§ 98.1.36314 - Circolare 12 settembre 1996, n. 19/96 .
Trattamento fiscale dei compensi dei giudici di pace e degli esperti del Tribunale di sorveglianza .


Settore:Normativa nazionale
Data:12/09/1996
Numero:19

§ 98.1.36314 - Circolare 12 settembre 1996, n. 19/96 .

Trattamento fiscale dei compensi dei giudici di pace e degli esperti del Tribunale di sorveglianza .

 

Emanata dal Ministero di grazia e giustizia, Divisione generale degli affari civili e delle libere professioni.

 

I) Con circolare n. 19/95 del 10 novembre 1995 questa Direzione generale ha ritenuto che "le indennità liquidate ai giudici di pace devono essere assoggettate alla ritenuta di acconto del 19%, prevista, dall'art. 25 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per i compensi di lavoro autonomo, cui le attività compiute dai predetti magistrati possono essere assimilate, considerata l'assenza di retribuzione fissa e di subordinazione gerarchica".

La soluzione del problema relativo al trattamento fiscale dei compensi attribuiti ai giudici di pace dall'art. 11 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (L. 40.000, per ogni giorno di udienza e L. 50.000 per ogni sentenza), che influisce, peraltro, su quello relativo anche ad altri giudici onorari, ad esempio quelli del tribunale di sorveglianza, è stato oggetto, da parte di alcuni giudici di pace, di numerosi rilievi che possono così riassumersi:

A) In primo luogo è stato rilevato che la "qualificazione" dell'attività dei giudici di pace come lavoro autonomo non sembra aderente alle caratteristiche dell'istituto, che non può essere inquadrato né nel citato paradigma giuridico né in quello del lavoro subordinato, ma in un tertium genus come ritenuto dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 5008 del 27 aprile 1992, peraltro, pronunciata con riferimento ai vice-pretori onorari. Conseguirebbe che le indennità previste dalla legge a favore di quei magistrati non avrebbero funzione corrispettiva, ma di rimborso spese, con conseguente non tassabilità delle medesime.

B) In secondo luogo, è stato sostenuto che, ove le suddette indennità fossero ritenute compensi da lavoro autonomo e, quindi, assoggettabili ad imposizione fiscale, occorrerebbe distinguere tra le posizioni dei giudici di pace esercenti attività professionale con iscrizione agli albi professionali degli avvocati e procuratori o dei notai e quella dei giudici di pace che non esercitano attività professionale.

Nel primo caso sarebbe necessaria l'emissione, da parte del professionista, di fatture con conseguente assoggettamento ad IVA, alla ritenuta Irpef del 19% nonché al versamento contributivo del 10% all'I.N.P.S. previsto per i lavoratori autonomi dall'art. 2 della legge 8 agosto 1995, n. 335, da ripartirsi per un terzo a carico dei professionisti e per due terzi a carico dell'erario nonché al contributo per il S.S.N.

Nel secondo caso i compensi dovrebbero essere assoggettati alla ritenuta di acconto del 19% previa detrazione del 5% a titolo di spese sostenute, trattandosi di rapporto caratterizzato da collaborazione coordinata e continuativa (articoli 49 e 50 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) nonché al contributo previdenziale del 10% previsto, oltre che per. il lavoro autonomo, anche per i citati rapporti di collaborazione ed, infine, al contributo a favore del S.S.N.

C) Da alcuni è stato, peraltro, sostenuto che i compensi per le attività esercitate dai giudici di pace andrebbero assimilati ai redditi di lavoro dipendente ai sensi dell'art. 47, lettera f), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 in quanto corrisposti "per l'esercizio di pubbliche funzioni" e, quindi, sottoposti alla ritenuta Irpef del 15% prevista dall'art. 24 del D.P.R. anzidetto n. 600 del 1973 anziché a quella del 19% come previsto nella circolare di questo Ministero.

D) Da altri è stato ulteriormente osservato che l'assimilazione della citata indennità al reddito di lavoro dipendente comporterebbe, ai sensi dell'art. 47, lettera f), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, il suo assoggettamento a tassazione separata ai sensi dell'art. 16 suddetto D.P.R. n. 917 del 1986.

