soltanto il Campionatore per la captazione delle fibre ed il microscopio a contrasto di fase.

     Le unita sanitarie locali dovranno controllare e coordinare gli accertamenti sanitari al fine di:

     - realizzare indagini epidemiologiche su gruppi di lavoratori esposti addetti alla demolizione istituendo il registro degli esposti.

     Vanno, inoltre, individuate iniziative di educazione alla salute nei confronti degli utenti tramite materiale documentale e audiovisivo.

 

 

F) Azione programmata

PREVENZIONE E CURA DELLA BETA THALASSEMIA

     La beta thalassemia è una malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva: la nascita di soggetti malati (omozigoti) avviene in un quarto dei casi di figli nati da coppie composte da soggetti entrambi portatori (eterozigoti).

     L'incidenza della condizione di portatore nel territorio regionale è intorno al 7 per cento con distribuzione disomogenea che varia dal 3 per cento fino al 18 per cento in talune aree della costa ionica.

     Nella forma omozigote esiste, a causa della particolare eterogeneità genetica, una variabile condizione di gravità clinica della malattia potendosi peraltro individuare due fondamentali condizioni definite come thalassemia major (trasfusione dipendente) e thalassemia intermedia (bisognevole di terapia medica e rare emotrasfusioni) oltre alla malattia drepanocitica il cui trattamento è ancora più variabile.

     I dati più aggiornati indicano la presenza in Calabria di circa 145.000 portatori e di almeno 600 malati affetti della forma major nonché di un numero imprecisato, ma certamente consistente, di alcune centinaia di soggetti con la forma intermedia e con la malattia drepanocitica.

     Tale situazione configura una rilevante problematica non solo in termini strettamente sanitari ma con importanti risvolti anche dal punto di vista sociale ed economico.

     Il costo medio di ognuno degli oltre mille pazienti si aggira per i soli presidi sanitari (emotrasfusioni, terapia ferrochelante, monitoraggio clinico, terapia sostitutiva e di supporto, ecc.) in 40-50 milioni per anno e per un totale che si avvicina di molto ai 50 miliardi all'anno.

     Di fronte a un fenomeno di proporzioni e costi così rilevanti, l'esperienza di altri Paesi e anche di altre Regioni italiane ha ampiamente dimostrato che l'unica soluzione è costituita dall'ottimizzazione dei servizi di assistenza e dalla prevenzione di nuove nascite di soggetti malati.

     Gli interventi previsti per affrontare il problema della thalassemia sul territorio regionale sono riportati di seguito:

     1) Creazione di un Osservatorio Epidemiologico Regionale per:

     - la gestione del registro dei malati;

     - la valutazione statistica delle dinamiche dello stato eterozigote nel tempo e nel territorio della Regione:

     - la programmazione e il coordinamento degli interventi sul territorio sia di tipo informativo e divulgativo (campagna di stampa, informazione nelle scuole, rapporti con le strutture associate) sia conoscitivo di massa (screening sui grandi numeri);

     - la elaborazione di futuri interventi di programmazione;

     - l'osservatorio opera presso l'Assessorato alla Sanità e potrà avvalersi delle specifiche unita operative di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria.

     2) Attivazione di un Centro Unico di Diagnosi Prenatale.

     Il Centro deve essere attrezzato sia per consentire lo studio del DNA, mediante tecniche di biologia molecolare (diagnosi precoce) sia con le tecniche della biosintesi in vitro dell'emoglobina (diagnosi tardiva); ciò non solo per le diverse epoche gestazionali in cui le coppie a rischio si rivolgono alla struttura sanitaria ma anche per precisi motivi genetici peculiari della Calabria.

     I costi di allestimento del Centro sono notevoli sia in termini di attrezzature che per le professionalità necessarie, trattandosi di competenze altamente specialistiche. Investimenti di risorse umane e materiali sono stati in grande parte avviati, nell'ambito dei progetti finalizzati dalla Regione per il servizio di Microcitemia del presidio ospedaliero di Catanzaro, sede del centro regionale di diagnosi prenatale che si individua quale sede del Centro Unico di Diagnosi prenatale. A tal fine, considerando la rilevante presenza di pazienti in età pediatrica, nel Piano attuativo della Unità Sanitaria Locale dovranno essere previsti i posti letto di degenza di ematologia pediatrica.

     3) Le strutture di assistenza operanti nei presidi ospedalieri ubicati nei territori dei capoluoghi di provincia ed in quello di Locri, zona ad elevata incidenza, curano l'assistenza completa di tutti i malati sia sotto il profilo emotrasfusionale che sotto quello pediatrico ed internistico, per garantire un intervento il più unificante possibile.

     4) L'attivazione di 11 strutture da ubicare presso i centri di assistenza ove presenti o anche presso strutture di riferimento già funzionanti hanno il compito di:

     - eseguire la diagnosi dello stato di portatore;

     - fornire un'adeguata consulenza genetica;

     - mantenere i contatti con i centri di assistenza e con l'osservatorio epidemiologico ed il centro di diagnosi prenatale.

     Utilizzando le competenze e le strutture esistenti nel territorio, si vuole affrontare il problema della beta thalassemia in Calabria non più con interventi parziali ed estemporanei, che pure hanno prodotto innegabili ed apprezzabili risultati, ma con una precisa azione di programmazione regionale per raggiungere alla fine del triennio l'obiettivo di evitare che nascano nuovi soggetti omozigoti.

 

 

G) Azione Programmata

LOTTA ALLE MALATTIE NEOPLASTICHE

PREMESSA

 

     La dimensione del fenomeno del cancro ha raggiunto anche in Calabria un livello tale da rendere indifferibile l'adozione di una strategia di intervento globale.

     E' noto come nella regione non sia stato ancora attivato nessun posto letto oncologia medica e sia ancora operante il servizio di radioterapia; obiettivo prioritario è quello di garantire la cura nei presidi della regione di buona parte dei pazienti che sono costretti ad «emigrare» verso altre regioni.

     Con l'azione programmata «Lotta alle malattie neoplastiche» la Calabria si pone in accordo con quanto stabilito dal Piano Sanitario Nazionale 1994/96 e segue, in materia puntuale fedele, quanto previsto dalle linee guida alla prevenzione e cura delle malattie oncologiche elaborate dalla Commissione Oncologica Nazionale.

 

Obiettivi

 

     Riduzione dei fattori di rischio noti quali i fattori comportamentali (fumo, alcool, ecc.) e fattori ambientali (sostanze cancerogene, ambiente di lavoro, ecc.). L'attivazione di tutte le iniziative ritenute idonee per la diagnosi precoce (carcinoma della mammella; carcinoma del collo dell'utero) e la cura appropriata delle patologie per le quali esistono protocolli nazionali e internazionali standardizzati di diagnosi, cura e riabilitazione (mammella, polmone, colon retto, ecc.).

     L'assistenza psicologica e domiciliare del paziente oncologico deve essere attivata anche con la collaborazione del Volontariato

 

Strategia

 

Gestione

 

     Costituzione della Commissione Oncologica Regionale con deliberazione della Giunta regionale.

 

Epidemiologia

 

     Costituzione, nell'ambito dell'Osservatorio Epidemiologico Regionale, del Registro Tumori Regionali, gestito dall'azienda ospedaliera di Catanzaro, ove il registro è stato già avviato.

     Costituzione delle unità operative di Epidemiologia Clinica nei Poli Oncologici di cui al successivo punto d).

 

Prevenzione Primaria

 

     Elaborazione da parte della Commissione oncologica regionale di linee guida di prevenzione primaria ed educazione sanitaria e con priorità per:

     - lotta contro il Tabagismo (divieto del fumo in ambienti pubblici, campagna di informazione, centri per la disassuefazione);

     - alimentazione: interventi di informazione prevalentemente rivolti ai giovani in ambiente scolastico;

     - per l'organizzazione delle iniziative indicate nei punti precedenti la Regione potrà avvalersi delle strutture del volontariato e delle associazioni professionali di categoria.

 

Prevenzione secondaria

 

     - In ogni Polo Oncologico vengono istituite delle Unità operative di Prevenzione Secondaria per l'attuazione dei programmi di screening del carcinoma della mammella (Unità Operativa di Senologia Diagnostica) e del collo dell'utero (Unità Operativa di Patologia Cervico-Vaginale) anche con gli apporti del personale già in servizio nelle Unità Sanitarie Locali ed aziende ospedaliere.

     - Attrezzature essenziali: mammografo, ecografo, colposcopio, isteroscopio, microscopio, sistema automatico di preparazione vetrini, sistema informativo.

 

Assistenza

 

     L'assistenza ospedaliera è così articolata:

     1) attivazione in ogni azienda ospedaliera di cui alla legge regionale n. 26/1994 di un polo oncologico costituito da una unità operativa di degenza di oncologia medica con la dotazione di posti letto indicata nella tabella 5 del Documento n. 2, con posti letto convenzionati e posti letto in day hospital; l'unità operativa dovrà avere un sistema di protezionistica per manipolazione antiblastici con cappa aspirante a flusso verticale, etc., pompe di infusione, pompe impiantabili, sedie a regolazione elettronica per chemioterapia;

     2) attivazione in ogni azienda ospedaliera di una unità operativa di radioterapia articolata con una dotazione di posti letto indicata nella citata tabella 5, compresi quelli in day hospital e le degenze «protette» per l'endocavitaria, interstiziale e metabolica; l'unità operativa dovrà disporre di n. 3 acceleratori lineari di diversi fotoni ed elettroni, un simulatore, una TAC dedicata, un sistema automizzato per costruzioni filtri compensatori, consolle per «treatement planning», tre «Remote after loading» per trattamenti interstiziali, endocavitari, un intensificatore di brillanza, attrezzature fisicodosimetriche e meccaniche;

     3) attivazione di unità operativa di degenza di oncologia medica nelle unità sanitarie locali indicate nella tabella 5 del documento 2 con la dotazione di posti letto per ognuna indicati;

     4) in ogni polo dovrà essere assicurata la presenza di personale idoneo per garantire le seguenti funzioni assistenziali: terapia antalgica, psicooncologia, riabilitazione oncologica, ospedalizzazione domiciliare e assistenza domiciliare patologia e caratterizzazione biologica dei tumori;

     5) nelle unità sanitarie locali nelle quali non sono previsti unità operative di degenza dovranno essere attivati servizi di oncologia medica.

     Il Polo Oncologico di Cosenza, svolge le funzioni di Centro di Riferimento Oncologico Regionale con compiti di supporto all'Assessorato regionale alla Sanità nella formulazione di programmi di interventi in oncologia, nella standardizzazione di metodiche diagnostico-terapeutiche, nell'allestimento e validazione di protocolli, nella formazione del personale nonché di controllo della migrazione sanitaria.

 

Formazione

 

     - Emanazione di direttive regionali relative alla manipolazione sicura dei farmaci citostatici;

     - organizzazione di corsi di aggiornamento per l'assistenza al paziente oncologico rivolto al personale infermieristico:

     - organizzazione di corsi con periodicità annuale per la formazione, il perfezionamento e l'aggiornamento professionale in oncologia per medici:

     - organizzazione di corsi di formazione rivolti al volontariato per l'assistenza domiciliare qualificata al paziente oncologico.

 

Ricerca

 

     - istituzione di un centro regionale a carattere scientifico orientato sulla oncologia molecolare, per fini preventivologici, che opererà in collaborazione con la Lega nazionale lotta ai tumori e relative articolazioni operanti in Calabria, nonché con altre analoghe associazioni operanti nel settore.

     L'articolazione e l'organizzazione sarà definita con provvedimento della Giunta regionale.

 

 

H) Azione programmata

 

   LA PREVENZIONE DELLA INFEZIONE HIV E L'ASSISTENZA DEI MALATI DI AIDS

1995/97

I RIFERIMENTI NORMATIVI

 

     Allo scopo di contrastare la diffusione nel territorio nazionale delle infezioni da HIV e di assicurare idonea assistenza alle persone affette da tali patologie, nel 1990 è stato avviato un programma di interventi nell'ambito dell'apposito piano ministeriale predisposto dalla Commissione Nazionale per la lotta all'AIDS.

     Tale programma, sintetizzato nella legge 5 giugno 1990 n. 135, prevede:

     - interventi di carattere poliennale riguardanti la prevenzione, l'informazione, la ricerca, la sorveglianza epidemiologica e il sostegno dell'attività di volontariato;

     - la costruzione e ristrutturazione dei reparti di ricovero per malattie infettive, comprese le attrezzature e gli arredi, la realizzazione di spazi per attività di ospedale diurno e la istituzione o il potenziamento dei Laboratori di Virologia, Microbiologia e Immunologia negli ospedali;

     - l'assunzione di personale medico, laureato non medico ed infermieristico a completamento degli organici delle strutture di ricovero per malattie infettive e dei laboratori in attuazione degli standards indicati dal decreto ministeriale 13 settembre 1988;

     - lo svolgimento di corsi di formazione e di aggiornamento professionale per il personale dei reparti di ricovero per malattie infettive e degli altri reparti che ricoverano ammalati di AIDS;

     - il potenziamento dei servizi di assistenza ai tossicodipendenti con la graduale assunzione di unità di personale sanitario e tecnico;

     - il potenziamento dei servizi multizonali per le malattie a trasmissione sessuale;

     - il potenziamento dei ruoli del personale dell'Istituto Superiore di Sanità;

     - l'istituzione, nelle Regioni e Province autonome, di centri di riferimento con il compito di coordinare l'attività dei servizi e delle strutture interessate alla lotta contro l'AIDS, di attuare la sorveglianza epidemiologica e di pianificare gli interventi di informazione e formazione.

     Alla legge 135/90 hanno fatto seguito: la deliberazione del CIPE in data 28 giugno 1990 e i decreti interministeriali 14 dicembre 1990 e 31 luglio 1991 che hanno reso esecutivo il piano di interventi di costruzione e ristrutturazione diviso per regioni; il decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 1991 per il trattamento domiciliare dei soggetti affetti da AIDS; l'atto di intesa tra Stato e Regione del 7 novembre 1991 per l'organica distribuzione dei compiti tra le strutture ospedaliere e i servizi territoriali nelle attività di prevenzione e assistenza delle infezioni da HIV.

     Con il Decreto del Presidente della Repubblica del 7 aprile 1994 è stato approvato il «Progetto-obiettivo AIDS 1994 1996» che aggiorna la strategia di intervento complessiva tenendo conto dei mutamenti delle conoscenze intervenute e delle nuove risultanze epidemiologiche.

     Il progressivo diffondersi anche in Calabria delle infezioni HIV che si accompagnava a storiche carenze strutturali, di attrezzature e di personale delle divisioni di malattie infettive e dei servizi di virologia, immunologia e microbiologia spinsero il Consiglio regionale, ancor prima dell'entrata in vigore della legge 135, a stralcio del più generale provvedimento di pianificazione sanitaria, ad adottare la deliberazione 14 marzo 1990 n. 551 con la quale si è disposto il graduale adeguamento agli standards previsti dal decreto ministeriale 13 settembre 1988, degli organici di personale medico ed infermieristico delle divisioni di malattie infettive dei presidi ospedalieri di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Lamezia Terme, Reggio Calabria e Vibo Valentia.

 

L'ANDAMENTO EPIDEMICO REGIONALE

 

     Alla data del 31 marzo 1994 risultano pervenute al Centro regionale di riferimento presso l'Assessorato alla Sanità 236 notifiche di casi di AIDS verificatesi in Calabria.

     Tuttavia il numero dei casi notificati non rappresenta in modo completo la dimensione del fenomeno; infatti esiste un ritardo, valutato mediamente intorno ai 90 giorni, nelle notifiche a causa del quale il numero dei casi di AIDS diagnosticati è superiore al numero di notifiche pervenute alla stessa data.

     Va precisato che i casi di AIDS rappresentano solo la parte emergente di un «iceberg» avente una base più ampia.

     Infatti, dalle stime formulate dalla Commissione Nazionale sulla scorta delle conoscenze diagnostiche e delle misure terapeutiche, per ogni caso di AIDS conclamato, si registrano 2 casi di ARC, 12 casi di LAS e 16 casi di sieropositivi asintomatici.

     Ciò vuol dire che, solo nel corso del primo trimestre del 1994 a fronte dei 26 casi di AIDS conclamato, si dovrebbero registrare in Calabria 52 nuovi casi di ARC, 312 casi di LAS e 416 casi di HIV.

     Nel confronto con le altre regioni, la Calabria si colloca al terzultimo posto per numero di casi notificati per 100.000 abitanti [9,6 x 100.000]. Tuttavia ciò non deve indurre al facile ottimismo, in quanto, il gradiente nord-sud è dovuto alla tardiva introduzione dell'infezione nelle regioni meridionali per un insieme di cause che qui non è il caso di ricordare.

     Dalla distribuzione dei casi di AIDS per modalità di trasmissione in rapporto alle situazioni in ambito nazionale si evidenzia come la Calabria presenti, rispetto al dato nazionale, un'elevata incidenza di ammalati di AIDS emofilici ed eterosessuali e un rilevante numero di casi per i quali non è possibile individuare il fattore di rischio probabilmente per la reticenza del paziente a fornire notizie attendibili sul proprio costume di vita.

