§ 98.1.35295 - Circolare 20 febbraio 1996, n. 40 .
Legge 28 dicembre 1995, n. 549. Norma interpretativa dell'art. 1 della legge n. 389 del 1989. Contributo sul lavoro straordinario a carico [...]


Settore:Normativa nazionale
Data:20/02/1996
Numero:40

§ 98.1.35295 - Circolare 20 febbraio 1996, n. 40 .

Legge 28 dicembre 1995, n. 549. Norma interpretativa dell'art. 1 della legge n. 389 del 1989. Contributo sul lavoro straordinario a carico delle imprese con più di quindici dipendenti.

 

Emanata dall'Istituto nazionale della previdenza sociale.

 

 

Ai Dirigenti centrali e periferici 

 

Ai Coordinatori generali, centrali 

 

e periferici dei rami professionali 

 

Ai Primari coordinatori generali e 

 

primari medico legali 

e, p. c.: 

Al Presidente 

 

Ai Consiglieri di amministrazione 

 

Al Presidente e ai membri del 

 

Consiglio di indirizzo e vigilanza 

 

Ai Presidenti dei comitati regionali 

 

Ai Presidenti dei comitati provinciali 

 

 

La legge 28 dicembre 1995, n. 549 (G.U. n. 302 del 29 dicembre 1995) recante "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica", entrata in vigore il 1° gennaio 1996, per espressa previsione dell'art. 3, comma 244, contiene anche disposizioni che svolgono effetti sul versante della contribuzione previdenziale ed assistenziale, che si illustrano con la presente circolare.

 

 

1) Norma interpretativa dell'art. 1 della legge n. 389 del 1989 (art. 2, comma 25).

L'art. 2, comma 25, della legge n. 549 del 1995 dispone: «L'art. 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, si interpreta nel senso che, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria».

Con ciò, il legislatore è intervenuto a risolvere un problema, evidenziato anche da interrogazioni parlamentari, che era sorto in alcune regioni.

Si era cioè posto il problema di definire la retribuzione-parametro (da considerare ai soli fini contributivi) in caso di coesistenza di vari CCNL.

Infatti, data per scontata la valenza come strumento di diritto privato dei CCNL per le imprese che abbiano aderito alle associazioni stipulanti, era invece in discussione la determinazione della base retributiva "minima", a cui riferirsi come parametro per calcolare una contribuzione parimenti "minima", salva l'ipotesi di trovarsi in presenza di un miglior trattamento retributivo.

Il legislatore, invero, ha affrontato il problema con l'art. 1, primo comma, della legge n. 389 del 1989, al fine di garantire da un lato parità di condizioni alle imprese, sia ai fini degli adempimenti contributivi che a quelli di accesso a sgravi e fiscalizzazione e, dall'altro, in funzione di un'adeguata tutela assicurativa ai lavoratori: norma che ha alla base il costante indirizzo della Corte di Cassazione, che ha sancito l'autonomia del rapporto assicurativo - previdenziale rispetto a quello retributivo, in quanto il primo deriva da obblighi di legge, mentre il secondo si fonda sull'autonomia negoziale delle parti.

Nella fase applicativa della norma si è però posto il problema della interpretazione da dare all'art. 1 della legge n. 389 del 1989, in caso di coesistenza di vari CCNL. Se cioè, data la conclamata necessità di garantire parità di condizioni alle imprese (ai fini contributivi) ed ai lavoratori (ai fini assicurativi), la retribuzione-parametro di cui all'art. 1 della legge n. 389 del 1989 dovesse essere unica, per tutte le imprese dello stesso settore - fatti ovviamente salvi gli effetti civilistici dei vari CCNL comunque stipulati - oppure dovesse essere articolata a seconda dei vari CCNL eventualmente esistenti nello stesso settore.