Inoltre sono stati formulati i seguenti quesiti:

E) se oltre alla ritenuta Irpef del 19% indicata nell'anzidetta circolare, le citate indennità siano assoggettabili, per quanto concerne i giudici di pace che siano liberi professionisti, all'IVA ed al contributo previdenziale di categoria o, in via generale, se le indennità siano assoggettabili ad IVA anche per i giudici di pace che non siano professionisti;

F) quale sia l'organo competente segnalare all'Ufficio II.DD. l'avvenuta liquidazione dell'indennità e della relativa ritenuta di acconto; quale debba essere l'intestatario delle fatture; quale sia l'organo obbligato a rilasciare l'attestato attinente la ritenuta anzidetta.

II-1) In ordine al punto A deve rilevarsi che la qualificazione del peculiare rapporto, che intercorre tra lo Stato ed i magistrati onorari, come un quid non classificabile né come lavoro subordinato (rectius come impiego privato o pubblico), né come lavoro autonomo è stata effettuata dalla Cassazione a vari fini (per escludere la giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi: cfr. Sez. Un. 11 febbraio 1993, n. 1728; Sez. Un. 21 febbraio 1991, n. 1845; per dichiarare inapplicabili in materia l'art. 36 Cost.: cfr. Cass. 27 febbraio 1992, n. 5008), ma in nessun caso per stabilire il regime fiscale cui devono essere sottoposti i relativi compensi. Consegue che il risultato interpretativo che precede non potrebbe comportare l'automatica esclusione di questi ultimi da qualsiasi onere fiscale.

In realtà, si tratta di entrate patrimoniali ricorrenti e determinate nell'ammontare, anche se non in misura fissa, che devono, necessariamente, rientrare nella nozione di reddito. La loro tassabilità, o meno, non è oggetto di specifica previsione, con la conseguenza che, non potendo rimanere senza una disciplina fiscale ad hoc, essa deve essere dedotta con un procedimento di assimilazione, o di assorbimento, con le categorie contemplate nella norma in vigore.

Nel rilievo sub A le attività anzidette dovrebbero, dato il loro carattere sostanzialmente neutro, non essere affatto sottoposte a tassazione.

Dovrebbero, quindi, essere comprese tra i casi (previsti per i redditi di lavoro dipendente dall'art. 48 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dall'art. 3 della legge 1 dicembre 1990, n. 381 e dall'art. 1 della legge 11 agosto 1991, n. 268) di intassabilità totale (es. i contributi previdenziali) o parziale (es. le trasferte o le indennità parlamentari). Oppure dovrebbero essere comprese, per quanto concerne il lavoro autonomo, tra i redditi cui si applicano detrazioni prefissate o forfetarie pro expensis (es.: opere dell'ingegno).

Né l'una né l'altra ipotesi è profilabile nella specie, perché i redditi anzidetti non hanno nulla in comune con i particolari casi di non tassabilità previsti nelle fattispecie anzidette.

Consegue che la tesi esposta sulla non tassabilità delle indennità di che trattasi non appare fondata.

2) Con riferimento ai punti B e C, che vanno trattati congiuntamente, si osserva che, un volta ritenuto l'assoggettamento in linea astratta ad Irpef dell'indennità di cui all'art. 11 della legge n. 374 del 1991 (escludendosi la tesi, invero sostenuta solo marginalmente, della loro non tassabilità) e una volta ritenuto che il suddetto presupposto impositivo non risulta disciplinato dalla legge tributaria, è necessario individuare il regime fiscale dal quale, per assimilazione, la fattispecie possa essere regolata.