     La distribuzione su base provinciale dei casi registrati di AIDS vede al primo posto la provincia di Catanzaro con n. 71 casi, seguita da Crotone con n. 66 casi, Reggio Calabria con n. 62 casi, Cosenza con n. 34 casi e Vibo Valentia con n. 14 casi.

     Le valutazioni sulla possibile evoluzione del fenomeno in Calabria si basano sulle rivelazioni epidemiologiche dei casi di AIDS conclamato e del numero di infetti asintomatici e di soggetti nei diversi stadi di malattie che precedono l'AIDS.

     A tal fine oltre alla rivelazione sistematica dei casi di AIDS, a partire dal maggio 1991 si è proceduto, in collaborazione con le divisioni di malattie infettive, i SERT, i servizi di virologia, i centri trasfusionali e per l'emofilia, alla raccolta dei dati sulla sieroprevalenza e sieropositività HIV.

     Al 31 marzo 1994 sono stati notificati in Italia 21.770 casi cumulativi di AIDS, 1434 casi in più rispetto al precedente trimestre; negli ultimi due trimestri il numero di nuovi casi notificatisi e attestato intorno ai 1500 casi per trimestre, circa il 50 per cento in più rispetto ai due trimestri precedenti. Dei 21.770 pazienti, 17.386 sono di sesso maschile. L'età media dei maschi è di 34 anni, ed è maggiore di quella delle femmine che e di 30 anni.

     Sulla base di uno studio osservazionale è possibile stimare in almeno 67.500 il numero delle persone con infezioni HIV diagnosticate in Italia, di cui circa il 29 per cento donne.

     Le previsioni di incidenza e prevalenza di infezioni HIV nel prossimo triennio, in particolare per quanto riguarda la popolazione generale e le donne, vanno considerate come estremamente dipendenti dai comportamenti sessuali della popolazione in generale e dei tossicodipendenti da eroina.

     Infine, nel prossimo triennio, le campagne informative e preventive sull'infezione da HIV vanno mirate sulla base dei dati disponibili. Dalle statistiche fornite dal Centro di Riferimento Regionale per la lotta all'AIDS si evince che l'età media di notifica dei casi AIDS calabresi è di 28 anni, d'altra parte le cifre sulla distribuzione per età dei nuovi sieropositivi indicano con chiarezza che gran parte dei nostri giovani contraggono l'infezione tra i 14 e i 20 anni pertanto l'attività preventiva dovrà essere diretta, in primo luogo, ad un target giovanile ed inoltre sarà necessaria una maggiore incisività nello svolgimento dell'attività informativa tra gli eterosessuali, il cui dato, in ambito regionale, è fonte di preoccupazione come è dimostrato dal numero dei casi di AIDS denunciati sino al 31 marzo 1994.

 

STRUTTURE, ATTREZZATURE E PERSONALE

 

     Strettamente correlato alle campagne di informazione rivolte alla popolazione residente, è l'adeguamento nell'arco del triennio di validità del presente programma, delle attrezzature e delle strutture afferenti i servizi sanitari istituzionalmente deputati alla lotta all'AIDS nonché la prosecuzione dell'attività formativa e di aggiornamento del personale sanitario e l'adeguamento degli organici agli standards nazionali.

     Alla data di entrata in vigore della legge 135/90 l'organizzazione e distribuzione territoriale dei servizi di pertinenza infettivologica e gli organici di personale presentavano gravi lacune.

     Le risorse strutturali di ricovero di cui in atto si dispone in ambito regionale sono costituite da 107 posti letto ubicati presso le aziende ospedaliere di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria e presso i presidi ospedalieri delle aziende unità sanitarie locali di Crotone e Vibo Valentia.

     I 107 posti letto delle divisioni di malattie infettive esistenti nei presidi ospedalieri della regione sono tutti da considerare non idonei in base ai criteri standards previsti dagli organi sanitari del Ministero della Sanità per tali Unità operative ospedaliere.

     Si tratta, tuttavia, di una considerazione che, grosso modo, rispecchia il dato nazionale dove su un totale di 6.058 posti letto, solo 1.174 risultano idonei ai criteri tecnico-sanitari di riferimento.

     Né diversa si presentava la situazione per quanto riguarda i servizi di microbiologia e virologia che risultavano ubicati soltanto presso i presidi ospedalieri «Pugliese» di Catanzaro e «Annunziata» di Cosenza, mentre presso gli «Ospedali Riuniti» di Reggio Calabria risultava attivato un servizio di microbiologia e a Vibo Valentia una sezione di virologia.

     Nessuno di tali servizi risultava operante presso gli ospedali di Crotone e Lamezia Terme.

     Carenze di attrezzature e di personale caratterizzavano, tuttavia, i servizi in attività e a tali deficienze è da aggiungersi la mancanza di un Centro per le malattie a trasmissione sessuale.

     Per quanto riguarda invece i servizi per le tossicodipendenze in Calabria operavano quattro CAT ed alcuni Centri per la somministrazione del metadone con notevole carenza di risorse umane rispetto agli standards previsti dal D.M. 13 settembre 1988.

     Per ovviare a tale stato di cose, nel rispetto del Piano Nazionale di Lotta all'AIDS, il Consiglio e la Giunta regionale hanno provveduto a redigere un programma attuativo, già approvato dal Ministero della Sanità, che prevede la ristrutturazione o la costruzione ex-novo delle divisioni di malattie infettive e dei servizi di microbiologia e virologia, nonché la dotazione delle necessarie attrezzature.

     Nel rispetto del rapporto posti letto-abitanti [12 per cento] i 266 posti letto previsti sono stati ubicati presso i presidi ospedalieri di Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria, Crotone, Vibo Valentia, Lamezia Terme e presso la facoltà di Medicina di Catanzaro. Agli oneri conseguenziali si farà fronte con i finanziamenti previsti dalla delibera CIPE del 21 dicembre 1993.

     Inoltre con deliberazione del Consiglio regionale n. 207 del 15 luglio 1992 sono stati istituiti o potenziati i servizi di Microbiologia e Virologia presso l'Unità Sanitaria Locale n. 5 (Crotone), n. 6 di Lamezia Terme, n. 8 di Vibo Valentia, n. 11 di Reggio Calabria e presso il Policlinico Universitario di Catanzaro.

     L'attuazione di tale programma di interventi venne affidata, dal Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica di concerto con il Ministero della Sanità, al Consorzio di imprese Med. In. ai sensi del decreto 14 dicembre 1990.

     Nel campo dell'assistenza e prevenzione della tossicodipendenza si è provveduto ad istituire con la legge regionale del 18 febbraio 1994 n. 6 quindici SERT a bassa utenza e quattro SERT a media utenza autorizzando le Unità Sanitarie Locali all'assunzione del relativo personale.

     Inoltre, al fine di coordinare il programma di ristrutturazioni ambientali, l'attività dei servizi e delle strutture ed i piani di prevenzione, si è provveduto ad istituire, con delibera di Giunta regionale n. 4856 del 7 agosto 1990 presso l'Assessorato alla Sanità, il Centro di riferimento regionale per la lotta all'AIDS nel quale opera personale specializzato proveniente in gran parte dalle Unità Sanitarie Locali a causa delle carenze, nel ruolo regionale, delle necessarie professionalità.

     Con delibera di Giunta regionale n. 50 del 13 gennaio 1992 è stata avviata nella nostra Regione l'Assistenza Domiciliare ai malati di AIDS in fase conclamata sia con équipes pubbliche che con Associazioni del volontariato sociale presso il domicilio del paziente o presso residenze collettive per consentire un intervento socio-sanitario adeguato.

     In tre anni di attività il Centro di Riferimento per la lotta all'AIDS, ha aggiornato tutti gli operatori sanitari, infermieri, ed ausiliari socio-sanitari delle Unità Operative di Malattie Infettive della Calabria, oltre 100 dentisti, 70 operatori socio-sanitari dei Centri Trasfusionali, Microcitemie, Divisioni di Ematologia, 230 operatori dei Servizi per le Tossicodipendenze, dei Consultori Familiari, dei Servizi sociali delle Unità sanitarie locali, Operatori del Volontariato e del Ministero di Grazia e Giustizia ponendo al centro il tema della prevenzione sul posto di lavoro, il counselling del paziente, la prevenzione sul territorio e verso target mirati della popolazione.

     Con deliberazione della Giunta regionale n. 3979 del 18 ottobre 1993 sono stati finanziati Progetti di Associazioni di Volontariato che prevedono interventi di informazione, di prevenzione, di sensibilizzazione rivolti alla popolazione giovanile, alla popolazione in generale, ai tossicodipendenti ed alle loro famiglie.

     Inoltre queste iniziative prevedono momenti di assistenza sociale e consulenza di ordine medico, psicologico, legale ai soggetti sieropositivi per l'HIV ed alle loro famiglie.

 

LA STRATEGIA PER IL TRIENNIO 1995/97

 

     Sulla base di quanto esposto nei paragrafi precedenti la strategia della Regione per il triennio 1995/97, è volta ad assicurare una risposta organica, qualitativamente e quantitativamente significativa, al problema della prevenzione e dell'assistenza ai soggetti affetti da infezione da HIV.

     E' tuttavia necessario premettere che la credibilità del programma si fonda sulla deduzione supportata dalle attuali conoscenze scientifiche, che nei prossimi anni si dovrebbe ottenere una stabilizzazione dell'epidemia.

     Se essa dovesse continuare a diffondersi, sarebbe evidente la necessità di modificare la strategia apportando al piano gli indispensabili correttivi sia per quanto riguarda le strutture, il personale e la formazione degli operatori, sia per quanto attiene all'attività informativa.

     In tale ottica la strategia di intervento, per il triennio, su scala regionale, è mirata a:

     1) adeguare sotto il profilo quali-quantitativo le strutture e gli organici;

     2) incentivare l'attività di prevenzione mirata mediante l'informazione e l'educazione sanitaria;

     3) programmare lo svolgimento di corsi di qualificazione e di aggiornamento professionale per gli operatori pubblici e privati;

     4) coinvolgere nella lotta contro l'AIDS associazioni di volontariato con particolare riferimento a quelle operanti fra soggetti più esposti al rischio di infezioni;

     S) incrementare il trattamento a domicilio dei soggetti affetti da AIDS;

     6) attivare il day-hospital presso le U.U.O.O. di malattie infettive.

     La valutazione dell'efficacia degli interventi sarà effettuata sulla scorta dei seguenti indici:

     - numeri di ricoveri/anno;

     - tasso di utilizzazione dei posti letto/anno;

     - giorni di degenza media/anno;

     - numero dei trattamenti in day-hospital/anno;

     - contingente di medici/posti letto;

     - contingente di infermieri/posti letto.

 

ORGANICI E STRUTTURE

 

     Nel corso di validità del programma dovrà provvedersi alla copertura dei posti di personale medici ed infermieristico già finanziati dal Ministero della Sanità per il triennio 1990-1992 afferenti sia le divisioni di malattie infettive che i servizi di microbiologia, virologia ed immunologia.

     Con delibera del Consiglio regionale n. 551 del 14 marzo 1990, nelle more dell'approvazione del piano sanitario, sono state ridefinite le piante organiche delle divisioni di malattie infettive.

     La copertura dei posti, per la parte già finanziata dal Ministero della Sanità, è stata, tuttavia, correlata al numero dei posti letto in esercizio, al loro tasso di utilizzazione ed alla incidenza epidemiologica del territorio servito.

     Al completamento degli organici si dovrà provvedere al momento dell'attivazione delle nuove strutture ed al conseguente aumento dei posti letto.

     Infatti l'adeguamento quantitativo delle sole strutture di ricovero sarebbe un provvedimento insufficiente qualora non fossero parimenti adeguate la precisione e la tempestività della diagnostica.

     Tuttavia, l'attuale sfavorevole congiuntura economica che colpisce in maniera significativa il comparto della sanità e con particolare incidenza le regioni meno favorite del Mezzogiorno, impone la necessità, nella gradualità degli interventi, a privilegiare, nel breve periodo, il completamento degli organici previsti dal programma regionale di attuazione della legge 135/90 nelle grandi aree urbane e nei centri con maggior numero di casi di AIDS rilevati al 31 dicembre 1992, tali aree vanno identificate in Catanzaro, Cosenza, Crotone, Lamezia Terme, Reggio Calabria e Vibo Valentia e nei loro territori contermini.

     Per quanto attiene al programma di investimenti per l'adeguamento delle strutture edilizie dei presidi ospedalieri sedi di divisioni di malattie infettive, l'attività della concessionaria di servizi, individuata con delibera C.I.P.E. 3 agosto 1990, si è concretizzata nell'elaborazione dei progetti esecutivi di costruzioni dei nuovi reparti di malattie infettive dei presidi ospedalieri di Catanzaro, Cosenza e Lamezia Terme, e dei progetti di massima per i presidi di Reggio Calabria e Vibo Valentia.

     Con la cessazione dell'efficacia delle convenzioni, stipulate dal Ministero della Sanità, sancita dalla legge 4 dicembre 1993, n. 492, la prosecuzione del programma di edilizia sanitaria è stata affidata direttamente alle Regioni.

     La mancata trasmissione da parte del Ministero della Sanità, nel termine previsto in 60 giorni dal Decreto Legge 279/93, dei progetti esecutivi e dei progetti di massima, ha notevolmente rallentato la prosecuzione degli interventi e vanificato il rispetto dei tempi programmati.

 

TRATTAMENTO A DOMICILIO

 

     Poiché il 20 per cento del periodo di sopravvivenza dei pazienti con AIDS è trascorso in ospedale, è necessario garantire un'adeguata assistenza domiciliare per questi malati per circa 90-100 giorni all'anno.

     La Regione Calabria ha già avviato con delibera della Giunta regionale n. 50/í992 l'assistenza domiciliare nel territorio delle Unità Sanitarie Locali, sedi delle unità operative di malattie infettive sia presso il domicilio del paziente, con il ricorso ad istituzioni di volontariato ed organizzazioni assistenziali diverse o con équipes pubbliche costituite dal personale delle Unità Operative su indicate ed operatori dei SERT e dei Servizi Sociali, sia presso idonee residenze collettive, sulla base di opportune convenzioni definite dal Decreto Ministeriale 13 settembre 1991.

     Per l'attività di assistenza nel territorio attualmente si dispone di due residenze collettive gestite in convenzione da comunità terapeutiche (privato sociale) ubicate a Catanzaro e Lamezia Terme, mentre l'assistenza domiciliare e garantita da équipes pubbliche nel territorio di competenza delle unità sanitarie locali di Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia e in convenzione con il privato sociale nel territorio dell'unità sanitaria locale di Lamezia Terme.

     I farmaci per il trattamento del paziente curato in assistenza domiciliare saranno forniti dalla farmacia del presidio ospedaliero ove ha sede l'Unità Operativa di malattie infettive.

     La responsabilità della prescrizione sarà dei medici dell'Unità Operativa Ospedaliera di riferimento.

     Lo smaltimento dei rifiuti speciali che si costituiranno presso il domicilio del paziente o della residenza collettiva saranno smaltiti a cura della Unità Sanitaria Locale con le medesime modalità per i rifiuti speciali ospedalieri.

     La Regione dovrà nel corso del triennio 1995/97 sviluppare ulteriormente, tramite le Unità Sanitarie Locali già individuate, l'assistenza domiciliare, utilizzando le risorse finalizzate dal Progetto Obiettivo Nazionale AIDS per il 1994 e 2s0 milioni del fondo sanitario regionale 1995/96.

 

INFORMAZIONE ED EDUCAZIONE

 

     L'informazione e l'educazione sanitaria continuano a rappresentare gli strumenti più efficaci per la lotta contro l'AIDS ed, in tale contesto, la continuità rappresenta un elemento fondamentale per l'efficacia della prevenzione.

     Da tale premessa consegue la necessità che, nel corso del triennio, la Regione predisponga ed attui dei progetti obiettivo finalizzati a:

     - ridurre l'incidenza di infezioni trasmissibili per via ematica e sessuale nei tossicodipendenti.

     La realizzazione di tale progetto passa attraverso il contatto dei tossicodipendenti, che non accedono ai servizi, mediante interventi «da strada», con distribuzione di presidi che rendano meno pericolose le conseguenze dei comportamenti a rischio;

     - ridurre l'incidenza del danno nell'area della prostituzione, la cui espansione ha raggiunto negli ultimi anni punti allarmanti di diffusione con l'accentuarsi del fenomeno dell'immigrazione dai paesi dell'Est europeo e del Terzo Mondo;

     - mantenere elevata l'attenzione dell'opinione pubblica sui problemi dell'epidemia e sugli interventi di prevenzione;

     - concentrare gli sforzi di educazione sessuale e informazione per raggiungere i giovani, in particolare quelli di età inferiore ai 16 anni, che ancora non hanno iniziato l'attività sessuale, affidando agli insegnanti, opportunamente preparati, lo svolgimento di attività educative ed informative anche al fine di evitare, per quanto possibile, il contatto diretto delle strutture sanitarie con gli studenti.