Il dibattito più che altro concerneva l'interpretazione della locuzione contenuta nell'art. 1, 1° comma, della legge n. 389 del 1989, "organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale" allorché, nello stesso settore, trovino applicazione due o più contratti collettivi stipulati da altrettante OO.SS.; ed, in particolare, se detta disposizione dovesse intendersi riferita al livello categoriale, anziché confederale.

Non mancavano inoltre tesi, secondo le quali la retribuzione-parametro non dovesse essere unica, ma articolata per i vari CCNL esistenti nel settore.

Il legislatore ha quindi dato soluzione al problema, con una norma interpretativa nel senso della unicità della retribuzione-parametro per categoria, fatti salvi ovviamente gli effetti civilistici dei singoli CCNL stipulati.

Eventuali problemi interpretativi saranno sottoposti a questa Direzione generale.

 

 

2) Contributo per lavoro straordinario (art. 2, commi 18, 19, 20 e 21).

Con regio decreto-legge 15 marzo 1923, n. 692 e con il regolamento relativo approvato con regio decreto 10 settembre 1923, n. 1955, è stata disciplinata la limitazione dell'orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali o commerciali di qualunque natura e con regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657 sono state determinate le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia, alle quali non è applicabile la limitazione di orario sancita dall'art. 1 del decreto-legge 15 marzo 1923, n. 692.

Inoltre, con legge 30 ottobre 1955, n. 1079, è stato integrato l'art. 5 del regio decreto-legge 15 marzo 1923, n. 692 con l'art. 5 bis che dispone, fra l'altro, per le imprese industriali, che l'esecuzione del lavoro straordinario comporta, in ogni caso, oltre al pagamento delle maggiorazioni previste dai contratti collettivi di lavoro, anche il versamento, a carico dell'impresa ed a favore del fondo per la disoccupazione, di una ulteriore somma pari al 15% della retribuzione relativa alle ore straordinarie compiute.

La finalità di questa normativa è di limitare il ricorso al lavoro straordinario; non a caso, infatti, le norme richiamate precisano espressamente le modalità operative, l'orario massimo possibile, il minimo di maggiorazione da corrispondere, i tipi di attività ed i settori esclusi.

Il legislatore è intervenuto sull'argomento senza assolutamente modificare la disciplina della limitazione dell'orario di lavoro: ha introdotto un obbligo contributivo, con una definizione dello straordinario a questo solo fine, demandando ad un successivo decreto interministeriale l'individuazione dei casi di esonero per specifiche attività, in considerazione delle particolari caratteristiche di espletamento delle prestazioni lavorative.

Infatti il comma 19 dell'art. 2 della legge n. 549 del 1995 dispone:

«L'esecuzione del lavoro straordinario comporta, a carico delle imprese con più di 15 dipendenti, il versamento a favore del Fondo prestazioni temporanee dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), di un contributo pari al 5 per cento della retribuzione relativa alle ore di straordinario compiute. Per le imprese industriali tale misura è elevata al 10 per cento per le ore eccedenti le 44 ore e al 15 per cento, indipendentemente dal numero dei lavoratori occupati, per quelle eccedenti le 48 ore».

La norma, pertanto, non ha fatto alcun riferimento al R.D.L. n. 692 del 1923 ed al R.D. n. 2657 del 1923, che, come già precisato, hanno finalità diverse, ma neanche alla legge n. 1079 del 1955: la prima parte ha esteso l'obbligo contributivo alle imprese - diverse da quelle industriali - con forza occupazionale superiore a quindici, la seconda parte ha riformulato l'obbligo contributivo già esistente per le imprese industriali oltre le 48 ore.

Inoltre anche per le imprese industriali con più di quindici dipendenti, ha disposto l'obbligo introdotto, per la generalità delle imprese, oltre le 40 ore, elevando però dal 5% al 10% la misura del contributo, per le ore eccedenti le 44 e fino alle 48, sempre in presenza del requisito occupazionale superiore a quindici. Come precisato al successivo paragrafo d) le imprese industriali sono quelle inquadrate nel ramo 1 e gli enti pubblici economici classificati con csc 20102.