Questa Direzione generale con circolare n. 19/95 del 1995, come si è già accennato, ha ritenuto, adeguandosi all'orientamento espresso nella circolare 28 giugno 1995, n. 183/E dal Ministero delle finanze, che la fattispecie contemplata nell'art. 47, lettera f), non può applicarsi a compensi di natura tendenzialmente continuativa. Si sosteneva, infatti, che le indennità previste dal citato articolo 47, lettera f), sono di natura sostanzialmente eccezionale rispetto al normale contenuto del rapporto di pubblico impiego (gettoni di una commissione d'esame; indennità dei testimoni; compensi per una consulenza o una perizia; compensi dei giudici popolari). Si affermava che era, invece, individuabile un plus, un segno distintivo, che diversificava le indennità dei giudici di pace da quelle anzidette. Esso sarebbe stato costituito dal loro collegamento con un incarico destinato a durare per un tempo molto prolungato, che è almeno di quattro e fino ad otto anni (art. 7 della legge n. 374 del 1991), anche se caratterizzato da difetto di retribuzione fissa e di subordinazione e dalla compatibilità con altre attività, anche professionali. Da quanto detto si faceva discendere l'inapplicabilità dell'assimilazione del caso in esame al lavoro subordinato e la necessità di inserire la fattispecie, dal punto di vista fiscale, nell'ampio paradigma del lavoro autonomo.

Un approfondito riesame della normativa fiscale conduce, tuttavia, ad opposta soluzione.

Si deve, preliminarmente, rilevare che l'argomento, utilizzato - nella citata circolare del Ministero delle finanze per escludere l'assimilazione dei redditi percepiti dai membri delle Commissioni tributarie a quelli di lavoro dipendente, consistente nella eccezionalità e sporadicità di questi ultimi, non è condivisibile.

Invero l'art. 47, lettera f), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non richiede per la qualificazione di un compenso come assimilabile a quello di lavoro dipendente il requisito della sporadicità dello stesso. La norma si limita ad elencare tra i redditi assimilabili a quelli compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle provinciale e dai di lavoro dipendente "le indennità, i gettoni di presenza e gli altri comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni".

D'altra parte la funzione giurisdizionale è una delle funzioni pubbliche più importanti, sicché nessun dubbio dovrebbe sussistere sull'inclusione di tali compensi nella suddetta previsione di legge.

A ciò aggiungasi che l'art. 49 della citata legge qualifica come redditi da lavoro autonomo quelli che derivano dall'esercizio di arti e professioni e cioè dall'esercizio per professione abituale di attività di lavoro autonomo. Non vi è dubbio che l'attività svolta dal giudice onorario non può essere qualificata come "professione abituale" in quanto si tratta di un munus pubblico. Quanto precede trova sintomatica conferma sia nella circostanza che la legge, relativa alla responsabilità civile dei giudici, equipara la posizione dei giudici conciliatori, dei giudici popolari e dei cittadini estranei alla magistratura che concorrono all'esercizio delle funzioni giurisdizionali in - quanto tutti inclusi nel concetto di "magistrato", sia nel rilievo che l'attività del giudice di pace è compatibile con l'esercizio di altre attività, anche professionali.

L'art. 49, poi, nel descrivere i redditi da lavoro autonomo li caratterizza per la periodicità e predeterminatezza. Elementi questi ultimi estranei alla retribuzione del giudice di pace, i cui compensi non hanno carattere di periodicità né sono predeterminati se non in via generale ed astratta. La loro quantificazione dipende, infatti, da elementi variabili quali la partecipazione ad udienze e l'emissione di provvedimenti che definiscono la controversia; si tratta, in definitiva, di compensi commisurati all'esercizio, sostanzialmente ed istituzionalmente, saltuario (10 udienze mensili) delle funzioni giurisdizionali.

Alla stessa conclusione è, peraltro, pervenuto l'Ispettorato Generale il quale, con nota in data 19 maggio 1995 prot. n. Q. 13-95/2158, ha sostenuto che il compenso liquidato agli esperti del tribunale di sorveglianza, che, come i giudici di pace, hanno un incarico prolungato nel tempo (tre anni, rinnovabili), deve essere assimilato al reddito di lavoro dipendente. Sicché non si è data rilevanza all'eccezionalità e sporadicità della prestazione per sottoporre i redditi in esame al regime dell'art. 47, lettera f).

