§ 4.4.1091 - D.P.G.R. 10 febbraio 1998, n. 61 .
Approvazione del piano regionale delle aree naturali protette - art. 5 della legge regionale 3 marzo 1995, n. 9.


Settore:Codici regionali
Regione:Umbria
Materia:4. assetto del territorio e dell'ambiente
Capitolo:4.4 tutela dell'ambiente
Data:10/02/1998
Numero:61


Sommario
Articolo 1 
Articolo 2 
Articolo 3 
Articolo 4 
Articolo 5 


§ 4.4.1091 - D.P.G.R. 10 febbraio 1998, n. 61 .

Approvazione del piano regionale delle aree naturali protette - art. 5 della legge regionale 3 marzo 1995, n. 9.

 

Pubblicato nel B.U. Umbria 18 febbraio 1998, n. 13, S.O.

 

Il Presidente della Giunta regionale

vista la legge 6 dicembre 1991, n. 394: "Legge quadro delle aree protette";

vista la legge regionale 3 marzo 1995, n. 9 "Tutela dell'ambiente e nuove norme in materia di aree naturali protette in adeguamento alla legge 6 dicembre 1991, n. 394 e alla legge 8 giugno 1990, n. 142";

vista la deliberazione del Consiglio regionale 13 gennaio 1998, n. 480, esecutiva ai sensi di legge;

decreta:

 

 

È approvato, ai sensi dell'art. 5, comma 3, della legge regionale 3 marzo 1995, n. 9 il "Piano regionale delle aree naturali protette" secondo quanto contenuto nell'allegato al presente decreto, completo con le norme regolamentari e cartografia di base, che ne costituisce il contenuto sostanziale.

Il presente decreto sarà pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione dell'Umbria.

 

 

Allegato

Piano regionale delle aree naturali protette

Iª Parte - Quadro programmatico, quadro normativo, adempimenti

1. Politica per l'ambiente e le aree naturali protette - Regione Umbria.

2. Il sistema parchi-ambiente.

3. Conclusioni.

IIª Parte - La proposta di ottimizzazione del sistema

4. Lo stato di attuazione

5. Aggiornamento del piano

6. L'analisi territoriale

Allegato normativo

Allegato cartografico

 

 

1. Politica per l'ambiente e le aree naturali protette - Regione Umbria.

1.1. Il quadro di riferimento.

1.1.1. Scenario generale.

a) La Conferenza mondiale dell'O.N.U. su ambiente e sviluppo, tenutasi nel giugno 1992 a Rio de Janeiro, indicò il concetto di "sviluppo sostenibile" come uno dei comuni obiettivi da includere nei piani di azione per specifiche iniziative economiche, sociali ed ambientali in vista del XXI secolo.

Nell'agenda 21 si afferma infatti che i governi dovrebbero adottare una strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, predisposta utilizzando ed armonizzando le politiche settoriali. "L'obiettivo è quello di assicurare uno sviluppo economico responsabile verso la società, proteggendo nel contempo le risorse fondamentali e l'ambiente per il beneficio delle popolazioni future".

Rifacendosi al concetto di "sviluppo sostenibile", su cui ormai molti convengono e recependone a pieno il messaggio innovativo, la Regione dell'Umbria ritiene di far propria una nuova concezione della politica per l'ambiente come, nuova etica sociale, che ponga al centro dello sviluppo il destino dell'uomo nel suo rapporto con la società e con la natura, con i luoghi in cui vive, lavora, svolge le proprie relazioni e le funzioni sociali.

1.1.2. Scenario nazionale.

Soltanto nel 1986 lo Stato italiano si è posto il problema di ricondurre ad unità le problematiche ambientali, sia di risanamento che di valorizzazione, attraverso la costituzione del Ministero dell'ambiente; la realizzazione di nuovi parchi territoriali nazionali; l'erogazione di risorse finanziarie per la protezione dei beni naturali; la costruzione di parametri programmatici unitari; la possibilità di ricondurre ad unità interventi di settore normativamente autonomi; l'insediamento dell'Autorità di bacino ed il piano di bacino.

Dalla costituzione del Ministero dell'ambiente ad oggi sono stati realizzati dallo Stato italiano significativi progressi, che hanno indirizzato la politica di protezione e valorizzazione ambientale verso gli standard europei.

Tale politica è stata contrassegnata da:

a) primi stanziamenti organici nell'anno 1988 per il recupero ambientale, per la difesa delle risorse naturali, per l'educazione ambientale, per i parchi naturali;

b) il piano triennale per l'ambiente '91 - '93 e il piano '94 - '96;

c) recepimento della direttiva europea sulla valutazione dell'impatto ambientale;

d) emanazione della legge quadro sulle aree protette 6 dicembre 1991, n. 394, riferita sia ai parchi nazionali che a quelli regionali;

e) finanziamenti deliberazione CIPE 1° luglio 1996 orientati essenzialmente ad interventi di protezione ambientale e di sviluppo delle aree naturali protette e/o montane.

Lo Stato italiano appare quindi oggi aver assunto, sia sul piano programmatico sia su quello operativo, quale obiettivo fondamentale la conservazione della natura e la valorizzazione delle riserve ambientali e culturali.

1.1.3. Scenario normativo transnazionale ed europeo.

L'Unione europea, con decisione del Consiglio CEE, direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992, relativa alla "conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche", ha emanato il documento fondamentale attuativo dell'art. 130 R del trattato.

Il regolamento attuativo, Reg. (CEE) n. 1973/92, emanato poi dal Consiglio, istituisce lo strumento finanziario LIFE, destinato al sostegno alla politica ambientale comunitaria. Attualmente è il V programma "Verso uno sviluppo sostenibile" che, successivamente al LIFE e parallelamente allo stesso, orienta risorse tratte dai fondi strutturali e dal fondo di coesione dell'Unione europea, in senso ambientale e con tali risorse si realizzano oggi in Umbria sezioni importanti dell'Obiettivo 2 e dell'Obiettivo 5b ed è stato completato l'elenco dei biotopi in applicazione della direttiva habitat.

Grande importanza riveste anche la decisione del Consiglio della Comunità europea, del 25 ottobre 1993, con la quale si approva e recepisce la Convenzione sulla diversità biologica approvata a Rio de Janeiro nel giugno 1992.

Il V programma elabora le linee di politica ambientale comunitarie nella prospettiva di uno sviluppo coordinato e sostenibile applicandole a cinque settori prioritari: industria, energia, trasporti, agricoltura, turismo e privilegiando, per di più, gli strumenti attuativi interregionali e transnazionali.

Il programma ha alla sua base una strategia articolata da un lato sulla gestione del territorio indirizzata ad uno sviluppo sostenibile che porti alla conservazione degli habitat naturali; dall'altro su una gestione organica della conservazione della biodiversità che porti ad un uso sostenibile delle specie e alla protezione di quelle minacciate.

La strategia generale ha poi quale elemento essenziale l'informazione, programma di sensibilizzazione politica e di educazione ambientale, e quale funzione finale un'organica strumentazione di controllo di bilancio e l'operatività di un'Agenzia europea per l'ambiente.

Sull'asse della gestione del territorio, il programma propone uno sviluppo sostenibile che trovi attuazione nella valutazione di impatto ambientale dei programmi, nella riforma dei fondi strutturali.

Sull'asse della conservazione della biodiversità l'uso sostenibile delle specie si propone che trovi attuazione con le norme sul commercio, pesca e allevamento sostenibile, ed ancora sulla protezione delle specie minacciate, attraverso la direttiva "habitat" e la direttiva "uccelli".

In applicazione di tali principi generali si è evoluta anche la politica ambientale europea, indotta a ciò dall'esperienza e dalla ricerca scientifica ed econometrica:

- la direttiva habitat proponeva una gestione sostenibile di territori ambientalmente significativi, collegati attraverso corridoi tra l'uno e l'altro che ne consentissero l'utilizzazione a rete;

- i documenti unitari di programmazione per gli interventi dei fondi strutturali nelle Regioni Obiettivo 1, Obiettivo 2 e Obiettivo 5b, nella loro prima fase, dovevano essere basati su una valutazione ex ante delle situazioni ambientali;

- gli stessi Docup, per la seconda fase di programmazione, debbono essere obbligatoriamente basati non solo su una valutazione quantificata nei costi benefici dell'impatto ambientale delle strategie ma anche sulla proiezione ambientale delle singole azioni;

- l'esame dei Docup aggiornati per la seconda fase è condizionato dalla costituzione, da parte di ogni Regione beneficiaria, di un interfaccia definito "Autorità ambientale" idoneo a coordinare la preparazione e la realizzazione delle azioni dei programmi in senso ambientale e a garantire nel settore con attività di informazione ed aggiornamento, l'osservanza delle norme comunitarie.

L'Unione europea ha assunto quindi oggi la conservazione della natura e della diversità biologica, la valorizzazione delle risorse ambientali quale asse di intervento trasversale a tutte le politiche europee, passando dalla difesa degli habitat singoli all'intervento a Sistema, dal Regolamento specifico come il LIFE all'utilizzazione ambientale dei piani plurisettoriali e degli interventi pluripiano organizzati a Sistema.

1.1.4. Le linee strategiche della Regione Umbria.

Le caratteristiche che deve avere uno sviluppo sostenibile sono:

- garantire la qualità della vita;

- garantire un accesso continuo alle risorse naturali;

- evitare danni permanenti all'ambiente.

L'attuazione di una strategia di sviluppo sostenibile presuppone che la tutela dell'ambiente venga integrata nella definizione e nell'attuazione delle altre politiche, governando coscientemente l'interdipendenza tra le politiche, le risorse e le attività.

Le problematiche dell'ambiente vanno affrontate in termini "globali e sistemici", superando una rigida schematizzazione e classificazione per temi separati, su ognuno dei quali si opera in autonomia ed indipendenza: ogni cosa è infatti collegata ad ogni altra cosa, nello spazio e nel tempo.