La riformulazione della norma, con le caratteristiche già precisate emerge non solo dal comma 21, che affida al già citato decreto interministeriale l'individuazione dei casi di esonero, ma, ancora di più, dal comma 18 che - espressamente ai soli fini dell'obbligo contributivo - contiene la definizione del lavoro straordinario.

Il comma 18 infatti dispone:

«Ai fini dell'applicazione del comma 19, si considera lavoro straordinario per tutti i lavoratori, ad eccezione del personale che svolge funzioni direttive:

a) quello che eccede le quaranta ore nel caso di regime di orario settimanale;

b) quello che eccede la media di quaranta ore settimanali nel caso di regime di orario plurisettimanale previsto dai contratti collettivi nazionali ovvero, in applicazione di questi ultimi, dai contratti collettivi di livello inferiore. In tal caso, tuttavia, il periodo di riferimento non può essere superiore a dodici mesi».

A ciò è da aggiungere la prima parte del comma 21 che esclude l'obbligo del versamento qualora lo svolgimento di lavoro straordinario crei in capo al lavoratore, secondo i criteri stabiliti dalla contrattazione collettiva, il diritto ad una corrispondente riduzione dell'orario normale di lavoro e tale riduzione venga effettivamente goduta.

Conseguentemente, viene preso in considerazione ai fini dell'ulteriore contributo, che si aggiunge ovviamente alla ordinaria contribuzione previdenziale ed assistenziale, il solo orario eccedente le quaranta ore, qualunque sia la qualificazione contrattuale di esso e le forme retributive previste nell'ambito di una disciplina dell'orario di lavoro ordinario e straordinario che a tutti gli altri fini rimane inalterata: espressamente il legislatore esclude solo la flessibilità individuale, disciplinata dalla contrattazione collettiva e la ripartizione dell'orario normale in vari mesi dell'anno effettuata in attuazione di specifiche previsioni contrattuali (cfr., ad esempio, artt. 5 e 40 del CCNL per l'industria edile).

La norma, come già evidenziato, parla di regime di orario settimanale che eccede le quaranta ore: è quindi escluso che agli effetti del superamento della soglia delle quaranta ore settimanali, vadano scomputati ore e/o giorni di assenza per permessi, ferie, malattia o qualsivoglia motivo, retribuiti o meno secondo le norme di legge e le previsioni contrattuali.

Gli elementi da considerare, quindi, ai fini dell'imposizione contributiva, una volta superata per qualsivoglia motivo la soglia dell'orario di 40 ore, con le eccezioni già dette, sono:

a) Datori di lavoro;

b) Requisito occupazionale;

c) Lavoratori interessati;

d) Misura del contributo.

Al riguardo si precisa quanto segue.

a) Datori di lavoro.

I datori di lavoro interessati sono solo le imprese.

Sono quindi esclusi: associazioni culturali, politiche o sindacali, associazioni di volontariato, enti senza fine di lucro, studi professionali, ecc.

Per quanto superfluo, si precisa che qualora dette organizzazioni svolgano una attività economico-produttiva, caratterizzata da imprenditorialità ed oggetto di un separato inquadramento, per tale attività sono anch'esse destinatarie della disciplina in argomento.

A tale riguardo, per l'esatta individuazione dei datori di lavoro interessati, si rammenta che il codice civile (art. 2082) definisce imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. La giurisprudenza ha precisato il concetto di impresa, sancendo che è essenziale che l'attività esercitata abbia la finalità di produrre entrate superiori ai costi di produzione, perché, è sufficiente, ai fini dell'economicità dell'attività, l'idoneità almeno tendenziale a ricavare dalla cessione dei beni o dei servizi prodotti quanto occorra per compensare i fattori produttivi impiegati e cioè a perseguire tendenzialmente il pareggio del bilancio (cfr. anche Cass. S.U. 11 aprile 1994, n. 3353).