     Un gruppo a rischio può essere rappresentato dai giovani che hanno un precoce abbandono scolastico: in tal caso il contatto dovrà avvenire nei luoghi di aggregazione ivi compresi quelli in cui si svolgono attività sportive o ricreative, a mezzo di «unità da strada» la cui formazione è stata avviata dal Centro di riferimento con un progetto biennale finanziato dal Ministero della famiglia. Inoltre è necessario, d'intesa con i provveditorati agli studi, sviluppare nelle Scuole Medie Superiori i centri di informazione e consulenza previsti dal DPR 309/1990.

 

QUALIFICAZIONE ED AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE

 

     Il protrarsi negli anni a venire dell'infezione da HIV fino all'AIDS ed i progressi nella ricerca scientifica determinano l'esigenza di una continuità nel processo, già avviato dalla Regione, di qualificazione ed aggiornamento del personale operante nei servizi di diagnosi e cura pubblici e privati, nelle scuole, nelle strutture del volontariato e tra gruppi di soggetti che, se pur non direttamente ed istituzionalmente deputati alla lotta contro l'AIDS, costituiscono potenziali vettori della diffusione del virus.

     Il processo formativo, inoltre, dovrà essere rivolto, a prevenire l'esposizione professionale degli operatori e la trasmissione dell'HIV nell'ambito delle strutture sanitarie.

 

IL VOLONTARIATO

 

     Fondamentale è il ruolo che svolgono le Associazioni di volontariato, i gruppi di self-help ed il privato sociale nelle iniziative di assistenza sociale, consulenza legale e di sensibilizzazione della popolazione per favorire la crescita della solidarietà.

     La Regione già da alcuni anni ha costruito un rapporto di collaborazione con le O.N.G. ed il volontariato coinvolgendole nell'assistenza domiciliare dei malati di AIDS, nei progetti di «unità da strada», nei C.I.C. e nel sostegno finanziario ai Centri di auto-aiuto.

     Pertanto nello svolgimento delle iniziative finalizzate alla prevenzione, all'assistenza ed alla crescita della solidarietà verso i soggetti siero-positivi per HIV ed AIDS in fase conclamata, la Giunta regionale si avvarrà della collaborazione di una consulta regionale delle associazioni e di volontariato impegnate nello specifico settore.

     La Consulta è nominata, su proposta dell'assessore alla sanità, con decreto del Presidente della Giunta regionale che ne disciplina anche le modalità di funzionamento.

     Essa è presieduta dall'assessore regionale alla sanità o da un suo delegato, ed è composta da otto rappresentanti di associazione di volontariato iscritte all'albo regionale del volontariato di cui all'art. 6 della legge 266/91 o all'albo degli Enti ausiliari di cui all'art. 116 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 o associazioni con riconoscimento giuridico nazionale e sede regionale, e dai Dirigenti del Servizio di Prevenzione AIDS e Tossicodipendenze e dell'Ufficio Tossicodipendenze ed Alcolismo dell'Assessorato alla Sanità, svolge le funzioni di segretario un operatore del servizio di prevenzione AIDS e tossicodipendenze.

 

IL COORDINAMENTO REGIONALE

 

     Il coordinamento delle attività di prevenzione, di informazione, di formazione, della sorveglianza epidemiologica, delle attività dei servizi e delle strutture interessate alla lotta contro l'AIDS e di verifica dell'attuazione del piano demandato al Centro di Riferimento Regionale previsto dal II comma dell'art. 9 della legge 5 giugno 1990 n. 135, già operante presso l'Assessorato alla Sanità ai sensi della delibera di Giunta regionale n. 4856 del 7 agosto 1990, verrà svolto dall'istituendo Servizio di Prevenzione AIDS e Tossicodipendenza che opererà nell'ambito del settore 61 - Assistenza Sanitaria Preventiva, riabilitativa, curativa e farmaceutica.

     Le funzioni del servizio sono così riassunte:

Coordinamento

     Strutture:

     a) Divisioni Malattie infettive

     b) Divisioni Ematologia

     c) Centri Emofilia

     d) Centri di Microcitemia

Servizi:

     a) Virologia

     b) Microbiologia

     c) Servizi di Immunoematologia e Trasfusioni

     d) Sert

     e) Cic

 

Sorveglianza epidemiologica

 

     Raccolta ed elaborazione dei dati (AIDS e sieropositivi), garantendo l'anonimato, nonché studi sulla diffusione regionale della infezione.

 

Pianificazione

 

     a) Informazione della popolazione in generale e della popolazione a rischio

     b) Aggiornamento del personale del Servizio Sanitario Nazionale, del volontariato, ecc.

     c) Rapporti con il privato sociale ed il volontariato.

     Le leggi nazionali di nuova emanazione, di essenziale importanza nel campo della prevenzione, quali la legge n. 135/90 relativa a «Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS», la legge 4 maggio 1990 n. 107 «Disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano» e il DPR 309/90 «Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, nonché la legge regionale 18 febbraio 1994 n. 6 «Istituzione e funzionamento dei servizi per le tossicodipendenze», hanno determinato un enorme carico di lavoro altamente qualificato.

     E' necessario, pertanto, che venga riconosciuta l'attività svolta in materia di AIDS e di tossicodipendenze dall'équipe che a tutt'oggi opera, in quanto la particolarità della materia e la professionalità acquisita da parte del personale rappresenta garanzia di continuità, impegno e qualità nel lavoro. Alcune delle figure professionali sono state reperite nel rispetto della previsione legislativa con atto di comando dalle Unità Sanitarie Locali. La conferma della loro presenza nell'ambito dell'ufficio consentendo agli stessi di optare nei ruoli regionali, garantendo loro i diritti acquisiti, sarà strumento per un corretto svolgimento delle attività che la Regione è chiamata ad assolvere.

     Il sostegno finanziario per il perseguimento di tali obiettivi sarà garantito, per quanto riguarda le attività ordinarie, con i fondi assegnati dallo Stato alla Regione per il finanziamento della spesa di parte corrente relativa al servizio sanitario regionale e per quanto riguarda la razionalizzazione e il potenziamento delle strutture con le somme all'uopo finalizzate dal Ministero della Sanità.

 

 

I) Azione Programmata

PREVENZIONE E CURA DEL DIABETE MELLITO

PREMESSA

 

     L'incidenza della malattia diabetica in Calabria è attualmente ritenuta di circa il 4% sulla popolazione generale, anche se in alcune zone gli studi effettuati hanno dimostrato percentuali di malattia molto vicine al 10%.

     Più del 90% dei diabetici sono affetti da diabete di tipo II, per il quale risulta di fondamentale importanza, sia ai fini della prevenzione che della cura, un corretto comportamento alimentare e di igiene di vita.

     Al diabete di tipo I (diabete mellito), pur essendo più raro, deve essere attentamente e continuamente controllato, sia perché compare in genere in età particolarmente importante per la vita dell'individuo, sia perché comporta frequentemente la comparsa di gravi complicanze che solo un assiduo controllo glico-metabolico può evitare o rallentare.

     L'organizzazione dell'assistenza sanitaria nel settore, per come indicato dalla legge 16 marzo 1987 n. 115, deve essere perseguita al fine di raggiungere gli obiettivi della programmazione sanitaria regionale e nazionale per:

     - conoscere in modo preciso l'esatta entità del fenomeno nelle sue varie componenti e le fasce di popolazione a rischio;

     - attuare un'efficace azione preventiva diretta a controllare l'obesità, l'abuso di carboidrati, la sedentarietà;

     - costituire una rete di servizi in modo che ogni comprensorio possa disporre di un polo di riferimento per i pazienti diabetici non solo per la diagnosi e la terapia, ma anche per gli interventi di educazione e prevenzione;

     - creare le premesse concrete perché si realizzi il coordinamento tra i servizi per l'assistenza sanitaria di base e i presidi ospedalieri che avranno la funzione di Centri di riferimento dislocati sul territorio e che assicurino l'assistenza di secondo livello ai pazienti con complicanze gravi o con particolari problemi di approfondimento di ordine diagnostico.

 

 

 

            ORGANIZZAZIONE ATTUALE DEI SERVIZI DI DIABETOLOGIA

 

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U.S.L.         ABIT.       N. ORE      N. CENTRI            N.

                           SPEC.       DIABETICI         DIABETICI

                          AMBULA-

                          TORIALE

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1 PAOLA       145.000        4        PAOLA-CETRARO          2.800

                                      PRAIA A M.

2 CASTRO-     124.000        4        SAN MARCO GENTANO       /

  VILLARI

3 ROSSANO     193.000        /        CORIGLIANO             2.405

4 COSENZA     306.000       40        COSENZA                5.000

5 CROTONE     215.000       12        CROT.-S. GIOV. IN FIORE   /

6 LAMEZIA T.  133.000       12              /                  750

7 CATANZARO   266.000        4        CZ-CHIARAVALLE-        6.562

                                      SOVERATO

8 VIBO VAL.   189.000        /        V.V.-TROPEA-SORIANO-   3.400

                                      NICOTERA

9 LOCRI       145.000       66              /                   /

10 PALMI      177.000       24              /                   /

11 REGGIO C.  269.000       73        REGGIO CALABRIA        4.905

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     La necessità di riorganizzare l'assistenza diabetologica nella regione ottimizzando la qualità e la quantità dei servizi nasce da alcune importanti considerazioni:

     - la legge 16 marzo 1987 n. 115 stabilisce i canoni dell'assistenza al diabetico e demanda alle Regioni l'applicazione della stessa a livello locale;

     - il diabete e una malattia sociale con notevoli implicazioni in materia di qualità e di aspettativa di vita del paziente e che incide significativamente sulla spesa sanitaria;

     - i diabetici rappresentano oltre il 15% della popolazione se consideriamo il diabete senile;

     - il diabete è una malattia cronica;

     - migliorare l'assistenza al diabetico significa determinare un aumento dell'aspettativa di vita ed un miglioramento della qualità della stessa con una diminuzione significativa della spesa sanitaria.

     Per ottimizzare l'assistenza diabetologica, tenendo anche conto della particolare conformazione orografica della Calabria è necessario dotare il territorio regionale di una rete di servizi ospedalieri e territoriali che possano coprire tutto il territorio regionale.

     Molti servizi funzionano da alcuni anni e, a seguito della loro attività, le complicanze del diabete si sono ridotte del 32% e i ricoveri del 40% annuo.

 

Obiettivi

 

     Per raggiungere gli obiettivi specificati in premessa sarà costituita con provvedimento della Giunta regionale una Commissione regionale per lo studio e la prevenzione del diabete e delle sue complicanze, che durerà in carica tre anni e sarà così composta:

     a) l'Assessore alla Sanità o un suo delegato con funzioni di Presidente;

     b) i titolari della cattedra di Medicina Interna, Endocrinologia e Pediatria della Facoltà di Medicina;

     c) i dirigenti dei servizi di Diabetologia di II livello;

     d) due esperti indicati congiuntamente dalla S.I.D. e dall'A.M.D.;

     e) un rappresentante indicato dal SUMAI tra gli specialisti ambulatoriali diabetologi in attività;

     f) rappresentanti delle associazioni dei pazienti dei quali uno per le associazioni dei diabetici in età evolutiva;

     g) un funzionario dell'Assessorato alla Sanità con compiti di Segretario.

     I compiti della Commissione sono:

     - il monitoraggio e lo studio del diabete e delle sue complicanze sul territorio della Regione Calabria;

     - il coordinamento dell'attività dei servizi attraverso l'emanazione di linee guida da approvare con deliberazione della Giunta regionale;

     - l'elaborazione dei dati epidemiologici regionali che saranno inviati annualmente dai servizi di diabetologia.

     Le strutture diabetologiche sono essenzialmente di due tipi:

     - Ospedaliere

     - Distrettuali

     Le strutture ospedaliere sono:

     - Servizi di II livello (con posti letto)

     - Servizi di I livello (senza posti letto)

     L'attività di queste strutture si rivolge ai diabetici bisognevoli di ricovero o di controllo ambulatoriale. Queste strutture devono lavorare in stretto collegamento con i servizi territoriali.

     La tipologia di questi servizi implica una dotazione strumentale in grado di poter studiare tutte le complicanze del diabete. Le strutture territoriali vanno inserite nei distretti e rappresentano il primo filtro dell'assistenza diabetologica; anche presso tali strutture verranno effettuati i controlli di base.

     Le strutture della stessa provincia si raggruppano, pur mantenendo la propria autonomia, in dipartimento provinciale che avrà il compito di stabilire i programmi e le linee di comportamento.

     I servizi di diabetologia sono fissati nella tavola 5 del documento 2.

     I servizi di I livello devono avere almeno un bacino d'utenza pari a quello del distretto sanitario, con esclusione dei bacini ove insiste il servizio di secondo livello e fatto salvo per il servizio di primo livello da istituire presso la Cattedra di Endocrinologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Catanzaro.

     Per la riorganizzazione delle strutture diabetologiche ospedaliere di II livello nonché per il dimensionamento delle nuove strutture vanno osservati i seguenti parametri:

     - Tasso di ospedalizzazione 2,5 per mille;

     - Occupazione media 85%;

     - Durata media della degenza 7 gg.

     Le piante organiche dei servizi di diabetologia saranno determinate con i piani attuativi.

     In applicazione della legge 16 marzo 1987 n. 115, ai pazienti diabetici saranno forniti gratuitamente i seguenti presidi, dietro presentazione di ricetta medica rilasciata da uno specialista diabetologo, appartenente a strutture pubbliche che ne specifichi le quantità:

     - siringhe da insulina;

     - iniettori automatici di insulina o penne;

     - aghi per iniettori automatici di insulina;

     - strisce reattive per la determinazione del glucosio e dei corpi chetonici nel sangue e nelle urine.

     Ogni servizio di diabetologia potrà prescrivere al paziente che ne avesse necessità (diabete mellito tipo 1, diabete in corso di gravidanza, diabete con complicanze particolarmente gravi) l'uso di un reflettometro portatile, di un micro infusore portatile che saranno forniti in comodato d'uso dalla U.S.L. al paziente insieme agli accessori necessari per la loro quotidiana utilizzazione.

     Saranno altresì forniti al paziente diabetico, con le stesse modalità, altri presidi che per evoluzione tecnologica saranno disponibili sul mercato ed individuati con deliberazione della Giunta regionale.

     L'accertamento della condizione di diabete mellito per il rilascio della certificazione di esenzione del ticket dovrà essere effettuato esclusivamente presso i servizi di diabetologia.

     I cittadini affetti da diabete mellito devono essere provvisti di tessera personale che attesti l'esistenza della malattia diabetica; la tessera è predisposta sulla base delle indicazioni emanate dal Ministero della Sanità con decreto 7 gennaio 1988 n. 23, al fine di costituire un sistema integrato di prevenzione del diabete e di assistenza agli affetti della malattia.

     I servizi di diabetologia di Il livello e il centro di riferimento pediatrico che sarà individuato dalla Giunta regionale hanno compiti di coordinamento dell'attività dei servizi di I livello e dei medici diabetologi specialisti ambulatoriali eventualmente operanti in ambito provinciale, compatibilmente con l'autonomia gestionale prevista dalla vigente legislazione.

     La Giunta regionale anche avvalendosi della apposita Commissione, predisporrà entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge di Piano Sanitario Regionale, un programma operativo per raggiungere gli obiettivi prefissati dalla «Dichiarazione di St. Vincent»:

     - ridurre di un terzo o più i casi di cecità per diabete;

     - ridurre di almeno un terzo i casi di insufficienza renale per diabete;

     - ridurre del 50% i casi di amputazione per cancrena dovuta al diabete;

     - ridurre la morbilità e la mortalità per coronaropatia nei diabetici attraverso un programma di riduzione dei fattori di rischio;

     - ottenere nelle donne diabetiche, un andamento della gravidanza simile a quello delle non diabetiche.

     La Giunta regionale, avvalendosi della predetta Commissione:

     1) provvederà alla definizione di attività di aggiornamento del personale medico e paramedico da inserire nei programmi di formazione permanente del personale del ruolo sanitario regionale;

     2) definirà il materiale didattico, stampato ed audiovisivo da utilizzare nella rete dei servizi e degli ambulatori diabetologi per la promozione di iniziative educative nei confronti dei pazienti diabetici, per le famiglie degli stessi e per la popolazione generale, con particolare riferimento a quella scolastica:

     3) provvederà a promuovere l'educazione sanitaria per i giovani diabetici attraverso la realizzazione di campi scuola.

     La Giunta regionale attiverà il registro regionale per il diabete mellito che sarà tenuto presso l'Assessorato alla Sanità con obbligo per ogni medico operante nelle strutture sanitarie pubbliche o private di refertare all'Assessorato, che provvederà alla registrazione, sui casi di diabete di cui viene a conoscenza per motivi professionali.

 

 

L) Piano sangue regionale

(DEL. C.R. N. 229 DEL 25 FEBBRAIO 1993

E N. 282 DEL 6 OTTOBRE 1993)

PREMESSA

 

     Il sistema trasfusionale nell'ambito della Regione Calabria si presenta, così com'è oggi, non soddisfacente e disomogeneo sia in termini di disponibilità di sangue, causata spesso da pregiudizi di carattere culturale, etico e sociale, che di organizzazione strutturale ed operativa anche per la carenza di strumenti programmatici finalizzati al coordinamento intra-regionale dei servizi esistenti.