Purtroppo la confusione del quadro normativo nazionale, con una produzione ipertrofica di leggi e regolamenti a volte anche contraddittori, unita ad una frammentazione di competenze nella Pubblica Amministrazione che trova riscontro anche all'interno della stessa regione, non favorisce l'approccio globale alla questione ambiente.

Ciò non toglie che tali difficoltà possano essere superate nel medio e lungo periodo, operando nella direzione di un forte coordinamento delle politiche settoriali, sempre finalizzate al perseguimento dello sviluppo sostenibile, mediante:

- la difesa da fattori di pressione sull'ambiente naturale e su quello costruito;

- il contenimento dei consumi energetici e la riduzione dell'inquinamento di acqua, aria e suolo;

- la prevenzione, cioè la tutela dell'ambiente tramite verifica preventiva degli effetti di nuovi insediamenti o nuove attività sul territorio;

- la riqualificazione delle aree urbane più degradate, specie quelle di espansione, e dei centri storici minori;

- la salvaguardia e la valorizzazione delle aree di maggiore interesse naturalistico;

- il controllo e la mitigazione dei rischi di crisi ambientale in alcuni "punti critici", quali le zone di elevata concentrazione di allevamenti zootecnici, i laghi, le aree a più intenso insediamento industriale, alcuni quartieri delle maggiori città oppressi dagli alti volumi di traffico.

Il Sistema parchi-ambiente deve costituire invece un quadro operativo intersettoriale idoneo a sperimentare, in territori delimitati ma organici, la valorizzazione collegata alla tutela delle risorse naturali e culturali; costruire un'ossatura forte del Sistema delle aree naturali protette autonomamente caratterizzante e fattore di ricchezza dell'intero territorio regionale.

1.2. Le indicazioni strategiche generali.

a) Un'efficace politica regionale per l'ambiente richiede interdisciplinarietà e coordinamento delle politiche settoriali.

Lo strumento che può garantire tutto ciò è il piano regionale ambientale, previsto dalla delibera CIPE del 1994.

Alla redazione del piano si intende arrivare dopo aver costruito un quadro, il più completo possibile, delle conoscenze in campo ambientale, mediante la predisposizione della 1ª "relazione sullo stato dell'ambiente in Umbria".

La relazione avrà il compito di valutare la consistenza e la qualità del patrimonio ambientale, la stima del grado di uso e di compromissione delle risorse naturali, e soprattutto di definire quegli indicatori ambientali, a scala regionale, utili a riconoscere le linee di tendenza in corso. Il tutto avvalendosi di dati ed informazioni già esistenti, disponibili presso enti, istituti di ricerca, università, da sottoporre ad attenta verifica, organizzare e rappresentare, anche su supporto cartografico e multimediale.

Il dibattito sempre più vivace che si sviluppa sui temi dell'ambiente e della qualità della vita anche nella società civile, potrà così trovare un fertile terreno di confronto ed un punto di riferimento condiviso e conosciuto da cui tutti possono attingere per definire le strategie d'intervento future.

La relazione sullo stato dell'ambiente in Umbria offrirà infatti una base informativa comune a tutti coloro che avranno il compito di sviluppare programmi settoriali (rifiuti, acqua, aree naturali protette, inquinamento atmosferico ed acustico, riqualificazione urbana, ecc.) oltre che il punto di partenza del piano di coordinamento della politica ambientale in Umbria e cioè del piano regionale per l'ambiente (P.R.A.), la cui redazione dovrà comunque riferirsi ai criteri che dovranno essere emanati dal Ministero dell'ambiente.

1.3. Obiettivi di medio periodo.

a) Il piano regionale per l'ambiente dovrà dettare le "linee guida" della politica ambientale nella regione, fornendo criteri, indirizzi generali e modalità operative cui dovranno ispirarsi i piani settoriali, dando specifiche indicazioni sul superamento dei "punti di crisi" che caratterizzano negativamente il territorio regionale.

Il P.R.A. costituisce il riferimento strategico anche del piano regionale delle aree naturali protette così come è disposto dall'art. 4 della L.R. n. 9 del 1995.

Al P.R.A. ed al nuovo concetto di sviluppo sostenibile, andranno quindi ricondotte tutte le scelte strategiche di natura intersettoriale che possono avere importanti ricadute sulla qualità dell'ambiente di vita, ma anche sulle attività economiche che con l'ambiente hanno stretta correlazione. Ai criteri dettati dal P.R.A. dovranno riferirsi i piani operativi di settore quali:

- il piano di risanamento delle acque, di prossimo aggiornamento;

- il piano di risanamento atmosferico, la cui redazione prenderà il via nel mese di marzo;

- il piano di contenimento del rumore, previsto dalla recente legge n. 447 del 1995;

- il piano energetico regionale previsto dalla legge n. 10 del 1991, con le indicazioni operative per una politica di risparmio nei settori dell'industria, dell'agricoltura, dell'edilizia;

- il piano di smaltimento dei rifiuti, la cui validità scade nel 1997 e che dovrà entro quella data essere aggiornata;

- le scelte di politica dei trasporti per la riduzione del traffico nelle principali città umbre e nei centri storici, indicando soluzioni di mobilità alternativa;

- gli interventi per la riqualificazione urbana e dei centri storici, per restituire "dignità di città" alle nuove periferie e riassegnare un ruolo di riequilibrio e di "presidio" territoriale ai centri storici minori.

Si sottolinea che il piano regionale delle aree naturali protette, che pur gode di una sua autonomia, andrà a costituire un capitolo del più generale P.R.A.

b) In sintesi il P.R.A. dovrà coordinare le politiche di settore secondo la nuova Carta dei principi che sono alla base del concetto di sviluppo sostenibile, secondo quindi una nuova visione del rapporto uomo - ambiente, economia-sviluppo, crescita-qualità. Nel contempo il piano dovrà delineare gli obiettivi di qualità ambientale da perseguire, i processi di sviluppo da controllare, le azioni di salvaguardia da mettere in campo, le risorse da investire in un rapporto equilibrato e compatibile con le ristrettezze della finanza pubblica e con l'impegno degli investitori privati, che è auspicabile possano divenire protagonisti, in positivo, del processo futuro di sviluppo in una proficua intesa con l'ente pubblico.

Insieme a ciò il piano dovrà mettere a punto, di concerto con il piano urbanistico territoriale, specifiche iniziative per aggredire alcuni temi od intervenire su aree di particolare rilevanza ambientale che, pur rientrando nelle scelte di politica di settore, assumono per dimensione e specificità, un valore emblematico.

Si tratta di quei "punti di crisi", prima richiamati, ove le pressioni antropiche rischiano di compromettere definitivamente risorse ambientali di grande valore e per le quali invece si rende prioritaria una iniziativa urgente ed ecologicamente compatibile.

c) L'invadenza della legislazione statale nei compiti programmatori regionali in materia ambientale ha limitato molto l'autonoma legislatura regionale ed ha fortemente condizionato il processo di definizione delle competenze degli enti locali. Definizione che può avvenire solo in presenza di un pieno esercizio della funzione regionale di programmazione e di coordinamento.

Soltanto la legge regionale n. 9 del 1995 sembra possedere una specifica sistemazione delle competenze scaturenti dalla legge n. 142 del 1990.

Uno dei nodi principali, invece, posti dal nuovo scenario prefigurato dalla legge n. 142 è individuato infatti da più parti nella capacità di raggiungere una situazione di equilibrio istituzionale in cui la rivalutazione del sistema delle autonomie, ed in particolare della Provincia, non sia coincidente con una sottrazione di compiti alla Regione, ma avvenga in parallelo con un rafforzamento della stessa Regione.

Malgrado il processo di pieno riconoscimento dell'autonomia regionale in campo ambientale sia lento a muoversi non v'è dubbio che debba essere data quanto prima applicazione all'art. 3 della legge n. 142, intervenendo per riorganizzare e dare organicità al processo di decentramento delle funzioni amministrative in campo ambientale, con applicazione del principio comunitario delle sussidiarietà.

L'occasione della legge n. 142 sarà colta per valorizzare il ruolo programmatico della Regione, affidando invece competenze operative, autorizzatorie e di vigilanza a Comuni e Province con l'obiettivo di semplificazione delle procedure, di certezza dei ruoli, evitando sovrapposizioni e duplicazioni.

Nel ridisegnare la mappa dei "poteri" e delle competenze particolare rilevanza assume la decisione della Giunta regionale di costituire l'Agenzia regionale per l'ambiente (A.R.P.A.), prevista dalla legge n. 61 del 1994 e già operante in alcune regioni d'Italia.

L'Agenzia, che nasce sulla spinta del referendum abrogativo delle normative sulle funzioni delle U.L.S. in materia ambientale, sarà il braccio tecnico-operativo di Regione, Province ed enti locali su tutte le tematiche ambientali, svolgendo attività di promozione della ricerca, raccolta e diffusione dei dati attraverso la gestione delle reti di monitoraggio ambientale, controlli di fattori fisici, chimici e biologici, formulazione di pareri e proposte, supporto tecnico-scientifico alla programmazione ed alle decisioni della Regione e del sistema delle autonomie locali.

La costituzione dell'"Autorità ambientale", definita da prescrizioni dell'Unione europea rafforza il ruolo della Regione valorizzandone il rapporto diretto con la stessa Unione e la funzione di coordinamento rivolta, non solo ai propri compiti, anche a quelli del sistema delle autonomie.

d) Altrettanto importante è inoltre il riordino delle competenze in campo ambientale all'interno della Regione.

Se il piano regionale per l'ambiente traccerà la via maestra su cui indirizzare le politiche settoriali nel campo economico, sociale ed ambientale appare ancor più necessario che l'attuazione di tali politiche, specie di quelle strettamente attinenti alla salvaguardia ed allo sviluppo dell'ambiente naturale e di vita dell'uomo, sia gestita unitariamente, mediante precise forme di coordinamento interno, se non meglio attraverso una diversa aggregazione di materie e di competenze.