La tesi anzidetta è stata, infine, accolta dalla giurisprudenza più autorevole delle Commissioni tributarie per quanto concerne i componenti delle Commissioni stesse (Comm. Centr. Imp., Sez. Un. decisione n. 5986/1991; Comm. Centr., Sez. XII n. 4665/1991; contra, però, Comm. Distr. Imp. Milano 5 dicembre 1979, che hanno ritenuto le suddette indennità assimilabili a redditi di lavoro autonomo).

Deve, quindi, ritenersi, adeguandosi a tale orientamento, che le indennità dei giudici di pace debbano essere assimilate a redditi di lavoro dipendente e debbano, conseguentemente, essere assoggettate alla ritenuta del 15%.

Quanto detto è, peraltro, applicabile alle indennità percepite anche dagli altri magistrati onorari quali ad esempio i componenti dei tribunali di sorveglianza e dei tribunali dei minorenni.

3) Deve, ancora, osservarsi, in ordine al punto D, che del tutto infondata si appalesa, in ogni caso, l'affermazione sull'eventuale assoggettamento delle indennità anzidette a tassazione separata. Tale particolare sistema impositivo si applica, come è stabilito dall'art. 16, lettera b), del D.P.R. n. 917 del 1986, agli "emolumenti arretrati relativi ad anni precedenti percepiti per prestazioni di lavoro dipendente compresi i compensi e le indennità di cui alle lettere a) e g) del comma 1 dell'art. 47". Alle indennità meramente "assimilate" ai redditi di lavoro subordinato di cui alla lettera f) del citato art. 47 non si estende, quindi, testualmente, la previsione agevolativa dell'art. 16. D'altra parte non sussiste nella fattispecie in esame l'elemento temporale relativo alla maturazione del diritto in anni precedenti quelli del pagamento.

4) Quanto al punto E, la condizione di professionisti o meno dei giudici di pace non è stata considerata nella circolare n. 19/95 del 1995, trattandosi di un elemento soggettivo diversificato caso per caso che comporta l'applicazione di norme tributarie e contributive previdenziali aderenti alle singole fattispecie.

A questo proposito deve essere, tuttavia, evidenziato che i giudici di pace, esercenti la professione di avvocato o procuratore o di notaio, non sono obbligati ad emettere fattura, assoggettata ad IVA, in quanto, come si è già specificato, il reddito percepito per tale attività non deve essere qualificato di lavoro autonomo ma deve essere assimilato a quello di lavoro dipendente.

La circostanza che il giudice di pace svolga anche attività di libero professionista non giustifica l'applicazione dell'IVA per gli emolumenti percepiti come magistrato onorario.

Invero per quanto concerne l'applicabilità, o meno, dell'IVA sui compensi in argomento, si premette che tale imposta, in tanto risulta applicabile, in quanto si tratti di redditi di lavoro autonomo ed, in particolare, con riferimento alla problematica in esame, di emolumenti derivanti dall'esercizio di arti o professioni.

Precisa l'art. 5 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che "per esercizio di arti e professioni si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo ...".

Tale definizione è ripetuta dall'art. 49 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che, poi, ricomprende in tale categoria altri redditi specificatamente determinati. Tra questi, l'unica previsione che potrebbe, in via teorica ed astratta, attagliarsi al caso in esame, è quella di cui alla lettera a), che contempla altri redditi di lavoro autonomo derivanti, tra l'altro, da partecipazione a collegi e commissioni e da altri rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, attività che, pur non rientrante nell'oggetto dell'arte o della professione, è caratterizzata, anche, da retribuzione "periodica prestabilita".

Dal combinato disposto delle norme citate si evince, come è già stato esposto al punto 2), che i compensi di cui trattasi non possono essere considerati di lavoro autonomo, perché scaturenti da attività non esercitata professionalmente, ma per incarico temporale e, per sua natura, prettamente extraprofessionale (basti, a tal fine, evidenziare che la stessa può essere svolta da molteplici categorie di soggetti, siano essi liberi professionisti o lavoratori dipendenti).