     Su una popolazione complessiva di 2.116.749 abitanti, i donatori volontari periodici di sangue risultano essere circa 6.000 con un indice di donazione pari ad 1,89. Il rapporto percentuale donatore/popolazione, pari a 0,28% è di un donatore ogni 500 abitanti a fronte di un rapporto di sufficienza, stimato dall'OMS, in 5,5 donatori ogni 100 abitanti. Complessivamente il fabbisogno regionale annuo ammonta ad 84.700 unità di sangue contro una disponibilità effettiva di 13.100 unità. Ne consegue che i 71.600 unità di sangue mancanti, pari all'85% dell'intero fabbisogno, è garantito dall'importazione da Regioni del Nord d'Italia e, con evidente rischio di trasmissione trasfusionale di malattie infettive, da donatori occasionali reperiti, spesso in situazioni di drammatica emergenza. dalle famiglie dei malati.

     Del tutto inconsistente inoltre, anche per la mancanza di dati obiettivi, appare la pratica dell'autotrasfusione. Particolarmente carente risulta anche la produzione di plasma la cui totale dipendenza dell'industria di settore produce rilevanti oneri a carico del Servizio sanitario regionale. Ad acuire il fabbisogno di sangue nel territorio regionale contribuiscono inoltre le esigenze trasfusionali determinate da patologie assai più diffuse che nel resto del paese, quali le anemie ereditarie trasfusione-dipendenti (M. Cooley) ed il non frequente ricorso alla terapia trasfusionale mirata.

     La legge 107/90 prevede come parametro di riferimento per l'organizzazione territoriale dei servizi di immunoematologia e trasfusione e dei centri trasfusionale quello della popolazione residente e richiede che gli interventi di riorganizzazione si caratterizzino nei termini di razionalizzazione della rete e di qualificazione delle prestazioni erogate.

     Il nuovo modello organizzativo regionale è stato ancorato all'assetto istituzionale derivante dalla legge regionale 3/92 che ha accorpato gli ambiti territoriali delle vecchie unità sanitarie locali riducendoli a 11 aree geofunzionali omogenee.

     Tenuto conto delle caratteristiche geo-morfologiche del territorio regionale, dell'ampiezza dell'ambito di ciascuna U.SS.L., delle difficoltà, che tuttora permangono, nelle vie di comunicazione lungo la dorsale appenninica e la fascia costiera ionica, e della particolare incidenza in talune aree di patologie trasfusione-dipendenti (emoglobinopatie), la dislocazione dei Centri Trasfusionali appare sufficientemente equilibrata ad eccezione dell'U.SS.L. n. 3 di cui alla legge regionale n. 3/92, che non dispone di alcun Centro Trasfusionale. I Centri, infatti, risultano ubicati presso i presidi ospedalieri di Castrovillari, Cosenza, Paola, Catanzaro, Crotone, Lamezia Terme, Locri, Melito Porto Salvo, Palmi, Reggio Calabria e Vibo Valentia.

     Tuttavia, l'aspetto più strettamente sanitario induca a valutazioni non altrettanto ottimistiche sia che si abbia riguardo all'efficienza dei servizi che all'efficacia delle prestazioni erogate. I ritardi accumulati nell'approvazione del piano sanitario regionale e la mancanza di direttive programmatiche, tecniche e promozionali hanno influito negativamente sull'assetto organizzativo e funzionale dei servizi trasfusionali.

     D'altro canto, risposte adeguate alle esigenze trasfusionali dei pazienti e in termini di tutti i derivati del sangue non potevano venire dalla legge n. 592 del 1967, non più rispondente all'evoluzione tecnologica del settore ed al mutato assetto istituzionale conseguito alla legge di riforma sanitaria.

     Nel presupposto che tutte le attività connesse alla raccolta, frazionamento, conservazione e distribuzione del sangue umano sono parte integrante del Servizio sanitario nazionale e si fondano sulla donazione volontaria periodica, anonima e gratuita del sangue, la legge 4 maggio 1990 n. 107 disciplina ex-novo le attività trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti individuando le scelte, su scala nazionale e regionale, da sviluppare ed attuare nel settore specifico con la partecipazione di tutta la collettività, per cui al diritto del cittadino di ottenere l'assistenza trasfusionale deve corrispondere il dovere, quando lo stato di salute lo consente, di donare il sangue.

     Nell'ottica della situazione e dei presupposti illustrati, la strategia d'intervento su scala regionale, per il triennio 1995/97, riguarda una serie di misure dirette a realizzare:

     - la soddisfazione del fabbisogno di sangue intero e plasma-derivati di tutti i presidi sanitari della Regione;

     - il significativo incremento dei donatori periodici;

     - la tutela della salute dei donatori;

     - la riorganizzazione delle strutture trasfusionali e la qualificazione dell'intervento trasfusionale;

     - la formazione e l'aggiornamento del personale;

     - la promozione della ricerca nel campo dell'immunoematologia e trasfusione.

     Considerato l'attuale rapporto donatore/popolazione e l'effettiva disponibilità annua di unità di sangue, l'obiettivo dell'autosufficienza risulta, in ambito regionale, praticamente irraggiungibile nel triennio di riferimento. Dovrà quindi prevedersi, in prospettiva, il ricorso a forme di compensazione inter-regionale. Tuttavia, la promozione di iniziative dirette a sensibilizzare l'opinione pubblica, ed in particolare i potenziali donatori, sui valori umani e solidaristici che si esprimono nella donazione del sangue, ed il potenziamento delle strutture dovrà concretizzare un consistente incremento del numero dei donatori volontari periodici e dell'indice di donazione in modo da realizzare una significativa contrazione della dipendenza da altre regioni del fabbisogno di sangue con la progressione indicata nell'allegata tabella 1.

 

Gli interventi previsti

 

     1. Per soddisfare il fabbisogno di sangue intero e plasmaderivati di tutti i presidi sanitari della Regione i Servizi di Immunoematologia e Trasfusione ed i Centri Trasfusionali saranno dotati di sistemi di gestione automatizzata per la chiamata dei donatori, la individuazione in tempo reale delle disponibilità esistenti e lo scambio fra le strutture dell'U.S. S.L., lo stesso scambio sarà incentivato e facilitato anche attraverso il dipartimento d'emergenza. Per esigenze correlate ad eventi calamitosi, presso il centro regionale di coordinamento e compensazione è istituita l'anagrafe regionale dei donatori che ha un riferimento telefonico regionale centralizzato. Le modalità di chiamata del donatore devono essere concordate con le associazioni di volontariato e, ove possibile, con il coinvolgimento diretto delle stesse.

     E' istituito presso il settore 61 «medicina preventiva» dell'assessorato regionale alla sanità, il registro del sangue, con i compiti prescritti dal D.M. 18 giugno 1991.

     Nell'ambito della VRQ, di cui agli artt. 69 e 135 del D.P.R. 28 novembre 199O n. 384, in ciascuna U.S.L., presso il Servizio immunoematologia e trasfusione od il centro trasfusionale, è costituito un Comitato per il «buon uso del sangue» con il compito di:

     a) definire sistemi di valutazione del consumo di sangue nei singoli reparti dei vari presidi per una più corretta indicazione alla terapia trasfusionale, secondo il principio rischio-beneficio;

     b) incentivare la produzione e trasfusione selettiva dei singoli componenti ematici (terapia mirata trasfusionale) per ridurre i rischi insiti nell'uso del sangue intero e per tendere al raggiungimento dell'autosufficienza trasfusionale. Nella stessa ottica, indurre la riduzione delle trasfusioni di plasma quando sono sostituibili con trasfusioni di frazioni plasmatiche;

     c) verificare la qualità delle cure prestate al paziente attraverso una valutazione obiettiva dell'efficacia della terapia trasfusionale;

     d) promuovere l'impiego dell'emoterapia autologa (autotrasfusione) mediante predeposito, recupero intraoperatorio, emodiluizione preoperatoria isovolemica, tenendo conto dell'assetto organizzativo interno, della patologia trattata e della tecnologia disponibile.

     Tale Comitato composto da un ematologo, ove presente, da un chirurgo, da un internista e da due rappresentanti delle associazioni donatori dell'U.S.L. con più elevato numero di donazioni/anno, sarà nominato dal competente organo dell'U.S.L. su proposta dei primari delle relative divisioni e sarà presieduto dal primario del servizio d'immunoematologia e trasfusione o del centro trasfusionale.

     Un funzionario dell'U.S.L. svolgerà compiti di segreteria.

     E' fatto obbligo al Comitato di effettuare almeno una riunione ogni due mesi e di inviare una relazione annuale alla Consulta, al centro di coordinamento e compensazione regionale ed all'Amministratore dell'U.S.L.

     2. La Giunta regionale, entro 9O giorni dall'approvazione del presente piano, definisce, d'intesa con le associazioni di donatori volontari e le U.S.L., un programma volto a perseguire nel triennio 1995/97 seguenti obiettivi:

     a) la computerizzazione e la determinazione del servizio di «chiamata» e del registro del sangue;

     b) il miglioramento delle condizioni ambientali ed operative delle strutture di raccolta sia per quanto riguarda i locali di prelievo, di accoglienza e ristoro dei donatori che per quanto riguarda gli indispensabili spazi logistici per le federazioni ed associazioni di donatori volontari, finalizzati all'attività di supporto ai Centri nella fase propedeutica e successiva al prelievo;

     c) il potenziamento strumentale delle strutture preposte alle attività trasfusionali teso a migliorarne l'efficienza e l'efficacia in relazione soprattutto alla preparazione, frazionamento e conservazione degli emocomponenti anche al fine di raggiungere la quasi completa scomposizione delle unità di sangue intero ed il contenimento dell'utilizzo trasfusionale del plasma al di sotto del 5% delle unità raccolte;

     d) l'incremento del volume di sangue intero prelevato nel singolo donatore sino a 450 ml.+/-10%;

     e) una corretta informazione circa il significato ed i contenuti della piastrino-aferesi e plasma-aferesi produttive, così da renderne compartecipe il donatore;

     f) l'incentivazione dei programmi di autotrasfusione mediante predeposito, recupero perioperatorio o emodiluzione normovolemica.

     g) il corretto impiego della «risorsa sangue» assumendo a pratica costante, ove possibile, la trasfusione mirata con emocomponenti e plasma- derivati:

     h) l'unificazione su base regionale dei protocolli di prelievo, di richiesta e distribuzione del sangue secondo quanto previsto dai decreti ministeriali del 27 dicembre 199O e del 15 gennaio 1991;

     i) la creazione presso il centro di coordinamento e compensazione della Banca delle emazie congelate per le necessità relative ai gruppi rari;

     l) la realizzazione presso il centro regionale di trapianto di midollo osseo del registro donatori di midollo osseo e il contestuale potenziamento delle strutture abilitate alla tipizzazione tissutale.

     Il concorso delle associazioni e federazioni di donatori volontari di sangue, per l'organizzazione e l'attuazione delle attività di propaganda, supporto e promozione specifica in collaborazione con le U.S.L., è regolato da apposite convenzioni regionali che saranno stipulate dalla Giunta regionale in conformità allo schema tipo di cui al D.M. del 18 settembre 1991.

     3. Il prelievo del sangue del donatore dovrà essere effettuato con l'uso di metodiche che garantiscano l'asepsi e con un sistema a circuito chiuso e con dispositivi non riutilizzabili. Sarà cura del responsabile del servizio o del centro definire con le federazioni ed associazioni dei donatori un protocollo dettagliato delle procedure di prelievo, con particolare attenzione alla detersione e disinfezione della cute prima della venopuntura e di controllo sanitario del donatore. I dati clinici e di laboratorio raccolti nel corso dell'opera di tutela della salute dei donatori saranno utilizzati dall'Assessorato regionale alla Sanità con finalità di medicina preventiva e per l'attività di programmazione regionale.

     4. Sono istituiti i servizi di immunoematologia e Trasfusione presso l'azienda ospedaliera Annunziata di Cosenza, l'azienda unità sanitaria locale di Crotone, l'azienda ospedaliera dell'Ospedale Pugliese di Catanzaro, l'azienda unità sanitaria locale di Vibo Valentia e l'azienda ospedaliera degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, coincidenti con i cinque ambiti provinciali. Ad essi sono affidati i compiti di immunoematologia e di immunoematologia forense e possono essere affidati i compiti di diagnostica ematologica, di patologia dell'emostasi. La tipizzazione tissutale, viene effettuata presso i SIT dell'azienda ospedaliera di Catanzaro e Cosenza, nonché presso i SIT delle aziende unità sanitarie locali di Vibo Valentia e Crotone e altresì presso la divisione di nefrologia dell'azienda ospedaliera di Reggio Calabria già operante da oltre dieci anni.

     Presso le sedi degli stessi servizi saranno attivati programmi sperimentali per il prelievo e la donazione di plasma nel caso in cui è possibile una previsione di almeno 300 plasmaferesi produttive/anno.

     Al Servizio di Immunoematologia e Trasfusione del presidio Pugliese di Catanzaro, è, altresì, attribuito l'incarico di Centro Regionale di Coordinamento e Compensazione per la sua posizione baricentrica rispetto al territorio della Regione.

     Presso il Servizio di Immunoematologia e Trasfusione di Reggio Calabria, in considerazione che l'U.S.L. 11 è sede del Centro Regionale per il Trapianto di Midollo Osseo e che pertanto lo stesso dispone di personale aggiuntivo per le procedure di emaferesi, viene istituita una Sezione di Emaferesi Produttiva.

     Al fine di assicurare una diffusa ed omogenea risposta alla domanda di medicina trasfusionale ed una capillare attività di promozione della donazione del sangue, nelle altre aziende unità sanitarie locali n. 1, 2, 3, 6, 9, 10 di cui alla L.R. n. 3/92, sono ubicati i Centri Trasfusionali nei presidi delle aziende unità sanitarie locali di Castrovillari, Paola, Rossano, Lamezia Terme, Palmi, Locri; essi costituiscono articolazioni organizzative afferenti il servizio di immunoematologia e trasfusione ubicato nel rispettivo capoluogo di provincia, che comunque costituisce l'unico centro di responsabilità direzionale. L'attuale Centro Trasfusionale di Melito Porto Salvo, facente parte dell'U.S.L. Il (legge regionale n. 3/92), viene trasformato, come previsto dalla legge n. 107/90, in unità di raccolta fissa dipendente dal Servizio di immunoematologia e trasfusione degli OO.RR. di Reggio Calabria.

     Negli altri presidi ospedalieri pubblici e privati, la dotazione trasfusionale è costituita da una emoteca con affidamento della responsabilità gestionale al Direttore Sanitario del presidio, il quale potrà delegare tale incombenza ad altro dirigente di unità operativa di degenza o servizio. L'attività di emoteca consiste:

     a) nel raccogliere la domanda trasfusionale, verificarne la corretta formulazione e trasmetterla alla struttura trasfusionale cui è affidato il rifornimento dell'emoteca:

     b) nella conservazione delle unità trasfusionali assegnate al singolo malato della struttura trasfusionale competente;

     c) nella conservazione delle unità di globuli rossi concentrati da utilizzare in caso di urgenza;

     d) nella gestione del movimento delle unità trasfusionali e nella tenuta del registro di carico e scarico;

     e) nel provvedere al controllo e nel disporre gli interventi manutentivi delle dotazioni strumentali che ne supportano l'attività.

     Nei presidi ospedalieri o altre strutture sanitarie pubbliche idonee con consistente richiesta di terapia emotrasfusionale o con congruo numero di donatori periodici, la Giunta regionale provvederà ad istituire inoltre una unità di raccolta fissa o mobile, asseconda delle necessità. Tale unità dipenderà sul piano tecnico sanitario ed organizzativo dal Servizio di Immunoematologia e Trasfusione o dal Centro Trasfusionale competente per territorio e utilizzerà il personale dello stesso.

     Al fine di promuovere e razionalizzare la donazione di midollo osseo è istituito presso il Centro Trapianti di Midollo Osseo di Reggio Calabria, il Registro Regionale dei potenziali donatori, con compiti di coordinamento delle iniziative promozionali e di collegamento con gli analoghi Registri nazionali ed internazionali. Allo stesso Centro sono affidati i compiti del prelievo e della valutazione dell'idoneità alla donazione. Per tutte le iniziative relative alla donazione di midollo osseo detto centro opererà in stretta collaborazione con i Servizi ed i Centri abilitati alla tipizzazione tissutale ed all'Associazione Donatori di Midollo Osseo (A.D.M.O.).

     5. Nell'ambito dei programmi annuali di aggiornamento per il personale sanitario, tecnico e di assistenza, la Giunta regionale predispone corsi obbligatori dedicati ai temi del buon uso del sangue e degli emocomponenti, compresa l'autotrasfusione. Su tali temi, di concerto con le associazioni e federazioni regionali dei donatori di sangue, sono predisposte idonee iniziative di sostegno all'educazione alla donazione e di coinvolgimento dei Comuni e dei medici di medicina generale anche ai fini della capillarizzazione del volontariato fra i cittadini.