1.4. Strumenti operativi di medio periodo.

La nuova Carta dei principi per una politica di sviluppo sostenibile sarà l'argomento centrale del piano regionale per l'ambiente e costituirà comunque da subito, anche la traccia per i programmi operativi che daranno attuazione alle politiche settoriali in materia di ambiente.

Sarà così possibile, anche per motivi legati ad inadempienze centrali (la mancanza dei criteri per la redazione dei P.R.A.), o per obblighi imposti da leggi statali, dare avvio alla programmazione di settore più urgente, procedendo parallelamente alla predisposizione della relazione sullo stato dell'ambiente e quindi il piano regionale che rappresenterà, come detto in precedenza, il punto di sintesi e di coordinamento della nuova politica regionale per l'ambiente, improntata alla valorizzazione della centralità dell'uomo, al miglioramento della qualità della vita ed a favorire uno sviluppo economico che soddisfi le esigenze attuali senza compromettere l'ambiente naturale.

 

 

2. Il sistema parchi-ambiente.

2.1. Il quadro di riferimento.

2.1.1. Problematica strutturale del settore.

Nell'ambito dell'elaborazione dei PIM Umbria, a partire già dall'anno 1986, fu programmata una strategia di sviluppo economico fondata sulla valorizzazione dei beni culturali e naturali che fu individuata come "Sistema parchi-ambiente".

Tale strategia fu articolata su alcuni precisi elementi di riferimento:

a) elaborazione unitaria degli studi e dei programmi da parte della Regione dell'Umbria sia per gli aspetti urbanistici, sia per gli aspetti ambientali, sia per le funzioni di sviluppo;

b) il programma intersettoriale elevato a "Sistema", tale cioè da coinvolgere in una organica dimensione di sviluppo diverse competenze e risorse la cui organizzazione costituisse un asse portante della politica regionale;

c) il "Sistema" in particolare, è lo strumento per rendere unitarie le politiche ambientali, sia sul piano della protezione e valorizzazione che del risanamento, di rapportarle con i programmi culturali e turistici, di renderle compatibili con gli investimenti produttivi sia del Settore agricolo che del Settore manifatturiero.

Il Sistema parchi-ambiente ha costituito l'ipotesi teorica di sviluppo e valutazione economica delle risorse direttamente sottostanti che ha dato vita alla omonima Misura del PIM e che ha orientato la più recente legislazione regionale ed i programmi organici cofinanziati dell'Unione europea nel senso di passare dall'economia dello sviluppo ambientalmente compatibile all'economia dei beni ambientali e dei beni culturali come risorsa primaria, fondamentale per l'Umbria.

Tale consapevolezza dell'elevabilità a Sistema del modello di sviluppo basato sulla programmazione economica delle risorse naturali e culturali, è acquisizione soltanto recente nella politica nazionale e delle altre Regioni e a partire dall'anno 1995 è iniziata la diffusa utilizzazione del principio del superamento della politica settoriale dell'ambiente e del territorio intercluso in un parco, elevandola a Sistema integrato di valorizzazione delle risorse.

In Umbria è disponibile un'elaborazione teorico-economica, una legislazione recente ed adeguata, un orientamento conseguente per l'utilizzazione delle risorse rese disponibili dagli strumenti comunitari ed il problema è quindi quello di dare definitivamente vita al Sistema con le sue integrazioni generali intersettoriali attuando anche quanto previsto nelle dichiarazioni programmatiche della Giunta regionale.

2.2. Scenari di riferimento. Vincoli ed opportunità.

2.2.1. Il quadro statale: aspetti normativi, programmatici, istituzionali.

Si evidenzia che lo Stato italiano ha assunto nel settore, un atteggiamento operativo e positivo che si è sostanziato nella legge n. 84 del 1991, nella organizzazione e conservazione natura ed infine anche nella conservazione di risorse finanziarie in prospezione immediata e futura.

Rispetto ai quadro normativo e amministrativo nazionale le Regioni italiane hanno recentemente deciso di portare avanti le seguenti linee programmatiche di indirizzo:

- revisione della legge n. 394 del 1991 superando la dicotomia tra aree naturali nazionali e regionali, recuperando completamente la competenza esclusiva delle Regioni in materia di pianificazione territoriale ed economica;

- costruzione di sistemi di sviluppo locale basate sulle risorse ambientali-culturali di tipo interregionale (vedi Appennino Parco d'Europa - APE) e, ove possibile transnazionale utilizzando il Fondo europeo di coesione, adeguando la legge n. 394 del 1991 anche a queste nuove esigenze.

A queste richieste si è data, proprio in questi ultimi mesi, parziale ma positiva risposta da parte del Ministro dell'ambiente con l'attribuzione alla competenza delle Regioni interessate del parco del Delta del Po e con la riconsiderazione delle strutture dei parchi nazionali in itinere.

La ricollocazione infine, delle Regioni italiane nel quadro di uno Stato di tipo federale non può che accentuare il loro ruolo rispetto al Sistema ambiente.

2.2.2. Punti di forza, opportunità e specificità del settore nel quadro regionale.

Elemento di forza, nella prospettiva di un efficace sistema regionale per l'economia dell'ambiente, è costituito dalla promulgazione della L.R. n. 9 del 1995, legge che è nata quale elaborazione partecipata e di lungo periodo delle problematiche normative e socio-economiche connesse, risolvendo molti nodi istituzionali e ridefinendo entro limiti ben precisi le forme di opposizione preconcetta e non giustificata.

Soltanto otto Regioni italiane, hanno promulgato leggi quadro nei rispetto dei principi della legge n. 394 del 1991 e soltanto quattro, ad oggi, risultano essere operative, nelle funzioni attuative e amministrative oltre alla Regione Umbria così da conferire dignità e autorevolezza alle loro richieste per le politiche intersettoriali di sistema.

Estremamente positiva è stata ed è l'esperienza attuativa dei programmi intersettoriali PIM, Obiettivo 2 e 5b relativi al Sistema e all'integrazione tra risorse naturali e culturali nella loro proiezione nell'economia del turismo.

Si è, tra l'altro, realizzata una preziosa esperienza formativa del quadro amministrativo e tecnico interno alla Regione ma anche, con valenza fondamentale, dei quadri amministrativi e tecnici impegnati localmente e che hanno appreso a discutere e ad applicare i principi di intersettorialità e integrazione nella programmazione territoriale e settorialmente integrata, nella valutazione costi-benefici degli investimenti ambientali-culturali, nella loro attivazione e monitoraggio.

Autentico punto di forza della L.R. n. 9 del 1995 è l'aver incentrato la sua normativa sulla considerazione "dell'intero territorio regionale urbano ed extraurbano quale unitario, oggetto di interventi finalizzati da realizzarsi mediante gli strumenti di programmazione regionale, i provvedimenti normativi di settore concernenti la tutela e la valorizzazione, i piani di settore ad iniziativa della Regione e degli altri enti territoriali" e per di più la stessa legge impone che strumenti ed azioni citati si integrino "con quelli previsti dalle leggi statali e regionali volte alla protezione dei beni archeologici, artistici e paesaggistici, nonché di quelle settoriali di protezione del suolo, dell'aria, dell'acqua, della flora e della fauna (art. 1)".

Lo strumento normativo fondamentale per tali scopi complessi è il "programma generale regionale di tutela e valorizzazione ambientale" (art. 3) di cui il "piano regionale delle aree naturali protette" costituisce soltanto un titolo (artt. 4 e 5).

La legge regionale, in buona sostanza, riproduce ed amplifica il meccanismo imposto dall'Unione europea con la stesura dello "sfondo ambientale regionale" quale presupposto dei DOCUP Obiettivo 2 e 5b.

L'ulteriore articolazione fondamentale della L.R. n. 9 del 1995 è costituita dal modello di gestione del piano regionale che impone il programma di attuazione collegato strettamente al bilancio annuale e pluriennale della Regione, proiettando il rispetto delle priorità per territori, cittadini, enti ed imprese interne ai parchi regionali, stabilito dall'art. 7 della legge n. 394 del 1991, nella dimensione strategica di una programmazione finanziaria al massimo livello e non per episodica applicazione.

Infine la L.R. n. 9 del 1995 definisce anche il quadro delle competenze ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142, sottolineando in particolare il ruolo del Comune che costituisce lo sportello unico per il cittadino per ogni problema connesso al vivere ed operare in un'area naturale protetta.

Il Settore in esame - Sistema parchi-ambiente - più che una specificità di gestione è caratterizzato dalla possibilità di divenire modello sperimentale della programmazione generale integrata.

Opportunità significative si possono anche ipotizzare sul piano delle risorse: i flussi finanziari costanti per investimenti previsti dal piano triennale vigente e dalla sua rinnovazione futura, sono tali (previsionalmente circa 1-1,5 miliardi di lire anno) da permettere investimenti significativi all'interno dei parchi regionali a cui dovrà aggiungersi un flusso almeno analogo per il territorio umbro del parco nazionale dei Sibillini.

Ove questa linea finanziaria possa ancora consolidarsi, con strumenti di intervento concertati tra l'Unione europea e Stato italiano, così come avviene oggi e come è ragionevolmente prevedibile in futuro, il Sistema sarà suscettibile non solo di espansioni ma soprattutto di diventare un elemento di continuità positiva della programmazione dello sviluppo economico regionale.

Infine il modello gestionale previsto dalla L.R. n. 9 del 1995 rifiuta il peso economico burocratico di ogni entificazione scegliendo un modello leggero di programmazione e di intervento: esclusivamente gli enti locali interessati per territorio hanno il diritto-dovere di predisporre il piano del parco, il piano di sviluppo socio-economico e la sua gestione; gli stessi enti locali attuano direttamente gli interventi di salvaguardia, valorizzazione o sviluppo che potranno essere finanziati.