Rientrano quindi nell'obbligazione contributiva di cui al comma 19 dell'art. 2 anche le imprese pubbliche e gli enti pubblici economici.

b) Requisito occupazionale.

Il requisito occupazionale si determina, per ogni mese di paga, computando tutto il personale in forza, con l'eccezione degli apprendisti, degli assunti con contratto di formazione e lavoro e con contratto di reinserimento. Al riguardo si rammentano i criteri abitualmente seguiti dall'Inps e riportati, da ultimo, nella circolare n. 211 del 9 agosto 1991).

Si annota che il lavoratore assente (es. per servizio militare, gravidanza e puerperio) è escluso dal computo solo nel caso in cui in sua sostituzione sia stato assunto altro lavoratore ed in tal caso sarà computato il sostituto (circolare n. 57684 G.S. ed altri del 27 giugno 1975).

Il lavoratore occupato con contratto part-time viene considerato come unità intera, in quanto l'art. 5 della legge n. 863 del 1984 prevede che esso sia considerato pro quota solo «ai fini della qualificazione dell'azienda, dell'accesso a benefici di carattere finanziario e creditizi previsti dalle leggi, nonché della legge 2 aprile 1968, n. 482».

Fattispecie quindi che non è quella in esame.

La forza occupazionale va determinata complessivamente, considerando il personale in forza in tutti i cantieri, stabilimenti o filiali dislocati nella stessa provincia o in province diverse: nel caso invece di attività plurime, con separati inquadramenti, la forza occupazionale va determinata con riferimento a ciascuna delle distinte attività (circolare n. 44 del 15 febbraio 1995 e circolare n. 207 del 25 luglio 1995).

c) Lavoratori interessati.

I lavoratori per i quali è dovuto il contributo sono tutti quelli - ad eccezione del personale che svolge funzioni direttive - che effettuano, per qualsivoglia motivazione, un orario superiore a 40 ore settimanali, e per le settimane per le quali tale orario di lavoro è stato superato: sono compresi, quindi, anche i lavoratori esclusi dalla determinazione del requisito occupazionale.

Sono invece esclusi, per espressa previsione legislativa, i lavoratori, già menzionati in premessa, interessati ad orari strutturalmente impostati su cicli plurisettimanali, in attuazione di specifiche previsioni contrattuali ovvero quelli interessati a flessibilità individuale, contrattualmente disciplinata, secondo l'unica possibile interpretazione della prima parte del comma 21. Per quanto riguarda l'identificazione del personale che svolge funzioni direttive, soccorre il regolamento approvato con R.D. 10 settembre 1923, n. 1955 che all'art. 3, comma 2, identifica il personale direttivo in quello preposto alla direzione tecnica o amministrativa dell'azienda o di un reparto di essa con la diretta responsabilità dell'andamento dei servizi e cioè gli institori, i gerenti, i direttori tecnici od amministrativi, i capi ufficio ed i capi reparto che partecipano soltanto eccezionalmente al lavoro manuale, esclusi i commessi di negozio e gli altri impiegati di grado comune di cui al n. 3 del decreto-legge 9 febbraio 1919, n. 112 e coloro che, pur essendo adibiti alla direzione tecnica di una lavorazione, concorrono, con prestazioni di opera manuale, alla esecuzione di essa.

Rammentato che il decreto luogotenenziale n. 112 del 1919 è stato abrogato dall'art. 20 della legge 18 marzo 1926, n. 562, contenente disposizioni relative al contratto di impiego privato, si sottolinea che il legislatore ha fatto riferimento, già nel 1923, non alle qualifiche rivestite, che all'epoca erano quelle di operai, impiegati e dirigenti, ma alle funzioni svolte: scelta perpetuata ed esplicitata dalla legge n. 549 del 1995, che esonera il "personale svolgente funzioni direttive" (cfr. personale direttivo del R.D. n. 1955 del 1923), senza fare riferimento alle qualifiche dell'art. 2095 del codice civile, che la legge 13 maggio 1985, n. 190 ha sostituito effettuando il riconoscimento giuridico dei quadri.