     6. La Giunta regionale, su proposta dell'Assessore regionale alla Sanità, adotta i provvedimenti necessari alla promozione della ricerca nel settore immunotrasfusionale. Sono finanziati in via prioritaria i progetti di ricerca che abbiano come obiettivo il miglioramento delle conoscenze sulla conservazione e separazione degli emocomponenti (piastrine, emazie, cellule staminali, fattori plasmatici) con particolare riferimento alle tecniche atte alla riduzione delle alloimmunizzazioni e dei conseguenti effetti collaterali e alla profilassi delle malattie trasmissibili. E' promossa la ricerca nel campo del «buon uso del sangue», dell'epidemiologia e del miglioramento delle tecniche di tipizzazione e compatibilità tissutale.

     Tutti i progetti di ricerca che prevedano sperimentazione in «vivo» dovranno tener conto delle disposizioni della convenzione di Helsinki; a tal fine la Giunta regionale nomina il Comitato etico regionale.

     7. Per la lavorazione del plasma raccolto in ambito regionale, la Giunta regionale provvede a stipulare una o più convenzioni con centri nazionali di produzione di emoderivati fra quelli individuati dal Ministero della Sanità ai sensi dell'art. 10 della legge 107/90.

     Nell'ambito della convenzione nazionale di cui all'art. 20, comma 5, i rapporti con la Sanità militare, per lo scambio di emocomponenti e plasmaderivati, saranno tenuti sulla scorta di un protocollo d'intesa sottoscritto dall'Assessore regionale alla Sanità e dall'autorità sanitaria militare competente per il territorio regionale.

     La Giunta regionale provvederà all'adeguamento degli organici in relazione alle esigenze organizzative nascenti del presente piano che sarà attuato, compatibilmente alle disponibilità finanziarie del triennio, con gradualità rapportata all'incremento quali-quantitativo delle prestazioni erogate.

     Entro 60 giorni dalla data di approvazione del presente piano, con provvedimento del Presidente della Giunta regionale, in conformità con le disposizioni di cui agli artt. 65 e 66 della legge 833/78, si provvederà a trasferire alle Unità Sanitarie Locali, nel cui territorio risultino ubicati, i centri trasfusionali gestiti in convenzione dalle associazioni di volontariato o da strutture private.

     Il trasferimento del personale dipendente o convenzionato con i predetti centri avverrà seguendo le modalità indicate dall'art. 19 della legge 107/9O.

 

 

 

                                 Tabella 1

 

Obiettivi globali del piano su base regionale, cui devono rifarsi i servizi

                          e centri trasfusionali

 

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Fabbisogno   Situazione    n. donatori    N.          Indice

teorico      ed            periodici sul  donatori    donazione

reg.le/      obiettivi     totale della   periodici

Popol.                     popolazione

resid.

------------------------------------------------------------------

              Situazione        0,28         6.000       1,89

              attuale

              Obiettivi         0,40         8.464       1,80

              ad 1 anno

84.700/2.11  Obiettivi a        0,6         12.696      1,80

6.749        2 anni

              Obiettivi a        1,0         21.167      1,80

              3 anni

              Obiettivi a        2,0         42.334       2,0

              5 anni

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PIANTA ORGANICA

 

     Le deliberazioni del Consiglio regionale n. 229 del 25 febbraio 1993 e n. 282 del 6 ottobre 1993 aventi per oggetto «Legge 4 maggio 199O, n. 107 - Disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti - Piano sangue regionale», prevedono l'istituzione di cinque servizi di immuno-ematologia e trasfusione (S.I.T.) presso il Presidio Ospedaliero Pugliese di Catanzaro (Unità Sanitaria Locale n. 7), Annunziata di Cosenza (Unità Sanitaria Locale n. 4), San Giovanni di Dio di Crotone (Unità Sanitaria Locale n. 5), Iazzolino di Vibo Valentia (Unità Sanitaria Locale n. 8), Ospedali Riuniti di Reggio Calabria (Unità Sanitaria Locale n. 11), e sei centri trasfusionali (C.T.) presso i presidi ospedalieri di Paola (Unità Sanitaria Locale n. 1), Castrovillari (Unità Sanitaria Locale n. 2), Rossano (Unità Sanitaria Locale n. 3), Lamezia Terme (Unità Sanitaria Locale n. 6), Palmi (Unità Sanitaria Locale n. 10) e Locri (Unità Sanitaria Locale n. 9).

     Tenuto conto che presso l'Unità Sanitaria Locale n. 3 di Rossano, il Centro trasfusionale è stato istituito ex novo con le deliberazioni del Consiglio regionale su menzionate e che il Servizio di Immuno-Ematologia e Trasfusione di Crotone (Unità Sanitaria Locale n. 5) è stato reso autonomo dal Laboratorio di Analisi dell'Ospedale San Giovanni di Dio, è necessario per la completa attivazione del Piano Sangue regionale, stabilire la seguente pianta organica minimale del centro trasfusionale di Rossano, in attesa di definire, in base ai carichi di lavoro, le piante organiche definitive dei S.I.T. e dei C.T.

 

Personale medico

1 Dirigente di 2° livello

3 Dirigenti di 1° livello

 

Biologi

2 Dirigenti di 1° livello

 

Capo Tecnico di Laboratorio

1 Unità

 

Tecnici di laboratorio

3 Unità

 

Infermieri professionali

2 Unità

 

Assistente amministrativo

1 Unità

 

Ausiliari socio sanitari

3 Unità

 

     e la seguente Pianta organica minimale del S.l.T. di Crotone:

 

Personale medico

1 Dirigente di 2° livello

3 Dirigenti di 1° livello

 

Biologi

2 Dirigenti di 1° livello

 

Capo Tecnico d Laboratorio

1 Unità

 

Tecnici di laboratorio

5 Unità

 

Infermieri professionali

4 Unità

 

Assistente amministrativo

1 Unità

 

Ausiliari socio sanitari

3 Unità

 

     I posti di assistente amministrativo o di ausiliario socio-sanitario vanno coperti esclusivamente mediante mobilità interna. Gli altri posti, se vacanti, al 50 per cento vanno coperti mediante mobilità interna e poi tra Unità Sanitaria Locale della Regione, l'altro 50 per cento va coperto mediante concorsi pubblici.

 

 

M) Azione Programmata

PREVENZIONE E CURA DELLE TOSSICODIPENDENZE

Riferimenti normativi

 

     Il Ministero della Sanità, in linea con gli accordi internazionali ed in particolare con le risoluzioni del Consiglio dei Ministri della Sanità delle Comunità Europee in tema di tossicodipendenze, ha emanato, con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 199O, n. 309, una serie di atti normativi e decreti attuativi raccolti nel «Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di

tossicodipendenza».

     In ottemperanza a quanto disposto dalle normative nazionali la Regione Calabria ha disciplinato la materia delle tossicodipendenze con propria legge del 18 febbraio 1994, n. 6, determinando gli organici e le caratteristiche organizzative e funzionali dei servizi per le tossicodipendenze (SERT) e normando le attività di prevenzione, cura e riabilitazione in materia di alcool dipendenza.

     Il Ministero della Sanità ha inoltre emanato in data 19 febbraio 1993 un decreto in merito alla approvazione dello schema di atto di intesa tra Stato e Regioni per la definizione di criteri e modalità uniformi per l'iscrizione degli Enti Ausiliari che gestiscono strutture per la riabilitazione ed il reinserimento sociale dei tossicodipendenti negli albi di cui all'articolo 16 del DPR 9 ottobre 199O. n. 309.

     La Regione Calabria ha recepito con delibera di Giunta il decreto del Ministero della Sanità per l'istituzione dell'albo di cui al citato art. 116.

 

Andamento epidemico

 

     I dati relativi ai tossicodipendenti in cura presso i servizi pubblici e le Comunità Terapeutiche confermano la tendenza all'emersione del fenomeno e sono indice di una aumentata incisività dell'intervento sociale di recupero e di riabilitazione.

     E' mutato il quadro di riferimento culturale e strutturale delle tossicodipendenze, mentre si va affermando sempre più una nuova figura di tossicodipendente, meno consumatore di eroina e sempre meno in crisi di astinenza acuta, per cui è più esatto parlare di consumatori di sostanze stupefacenti piuttosto che di tossicodipendenti.

     E' convinzione pressocché generale che la maggioranza dei nuovi soggetti dediti al consumo della droga, riescano a dominare ed a controllare il proprio status ed a convivere con l'ambiente nel quale vivono ed operano.

     Preoccupante risulta, inoltre, il continuo aumento dei cosiddetti occasionali che fanno uso di sostanze stupefacenti saltuariamente.

     In Calabria il fenomeno costituisce uno dei problemi più allarmanti della società; il traffico illecito di sostanze stupefacenti, il numero di persone intercettate dalle forze di polizie per reati connessi alla droga, ne sono la conferma.

     I dati nazionali indicano che alla data del 31 dicembre 1993 i tossicodipendenti che si sono rivolti alle strutture pubbliche sono 65.313, di cui 19.154 sono in trattamento metadonico e 16.117 sono ospiti di comunità terapeutiche.

     In Calabria al 31 dicembre 1993 sono 1.865 i soggetti

tossicodipendenti che si sono rivolti alle strutture pubbliche così distribuiti:

 

 

                Provincia di Catanzaro                 33%

                Provincia di Cosenza                   28%

                Provincia di Reggio Calabria           19%

                Provincia di Vibo Valentia             11%

                Provincia di Crotone                    9%

 

 

     Di essi il 53 per cento viene trattato con metadone, mentre il 45 per cento riceve un trattamento psicosociale.

     Da un più dettagliato esame dei dati emerge che si è abbassata la fascia di età dei nuovi assuntori di stupefacenti, ne viene fuori pertanto una condizione giovanile frammentata e non più riconducibile ad una unità motivazionale e comportamentale.

     Tutto ciò richiede una profonda considerazione delle attuali strategie di intervento, nonché degli strumenti operativi posti in essere, ma soprattutto un rinnovato e deciso impegno verso le attività di prevenzione, di cura e reinserimento socio-lavorativo.

 

Attività di prevenzione

 

     La prevenzione, nel campo delle tossicodipendenze, è un termine che è stato introdotto dalla più recente legislazione nazionale.

     La presa di coscienza che la prevenzione è la strategia vincente nel limitare la diffusione delle tossicodipendenze fa però emergere tutta la problematicità che il termine prevenzione comporta.

     E' chiaro che ancora carente è la cultura della prevenzione e molte sono le difficoltà e, talvolta la confusione nel definire il senso, gli obiettivi, le metodologie degli interventi, per cui è necessario parlare prima di lavoro preventivo mirato alla sensibilizzazione della prevenzione vera e propria.

     Obiettivo primario in assoluto, è quello di tendere a dare o ridare dignità e competenza alla normalità, cioè agli educatori naturali: la famiglia, la scuola, le aggregazioni giovanili, il territorio inteso soprattutto nelle persone, nelle iniziative, nei luoghi dove vengono offerti ai giovani occasioni e strumenti per esprimersi o per rispondere ai diversi bisogni come il lavoro, la cultura, il tempo libero, lo sport.

     La prevenzione, intesa come programmazione di azioni mirate deve:

     a) dare risposte complessive, partendo dai reali bisogni della popolazione giovanile;

     b) collegare e coordinare gli interventi promossi dai diversi soggetti istituzionali, con finalità di prevenzione:

     c) sostenere e valorizzare le iniziative di socializzazione positiva atta ad ostacolare i processi di emarginazione e devianza.

     Compito prioritario dell'Ufficio di Coordinamento Regionale delle tossicodipendenze, oltre alla programmazione di attività di prevenzione e di verifica sul territorio dell'efficacia degli interventi di cui al D.L. 18 novembre 1994 n. 633, è quello di coordinare le iniziative di prevenzione fra le realtà territoriali al fine di evitare la settorializzazione degli interventi, la sovrapposizione o duplicazione degli stessi.

     A tal fine l'Assessorato alla Sanità ha programmato una serie di iniziative mirate, in parte già avviate, da sviluppare ulteriormente nel triennio 1995/97, quali:

     1) il pubblico ed il privato: il lavoro di équipe;

     2) prevenzione delle tossicodipendenze in Calabria;

     3) l'operatore da strada.

     La Regione ha ritenuto di mettere in campo, tramite questi progetti, una rete di intervento intesa come reale mix di risorse formali ed informali, con legami dove il SERT svolga il ruolo di «regista intelligente» ed entrino in gioco oltre gli Enti Ausiliari ed il Privato Sociale, altri attori quali: la famiglia, I'ente locale, la scuola, gli operatori del Ministero di Grazia e Giustizia, il mondo della cooperazione.

     Elemento centrale della Rete è l'équipe multidisciplinare integrata da operatori socio-sanitari del territorio (SERT Consultori familiari, Servizi sociali) ed operatori del volontariato.

 

Riduzione del danno

 

     Diventa sempre più importante dopo la comparsa dell'infezione da HIV, determinare nuove strategie d'intervento nella popolazione

tossicodipendente, da parte del Servizio Sanitario Pubblico per ridurre il rischio infettivo sia per HIV che per l'HBV, l'HCV, la TBC, ecc.

     Nella nostra Regione risulta infatti, che il 64,7 per cento dei malati di AIDS sono tossicodipendenti [141 casi] e su 1865 tossicodipendenti 205 sono sieropositivi per HIV e 398 sono positivi per HCV, le cifre diventano ancora più significative se si considera che il 45 per cento dei tossicodipendenti non si sottopone ai test di sieroprevalenza.

     Inoltre è necessario che gli operatori dei SERT favorendo la creazione di un servizio di rete con gli altri operatori dei servizi pubblici ospedalieri (Divisioni di Malattie Infettive, Servizi di Pronto Soccorso), con operatori degli Istituti di Pena, Territoriali, del Privato sociale e del Volontariato, avviino una strategia di offerta di interventi che punti:

     A) far entrare in contatto con le strutture sanitarie il maggior numero di tossicodipendenti;

     B) ridurre il rischio di morte per overdose o per attività criminali;

     C) ridurre il rischio socio-sanitario legato alla prostituzione (MTS);

     D) ridurre il rischio di destrutturazione psicologica permanente.

     Per quanto riguarda gli interventi da attuare negli istituti di pena essi sono finalizzati ad attività di cura e riabilitazione, in collaborazione con il servizio sanitario penitenziario, nell'ambito dei programmi concordati dalle aziende unità sanitarie locali con gli istituti di pena medesimi ai sensi del decreto del Ministro della Sanità 30 novembre 199O n. 444.

 

Programma integrato di riduzione del danno

 

     E' evidente che dopo la fase dell'istituzione e del «consolidamento» dei SERT nel territorio della nostra regione è indispensabile attivare una presenza attiva e di ricerca e non di attesa nel servizio tramite la costituzione di «Unità da strada» che contattino il tossicodipendente negli ambienti sociali e territoriali nei quali è già diffusa la droga e che impediscano tra i giovani con grave disagio sociale il passaggio dalla situazione di rischio allo stato morboso, con specifico riguardo per le tossicodipendenze da eroina.

     I tossicodipendenti e.v. e i loro partners sessuali debbono essere coinvolti attivamente per far modificare volontariamente ed autonomamente i comportamenti che incrementano la possibilità di infezione.

     Inoltre, bisogna incrementare l'offerta di informazione sanitaria circa la riduzione del rischio tenendo conto che il messaggio deve essere informativo-formativo mirato a target specifici (tossicomani e.v., da cocaina, ecc.) e ad altri fattori quali i comportamenti sessuali, la prostituzione e lo stato sierologico del soggetto.

     Infine devono essere previsti:

     A) Offerta di tutte le forme assistenziali possibili (trattamenti farmacologici sostitutivi, trattamenti in comunità residenziali o semiresidenziali);

     B) interventi di emergenza sanitaria (overdose, ecc.).

 

Momento organizzativo

 

     Istituzione funzionale di 11 Unità da strada in tutta la Regione (una per ogni Unità Sanitaria Locale) con personale formato dall'Ufficio di Coordinamento regionale delle Tossicodipendenze dell'Assessorato Regionale alla Sanità con i seguenti compiti:

     A) contatto delle persone tossicomani;

     B) personalizzazione dell'intervento su ogni singolo soggetto;

     C) informazione sui mezzi a disposizione per ridurre i rischi:

     D) offerta di profilattici, siringhe ed altro materiale fornendo counselling per far sviluppare abilità preventive sulla disinfezione della cute e della siringa e il corretto uso del profilattico;

     E) costruzione di un servizio di rete.

     Le modalità organizzative delle unità da strada sono stabilite dai coordinatori dei SERT che individuano, in relazione alla fascia sociale di popolazione da contattare, la composizione delle equipes e la rotazione fra gli operatori che dovrà sempre comprendere le figure professionali dell'assistente sociale e dello psicologo.

 

Il volontariato - Gli Enti ausiliari.

 

     Nell'intervento di «rete» il Privato Sociale svolge un ruolo fondamentale per le sue consolidate radici nel territorio, territorio vissuto come spazio antropologico di vita, luogo di problemi, di disagio, di bisogni ma anche di risorse dove è necessario attivare un sistema locale di governo e gestione dei servizi territoriali.