2.2.3. 1 punti critici e gli ostacoli nel medio periodo.

Il ritardo nell'attuare la scelta normativa di dar vita nella nostra Regione alle aree naturali protette, ha prodotto un relativo disinteresse degli enti locali e delle popolazioni residenti a realizzare le Istituzioni del parco e a considerarle elementi attivi della politica di sviluppo.

La stessa L.R. n. 9 del 1995 ha iniziato ad avere applicazione pratica dallo scorso mese di settembre e conseguentemente, anche per le difficoltà insorte per la valutazione di non legittimità formulate dal Comitato di controllo sulle norme statutarie predisposte dagli enti locali, il completamento amministrativo del Sistema avverrà soltanto nei primi mesi del 1996.

Le competenze generali attribuite dalla stessa L.R. n. 9 del 1995 alla Regione per l'esercizio di funzioni amministrative dirette oltre che di indirizzo e coordinamento, ha consentito la gestione provvisoria del Sistema.

Il ritardo istituzionale ha pesato per la non operatività della Comunità del parco, che raccoglie le forze attive del territorio considerato e che non possono apportare il loro contributo positivo. Infatti è in seno alla Comunità del parco che potrà svolgersi ed ottimizzarsi il confronto fra il mondo venatorio e quello ambientalista, tra i difensori del paesaggio e delle valenze culturali del territorio e quelli che il territorio utilizzano per funzioni direttamente produttive.

Il Sistema parchi-ambiente è stato gestito in sede di progetto, di prima applicazione, di redazione normativa, di organizzazione provvisoria e di utilizzazione degli strumenti definitivi, attraverso l'Unità operativa temporanea che ha raccolto competenze del Settore del piano e del Settore del PUT avvalendosi anche di supporti tecnici esterni di entità minimale ma necessari alla complessità e difficoltà delle operazioni realizzative e programmatiche intraprese. Nel medio periodo però la mancata strutturazione di uno specifico organismo amministrativo e tecnico regionale potrebbe costituire un limite alla funzionalità del Sistema sia nelle sue proiezioni connesse alla pianificazione territoriale generale (vedi il rapporto con il PUT e il rapporto con gli strumenti di programmazione provinciale) sia con la gestione di programmi intervento, sia soprattutto con la necessità di razionalizzazione del modello di Sistema in relazione alla possibilità e alla necessità di reperire risorse su progetti ed iniziative di carattere straordinario presso gli organismi dell'Unione.

2.3. Le indicazioni strategiche generali.

2.3.1. Ruolo assegnato al settore nel processo di sviluppo della Regione.

a) Scenario, visione d'insieme, alternative possibili.

Coerentemente alla collocazione della politica regionale dell'ambiente nel quadro istituzionale dello Stato italiano e dell'Unione europea, l'unico scenario possibile è quello definito, a livello europeo e tale scenario, anche per l'effetto vincolante della normativa europea e delle risorse a tale livello disponibili, non presenta alternativa alcuna.

Ci si riporta pertanto, integralmente, al V programma approvato dal Consiglio e pubblicato sul GUCE C 138 del 7 maggio 1993.

Il V programma dispone il cambiamento dell'approccio culturale alla politica ambientale: non fissare più norme strettamente ambientali ma mirare all'integrazione dell'ambiente nelle diverse politiche e nei diversi settori di attività.

La strategia operativa deve far ricorso a questi strumenti:

- promuovere una pianificazione settoriale e una gestione del territorio che tengano conto della problematica ambientale;

- rafforzare la conoscenza e il monitoraggio dello stato dell'ambiente, nonché la raccolta dei dati ad esso relativi;

- favorire il ricorso a strumenti economici e fiscali;

- rafforzare la ricerca e lo sviluppo di tecnologie più econome nell'uso delle risorse e di minor impatto ambientale;

- aumentare la trasparenza dei processi decisionali e facilitare la comprensione dei problemi tramite l'informazione, la formazione e la sensibilizzazione.

b) La dimensione territoriale dello sviluppo.

Il Sistema parchi-ambiente dell'Umbria proietta i due assi territoriali, lungo i quali si dispongono le risorse naturali e culturali della regione, quali fondamenta generali dello sviluppo socio-economico dell'intero territorio.

Questi assi sono:

- l'asse fluviale del Tevere, che collega le due Province umbre e in particolare l'Amerino, Orvieto e Todi;

- l'asse fluviale del Nera da Terni sino alle Marche;

- l'asse appenninico da Spello ed Assisi verso Gubbio;

- l'asse appenninico dal Coscerno ai Sibillini a Colfiorito;

- il sistema lacuale-territoriale incentrato sul Trasimeno.

Questi territori di valenza forte, sia culturale che ambientale, sono in grado di dar corpo ad un progetto di sviluppo turistico ed economico-culturale dell'intera Regione.

Già oggi, inoltre, si verifica la maturazione di scelte politiche nuove per territori nuovi, soprattutto per quanto riguarda il Tevere nel suo asse meridionale, tendenti ad ampliare l'ambito del Sistema.

La novità fondamentale più recente è il nascere della possibilità di collocare il sistema dell'Umbria con i territori di regioni limitrofe.

Ci si riferisce in particolare al progetto Appennino Parco d'Europa-APE, che ha tra suoi promotori anche il Ministero dell'ambiente.

APE propone essenzialmente azioni di coordinamento, integrazione di strumenti normativi e programmatici, l'ottenimento di risorse finanziarie su base interregionale e transnazionale volti allo sviluppo delle risorse "ambientali" nelle aree interne della nostra penisola delineando già oggi anche l'asse del Tevere, oltre alla catena appenninica, quali territori fondamentali di questo nuovo "Sistema".

Ma prima ed indipendentemente da APE già oggi è necessario lavorare per l'integrazione a sistema dei parchi interregionali con la Regione Marche (da Colfiorito sino a Monte Nerone), con la Regione Lazio (i territori demaniali da Acquapendente a Parrano; l'asta del Tevere da Otricoli verso Roma portando così a sovrapporre l'ambito di competenza dell'Autorità di bacino a quella programmatica di sviluppo turistico - ambientale).

La dimensione del "Sistema", con sei parchi regionali e la quota di un parco nazionale sia per le sue proiezioni che per la sua organizzazione funzionale è quindi di gran lungo superiore territorialmente ai 58.665 ettari di territorio dell'Umbria vincolato nei parchi (circa il 7 per cento dell'intero territorio regionale).

2.4. Obiettivi e strumenti operativi di medio periodo.

2.4.1. La programmazione di nuove aree naturali protette applicazione degli istituti di cui la L. R. n. 9 del 1995.

L'articolo 3 della L.R. n. 9 del 1995 stabilisce modi e tempi di stesura del programma generale regionale di tutela e valorizzazione ambientale.

L'articolo 4, comma 4, della stessa L.R., stabilisce che nell'ambito del programma generale regionale sia inserito un apposito titolo riferito al piano regionale delle aree naturali protette.

Questo piano, che costituisce il documento d'indirizzo per l'istituzione degli ambiti del territorio dell'Umbria da destinare a protezione, corrisponde e copre le esigenze stabilite dall'art. 22, comma 1, punto A, della legge n. 394 del 1991 (documento d'indirizzo relativo all'analisi territoriale dell'area da destinare a protezione, alla perimetrazione provvisoria, alla individuazione degli obiettivi da perseguire, alla valutazione degli effetti istituzionali dell'area protetta sul territorio, e deve essere partecipata la sua stesura attraverso conferenze a cui partecipano le Amministrazioni provinciali, Comunità montane e Comuni direttamente interessati).

Pertanto il piano del Sistema parchi-ambiente della Regione Umbria che, ai sensi dell'art. 20 della L.R. n. 9 del 1995 aveva costituito anche il piano regionale di cui al precitato art. 5, perde la sua efficacia per la realizzazione di nuove aree naturali protette e perde ogni efficacia conseguentemente per tali scopi il decreto del Presidente della Giunta regionale 14 giugno 1990, n. 331.

Pertanto per istituire nuove aree naturali protette in Umbria deve essere prioritariamente redatto il piano di cui all'art. 5 della L.R. n. 9 del 1995 e per opportunità programmatica e coerenza normativa è necessario che il piano stesso venga redatto e approvato se non preventivamente almeno contestualmente al programma regionale dell'ambiente in corso di preparazione.

2.4.2. Il piano regionale delle aree naturali protette.

Il piano regionale delle aree naturali protette è dettagliatamente disciplinato sia proceduralmente sia nei contenuti, dall'art. 5 della L.R. n. 9 del 1995.

Inoltre con la stessa disposizione di legge è confermato e chiarito il rapporto tra gli strumenti di programmazione generale previsti dallo Statuto regionale e lo strumento ex art. 5.

2.4.3. I soggetti.

Il piano regionale delle aree naturali protette è predisposto dalla Giunta regionale (comma 1, art. 5).

Il piano è obbligatoriamente definito con la partecipazione delle Amministrazioni provinciali, delle Comunità montane, dei Comuni. Ciò significa che i gestori dei parchi istituiti, chiamati in causa dalla L.R. n. 7 del 1995 all'art. 8 per tali finalità, obbligatoriamente debbono contribuire alle fasi di elaborazione del piano.

Le loro valutazioni e pareri non sono però vincolanti per la definizione della proposta di piano e in tale fase sono decisive la scelta e la proposta finale della Giunta regionale.