Tale rilievo esclude l'applicabilità dell'art. 5 del D.P.R. n. 633 del 1972 sopra riportato. A ben vedere, però, neppure ricorre l'ipotesi di cui al secondo comma, lettera a) dell'art. 49 del D.P.R. n. 917 del 1986, in quanto, a tacere d'altro, manca il requisito della retribuzione periodica prestabilita, non ricorrendo né la periodicità (intesa come corresponsione a scadenze prestabilite), dato che detti compensi vengono corrisposti solo ed in quanto il giudice di pace svolga determinate attività, il che può avvenire con le cadenze più varie, né la predeterminazione, da intendere quale quantificazione concreta e non meramente astratta (la determinazione, in via generale, di parametri retributivi è inidonea a configurare una effettiva predeterminazione, mancando il dato quantitativo al quale rapportare compensi unitari prefissati).

Ne deriva l'esenzione dall'IVA per i compensi di cui trattasi, non solo in via propositiva, per essere i redditi in questione equiparabili a quelli di lavoro dipendente, derivando gli stessi dall'esercizio (non in via professionale e per tempo limitato) di pubbliche funzioni, ma anche in via dì esclusione, non potendo, gli stessi, qualificarsi, per il già detto, redditi di lavoro autonomo.

Ove, peraltro, si volesse giungere ad opposta conclusione, si porrebbe in essere una evidente disparità dì trattamento, con dubbi profili dì costituzionalità.

Nell'ipotesi, infatti, che l'attività di giudice di pace sia svolta da soggetto sprovvisto di altri redditi di lavoro autonomo assoggettati ad IVA, bisognerebbe comunque ritenere l'equiparabilità dei relativi compensi ai redditi di lavoro dipendente, essendo, per gli stessi, esplicitamente esclusa la natura di reddito di lavoro autonomo dalla previsione dell'art. 5, comma 2, del D.P.R. n. 633 del 1972. Su tali redditi, pertanto, non andrebbe corrisposto il contributo del 10% previsto dalla legge 8 agosto 1995, n. 335 e dal D.M. 2 maggio 1996, n. 281.

Nel caso, invece, che lo stesso soggetto sia titolare di altri redditi di lavoro autonomo, sui compensi di cui trattasi bisognerebbe non solo corrispondere l'IVA, ma anche il contributo di cui si è appena detto.

Appare evidente come si porrebbe in essere, così operando, una macroscopica disparità di trattamento, essendo, i redditi derivanti da una medesima attività, sottoposti a diversa imposizione fiscale e previdenziale, a seconda del tipo di attività (principale) svolta dal percipiente.

Poiché, pertanto, è principio ermeneutico generale del vigente ordinamento giuridico quello secondo il quale ogni norma deve essere interpretata (ove possibile) nel senso di una sua rispondenza al dettato costituzionale, bisogna concludere che i compensi percepiti dai giudici di pace, anche se tale pubblica funzione è esercitata da professionisti, sono equiparabili a redditi di lavoro dipendente, come tali esenti da IVA.

5) Passando, con riferimento ad uno dei rilievi contenuti nel punto B, all'esame dell'applicabilità alla fattispecie in esame della contribuzione all'I.N.P.S., prevista dall'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, questa Direzione Generale ritiene che, alla luce della nuova qualificazione delle indennità dei giudici onorari come redditi assimilabili a quelli di lavoro dipendente, essa debba essere esclusa.

Invero l'art. 1 del D.M. 2 maggio 1996, n. 281, assoggetta alla ritenuta del 10% i compensi inerenti a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ovvero derivanti dall'esercizio, per professione abituale, di attività di lavoro autonomo.

6) In ordine al punto F, infine, deve rilevarsi che l'organo competente ad emettere la dichiarazione di cui all'art. 3 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 è il coordinatore dell'ufficio del giudice di pace ai sensi dell'art. 7 della legge 23 marzo 1956, n. 182, come stabilito nella circolare n. 19/95 del 10 novembre 1995.

Trattandosi di mandati emanati sul modello 12, al materiale pagamento dei compensi o delle imposte provvederà l'Ufficio del Registro.

Il Direttore generale

F. Hinna Danesi