§ 98.1.38705 - Circolare 19 dicembre 1997, n. 320/E .
Decreto legislativo 8 ottobre 1997, n. 358, recante disposizioni in materia di riordino della disciplina delle operazioni di cessione e [...]


Settore:Normativa nazionale
Data:19/12/1997
Numero:320

§ 98.1.38705 - Circolare 19 dicembre 1997, n. 320/E .

Decreto legislativo 8 ottobre 1997, n. 358, recante disposizioni in materia di riordino della disciplina delle operazioni di cessione e conferimenti di aziende e di partecipazioni di controllo o di collegamento, fusione, scissione e permuta di partecipazioni.

 

Pubblicata nella Gazz. Uff. 30 dicembre 1997, n. 302, S.O. Emanata dal Ministero delle finanze.

 

 

Alle Direzioni regionali delle entrate 

 

Agli uffici unici delle entrate 

 

Agli uffici distrettuali delle imposte dirette 

 

Agli uffici dell'imposta sul valore aggiunto 

 

Ai centri di servizio delle imposte dirette 

 

Alle direzioni centrali del Dipartimento delle entrate 

 

Alla Direzione generale degli affari generali e del personale 

 

Al Dipartimento del territorio 

 

All'ufficio del segretario generale 

 

Al Servizio centrale degli ispettori tributari 

 

Al Comando generale della Guardia di finanza 

 

 

Premessa

L'articolo 4 risponde all'esigenza di neutralizzare l'imposizione sulle plusvalenze latenti o i valori di avviamento presenti presso la conferente ed evidenziati nella perizia di cui all'articolo 2343 c.c. costituendo, pertanto, un regime particolare applicabile ad una circoscritta platea di soggetti ai quali è comunque data facoltà di avvalersi del regime generale previsto dall'articolo 3.

L'articolo 5 regola la disciplina fiscale degli scambi di partecipazioni attraverso i quali una società od ente acquisisce il controllo di altra società od ente.

L'articolo 6 interviene sul regime fiscale delle fusioni e scissioni, dettando regole in materia di trattamento dei disavanzi che ne possono derivare.

L'articolo 7 attua la delega in materia di norma antielusiva, modificando la disciplina contenuta nell'articolo 10 della legge n. 408 del 1990.

L'articolo 8, in ossequio alle indicazioni contenute nella lettera d) del comma 161 dell'articolo 3 della legge n. 662 del 1996, contiene disposizioni in materia di riportabilità delle perdite sia per consentirla senza limiti temporali con riferimento alle imprese di nuova costituzione sia per escluderne l'utilizzo in talune ipotesi.

L'articolo 9 reca, infine, disposizioni relativamente alla decorrenza e all'attuazione delle norme contenute nei precedenti articoli.

Per completezza di argomento si rileva che il decreto legislativo in esame non reca alcuna novità ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro alle operazioni di cui si tratta alle quali, pertanto, continuerà ad applicarsi la disciplina del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.

Ai sensi della predetta normativa, e più precisamente dell'articolo 4 della Tariffa, parte I, allegata al suddetto T.U., i conferimenti di proprietà o diritto reale di godimento su aziende o su complessi aziendali relativi a singoli rami dell'impresa sono assoggettati all'imposta proporzionale nella misura dell'1 per cento (articolo 4, lettera a), punto 3)).

Tuttavia, qualora il conferimento sia fatto da una società ad altra società esistente o da costituire torna applicabile l'imposta di registro nella misura fissa, attualmente determinata in lire 250.000. Lo stesso trattamento è previsto per operazioni analoghe poste in essere da enti diversi dalle società (articolo 4, lettera b)).

Tale ultima previsione è stata introdotta dall'articolo 10, comma 5, lettera c), del decreto legge 20 giugno 1996, n.323, convertito dalla legge 8 agosto 1996, n.425 con il quale è stata, inoltre, prevista per gli atti di fusione e scissione l'applicazione della sola imposta fissa di registro nella misura di lire 250.000.

Ovviamente, ai fini della determinazione della base imponibile dei trasferimenti di aziende, continueranno ad applicarsi gli articoli 50 e 51 del già citato T.U. delle disposizioni concernenti l'imposta di registro. In particolare il comma 4 dell'articolo 51 prevede che si debba fare riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l'azienda, compreso l'avviamento, al netto delle passività - come già precisato dall'Amministrazione finanziaria - ed esclusi i mobili iscritti negli appositi pubblici registri (articolo 7 della Tariffa, parte I, allegata al citato T.U.), in guanto sottoposti ad autonoma tassazione, nonché le passività che espressamente si riferiscono a tali beni.

Sulla base imponibile così determinata continueranno ad applicarsi per gli atti di cessione di azienda le aliquote relative alla natura dei beni ceduti.

In relazione alle menzionate disposizioni del decreto legislativo n. 358 del 1997, si forniscono i seguenti chiarimenti, facendo riserva di impartire ulteriori istruzioni relativamente alla norma antielusiva di cui all'articolo 7 con riferimento alla evoluzione, anche giurisprudenziale, che si formerà al riguardo.

 

 

Capitolo I

Disposizioni in materia di operazioni di riorganizzazione delle attività produttive.

1. Imposta sostitutiva sulle plusvalenze da cessione di azienda o di partecipazioni di controllo o di collegamento

2. Conferimenti di aziende e di partecipazioni di controllo o di collegamento

3. Scambio di partecipazioni (articolo 5)

4. Regime dei disavanzi derivanti da operazioni di fusione e di scissione di società (articolo 6)

5. Disciplina dell'imposta sostitutiva (art. 2)

 

 

1. Imposta sostitutiva sulle plusvalenze da cessione di azienda o di partecipazioni di controllo o di collegamento

1.1 Premessa

1.2 Plusvalenze da cessione di azienda

1.3. Plusvalenza da cessione di partecipazioni di controllo o di collegamento

1.4 Regimi di tassazione delle plusvalenze dei beni

 

 

1.1 Premessa

Con l'articolo 1 del citato decreto legislativo n. 358 del 1997, è stata data attuazione all'articolo 3, comma 161, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che prevede per le plusvalenze realizzate a seguito della cessione di aziende, complessi aziendali, partecipazioni in società controllate o collegate, l'istituzione di un regime opzionale di imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi, con aliquota non superiore a quella applicata alla cessione di partecipazioni qualificate ai sensi del comma 160 del medesimo articolo 3 della legge n. 662 del 1996.

In particolare, con l'articolo 1 in esame è stata istituita un'imposta sostitutiva, con l'aliquota del 27 per cento, sulle plusvalenze derivanti da:

1) cessione di aziende possedute per un periodo non inferiore a tre anni (comma 1);

2) cessione di partecipazioni di controllo o di collegamento iscritte come tali nelle immobilizzazioni finanziarie degli ultimi tre bilanci (comma 3).

Si fa presente che con il provvedimento in esame si intende attribuire un regime fiscale di agevolazione a tutte le operazioni attraverso cui normalmente si effettuano i trasferimenti di aziende.

Dato che il trasferimento delle aziende nella realtà economica avviene non soltanto mediante la cessione diretta delle aziende stesse ma anche con la cessione di partecipazioni che attribuiscono un effettivo potere di gestione nelle società che detengono le aziende che si intendono cedere, la norma in esame detta una disciplina che riguarda non soltanto le plusvalenze derivanti da cessioni di aziende ma anche quelle derivanti dalla cessione di partecipazioni che consentono di esercitare il controllo o il collegamento nella società che detiene le aziende che si intendono cedere.

Va altresì sottolineato che, per effetto dell'articolo 9, comma 1, del decreto n. 358 del 1997 in esame, la norma che disciplina le cessioni di aziende e quelle di partecipazioni di controllo o di collegamento trova applicazione per le cessioni poste in essere dalla data di entrata in vigore del citato decreto (quindi dall'8 novembre 1997).

 

 

1.2 Plusvalenze da cessione di azienda

1.2.1 Ambito soggettivo

Con riferimento ai soggetti che possono avvalersi della disposizione in commento si precisa che, in merito all'ipotesi di cessione di aziende possedute per un periodo non inferiore a tre anni, la norma stessa si riferisce a tutti i soggetti che realizzano una plusvalenza, determinata ai sensi dell'articolo 54 del TUIR, esclusi i casi di realizzo nel corso di una procedura concorsuale. Ne consegue che il regime agevolativo in esame si rende applicabile nelle ipotesi di plusvalenze per cessioni di aziende realizzate in caso di liquidazione ordinaria.

Ai fini dell'individuazione dell'ambito soggettivo di applicazione della norma agevolativa, è necessario che sussistano entrambe le seguenti condizioni:

a) che si tratti di cessioni effettuate da parte dei soggetti di seguito specificati;

b) che le cessioni medesime diano luogo a plusvalenze da determinarsi ai sensi dell'articolo 54 del TUIR.

Considerato che le plusvalenze suscettibili di imposizione sostitutiva sono quelle di cui all'articolo 54 del TUIR, ne discende che la norma agevolativa si rivolge ai soggetti che conseguono la plusvalenza nell'esercizio di attività commerciali sia in regime di contabilità ordinaria sia in regime di contabilità semplificata.

Inoltre, la norma in esame si applica anche in caso di cessione dell'unica azienda da parte dell'imprenditore individuale che ha concesso in affitto o in usufrutto l'azienda medesima, ferma restando ovviamente l'ulteriore condizione del possesso triennale di cui si dirà nel prosieguo. Infatti, ai sensi dell'articolo 81, lett. h), ultimo periodo, del TUIR, sebbene l'anzidetta cessione da parte dell'imprenditore individuale configuri un reddito diverso, tale reddito va determinato secondo le regole dell'art. 54 del TUIR medesimo (in tal senso si confronti l'articolo 85, comma 2, del TUIR).

Pertanto, poiché anche in tale ipotesi l'azienda concessa in affitto o in usufrutto si trasferisce ad altro soggetto che esercita attività d'impresa, ne consegue che l'ipotesi medesima risponde anch'essa alle specifiche finalità del provvedimento concernente le ristrutturazioni.

1.2.2 Ambito oggettivo

Con riferimento alle cessioni di aziende, va precisato che nel termine "cessione" si comprendono solo le cessioni a titolo oneroso, mentre ne sono escluse quelle a titolo gratuito, tenuto conto del tenore letterale della norma che fa riferimento alle "plusvalenze realizzate", con ciò ricollegandosi alla previsione di cui al comma 1, lettera a), dell'articolo 54 del TUIR che riguarda le plusvalenze dei beni relativi all'impresa realizzate "mediante cessione a titolo oneroso".

Ai fini dell'individuazione della nozione di cessione, si precisa che la norma intende agevolare esclusivamente le ipotesi di trasferimento a titolo definitivo della proprietà dell'azienda; conseguentemente non rientrano nell'ambito applicativo della disposizione stessa gli atti che comportano la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento, quali, ad esempio, l'usufrutto dell'azienda.

Infatti, come è stato ricordato in precedenza, la norma in esame intende facilitare solo le operazioni di ristrutturazione aziendale che danno luogo al trasferimento definitivo dell'azienda mentre, nell'ipotesi di costituzione di un diritto reale di godimento qual è il diritto di usufrutto, l'usufruttuario deve continuare ad esercitare l'azienda sotto la ditta che la contraddistingue al fine di conservare integro il valore di avviamento e deve, inoltre, gestire l'azienda senza modificarne la destinazione in modo da conservare l'efficacia dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte (in tal senso, si veda l'articolo 2561 del codice civile).

Rientrano nella nozione di cessione anche le ipotesi di assegnazione, di conferimento e di permuta dell'azienda.

Con riferimento al termine "aziende", si precisa che esso va inteso in senso ampio, comprensivo cioè anche delle cessioni di complessi aziendali relativi a singoli rami dell'impresa.

Va precisato, comunque, che la cessione deve riguardare l'azienda o il complesso aziendale nel suo insieme, quindi quale "universitas" di beni materiali, immateriali e di rapporti giuridico-economici suscettibili di consentire l'esercizio dell'attività di impresa e non i singoli beni che compongono l'azienda stessa. Pertanto, nell'ipotesi in cui l'imprenditore ponga in essere una serie di contratti di cessione aventi ad oggetto singoli beni dell'azienda, non potrà applicarsi la norma in esame, anche se, nel complesso, viene ceduta l'intera azienda.

Con riferimento al requisito del possesso per un periodo di tempo non inferiore a tre anni, si precisa che tale termine va computato, ai sensi dell'articolo 2963 del codice civile, avendo riguardo al giorno in cui l'azienda è stata acquisita o l'impresa si è costituita indipendentemente dall'acquisto dei singoli beni che concorrono alla formazione dell'azienda. Così, ad esempio, nel caso in cui un imprenditore acquisti il 30 giugno 1996 un macchinario per la propria azienda, costituita il 10 maggio 1994, e ceda l'azienda il 30 novembre 1997, egli potrà avvalersi della disposizione agevolativa in commento.

Si fa presente, inoltre, che in caso di cessione di azienda precedentemente concessa in affitto o in usufrutto, ai fini della sussistenza del requisito triennale, si tiene conto anche del periodo in cui l'azienda è stata concessa in affitto o in usufrutto.

 

 

1.3. Plusvalenza da cessione di partecipazioni di controllo o di collegamento

1.3.1 Ambito soggettivo

Il comma 3 dell'articolo 1 prevede un'imposta sostitutiva sulle plusvalenze da cessioni di partecipazioni di controllo o di collegamento.

Condizione per l'applicazione di tale regime è che tali partecipazioni, risultino iscritte negli ultimi tre bilanci come partecipazioni di controllo o di collegamento tra le immobilizzazioni finanziarie.

L'espresso riferimento al bilancio contenuto nella norma agevolativa consente di ritenere che la stessa si rivolge solo ai soggetti che conseguono la plusvalenza nell'esercizio di attività commerciali in regime di contabilità ordinaria.

1.3.2 Ambito oggettivo

Premesso che con riferimento al termine "cessione" valgono le considerazioni svolte relativamente alla cessione di aziende, la nozione di "controllo o di collegamento" è quella che risulta dall'articolo 2359 del codice civile.

In particolare, con riferimento al concetto di "controllo", il generico richiamo all'articolo 2359 del codice civile comporterebbe la rilevanza, ai fini dell'applicazione della norma in esame, sia del controllo di diritto (art. 2359, comma 1, n. 1), derivante dalla disponibilità della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria, sia del controllo di fatto (art. 2359, comma 1, n. 2 e n. 3) derivante dalla disponibilità di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria o dall'esistenza di particolari vincoli contrattuali con un'altra società.

Va in proposito evidenziato che, ai sensi del comma 2 dell'art. 2359 del codice civile, per stabilire la sussistenza sia del controllo di diritto (art. 2359, comma 1, n. 1) che del controllo di fatto derivante dalla possibilità di esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria (art. 2359, comma 1, n. 2), si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta.

Per quanto riguarda la nozione di collegamento si precisa che anch'essa va desunta dall'articolo 2359 del codice civile il cui comma 3 dispone che sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole.

Inoltre, il secondo periodo del citato terzo comma dell'art. 2359 del codice civile stabilisce che l'influenza si presume notevole quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti, ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa.

Tanto premesso, occorre rilevare che la norma in commento riferisce la situazione di controllo o di collegamento esclusivamente alle partecipazioni oggetto di cessione e prescinde quindi dal controllo o collegamento realizzati su altri presupposti.

In considerazione di ciò, qualora il controllo sia esercitato ai sensi dell'art. 2359, primo comma, n.3, del codice civile, non mediante una partecipazione al capitale di rischio ma esclusivamente per effetto di particolari vincoli contrattuali, il controllo stesso non rileva ai fini in esame.

Pertanto, tenuto conto del fatto che il controllo rilevante ai fini in esame è esclusivamente quello derivante dalla disponibilità della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria (2359, comma 1, n. 1 del codice civile) ovvero dei voti sufficienti ad esercitare un'influenza dominante in assemblea ordinaria (art. 2359 comma 1, n. 2), non rilevano ai fini in esame le partecipazioni che non danno diritto di voto (come, ad esempio, quelle rappresentate da azioni di risparmio o privilegiate).

