§ 4.3.115 - Circolare 11 giugno 1985, n. 5/345.
Le espropriazioni per pubblica utilità dopo le sentenze n. 5/1980 e n. 23/1983 della Corte costituzionale. Criteri per la determinazione delle [...]


Settore:Codici regionali
Regione:Sardegna
Materia:4. assetto del territorio
Capitolo:4.3 lavori pubblici
Data:11/06/1985
Numero:5

§ 4.3.115 - Circolare 11 giugno 1985, n. 5/345.

Le espropriazioni per pubblica utilità dopo le sentenze n. 5/1980 e n. 23/1983 della Corte costituzionale. Criteri per la determinazione delle indennità di esproprio e di occupazione d'urgenza. Norme applicabili. Indicazioni operative.

 

     Come noto, con sentenza n. 223 del 15 luglio 1983, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi i criteri di determinazione delle indennità di esproprio di cui alla l. 29 luglio 1980, n. 385, in quanto sostanzialmente identici a quelli di cui alla l. 22 ottobre 1971, n. 865 e successive modificazioni, già riconosciuti illegittimi dalla medesima Corte con sentenza n. 5 del 25 gennaio 1980.

     All'indomani della pubblicazione della sentenza medesima sono stati più volte preannunciati interventi legislativi in campo nazionale la cui attesa, sinora vana, unitamente ai rilevanti problemi interpretativi posti dalle citate sentenze della Corte costituzionale, ha indotto una stasi pressoché generalizzata dell'azione amministrativa nella materia di che trattasi.

     Poiché ad oggi, i preannunziati interventi legislativi non sono ancora intervenuti né è dato prevederne, a breve termine, l'adozione, si rende indispensabile valutare le possibilità operative offerte dall'ordinamento attualmente vigente al fine di riavviare, su tali basi, l'attività amministrativa attualmente sospesa.

     Con la presente circolare questa Amministrazione regionale si fa carico di fornire un contributo, in tal senso, agli enti operanti in Sardegna nella materia di che trattasi, rendendo noti gli indirizzi e gli orientamenti giurisprudenziali ed amministrativi più condivisibili, anche alla luce dell'autorevolezza delle relative fonti, ed esprimendo, altresì, alcuni indirizzi operativi.

     Data l'indubbia rilevanza generale della tematica in argomento, in particolare per quanto attiene agli aspetti economici legati al conseguente onere finanziario a carico di tutti gli enti espropriati, gli indirizzi interpretativi di maggior rilievo, illustrati in prosieguo, sono stati sottoposti al preventivo esame ed all'approvazione della Giunta regionale che si è pronunciata, al riguardo, in seduta del 15 marzo 1985.

     E' indubbio che le soluzioni accolte denunciano un limite intrinseco, e cioè quello di riallacciarsi a disposizioni contenute in testi legislativi di non agevole coordinamento. Ciò con risultati non sempre soddisfacenti sotto il profilo della linearità, coerenza ed omogeneità della risultante disciplina.

     Ferma restando, però, l'indiscutibile urgenza della revisione legislativa della materia, appare altrettanto ovvia la necessità di far fronte, nell'attesa, alla contingente esigenza operativa cui è legata l'attuazione di tutti gli interventi pubblici urbanistico-edilizi, dando attuazione a quelle disposizioni che, pur essendo di non agevole interpretazione e coordinamento, possono, nel contempo, considerarsi attualmente vigenti e, quindi, applicabili.

     La problematica posta dalle sopra citate sentenze della Corte costituzionale attiene ai seguenti aspetti della materia espropriativa:

     - criteri di indennizzo delle aree aventi esclusiva suscettività di utilizzo agricolo;

     - criteri di indennizzo delle aree aventi suscettività di utilizzo edificatorio;

     - individuazione delle caratteristiche (agricola e/o edificatoria) delle aree espropriande ai fini indennizzativi;

     - procedure;

     - disciplina transitoria dei procedimenti in corso alle date di pubblicazione delle sentenze n. 5/1980 e n. 223/1983.