Allo stato, pertanto, fatte salve ulteriori esplicitazioni del già citato decreto interministeriale, le funzioni direttive si identificano nell'attività di coordinamento, con partecipazione sporadica all'esecuzione manuale del lavoro.

d) Misura del contributo.

A carico delle imprese che occupino più di quindici dipendenti è dovuto per lo straordinario effettuato dal 1° gennaio 1996 un contributo pari al 5% della retribuzione relativa alle ore di lavoro eccedenti le quaranta settimanali.

La norma, di carattere generale, contiene una deroga per le imprese industriali.

Esse, infatti, qualora occupino più di quindici dipendenti, versano il contributo nella misura del 10% per le ore eccedenti le quarantaquattro, e comunque, a prescindere dal requisito occupazionale, il 15% per le ore eccedenti le quarantotto.

Come già precisato in premessa, il legislatore ha individuato, ai soli fini dell'imposizione contributiva, la soglia oltre la quale il contributo è dovuto: è quindi ininfluente se l'orario contrattuale ordinario è inferiore o superiore a quaranta ore.

Il contributo è dovuto oltre le quaranta ore e sulla retribuzione relativa, come espressamente precisato al comma 19; in detta retribuzione sono ricomprese le maggiorazioni, se spettanti al lavoratore per legge o per contratto. Ai fini della identificazione delle imprese industriali, si rammenta che gli articoli 49 e 50 della legge 9 marzo 1989, n. 88 stabiliscono che l'Inps determina la classificazione ai fini dell'applicazione delle norme in materia di previdenza e assistenza sociale: pertanto le imprese industriali che devono versare il contributo nella misura del 15% per le ore eccedenti le 48, ovvero, se occupano più di quindici dipendenti, nella misura del 10% qualora eccedano le 44, sono le imprese inquadrate nel ramo 1 e gli Enti pubblici classificati con csc 20102.

Si precisa inoltre che il contributo del 5% ovvero del 10% o del 15% ha carattere disincentivante del ricorso al lavoro straordinario: è pertanto dovuto integralmente anche nelle fattispecie di assunzioni agevolate o, comunque, di contribuzioni ridotte (circolare 17 giugno 1994, n. 187).

In relazione a specifici quesiti pervenuti sulla sussistenza dell'obbligo contributivo, qualora lo straordinario sia retribuito in forma forfettaria, si precisa preliminarmente che la giurisprudenza ha ritenuto possibile tale forma di compenso, purché lo straordinario sia determinato e determinabile, in modo da consentire il controllo circa l'effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettantigli per legge e nella misura da questa stabilita; in più il compenso, anche se continuativo, non rientra nella retribuzione normale o ordinaria che deve essere presa a base per la determinazione della retribuzione globale di fatto per il calcolo degli istituti contrattuali indiretti.

Pertanto il contributo di cui al comma 19 è dovuto sulle quote del compenso relative alle ore eccedenti le quaranta con le modalità già esposte per la generalità dei casi.

Inoltre, dato l'impianto complessivo della norma, assumono rilievo, ai fini dell'imposizione contributiva, anche le frazioni di ora nella determinazione dell'eccedenza dell'orario rispetto alle 40 ore settimanali.

Non sono mancate, da parte delle Organizzazioni datoriali interessate, prese di posizione sull'argomento, tese a ritenere sussistente ancora l'esonero per le fattispecie contemplate agli artt. 4 e 6 del R.D. 10 settembre 1923, n. 1955, e cioè le cosiddette attività discontinue ovvero i trasporti in concessione, i servizi pubblici essenziali e l'armamento: si sono registrate anche posizioni tendenti a chiedere l'imposizione sulla retribuzione base relativa allo straordinario, senza tener conto delle maggiorazioni legali o contrattuali.