2.4.4. Le procedure.

Si delineano conseguentemente le successioni procedurali degli atti e della normazione:

a) Proposta di piano

b) Partecipazione alla proposta da parte degli enti locali

c) Elaborazione della proposta definitiva

d) Elaborazione del piano, quale atto programmatico e regolamentare, e sua pubblicazione

e) Leggi istitutive delle aree naturali protette programmate

2.4.5. Rapporto con altri strumenti di programmazione generale.

Il piano ex art. 5 della L.R. n. 9 del 1995, pur costituendo un titolo del programma ambientale regionale, ha una sua evidente autonomia rispetto questo strumento di cui costituisce un titolo.

Lo stesso piano è un allegato del Piano urbanistico territoriale e del Piano di sviluppo regionale ma rispetto al PUT ha un ordine di subordinazione stabilito dal 1° comma dello stesso art. 5 (stesura in relazione alle previsioni dei PUT).

In conseguenza all'attuale PUT, risalente al gennaio 1983 nella sua efficacia programmatoria, le linee programmatiche del piano ex art. 5 della L.R. n. 9 del 1995 possono investire soltanto i contesti territoriali previsti dal PUT stesso quali aree destinate a parchi naturali e classificate quali aree di notevole interesse ambientale (art. 6 norma attuazione PUT).

Il rapporto con il PUT, oltre che nell'art. 5 della L.R. n. 9 del 1995, è stabilito altresì dall'art. 22 con abrograzione e riscritturazione delle norme PUT e dall'art. 23 che estende il regime di cui all'art. 6 a tutte le precedenti categorie di aree naturali protette eleggibili.

2.4.6. Aree naturali protette regionali ed aree naturali di diversa classificazione.

La L.R. n. 9 del 1995 prevede espressamente le seguenti categorie di aree protette di diverso ambito e valore:

a) aree naturali protette nazionali ricadenti nel suo territorio (art. 4, comma 3, L.R. n. 9 del 1995) per le quali collabora con lo Stato per la loro gestione e valorizzazione

b) aree protette interregionali (art. 4, comma 3, L.R. n. 9 del 1995), le quali la Regione dell'Umbria promuove e delle quali partecipa all'istituzione

c) aree naturali protette d'interesse provinciale (art. 5, comma 4, L.R. n. 9 del 1995) istituite dalle Amministrazioni provinciali sentiti i Comuni e le Comunità montane

d) aree naturali protette d'interesse esclusivamente comunale.

Le ultime due categorie di aree naturali protette acquisiscono la caratteristica di parti del piano generale regionale attuato e conseguente diritto al finanziamento di gestione normato dall'art. 6 della L.R. n. 9 del 1995 esclusivamente se la Giunta regionale "predisponga" il loro inserimento, in base a valutazione di merito della proposta pervenuta dall'ente locale, nel piano regionale.

In definitiva le aree naturali protette d'interesse subregionale si differenziano proceduralmente e nei contenuti da quelle regionali, esclusivamente per il soggetto proponente ma per il resto debbono seguire le procedure generali sopra esposte.

Un ente locale può comunque programmare, in base alle disposizioni di legge generali, la salvaguardia in senso ambientale di quote di un suo territorio indipendentemente dalle espresse procedure di cui alla L.R. n. 9 del 1995 ma tal in tal caso le aree stesse non godono dello status generale di cui alla legge n. 394 del 1991 e L.R. n. 9 del 1995.

Ad esempio non potranno godere delle quote di finanziamento e dei benefici generali previsti dall'art. 7 della legge n. 394 del 1991 o di altre disposizioni di analogo regime.

2.4.7. 1 contenuti del piano.

Il piano deve contenere, ai sensi del comma 2, art. 5 della L.R. n. 9 del 1995:

a) un'analisi territoriale delle aree prescelte quali indirizzi per la legge istitutiva

b) indirizzi rispetto la perimetrazione provvisoria

c) indirizzi rispetto agli obiettivi generali da perseguire

d) indirizzi relativi alla valutazione degli effetti della istituzione del parco.

Ciò significa che il piano è uno strumento a maglia larga che soltanto con l'applicazione dell'art. 7 della L.R. n. 9 del 1995, e cioè con la istituzione delle singole aree naturali protette, è possibile dare "perimetri" definiti e contenuti specifici agli indirizzi richiesti e sovraelencati.

Il piano deve contenere altresì criteri relativi all'individuazione o costituzione del soggetto gestore (art. 5, comma 2, alinea B, L.R. n. 9 del 1995) consentendo così un ventaglio di possibili proposte che si unifica con la L.R. istitutiva del parco.

Il piano deve infine contenere i criteri per la gestione delle aree protette e per la disciplina regolamentare delle attività nelle stesse (art. 5, comma 2, alinea C) e ciò significa, anche in tal caso, che il piano espone criteri generali differenziabili per i comparti previsti quali parco naturale, ma la cui definizione è possibile realizzare soltanto con la legge istitutiva di un'area naturale protetta.

2.4.8. Modificabilità del piano.

L'art. 5 della L.R. n. 9 del 1995, al comma 5, prevede una pianificazione delle aree naturali protette di tipo continuo facendo proprie le più recenti acquisizioni teoriche della programmazione economica e territoriale.

Infatti la dinamica dell'innovazione è divenuta in questi anni talmente accelerata da rendere impossibile ogni validità di programma di tipo fisso e a scaglioni temporali inderogabili mentre si rende necessario un aggiustamento continuo delle azioni e dei programmi per renderli aderenti agli obiettivi fondamentali.

 

 

3. Conclusioni.

Il Sistema parchi, per la sua realizzazione nella Regione Umbria induce quindi una complessa operazione fondata su atti di programmazione e normativi, operazione che comporta una profonda rinnovazione delle procedure amministrative e dei loro contenuti, ma soprattutto un approccio culturale profondamente diverso e innovativo.

 

 

4. Lo stato di attuazione.

4.1. Le categorie di normazione territoriale.

4.1.1. I parchi.

Con l'entrata in vigore della legge regionale "Nuove norme in materie di aree naturali protette in adeguamento alla legge 6 dicembre 1991 n. 394 e alla legge 8 giugno 1990, n. 142", sono costituiti sei parchi regionali che si uniscono al territorio umbro entrato a far parte dei parco nazionale dei Monti Sibillini costituito con D.M. 3 febbraio 1990 e D.P.R. 6 agosto 1993.

I territori facenti parte dei parchi, e soltanto essi, sono governati da una disciplina legislativamente stabilita, con punti certi di riferimento che si riflettono sul piano della dimensione amministrativa e delle risorse finanziarie. Questi territori e soltanto questi, sono suscettibili di esplicare le potenzialità complessive consentite dalle leggi regionali, statali ed europee.

Sinteticamente il dato territoriale è così riassumibile:

 

SUPERFICI AREE NATURALI PROTETTE 

Parchi regionali: 

Cucco 

10.480 ha 

Subasio 

7.442 ha 

Colfiorito 

338 ha 

Trasimeno 

13.200 ha 

Tevere 

7.295 ha 

Nera 

2.120 ha 

Parco nazionale Monti Sibillini 

17.790 ha 

Superficie totale regionale 

845.604 ha 

Superficie totale parchi 

58.665 ha 

Rapporto territoriale 

7 per cento 

Particolarmente significativo è il fatto che la disciplina normativa di salvaguardia è identica sia per il parco nazionale che per i parchi regionali applicandosi l'art. 10 della L.R. n. 9 del 1995 che ha identica formulazione delle norme di salvaguardia relative al parco dei Monti Sibillini in applicazione dell'art. 35, comma 3, della legge n. 394 del 1991.

Tale situazione di diritto può modificarsi soltanto con l'approvazione dei piani dei parchi nonché dei piani pluriennali di sviluppo economico e sociali.

4.1.2. Le aree di particolare interesse ambientale.

Le norme di attuazione del Piano urbanistico territoriale, emanate con la L.R. n. 52 del 1983, modificate con la L.R. n. 26 del 1989 e, da ultimo con la L.R. n. 9 del 1995, conservano, disciplinate dall'art. 6, le aree di particolare interesse ambientale rispetto alle quali sono disposte, dallo stesso articolo, specifiche forme di protezione risolvibili o modificabili soltanto con specifici atti di pianificazione volte alla tutela e alla valorizzazione dei territorio stesso.

In conclusione questa categoria di territori sono sottoposti a una disciplina di salvaguardia la cui risoluzione e modificazione non è certa bensì aperta a possibili diverse soluzioni ed, in particolare, non è obbligatorio che in questi territori vengano costituiti parchi regionali.

4.1.3. Le previsioni di tutela degli strumenti urbanistici.

Numerosi strumenti urbanistici comunali, soprattutto quelli dei Comuni maggiori per popolazione ed estensione, prevedono non anonime aree di "verde pubblico" bensì specifici territori qualificati come parco urbano o parco extraurbano la cui tutela è assicurata esclusivamente dalla normazione urbanistica stessa.

Soprattutto questa classificazione, chiaramente meritoria per le strategie di pianificazione messe in campo, non supera la soglia legislativa posta dall'art. 5 della L.R. 3 marzo 1995, n. 9 che applica la disposizione di cui alla legge n. 394 del 1991. In conclusione la classificazione urbanistica può modificarsi in area di pianificazione ambientale ed economica soltanto attraverso la procedura prevista dalla L.R. n. 9 del 1995, le stesse previsioni comunali o provinciali costituiscono stimolanti segnalazioni di carattere scientifico e culturale.

4.1.4. Le classificazioni di Bioitaly.

La Regione dell'Umbria è stata interessata, con priorità, dalla redazione delle schede "Natura 2000" connesse con la prima e seconda fase del progetto Bioitaly, a sua volta struttura portante della carta della natura. Attualmente la complessa classificazione del Bioitaly ha portato a:

- individuare 7 siti di interesse regionale - SIR;

- individuare 92 siti di interesse comunitario - SIC;

- individuare 7 zone a protezione speciale - ZIPS;

L'importante ricerca, che ha fatto capo all'Università degli Studi di Camerino, quale leader-project, con la collaborazione dell'ENEA e della Regione Umbria è importante dal punto di vista culturale e scientifico ma non comporta, allo Stato, alcun vincolo normativo o obbligo programmatico.