 

     1. Criteri di indennizzo delle aree espropriande aventi esclusiva suscettibilità di utilizzo agricolo. - Norme applicabili.

     Pregiudiziale, rispetto all'indagine che si propone; è la definizione dell'esatta portata delle sopra citate sentenze n. 5/1980 e n. 223/1983.

     A tal riguardo è da sottolineare, innanzitutto, che, contrariamente all'iniziale e generale convincimento indotto dal tenore letterale del dispositivo della sentenza n. 5/1980 (radicatosi, poi, per effetto della formulazione delle norme «tampone» emanate successivamente con la l. 29 luglio 1980, n. 385) risulta, ormai acclarato che la Corte costituzionale non ha inteso, con la predetta pronuncia n. 5/1980, caducare completamente il sistema indennizzativo contenuto nella l. 22 ottobre 1971, n. 865 e successive modifiche.

     Come, peraltro, è già dato evincere dalle motivazioni della stessa sentenza n. 5/1980, le censure della Corte costituzionale sono, con essa, rivolte al sistema indennizzativo contenuto nella l. 865/1971 solo ed esclusivamente in quanto applicabile per la determinazione di indennizzi relativi ad aree edificabili.

     L'iniziale e perdurante equivoco è stato generato dal tenore letterale del dispositivo della sentenza in parola in cui - senza il raccordo con la relativa motivazione - non è dato rinvenire alcun elemento che induca a limitare, nel senso predetto, la portata della decisione di che trattasi.

     Un primo chiarimento la cui portata, per l'irritualità della collazione, non è stata immediatamente colta dalla generalità, è ascrivibile alla stessa Corte costituzionale, nelle premesse di una cui ordinanza (la n. 84 del 5 giugno 1980), esso è rilevabile per inciso.

     Da un'affermazione indirettamente connessa con il tema specifico della decisione predetta si arguisce, infatti, che la Corte costituzionale, considerava ancora vigenti alla data del 5 giugno 1980, successiva, quindi, alla data di pubblicazione della sentenza n. 5/1980, i criteri indennizzativi di cui alla l. 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modifiche, in quanto applicabili, però, esclusivamente alle aree agricole.

     La rilevanza di tale interpretazione autentica (anche se non può considerarsi vincolante in conseguenza della sua non rituale collocazione) è stata già a suo tempo sottolineata dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale, nella consultazione n. 3017 del 16 gennaio 1984, ha mostrato di trarre da essa maggior convincimento nel considerare la sentenza n. 5/1980 solo parzialmente e non totalmente caducativa del sistema indennizzativo contenuto nella l. 865/1971.

     Sul punto, in termini decisamente inequivoci, in conformità all'interpretazione della sentenza n. 5/1980 suggerita dalla stessa Corte costituzionale, si è espressa poi, più volte, la Corte di Cassazione, per ultimo con la sentenza, resa a sezioni unite, n. 94 del 16 gennaio 1985.

     Può dirsi, quindi, generalmente accettata l'interpretazione restrittiva della sentenza n. 5/1980 della Corte costituzionale cui è pacificamente attribuibile, perciò, l'effetto della caducazione del sistema indennizzativo contenuto nella l. 22 ottobre 1971, n. 865 e successive modificazioni, solo ed esclusivamente in quanto applicabile alle aree edificabili.

     L applicazione residuale di tale sistema è riferibile, di conseguenza, esclusivamente alle aree agricole.

     Resta da chiarire, a questo punto, l'attuale vigenza, ai fini della determinazione delle indennità di esproprio relative alle aree agricole, della normativa contenuta nella l. 865/1971 e successive modifiche ovvero della normativa contenuta nella l. 29 luglio 1980, n. 385.