Tali tesi non hanno potuto trovare accoglimento, allo stato, da parte dell'Inps, dato l'articolato estremamente rigoroso della norma, appena illustrato: infatti, come già precisato, il comma 18 contiene espressamente, ai soli fini dell'obbligo contributivo, la definizione dello straordinario; il comma 21 rimanda ad un decreto interministeriale l'individuazione dei casi di esonero. Il comma 19 dispone espressamente l'imposizione contributiva sulla retribuzione relativa alle ore di straordinario compiute, secondo la definizione dettata dal comma 18.

Si sono trasmesse pertanto ai competenti Dicasteri le note pervenute da parte delle Organizzazioni interessate per ogni valutazione ritenuta opportuna, in sede di emissione del D.M. di cui al comma 21.

La disciplina dell'obbligo contributivo sulla retribuzione relativa alle ore (o frazioni) eccedenti le 40 settimanali rientra, stante gli aspetti innovativi che presenta, nel campo di applicazione della deliberazione n. 5 del Consiglio di amministrazione del 26 marzo 1993, approvata con D.M. 7 ottobre 1993 (cfr. circolare n. 292 del 23 dicembre 1993). I datori di lavoro interessati dovranno pertanto adeguarsi alle nuove disposizioni entro il giorno 20 del terzo mese successivo a quello di emanazione della presente circolare, maggiorando le somme dovute a titolo di contributo sul lavoro straordinario, nell'accezione ampiamente illustrata, per i mesi pregressi (da gennaio 1996), degli interessi legali in ragione del 10% annuo, computati dal 21 del mese successivo a quello per il quale il contributo è dovuto, sino alla data del versamento [1].

__________

[1] Si rammenta che ai sensi del citato D.M. 7 ottobre 1993 la contribuzione per il lavoro straordinario può essere versata con la denuncia contributiva relativa al mese successivo a quello in cui il lavoro straordinario è stato effettuato.

 

 

2.1) Istruzioni operative.

Ai fini della compilazione della denuncia di mod. DM10/2, le imprese dovranno attenersi alle seguenti istruzioni:

- per il versamento del contributo sul lavoro straordinario del 5 per cento, indicheranno in uno dei righi in bianco dei quadri "B-C" l'importo del contributo stesso preceduto dal codice di nuova istituzione "S005" e dalla dicitura "LAV.STR. 5%". Nelle caselle "N. dipendenti", "N. giornate" e "Retribuzioni" le imprese indicheranno il numero dei dipendenti, il numero delle "ore" e l'importo delle retribuzioni cui si riferisce il contributo;

- per il versamento del contributo sul lavoro straordinario del 10 per cento, le imprese industriali indicheranno in uno dei righi in bianco dei quadri "B-C" l'importo del contributo stesso preceduto dal codice di nuova istituzione "S010" e dalla dicitura "LAV.STR. 10%". Nelle caselle "N. dipendenti", "N. giornate" e "Retribuzioni" le aziende stesse indicheranno il numero dei dipendenti, il numero delle "ore" e l'importo delle retribuzioni cui si riferisce il contributo;

- per il versamento del contributo sul lavoro straordinario del 15 per cento, le imprese industriali utilizzeranno il previsto rigo del mod. DM10/2 contrassegnato dal codice "22". Nelle caselle "N. dipendenti", "N. ore" e "Retribuzioni" le aziende stesse indicheranno il numero dei dipendenti, il numero delle ore e l'importo delle retribuzioni cui si riferisce il contributo.

Per la regolarizzazione dei periodi pregressi, da effettuare entro il termine sopraindicato, le imprese sommeranno ai dati dello straordinario relativi al mese in cui viene effettuata la sistemazione (numero ore, retribuzioni e importo dei contributi), quelli relativi ai periodi decorsi.

L'importo degli interessi dovrà essere indicato in uno dei righi in bianco dei quadri "B-C" preceduto dal codice "Q900" e dalla dicitura "ONERI ACCESSORI". Nessun dato dovrà essere riportato nelle caselle "N. dipendenti, N. giornate e retribuzioni".

Il Direttore generale

Trizzino