Certamente la ricerca completata con i dati relativi ai geotopi ha grande utilità per ogni evoluzione e modificazione della disciplina regionale sulle aree naturali protette, ma le sue linee strategiche di elaborazione non corrispondono a quelle deliberate dal Consiglio regionale con la L.R n. 9 del 1995.

In conclusione si tratta di allargare il tavolo scientifico di elaborazione alle proiezioni programmatiche proprie del Sistema parchi e degli strumenti finanziari attuativi per arrivare ad una corrispondenza di finalità generali e ad una operatività autonoma.

4.1.5. Le norme paesaggistiche, culturali, monumentali e archeologiche.

Si fa riferimento, per completezza, che un particolare peso territoriale hanno le disposizioni di cui alla legge n. 1089 del 1939 e n. 1497 del 1939 e, da ultimo alla legge n. 431 del 1985, che portano a regime di tutela speciale alcuni territori, alcuni manufatti, alcuni beni culturali.

La competenza di cui alle leggi citate è ancora lo Stato centrale sia pur con l'applicazione della delega compiuta a favore delle Regioni del D.P.R. n. 616 del 1977.

L'attuale orientamento governativo sembra confermare che lo Stato centrale non intenda trasferire tale competenze alle Regioni, tanto che il decreto del Ministero dei beni culturali 18 dicembre 1996 decentra i poteri di tutela ambientale e paesaggistica rafforzando ulteriormente le competenze e i poteri delle organizzazioni ministeriali anche periferiche.

Pertanto le competenze piene esercitate dalla Regione in materia di aree naturali protette terranno conto in sede di pianificazione di tali vincoli quali realtà culturali ed esigenze scientifiche, ma non ne sono in alcun modo preventivamente limitate.

4.1.6. Gli allegati.

Al piano sono allegati le norme regolamentari e la cartografia.

Le cartografie sono rappresentative della situazione programmatica e normativa. Del "piano" costituiscono "effettivamente" parte sostanziale rappresentando efficacemente i regimi di previsione. La carta sulla quale decide la proposta di piano e sulla quale deciderà il Consiglio regionale è quella che include le disposizioni normative di carattere ambientale e non quelle meramente scientifiche o contenenti disposizioni collegate a finalità legislativamente diverse.

 

 

5. Aggiornamento del piano.

5.1. Le procedure.

5.1.1. L'applicazione degli artt. 4 e 5 della L.R. n. 9 del 1995.

Il piano regionale della aree naturali protette è un documento autonomo di programmazione generale sul quale, in conseguenza, decide il Consiglio regionale e costituisce un titolo speciale del "programma generale regionale di tutela e valorizzazione ambientale".

Il presente piano, in ordine cronologico, è il secondo piano di riferimento operante sul Sistema delle aree naturali protette perché la L.R. n. 9 del 1995 ha fondato la sua applicabilità sul documento programmatico costituito dal D.P.R. n. 331 del 1990.

L'art. 5 definisce in maniera dettagliata le procedure del piano ma appare comunque necessaria una specificazione, nel presente documento, dell'iter amministrativo in modo tale da ottimizzare tempi e procedure che debbono portare, in primis, alla redazione del piano regionale e successivamente alla legge istitutiva di nuove aree naturali protette o modificativa di quelle esistenti.

5.1.2. Il piano e l'applicazione dell'art. 7 della L.R. n. 9 del 1995.

La lettura congiunta degli artt. 5 e 12 porta ad individuare due poteri di iniziativa che portano alla costituzione o modificazione del piano.

Infatti;

- l'art. 5, al primo comma, attribuisce alla Giunta regionale il potere di predisporre il piano delle aree naturali protette;

- l'art. 12 della L.R. n. 9 del 1995, al comma 7, stabilisce che il piano dell'area naturale protetta, e quindi attribuendo l'iniziativa al Consorzio di gestione e programmazione, può contenere la proposta di modifica della perimetrazione provvisoria stabilita dalla legge istitutiva.

Pertanto, in base ai principi generali di diritto il Consorzio può proporre modifiche della perimetrazione del parco, e quindi operando nel piano e in funzione della sua definizione.

Questa proposta di modifica può riguardare esclusivamente il territorio dei Comuni membri del parco alla luce anche della totale coincidenza dello strumento di pianificazione ambientale con la sommatoria di quelli di pianificazione urbanistica.

In buona sostanza le modifiche della superficie di un parco istituito, sia in incremento sia in diminuzione, ove accolte dal Consiglio regionale con legge modificano profondamente il piano.

Anche se non esplicitato formalmente, il piano può contenere riferimenti di modifica in incremento o in diminuzione della superficie delle aree protette istituite e quindi la Giunta regionale ha anche questo potere di iniziativa, ma per analogia appare opportuno che tale potere sia limitato agli stessi territori comunali sul quale opera anche la proposta di modifica del Consorzio.

Il problema quindi è quello di individuare, programmaticamente, la differenza tra modifica di un parco esistente e definizione di un nuovo parco che ricomprenda anche i territori di un parco esistente, senza modificare la legge regionale n. 9 del 1995.

Il piano, con disposizione regolamentare, ben può stabilire limiti in base alle quali un parco può essere modificato nel suo perimetro e nella sua superficie.

Alla luce delle attuali esperienze dei Consorzi e delle prime elaborazioni dei piani del parco si può ritenere ottimale il complesso delle seguenti prescrizioni:

- la modifica di un parco esistente si ha quando, con le procedure dell'art. 5 o dell'art. 12 della L.R. n. 9 del 1995 si opera esclusivamente e limitatamente sul territorio dei Comuni membri del parco:

- le modifiche sopracitate non vanno trattate con criteri di analisi di individuazione e di indirizzo propri del piano regionale delle aree naturali protette, a condizione che la diminuzione sia contenuta in un 5 per cento della superficie complessiva del parco istituito e, in incremento sia analogamente limitata al 20 per cento dell'area del parco istituito.

5.1.3. La presentazione della proposta del piano.

L'art. 5 della L.R. n. 9 del 1995 deve contenere gli elementi di cui al secondo comma dello stesso articolo e va quindi presentato, corredato della partecipazione prevista al comma 3, al Consiglio regionale per individuare i territori ove, con legge, verranno istituite aree naturali protette.

Si pone il problema della composizione della proposta della Giunta e se la stessa va definita in ogni particolare prima della sua sottoposizione al Consiglio regionale o se non sia piuttosto opportuno una fase di discussione del Consiglio regionale che porti a scelte fondamentali della proposta di piano sulla quale la Giunta regionale elabori definitivamente il piano nella sua ampiezza nelle sue cadenze temporali e amministrative.

Tale articolazione della procedura amministrativa, se fatta propria anche dal Consiglio regionale, non è in alcun modo in contrasto con le disposizioni dell'art. 5 della L.R. n. 9 del 1995 e se ne propone l'adozione.

Pertanto si passa ad un primo documento di proposta e di studio dei territori da costituire a parco o riserva regionale con la sua giustificazione generale e con le sue localizzazioni cartografiche su base 1:100.000 in analogia a quanto fatto per il P.U.T.

Le aree di proposta e di studio scelte definitivamente dal Consiglio regionale, vanno trasferite alla Giunta per elaborarle nelle forme e nei contenuti definitivi del piano ex art. 5 della L.R. n. 9 del 1995 e su base cartografica 1:25.000.

La Giunta regionale sarebbe quindi in grado di trasmettere al Consiglio il piano perfezionato negli indirizzi e nei contenuti dal precedente voto del Consiglio regionale e accompagnandolo anche con le proposte di leggi istitutive di nuovi parchi.

L'opportunità di tale articolazione procedurale è di grande evidenza rispetto soprattutto alla funzionalità dell'azione amministrativa e di studio perché gli elaborati programmatici sarebbero ottimizzati in collegamento stretto, anche se non esclusivo soltanto per gli ambiti territoriali che effettivamente verranno eletti a parco regionale.

 

 

6. L'analisi territoriale.

6.1. L'adeguamento del Sistema.

6.1.1. Gli assi fondamentali.

Le scelte compiute con il D.P.R. n. 331 del 1990 introdotte nella L.R. n. 9 del 1995 sono così sintetizzabili:

- individuare le risorse forti dal punto di vista ambientale nell'Appennino, nel Tevere, nella Nera, nel Lago Trasimeno;

- collegare le risorse naturali alle risorse culturali includendovi emergenze storiche centri abitati minori ed interi corpi urbani;

- sperimentare e realizzare modelli di tutela e gestione delle risorsi applicabili e ampliabili all'intero territorio regionale come programmazione di uno sviluppo alternativo che punti sulla qualità della "risorsa Umbria".

6.1.2. Le proposte correttive del Sistema.

Alcune esigenze di modificazione nascono dall'insufficienza del territorio inserito in alcuni parchi ed in particolare i parchi fluviali del Tevere e del Nera e il parco lacuale del Trasimeno, che non consentono investimenti significativi se non ampliando il territorio di alcuni Comuni che fanno riferimento in maniera stretta al corpo idrico.

Questi limiti sono riscontrabili in maniera esemplificativa in quasi tutti i territori considerati ma possono essere efficacemente coperti dalle proposte del Consorzio dei Comuni interessati o della Giunta regionale, in applicazione dell'art. 12, comma 7, della legge n. 394 del 1991.

Ove il limite del 20 per cento prima indicato non sia sufficiente per l'applicazione dell'art. 12 la Giunta regionale deve realizzare un autentico elemento innovativo del piano giustificandone la congruenza e l'esigenza.

In alcuni contesti territoriali si sta già oggi organizzando la proposta di piano del parco da parte del Consorzio ove l'esigenza modificativa si manifesti, l'applicazione dell'art. 12 è preferibile a ogni iniziativa della Giunta perché nasce dagli organismi territoriali di base in senso evolutivo e di sviluppo della politica ambientale.