La circostanza innanzi rilevata per cui il controllo o il collegamento devono essere una qualità implicita della partecipazione oggetto della cessione, porta anche ad escludere che la fattispecie indicata dall'articolo 1 possa ritenersi realizzata quando detto rapporto di controllo o di collegamento sia, in parte, conseguente al possesso di diritti di usufrutto sulle azioni e ciò quand'anche tali diritti siano ceduti contestualmente alla partecipazione, in quanto, in tal caso, il controllo stesso non discende dal possesso di una partecipazione, bensì dalla mera temporanea disponibilità dei voti sufficienti per esercitare il controllo.

Analogamente il collegamento non rileva, ai fini in esame, qualora l'influenza notevole venga esercitata sulla base di accordi contrattuali ovvero per la costituzione del diritto di usufrutto.

Per quanto riguarda il requisito della iscrizione delle suddette partecipazioni nelle immobilizzazioni finanziarie degli ultimi tre bilanci dell'impresa cedente va precisato quanto segue.

Ai fini della norma in esame sono rilevanti solo le cessioni che hanno ad oggetto partecipazioni di controllo o di collegamento che soddisfino tutte le seguenti condizioni:

1) iscrizione negli ultimi tre bilanci;

2) collocazione tra le immobilizzazioni finanziarie;

3) qualificazione come partecipazioni in imprese controllate o collegate.

Con riferimento alla condizione di cui al punto 1 va precisato che l'iscrizione delle partecipazioni in esame deve risultare dagli ultimi tre bilanci degli esercizi precedenti quello in cui si è verificata la cessione.

Si richiama in proposito la circolare del 27 maggio 1994, n. 73/E, nella parte in cui commenta l'articolo 54, comma 4, del TUIR, precisando che anche con riferimento alla disciplina in oggetto si rende applicabile la presunzione ivi stabilita, in base alla quale, per la verifica del mantenimento nel triennio delle partecipazioni, si considerano ceduti per primi i beni acquisiti in data più recente; a tale conclusione si perviene in considerazione del richiamo, contenuto nel comma 3 dell'articolo 1 in esame, al precedente comma 1 che, ai fini della determinazione delle plusvalenze, assume i criteri contenuti nel suddetto articolo 54 ivi compreso quello secondo cui si considerano ceduti per primi i beni acquisiti in data più recente.

Con riferimento alla condizione di cui al punto 2, va precisato che l'iscrizione delle partecipazioni in esame deve essere effettuata nell'attivo dello stato patrimoniale, nella classe delle immobilizzazioni finanziarie.

Al riguardo si osserva che per i soggetti che redigono il bilancio ai sensi del citato D.Lgs n. 87 del 1992, la distinzione tra la parte immobilizzata e quella circolante non è desumibile dall'attivo dello stato patrimoniale ma solamente dalla nota integrativa.

Con riferimento alla condizione di cui al punto 3 si rileva che, per espressa disposizione di legge, le partecipazioni in esame devono essere iscritte "come tali" nelle immobilizzazioni finanziarie degli ultimi tre bilanci.

Per i soggetti che redigono il bilancio secondo schemi diversi da quelli previsti dall'articolo 2424 e seguenti del codice civile e dal D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, la condizione della iscrizione nelle immobilizzazioni finanziarie degli ultimi tre bilanci si ritiene soddisfatta nel caso in cui le partecipazioni di controllo o di collegamento risultino come tali nei bilanci ovvero da altri elementi certi e precisi della contabilità.

Si precisa che il rispetto delle suddette condizioni presuppone il concorso dei seguenti requisiti:

- chi cede deve avere il controllo o il collegamento mediante il possesso di una partecipazione;

- il requisito di controllo o collegamento deve essere esercitato interamente attraverso la partecipazione;

- il cessionario deve acquisire il controllo o il collegamento per effetto della cessione;

- per effetto della cessione il cedente perde il controllo ma non necessariamente il collegamento;

- nel caso di partecipazione di controllo la quota ceduta può anche non essere oggettivamente una quota di controllo purché mediante essa il cessionario acquisisca il controllo;

- nel caso di partecipazioni di collegamento la quota ceduta deve essere anche oggettivamente di collegamento;

- i requisiti anzidetti debbono verificarsi singolarmente in ciascuna operazione.

Occorre altresì rilevare che se la partecipazione di controllo o di collegamento viene ceduta interamente a più soggetti mediante varie cessioni che non consentono ai cessionari di acquisire il controllo o il collegamento, le operazioni medesime, che sono da considerare ognuna autonomamente, non rilevano nè come cessioni parziali di partecipazioni di controllo nè come cessioni parziali di partecipazioni di collegamento.

Per quanto riguarda la cessione parziale di una partecipazione di controllo va inoltre precisato che il controllo, concretizzandosi nella disponibilità della "maggioranza" dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria o nella presenza di una situazione di influenza "dominante", può sussistere solo in capo ad una delle parti contraenti e, quindi, la cessione di una parte della partecipazione detenuta dal cedente rileva, ai fini in esame, nel caso in cui tale cessione comporta la perdita del controllo in capo al cedente e l'acquisizione del controllo stesso da parte del cessionario, tenendo conto in tale operazione anche dell'eventuale partecipazione già in possesso del cessionario medesimo.

Come più sopra anticipato, il controllo detenuto attraverso i voti esercitabili nell'assemblea ordinaria può essere anche indiretto; in tal caso le cessioni di partecipazioni mediante le quali nell'ambito dei gruppi si possiede il cosiddetto controllo indiretto, non possono fruire del trattamento agevolato.

Per quanto riguarda, invece, la cessione parziale di una partecipazione di collegamento va sottolineato che, a differenza di ciò che accade nel caso di cessione parziale di una partecipazione di controllo, la cessione stessa, per essere rilevante ai fini in esame, non deve comportare necessariamente la perdita del collegamento in capo al cedente ma deve, comunque, comportare, di per sè, l'acquisizione del collegamento in capo al cessionario, indipendentemente dal fatto che quest'ultimo già possieda o meno una partecipazione al capitale del medesimo soggetto cui si riferisce la partecipazione ceduta.

Al riguardo, si rappresentano i seguenti casi:

- cessione di una partecipazione di collegamento che non fa perdere il collegamento al cedente ma che consente al cessionario di acquisire il collegamento stesso.

Ad esempio: si ipotizzi che la società A cedente possegga il 100 per cento del capitale sociale della società B e che il collegamento nella società B si acquisisca con il possesso di una partecipazione al capitale sociale pari al 10 per cento. In tal caso se la società A cede il 30 per cento della società B alla società C, la cessione potrà essere agevolata in quanto la società A, pur non perdendo il controllo nè il collegamento, ha ceduto una partecipazione che di per se è di collegamento;

- cessione di una partecipazione di collegamento che non determina la perdita del collegamento in capo al cedente e che non permette l'acquisto del collegamento da parte del cessionario.

Ad esempio: si ipotizzi che la società A cedente possegga il 60 per cento delle partecipazioni nella società B, che il collegamento nella società B si acquisisca con il possesso di una partecipazione al capitale sociale pari al 20 per cento e che la società A ceda il 5 per cento delle proprie partecipazioni alla società C la quale già possiede una partecipazione nella società B pari al 15 per cento. In tal caso la cessione realizzata non è agevolata in quanto la partecipazione ceduta non è, di per sè, di collegamento anche se la società C, dopo la cessione, ha acquisito il collegamento nella società B, tenuto conto delle partecipazioni che già deteneva.

In conclusione, appare evidente, con riferimento alla cessione parziale di una partecipazione di collegamento, che il possesso in capo al cessionario, antecedentemente alla cessione, di partecipazioni di collegamento o di controllo al capitale del medesimo soggetto cui si riferisce la partecipazione ceduta, è irrilevante ai fini in esame.

Relativamente al caso in cui la partecipazione ceduta sia stata iscritta con diversa consistenza negli ultimi tre bilanci precedenti alla cessione (ferma restando naturalmente la posizione di controllo o di collegamento che deve sussistere in ognuno dei tre bilanci), la disciplina agevolativa si renderà applicabile con riferimento all'intero ammontare delle partecipazioni cedute.

In proposito valga il seguente esempio.

Si ipotizzi il caso in cui il collegamento nella società A sia assicurato dal possesso di una partecipazione pari al 20 per cento del suo capitale sociale.

Se la società B ha iscritto la predetta partecipazione nella misura del 20 per cento nel terzo e nel secondo bilancio antecedente alla cessione e nella misura del 51 per cento nel bilancio immediatamente antecedente alla cessione medesima, quest'ultima anche per la parte eccedente il 20 per cento darà luogo all'applicazione del regime agevolato.

 

 

1.4 Regimi di tassazione delle plusvalenze dei beni

Va innanzitutto ribadito che la cessione di singoli beni relativi all'impresa determina il conseguimento di plusvalenze in capo al soggetto cedente per le quali trovano applicazione esclusivamente i criteri ordinari di cui all'articolo 54 del TUIR, con la conseguenza che non è consentita l'applicazione dell'imposta sostitutiva di cui al decreto legislativo in esame.

Con riferimento alle cessioni di aziende o di partecipazioni di controllo o di collegamento per le quali non sussistano i requisiti temporali previsti dalle disposizioni in esame valgono gli stessi criteri di tassazione stabiliti per le cessioni di singoli beni, mentre qualora sussistano detti requisiti temporali si possono configurare due regimi di tassazione delle relative plusvalenze:

- quello ordinario, con l'applicazione dei criteri di cui all'articolo 54 del TUIR;

- quello opzionale, con l'applicazione dell'imposta sostitutiva di cui al decreto legislativo in esame.

1.4.1. Regime ordinario

In particolare le modalità di tassazione secondo il regime ordinario variano in relazione alla natura giuridica del soggetto che ha realizzato la plusvalenza (imprenditore individuale oppure società di persone o società ed enti soggetti all'IRPEG).

1.4.1.1. Imprenditori individuali

Nel caso di plusvalenze conseguite da imprenditori individuali, va preliminarmente distinta l'ipotesi in cui oggetto della cessione sia un'azienda ovvero una partecipazione di controllo o di collegamento.

Quando la cessione ha per oggetto un'azienda, le plusvalenze conseguite possono, a scelta dell'imprenditore, essere assoggettate a tassazione ordinaria ovvero a tassazione separata a condizione, in quest'ultimo caso, che ne sia fatta richiesta nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta al quale le plusvalenze sarebbero imputabili come componenti del reddito di impresa e che l'azienda sia posseduta da più di cinque anni.

In caso di tassazione ordinaria, la plusvalenza è realizzata ai sensi dell'articolo 54, comma 1, lett. a), del TUIR ed è determinata ai sensi del comma 2 del citato articolo.

Detta plusvalenza concorre, ai sensi del comma 4 del più volte richiamato articolo 54 del TUIR, a formare il reddito imponibile dell'imprenditore interamente nell'esercizio del realizzo oppure, a sua scelta, per quote costanti nell'esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto.

In caso di tassazione separata, la plusvalenza di cui trattasi è assoggettata all'imposta personale determinata, ai sensi dell'articolo 18, comma 1, del TUIR, applicando all'ammontare conseguito l'aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all'anno in cui i redditi sono stati conseguiti.

Nel caso in cui l'imprenditore individuale cede l'unica azienda, perdendo in tal modo lo status di imprenditore, potrà assoggettare a tassazione ordinaria, ai sensi dell'articolo 54 del TUIR, senza possibilità di fruire della rateizzazione, la plusvalenza realizzata, oppure, assoggettare la stessa a tassazione separata se l'azienda è posseduta da più di cinque anni, ferma restando la possibilità di avvalersi dell'imposta sostitutiva prevista dal decreto in esame e di effettuare il versamento rateale previsto dall'articolo 2 del decreto in esame.

Qualora, invece, la cessione abbia ad oggetto una partecipazione di controllo o di collegamento, la plusvalenza realizzata concorre a formare il reddito, ai sensi dell'articolo 54 del TUIR, senza possibilità di applicare l'imposta separatamente in virtù del richiamato articolo 16 del TUIR medesimo che trova applicazione soltanto con riferimento alle plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di aziende.

1.4.1.2 Società di persone commerciali e società ed enti soggetti all'IRPEG

Con riferimento alla cessione di aziende o di partecipazioni di controllo o di collegamento, la plusvalenza è realizzata ai sensi dell'articolo 54, comma 1, lett. a), del TUIR ed è determinata ai sensi del successivo comma 2.

Detta plusvalenza concorre, ai sensi dell'art. 54, comma 4, del TUIR, a formare il reddito imponibile, a scelta del contribuente, nell'esercizio del realizzo ovvero - se sussistono i presupposti temporali ivi previsti - per quote costanti nell'esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto.

1.4.2 Regime sostitutivo

Il comma 2 dell'articolo in commento stabilisce che l'applicazione dell'imposta sostitutiva è un regime opzionale di tassazione al quale il cedente può ricorrere, manifestando una volontà in tal senso, nella dichiarazione dei redditi del periodo di imposta nel quale le plusvalenze sono realizzate.

La disposizione in esame prevede che qualora in un periodo di imposta sono poste in essere più operazioni, l'opzione per l'applicazione dell'imposta sostitutiva può essere esercitata relativamente ad ogni singola operazione.

Per singola operazione deve intendersi un'operazione di cessione avente le caratteristiche indicate ai commi 1 e 3 dell'articolo in esame e, pertanto, avere ad oggetto un'azienda posseduta per un periodo non inferiore a tre anni ovvero una partecipazione di controllo o di collegamento iscritta come tale nelle immobilizzazioni finanziarie degli ultimi tre bilanci.

In relazione all'ipotesi di cessione di azienda è opportuno precisare che l'operazione deve avere ad oggetto l'azienda nel suo complesso e, pertanto, non possono essere considerate come "singole operazioni", ai fini della disposizione in esame, le eventuali cessioni di singoli beni della medesima azienda effettuate nello stesso periodo di imposta, anche se esse comportino, globalmente considerate, la dismissione della azienda in capo al cedente.

Con riferimento al comma 4 della norma in commento, si osserva che qualora le plusvalenze relative alla cessione di aziende o di partecipazioni di controllo o di collegamento siano realizzate dalle società di cui all'articolo 5 del TUIR, l'imposta sostitutiva è dovuta dalle medesime società.

In tal caso, dette società potranno optare per l'applicazione dell'imposta sostitutiva, esercitando l'opzione nella dichiarazione dei redditi del periodo di imposta nel quale le plusvalenze sono realizzate, provvedendo alla liquidazione e al versamento dell'imposta stessa.

Al riguardo si fa presente che detta tassazione è definitiva con la conseguenza che i redditi ad essa assoggettati non concorrono a formare il reddito complessivo dei soci.

 

 

2. Conferimenti di aziende e di partecipazioni di controllo o di collegamento

Il decreto legislativo n. 358 del 1997 all'articolo 3, disciplina le operazioni di conferimento di aziende e di partecipazioni di controllo o di collegamento stabilendo, al riguardo, le modalità di determinazione delle plusvalenze e il regime di tassazione (art. 3).

Ciò posto, in merito ai conferimenti di aziende viene introdotto anche un regime speciale di neutralità (art. 4), che si rende applicabile allorché vengano rispettate determinate condizioni.

Ai sensi dell'art. 9, comma 1 del D.Lgs. n. 358 del 1997, il regime previsto dai citati artt. 3 e 4 del D.Lgs. n. 358 del 1997, si applica alle operazioni poste in essere dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo.

 

 

Parte prima: Regime ordinario (articolo 3)

2.1 Premessa

Con l'articolo 3 del decreto in esame è stata data attuazione all'articolo 3, comma 161, lettere b) e c) della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nella parte in cui attribuiscono al Governo, rispettivamente, il potere di armonizzare il regime tributario interno delle operazioni di conferimento e la possibilità di assoggettare ad imposta sostitutiva le plusvalenze eventualmente derivanti da dette operazioni.

In particolare il comma 1 dell'articolo 3 si riferisce ai conferimenti di aziende e di partecipazioni di controllo o di collegamento ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile effettuati tra soggetti residenti in Italia nell'esercizio di imprese commerciali.