     Negli ultimi anni, nella nostra regione, vi e stata una continua crescita della presenza delle Associazioni di Volontariato che operano nel campo della tossicodipendenza, infatti alla data del 30 novembre 1994 sono iscritte all'Albo regionale degli Enti Ausiliari (DPR 309/90) n. 15 Comunità con 21 sedi operative, le cui attività di accoglienza, recupero e reinserimento socio-lavorativo dovranno essere incoraggiate e sostenute con un'azione programmatica della Regione che porrà maggiore attenzione al reinserimento sociale.

     Questa disponibilità di «risorse» integrata con le risorse del Servizio Sanitario Regionale deve essere finalizzata ad attività di prevenzione, terapia e recupero che si sviluppi ne territorio superando quella concezione che vuole il Volontariato come collaterale o surroga del Servizio Pubblico.

     Pertanto il Volontariato e gli operatori del Servizio socio-sanitario pubblico con un linguaggio comune partecipano ad un intervento sinergico essendo una «Comunità competente» che opera nell'ambito locale della Unità Sanitaria Locale superando conflitti di competenze, metodologie e professionalità.

     Infatti le O.N.G. operano all'interno dei C.I.C. dove testimoniano le loro esperienze e la loro cultura, intervengono nelle equipes della Unità da strada, fanno counselling ed attività di prevenzione nel territorio.

     Il luogo del coordinamento e della elaborazione di tali iniziative è «l'Equipe multidisciplinare integrata», presente in ogni Unità socio- sanitaria locale e composta dal coadiutore del SERT dai rappresentanti delle Associazioni di volontariato iscritte all'Albo degli Enti Ausiliari del territorio di propria competenza e dagli operatori dei servizi pubblici che operano nel campo delle tossicodipendenze.

 

 

N) Azione Programmata

PREVENZIONE E CURA DELLE PATOLOGIE ODONTOSTOMATOLOGICHE

     La richiesta di interventi chirurgici stomatologici praticati in ospedale è oggi grandemente aumentato.

     In tale ambiente, infatti, i pazienti possono ricevere appropriato trattamento pre e post operatorio e tutte quelle cure non praticabili in un comune ambulatorio odontoiatrico. Inoltre, con l'aumento della longevità ed il prolungarsi della vita grazie all'ausilio dei moderni mezzi terapeutici, un numero sempre più crescente di pazienti, a causa dell'età e di altri malanni fisici, non possono essere trattati ambulatoriamente per un qualsiasi intervento chirurgico poiché il rischio sarebbe molto grande.

     L'emigrazione in ospedali di altre regioni per interventi odontostomatologici è un'amara realtà, più vasta di quanto si possa immaginare, anche se, purtroppo, sia a causa della mancanza di cultura odontoiatrica, sia per una non mai avvenuta presa di coscienza del problema da parte delle istituzioni, e stata sinora misconosciuta.

     I pazienti della Regione emigrano, con sacrifici anche economici, soprattutto i meno abbienti, per patologie ondostomatologiche più varie.

     L'attività in strutture odontostomatologiche ospedaliere consiste in:

 

     1) Prestazioni di II livello

 

     Effettuabili per la quasi totalità anche in D.H. Oltre la routinaria e fondamentale attività chirurgica in anestesia locale ed anestesia generale destinata a tutta l'utenza per varie patologie (cisti, denti inclusi, nevralgie trigeminali, traumi dentari e mascellari, tumori, ecc.) e assumono particolare importanza gli interventi in anestesia generale e non, su pazienti particolari, (in età pediatrica, portatori di handicaps psico- fisici, es.) per bonifiche del cavo orale (anziani, tossicodipendenti, cardiopatici, diabetici, epatopatici, affetti da discrasie emocoagulative, ecc.). Particolare attenzione meritano i trattamenti dei pazienti disabili e dei sieropositivi.

     Per i primi è necessaria un'attenzione massima, e sono trattabili, per la quasi totalità, solo in ambienti ospedalieri ed in anestesia generale, trovandosi quasi sempre in condizioni di salute orale disastrose.

     Per la seconda categoria di pazienti, a causa della letalità della loro malattia che genera comprensibile timore negli operatori, per l'effettiva potenziale trasmissibilità della stessa, sono, in linea di massima, rifiutati da strutture private, e, pertanto, devono essere in modo assoluto trattati in ambienti ospedalieri, dove, essendo possibile attuare tutte le condizioni di procedibilità necessarie, possono essere sottoposti a terapia con un rischio minimo per gli operatori.

     Per ultimo e non ultimo è da segnalare l'attività di pronto soccorso odontostomatologico, anche per traumi dento-mascellari.

 

     2) Prestazioni di I livello

 

     Rientrano in questa categoria, tutte le attività praticabili in regime ambulatoriale. Se ne evidenzia l'indispensabilità, per gli enormi benefici derivanti sia alla collettività - soprattutto ai meno abbienti -, che all'Azienda Unità Sanitaria Locale o Ospedaliera sia in termini di ricavi; in quanto la massa totale di richieste per prestazioni

odontostomatologiche, anche ad alta tecnologia e elevata, diffusa e costante, sia in termini di risparmi, evitando, o anche solo fortemente limitando, I'erogazione ai privati convenzionati di ingenti risorse o, in prospettiva, consentendo agli utenti meno abbienti, di potersi curare pur non potendosi permettere un'assicurazione.

     Anche l'eventuale, auspicabile, offerta, agli utenti, di cure protesiche e ortodontiche a costi contenuti, oltre al notevole sollievo economico agli stessi, comporterebbe un alto profitto sia in termini di immagine, che economici, all'Azienda.

 

     3) Attività di Prevenzione

 

     Proprio per la funzione di riferimento professionale, culturale e di guida che esse esercitano, l'attivazione di strutture odontostomatologiche ospedaliere comporta consequenzialmente l'attuazione da parte di queste, della parte più qualificante dell'attività odontoiatrica, quella di prevenzione delle malattie odontostomatologiche sul territorio.

     Tale attività è fondamentale, sia per la ricaduta positiva immediata, sia in termini di risparmi per la collettività, che di miglioramento della qualità di vita della popolazione, sia per quella futura. Misure di prevenzione primaria mirate alla riduzione dell'insorgenza della patologia nella popolazione, di prevenzione secondaria dirette alla diagnosi precoce della malattia ed al suo tempestivo trattamento al fine di arrestarne la progressione, di prevenzione terziaria con l'attuazione di piani di trattamento mirati alla massima limitazione della patologia e alla migliore riabilitazione possibile.

     Le direttrici su cui si muove la prevenzione odontostomatologica sono molteplici, basta citare a mò di esempio quella relativa

all'intercettamento e diagnosi tempestiva e precoce delle forme tumorali del cavo orale, ben più diffuse di quello che comunemente si pensa - i carcinomi delle mucose orali sono statisticamente al primo posto - lo screening delle parodontopatie, che comportano la perdita di tutti gli elementi dentari, quello delle malocclusioni e conseguenti disfunzioni dell'apparato stomatognatico, delle carie dentarie, - vera malattia sociale, e il danno economico che arreca e delle complicazioni ad essa legate e così poco conosciute (nefriti, cardiopatie, reumatismo art. acuto, patologie oculistiche e dermatologiche, ecc.).

     La prevenzione si rivolge a tutta la popolazione, ma in particolare a due categorie di cittadini: anziani e bambini.

     I primi rappresentano il segmento della popolazione soggetto alla crescita più rapida e questo incremento continuerà fino a costituire un terzo della popolazione.

     L'esborso per cure mediche in generale e odontoiatriche in particolare, cui va soggetto l'anziano medio, incidono in misura notevole sul suo basso reddito.

     Vi è la necessità di una forte attenzione nei riguardi di questi particolari utenti, con l'offerta di prestazioni odontoiatriche preventive (riabilitazione protesiche), prevenzione delle disfunzioni delle articolazioni temporo-mandibolari, prevenzione e terapia delle malattie parodontali, prevenzione delle forme tumorali del cavo orale, ecc.

     I secondi costituiscono ovviamente il terreno fertile su cui seminare le basi di un futuro con meno problemi odontoiatrici.

     Essi possono essere facilmente educati alle metodiche di prevenzione della carie, sensibilizzando le famiglie, operando in sinergia con gli operatori scolastici e le istituzioni, creando una cultura odontoiatrica, informando, con una presenza attiva e costante degli operatori. Risparmi notevoli verranno alle famiglie, alla collettività, da quest'opera di prevenzione continua; si potrebbe concretizzare un piano di intercettamento e trattamento ortodontico precoce, quando ancora è possibile correggere le malocclusioni, estremamente diffuse.

     L'intervento prioritario è l'attivazione delle poltrone odontostomatologiche in tutte le aziende sanitarie, al fine di superare l'attuale situazione di carenza a fronte di un consistente richiesta di prestazioni.

     Il monitoraggio sull'attuazione del piano e sui risultati conseguiti e demandato all'osservatorio sanitario di cui all'articolo 8 della legge di piano. La Giunta regionale con la procedura di cui all'articolo 14 della stessa legge procederà all'aggiornamento del piano sanitario regionale.

 

 

O) Azione programmata  Prevenzione e cura delle malattie cardiovascolari

 

1. INTRODUZIONE

 

     Le malattie cardiovascolari costituiscono un'area nosologica di estrema importanza umana e sociale per la frequenza, l'ampia diffusione, la gravità spesso evolvente in invalidità, il costo sociale delle cure, le soste dal lavoro o l'abbandono dello stesso.

     E' estremamente difficile quantificare la reale incidenza di tale patologia non solo nella Regione Calabria, ma in tutto il Paese in quanto i dati ufficiali riguardano solo la mortalità.

     Relativamente all'intero territorio nazionale e per l'anno 1990 l'istituto Nazionale di Statistica indica in 231.673 i decessi per patologie del sistema circolatorio equivalenti al 43,1% del totale dei decessi con un tasso per centomila abitanti pari a 401,8.

     Nella Regione Calabria il tasso per centomila abitanti è stato pari, nello stesso anno, a 343,9, consentendo di stimare il numero di decessi in circa 7.400 casi [48,3% del totale]. Per quanto riguarda più specificatamente le patologie dell'apparato cardiovascolare, risulta di particolare rilevanza il numero dei decessi attribuiti ad infarto miocardico acuto: oltre 38.000 casi in Italia dei quali circa 1.000 nella Regione Calabria; a questi si aggiungono i 32.000 decessi per altre malattie ischemiche del cuore (circa 800 in Calabria) e gli oltre 35.000 casi dovuti a degenerazioni del miocardio (circa 1.500 in Calabria).

     Relativamente alla morbosità, l'Associazione Nazionale Medici Cardiologi ospedalieri (Anamco) stima nel 5% la percentuale di popolazione malata di cuore; secondo l'Istituto Nazionale di Statistica, tale rapporto aggiungerebbe l'8,6%.

     L'ipertensione arteriosa, sempre secondo i dati dell'Istituto Nazionale di Statistica, interesserebbe il 13 per cento circa della popolazione.

     Dai dati dell'IPIMC (Indagine Policentrica Italiana per le Malformazioni Congenite) aggiornati al 1989 (gennaio-settembre) risulta che in Italia le cardiopatie congenite incidono per il 18.3% sulla totalità delle malformazioni registrate, interessando lo 0,4% circa delle nascite.

     Le valvulopatie reumatiche, sebbene in regressione, rappresentano il 20% circa delle cardiopatie e costituiscono il 20-30% delle indicazioni per la cardiochirurgia, che vede in aumento le indicazioni inerenti alla patologia coronarica.

     Il crescente numero di tossicodipendenti e di procedure diagnostiche e terapeutiche invasive porta ad un incremento di incidenza di endocarditi infettive.

 

2. FINALITA'

 

     L'azione programmata per la lotta alle malattie cardiovascolari del piano sanitario regionale per il triennio 1995/97 si propone le seguenti finalità:

     - prevenzione e diagnosi precoce delle malattie cardiovascolari nella popolazione;

     - rilevazioni epidemiologiche aggiornate della mortalità e morbosità delle singole affezioni cardiovascolari;

     - istituzione di registri epidemiologici;

     - riorganizzazione dell'assistenza sanitaria in regime ambulatoriale:

     - riorganizzazione territoriale dell'assistenza sanitaria ospedaliera;

     - attivazione delle unità operative di diagnosi e cura, mediche e chirurgiche, necessarie a soddisfare la domanda di ricoveri e di prestazioni della popolazione e a contrastare l'emigrazione sanitaria:

     - organizzazione delle attività assistenziali in dipartimenti di malattie cardiovascolari;

     - interazione degli interventi in tema di lotta alle malattie cardiovascolari ad insorgenza improvvisa con il servizio di emergenza sanitaria «Calabria Soccorso»;

     - riabilitazione e recupero sociale del cardiopatico;

     - aggiornamento e formazione del personale;

     - educazione sanitaria in tema di malattie cardiovascolari della popolazione.

 

3. DISTRIBUZIONE DELLE UNITA' OPERATIVE

 

     Viene definita nella tavola n. 5 della riorganizzazione della rete ospedaliera.

 

4. ASSISTENZA IN REGIME AMBULATORIALE

 

     4.1 Ambulatorio di primo livello

Finalità

     Il cittadino e il suo medico di base devono avere a disposizione un servizio cardiologico ambulatoriale facilmente consultabile e raggiungibile per sopperire ad ogni necessità di accertamento e/o cura specialistica. Area di intervento:

     - Bacino di utenza: coincide con il polo sanitario territoriale.

     - Ubicazione: extraospedaliera (Polo Sanitario Territoriale). Tipo di prestazioni

     - Visita cardiologica;

     - elettrocardiogramma.

 

     4.2 Ambulatorio di secondo livello

Finalità

     L'ambulatorio di secondo livello espleta prevalentemente indagini diagnostiche e/o terapie speciali non invasive caratterizzate da un più elevato grado di specializzazione rispetto all'ambulatorio di primo livello, utilizzando apparecchiature più sofisticate e personale specificatamente addestrato.

Area di intervento

     - Bacino di utenza: coincide con il Distretto Sanitario.

     - Ubicazione: Distretto Sanitario nel cui ambito territoriale non risultino presenti presidi ospedalieri.

Tipo di prestazioni (indicazioni di massima)

     - Elettrocardiogramma;

     - doppler vascolare periferico;

     - compilazione di schede personali nosologiche e archiviazione di dati:

     - esame ecocardiografico bidimensionale doppler;

     - esame ecotomografico doppler vascolare periferico;

     - elettrocardiogramma da sforzo;

     - elettrocardiogramma dinamico secondo Holter;

     - studio elettrofisiologico transesofageo.

 

     4.3 Servizio di cardiologia

Finalità

     Ha il compito di assicurare a tutti i ricoverati di ogni presidio ospedaliero privo di degenza cardiologica gli accertamenti diagnostici e le prestazioni terapeutiche previsti per il secondo livello.

     Tale attività specialistica infatti si estende, oltre che ai ricoverati dell'ospedale, anche a tutti gli utenti del territorio, realizzando un'ottimizzazione delle risorse.

Area di intervento

     - Bacino di utenza: coincide con il Distretto Sanitario.

     - Ubicazione: ospedaliera, in assenza di degenza cardiologica; svolge le funzioni di ambulatorio di secondo livello.

Tipo di prestazioni (indicazioni di massima)

     - Consulenza per ricoverati del presidio;

     - tutte le prestazioni previste per l'ambulatorio di secondo livello.

 

5. ASSISTENZA IN REGIME DI DEGENZA

 

     Alcune prestazioni cardiologiche di diagnosi e cura richiedono necessariamente il ricovero in ambiente specialistico ospedaliero, dove è possibile gestire indagini cardiologiche incruente e cruente con l'utilizzo di apparecchiature sofisticate in strutture e ambienti che si possono trovare solo in alcuni presidi dove insistono altre specialità che permettono un approccio multidisciplinare del paziente. Il ricovero ospedaliero si attua nelle Unità Operative di Degenza Cardiologica e nelle Unità di Terapia Intensiva Cardiologica.

 

     5.1 Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC)

Finalità

     E' un'area riservata al trattamento intensivo di pazienti cardiopatici con patologie acute o comunque gravi che richiedono una sorveglianza intensiva.

Area di intervento

     - Bacino di utenza: unità sanitaria locale.

     - Ubicazione: nel presidio ospedaliero dell'unità sanitaria locale più dotato di posti letto e di specialità.

Tipo di prestazioni (indicazioni di massima)

     - Guardia cardiologica attiva 24/24 h e 365/365 gg.;

     - elettrostimolazione temporanea e definitiva d'urgenza;

     - trasporto protetto del paziente nell'ambito del servizio di emergenza ed urgenza Calabria Soccorso.

Dotazione di posti letto

     Come da tabella 5 della rete ospedaliera.

 

     5.2 Unità Operativa di Degenza

Finalità

     Attua interventi diagnostici e terapeutici in regime di degenza su pazienti cardiopatici non acuti ed applica le tecniche diagnostiche di un ambulatorio specialistico di secondo livello.

Area di intervento

     - Bacino di utenza: unità sanitaria locale

     - Ubicazione: presidio ospedaliero di dimensioni, di norma, superiori a 300 posti letto.

Tipo di prestazioni (indicazioni di massima)

     - Trattamento dei pazienti in degenza ordinaria;

     - consulenza per i pazienti ricoverati in altri reparti;

     - gestione di ambulatorio di secondo livello;

     - riabilitazione in regime di day-hospital.