Alcuni territori non sono stati elevati a parchi regionali esclusivamente per rispettare la determinazione negativa di residenti ed ambienti collegati ad attività tradizionali della produzione o dell'uso del tempo libero, ma è chiaro che l'esigenza di costituire il parco del Coscerno-Aspra e dell'Alto Nera, così come formulata dal D.P.G.R. n. 331 del 1990, si ripropone integralmente e, ove il Consiglio regionale non decida, di costituire il parco del Coscerno-Aspra, appare assolutamente necessario costituire a parco fluviale l'intero corso del Nera in Umbria e il corso del Sordo fino ai confini del parco nazionale.

Analogamente non può perdurare la mutilazione per il parco del Nera con l'esclusione del lago di Piediluco, anche alla luce del problema di risanamento delle acque, problema comune al Nera e al Velino e che trova in Piediluco il suo snodo e l'emergenza più acuta dei fenomeni di crisi.

L'intero corso del Tevere è oggi oggetto di attenta valutazione da parte dei Comuni rivieraschi che avvertono la grande potenzialità che il fiume della storia d'Italia e di Roma, con le sue diramazioni fondamentali e le testimonianze straordinarie storico-culturali insediate lungo queste sponde rappresenta per l'Umbria e per l'intero paese.

Le Amministrazioni di Otricoli e di Lugnano hanno posto il problema dell'ampliamento del parco del Tevere alla parte meridionale del territorio umbro; il Comune di Narni propone la proiezione del parco dalla confluenza del Nera fino al Ponte di Augusto; il Comune di Orvieto e i Comuni minori cointeressati propongono l'espansione del parco del Tevere lungo gli assi dei fiumi Paglia e Chiani; il Comune di Città di Castello, disponendo già di uno studio redatto dal Ministero dell'ambiente, propone l'inserimento nel parco dell'intero corso dell'Alto Tevere; il Comune di Perugia, che è già intervenuto direttamente nel territorio limitrofo ai corso d'acqua, opera anch'esso per l'ottimizzazione ambientale del tratto del Tevere interessato dagli storici ponti; nella media valle del Tevere, da Ponte Nuovo di Torgiano fino a Fratta Todina si valuta dialetticamente l'opportunità dell'ampliamento del parco fluviale.

In sostanza il bacino del Tevere è oggetto di un'attenzione generale volta alla definizione di un grande parco fluviale.

Particolare evidenza assumono poi le proposte di parco interregionale dell'area Allerona-Acquapendente, da collegare immediatamente con i territori del versante occidentale del Monte Peglia e con il complesso sistema naturale dell'Alto Orvietano.

Ipotesi di parchi interregionali si stanno definendo anche con la Regione Marche, relativamente ai parchi appenninici ma non sembra opportuno formulare immediate nuove proposte per i territori umbri fino a che non sia stata definita una strategia interregionale alla quale le Marche debbono dare immediata attuazione, considerando che i territori umbri più rilevanti (M. Cucco e Colfiorito) sono già elevati a parco.

6.1.3. La collocazione del Sistema in uno scenario nazionale.

Si sta definendo, a livello dell'Amministrazione centrale del Ministero dell'ambiente, un progetto da proporre all'Unione europea denominato APE Appennino Parco d'Europa che dovrebbe investire appunto l'arco appenninico che va dalla Romagna fino agli Abruzzi, con al centro l'Appennino umbro-marchigiano.

Su proposta tecnica della Regione Umbria il Ministero dell'ambiente ha assunto come momento costitutivo di APE anche l'intero asse del Tevere e dei suoi fondamentali affluenti, dalle sorgenti alla foce.

Questa determinazione e questo orientamento strategico del Ministero dell'ambiente corrisponde quindi alla fondamentale strategia del presente piano che può vedere rapidamente accogliere e valorizzare le proposte fatte dalla Regione Umbria per qualificare al meglio le sue peculiari risorse.

6.1.4. L'analisi territoriale a base del Sistema nuovo: l'Appennino umbro-marchigiano e l'Antiappennino.

A partire dalla valle del Metauro i terreni francamente calcarei vanno assumendo nell'Appennino sempre maggiore sviluppo. In territorio umbro-marchigiano si tratta specialmente di calcari liassici, giurassici e cretacei, con molte analogie con quelli delle Prealpi lombarde e venete. Così buona parte dell'Appennino centrale sembra contrapporsi come paese calcareo ai Settentrionale, soprattutto arenaceo e argilloso. Ora, la diversità di costituzione geologica, congiuntamente a un più forte sollevamento, a una maggior irrequietezza tettonica recente, imprimono all'Appennino centrale caratteri propri: anzitutto una maggiore rudezza di forme, un più generale e regolare allineamento di rilievi in serie parallele, un sensibile sviluppo del fenomeno carsico.

Nell'Appennino umbro-marchigiano risulta chiara un'orografia a catene parallele su ambedue i versanti. S'individuano non meno di quattro o cinque allineamenti di rilievi principali, paralleli l'uno all'altro. Decorrono longitudinalmente, da prima in direzione NNO-SSE, poi quasi N-S, in modo da formare un dolcissimo arco, la cui concavità si rivolge a ponente, ossia verso il lato interno dell'Appennino. Questi allineamenti corrispondono in genere ad anticlinali non molto lunghe o addirittura a ellissoidi. Di tratto in tratto sono segati, per così dire, da valli trasversali profonde, che li dividono in tanti tronconi: sono valli strette e spesso vere gole selvagge, perché incassate in formazioni resistenti schiettamente calcaree. Gole che in ogni tempo costituirono ostacoli non lievi per la circolazione tra i due versanti, come quella celebre di Furlo, attraverso la catena più esterna (strada Perugia-Gubbio-Fano), quella grandiosa della Nera subito sotto Visso (strada per Spoleto), in piena zona di montagna, le lunghe gole di Antrodoco, in cui spumeggia il Velino.

Contrastano spesso, con tali aspre forme vallive le larghe groppe spianate o arrotondate delle sommità di parecchi dei monti marchigiani e umbri, anche se elevati; groppe sulle quali è facile lo sviluppo di doline carsiche. Contrasta anche, generalmente, l'aspetto delle valli longitudinali interposte tra l'una e l'altra ruga montuosa. Queste, infatti sono larghe e aperte e le maggiori spesso si dilatano a bacino. Ve ne sono anche sul versante esterno, coi fondo riempito di colline formate da terreni del miocene superiore, come lungo l'alto Esino (conca di Matelica). Più frequenti e più tipiche quelle dal lato umbro, bacini in tutto analoghi ai toscani, anche per le loro vicende geologiche recenti.

Sorte comune delle varie catene umbro-marchigiane è di farsi via via più elevate e compatte, procedendo da N a S, e di liberarsi progressivamente del mantello di terreni marnosi e arenacei (per lo più miocenici), che ne rivestono i fianchi, se addirittura non ne costituiscono anche le sommità, il che può avvenire nella parte più settentrionale.

Prescindendo da alcuni avamposti, il primo allineamento marcato, dal lato esterno, s'inizia presso Urbino; comprende il M. Sanvicino m 1485 e il M. Letegge m 1022, si estolle infine nel complesso gruppo dei Sibillini, che porta nel M. Vettore, la cima più alta di tutto l'Appennino umbro-marchigiano: 2478 m.

Questo gruppo reca chiare tracce glaciali, e alcuni circhi e pareti rocciose gli danno fisionomia d'alta montagna.

Due o tre successive rughe procedono per buon tratto strettamente affiancate. Si susseguono da N a S some monti più cospicui, il M. Nerone m 1526 e il M. Catria m 1702, il M. Cucco m 1567, il M. Penna 1502, il M. Pennino m 1570. Ancora più a mezzogiorno queste catene divaricano un po' e tutta l'orografia si fa più complicata. L'allineamento più orientale, anzi, si congiunge con i Sibillini. Più a O un paio di catene si rialzano e si rinforzano, andando a terminare nel gruppo del Monte Reatini, il quale ha nel popolare Terminillo m 2213 un'altra bella montagna con impronte glaciali.

Via via che ci avviciniamo al Tevere, l'allinearsi dei rilievi appare meno distinto e il rivestimento marnoso - arenaceo di terreni terziari nasconde sempre di più i nuclei calcarei mesozioci delle pieghe e delle ellissoidi. Di conseguenza tendono a svilupparsi le piaghe con forme più dolci, ma più minutamente intagliate da sistemi di piccole valli e addirittura l'orografia si fa confusa oltre Tevere, preludendo all'Antiappennino.

Le maggiori valli longitudinali dell'Umbria si aprono in conche, le quali accolsero laghi nel pliocene finale o nel quaternario antico. In quelle conche si depositarono sedimenti lacustri e fluviali, ora emergenti agli orli in serie di dolci colline e ora invece ricoperti e nascosti da alluvioni recenti. Sono i bacini di Gubbio e di Gualdo Tadino, e lungo il Tevere quelli da Città di Castello a Umbertide e a valle di Perugia sino a Todi. E con quest'ultimo comunica e si congiunge il più largo, ossia la pittoresca vallata fra Bastia (poco a E di Perugia) e Spoleto. La 1ª Valle Umbra, carica di memorie storiche e di tesori artistici, col fianco orientale calcareo ed erto (celebre il M. Subasio m 1290), sulle cui falde si sgrana una serie di cittadine memoriali e suggestive: Assisi, Spello, Foligno, Trevi, Spoleto. La fiancata occidentale, invece, appare più che altro collinosa, mentre il fondo è una pianura alluvionale, percorsa dal Maroggia, dal Clitunno (alimentato dalle famose fonti, che sgorgano proprio al piede dei monti calcarei) e dal Topino.

