§ 98.1.38076 - Circolare 10 luglio 1997, n. 155 .
Questioni connesse all'applicazione della legge 5 febbraio 1992, n. 102, che detta "norme concernenti l'attivita' di acquacoltura". [...]


Settore:Normativa nazionale
Data:10/07/1997
Numero:155

§ 98.1.38076 - Circolare 10 luglio 1997, n. 155 .

Questioni connesse all'applicazione della legge 5 febbraio 1992, n. 102, che detta "norme concernenti l'attivita' di acquacoltura". Inquadramento previdenziale.

 

Emanata dall'Istituto nazionale previdenza sociale.

 

 

Ai Dirigenti centrali e periferici 

 

Ai Coordinatori generali, centrali e periferici dei Rami professionali 

 

Al Coordinatore generale Medico legale e Primari Medico legali 

 

e, per conoscenza, 

 

Al Presidente 

 

Ai Consiglieri di Amministrazione 

 

Al Presidente e ai membri del Consiglio di indirizzo e vigilanza 

 

Ai Presidenti dei Comitati amministratori di fondi, gestioni e casse 

 

Ai Presidenti dei Comitati regionali 

 

Ai Presidenti dei Comitati provinciali 

 

 

Sommario

A) Cenni sulla normativa in materia di pesca marittima

B) Regime previdenziale dei marittimi che operano a bordo delle navi iscritte nei registri marittimi adibiti agli impianti di acquacoltura di mare

B) Inquadramento previdenziale

D) Istruzioni operative

 

 

A) Cenni sulla normativa in materia di pesca marittima

Il codice della navigazione determina all'art. 2 il "mare territoriale", su cui lo Stato esercita la propria sovranità, quale bene comune, ancorché, per taluni fini, ne faccia oggetto di disciplina assimilabile a quella di un bene demaniale, come nel caso dei permessi di pesca.

Da tale premessa, discende che il cosiddetto "alto mare" è il mare, oltre quello territoriale, non soggetto ad alcuna sovranità statuale.

Sempre il codice della navigazione, all'art. 28, determina i beni appartenenti al "demanio marittimo", sui quali lo Stato esercita un vero e proprio diritto di proprietà.

Per quanto interessa la presente esposizione, fanno parte del demanio marittimo, ai sensi del citato art. 28 c.d.n. :

a) i porti, le rade;

b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare;

c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo.

La disciplina sulla pesca marittima, dettata dalla legge 14 luglio 1965, n. 963 e dal regolamento per l'esecuzione della legge stessa, di cui al D.P.R. 2 ottobre 1968, n. 1639, si discosta dalla formulazione sopra esposta.

Infatti, l'art. 1 del predetto regolamento sulla pesca marittima, di cui al D.P.R. n. 1639 del 1968, ancorché esordisca al comma 1 con l'affermare che "il presente regolamento si applica alla pesca esercitata nelle acque del mare e in quelle del demanio marittimo ...", al comma 2 precisa che "nelle zone di mare ove sboccano fiumi e altri corsi d'acqua, naturali o artificiali, ovvero in quelle che comunicano direttamente con lagune e bacini di acqua salsa o salmastra ..." le disposizioni del regolamento stesso "... si applicano dalla congiungente i punti più foranei delle foci o degli altri sbocchi in mare", ovviamente quale criterio di individuazione delle acque considerate marittime ai fini della pesca marittima.

Pertanto, la citata norma regolamentare enuncia un criterio di determinazione del demanio marittimo, che non coincide del tutto con quello fornito dall'art. 28 c.d.n. , sopra riportato, escludendo dall'esercizio della pesca marittima le acque del demanio marittimo di cui alle lettere "b" e "c" dell'art. 28 c.d.n. , nonché le acque interne ai porti, di cui alla lettera "a" dello stesso art. 28.

Dalla normativa sopra accennata discende che ai fini della regolamentazione della pesca marittima, si prende in considerazione il mare inteso nella comune e naturale accezione, con estensione dalla linea di costa verso il largo.

All'art. 8 il regolamento distingue le navi destinate alla pesca professionale marittima in sei categorie, tra le quali, sotto la quinta categoria, ricomprende le "navi e galleggianti stabilmente destinati a servizio di impianti da pesca".

L'art. 8, conclude disponendo che "l'assegnazione alla rispettiva categoria spetta al capo del compartimento marittimo, all'atto dell'iscrizione (delle navi) nelle matricole delle navi maggiori o nei registri delle navi minori e dei galleggianti". L'art. 9 del regolamento in esame prosegue nel precisare, con riferimento alla categoria di appartenenza delle navi da pesca, i tipi di pesca professionale che le stesse sono idonee ad esercitare nelle acque marittime (v. art. 220 cod.nav. e art. 408 del reg. es. cod.nav. - D.P.R. n. 328 del 1952).