 

     5.3 Divisione di Cardiologia

Finalità

     Effettua interventi su pazienti affetti da cardiopatie e da alterazioni dei grossi vasi toracici; il numero di interventi l'anno è quantificato, secondo gli indirizzi dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, in almeno 500.

Area di intervento

     - Bacino di utenza: Regione.

     - Ubicazione: ambiti territoriali unità sanitaria locale n. 4-7. Sezioni e posti letto

     - Blocco operatorio;

     - terapia intensiva;

     - terapia intensiva post-trapianto;

     - degenza ordinaria.

 

6. LABORATORI DI DIAGNOSTICA E TERAPIA INVASIVA

 

     6.1 Laboratorio di elettrofisiologia e cardiostimolazione Finalità

     Il laboratorio dovrebbe eseguire almeno 100 indagini di elettrocardiogramma endocavitario l'anno e non meno di 70 impianti di pacemaker l'anno.

     Quanto più intensa è l'attività del laboratorio e più elevato il numero di elettrostimolatori correttamente impiantati, tanto maggiore sarà l'efficienza e la riduzione dell'incidenza dei costi di esercizio delle strutture.

     L'esecuzione di indagini aritmologiche invasive garantisce la correttezza diagnostica nell'applicazione di dispositivi impiantabili, spesso di alto costo sociale.

Area di intervento

     - Bacino di utenza: Unità Sanitaria Locale.

     - Ubicazione: ospedaliera.

Tipo di prestazioni (indicazioni di massima)

     - Studi elettrofisiologici endocavitari;

     - applicazione di dispositivi impiantabili definitivi;

     - follow-up dei pazienti trattati;

     - studi elettrofisiologici transesofagei;

     - elettrocardiogramma dinamico secondo Holter;

     - elettrocardiogramma ad alta risoluzione.

Donazione di posti letto

     Utilizza la degenza della Unità Operativa Cardiologica.

 

     6.2 Laboratorio di emodinamica e di angiocardiografia

Finalità

     Effettua coronografia selettiva, angiocardiografie selettive, misure emodinamiche ed emogasanalitiche endocavitarie; tali procedure possono essere eseguite in forma elettiva o di urgenza.

     Il laboratorio deve eseguire al minimo 2 esami al giorno per 5 giorni la settimana e deve garantire l'urgenza 24/24 h e 365/365 gg. Area di intervento

     - Bacino di utenza: almeno 700.000 abitanti

     - Ubicazione: aziende ospedaliere

Dotazione di posti letto

     Utilizza la degenza della Unità Operativa di cui fa parte.

 

7. IL DIPARTIMENTO Dl MALATTIE DELL'APPARATO CARDIOVASCOLARE

 

     Le divisioni, le sezioni, i servizi, i centri medici, chirurgici e preventivi dei presidi ospedalieri, degli istituti a carattere scientifico e del territorio, collegati da criteri di affinità e complementarietà nell'ambito della specialità di Malattie dell'apparato cardiovascolare di ciascuna unità sanitaria locale vengono riunite - pur nel rispetto dell'autonomia di ciascuna Unità Operativa - in Dipartimenti di malattie dell'apparato cardiovascolare (DMACV).

Finalità

     - Coordinare le attività assistenziali, migliorandone la qualità e sottoponendo quest'ultima a processi di revisione critica anche attraverso l'adozione di protocolli e di linee guida concordate;

     - esprimere parere sulla ripartizione delle somme in conto capitale assegnate dalla Regione, ottimizzando così gli acquisti di attrezzature di alto costo;

     - organizzare le attività di ricerca e le indagini epidemiologiche;

     - proporre programmi per la formazione e l'aggiornamento del personale medico e paramedico;

     - proporre le modalità per la collaborazione tra strutture cardiovascolari e le altre discipline (ad esempio, Dipartimento d'Emergenza, Medicina dello sport, Medicina scolastica, Medicina del Lavoro, Medicina Nucleare, ecc.);

     - proporre programmi di prevenzione delle malattie cardiovascolari nel territorio;

     - proporre direttive per le unità operative del dipartimento.

 

     7.1 I moduli nel Dipartimento

     Le unità operative del DMACV possono essere affidate alla responsabilità di un dirigente sanitario medico di primo livello, secondo criteri di rotazione che saranno fissati dall'organo del dipartimento il cui regolamento sarà approvato dalla Giunta regionale.

     Le unità operative sono quelle che seguono:

     - le sezioni divisionali di degenza intensiva e di media assistenza e di riabilitazione del cardiopatico;

     - gli ambulatori di secondo livello di diagnostica non invasiva;

     - i servizi in presidi privi di degenza;

     - i laboratori di elettrofisiologia e di cardiostimolazione;

     - i laboratori di emodinamica e angiocardiografia;

     - i centri per la lotta contro le malattie cardiovascolari.

 

 

P) Azione programmata per assistenza ai nefropatici cronici

 

     La Nefrologia, la Dialisi e il Trapianto renale, sono problematiche di grande importanza sociale ed economica per l'alta incidenza delle nefropatie, per l'età sempre più elevata dei pazienti in dialisi, per i costi piuttosto elevati dei trattamenti di depurazione e devono essere affrontate con la consapevolezza che solo un ampio coinvolgimento di tutti gli operatori e di tutti i servizi può portare ad ottenere risultati apprezzabili nell'interesse prioritario dei pazienti.

     Gli interventi dovranno essere previsti in funzione della erogazione della migliore assistenza possibile considerato il livello attuale dello sviluppo tecnologico al minor costo finanziario e sociale.

     Gli interventi dovranno mirare alla promozione della prevenzione e della diagnosi precoce delle nefropatie, alla diffusione delle consulenze e degli ambulatori di nefrologia, all'organizzazione della rete regionale integrata dei servizi per il trattamento dialitico; collegamento funzionale delle strutture ambulatoriali e di Dialisi, alle unità operative di nefrologia quali unità di riferimento e valutazione, per ogni bacino di utenza ed alla realizzazione dell'attività di trapianto renale.

     Gli interventi da compiere sono in linea con gli indirizzi previsti nel piano sanitario nazionale e tengono conto della realtà geografica, sociale ed economica della Regione oltre che delle strutture già operanti che dovranno essere opportunamente ristrutturate, valorizzate ed eventualmente potenziate.

     Gli interventi riguardanti la nefrologia, la dialisi, e i trapianti renali, pur nella loro necessaria interdipendenza vengono trattati separatamente per le diverse problematiche che comportano e per la peculiarità della situazione del paziente uremico sottoposto a dialisi che deve raggiungere il centro di dialisi per effettuare il trattamento tre volte la settimana.

 

Dialisi

 

     Per agevolare al massimo i disagi che questi ripetuti spostamenti comportano, si ritiene necessaria una diffusione la più capillare possibile della rete dei centri di dialisi decentrata, consapevoli dei costi economici un po' più elevati anche se questa decisione consentirà un certo risparmio sui contributo del rimborso spese che il piano sanitario nazionale consiglia di prevedere anche perché ci si trova di fronte ad una popolazione dialitica di età sempre più avanzata e quindi non autosufficiente.

     Per il fabbisogno in posti dialisi per la Regione si sono utilizzati i dati che si riferiscono al numero di pazienti già in dialisi extra corporea al 31.12.1992. Tali dati risultanti dal Registro regionale di Dialisi della Società Nazionale di Nefrologia presso la divisione di nefrologia degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria.

     Ne è risultato un numero complessivo di circa 1000 pazienti che comportano 334 posti di dialisi tenendo conto che un ottimale coefficiente medio di utilizzo di ogni posto dialisi è di 3 ad 1.

     Si è proceduto poi alla quantificazione dei posti dialisi per ogni U.S.L. in funzione della popolazione residente. La dotazione dei posti dialisi e indicata nella tavola «51» del documento 2 e si distinguano in posti letto per attività di dialisi ospedaliera e posti per attività di dialisi ad assistenza limitata; le indicazioni contenute nel piano sanitario nazionale in merito all'organizzazione della rete dei servizi dialitici su quattro livelli costituiscono un vincolo nella predisposizione dei piani attuativi delle Unità Sanitarie Locali e dell'aziende ospedaliere.

     I centri di dialisi dovranno essere tra loro collegati funzionalmente ed organizzativamente e posti sotto la dirigenza e la responsabilità del Dirigente del polo nefrologico di riferimento.

 

Nefrologia e trapianto renale

 

     Le strategie da adottare in campo nefrologico devono essere volte innanzitutto alla prevenzione e diagnosi precoce delle nefropatie specie di quelle ereditarie e ciò lo si ottiene con la stretta collaborazione del medico di base con l'attività ambulatoriale nefrologica, sia ospedaliera che extraospedaliera e con la diffusione, per come suggerito dal piano sanitario nazionale, delle Unità operative di Nefrologia che dovranno assicurare la diagnostica e la terapia delle nefropatie e delle sindromi correlate.

     Si ritiene necessaria, pertanto, la costituzione di un polo nefrologico a cui faranno capo tutte le attività, con una dotazione in posti letto di degenza ospedaliera con i quali provvedere anche ai ricoveri necessari per i pazienti in dialisi, per avviare definitivamente la metodica della dialisi peritoneale e per ottenere, al termine del triennio il 15% dei pazienti in dialisi domiciliare.

 

I posti letto di nefrologia sono indicati nella tabella «5» del documento n. 2. Nella stessa tavola sono indicati i posti letto di nefrologia con trapianto da attivarsi nelle Aziende Ospedaliere.

     Il trapianto renale è la chiave di tutta la problematica nefrologica in quanto con esso si ottengono condizioni di vita ottimale per i pazienti, con costi economici di gran lunga inferiori a quelli che si hanno con i trattamenti sostitutivi.

     L'impegno di ognuno dovrà quindi essere volto all'effettuazione di tale intervento come metodica routinaria entro tempi brevissimi e di aumentare il numero dei donatori.

     La Giunta regionale entro tre mesi dall'entrata in vigore del Piano sanitario regionale costituirà un'apposita sezione nell'ambito dell'osservatorio epidemiologico ed un'apposita attività di verifica e revisione della qualità per ottimizzare i trattamenti e contenere i costi. Entro lo stesso termine sarà costituita un'apposita commissione di studio.

 

 

Q) Azione Programmata

MEDICINA VETERINARIA

Attività dei servizi medici veterinari

 

     L'ordinamento dei servizi medici veterinari, dopo l'emanazione del D.L. 502/1993 e del D.L. 517/1993, è articolato per materie omogenee nelle tre distinte aree funzionali che, per esigenze di esposizione si ritiene opportuno snellire le definizioni delle aree funzionali identificando:

     - per AREA «A» l'area funzionale di Sanità Animale;

     - per AREA «B» l'area funzionale di Igiene della Produzione, Trasformazione, Commercializzazione, Conservazione, Trasporto e Somministrazione degli alimenti di origine animale e loro derivati;

     - per AREA «C» l'area funzionale di Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni Zootecniche.

     Sono funzioni comuni alle tre aree:

     a) l'educazione sanitaria relativa all'igiene e alla sanità pubblica medico-veterinaria;

     b) la raccolta dei dati statistici, l'esecuzione di osservazioni e rilevamenti programmati dall'unità sanitaria locale o promossi dalla Regione, accertamenti e certificazioni.

     I servizi veterinari sono istituiti in ogni unità sanitaria locale ed articolati nelle tre aree funzionali di cui all'articolo 7 del decreto legislativo di riordino; le unità sanitarie locali nei piani attuativi prevederanno le funzioni dei servizi veterinari da garantire a livello di distretto sanitario ed i relativi organici.

     Con successiva legge regionale sarà stabilita l'organizzazione del dipartimento di prevenzione di cui al citato articolo 7 e le norme regionali di attuazione della legge 21 gennaio 1994 n. 61.

 

 

R) Azione programmata [1]

 

ASSISTENZA, DIAGNOSI, STUDIO E RICERCA DELLE EPILESSIE»

 

Introduzione

     L'epilessia è una sindrome di grande importanza medico-sociale:

     - per la sua prevalenza [1 per cento] ed incidenza [50 nuovi casi ogni 100.000 abitanti];

     - per il fatto di costituire una sindrome cronica, che può durare tutta la vita;

     - poiché, oltre al campo medico, coinvolge, in alta percentuale di casi, anche quello della psicologia, della pedagogia e della sociologia, creando serie difficoltà di inserimento sociale, a livello della famiglia, della scuola e del mondo del lavoro.

     - Sulla base dei dati di cui sopra, in Calabria risiedono attualmente circa 20.000 pazienti epilettici e si verificano circa 1000 nuovi casi di epilessia per anno.

     - In Calabria non vi sono strutture adeguate per assistenza, diagnosi, cura e ricerca delle epilessie. Allo stato attuale, infatti, la diagnosi e la cura dei pazienti epilettici è affidata, oltre che ai reparti o servizi di neurologia, anche ai reparti di medicina interna, pediatria, psichiatria, neurochirurgia che, proprio per le loro diversificate competenze, non possiedono strutture e conoscenze omogenee ed idonee per risolvere in modo unitario i complessi problemi diagnostici e terapeutici di questi pazienti.

     - Si ritiene pertanto necessario creare un «Centro Regionale per assistenza, diagnosi, studio e ricerca delle epilessie».

 

Obiettivi del Centro

     1) assistenza, diagnosi e cura con le più moderne indagini neurofisiologiche, di neuroimaging, neuropsicologiche e di laboratorio, sia in regime ambulatoriale, che in regime di degenza;

     2) prevenzione dell'incidenza dei nuovi casi e degli handicaps connessi con la malattia;

     3) ricerca nell'ambito dell'epilettologia clinica e

dell'epidemiologia;

     4) didattica volta alla formazione ed all'aggiornamento degli operatori;

     5) educazione sanitaria della popolazione e di aggiornamento degli operatori.

 

Allocazione del Centro

     Azienda Ospedaliera Bianchi-Melacrino-Morelli di RC, nella quale non esiste un reparto di Neurologia. L'attuale Piano Sanitario Regionale (Legge regionale 3 aprile 1995, n. 9) assegna 20 posti letto ad una costituenda divisione di Neurologia in questa Azienda Ospedaliera. Si ritiene pertanto necessario utilizzare almeno 10 posti letto previsti dal Piano Sanitario Regionale per il Centro Regionale di assistenza, diagnosi, studio e ricerca delle epilessie.

 

Organizzazione e strutturazione del Centro [3]

     1. Personale:

     a) Direttore: la direzione del centro sarà affidata al dirigente preposto alla direzione dell'Unità Operativa o Struttura Complessa di Neurologia dell'Azienda Ospedaliera di Reggio Calabria;

     b) Personale medico di ruolo: n. 5 specialisti neurologi con comprovata esperienza in ambito epilettologico, della diagnostica neurofisiologica o neuropsicologica, inquadrati nel ruolo della dirigenza sanitaria;

     c) Personale parasanitario: n. 7 di cui 6 infermieri professionali e n. 1 operatore tecnico addetto all'assistenza;

     d) Tecnici di neurofisiopatologia: n. 4 con diploma universitario di tecnico di neurofisiopatologia;

     e) Psicologi: n. 2 iscritti all'albo professionale degli psicologi e psicoterapeuti;

     f) Addetti alla segreteria: n. 2;

     g) Esperti in informatica o statistica: n. 1;

     h) Personale medico e paramedico in formazione: fornito d'intesa con l'Università di Catanzaro.

     2. Le unità di personale di cui ai punti b, c, d, e, f, g, saranno fornite dall'Azienda Ospedaliera di Reggio Calabria con le seguenti modalità: mobilità interna dalla stessa Azienda Ospedaliera al Centro, concorsi pubblici, contratti di diritto privato.

     3. Strutture. I dieci posti letto afferiscono all'unità operativa di Neurologia.

 

 

Finanziamenti

     1) Spese di investimento

     Riguardano l'acquisto di attrezzature di diagnostica neurofisiologica, neurofarmacologica e neuropatologica, di ristrutturazione ed arredi dei locali e di computer in rete con accessori.

     Il costo complessivo della spesa è di lire 1.000.000.000.

     2) Spese correnti del Centro

     Per le spese relative ad aggiornamento informatico, telefonia, fax, acquisto di libri, periodici scientifici ed altro materiale didattico- scientifico, aggiornamento e qualificazione del personale è previsto un onere annuale di 150.000.000 di lire.

     3) Spese per contratti a termine

     Per le spese relative all'indennità del Direttore ed al personale medico, paramedico, amministrativo, tecnico e laureato per il conseguimento degli obiettivi del Centro si farà fronte con i fondi regionali appositamente stanziati.

 

Convenzioni

     Per il funzionamento del Centro Regionale di Diagnosi e Cura dell'Epilessia dovrà essere realizzata un'apposita convenzione attuativa fra Regione Calabria ed Azienda Ospedaliera Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio Calabria.

 

Ricadute per la Regione Calabria

     1) Miglioramento degli standards qualitativi di assistenza dei pazienti con epilessia;

     2) Risparmio economico attraverso:

     a) prevenzione delle complicanze e degli handicaps connessi con la malattia;

     b) razionalizzazione della spesa per esami diagnostici e consumo di farmaci;

     c) arresto del fenomeno dell'emigrazione della salute.