     E' appena il caso di ricordare che con quest'ultima sono state a suo tempo emanate a titolo provvisorio (per la determinazione di acconti sulle indennità di esproprio da calcolare ai sensi della legge di futura emanazione della quale, peraltro, si è tuttora in attesa) norme esattamente riproduttive di quelle indicate come illegittime nel dispositivo della sentenza n. 5/1980.

     Anche su tali norme sono cadute, come noto, le censure della Corte costituzionale che le ha dichiarate illegittime con la sentenza n. 223/1983.

     Esaminare e risolvere la problematica relativa all'interpretazione di questa seconda pronuncia della Corte costituzionale, al fine di stabilirne, come per la sentenza n. 5/1980, la portata, sembra, però, del tutto irrilevante sul piano operativo.

     E' a tutti noto, infatti, che la l. 385/1980 attribuiva, a dette norme, un'efficacia temporale inizialmente limitata al 16 agosto 1981, e che detto termine, non essendo più stato prorogato, è da considerarsi, ormai definitivamente scaduto.

     In conseguenza, non sembra oggi potersi fondatamente sostenere l'operatività di tali disposizioni in luogo di quelle contenute «a regime» (e non a titolo provvisorio) nella l. 865/1971 le quali - come risulta ormai chiarito - non sono mai state dichiarate costituzionalmente illegittime in quanto applicabili alle aree agricole aventi esclusiva suscettività di utilizzo agricolo.

     Alla luce di quanto sin qui illustrato, per la determinazione delle indennità di esproprio relative a tali aree, risulta, quindi, interamente applicabile la normativa contenuta nella l. 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni.

     I valori agricoli medi determinati dagli Uffici tecnici erariali della Sardegna per il corrente anno 1985, ai fini dell'applicazione di tale normativa limitatamente, si ribadisce, all'ambito sopra precisato, sono già stati pubblicati a cura di questa Presidenza, sul Bollettino Ufficiale della regione sarda, parte I e II, N. 14 del 28 marzo 1985.

 

     2. Criteri di indennizzo delle aree espropriande aventi suscettività di utilizzo diverso od ulteriore rispetto a quello agricolo. - Norme applicabili.

     Appurato che le sentenze n. 5/1980 e n. 223/1983 della Corte costituzionale non hanno, in effetti, determinato alcun vuoto normativo per quanto attiene agli indennizzi per l'espropriazione di aree agricole, resta da individuare la normativa disciplinante le fattispecie residuali costituite dagli indennizzi per l'esproprio di aree edificabili.

     Anche su tale punto sembra potersi considerare raggiunta una certa omogeneità di tendenze interpretative.

     In un parere reso a questa Amministrazione con consultazione n. 3939/84 del 31 ottobre 1984, l'Avvocatura generale dello Stato ha puntualizzato e precisato una tesi interpretativa già adombrata col precedente parere n. 3017/83 del 16 gennaio 1984, più sopra citato a proposito di altro argomento.

     Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, le pronunce della Corte costituzionale, radiando dall'ordinamento le norme di carattere indennizzativo contenute nelle ll. 865/1971 e 385/1980, hanno determinato il riespandersi dell'applicabilità di quelle norme, a queste ultime previgenti, mai espressamente abrogate ma semplicemente a suo tempo sostituite dalle successive disposizioni poi dichiarate illegittime.

     La norma di cui è indubbio il ripristino di operatività, nel senso sopra indicato, è la l. 25 giugno 1865, n. 2359, nota come «legge generale delle espropriazioni», artt. 39 e seguenti.

     In tal senso si è più volte, di recente, pronunciata anche la Corte di Cassazione. Vedasi, tra le altre, le sentenze rese dalla prima sezione n. 3314, depositata il 31 maggio 1984 e n. 1356, depositata il 18 febbraio 1985.