Il successivo comma 2 precisa, inoltre, che le disposizioni dell'articolo in esame si applicano anche per i conferimenti di aziende situate nel territorio dello Stato anche se il conferente o il conferitario è un soggetto non residente.

Relativamente alle suddette operazioni di conferimento, il citato comma 1 stabilisce che, ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 54 del TUIR, si assume come valore di realizzo quello attribuito alle partecipazioni, ricevute in cambio dell'oggetto conferito, nelle scritture contabili del soggetto conferente ovvero, se superiore, quello attribuito all'azienda o alle partecipazioni conferite nelle scritture contabili del soggetto conferitario.

Il comma 1, inoltre, stabilisce che il valore di realizzo viene assunto anche ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 1 del provvedimento in esame.

A differenza di quanto stabilito nel precedente articolo 1, per i conferimenti di cui trattasi il legislatore non ha ritenuto di condizionare il regime di determinazione della plusvalenza a specifici requisiti temporali di possesso dell'azienda o della partecipazione, anche se va tenuto presente che, ovviamente, tali condizioni rimangono ferme ai fini dell'applicazione dell'imposta sostitutiva di cui al citato articolo 1. In quest'ultimo caso, infatti, qualora le operazioni di conferimento abbiano ad oggetto aziende o partecipazioni aventi le caratteristiche previste dal citato articolo 1 del D.Lgs. n. 358 del 1997, le relative plusvalenze possono essere assoggettate all'imposta sostitutiva allorché il contribuente eserciti l'opzione di cui al comma 2 del citato articolo l, assumendo, ai fini dell'applicazione dell'articolo 54 del TUIR, il valore di realizzo determinato con il criterio sopra indicato.

Il comma 3 infine detta una particolare disciplina applicabile all'ipotesi di cessione, anche a titolo gratuito, delle partecipazioni ricevute da un imprenditore individuale a seguito del conferimento dell'unica azienda, stabilendo che la cessione stessa si considera effettuata nell'esercizio di attività d'impresa e, a tal fine, viene fatta salva l'applicazione dell'articolo 16, comma 1, lett. g), del TUIR qualora ne sussistano i presupposti alla data del conferimento.

Il medesimo comma 3 stabilisce, inoltre, che la cessione delle partecipazioni effettuata oltre i tre anni dal conferimento viene assoggettata alla disciplina prevista dal decreto-legge 28 gennaio 1991, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1991, n. 102.

 

 

2.2 Ambito di applicazione

Come sopra accennato le operazioni di conferimento disciplinate dall'articolo in esame sono esclusivamente quelle aventi ad oggetto aziende e partecipazioni di controllo o collegamento ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile.

Per quanto riguarda il conferimento di azienda bisogna distinguere l'ipotesi in cui l'azienda conferita sia situata in Italia da quella in cui l'azienda stessa sia situata all'estero.

Nel caso in cui l'azienda sia situata all'estero i conferimenti sono rilevanti ai fini in esame solo se effettuati tra soggetti residenti nel territorio dello Stato nell'esercizio di imprese commerciali.

Restano escluse le ipotesi di conferimento di azienda previste dall'articolo 81, comma 1, lett. h) ed h-bis), del TUIR poiché non effettuate nell'esercizio di attività commerciali.

Nel caso, invece, in cui l'azienda sia situata in Italia i conferimenti, ai sensi del comma 2 dell'articolo 3 in esame, sono rilevanti anche se il conferente e/o il conferitario è un soggetto non residente.

Per quanto riguarda i conferimenti di partecipazioni di controllo o di collegamento, va precisato che gli stessi rilevano ai fini in esame se effettuati tra soggetti residenti in Italia nell'esercizio di imprese commerciali.

L'operazione di conferimento è rilevante anche quando la partecipazione ricevuta riguarda una società o un ente non residente.

Restano esclusi i conferimenti di partecipazioni di controllo o di collegamento effettuati fuori dall'esercizio di imprese commerciali.

 

 

2.3 Modalità di determinazione della plusvalenza imponibile

Ai sensi del comma 1 dell'articolo 3, nelle ipotesi di conferimento sopra evidenziate, ai fini dell'applicazione dell'art. 54 del TUIR, la plusvalenza derivante dal conferimento stesso deve essere determinata assumendo come valore di realizzo il valore di iscrizione delle partecipazioni ricevute per effetto del conferimento nelle scritture contabili del conferente ovvero, se superiore, quello attribuito all'azienda, in caso di conferimento di azienda, o alle partecipazioni, in caso di conferimento di partecipazioni, nelle scritture contabili del conferitario.

In considerazione di quanto sopra, la plusvalenza imponibile è costituita dalla differenza tra il valore di realizzo, e l'ultimo costo fiscalmente riconosciuta, rispettivamente, dell'azienda o della partecipazione conferita.

Tale modalità di individuazione costituisce, relativamente alle operazioni in questione, una implicita deroga alla regola posta in via generale dall'articolo 9 del TUIR.

Nel caso di operazioni di conferimento non aventi le caratteristiche in precedenza illustrate (come ad esempio il conferimento di singoli beni), la plusvalenza imponibile continua ad essere determinata avendo riguardo alla nozione di valore normale, delineata dall'articolo 9 del TUIR. Inoltre, considerato l'espresso richiamo all'articolo 54 del TUIR, contenuto nella norma in esame, ne deriva che quest'ultima non trova applicazione con riferimento alle eventuali minusvalenze da conferimento, per le quali, quindi, rimane applicabile la disciplina dettata dagli articoli 9 e 66 del TUIR.

Il richiamo operato alle scritture contabili in luogo del bilancio, al fine di desumere il valore di iscrizione delle partecipazioni presso il conferente e il valore dei beni conferiti presso il soggetto conferitario, trova giustificazione nel fatto che i valori iscritti in contabilità al momento del conferimento non necessariamente coincidono con i valori che risulteranno al termine dell'esercizio nel bilancio del soggetto conferitario o di quello conferente.

Nel caso in cui il conferimento abbia ad oggetto un'azienda, l'ultimo costo fiscalmente riconosciuto dell'azienda conferita va determinato sommando i singoli valori fiscalmente riconosciuti delle attività e delle passività che compongono il patrimonio dell'azienda conferita.

 

 

2.4 Effetti del conferimento sulla determinazione del reddito imponibile del conferente

Come già precisato, per la determinazione dell'eventuale plusvalenza da conferimento occorre porre a confronto il valore delle partecipazioni iscritto nelle scritture contabili del conferente ovvero, se superiore, il valore attribuito all'azienda o alle partecipazioni conferite nelle scritture contabili del conferitario e il costo fiscalmente riconosciuto agli stessi beni.

Qualora il conferimento avvenga nel corso del periodo di imposta, si precisa quanto segue:

- gli ammortamenti dei beni conferiti vengono effettuati ragguagliando la quota di ammortamento imputabile all'esercizio in corso al momento del conferimento ai giorni che intercorrono tra l'inizio del periodo di imposta e la data di conferimento;

- le spese di manutenzione e le altre previste dall'articolo 67, comma 7, del TUIR, sostenute nell'esercizio di conferimento, sono deducibili nei limiti ivi previsti;

- i fondi di previdenza, nonché quelli di trattamento di fine rapporto, costituiti dalla conferente, si trasferiscono al soggetto conferitario se è stato trasferito anche il rapporto di lavoro cui afferiscono;

- gli accantonamenti al fondo rischi su crediti o al fondo svalutazione crediti e al fondo rischi su cambi, relativi ai crediti conferiti, non vengono trasferiti al soggetto conferitario, atteso che quest'ultimo provvederà ad effettuare tale valutazione sui crediti trasferiti, a fine esercizio, sulla base dell'articolo 71 del TUIR.

Con riferimento alle valutazioni delle rimanenze, qualora ad esempio sia stato adottato il criterio LIFO e nel corso dell'esercizio di conferimento siano state effettuate anche delle ordinarie operazioni di cessione, ai fini della individuazione del costo dei beni si ritiene che non possa che adottarsi un criterio di proporzionalità che tenga conto delle stratificazioni del magazzino evidenziate dal conferente.

 

 

2.5 Effetti del conferimento per il conferitario

2.5.1 La determinazione del costo fiscale dell'azienda conferita

Il conferimento eseguito ai sensi dell'articolo 3 in commento, a differenza di quello eseguito in regime di neutralità fiscale ai sensi dell'articolo 4 del decreto in esame, non determina, per il conferitario, la successione nei valori fiscali dei beni conferiti. Pertanto, per il conferitario i beni rilevano in base al valore ad essi attribuito nelle proprie scritture contabili. Da ciò consegue che non si trasferiscono al conferitario le voci rettificative del valore dei predetti beni eventualmente esistenti presso il conferente, come pure per i beni di magazzino si perde la stratificazione storica delle rimanenze in essere presso il conferente.

2.5.2 La determinazione del reddito

Ai fini della determinazione del reddito del conferitario va precisato quanto segue.

Per quanto riguarda i beni ammortizzabili valgono le regole ordinarie; conseguentemente, trattandosi di beni usati, il coefficiente di ammortamento è ridotto al 50 per cento e l'ammortamento anticipato può essere effettuato solo relativamente al primo esercizio.

In caso di conferimento effettuato nel corso del periodo d'imposta, relativamente alle spese di manutenzione ed alle altre spese previste dall'articolo 67, comma 7, del TUIR, sostenute nell'esercizio di conferimento, il limite percentuale di deducibilità ivi stabilito è calcolato sulla parte del relativo costo proporzionale alla durata del possesso.

 

 

2.6 Regimi di tassazione applicabili

Anche per le operazioni di conferimento i regimi di tassazione applicabili sono i seguenti:

- quello ordinario, secondo il quale le plusvalenze realizzate concorrono alla formazione del reddito d'impresa;

- quello opzionale, consistente nell'applicazione alle predette plusvalenze da conferimento dell'imposta sostitutiva di cui all'articolo 1 del provvedimento in esame, qualora ricorrano le condizioni ivi previste del possesso triennale dell'azienda ovvero dell'iscrizione tra le immobilizzazioni finanziarie degli ultimi tre bilanci delle partecipazioni di controllo o di collegamento.

In proposito, salvo quanto già precisato con riferimento alla determinazione delle plusvalenze che avviene assumendo come valore di realizzo il maggiore tra quello attribuito dal conferente alle partecipazioni ricevute e quello attribuito dal conferitario all'azienda o alle partecipazioni conferite, valgono, relativamente ai regimi di tassazione applicabili alle suddette plusvalenze, le precisazioni già fornite in merito alle cessioni di aziende e di partecipazione di controllo o di collegamento.

Tenuto conto del richiamo all'articolo 1 del presente provvedimento, contenuto nell'articolo 3 del provvedimento medesimo, nel caso di conferimenti di aziende e di partecipazioni di controllo o di collegamento effettuati da società di persone di cui all'articolo 5 del TUIR, ai fini del regime di tassazione delle plusvalenze realizzate valgono le considerazioni espresse con riferimento a tali soggetti relativamente alle operazioni di cessione di aziende e di partecipazioni di controllo o di collegamento.

 

 

2.7 Conferimento dell'unica azienda dell'imprenditore individuale

L'articolo 3, comma 3, del provvedimento in esame disciplina l'ipotesi della cessione, anche a titolo gratuito, delle partecipazioni ricevute dall'imprenditore individuale a seguito del conferimento dell'unica azienda posseduta.

La disposizione di cui trattasi ha natura antielusiva in quanto intende evitare che il conferimento dell'unica azienda da parte di un imprenditore individuale, il quale per effetto della cessione medesima perde tale qualifica, venga posto in essere al solo scopo di aggirare la disciplina sui beni di impresa, trasformando la plusvalenza insita nell'azienda in una plusvalenza su partecipazioni assoggettabili in capo alla persona fisica ad una tassazione più favorevole rispetto a quella che verrebbe a gravare sulla plusvalenza conseguita su beni in regime d'impresa. Il comma in esame stabilisce che la cessione, anche a titolo gratuito, delle partecipazioni ricevute a seguito del conferimento si presume effettuata nell'esercizio dell'impresa ed è fatta salva l'applicazione dell'art. 16, comma 1, lett. g) del TUIR, qualora ne sussistano i presupposti alla data del conferimento.

Nell'ipotesi in esame, la plusvalenza realizzata sarà assoggettata a tassazione ordinaria interamente nell'esercizio del realizzo della cessione senza poter usufruire della rateizzazione prevista dall'articolo 54, comma 4, del TUIR. Ciò in quanto la presunzione operata dalla norma in ordine al mantenimento del regime di impresa ha rilievo soltanto nei confronti della cessione della partecipazione medesima.

Va sottolineato che la disposizione in commento prevede l'applicazione dell'art. 16, comma 1, lett. g), del TUIR qualora, ne sussistano i presupposti con riferimento alla data del conferimento.

Pertanto, tali plusvalenze sono assoggettabili a tassazione separata con l'aliquota determinata ai sensi dell'art. 18 del TUIR, qualora l'azienda conferita sia stata posseduta da più di cinque anni alla data del conferimento.

Il meccanismo di tassazione delle cessioni delle partecipazioni secondo i criteri del reddito d'impresa viene meno qualora la cessione stessa sia effettuata oltre i tre anni dal conferimento.

In tal caso riemerge il regime naturale di tassazione per le plusvalenze conseguite nel caso in esame e, pertanto, saranno applicabili le imposte sostitutive previste dal D.L. n. 27 del 1991, convertito nella legge n. 102 del 1991 e, a far data dal 1° luglio 1998, quelle previste dal decreto legislativo concernente il riordino dei redditi di capitali e diversi, attuativo della delega contenuta nell'articolo 3 comma 160, della legge n. 662 del 1996.

Per espressa previsione di legge in tale ipotesi si assume come costo delle partecipazioni il valore attribuito alle stesse ai sensi del comma 1 dell'articolo 3 in esame.

Conseguentemente, a seguito del conferimento, i fondi in sospensione d'imposta esistenti nel bilancio dell'imprenditore individuale vengono meno in quanto quest'ultimo perde la qualifica di imprenditore e, pertanto, tali fondi sono assoggettati a tassazione secondo le regole ordinarie nel periodo d'imposta in cui il conferimento stesso è effettuato.

In caso di conferimento dell'impresa familiare si pone il problema specifico del riconoscimento dei diritti di credito dei collaboratori familiari in ordine agli incrementi patrimoniali loro spettanti.

In proposito va rilevato che l'articolo 5, comma 4, del TUIR, in via di principio richiama l'articolo 230-bis del codice civile, stabilendo che i redditi delle imprese familiari sono imputati a ciascun familiare che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell'impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.

Da ciò deriva che il titolare dell'impresa familiare che acquisisce le partecipazioni dalla società conferitaria dovrà liquidare i diritti di credito spettanti ai collaboratori familiari secondo le regole civilistiche, senza che da ciò derivino conseguenze fiscali in ordine al valore delle dette partecipazioni.

 

 

Parte seconda: Regime speciale dei conferimenti di aziende (articolo 4)

2.8 Premessa

L'articolo 4 dà attuazione alla lettera b) dell'articolo 3, comma 161, della legge n. 662 del 1996, nella parte in cui viene attribuito al Governo il potere di armonizzare il regime tributario delle plusvalenze relative ad operazioni di conferimento di aziende e complessi aziendali posseduti per un periodo non inferiore a tre anni con il regime previsto dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 544, relativamente alle operazioni poste in essere tra soggetti residenti nel territorio dello Stato e soggetti residenti in altri Stati membri dell'Unione europea, ed alla lettera c) del citato articolo 3, comma 161, nella parte in cui è stato attribuito al Governo il potere di istituire, per le plusvalenze suddette, un regime di imposizione sostitutivo delle imposte sui redditi, da applicare, a scelta del contribuente, in alternativa a quello previsto dalla lettera b) suindicata.

L'articolo in esame contiene la disciplina tributaria applicabile alle plusvalenze derivanti dai conferimenti di aziende possedute per un periodo non inferiore a tre anni effettuati tra i soggetti indicati nell'articolo 87, comma 1, lett. a) e b) del TUIR.