Tenuto conto di tale specifica, lo stesso art. 9 del regolamento richiama, in base ai tipo di pesca, la categoria di appartenenza della nave da pesca abilitata ad esercitarlo, in ordine all'elencazione formulata dal precedente art. 8.

Il successivo art. 10 integra l'elencazione dei tipi di pesca professionale formulata dall'art. 9, indicando quale quinto tipo di pesca professionale quella esercitata negli "impianti di pesca": "pesca professionale è anche quella esercitata mediante lo stabilimento di apprestamenti fissi o mobili, temporanei o permanenti, destinati alla cattura di specie migratorie, alla pescicoltura e alla molluschicoltura ed allo sfruttamento di banchi sottomarini".

 

 

B) Regime previdenziale dei marittimi che operano a bordo delle navi iscritte nei registri marittimi adibite agli impianti di acquacoltura in mare

La legge 5 febbraio 1992, n. 102, all'art. 2, comma 1, considera l'attività di acquacoltura quale attività imprenditoriale agricola, specificandola in ragione della prevalenza dei redditi che ne derivano.

La norma stessa, al comma 2, qualifica imprenditori agricoli ex art. 2135 cod.civ. i soggetti che esercitano l'acquacoltura e le connesse attività di prelievo "... sia in acque dolci sia in acque salmastre".

La seconda aggettivazione ha dato adito alla tesi che con l'espressione "acque salmastre" il legislatore abbia in effetti inteso riferirsi anche agli impianti di acquacoltura in mare.

Tale ipotesi contrasta con la legislazione in materia di pesca marittima, in specie con l'art. 10 del D.P.R. n. 1639 del 1968, che detta norme per l'applicazione della legge n. 963 del 1965.

Infatti, il citato art. 10 ricomprende gli impianti di acquacoltura in mare tra i tipi di pesca professionale marittima, a complemento dell'elencazione formulata in proposito sotto l'art. 9 dello stesso D.P.R. n. 1639 del 1968.

Il riferimento alle acque salmastre, contenuto nella legge, non consente di considerare dette acque alla pari di quelle del mare vero e proprio, come sopra determinato ai fini della pesca marittima.

Detto riferimento e conforme a quello contenuto nella legislazione marittima in genere e nel codice della navigazione in particolare.

Infatti, il significato dell'espressione "acque salmastre" in tutta la legislazione stessa coincide con quello lessicale del termine e nel contesto della legge n. 102 del 1992 non può che essere conseguente a quello dell'espressione "acque dolci" che la precede.

Per acque salmastre si intendono quelle acque che contengono sale in concentrazione inferiore a quella del mare con cui dette acque comunicano ovvero sono adiacenti.

In tale collocazione l'espressione acque salmastre trova un suo preciso significato, corrispondente a quello comune.

Il significato dato all'espressione "acque salmastre", nell'accezione comune, si è reso necessario in relazione al dettato dell'art. 28 cod.nav. e in accordo con l'art. 1, comma 2, del D.P.R. n. 1639 del 1968, che considera "mare" ai fini dell'esercizio della pesca marittima le acque marine "... a partire dalla congiungente i punti più foranei delle foci e degli altri sbocchi in mare" di fiumi, di altri corsi d'acqua naturali o artificiali, delle lagune, dei bacini di acqua salsa o salmastra.

Ciò premesso, ogni translazione di significato tra "acque salmastre" e "mare" risulta impropria, sia sotto il profilo semantico, sia sotto quello che emerge dall'ordinamento marittimo, di cui la legislazione sulla pesca marittima è parte integrante. La legge 5 febbraio 1992, n. 102 all'art. 2 considerata a tutti gli effetti imprenditori agricoli i soggetti (persone fisiche o giuridiche, singoli o associati) che esercitano l'acquacoltura e le connesse attività di prelievo, sia in acque dolci sia in acque salmastre.

In tale limitata collocazione la legge n. 102 del 1992 trova un suo spazio precipuo ed incide sullo status di marittimo del personale degli equipaggi imbarcati su navi marittime adibite agli impianti di acquacoltura in acque salmastre comunicanti con il mare qualora le navi stesse rientrino tra quelle elencate dall'art. 5 della legge n. 413 del 1984 o tra quelle operanti in regime di legge n. 250 del 1958. Pertanto, allo stato attuale della legislazione e tenuto conto della legge n. 102 del 1992, le cui disposizioni si riflettono sull'inquadramento, ai fini previdenziali, dell'azienda e del suo personale, sussistono per il personale operante in impianti di acquacoltura collocati in acque salmastre, ancorché comunicanti con il mare, l'inquadramento come dipendenti di impresa agricola anche se imbarcati come membri dell'equipaggio su navi marittime che svolgano esclusivamente la propria attività negli impianti stessi.