 

Ricadute per l'Azienda Ospedaliera Reggio Calabria

     1) Acquisizione di competenze specialistiche epilettologiche, neurologiche e neurofisiologiche;

     2) Miglioramento tecnologico;

     3) Incremento delle prestazioni (esami strumentali e clinici) erogate sul territorio.

 

 

S) Azione programmata [2]

 

ASSISTENZA, DIAGNOSI, STUDIO E RICERCA DELLE PATOLOGIE NEUROGENETICHE

 

1. Introduzione

     Le malattie genetiche che compromettono il Sistema Nervoso Centrale e Periferico sono un rilevante problema di sanità pubblica, data la gravità e la mancanza di terapie per la maggior parte di esse. L'avanzamento delle tecnologie e la nascita della biologia molecolare hanno però concretamente contribuito alla identificazione delle cause aprendo la strada a possibili strategie terapeutiche.

     La Calabria è il terreno ideale per lo studio di queste patologie, ritrovandosi contemporaneamente e straordinariamente insieme una serie di condizioni favorevoli.

     La popolazione calabrese, pur etnicamente varia nella sua strutturazione, è stata di fatto negli ultimi secoli relativamente stabile. Si sono verificate molte emigrazioni ma poche immigrazioni e ciò ha fatto si che il pool genico della popolazione calabrese sia rimasto costante nel tempo. Questo fenomeno, unitamente alle caratteristiche geografiche della Regione, ha favorito una "consanguineità" di popolazione, tale da dar luogo alla comparsa di malattie geniche recessive, anche rarissime (Ceroidlipofuscinosi, Polineuropatie sensomotorie ereditarie, Mucopolisaccaridosi, etc.).

     Anche patologie dominanti, che non risentono della consanguineità di popolazione, presentano tuttavia "addensamenti" in Calabria: Malattia di Alzheimer ereditaria, Atassia Cerebellare di tipo 1 (ADCA), Demenze Cortico-Sottocorticali, Neurofibromatosi, Sclerosi Tuberosa.

     Esistono, inoltre, zone in cui sono presenti "addensamenti" di psicosi maggiori (Schizofrenia, Psicosi Maniaco-Depressiva).

     La causa è probabilmente legata, ancora una volta, alle caratteristiche della Regione: la difficoltà delle vie di comunicazione ed il relativo isolamento della popolazione hanno prodotto un meccanismo noto in genetica come "effetto fondatore", per cui i discendenti di un individuo affetto, vissuto in epoche remote, sono ancora oggi tutti vicini geograficamente.

     L'elevata concentrazione di patologie rare, quindi, la popolazione relativamente stabile, unite alla buona conservazione di archivi di Ufficio di Stato Civile e Parrocchiali, in alcune zone già dal 1500, rendono la Calabria unica e preziosa per gli studi di genetica delle malattie del Sistema Nervoso.

     La rapida urbanizzazione, lo sviluppo di reti di comunicazione viarie più efficienti e la graduale scomparsa di una cultura contadina, che ha caratterizzato nei secoli la Calabria, porterà nel tempo alla perdita delle caratteristiche genotipiche della popolazione calabrese. I gruppi etnici presenti oggi nella regione rappresentano un patrimonio prezioso per lo studio delle malattie eredo-famigliari così come in precedenza gli Amish della Pennsylvania, gli Ebrei Askenazy, la popolazione Finlandese.

 

2. Finalità

     Le malattie genetiche rappresentano un modello unico per lo studio delle cause di numerose patologie sia familiari che acquisite. Lo sviluppo di nuove metodologie di studio, principalmente di biologia molecolare, ha permesso la comprensione dei meccanismi patogenetici di numerose malattie geniche, la identificazione dei geni responsabili e delle alterazioni molecolari e biochimiche alla base di tali patologie. Ciò ha reso possibile la diagnosi precoce di malattie la cui identificazione precedentemente richiedeva l'instaurarsi di un quadro sintomatologico e semeiologico completo.

     La conoscenza del difetto molecolare e la disponibilità di tecniche diagnostiche di elevata sensibilità e specificità permette lo screening precoce dei soggetti a rischio di ammalare e la possibilità di intervenire in fase presintomatica e di operare una efficace prevenzione nelle patologie ad esordio neonatale.

     La metodologia impiegata per l'identificazione del locus genico responsabile di una malattia monogenica si basa essenzialmente su studi di linkage che dimostrano la cosegregazione di polimorfismi genetici con la malattia. Da questa informazione si ottiene la localizzazione cromosomica grossolana del locus implicato, da cui con strategie di "clonaggio posizionale" si arriva all'identificazione ed al sequenziamento del gene responsabile. Studiando la cascata di eventi che dal gene alterato provoca la malattia, è teoricamente possibile intervenire con strategie terapeutiche atte a bloccare il processo patogenetico. Infine con il crescente perfezionamento delle tecniche di ingegneria genetica si può arrivare a sostituire o affiancare il gene mutato con una copia normale e funzionante (terapia genica).

     La base di intervento della biologia molecolare è costituita dagli ampi pedigrees, estesi sia in orizzontale (elevato numero di affetti contemporaneamente viventi) che in verticale (elevato numero di generazioni ricostruite), tali da fornire significatività statistica allo studio di linkage. Quando poi, come in Calabria, sia fortemente probabile l'origine comune dei vasti pedigrees ricostruiti, è possibile identificare il gene tramite lo studio degli aplotipi (linkage disequilibrium).

     Il progetto si inserisce quindi nelle linee attualmente in grande sviluppo nella ricerca internazionale proponendo di isolare e studiare gli ampi pedigrees calabresi in cui segregano malattie ereditarie e su cui sia possibile effettuare studi di epidemiologia genetica, genetica formale, molecolare e biochimica al fine di prevenire e curare le patologie suddette.

     La Regione Calabria ha quindi la possibilità di assumere un ruolo trainante nel campo della assistenza e della ricerca scientifica neurogenetica internazionale.

     Tramite l'utilizzazione della propria memoria storica la Calabria può contribuire alla individuazione delle cause e al trattamento di patologie altamente invalidanti per le quali, con le tecnologie offerte dalla genetica molecolare, si aprono nuove strategie terapeutiche.

 

3. Strutture esistenti

     Nella Regione non esiste una struttura assistenziale centralizzata cui afferiscano le patologie neurogenetiche. Il materiale biologico (DNA) proveniente da pazienti affetti da patologie rare è da sempre stato inviato in centri nazionali o internazionali, con il frequente risultato di "perdere" il rapporto indispensabile tra clinica e genetica molecolare. Gli studi di linkage per l'identificazione dei geni hanno infatti necessità di un aggiornamento clinico costante, è indispensabile conoscere cioè il rischio genetico di un individuo e il suo status clinico (malato/sano) nei vari momenti della sua vita, dalla nascita fino all'età senile.

     Le collaborazioni nazionali e internazionali, validissime sul piano culturale e scientifico, tendono a volte a risentire dell'assenza di questa stretta interazione.

     Lo studio delle patologie neurogenetiche è stato finora affidato più all'inventiva dei singoli che non ad iniziative "istituzionali". E' in questo senso che si colloca il lavoro del gruppo di Lamezia Terme (Bruni, Montesi), riconosciuto e finanziato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche dal 1984 con l'istituzione di una Unità Operativa (U.O.), afferente al Progetto Strategico per il Mezzogiorno: Network per la raccolta di materiale biologico negli studi di biologia molecolare del Sistema nervoso.

     Dal 1981, in collaborazione con l'Ospedale della Salpetriere di Parigi, ha inizio lo studio clinico, genetico formale ed epidemiologico della Malattia di Alzheimer genetica. La malattia è generalmente rara, ma in Calabria sono stati identificati molti casi ad esordio giovanile, ricondotti in oltre dieci anni di lavoro a poche famiglie.

     L'originale metodo di studio (clinico-genealogico) consente negli anni la ricostruzione di enormi alberi genealogici (alcuni risalenti fino al 1600), in cui è possibile seguire le linee di trasmissione della malattia e stabilire in termini probabilistici lo stato di affezione di soggetti vissuti nei secoli passati.

     Tale lavoro, unico al mondo, ha sempre suscitato l'interesse della comunità scientifica internazionale, stimolando un sempre maggior numero di collaborazioni, e rendendo il gruppo di Lamezia punto di riferimento per lo studio della Malattia di Alzheimer. Lo studio ha prodotto il grande, recentissimo risultato della identificazione e clonazione del gene AD3 responsabile del 70 per cento delle forme familiari di MA ad esordio precoce (Sherrington et al. 1995).

     Negli anni a seguire, la ricerca si è sempre più caratterizzata come studio di epidemiologia genetica e moltissime altre sono state le patologie ereditarie studiate con lo stesso metodo e per le quali sono ancora in corso gli studi di biologia molecolare.

 

4. Strategia

     Da quanto detto finora emerge l'importanza della creazione di un Centro Regionale di Neurogenetica cui possano afferire i pazienti affetti da malattie ereditarie del Sistema Nervoso provenienti dal territorio calabrese.

     Gli obiettivi del Centro possono essere schematizzati in tre gruppi, realizzati da tre settori cooperanti:

 

Obiettivo 1

Settore clinico-genetico epidemiologico

     A - Identificazione delle famiglie con patologie genetiche

     B - Diagnosi

     C - Epidemiologia

     D - Informatizzazione

     E - Genetica formale

 

Obiettivo 2

Banca di DNA e Tessuti Biologici

     A - Acquisizione e conservazione di materiale biologico proveniente dalle famiglie identificate

 

Obiettivo 3

Laboratorio di genetica molecolare e Terapia genica

     A - Ricerca delle anomalie geniche (se non note)

     B - Diagnosi molecolare

     C - Terapia genica

     D - Protocolli riabilitativi

     L'articolazione e l'organizzazione sarà definita con provvedimento della Giunta regionale, previe intese da raggiungere con l'Azienda Unità Sanitaria Locale n. 6 di Lamezia Terme, l'Università degli Studi di Reggio Calabria - Facoltà di Medicina e Chirurgia di Catanzaro, l'Associazione per la ricerca neurogenetica di Lamezia Terme e altri soggetti pubblici e privati interessati.

 

5. Organizzazione e strutturazione

     Per raggiungere gli obiettivi esposti nei precedenti punti sarà costituito, con provvedimento della Giunta regionale, un Comitato Tecnico Scientifico, che durerà in carica 5 anni e sarà così composto:

     a) l'Assessore regionale alla sanità, o suo delegato, con funzioni di Presidente;

     b) il Direttore di cattedra e U.O. di Neurologia della Facoltà di Medicina di Catanzaro;

     c) un membro esperto designato dalla Facoltà di Farmacia di Catanzaro;

     d) un rappresentante dell'Azienda U.S.L. n. 6 di Lamezia Terme;

     e) il Direttore del Centro, quando nominato.

 

Locali e personale

     I locali idonei a contenere tutta l'attività del Centro saranno messi a disposizione, tramite apposita convenzione, dall'Azienda U.S.L. n. 6 di Lamezia Terme, che assicurerà anche il personale operante nel settore. Detto personale se trasferito da altre U.L.S.S., nel centro, dovrà essere sostituito. La scelta ricade sull'Azienda U.S.L. n. 6 per la presenza dell'equipe già operante nello specifico campo, oltre che per la centralità regionale.

 

Supporto clinico e strumentale

     Il supporto clinico e strumentale per la diagnosi sarà offerto, tramite apposita convenzione, dal Dipartimento di Scienze Neurologiche dell'Università degli Studi di Reggio Calabria - Facoltà di Medicina di Catanzaro, che assicurerà anche un "turn-over" di specializzandi.

 

Supporto per la ricerca e l'assistenza

     L'Associazione per la Ricerca Neurogenetica di Lamezia Terme, non ha fini di lucro, sorta con lo scopo di supportare la ricerca e l'assistenza nel campo delle malattie neurologiche genetiche, fornirà, tramite apposita convenzione, le attrezzature minime necessarie per attivare la prima fase del progetto.

     L'Associazione, inoltre, sarà di aiuto all'opera di sensibilizzazione e informazione della popolazione.

 

 

Competenze

 

     AREA «A»

 

     Afferiscono alla competenza di questa Area le funzioni tecniche e amministrative in materia di:

     a) Polizia Veterinaria e Zoonosi;

     b) Profilassi antirabbica e lotta al randagismo;

     c) Profilassi derivanti da obblighi internazionali e da leggi dello Stato e Regionali;

     d) Identificazione e anagrafe degli animali e degli allevamenti;

     e) Vigilanza sull'esercizio della libera professione e delle arti e dei mestieri d'interesse medico veterinario.

 

     AREA «B»

 

     Afferiscono alla competenza di questa Area le funzioni tecniche ed amministrative in materia di:

     a) Ispezione, controllo e vigilanza sulla produzione, trasformazione, trasporto, conservazione, commercializzazione e distribuzione dei prodotti a base di carne, dei prodotti della pesca e acquacoltura, del latte, delle uova e dei prodotti a base di uova, del miele e rispettivi derivati;

     b) Ispezione, controllo e vigilanza sugli impianti, le tecnologie ed i mezzi adibiti alla produzione, trasformazione, trasporto, conservazione, commercializzazione e distribuzione degli alimenti di origine animale e loro derivati.

 

     AREA «C»

 

     Afferiscono alla competenza di questa Area le funzioni tecniche e amministrative in materia di:

     a) Vigilanza e controllo sulle concentrazioni degli animali e sui ricoveri, anche in relazione agli ambienti rurali, silvestre ed acquatico:

     b) Igiene degli allevamenti e produzione zootecniche;

     c) Vigilanza e controllo sugli impianti di acquacolture;

     d) Vigilanza e controllo sulla fauna dei parchi naturali montani e marini;

     e) Igiene urbana medico veterinaria;

     f) Farmacovigilanza;

     g) Vigilanza e controllo sulla produzione, commercializzazione e somministrazione degli alimenti destinati agli animali:

     h) Vigilanza e controllo sugli impianti per la utilizzazione degli avanzi animali e sul loro trasporto;

     i) Vigilanza e controllo sulla riproduzione animale;

     l) Vigilanza e controllo sulla sperimentazione animale;

     m) Vigilanza e controllo dell'assistenza zooiatrica per come già previsto dalla L.R. n. 30/84;

     n) Controllo del benessere animale.

 

Servizi medici veterinari regionali

 

     I servizi medici veterinari regionali, per come previsto alla legge regionale n. 30/84 art. 5 e in ottemperanza al richiamato disposto del D.L. 502 sono istituiti nelle tre aree funzionali:

     1) Sanità animale

     2) Igiene delle produzioni, trasformazione, commercializzazione, conservazione, trasporto e somministrazione degli alimenti di origine animale e loro derivati;

     3) Igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche.

     Ad ogni servizio e preposto un medico veterinario dirigente di 2° livello in possesso della specifica idoneità e sono attribuiti almeno un medico veterinario dirigente di 1° livello dirigenziale, specializzati nelle corrispondenti discipline.

     Inoltre, a ciascun servizio viene attribuito personale amministrativo e tecnico in numero e di livello adeguati alle rispettive esigenze.

 

Competenze

 

     I servizi medici veterinari regionali hanno la funzione di raccordo tra la Direzione Generale dei servizi Medici Veterinari del Ministero della Sanità e dei servizi delle unità sanitarie locali.

     I servizi di cui sopra informeranno tempestivamente il Presidente della Giunta regionale di ogni circostanza che possa comportare provvedimenti di urgenza ai sensi dell'art. 32, terzo comma della legge 23.12.1978 n. 833, nonché i casi di inadempienza dell'autorità sanitaria locale per le ordinanze prescritte dalla legge in materia di igiene e sanità medico veterinaria.

     Hanno inoltre il compito della programmazione degli interventi di interesse medico veterinario, a tutela dei consumatori degli alimenti di origine animale e della sanità animale, in collaborazione con l'istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno. I suddetti servizi provvederanno in particolare:

     a) coordinamento tecnico, assistenza e consulenza ai servizi medici veterinari delle unità sanitarie locali:

     b) coordinamento tecnico-funzionale del DD.MM. 184 e 185/91 e dei piani di risanamento e profilassi degli allevamenti in ambito regionale;

     c) distribuzione gratuita, tramite le unità sanitarie locali, dei prodotti biologici e medicamenti forniti dallo Stato e dalla Regione per le attività di competenza dei servizi medici veterinari periferici;

     d) collegamenti tecnico-funzionale con i servizi dell'Assessorato regionale dell'Agricoltura.

 

 


[1] Legge abrogata dall’art. 22 della L.R. 19 marzo 2004, n. 11.

[1] Lettera e rispettivo allegato aggiunti dall'art. 1 della L.R. 10 dicembre 1996, n. 38.

[2] Lettera e rispettivo allegato aggiunti dall'art. 1 della L.R. 10 dicembre 1996, n. 37.

[1] Lettera e rispettivo allegato aggiunti dall'art. 1 della L.R. 10 dicembre 1996, n. 38.

[3] Così modificato dall'art. 2 della L.R. 27 dicembre 2000, n. 22.

[2] Lettera e rispettivo allegato aggiunti dall'art. 1 della L.R. 10 dicembre 1996, n. 37.