Ai sensi del comma 1 del citato articolo 4 le suddette operazioni non costituiscono realizzo di plusvalenze o di minusvalenze quando:

- il soggetto conferente assume quale valore delle partecipazioni ricevute l'ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell'azienda conferita;

- il soggetto conferitario subentra, ai fini fiscali, nella posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell'attivo e del passivo dell'azienda stessa, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione, da allegare alla dichiarazione dei redditi, i dati esposti in bilancio e i valori fiscalmente riconosciuti.

Il successivo comma 2 stabilisce che, in luogo delle predette disposizioni, i soggetti suindicati possono optare nell'atto di conferimento per l'applicazione delle disposizioni ordinarie del TUIR, ovvero per quelle previste dall'articolo 1 del provvedimento in esame, concernente l'imposta sostitutiva sulle plusvalenze in argomento.

Detta opzione può essere altresì esercitata anche per i conferimenti di cui all'articolo 1 del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 544.

Da ultimo, il comma 3 dell'articolo in esame contiene una disposizione volta, in linea di principio, ad evitare il fenomeno della doppia imposizione economica che si potrebbe verificare in capo al conferente e al conferitario sui maggiori valori laddove si verifichi una divergenza tra valori civilistici e valori fiscali realizzati sulle partecipazioni e sui beni.

Infatti, tale disposizione prevede che l'aumento di patrimonio netto del soggetto conferitario a seguito del conferimento si considera formato con gli utili di cui all'articolo 41, comma l, lett. e), del TUIR per la parte che eccede il valore fiscalmente riconosciuto dell'azienda conferita, con ciò consentendo il recupero presso i partecipanti delle imposte assolte dalla società partecipata mediante il riconoscimento del credito di imposta.

 

 

2.9 Ambito di applicazione

Come sopra accennato si sottolinea che i conferimenti rilevanti ai fini in esame sono soltanto quelli che:

- sono posti in essere tra i soggetti indicati nell'articolo 87, comma l, lett. a) e b) del TUIR e quindi tra società ed enti commerciali, residenti nel territorio dello Stato, soggetti passivi dell'IRPEG;

- hanno ad oggetto aziende possedute per un periodo non inferiore a tre anni.

Per quanto riguarda la nozione di azienda e la sussistenza del periodo temporale dei tre anni si rinvia a quanto precisato in sede di commento delle cessioni di aziende.

 

 

2.10 Il regime ordinario

Come già rilevato in premessa, ai sensi del comma 1 dell'articolo 4 del decreto in commento, i conferimenti di aziende effettuati in regime di neutralità non comportano il realizzo nè di plusvalenze nè di minusvalenze. Tuttavia il soggetto conferente assume, quale valore fiscale delle partecipazioni ricevute, l'ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell'azienda conferita e il soggetto conferitario subentra nella posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell'attivo e del passivo dell'azienda stessa, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione, da allegare alla dichiarazione dei redditi, i dati esposti in bilancio e i valori fiscalmente riconosciuti.

Il predetto prospetto va allegato alle dichiarazioni dei redditi successivi al conferimento fintanto che sussistano divergenze tra valori contabili e valori fiscalmente riconosciuti.

In proposito valga il seguente esempio: qualora l'azienda sia iscritta presso il conferente ad un valore netto di 80 - coincidente con il costo ad essa fiscalmente riconosciuto - l'operazione di conferimento non comporta la realizzazione di alcuna plusvalenza imponibile anche se il soggetto conferente e il soggetto conferitario iscrivono nelle proprie scritture contabili, rispettivamente, la partecipazione e l'azienda conferita ad un valore ad esempio di 100. Tuttavia, ai fini fiscali, il soggetto conferente e il soggetto conferitario debbono assumere la partecipazione e l'azienda conferita al valore medesimo in cui la stessa era iscritta presso il conferente (cioè di 80).

D'altronde, il conferente, assumendo quale valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni l'ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell'azienda conferita, trasferisce sulle suddette partecipazioni ricevute la plusvalenza latente insita nell'azienda conferita.

Nella disciplina dell'articolo 4 in commento la completa neutralità è riconosciuta a prescindere dai valori espressi nelle scritture contabili dei soggetti partecipanti all'operazione di conferimento e, pertanto, l'operazione medesima può essere attuata ai fini civilistici senza alcun condizionamento di natura fiscale.

2.10.1 Effetti per il conferente

Il soggetto conferente assume, quale valore fiscale delle partecipazioni ricevute, l'ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell'azienda conferita, per la cui individuazione si rinvia a quanto precisato in sede di commento all'articolo 3.

Il trasferimento dell'azienda intervenuto nel corso del periodo di imposta determina per il conferente problemi analoghi a quelli già esaminati in sede di commento dell'articolo 3 al quale, pertanto, si rinvia.

2.10.2 Effetti per il conferitario

Come disposto dall'articolo 4, comma 1, del decreto in esame, il soggetto conferitario subentra nella posizione del conferente, in ordine agli elementi dell'attivo e del passivo dell'azienda conferita, realizzando, in tal modo, la continuità dei valori fiscalmente riconosciuti degli elementi dell'attivo e del passivo dell'azienda conferita.

Ciò comporta, per quanto riguarda le rimanenze, la conservazione dell'eventuale stratificazione LIFO esistente presso la conferente. Naturalmente, qualora nelle rimanenze del conferente e in quelle del conferitario si trovino beni omogenei, dovrà provvedersi all'unificazione delle stratificazioni LIFO esistenti.

Relativamente ai beni strumentali, le residue quote di ammortamento dovranno essere computate assumendo il costo originario di tali beni.

Qualora il conferimento di cui trattasi avvenga nel corso del periodo di imposta valgono, relativamente alla deduzione delle spese di manutenzione e delle altre spese di cui all'articolo 67, comma 7, del TUIR, e per la determinazione degli ammortamenti e degli accantonamenti, i chiarimenti già forniti con riferimento alle operazioni di conferimento disciplinate dall'articolo 3 del provvedimento in esame con l'avvertenza che, sempre in ossequio al principio della continuità, occorre far riferimento ai costi originari.

 

 

2.11 I regimi opzionali

L'articolo 4 del decreto in esame, al comma 2 prevede che in luogo dell'applicazione del precedente comma 1, i soggetti che effettuano i suddescritti conferimenti possono optare per l'applicazione delle disposizioni del TUIR e dell'articolo 1 dello stesso decreto n. 358 del 1997.

L'opzione deve essere effettuata nell'atto di conferimento, per cui il mancato esercizio della stessa comporta l'applicazione del regime proprio di tali operazioni previsto dal precedente comma 1.

In proposito va precisato che l'opzione in parola consente al conferente di determinare la plusvalenza ai sensi dell'articolo 54 del TUIR, tenendo conto anche della disciplina contenuta nell'articolo 3 del provvedimento in esame e, ove ne ricorrano le condizioni, di fruire anche del regime di tassazione sostitutiva ai sensi dell'articolo l del decreto in commento.

Per uniformità di trattamento il citato comma 2 dell'articolo 4 dispone anche che l'opzione di cui sopra può essere esercitata dai soggetti che effettuano i conferimenti di cui all'articolo 1 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 544, riguardante il regime fiscale applicabile ad operazioni poste in essere tra soggetti residenti nel territorio dello Stato e soggetti residenti in altri Stati membri dell'Unione europea.

In proposito si ricorda che l'articolo 1 del predetto D.Lgs. n. 544 del 1992, disciplina, alla lettera c), i conferimenti di aziende o di complessi aziendali relativi a singoli rami dell'impresa da uno ad altro dei soggetti indicati nel decreto medesimo residenti in stati diversi della Comunità europea, sempre che uno dei due soggetti sia residente nel territorio dello Stato.

 

 

2.12 Il meccanismo di eliminazione della doppia imposizione

L'articolo 4, comma 3, del decreto in esame, stabilisce che qualora non sia stata esercitata l'opzione di cui al comma 2, e quindi l'operazione sia stata assoggettata all'ordinario regime di neutralità, l'aumento del patrimonio netto del soggetto conferitario a seguito del conferimento si considera formato con gli utili di cui all'articolo 41, comma 1, lett. e) del TUIR per la parte che eccede il valore fiscalmente riconosciuto dell'azienda conferita.

Va in proposito osservato che per i conferimenti di cui all'articolo 4 in esame, il regime di neutralità fiscale e quindi di continuità dei valori riguarda sia l'azienda presso il conferitario il cui valore corrisponde a quello che aveva presso il conferente, sia la partecipazione presso il conferente il cui valore corrisponde a quello che aveva l'azienda conferita e sussiste pur se i beni dell'azienda e le partecipazioni vengono iscritti a valori superiori a quelli fiscalmente riconosciuti.

Viene a crearsi, in tal modo, una divergenza tra valori contabili e valori fiscali, sia per il conferente, con riguardo alle partecipazioni, sia per il conferitario, con riguardo ai beni dell'azienda. Tale situazione può comportare la tassazione dei medesimi valori: una volta nei confronti del conferitario, in quanto ai fini della determinazione del reddito d'impresa sono rilevanti i valori fiscalmente riconosciuti, inferiori a quelli contabili - determinando l'emergenza di un risultato di bilancio inferiore a quello fiscale - ed un'altra nei confronti del conferente, ove proceda alla cessione delle partecipazioni.

Con particolare riguardo al conferitario si osserva che la maggiore imposta pagata a fronte degli ammortamenti e di altri costi non dedotti, in quanto eccedenti il valore dei beni fiscalmente riconosciuto, non potrebbe essere "trasferito" ai soci come credito d'imposta tenuto conto che tale imposta non si correla alla formazione di utili.

La previsione del comma 3 dell'articolo 4, secondo cui l'aumento del patrimonio netto del conferitario - corrispondente ai plusvalori fiscalmente non riconosciuti - è considerato ai fini fiscali alla stregua di una riserva di utili, ancorché esso sia costituito da apporti del socio conferente, consente pur se in via di principio, di non tassare detti plusvalori presso i soci, compreso il conferente, stesso. Ciò in quanto, in caso di riduzione del patrimonio del conferitario, per la parte considerata riserva di utili, ai soci stessi potrà essere riconosciuto il credito d'imposta sui dividendi che ne neutralizza la tassazione e, trattandosi della distribuzione di riserve di utili e non di capitale, il valore fiscale della partecipazione non dovrà essere ridotto.

 

 

3. Scambio di partecipazioni (articolo 5)

3.1 Premessa

3.2 Lo scambio di partecipazioni disciplinato dal D.Lgs. n. 544 del 1992

3.3 Lo scambio di partecipazioni disciplinato dall'articolo 5 del D. Lgs. n. 358 del 1997

3.4 Criteri generali dello scambio di partecipazioni

 

 

3.1 Premessa

Con l'articolo in esame è stata data attuazione all'articolo 3, comma 161, lett. b), della legge n. 662 del 1996, nella parte in cui prevede l'armonizzazione del regime tributario delle operazioni di scambio di partecipazioni tra soggetti residenti in Italia, con il regime previsto dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544, per le operazioni di scambio di partecipazioni tra soggetti residenti nel territorio dello Stato e soggetti residenti in altri Stati membri dell'Unione europea.

In proposito, prima di fornire chiarimenti sulla disciplina contenuta nell'articolo 5 del decreto in esame, si ritiene opportuno ricordare quali sono le operazioni che sono considerate scambi di partecipazioni dal citato D.Lgs. n. 544 del 1992 e che, pertanto, sono assoggettate al regime tributario ivi previsto.

 

 

3.2 Lo scambio di partecipazioni disciplinato dal D. Lgs. n. 544 del 1992

L'articolo 1, comma 1, lettera e), del citato D.Lgs. n. 544 del 1992 individua, tra le operazioni soggette alla disciplina dallo stesso prevista, le permute ed i conferimenti di azioni o di quote mediante i quali uno dei soggetti indicati nella lettera a) del medesimo comma 1 acquisti o integri una partecipazione di controllo, ai sensi dell'articolo 2359, comma 1, n. 1, del codice civile in uno dei soggetti indicati nella stessa lettera, residente in uno Stato della Comunità diverso da quello del primo, attribuendo ai partecipanti proprie azioni o quote in cambio di quelle ricevute in permuta o conferimento ed un'eventuale conguaglio in denaro non superiore al 10 per cento del valore nominale delle suddette azioni o quote, sempre che alcuno dei partecipanti che effettuano lo scambio sia residente nel territorio dello Stato ovvero la partecipazione scambiata sia relativa ad una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di un soggetto indicato nella suindicata lettera a).

Il comma 5 dell'articolo 2 del D.Lgs. n. 544 del 1992 stabilisce, tra l'altro, che lo scambio di partecipazioni mediante permuta o conferimento indicato nel comma 1 non comporta realizzo di plusvalenze nè di minusvalenze sulle azioni o quote date in cambio, il cui valore fiscale viene assunto dalle azioni o quote ricevute, ripartendosi tra tutte in proporzione dei valori alle stesse attribuiti ai fini della determinazione del rapporto di cambio. Gli eventuali conguagli concorrono a formare il reddito dei percettori.

 

 

3.3 Lo scambio di partecipazioni disciplinato dall'articolo 5 del D.Lgs. n. 358 del 1997

Ai fini del provvedimento in esame, sono considerati scambi di partecipazioni le seguenti operazioni:

- la permuta, con la quale uno dei soggetti indicati nell'articolo 87, comma 1, lettere a) e b) del TUIR acquista o integra una partecipazione di controllo ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, n.1, del c.c. in altro soggetto indicato nelle medesime lettere a) e b), attribuendo ai soci di quest'ultimo azioni proprie (comma 1);

- i conferimenti in società, mediante i quali la società conferitaria acquisisce il controllo di una società ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, n. 1, del c.c. (comma 2).

Entrambe le operazioni citate sono accomunate dal fatto di essere poste in essere da un soggetto che acquisisce o integra una partecipazione di controllo ai sensi dell'articolo 2359, comma 1, n. 1, del codice civile in un altro soggetto a fronte dell'attribuzione, ai soci della società partecipata, di una partecipazione al proprio capitale.

Va precisato che il provvedimento in esame si differenzia dal D.Lgs. n. 544 del 1992, oltre che sul piano dei soggetti interessati, soprattutto per il fatto che esso disciplina diversamente lo scambio di partecipazioni conseguito attraverso la permuta rispetto a quello conseguito attraverso il conferimento.

 

 

3.4 Criteri generali dello scambio di partecipazioni

3.4.1 Lo scambio di partecipazioni realizzato tramite permuta

Il comma 1 dell'articolo in esame considera come scambio di partecipazioni la permuta mediante la quale uno dei soggetti indicati nell'articolo 87, comma 1, lett. a) e b) del TUIR acquista o integra una partecipazione di controllo ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, n. 1, del c.c. in altro soggetto indicato nelle medesime lett. a) e b) del comma 1 dell'articolo 87 del TUIR.

Si premette, per chiarezza espositiva, che ai fini della definizione dei soggetti che intervengono nell'operazione si indica di seguito come:

1) società acquirente, la società che intende acquisire o integrare il controllo;

2) società scambiata, la società della quale si intende acquisire il controllo;

3) soggetti scambianti, i soci della società scambiata.

La norma in commento, si caratterizza sotto il profilo soggettivo per il fatto che sia la società acquirente che la società scambiata devono essere entrambe società od enti soggetti all'IRPEG, residenti nel territorio dello Stato, mentre per quanto riguarda i soggetti scambianti non è necessario che essi abbiano la qualifica di imprenditori, indipendentemente dalla loro natura giuridica. A tale conclusione si perviene tenuto conto della formulazione della normativa la quale prevede che non si dà luogo a componenti positivi o negativi del reddito imponibile, locuzione questa riferentesi indifferentemente sia a soggetti esercenti attività commerciali che non.

Sotto il profilo oggettivo, invece, è richiesto che lo scambio abbia ad oggetto una partecipazione che consenta alla società acquirente di assumere il controllo della società scambiata.