In conclusione, ai fini dell'inquadramento previdenziale, la norma della legge n. 102 del 1992 non investe il settore della pesca marittima, bensì qualifica agricola l'attività di acquacoltura esercitata in acque dolci o salmastre, rientranti tra quelle specificate dal comma 2 dell'art. 1 del regolamento della pesca marittima, di cui al D.P.R. n. 639 del 1968. qualora le aziende operino con navi da pesca proprie della navigazione interna ovvero con navi marittime, ancorché rientranti in quelle contemplate dall'art. 5 della legge n. 413 del 1984 o dall'art. 1, comma 3, della legge n. 250 del 1958.

Pertanto, allo stato della legislazione, resta escluso dall'applicazione della legge n. 102 del 1992 il settore dell'acquacoltura in mare, rientrante nella disciplina sulla pesca marittima.

 

 

C) Inquadramento previdenziale

Sui criteri sopra formulati è stato interpellato, per gli effetti sull'inquadramento previdenziale il competente Ministero del lavoro - direzione generale della previdenza e assistenza sociale - che, con nota del 12 aprile 1997 n. 3/PS/5/140893/Afiv/1476, ha concordato sui criteri stessi, specificando, che "... la legge n. 102 del 1992, prende in considerazione, ai fini della classificazione come lavoratori agricoli, i soggetti che esercitano l'attività di acquacoltura e le attività connesse di prelievo in acque dolci o salmastre, escludendo, pertanto, coloro che svolgono tale attività in mare. Gli impianti di acquacoltura in mare sono, infatti, ricompresi tra i tipi di pesca professionale marittima indicati dall'art. 10 del D.P.R. n. 1639 del 1968 ...".

Lo stesso Ministero del lavoro ha, inoltre, evidenziato "... che una eventuale estensione, agli impianti di acquacoltura in mare, della normativa prevista dall'art. 2, comma 2, della legge n. 102 del 1992 verrebbe ad incidere sul settore della pesca marittima introducendovi un ulteriore regime previdenziale ...", cosa di certo non voluta dal legislatore.

Il predetto Dicastero, ai fini dell'applicazione della legge n. 102 del 1992, ha, altresì, evidenziato le seguenti direttive:

1) inquadramento previdenziale agricolo per il personale degli impianti di acquacoltura in acque dolci o salmastre, sia esso di terra o marittimo imbarcato su navi sino ad ora soggette alla legge n. 413 del 1984 (v. art. 5, legge n. 413 del 1984 e circolare n. 56 del 22 marzo 1988);

2) inquadramento previdenziale agricolo dei pescatori sino ad ora iscritti al regime previdenziale della legge n. 250 del 1958, operanti in impianti di acquacoltura in acque dolci o salmastre;

3) esclusione del settore dell'acquacoltura in mare, (nell'accezione specificata sotto i precedenti paragrafi A e B) dal regime previdenziale agricolo, sia per quanto concerne i marittimi iscritti al regime previdenziale della legge n. 413 del 1984 sia per quanto attiene i marittimi iscritti, quali pescatori autonomi o associati in cooperative o compagnie di pesca, al regime della legge n. 250 del 1958.

Si interessano le SAP ad adeguarsi a quanto sopra precisato, applicando il disposto dell'art. 3, comma 8, della legge n. 335 del 1995 e circolare n. 52 del 5 marzo 1996.

 

 

D) Istruzioni operative

Ai fini dell'inquadramento previdenziale delle attività di acquacoltura in mare, rientranti nella disciplina sulla pesca marittima, si è provveduto ad aggiornare il manuale di classificazione dei datori di lavoro, allegato alla circolare n. 65 del 25 marzo 1996, sia per quanto riguarda i marittimi iscritti al regime della legge n. 250 del 1958 quali pescatori associati in cooperativa, sia per quanto concerne i marittimi iscritti al regime previdenziale della legge n. 413 del 1984.

Pertanto, alla pagina 36 del predetto manuale, è stata inserita, in corrispondenza del settore "1", classe "19" (piccola pesca legge n. 250 del 1958), la nuova categoria "03" con il significato di "cooperative e compagnie esercenti le attività di acquacoltura in mare". Al nuovo CSC "1.19.03" (non ancora operativo) corrisponde l'attuale CSC "1.19.01" con il codice ISTAT 91 "05.02.01".

Parimenti, alla pagina 37 del predetto manuale, è stata inserita, in corrispondenza del settore "1", classe "20" (pesca legge n. 413 del 1984), la nuova categoria "05" con il significato di "attività di acquacoltura in mare (personale soggetto alla legge n. 413 del 1984)". Al nuovo CSC "1.20.05" (non ancora operativo) corrisponde l'attuale CSC "1.20.01" con il codice ISTAT 91 "05.02.01".

Il Direttore generale

Trizzino