Opera vana farebbe colui che tentasse di metter d'accordo, in Umbria, l'assetto generale orografico con quello idrografico, cioè con decorso dei fiumi, spesso piuttosto bizzarro.

Questi alternano tratti longitudinali, in valli e bacini, con altri trasversali, in cui si racchiudono tra monti serrati. Comunque le loro acque si ritroveranno tutte in un solo amplesso, nel Tevere; comprese quelle che si raccolgono nel vasto sistema della Nera, a cui convergono (attraverso il Velino, il Scelto, il Turano) anche le linfe di massicci abruzzesi.

L'Antiappennino toscano-umbro risulta da un insieme piuttosto confuso di basse montagne e di colline (di regola non superano neppure 800 m) senza alcun preciso limite verso l'Appennino tosco-emiliano o quello umbro-marchigiano.

Dalla valle dell'Elsa i terreni e colli si continuano a SE per distendersi in larga fascia proprio all'interno della Toscana, attraverso le valli dell'Ombrone e del suo affluente Orcia, sino alla Paglia, in direzione di Orvieto. Formano per lo più colline molto addolcite e basse, intagliate da una fitta trama di vallecole. Qua e là assumono aspetti più particolari e pittoreschi: pareti di sabbie sovrastanti franosi pendii d'argilla, calanchi.

Un importante nodo antiappenninico è quello dell'Amiata, grande cono tutto trachitico, il quale deve alla sua natura di vulcano (quaternario) il sollevarsi fino a 1734 m, da un basamento elevato intorno ai 1.000. L'Amiata, naturalmente, costituisce un centro di divergenza delle acque (valli dell'Orcia, Albegna, Fiora, Paglia).

6.1.5. L'analisi territoriale a base del Sistema nuovo: il Trasimeno e il bacino del Tevere.

Una posizione di mezzo fra il tipo intravallivo e quello pianigiano, ma di origine prevalentemente alluvionale, e solo in parte tettonica, è il lago Trasimeno o di Perugia, primo per estensione dell'Italia peninsulare, quarto dell'Italia tutta, (area 128,7 kmq; perim. 54 km; prof. circa 7 m), mite seducente lago, che è tutto una visione di pace. Alimentato da piccoli rivi, manda acque per un emissario sotterraneo (scavato, all'angolo SE, già dai Romani e più volte restaurato) al bacino del Tevere.

L'ampliamento del bacino del Trasimeno e il suo raccordo con il sistema idrografico della Valdichiana e del Tevere va approfondito e inserito nella tematica del parco in accordo di programma con la Regione Toscana e con lo Stato.

Il Tevere è il più grande fiume dell'Italia peninsulare; il suo corso di 405 km è inferiore solo a quello del Po e dell'Adige, e il suo bacino, di 17.168 kmq, è il secondo d'Italia.

La conformazione a pieghe parallele dell'Appennino e l'addossarsi a esso dell'antiappennino tirrenico hanno costretto il Tevere a scorrere prevalentemente lungo i solchi longitudinali e a giungere contro il grande vulcano laziale (Colli albani) prima di riuscire ad aprirsi uno sbocco al mare. Il suo corso, asse idrografico a cui fa capo tutta la rete idrica della regione umbro-laziale, segue due valli longitudinali e due trasversali alternantisi. La prima, longitudinale, va dalle sorgenti, al Poggio delle Vene m 1268 sul versante E del M. Fumaiolo, nell'Appennino tosco-romagnolo, sin sotto le alture di Perugia. È questa la pittoresca valle superiore (detta Valtiberina nel tratto iniziale allargato a conca), che raccoglie le acque di numerosi torrentelli modesti ma rovinosi per le loro improvvise e forti piene. A S di Perugia ha inizio il primo tratto trasversale, dapprima ampio e pianeggiante, con prevalente direzione SSO, fino all'altezza di Todi, ove, divenuto stretto e ripido, volge improvvisamente a SO, aprendosi a stento una strada attraverso l'angusta gola del Forello. A S di Perugia, il Tevere riceve da sinistra il Chiascio, che con il suo affluente Topino convoglia le acque dell'intero versante appenninico dal Passo di Scheggia a Spoleto.

Dopo la gola del Forello comincia il secondo tratto longitudinale del fiume diretto a SE: la valle si allarga poi presso Orte, dopo di che il Tevere si restringe incassandosi sotto le ripide scarpate delle propaggini orientali del M. Cimini, e riceve da sinistra il più ragguardevole dei suoi affluenti, la Nera (km 116), principale fattore del suo ulteriore regime, giacché con suo bacino di 4000 kmq esso rappresenta circa un quarto di quello complessivo.

La Nera nasce dai M. Sibillini, non lungi da Visso e dal M. Vettore, e riceve numerosi affluenti a regime costante e regolare. Il maggior contributo gli viene però dal Velino (km 88) che, scendendo dall'ubertosa conca reatina con la cascata delle Marmore (m 165), a monte di Terni, gli porta le acque dei laghi Velini (di Piediluco, Lungo e Ripasottile), dei M. Reatini e della più interna catena appenninica.

Così ingrossato, il Tevere scende lento verso la campagna romana e Roma, ove, presso il ponte Salario, riceve da sinistra l'Aniene (108 km), detto nel corso inferiore Teverone. Esso proviene dai calcarei M. Simbruini, dove è alimentato da sorgenti carsiche e precipita verso la pianura del Tevere con il poderoso salto delle Cascate di Tivoli (34 m).

Da Roma il Tevere giunge alla foce, tra Fiumicino e il Lido di Roma, con un percorso tortuoso di circa 40 Km, dopo avere toccato Ostia antica, porto dell'antica Roma che ora dista dal mare circa 5 km per il continuo avanzare della foce.

A 160 km da questa, prima di ricevere la Nera, il Tevere, ormai disceso a 44 m di altitudine, ha ancora un regime torrentizio: mentre a monte della confluenza con la Nera la portata media è di soli 69 m³/sec (massima 1043; minima 5), a valle di questa sale a 178 m³/sec. (massima 1949, minima 68). A Roma, dopo aver ricevuto l'Aniene, le portate medie del Tevere risultano di 21,9 m³/sec (massima 1966; minima 102).

La risorsa Tevere, per un parco interregionale o nazionale da sostenere progettualmente e finanziariamente con APE, va studiata alla luce delle modificazioni introdotte a regime naturale dalle dighe Montedoglio, di Corbara, di Nazzano e di Castel Giubileo.

 

 

Norme regolamentari

Articolo 1

Piano delle aree naturali protette.

1. Il presente piano costituisce il piano regionale delle aree naturali protette e il documento di indirizzo di cui al comma 4 dell'articolo 5 della L.R. 3 marzo 1995, n. 9.

     Articolo 2

Modificazioni delle aree naturali istituite.

1. Le modificazioni del perimetro della superficie dei parchi istituiti, proposte dal gestore dell'area naturale protetta o dalla Giunta regionale, ai sensi dell'art. 12 della L.R. 3 marzo 1995, n. 9, non possono eccedere, rispettivamente in diminuzione e in aumento, il 5 per cento o il 20 per cento della superficie del parco istituito e possono essere relative esclusivamente ai territori dei Comuni membri dell'area stessa.

     Articolo 3

Individuazione dei soggetti gestori.

1. I parchi regionali istituiti in base al presente piano sono amministrati dal soggetto gestore: Consorzio obbligatorio tra enti locali ed organismi associativi ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142.

     Articolo 4

Aree naturali protette e aree di particolare interesse naturalistico-ambientale.

1. La Giunta regionale elabora proposte progettuali dettagliate di istituzione di parchi regionali sulla base delle indicazioni cartografiche e delle perimetrazioni definite quali "Aree di proposta e di studio" approvate dal Consiglio regionale con cartografia in scala 1:100.000 e allegate al piano, regionale delle aree naturali protette in forza dell'art. 5 della L.R. 3 marzo 1995, n. 9.

2. La Giunta regionale, nei casi in cui non intenda richiedere l'istituzione di nuove aree naturali protette o l'ampliamento di aree esistenti a comprendere territori di altri Comuni, propone al Consiglio regionale programmi di tutela ambientale-paesaggistica per tali tipologie di aree coordinati con il Sistema parchi - ambiente e con le norme del piano urbanistico territoriale.

3. Le proposte di aree naturali protette debbono comunque essere basate sulla considerazione che la permanenza delle attività di coltivazione dei terreni siti nelle aree parco è essenziale per un rapporto ambientale corretto e la conduzione agricola è una risorsa primaria da conservare e incentivare a favore dei soggetti che ne sono protagonisti.

4. Per il raggiungimento degli obiettivi di cui al comma precedente la Regione Umbria in applicazione dell'art. 7 della legge n. 394 del 1991 sostiene la conduzione agricola nei parchi orientandola alla conservazione e valorizzazione del paesaggio dell'ambiente per accrescerne la loro qualità e contemporaneamente quella del prodotto agricolo.

     Articolo 5

Procedure.

1. La Giunta regionale dall'approvazione del presente piano può proporre al Consiglio regionale, anche singolarmente, elaborazioni programmatiche, disposizioni attuative, perimetrazioni provvisorie ed "aree di proposta o di studio", definendone i contenuti per l'istituzione di aree naturali protette ovvero programmi di tutela ambientale - paesaggistica coordinati con proposte di rinvio dell'istituzione di un parco.

2. La Giunta regionale elabora la proposta al Consiglio assicurando la partecipazione e il parere obbligatorio non vincolante delle Province, delle Comunità montane e dei Comuni, in applicazione dell'art. 5 della L.R. n. 9 del 1995 e nello spirito di tale norma viene acquisito anche il parere obbligatorio e non vincolante delle organizzazioni produttive e delle forze culturali interessate alla definizione del piano stesso con particolare riferimento alle Comunanze agrarie e alle associazioni di categoria del mondo agricolo.