     La Corte di cassazione afferma, in sostanza, che «con il venir meno dell'applicabilità delle norme dichiarate illegittime con le più volte citate pronunce n. 5/1980 e n. 223/1983 della Corte costituzionale, hanno riacquistato la loro originaria efficacia le disposizioni di carattere generale contenute nella l. 25 giugno 1865, n. 2359, in materia di criteri indennizzativi, a suo tempo semplicemente sostituite con disposizioni emanate per i casi riguardanti sia la realizzazione di tassativi interventi a tutela del pubblico interesse (art. 9, l. 22 ottobre 1971, n. 865 e successive modificazioni), sia la realizzazione di opere od interventi da parte dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni, o di altri enti pubblici o di diritto pubblico anche non territoriali (art. 4, l. 27 giugno 1974, n. 247)».

     L'Avvocatura generale dello Stato, con il parere più sopra citato, reso a questa Amministrazione, ha peraltro assunto di non potersi escludere, a priori, l'eventualità che possa con fondamento sostenersi, in singoli casi concreti, un ripristino di operatività non della l. 25 giugno 1865, n. 2359, bensì di altre norme speciali, vigenti alla data di entrata in vigore della l. 22 ottobre 1971, n. 865 e della l. 27 giugno 1974, n. 247.

     Tale puntualizzazione, che sembra porsi nei termini di una riserva cautelativa a fronte della notevole mole normativa afferente alla materia di che trattasi, non sembra, però, condurre ad effetti operativi di importante rilievo.

     E' da segnalare, esemplificativamente, a tal riguardo, con riferimento all'attuazione dei piani di zona per l'edilizia economica e popolare di cui alla l. 167/1962, che la Corte di cassazione, con la sentenza resa dalla prima sezione con il n. 3314, depositata il 31 maggio 1984, ha escluso l'applicazione di norme diverse da quelle contenute nella l. 25 giugno 1985, n. 2359, in ordine alla determinazione degli indennizzi per l'esproprio delle aree occorrenti all'attuazione dei piani di zona medesimi.

     Nel corso della causa definita con tale pronuncia, veniva assunta, infatti, da una delle parti in lite, l'applicabilità della l. 15 gennaio 1885 n. 2892 (c.d. legge di Napoli) mutuata, nei criteri indennizzativi dall'art. 12 della l. 18 aprile 1962, n. 167, come modificato dall'art. 1 della l. 21 luglio 1965, n. 904.

     La Corte di cassazione ha ricordato, però, nella motivazione della sentenza sopra citata, che l'art. 12 della l. 167/1962 è stato espressamente abrogato dall'art. 39 della l. 22 ottobre 1971, n. 865.

     L'efficacia abrogativa di tale ultima disposizione non è stata per nulla inficiata dalle pronunce della Corte costituzionale n. 5/1980 e n. 223/1980, che non la riguardano affatto. Ne consegue, ad avviso della Suprema corte di cassazione, che per la determinazione delle indennità di esproprio delle aree occorrenti per l'attuazione dei piani di zona di cui alla l. 167/1962 nell'ipotesi in cui le stesse (al momento

dell'approvazione - si sottolinea - del piano e, quindi, al momento della dichiarazione di pubblica utilità) abbiano suscettività di utilizzo edificatorio, trovano applicazione i criteri di cui alla l. 25 giugno 1865, n. 2359, con esclusione, quindi, dei criteri contenuti in altre disposizioni di legge.

     Non sembra, salvo particolarissimi casi non coinvolgenti la generalità della disciplina in parola, che a diverse conclusioni debba giungersi per la determinazione di indennizzi previsti dagli strumenti urbanistici generali e di attuazione quali i piani particolareggiati di esecuzione di cui all'art 16 e seguenti della l. 1150/1942, i comparti edificatori di cui all'art. 23 della l. 1150/1942, i piani di lottizzazione d'ufficio di cui all'art. 23 della l. 1150/1942, i piani per insediamenti produttivi di cui all'art. 27 della l. 865/1971 ed i piani di recupero di cui al quinto e sesto comma art. 29 della l. 457/1978.