Va inoltre sottolineato, sul piano dei requisiti oggettivi, che l'operazione di scambio di partecipazioni mediante permuta è rilevante ai fini dell'articolo in esame indipendentemente dall'ammontare del conguaglio in denaro eventualmente pattuito dalle parti contrattuali sempreché, sul piano civilistico, l'entità del conguaglio in denaro non sia tale da snaturare l'operazione di permuta.

Va inoltre considerato che, stante il divieto posto dall'articolo 2483 del codice civile, in ordine alla acquisizione di quote del proprio capitale da parte delle società a responsabilità limitata, l'operazione di permuta, ai sensi del comma 1 dell'articolo 5 in commento, può essere attuata solo quando la società acquirente risulti costituita sotto forma di società per azioni o società in accomandita per azioni, dal momento che le partecipazioni nel proprio capitale, detenute dalla società acquirente da attribuire in permuta, non possono che essere costituite da azioni.

Nessuna limitazione invece si pone in ordine alla natura della società scambiata, che può essere, pertanto, sia azionaria che non azionaria. Infatti, con riguardo alla società scambiata, il requisito richiesto dalla norma in esame è solo quello che essa rientri in uno dei soggetti indicati alle lettere a) e b) del comma 1, dell'articolo 87 del TUIR.

Con riguardo al requisito del controllo, valgono le medesime considerazioni svolte in merito alle operazioni di cui all'articolo 1, nel senso che il requisito del controllo deve sussistere in relazione alle partecipazioni acquisite a seguito dell'operazione di permuta, tanto più che la norma in commento, fa, a tal fine, espresso riferimento al tipo di controllo esercitabile ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, n. 1, del codice civile.

Avuto riguardo alla formulazione della norma che prende in considerazione anche la "integrazione" di una partecipazione di controllo, ne consegue che l'operazione non deve necessariamente aver ad oggetto una partecipazione che di per sè sia di controllo, ma può riguardare anche una partecipazione che, unitamente a quella già posseduta, consenta al soggetto acquirente di avere una partecipazione di controllo.

Rientra nella disposizione in commento anche l'acquisto effettuato mediante la cessione da parte di più soggetti, sempreché sia ravvisabile, in modo oggettivo, che l'operazione di acquisto della partecipazione si inserisca in un progetto unitario di acquisizione della partecipazione di controllo.

Non sono riconducibili nel regime previsto dalla norma in commento le operazioni che hanno ad oggetto l'acquisizione di partecipazione che non consentono il controllo ovvero quelle che si aggiungono a partecipazioni possedute le quali ultime di per sè consentono il controllo.

In caso di permuta il medesimo regime si applica anche alle azioni proprie della società acquirente attribuite ai soci della società acquistata.

Come innanzi anticipato, il comma 1 in commento stabilisce che lo scambio di partecipazioni mediante permuta non dà luogo a componenti positivi o negativi del reddito imponibile a condizione che il costo delle azioni o quote date in permuta sia attribuito alle azioni o quote ricevute in cambio. L'eventuale conguaglio in denaro concorre a formare il reddito del percepiente.

In proposito si rileva che il riferimento al "costo" delle azioni o quote previsto dal citato articolo, è da intendersi come "valore fiscale" delle predette partecipazioni, analogamente a quanto stabilito dal D.Lgs. n. 544 del 1992.

È evidente quindi che nel caso in cui le partecipazioni ricevute siano state contabilizzate ad un valore superiore a quello attribuito alle partecipazioni date in cambio non risulta soddisfatta la condizione posta dalla norma in esame e, pertanto, l'operazione di permuta non potrà beneficiare del regime di neutralità previsto dall'articolo 5 in commento e sarà, quindi, sottoposta al regime ordinario stabilito per la cessione di beni.

3.4.2 Lo scambio di partecipazioni realizzato mediante conferimento

In proposito il comma 2 dell'articolo in esame dispone che le azioni o quote ricevute a seguito di conferimenti in società, mediante i quali la società conferitaria acquisisce il controllo di una società ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, n. 1, del codice civile, sono valutate ai fini della determinazione del reddito dell'impresa conferente, in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento.

Come già in precedenza accennato, lo scambio di partecipazioni può essere attuato anche mediante operazioni di conferimento nella società acquirente da parte dei soci imprenditori che detengono partecipazioni nella società scambiata.

Sotto il profilo sostanziale va rilevato che il regime fiscale attribuito alle operazioni di conferimento, come meglio appresso specificato, si differenzia totalmente da quello previsto per le operazioni di permuta.

A differenza di quanto previsto dal D.Lgs. n. 544 del 1992, la disciplina recata dal comma 2 della disposizione in commento non costituisce un regime di neutralità fiscale delle operazioni di conferimento ivi regolate, bensì un criterio di valutazione, ai fini della determinazione del reddito dell'impresa conferente, delle partecipazioni ricevute a seguito del conferimento; tale regime è, assimilabile a quello previsto dal precedente articolo 3 per i conferimenti di aziende e di partecipazioni di controllo o di collegamento.

Secondo la disposizione in commento, come già precisato, la predetta valutazione è infatti operata in misura proporzionalmente corrispondente al valore contabile attribuito dalla conferitaria alle partecipazioni ricevute in conferimento.

L'adozione di tale criterio può, comportare la evidenziazione di plusvalenze o minusvalenze fiscalmente rilevanti per il conferente.

Nel caso infatti in cui la conferitaria dovesse iscrivere la partecipazione ricevuta ad un valore superiore a quello fiscalmente riconosciuto alla stessa presso la conferente, la conferente medesima è tenuta a rilevare una plusvalenza pari alla differenza tra il valore di iscrizione della partecipazione conferita presso la conferitaria e l'ultimo valore fiscalmente riconosciuto alla partecipazione stessa presso di essa.

In proposito valga il seguente esempio:

Si ipotizzi che una partecipazione di controllo iscritta nel bilancio della conferente ad un valore di 80, coincidente con il costo fiscalmente riconosciuto, sia stata dopo il conferimento iscritta al medesimo valore nella contabilità della conferitaria.

In tal caso non emerge alcuna plusvalenza in capo alla conferente in quanto la stessa assume le partecipazioni ricevute allo stesso valore fiscale attribuito alle partecipazioni acquisite dalla conferitaria.

Si ipotizzi viceversa che la suddetta partecipazione di controllo iscritta nel bilancio della conferente ad un valore di 80, coincidente con il costo fiscalmente riconosciuto, sia stata iscritta nella contabilità della conferitaria al valore di stima di 100.

In tal caso in capo alla conferente emerge una plusvalenza imponibile pari alla differenza tra il valore delle partecipazioni iscritte presso la conferitaria (100) e l'ultimo valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni conferite (80) presso la conferente.

D'altra parte le partecipazioni ricevute dalla conferente assumono un costo fiscalmente riconosciuto pari all'incremento di patrimonio netto formato dalla conferitaria a seguito del conferimento (nell'esempio 100).

Si rileva infine che le plusvalenze emergenti dallo scambio di partecipazioni possono essere assoggettate sia al regime ordinario di tassazione che a quello sostitutivo previsto dall'articolo 1 del presente decreto legislativo n. 358 del 1997, ove ricorrono i presupposti.

3.4.3 Entrata in vigore

Ai sensi dell'articolo 9, comma 1, del D.Lgs. n. 358 del 1997, il regime previsto dal citato articolo 5 si applica alle operazioni poste in essere dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo.

 

 

4. Regime dei disavanzi derivanti da operazioni di fusione e di scissione di società (articolo 6)

4.1 Premessa

4.2 Il regime sostitutivo

4.3 Il regime transitorio

 

 

4.1 Premessa

Con l'articolo in esame viene data attuazione alla disposizione di cui all'articolo 3, comma 161, lettera c), della citata legge n. 662 del 1996, nella parte in cui la stessa ha delegato il Governo ad introdurre per le plusvalenze iscritte a seguito di operazioni di fusione e di scissione, un regime di imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi.

Per una migliore comprensione della disciplina contenuta nell'articolo 6 in commento, riguardante il regime fiscale dei disavanzi derivanti da operazioni di fusione e di scissione, è opportuno un breve cenno alla evoluzione della normativa fiscale in materia.

In proposito si ricorda che, ai sensi dell'art. 123 del TUIR, nella determinazione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante, non si tiene conto, tra l'altro, delle plusvalenze iscritte in bilancio fino a concorrenza della differenza tra il costo delle azioni o quote delle società incorporate, annullate per effetto della fusione, e il valore del patrimonio netto delle società stesse risultante dalle scritture contabili (cosiddetto "disavanzo da annullamento").

Con la legge 23 dicembre 1994, n. 724 sono state apportate delle modifiche al predetto regime. In particolare, l'articolo 27 di detta legge ha previsto che "le fusioni e le scissioni di società sono, agli effetti delle imposte sui redditi, neutrali. Conseguentemente, il disavanzo di fusione e di scissione non è utilizzabile per iscrizioni di valori in franchigia di imposta, a qualsiasi voce, forma o titolo operate".

Al fine di ovviare agli inconvenienti derivanti dalla limitazione che la richiamata disposizione di cui all'articolo 27 della legge n. 724, del 1994 ha posto al riconoscimento fiscale dei maggiori valori rilevati in conseguenza di operazioni di fusione o di scissione ed in attuazione della richiamata delega, l'articolo 6 del provvedimento in commento reca una particolare disciplina per l'affrancamento dei disavanzi da annullamento o da concambio derivanti dalle operazioni di fusione o di scissione.

Inoltre, lo stesso art. 6, al comma 2, individua i casi in cui l'iscrizione in bilancio per effetto dell'imputazione del disavanzo è riconosciuta ai fini fiscali senza l'applicazione dell'imposta sostitutiva, nel presupposto che in relazione alle fattispecie ivi considerate tali maggiori valori sono da assumere in corrispondenza agli incrementi del valore delle partecipazioni relative alle società fuse, incorporate o scisse già acquisite a tassazione.

 

 

4.2 Il regime sostitutivo

Come è stato accennato l'articolo 6 in esame, al comma 1, detta un regime che consente il riconoscimento fiscale dei maggiori valori iscritti in bilancio per effetto dell'imputazione dei disavanzi da annullamento o da concambio, a condizione però che tali maggiori valori vangano assoggettati all'imposta sostitutiva indicata nell'articolo 1 del decreto legislativo in commento.

Tanto premesso, nell'esaminare la disciplina contenuta nel citato comma 1 dell'articolo 6, occorre distinguere l'ipotesi del disavanzo da concambio da quella da annullamento. Il disavanzo, infatti, seppur contabilmente rappresenta sempre una differenza negativa, dal punto di vista economico assume connotati differenti a seconda che derivi da concambio o da annullamento.

4.2.1 Il disavanzo da concambio

Il disavanzo da concambio è una posta di equilibrio contabile che misura l'eccedenza dell'aumento del patrimonio netto deliberato dalla società incorporante o beneficiaria rispetto a quello della società incorporata o scissa indicato nelle sue scritture contabili.

Dal punto di vista economico esso può rappresentare le plusvalenze latenti presenti nella società incorporata, fusa o scissa.

Pertanto, se il disavanzo da concambio viene iscritto nell'attivo del bilancio, potrebbe essere utilizzato per rivalutare, con rilevanza esclusivamente civilistica, i beni ricevuti a seguito della fusione o della scissione, nonché per iscrivere una voce a titolo di avviamento.

L'utilizzo del disavanzo non costituisce un aspetto fiscalmente rilevante tant'è che ai sensi del comma 105 dell'articolo 3 della legge n. 549 del 1995, si rende necessaria la presentazione di un apposito prospetto di riconciliazione, da allegare alla dichiarazione dei redditi, dal quale risultino i dati esposti in bilancio e i valori fiscalmente riconosciuti.

Pertanto, allo scopo di consentire il riconoscimento anche fiscale in tutto o in parte dei valori in esame e, conseguentemente, ammettere la deduzione di maggiori costi, il legislatore delegato ha previsto la possibilità di ottenere detto riconoscimento a fronte dell'assoggettamento dei maggiori valori iscritti per effetto del disavanzo all'imposta sostitutiva, prevista dall'articolo 1 del provvedimento in esame nella misura del 27 per cento.

Il secondo periodo del comma 1 dell'articolo 6 in esame, stabilisce che l'incremento di patrimonio netto a fronte del disavanzo da concambio si considera formato con utili di cui all'articolo 41, comma 1, lettera e), del TUIR.

Tale disposizione soddisfa alle medesime esigenze cui risponde la similare previsione contenuta nell'articolo 4, comma 3, del decreto n. 358 del 1997 in esame, concernente il regime fiscale dei conferimenti. Infatti in entrambi i casi potrebbe verificarsi una duplicazione della tassazione in base al medesimo presupposto, una volta sui beni relativi al patrimonio della società incorporata e, un'altra, sulla partecipazione ricevuta in cambio dai soci della predetta società. Peraltro, la norma in commento si riferisce alle sole ipotesi di disavanzo da concambio, considerato che nel disavanzo da annullamento tale duplicità di tassazione non può verificarsi, tenuto conto che in tal caso la partecipazione nella società incorporata si annulla per effetto della fusione.

La riqualificazione fiscale del patrimonio netto, ai sensi della richiamata previsione dell'articolo 6, comma 1, secondo periodo, del provvedimento in esame, opera in tutti i casi in cui si manifesta un disavanzo da concambio indipendentemente dalle modalità della sua utilizzazione in bilancio e a prescindere dall'assolvimento dell'imposta sostitutiva.

Ferma restando l'attribuzione della natura di utile alla parte di patrimonio netto che si considera formato a fronte del disavanzo di concambio, l'anzidetta disposizione lascia impregiudicato l'ordinario regime del credito d'imposta sugli utili distribuiti e l'esigenza della verifica sulla spettanza o meno del credito medesimo.

4.2.2 Il disavanzo da annullamento

Anche il disavanzo da annullamento costituisce una posta di equilibrio contabile la quale, a differenza del disavanzo da concambio, misura l'eccedenza del valore contabile della partecipazione annullata per effetto della fusione o della scissione, rispetto al patrimonio netto della società incorporata o scissa indicato nelle scritture contabili della incorporante o beneficiaria.

In tal caso, l'iscrizione del disavanzo nell'attivo del bilancio ha il mero scopo di conservare il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione annullata.

Come sopra accennato, tuttavia, ai sensi dell'art. 27 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, il disavanzo non è utilizzabile, in via ordinaria, per effettuare iscrizioni di valori in franchigia d'imposta.

Ciò posto, se in via ordinaria il riconoscimento del disavanzo di fusione o di scissione può essere ottenuto in tutto o in parte ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del provvedimento in esame, mediante il pagamento dell'imposta sostitutiva, con la disposizione contenuta nel comma 2 dello stesso articolo 6, il legislatore, in presenza di disavanzi di annullamento ed in relazione a determinate fattispecie nelle quali gli incrementi di valore della partecipazione annullata si considerano già assoggettati ad imposizione, riconosce, entro certi limiti, i maggiori valori iscritti in bilancio a fronte dei disavanzi medesimi senza il pagamento dell'anzidetta imposta sostitutiva.

I predetti maggiori valori iscritti in bilancio sono riconosciuti fiscalmente in franchigia d'imposta fino a concorrenza dell'importo complessivo netto:

a) delle plusvalenze, diminuite delle eventuali minusvalenze, rilevanti ai fini dell'applicazione dell'imposta sostitutiva, ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge 28 gennaio 1991, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 marzo 1991, n. 102, concernente le modalità di applicazione dell'imposta sostitutiva, o che sono state assoggettate ad imposta sostitutiva ai sensi del decreto legislativo in esame;

b) dei maggiori e dei minori valori, rispetto ai relativi valori di acquisizione, derivanti dalla cessione delle azioni o quote, che hanno concorso a formare il reddito di un'impresa residente;

c) delle svalutazioni nonché delle rivalutazioni delle azioni o quote che hanno concorso a formare il reddito di un'impresa residente o che per disposizione di legge non concorrono a formarlo, nemmeno in caso di successivo realizzo.