     Perciò, con qualche riserva di eccezione che meglio potrà essere sciolta dall'esperienza operativa piuttosto che da una laboriosa indagine concettuale, può dirsi che per la determinazione delle indennità di esproprio di aree edificabili risultano, oggi, generalmente vigenti i criteri di cui alla l. 25 giugno 1865, n. 2359,:artt. 39 e seguenti.

 

     3. Accertamento, ai fini indennizzativi, della suscettività edificatoria delle aree espropriande. - Rilevanza dei vincoli urbanistici.

     Il quadro normativo scaturente dagli orientamenti sopra illustrati conduce, come si è visto, ad una duplicità di regime indennizzativo.

     Il che, da solo, testimonia l'urgenza ed indilazionabilità di un intervento legislativo di riordino e riforma della materia di che trattasi.

     Per l'attuazione di una disciplina così composita si pongono, infatti, all'operatore, numerosi problemi, primo fra tutti, quello di individuare correttamente l'esistenza dei presupposti di applicazione dell'uno o dell'altro dei due criteri di indennizzo previsti, rispettivamente, dalla l. 865/1971 e successive modificazioni, e dalla l. 2359/1865.

     Tali presupposti si identificano nell'obiettiva potenzialità di utilizzo che il bene ha al momento in cui viene preordinato all'esproprio.

     L'astratta potenzialità di utilizzo di un terreno non si esaurisce, per il vero, della dualità categoriale comunemente considerata: uso agricolo-uso edificatorio.

     Non è concettualmente da escludersi, infatti, un uso diverso del terreno - non agricolo, quindi, ma neppure edificatorio - tale da influire in modo autonomo e rilevante sul valore di mercato ad esso attribuibile.

     Ove, in caso di esproprio, l'indennizzo faccia riferimento a tale valore non può disconoscersi, quindi, la rilevanza di tale «terza» suscettività sulla quantificazione dell'indennizzo stesso.

     Pertanto, ai fini di una classificazione veramente onnicomprensiva di tutte le fattispecie oggetto della disciplina in parola, occorrerebbe, in realtà, distinguere tra aree aventi esclusiva suscettività di utilizzo agricolo ed aree aventi una suscettività di utilizzo diverso od ulteriore rispetto a quello agricolo.

     L'eccezionalità della ricorrenza della categoria intermedia sopraccennata suggerisce, comunque, soprattutto in un'ottica eminentemente operativa, di semplificare la problematica in argomento, riducendo a due le fattispecie da considerare: aree suscettive di esclusivo utilizzo agricolo; aree suscettive di utilizzo anche edificatorio.

     Emerge, a questo punto, la necessità di definire i criteri in base ai quali va effettuato, in concreto, l'accertamento della ricorrenza dell'una o dell'altra delle due categorie appena accennate.

     Sulla delicata questione questa Amministrazione ha interpellato l'Avvocatura generale dello Stato, la quale, con il già citato parere n. 3939 del 31 ottobre 1984, ha osservato che «la qualificazione edificatoria di un terreno, per gli effetti in discorso, va effettuata alla stregua dei princìpi più volte affermati dalla Corte di Cassazione anche per ciò che attiene ai casi ed ai limiti di rilevanza delle prescrizioni di eventuali strumenti urbanisti.

     Prima di passare all'esame dell'orientamento della Suprema Corte, però, è opportuno definire una rilevante questione pregiudiziale.

     Dovendo accertare in concreto, il carattere esclusivamente agricolo od anche edificatorio di un area, secondo i princìpi ed i criteri più avanti illustrati, si pone il problema di stabilire il riferimento temporale della relativa indagine.

     La fase inerente alla determinazione dell'indennizzo può cadere, infatti, in un punto qualsiasi dell'arco temporale intercorrente tra la dichiarazione di pubblica utilità e la scadenza ultima del termine fissato per il compimento della procedura espropriativa ai sensi dell'art. 13 della l. 2359/1865 o di quello eventualmente più breve previsto per la conversione, in definitiva, dell'occupazione d'urgenza.