Le motivazioni che hanno indotto il legislatore fiscale a riconoscere, entro i predetti limiti, i maggiori valori iscritti a fronte del disavanzo, sono evidenziate nella stessa relazione di accompagnamento al provvedimento, nella quale è precisato che, con esclusivo riferimento al disavanzo di annullamento, si è inteso riconoscere rilevanza fiscale ai maggiori valori iscritti in bilancio a condizione che sia dimostrato "che essi scaturiscono da plusvalori in precedenza assoggettati a tassazione".

La relazione aggiunge, inoltre, che "la norma si limita a salvaguardare il valore della partecipazione annullata quando altrimenti si verificherebbe una doppia tassazione economica" e che "ciò accade per le partecipazioni che hanno concorso a formare l'imponibile dell'impresa cedente, o hanno scontato l'imposta sostitutiva in sede di cessione della medesima. In tali casi non vi è motivo per disconoscere il valore fiscale del disavanzo, traducendosi il contrario comportamento non solo nel disconoscimento di costi altrimenti riconosciuti, ma anche in una plateale doppia tassazione della stessa materia imponibile".

La stessa relazione aggiunge che "l'avvenuta tassazione può essersi verificata in tutti i precedenti passaggi delle quote o azioni annullate e, a tal fine, l'incorporante dovrà dimostrare che le relative componenti positive di reddito sono state realizzate" dai soggetti che le detenevano.

In particolare, per quanto concerne l'ipotesi sub a) va osservato che le plusvalenze e le minusvalenze di cui deve tenersi conto sono quelle conseguite da soggetti che hanno ceduto le partecipazioni medesime mediante operazioni realizzate fuori dall'esercizio di imprese commerciali, assoggettate ad imposta sostitutiva secondo le disposizioni dell'art. 2 del decreto-legge 28 gennaio 1991, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 marzo 1991, n. 102.

Ai medesimi fini si tiene conto anche dell'imposta sostitutiva corrisposta dai predetti soggetti in applicazione delle disposizioni contenute negli articoli 1 e 2 del decreto legislativo n. 358 del 1997 in commento.

Nell'applicazione a regime della previsione di cui trattasi, dovrà farsi riferimento alle nuove disposizioni concernenti la tassazione dei redditi diversi che avranno effetto a decorrere dal 1° luglio 1998.

Con riferimento all'ipotesi sub b), va rilevato che essa riguarda le operazioni di cessione delle predette partecipazioni realizzate nell'esercizio d'impresa, con la precisazione che i maggiori o minori valori rispetto a quelli di acquisizione rilevano per il solo fatto di aver concorso alla formazione del reddito d'impresa ed indipendentemente, quindi, da un versamento di imposta .

Il riferimento alle sole imprese residenti, operato dalla lettera sub b) in commento, si giustifica in base al presupposto che il reddito conseguito in tali cessioni abbia concorso a formare il reddito d'impresa; conseguentemente, tale condizione deve ritenersi realizzata anche qualora le predette cessioni abbiano concorso a formare il reddito della stabile organizzazione in Italia di un'impresa non residente.

Infine, relativamente all'ipotesi sub c), va osservato che essa riguarda i maggiori o minori valori rispetto a quelli di acquisizione delle medesime partecipazioni di cui alla lettera precedente, che hanno concorso a formare il reddito d'impresa non a seguito di operazioni di realizzo bensì per effetto di rivalutazioni o svalutazioni.

A tal fine, considerato che le rivalutazioni e le svalutazioni di che trattasi sono quelle fiscalmente rilevanti, la norma in commento dispone anche che vanno considerate le rivalutazioni che per disposizione di legge non concorrono alla formazione del reddito nemmeno in caso di realizzo (il caso ricorre, di solito, per le rivalutazioni operate in attuazione di una legge di rivalutazione monetaria).

Ai sensi del successivo comma 3 dell'articolo 6 in esame, la possibilità di non assoggettare il disavanzo all'imposta sostitutiva, fino a concorrenza della somma algebrica dei maggiori e dei minori valori di cui alle precedenti lettere sub a), sub b) e sub c), è condizionata alla dimostrazione, mediante idonea documentazione, da parte della società incorporante o beneficiaria, dei componenti positivi e negativi di reddito relativi alle azioni o quote annullate realizzate dalla società stessa e dai precedenti possessori. Si precisa che l'obbligo previsto dal legislatore di documentare i predetti componenti reddituali può essere assolto anche mediante dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui alla legge 4 gennaio 1968, n. 15.

Il rispetto della richiamata condizione impone alla società che intende avvalersi della suddetta previsione normativa di dare dimostrazione di tutte le operazioni eseguite per tutto il periodo precedente fino a risalire alla originaria acquisizione della partecipazione e, quindi, al momento di emissione della stessa.

Al riguardo, tenuto conto della onerosità della prova, specialmente in sede di prima applicazione della norma, con disposizione transitoria contenuta nel successivo articolo 9, viene stabilito, al comma 4, che "per le azioni o quote già esistenti alla data del 30 aprile 1997, ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 6, comma 2, la documentazione prevista dal comma 3 dello stesso articolo può riguardare soltanto i componenti positivi e negativi di reddito del soggetto possessore delle azioni o quote alla data anzidetta e dei possessori successivi, nonché la plusvalenza o la minusvalenza conseguita dal soggetto che ha ceduto le azioni o le quote al predetto possessore alla data del 30 aprile 1997".

In altri termini, ai fini dell'assolvimento dell'onere imposto dalla suddetta condizione, la società incorporante o beneficiaria dovrà dare dimostrazione degli elementi positivi e negativi che rilevano ai fini dell'art. 6, comma 2, del provvedimento in esame, ad iniziare dall'operazione di cessione effettuata nei confronti del soggetto che risulta possessore alla data del 30 aprile 1997.

Sotto l'aspetto procedurale, va rilevato che, ai sensi del comma 4 dell'art. 6 in commento, i soggetti che intendono avvalersi delle richiamate disposizioni dei commi 1 e 2, devono chiederne l'applicazione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta in cui ha effetto la fusione o la scissione.

 

 

4.3 Il regime transitorio

Il comma 2 dell'articolo 9 stabilisce che le disposizioni dell'articolo in esame si applicano alle fusioni e alle scissioni perfezionate, ai sensi dell'art. 2504-bis del c.c., a partire dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

Ai sensi dell'articolo 2504-bis del codice civile, la fusione ha effetto quando è stata eseguita l'ultima delle iscrizioni prescritte dall'articolo 2504. Tale ultima disposizione a sua volta stabilisce che l'atto di fusione deve essere depositato, entro trenta giorni, per l'iscrizione nell'ufficio del registro delle imprese dei luoghi ove è posta la sede delle società partecipanti alla fusione, di quella che ne risulta o della società incorporante.

Analoga disciplina si rende applicabile anche in relazione alle operazioni di scissione.

Il comma 3 del citato articolo 9 stabilisce che le differenze tra i valori iscritti in bilancio a fronte dei disavanzi di fusione o di scissione ed i relativi valori fiscalmente riconosciuti, ancora esistenti nel bilancio relativo all'ultimo esercizio chiuso prima della data di entrata in vigore del provvedimento in esame, si considerano fiscalmente riconosciuti mediante il versamento, sulla suddetta differenza, dell'imposta sostitutiva di cui all'articolo 1, comma 1, del provvedimento in commento.

Si ricorda che tali valori sono stati oggetto della specifica disciplina contenuta nell'articolo 21 del D.L. n. 41 del 1995 convertito nella legge n. 85 del 1995, con cui si è consentito l'affrancamento a pagamento dei valori stessi previa presentazione di apposita istanza.

 

 

5. Disciplina dell'imposta sostitutiva (art. 2)

L'articolo 2 del decreto legislativo in esame stabilisce le modalità di liquidazione e di versamento dell'imposta sostitutiva di cui al presente decreto. L'imposta sostitutiva può essere versata, a scelta del contribuente, in unica soluzione ovvero in un massimo di cinque rate di pari importo, senza interessi.

Ciò posto, la prima rata deve essere versata con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative al periodo d'imposta nel quale è stata realizzata la plusvalenza ovvero, hanno avuto effetto le operazioni di fusione e di scissione; per le altre rate il termine di scadenza coincide con quello stabilito per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative ai quattro periodi d'imposta successivi.

Qualora nel corso del periodo temporale di rateizzazione dell'imposta sostitutiva si verifichi la cessazione dell'attività d'impresa, occorre distinguere tra impresa individuale e società. Nel primo caso continua a sussistere la possibilità del pagamento rateale dell'imposta sostitutiva, in quanto solo con riferimento alle società la cessazione dell'attività coincide con l'estinzione del soggetto passivo.

Relativamente alle modalità di versamento la disposizione stabilisce che gli importi da versare a titolo di imposta sostitutiva possono essere compensati con crediti di imposta ovvero con le eccedenze di imposta risultanti dalle dichiarazioni dei redditi relative a periodi di imposta precedenti o da quelle entro il cui termine di presentazione devono essere effettuati i versamenti dei predetti importi.

Si precisa, al riguardo, che gli articoli 11 e 94 del TUIR stabiliscono che le eccedenze di imposta risultanti dalle dichiarazioni dei redditi possono essere chieste a rimborso ovvero computate in diminuzione nei periodi di imposta successivi.

Per il versamento dell'imposta sostitutiva va utilizzato il seguente codice tributo: 1665 - Imposta sostitutiva sulle plusvalenze da cessione di azienda o di partecipazione di controllo o di collegamento.

Il versamento è effettuato al concessionario della riscossione competente in base al domicilio fiscale del cedente o mediante delega alle banche, utilizzando rispettivamente la distinta Mod. 22 o la delega di pagamento Mod. D, ovvero, in caso di pagamento tramite gli uffici postali, il bollettino Mod. 31.

 

 

Capitolo II

Disposizioni in materia di comportamenti elusivi.

6. Individuazione di operazioni di natura elusiva e modificazioni in materia di accertamento e contenzioso (articolo 7)

7. Il riporto delle perdite (art. 8)

 

 

6. Individuazione di operazioni di natura elusiva e modificazioni in materia di accertamento e contenzioso (articolo 7)

1. Premessa

La norma in esame dà attuazione all'articolo 3, comma 161, lett. g) della legge n. 662 del 1996 che ha delegato il Governo a rivedere i criteri di individuazione delle operazioni aventi natura elusiva indicate nell'articolo 10 della legge n. 408 del 1990, anche in funzione di un miglior coordinamento con le operazioni aziendali indicate nelle precedenti lettere dello stesso comma 161, prese in esame dal provvedimento legislativo n. 358 del 1997 in commento nonché con le disposizioni del TUIR e del D.Lgs. n. 544 del 1992.

Sul piano formale tale potere di riforma è stato esercitato:

- inserendo l'articolo 37-bis nel corpo del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, concernente l'accertamento delle imposte sui redditi;

- sostituendo il comma 2 dell'articolo 30 del D.Lgs. n. 546 del 1992, concernente il nuovo processo tributario;

- inserendo un nuovo comma dopo il terzo comma dell'articolo 37 del citato D.P.R. n. 600 del 1973;

- modificando il comma 2 dell'articolo 21 della legge n. 413 del 1991, concernente le richieste di parere al comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive.

Ai sensi dell'articolo 9, comma 5, del decreto-legislativo in esame la disposizione antielusiva di cui trattasi si applica agli atti, fatti e procedimenti posti in essere dopo l'entrata in vigore del decreto stesso e dalla medesima data cessa di avere applicazione, per tali fattispecie, l'articolo 10 della legge 29 dicembre 1990, n. 408.

Per meglio comprendere la portata innovativa della disposizione in esame che reca alcune novità di rilievo rispetto alla disciplina contenuta nel citato articolo 10 della legge n. 408 del 1990, si ritiene opportuno procedere ad un breve esame della disposizione abrogata.

In proposito, va precisato che la disciplina antielusiva contenuta nel suddetto articolo 10 della legge n. 408 del 1990, era caratterizzata dalla possibilità, per l'Amministrazione finanziaria, di disconoscere i vantaggi tributari conseguenti all'effettuazione di determinate operazioni specificamente individuate poste in essere senza valide ragioni economiche allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d'imposta.

In proposito una delle osservazioni che è stata formulata è che l'elusione si realizza solitamente non mediante un'unica operazione, bensì tramite una serie di atti tra loro coordinati.

In sostanza, si è ritenuto che il riferimento ad una singola operazione (come, ad esempio una scissione) spesso non consente di stabilire se effettivamente l'operazione è stata posta in essere a fini elusivi, mentre è stato ritenuto di particolare rilievo, ai fini della sussistenza o meno dell'intento elusivo, la mancanza di valide ragioni economiche nell'effettuazione delle operazioni stesse.

Per quanto riguarda inoltre il termine "fraudolentemente" utilizzato dalla norma di cui trattasi vanno ricordate le incertezze derivanti dalle diverse interpretazioni che di esso sono state date.

Al riguardo si ritiene utile richiamare la relazione alla delibera Secit n. 105 del 5 luglio 1994, con la quale è stata esclusa la possibilità di intendere tale termine in senso penalistico e, cioè, come impiego di artifizi o raggiri per ottenere vantaggi tributari, privilegiando invece un'interpretazione civilistica del termine stesso nel senso di considerare la connotazione complessiva dell'operazione come abuso dello strumento negoziale.

Di seguito si forniscono i primi chiarimenti maggiormente significativi della revisione normativa sopra citata, fermo restando che ulteriori e più approfondite precisazioni potranno scaturire a seguito del consolidarsi della dottrina e della giurisprudenza, nonché delle pronunce che saranno emesse dal Comitato Consultivo per l'applicazione delle norme antielusive, in merito alla notevole varietà e complessità dei casi concreti nei quali la disposizione di cui trattasi potrà trovare applicazione.

2. La nuova disposizione antielusiva

Per far fronte ai rilievi critici sopra illustrati relativamente alla precedente disciplina antielusiva, il legislatore è intervenuto apportando le modificate indicate in premessa.

In particolare, il comma 1 dell'articolo 37-bis introdotto nel D.P.R. n. 600 del 1973, stabilisce che sono inopponibili all'Amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.

Il comma 2 dello stesso articolo 37-bis, stabilisce che l'Amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'Amministrazione.

Il successivo comma 3 dispone, inoltre, che le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano a condizione che, nell'ambito del comportamento di cui al comma 2, siano utilizzate una o più delle seguenti operazioni.

- trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;

- conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende;

- cessioni di crediti;

- cessioni di eccedenze d'imposta;

- operazioni di cui al D.Lgs. n. 544 del 1992;

- operazioni, da chiunque effettuate, incluse le valutazioni, aventi ad oggetto i beni e i rapporti di cui all'articolo 81, comma 1, lettere c), c-bis) e c-ter) del TUIR.

In merito a quanto sopra, va anzitutto rilevato che la nuova disciplina, a differenza della precedente, non fa riferimento ad una singola operazione ma ad atti, fatti o negozi, anche collegati tra loro, nell'ambito dei quali siano utilizzate una o più operazioni specificamente individuate.

In tal modo, si è inteso porre l'accento sul cosiddetto "disegno elusivo" architettato dal contribuente, intendendo evidenziare con ciò il fatto che di regola il fenomeno elusivo è caratterizzato dal compimento di più atti collegati fra loro, precedenti e successivi rispetto ad un'operazione individuata.

Va altresì sottolineato che, anche nella disposizione in esame, al fine di individuare l'intento elusivo viene richiamato il concetto dell'assenza di valide ragioni economiche.

Per quanto riguarda, inoltre, il termine "fraudolentemente", utilizzato nella precedente normativa antielusiva, che come detto in premessa aveva dato luogo a numerose incertezze, si è ritenuto opportuno meglio precisare le caratteristiche del fenomeno elusivo che con tale termine si intendevano evidenziare sostituendo il termine stesso con il riferimento ad atti diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario.

Per quanto riguarda, infine, il requisito precedentemente richiesto del perseguimento dello scopo esclusivo di ottenere un risparmio di imposta, va sottolineato che la nuova disposizione specifica che ai fini della sua applicazione rilevano soltanto quegli atti che consentono di ottenere un risparmio di imposta altrimenti indebito.

Va, inoltre, sottolineato che la disposizione in esame, a differenza di quella precedente, stabilisce espressamente che le imposte determinate in base alle disposizioni eluse sono applicate al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'Amministrazione finanziaria.

Si osserva, infine, che nonostante il comma 1 dell'articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, enunci criteri antielusivi di portata generale, il successivo comma 3 subordina l'applicazione della disposizione antielusiva al compimento di una o più delle operazioni ivi indicate, che sono numericamente superiori a quelle indicate nella previgente normativa di cui all'articolo 10 della legge n. 408 del 1990.

In conclusione, la norma antielusiva può trovare applicazione soltanto con riferimento al settore delle imposte sui redditi e sempreché sia stata effettuata una o più delle operazioni predeterminate.

Dall'esame della norma antielusione in commento e dalla sua collocazione dell'ambito del D.P.R. n. 600 del 1973, contenente disposizioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi, emerge chiaramente che essa può spiegare i suoi effetti esclusivamente nell'ambito tributario, ferma restando, pertanto, la validità, ai fini civilistici, degli atti posti in essere dal contribuente, ancorché questi siano inopponibili all'Amministrazione finanziaria.

Conseguentemente, risulta del tutto estranea al fenomeno della elusione quello della simulazione, caratterizzato, quest'ultimo, dalla divergenza tra la situazione apparente e quella realmente voluta dalle parti contraenti.

In sostanza, diversamente dalla simulazione, nella elusione l'atto posto in essere è realmente voluto dagli interessati, ma soltanto allo scopo di trarne una particolare situazione fiscale agevolativa.

Un altro aspetto che con riferimento alla norma di cui trattassi si ritiene di dover chiarire è quello dato dalla differenza tra l'elusione ed il mero risparmio di imposta.

In merito appare utile riportare un brano della relazione ministeriale di accompagnamento, con il quale si chiarisce che il risparmio di imposta " si verifica quando, tra vari comportamenti posti dal sistema fiscale su un piano di pari dignità, il contribuente sceglie quello fiscalmente meno oneroso. Non c'è aggiramento fintanto che il contribuente si limita a scegliere tra due alternative che in modo strutturale e fisiologico l'ordinamento gli mette a disposizione. Una diversa soluzione finirebbe per contrastare con un principio diffuso in tutti gli ordinamenti tributari dei paesi sviluppati, che consentono al contribuente di regolare i propri affari nel modo fiscalmente meno oneroso, e dove le norme antielusiva scattano solo quando l'abuso di questa libertà dà luogo a manipolazioni, scappatoie e stratagemmi, che - pur formalmente legali - finiscono per stravolgere i principi del sistema".

Da quanto precede discende che il risparmio di imposta che la norma in commento intende contrastare è quello che l'ordinamento tributario non consente, in quanto sostanzialmente contrario al principio costituzionale della capacità contributiva.

Per quanto riguarda il requisito dell'assenza delle "valide ragioni economiche" previsto dalla norma, occorre precisare che, come anche in questo caso chiarisce la sopra citata relazione ministeriale, esso non si riferisce alla "validità giuridica" dei negozi posti in essere, ma alla loro apprezzabilità economico-gestionale.

Verificandosi l'ipotesi elusiva, l'Amministrazione finanziaria ha il potere-dovere di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i negozi e i fatti (quindi anche mediante i comportamenti) adottati dal contribuente e di applicare le imposte sulla base delle norme eluse, detraendo, come già precisato, quelle afferenti ai predetti atti, negozi o fatti inopponibili.

A tal fine, la norma in esame detta precise disposizioni a garanzia del contribuente che devono essere seguite dagli uffici per pervenire alla iscrizione a ruolo delle maggiori imposte applicate.

Inoltre, relativamente alle operazioni da prendere in considerazione ai fini di che trattasi, va precisato che esse rilevano oggettivamente e, pertanto, indipendentemente dal fatto che siano state poste in essere nell'esercizio di imprese commerciali o meno.

In tal senso si ritiene debba essere intesa l'espressione da "chiunque effettuate" contenuta nel comma 3, lettera f), della disposizione antielusiva in esame, concernente la cessione delle partecipazioni sociali.

Infine, in considerazione della delicatezza e complessità applicativa della norma di cui trattasi, il legislatore si è preoccupato di apportare alcune modifiche nell'articolo 30, del decreto-legislativo 30 dicembre 1992, n. 546, come accennato in premessa, procedendo alla sostituzione del relativo comma 2, per stabilire, tra l'altro, che una udienza per ogni mese e per ciascuna sezione è comunque riservata alla trattazione di controversie inerenti l'applicazione della norma medesima.

Relativamente alla possibilità della disapplicazione delle norme antielusive di cui al comma 8 dell'articolo 37-bis, si fa rinvio al decreto ministeriale in corso di emanazione e alle relative istruzioni ministeriali.

3. Il regime transitorio

Ai sensi dell'articolo 9, comma 5, del decreto legislativo n. 358 del 1997, le disposizioni antielusive di cui all'articolo 7, comma 1, si applicano agli atti, fatti e procedimenti posti in essere dopo l'entrata in vigore del decreto medesimo e dalla stessa data cessa di avere applicazione, per tali fattispecie, l'articolo 10 della legge n. 408 del 1990.

A tal riguardo si precisa che, nel caso di procedimenti consistenti in una serie di atti preordinati al medesimo fine elusivo, la nuova disposizione si applica anche quando alcuni atti di detto procedimento siano stati posti in essere precedentemente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 358 del 1997 e sempreché il procedimento stesso si concluda successivamente alla data di entrata in vigore del decreto stesso. A tale conclusione si perviene in considerazione del fatto che gli atti che costituiscono il procedimento elusivo, rispondendo ad un unico disegno assumono rilevanza, ai fini di che trattasi, non nel momento in cui sono stati posti in essere bensì nel momento di conclusione del procedimento stesso.

Inoltre, il comma 6 del citato articolo 9 stabilisce che il comma 16 dell'articolo 123-bis del TUIR è soppresso.

Com'è noto, il comma 16 dell'art. 123-bis del TUIR stabilisce che le disposizioni dell'articolo 10 della legge n. 408 del 1990 sono da interpretare nel senso che si applicano anche alle operazioni di scissione, disconoscendone in ogni caso i vantaggi tributari nell'ipotesi di scissioni non aventi ad oggetto aziende o complessi aziendali, anche sotto forma di partecipazione, ovvero in quelle di assegnazione ai partecipanti di ciascuno dei soggetti beneficiari di azioni o quote in misura non proporzionale alle rispettive partecipazioni nella società scissa.

Questa disposizione, introdotta nell'ordinamento tributario con il D.Lgs. n. 543 del 1992, in concomitanza con la regolamentazione del regime fiscale della scissione, intendeva innanzitutto stabilire che la norma antielusiva contenuta nell'articolo 10 della legge n. 408 del 1990 si applicava anche alle operazioni di scissione, la cui disciplina civilistica e fiscale è stata dettata successivamente all'entrata in vigore della stessa legge n. 408 del 1990, e precisava, inoltre, che i vantaggi tributari conseguenti all'effettuazione di scissioni non proporzionali e di quelle non aventi ad oggetto aziende dovevano essere disconosciuti in ogni caso.

Premesso che il comma 3 dell'articolo 37-bis in commento indica tra le operazioni rilevanti ai fini elusivi anche le scissioni, si rileva che, per effetto dell'avvenuta espressa abrogazione del richiamato comma 16 dell'articolo 123-bis, quest'ultimo non spiega più alcuna efficacia.

 

 

7. Il riporto delle perdite (art. 8)

7.1 Premessa

7.2 Perdite illimitatamente riportabili

7.3 Norma antielusiva in materia di riporto delle perdite

7.4 Decorrenza

 

 

7.1 Premessa

Come si evince dalla relazione al provvedimento, l'articolo 8 del decreto legislativo n. 358 del 1997 contiene disposizioni dirette ad agevolare, mediante aggiustamenti perequativi, le imprese di nuova costituzione nonché di escludere l'applicazione del riporto delle perdite qualora detti riporti siano effettuati unicamente allo scopo di porre in essere il trasferimento di perdite fiscali mascherando trasferimenti di comparti produttivi.

La norma in commento modifica l'articolo 8 del TUIR, riguardante la determinazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, nonché l'articolo 102 del medesimo TUIR, concernente il riporto delle perdite e pertanto essa trova applicazione nei confronti dei soggetti cui ordinariamente si applica la disciplina contenuta nei citati articoli del TUIR.

In particolare, l'articolo 8 in commento si compone di un solo comma, la cui lettera a) integra il comma 3 dell'articolo 8 del TUIR, con l'inserimento di un nuovo periodo con il quale viene prevista l'applicazione delle disposizioni del comma 1-bis dell'articolo 102 del TUIR.

Con la successiva lettera b) del predetto comma, inoltre, viene integrato l'articolo 102 del TUIR, con l'aggiunta dei commi 1-bis e 1-ter.

 

 

7.2 Perdite illimitatamente riportabili

La disposizione introdotta dal comma 1-bis aggiunto all'articolo 102 del TUIR, stabilisce che le perdite realizzate nei primi tre periodi di imposta possono, con le modalità previste al comma 1 dello stesso articolo 102, essere computate in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi senza alcun limite di tempo.

La norma di cui trattasi, come precisato dall'articolo 9, comma 7, del decreto-legislativo in commento, si applica alle perdite formatesi a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data della sua entrata in vigore (8 novembre 1997).

Conseguentemente, in sede di prima applicazione della norma stessa, i soggetti che ne possono usufruire sono quelli che alla suddetta data di entrata in vigore del decreto-legislativo di cui trattasi si trovano nel primo periodo d'imposta ovvero in uno dei primi tre periodi della loro costituzione.

Così, ad esempio, nel caso di un soggetto il cui periodo d'imposta sia coincidente con l'anno solare e che si sia costituito nel corso del 1995, rientrano nel beneficio previsto dal comma 1-bis dell'articolo 102 del TUIR le perdite conseguite nel periodo d'imposta 1997, mentre si applica la disciplina del riporto in cinque periodi d'imposta di cui al comma 1 del citato articolo 102 del TUIR, relativamente alle perdite realizzate nei periodi d'imposta 1995 e 1996.

Tenuto conto di quanto sopra precisato, in merito all'applicazione dell'articolo 8 in esame nei confronti dei soggetti destinatari della disciplina di cui agli articoli 8 e 102 del TUIR, va rilevato che possono fruire della disposizione medesima anche gli enti non commerciali, relativamente alle attività commerciali esercitate, nonché le società e gli enti, commerciali e non commerciali non residenti, per le attività svolte in Italia mediante stabili organizzazioni.

Con l'introduzione del comma 1-bis nell'articolo 102 del TUIR, che comporta nei casi ivi previsti il riconoscimento del riporto senza limiti temporali delle perdite, è possibile ipotizzare la contemporanea presenza in capo al medesimo soggetto di dette perdite e di quelle assoggettate alla disciplina ordinaria prevista dal comma 1 dello stesso articolo 102 (riporto entro i cinque periodi di imposta).

Verificandosi tale ipotesi è indispensabile che l'impresa interessata indichi nella dichiarazione dei redditi distintamente l'utilizzo dei due tipi di perdite.

 

 

7.3 Norma antielusiva in materia di riporto delle perdite

Il comma 1-ter, aggiunto all'articolo 102 del TUIR, esclude il riporto delle perdite di cui al comma 1 nel caso in cui la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee ordinarie del soggetto che riporta le perdite venga trasferita o comunque acquisita da terzi, anche a titolo temporaneo e, inoltre, venga modificata l'attività principale in fatto esercitata nei periodi d'imposta in cui le perdite sono state realizzate.

Al riguardo si osserva che la norma in esame, sulla scia di altre disposizioni antielusive presenti nell'ordinamento tributario e a completamento della norma antielusiva più generale posta nel precedente articolo 7 del decreto in commento, nasce dall'esigenza di evitare operazioni aventi per scopo l'acquisto di società con perdite fiscalmente rilevanti effettuato al solo scopo di ottenere degli indebiti vantaggi fiscali.

Le condizioni poste dalla norma (trasferimento del soggetto che riporta la perdita e trasformazione dell'attività principale di fatto svolta al momento del realizzo delle perdite) sono complementari tra di loro.

Pertanto, con riferimento alla verifica della prima delle due suddette condizioni, si osserva che il riporto delle perdite di cui al comma 1 dell'articolo 102 del TUIR è escluso nel caso in cui il trasferimento delle partecipazioni della società che riporta le perdite dà luogo nei confronti dell'acquirente all'acquisizione del controllo della società stessa. Tale risultato si realizza sia nel caso di trasferimento di un pacchetto di per sè di controllo, sia nel caso in cui l'acquisizione del controllo avvenga a seguito di integrazione della partecipazione già posseduta.

Inoltre, detto controllo può realizzarsi non soltanto mediante il trasferimento della proprietà della partecipazione ma anche mediante altri tipi di negozi giuridici come, ad esempio, il trasferimento dell'usufrutto della partecipazione stessa, tenuto conto dell'ampia formulazione della norma che, con riferimento all'acquisizione della maggioranza delle partecipazioni, usa la locuzione "comunque acquisita".

Come precisato dalla stessa norma in commento, quest'ultima spiega efficacia anche nel caso in cui il trasferimento della partecipazione avvenga solo temporaneamente.

Con riferimento al verificarsi della seconda condizione (modifica dell'attività principale), si precisa che il legislatore individua un periodo temporale entro il quale assume rilevanza la modifica dell'attività principale svolta.

In particolare, prendendo quale punto di riferimento l'attività principale in fatto svolta al momento della realizzazione delle perdite assumono rilevanza, rispetto ad essa, le variazioni intervenute nei seguenti periodi di imposta:

- periodo di imposta in corso al momento del trasferimento o della acquisizione anche a titolo temporaneo;

- i due periodi di imposta anteriori a quello del trasferimento;

- i due periodi di imposta successivi a quello del trasferimento.

Per attività principale deve intendersi l'attività che sulla base di riscontri fattuali risulti quantitativamente superiore, con riferimento ai ricavi, ad altre comunque svolte dalla società ceduta o trasferita.

La presunzione posta nei primi due periodi del comma 1-ter, per effetto della quale non è applicabile l'istituto del riporto delle perdite, non trova applicazione nel caso in cui venga provata la presenza, in via alternativa, di una delle due seguenti cause di esclusione:

a) le partecipazioni siano acquistate da società appartenenti allo stesso gruppo;

b) le partecipazioni riguardino società che nel biennio precedente a quello di trasferimento hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle dieci unità e per le quali dal conto economico relativo all'esercizio precedente a quello di trasferimento risultino un ammontare di ricavi, di cui all'articolo 2425, lettera A), numero 1, del codice civile e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all'articolo 2425, lettera B), numero 9), lettere a) e b), del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.

Con riferimento a quanto disposto dalla lettera b), la locuzione utilizzata "numero di dipendenti mai inferiori alle dieci unità", comporta che, per tutti i giorni compresi nell'arco temporale considerato dalla disposizione stessa, il numero dei dipendenti non può essere in nessun caso inferiore alle dieci unità.

 

 

7.4 Decorrenza

La norma in esame va coordinata con quanto disposto dal successivo articolo 9, comma 7, secondo il quale le disposizioni di cui all'articolo 8 hanno la seguente decorrenza:

- con riferimento al comma 1-bis, come già riferito in precedenza, alle perdite formatesi a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto n. 358 del 1997;

- con riferimento al comma 1-ter, a partire dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del suddetto decreto, anche in relazione alle perdite dichiarate in periodi d'imposta precedenti a quest'ultima data.

Il Direttore generale del dipartimento delle entrate: ROMANO

 

 

APPENDICE

CAPO I

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI OPERAZIONI DI

RIORGANIZZAZIONE DELLE ATTIVITA' PRODUTTIVE

Art. 1

Imposta sostitutiva sulle plusvalenze da cessione di azienda o di partecipazioni

di controllo o di collegamento

1. Le plusvalenze realizzate mediante la cessione di aziende possedute per un periodo non inferiore a tre anni e determinate secondo i criteri previsti dall'articolo 54 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, possono essere assoggettate ad un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, con l'aliquota del 27 per cento. La presente disposizione non si applica alle plusvalenze realizzate nei casi previsti dall'articolo 125 del medesimo testo unico, recante disposizioni in materia di tassazione dei redditi delle imprese fallite o in liquidazione coatta.

2. L'opzione per l'applicazione dell'imposta sostitutiva va esercitata nella dichiarazione dei redditi del periodo di imposta nel quale le plusvalenze sono realizzate; se in un periodo d'imposta sono poste in essere più operazioni, l'opzione può riguardare anche le plusvalenze derivanti da singole operazioni.

3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche alle plusvalenze realizzate mediante la cessione di partecipazioni di controllo o di collegamento, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, contenente disposizioni in materia di società controllate e collegate, che risultano iscritte come tali nelle immobilizzazioni finanziarie degli ultimi tre bilanci. L'imposta sostitutiva è applicata con l'aliquota del 27 per cento sulle plusvalenze determinate secondo le disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

4. Qualora le plusvalenze di cui ai commi 1 e 3 siano realizzate dalle società di cui all'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, l'imposta sostitutiva è dovuta dalle società stesse, che esercitano l'opzione nella dichiarazione dei redditi indicata nel comma 2 e provvedono alla liquidazione e al versamento.

Art. 2.

Disciplina dell'imposta sostitutiva

1. L'imposta sostitutiva di cui al presente decreto deve essere versata in un massimo di cinque rate annuali di pari importo: la prima con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative al periodo di imposta nel quale è stata realizzata la plusvalenza ovvero hanno avuto effetto le operazioni di fusione e di scissione; le altre con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative ai quattro periodi di imposta successivi. Gli importi da versare a titolo di imposta sostitutiva possono essere compensati con i crediti di imposta ovvero con le eccedenze di imposta risultanti dalle dichiarazioni dei redditi relative a periodi di imposta precedenti o da quelle entro il cui termine di presentazione devono essere effettuati i versamenti dei predetti importi. Il pagamento dell'imposta sostitutiva non dà diritto al rimborso delle imposte sui redditi eventualmente già assolte.

2. L'imposta sostitutiva non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi.

3. Per la liquidazione, l'accertamento, la riscossione, le sanzioni, i rimborsi ed il contenzioso in materia di imposta sostitutiva si applicano le disposizioni previste per le imposte sui redditi.

Art. 3.

Conferimenti di aziende o di partecipazioni di controllo o di collegamento

1. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 54 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e di quelle di cui all'articolo 1, per i conferimenti di aziende e di partecipazioni di controllo o di collegamento ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, contenente disposizioni in materia di società controllate e collegate, effettuati tra soggetti residenti in Italia nell'esercizio di imprese commerciali, si considera valore di realizzo quello attribuito alle partecipazioni, ricevute in cambio dell'oggetto conferito, nelle scritture contabili del soggetto conferente ovvero, se superiore, quello attribuito all'azienda o alle partecipazioni conferite nelle scritture contabili del soggetto conferitario.

2. Per i conferimenti di aziende situate nel territorio dello Stato, le disposizioni del comma 1 si applicano anche se il conferente o il conferitario è un soggetto non residente nel territorio stesso.

3. Qualora il conferimento abbia ad oggetto l'unica azienda dell'imprenditore individuale, la cessione, anche a titolo gratuito, delle partecipazioni ricevute a seguito del conferimento, si considera effettuata nell'esercizio d'impresa, ed è fatta salva l'applicazione dell'articolo 16, comma 1, lettera g), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, concernente la tassazione separata delle plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di aziende, qualora ne sussistano i presupposti, con riferimento alla data del conferimento, la cessione delle partecipazioni, effettuata oltre i tre anni dal conferimento, è disciplinata dal decreto legge 28 gennaio 1991, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1991, n.102, concernente l'assoggettamento di talune plusvalenze ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, assumendo come costo delle partecipazioni il valore attribuito alle stesse ai sensi del presente articolo.

Art. 4

Regimi fiscali del soggetto conferente e del soggetto conferitario

1. I conferimenti di aziende possedute per un periodo non inferiore a tre anni, effettuati tra i soggetti indicati nell'articolo 87, comma 1, lettere a) e b), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non costituiscono realizzo di plusvalenze o minusvalenze. Tuttavia il soggetto conferente deve assumere, quale valore delle partecipazioni ricevute, l'ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell'azienda conferita e il soggetto conferitario subentra nella posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell'attivo e del passivo dell'azienda stessa, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione, da allegare alla dichiarazione dei redditi, i dati esposti in bilancio e i valori fiscalmente riconosciuti.

2. In luogo dell'applicazione delle disposizioni del comma 1, i soggetti ivi indicati possono optare, nell'atto di conferimento, per l'applicazione delle disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e dell'articolo 1 del presente decreto. L'opzione può essere esercitata anche per i conferimenti di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544, recante disposizioni per l'adeguamento alle direttive comunitarie relative al regime fiscale di fusioni, scissioni, conferimenti d'attivo e scambi di azioni.

3. Qualora non sia esercitata l'opzione di cui al comma 2, l'aumento di patrimonio netto del soggetto conferitario a seguito del conferimento si considera formato con gli utili di cui all'articolo 41, comma 1, lettera e), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, concernente la tassazione degli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche, per la parte che eccede il valore fiscalmente riconosciuto dell'azienda conferita.

Art. 5

Scambi di partecipazioni

1. La permuta, mediante la quale uno dei soggetti indicati nell'articolo 87, comma 1, lettere a) e b), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, acquista o integra una partecipazione di controllo ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, n. 1, del codice civile, contenente disposizioni in materia di società controllate e collegate, in altro soggetto indicato nelle medesime lettere a) e b), attribuendo ai soci di quest'ultimo azioni proprie, non dà luogo a componenti positivi o negativi del reddito imponibile a condizione che il costo delle azioni o quote date in permuta sia attribuito alle azioni o quote ricevute in cambio. L'eventuale conguaglio in denaro concorre a formare il reddito del percipiente.

2. Le azioni o quote ricevute a seguito di conferimenti in società, mediante i quali la società conferitaria acquisisce il controllo di una società ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, n.1, del codice civile, sono valutate, ai fini della determinazione del reddito dell'impresa conferente in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento.

Art. 6

Regime dei disavanzi derivanti da operazioni di fusione o scissione di società

1. I maggiori valori iscritti in bilancio per effetto della imputazione dei disavanzi da annullamento o da concambio derivanti da operazioni di fusione o scissione di società si considerano fiscalmente riconosciuti se assoggettati all'imposta sostitutiva indicata nell'articolo 1. L'incremento di patrimonio netto a fronte del disavanzo da concambio si considera formato con utili di cui all'articolo 41, comma 1, lettera e), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, concernente gli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche.

2. I maggiori valori iscritti per effetto dell'imputazione del disavanzo da annullamento delle azioni o quote si intendono fiscalmente riconosciuti senza l'applicazione dell'imposta sostitutiva, fino a concorrenza dell'importo complessivo netto:

a) delle plusvalenze, diminuite delle eventuali minusvalenze, rilevanti ai fini dell'applicazione dell'imposta sostitutiva, ai sensi dell'articolo 2 del decreto legge 28 gennaio 1991, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 marzo 1991, n. 102, concernente le modalità di applicazione della imposta sostitutiva, o che sono state assoggettate ad imposta sostitutiva ai sensi del presente decreto;

b) dei maggiori e dei minori valori, rispetto ai relativi valori di acquisizione, derivanti dalla cessione delle azioni o quote, che hanno concorso a formare il reddito di un'impresa residente;

c) delle svalutazioni nonché delle rivalutazioni delle azioni o quote che hanno concorso a formare il reddito di un'impresa residente o che per disposizione di legge non concorrono a formarlo, nemmeno in caso di successivo realizzo.

3. Ai fini dell'applicazione del comma 2, la società incorporante o beneficiaria deve documentare i componenti positivi e negativi di reddito relativi alle azioni o quote annullate, realizzate dalla società stessa e dai precedenti possessori.

4. I soggetti che intendono avvalersi delle disposizioni dei commi 1 e 2 devono chiederne l'applicazione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui ha effetto la fusione o la scissione. Restano ferme, in caso contrario, le disposizioni in materia di fusioni e di scissioni di società attualmente vigenti.

 

 

CAPO II

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI COMPORTAMENTI ELUSIVI

Art. 7.

Individuazione di operazioni di natura elusiva e modificazioni in materia

di accertamento e contenzioso

1. Dopo l'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, concernente il controllo delle dichiarazioni dei redditi, è inserito il seguente: "Articolo 37-bis (Disposizioni antielusive). - 1. Sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.

2. L'amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione.

3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano a condizione che, nell'ambito del comportamento di cui al comma 2, siano utilizzate una o più delle seguenti operazioni:

a) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;

b) conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende;

c) cessioni di crediti;

d) cessioni di eccedenze d'imposta;

e) operazioni di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544, recante disposizioni per l'adeguamento alle direttive comunitarie relative al regime fiscale di fusioni, scissioni, conferimenti d'attivo e scambi di azioni;

f) operazioni, da chiunque effettuate, incluse le valutazioni, aventi ad oggetto i beni e i rapporti di cui all'articolo 81, comma 1, lettere c), c-bis) e c-ter), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

4. L'avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili i commi 1 e 2.

5. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 42, l'avviso d'accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente e le imposte o le maggiori imposte devono essere calcolate tenendo conto di quanto previsto al comma 2.

6. Le imposte o le maggiori imposte accertate in applicazione delle disposizioni di cui al comma 2 sono iscritte a ruolo, secondo i criteri di cui all'articolo 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, concernente il pagamento dei tributi e delle sanzioni pecuniarie in pendenza di giudizio, unitamente ai relativi interessi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale.

7. I soggetti diversi da quelli cui sono applicate le disposizioni dei commi precedenti possono richiedere il rimborso delle imposte pagate a seguito dei comportamenti disconosciuti dall'amministrazione finanziaria; a tal fine detti soggetti possono proporre, entro un anno dal giorno in cui l'accertamento è divenuto definitivo o è stato definito mediante adesione o conciliazione giudiziale, istanza di rimborso all'amministrazione, che provvede nei limiti dell'imposta e degli interessi effettivamente riscossi a seguito di tali procedure.

8. Le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi. A tal fine il contribuente deve presentare istanza al direttore regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente l'operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione. Con decreto del Ministro delle finanze da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinate le modalità per l'applicazione del presente comma.".

2. Il comma 2 dell'articolo 30 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 546, recante disposizioni in materia di nomina del relatore e di fissazione della data di trattazione dell'udienza nel processo tributario, è sostituito dal seguente:

"2. Almeno una udienza per ogni mese e per ciascuna sezione è riservata alla trattazione di controversie per le quali l'ammontare dei tributi accertati e delle conseguenti soprattasse e pene pecuniarie non sia inferiore a cento milioni di lire. Un'altra udienza per ogni mese e per ciascuna sezione è comunque riservata alla trattazione di controversie nei confronti di società con personalità giuridica, nonché di controversie inerenti l'applicazione dell'articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 .".

3. Dopo il comma 3 dell'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, concernente il controllo delle dichiarazioni dei redditi, è aggiunto il seguente:

"3-bis. Le persone interposte, che provino di aver pagato imposte in relazione a redditi successivamente imputati, a norma del comma 3, ad altro contribuente, possono chiederne il rimborso. L'amministrazione procede al rimborso dopo che l'accertamento, nei confronti del soggetto interponente, è divenuto definitivo ed in misura non superiore all'imposta effettivamente percepita a seguito di tale accertamento.".

4. Nell'articolo 21, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, riguardante le richieste di parere al comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive, le parole: "nell'articolo 10 della legge 29 dicembre 1990, n. 408, e nell'ultimo comma dell'articolo 37" sono soppresse e dopo le parole: ", delle disposizioni contenute" sono inserite le seguenti parole: "e negli articoli 37, comma terzo e 37-bis".

Art. 8

Limitazioni al riporto delle perdite

1. Al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) nel comma 3 dell'articolo 8, concernente la determinazione del reddito complessivo ai fini delle imposte sui redditi, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Si applicano le disposizioni del comma 1-bis dell'articolo 102 e, limitatamente alle società in nome collettivo ed in accomandita semplice, quelle di cui al comma 1-ter del citato articolo 102.";

b) dopo il comma 1 dell'articolo 102, concernente il riporto delle perdite, sono, infine, aggiunti i seguenti commi:

"1-bis. Le perdite realizzate nei primi tre periodi d'imposta possono, con le modalità previste al comma 1, essere computate in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi senza alcun limite di tempo.

1-ter. Le disposizioni del comma 1 non si applicano nel caso in cui la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee ordinarie del soggetto che riporta le perdite venga trasferita o comunque acquisita da terzi, anche a titolo temporaneo e, inoltre, venga modificata l'attività principale in fatto esercitata nei periodi d'imposta in cui le perdite sono state realizzate. La modifica dell'attività assume rilevanza se interviene nel periodo d'imposta in corso al momento del trasferimento od acquisizione ovvero nei due successivi od anteriori. La limitazione non si applica qualora:

a) le partecipazioni siano acquisite da società controllate dallo stesso soggetto che controlla il soggetto che riporta le perdite ovvero dal soggetto che controlla il controllante di questi;

b) le partecipazioni siano relative a società che nel biennio precedente a quello di trasferimento hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle dieci unità e per le quali dal conto economico relativo all'esercizio precedente a quello di trasferimento risultino un ammontare di ricavi, di cui all'articolo 2425, lettera A), numero 1, del codice civile, e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all'articolo 2425, lettera B), numero 9), lettere a) e b), del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.".

 

 

CAPO III

DISCIPLINA TRANSITORIA E DI ATTUAZIONE

Art. 9

Decorrenza e disposizioni attuative

1. Le norme di cui agli articoli da 1 a 5 si applicano alle cessioni, alle permute e ai conferimenti posti in essere dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

2. Le disposizioni di cui all'articolo 6 si applicano alle fusioni e scissioni perfezionate, ai sensi dell'articolo 2504-bis del codice civile, a partire dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto.

3. Le differenze tra i valori iscritti in bilancio a fronte di disavanzi di fusione o di scissione ed i relativi valori fiscalmente riconosciuti, ancora esistenti nel bilancio relativo all'ultimo esercizio chiuso prima della data di entrata in vigore del presente decreto, si considerano fiscalmente riconosciuti mediante il versamento, sulla suddetta differenza, dell'imposta sostitutiva di cui all'articolo 1, comma 1.

4. Per le azioni o quote già esistenti alla data del 30 aprile 1997, ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 6, comma 2, la documentazione prevista dal comma 3 dello stesso articolo può riguardare soltanto i componenti positivi e negativi di reddito del soggetto possessore delle azioni o quote alla data anzidetta e dei possessori successivi, nonché la plusvalenza o la minusvalenza conseguita dal soggetto che ha ceduto le azioni o le quote al predetto possessore alla data del 30 aprile 1997.

5. Le disposizioni di cui all'articolo 7, comma 1, si applicano agli atti, fatti e procedimenti posti in essere dopo l'entrata in vigore del presente decreto, e dalla stessa data cessa di avere applicazione, per tali fattispecie, l'articolo 10 della legge 29 dicembre 1990, n. 408, contenente disposizioni antielusive.

6. Il comma 16 dell'articolo 123-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è soppresso.

7. Le disposizioni di cui all'articolo 8 si applicano:

a) alle perdite formatesi a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, con riferimento a quanto disposto dal comma 1-bis dell'articolo 102 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, introdotto dall'articolo 8, comma 2, del presente decreto;

b) a partire dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, anche in relazione alle perdite dichiarate in precedenti periodi d'imposta, con riferimento a quanto disposto dal comma 1-ter dell'articolo 102 dello stesso testo unico n. 917 del 1986, introdotto dall'articolo 8, comma 2, del presente decreto.

8. Con decreti del Ministro delle finanze, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite le eventuali disposizioni attuative del presente decreto.