     Quando non c'è sequenza immediata tra la fase relativa alla dichiarazione di pubblica utilità e la fase relativa alla determinazione dell'indennizzo, possono intervenire, nel frattempo, mutamenti ambientali anche rilevanti che potrebbero apparire ininfluenti ai fini dell'indagine in argomento.

     In qualunque punto del predetto arco temporale vada a cadere la fase relativa all'indennizzo non sembrano comunque influenti tutte quelle modificazioni ambientali che siano eventualmente intervenute dopo la dichiarazione di pubblica utilità.

     E' in tal momento, infatti, che il vincolo espropriativo viene imposto, è da tale momento che non sono consentite trasformazioni indennizzabili delle aree espropriande (v. artt. 42 e 43 l. 2359/1865) ed è, infine, da tale momento che può farsi ricorso totalmente o parzialmente, per sequenze programmate in funzione delle esigenze pubbliche, alle procedure espropriative dirette tanto all'immediata occupazione (quando contestuale alla dichiarazione di pubblica utilità sia anche la dichiarazione di urgenza ed indifferibilità) quanto all'acquisizione definitiva delle aree stesse.

     Il passare del tempo a far data dalla dichiarazione di pubblica utilità non è, però, a parte l'aspetto da poco esaminato, del tutto ininfluente ai fini indennizzativi.

     Mentre, infatti, per la scelta del criterio indennizzativo da adottare con riferimento alla natura agricola od edificabile dell'area esproprianda occorre avere riguardo allo stato dei luoghi al momento della dichiarazione di pubblica utilità, i parametri relativi al criterio conseguentemente prescelto vanno attualizzati alla data in cui, con l'inizio della procedura di cui all'art. 10 e seguenti della l. 865/1971 viene concretamente dato corso all'esproprio dell'area stessa.

     Definito tale problema, restano da enuncleare, dalla complessiva e variegata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, i princìpi ai quali ispirare l'indagine in ordine all'accertamento della natura esclusivamente agricola od anche edificatoria delle aree espropriande.

     Come si vedrà più avanti, tali princìpi rilevano non solo in ordine all'individuazione della normativa applicabile, bensì anche in ordine alle modalità di applicazione della stessa.

     E' ovvia l'impossibilità, in questa sede, di fornire una sintesi completamente esaustiva di tutti gli orientamenti, anche di dettaglio, manifestati nella materia di che trattasi della Suprema Corte, con riguardo alle molteplici fattispecie sottoposte al suo sindacato.

     Le indicazioni che si segnalano in prosieguo sono riferite perciò a quei principi ed a quelle risultanze interpretative emergenti dalle pronunce della Suprema Corte che si evidenziano per la loro funzione portante e per il loro attuale consolidamento.

     Una prima importante indicazione, in ordine al problema di che trattasi, viene da numerose pronunce, anche recenti:

     Cassazione: 11 agosto 1977, n. 3710; 30 maggio 1978, n. 2733; 6 giugno 1979, n. 3200; 28 giugno 1979, n. 3616; 20 novembre 1979, n. 6059; 13 dicembre 1980, n. 6457.

     Ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione, afferma la Suprema Corte, il carattere edificatorio di un suolo va desunto da qualità ed elementi certi, obiettivi ed inequivoci che, consistendo nella facilità di accesso, nell'esistenza di vie pubbliche e collegamenti con i vicini centri abitati, nell'edificazione già iniziata nella zona e nella presenza dei servizi pubblici necessari alla convivenza civile (rete idrica, rete elettrica, rete telefonica, rete fognaria, etc.) attestino un'attuale e concreta edificabilità.

     La potenzialità edificatoria dell'area esproprianda va, quindi, indagata sulla base di elementi oggettivi, strettamente connessi sia con la natura del terreno, che di per sé deve essere morfologicamente idoneo all'edificazione, sia con l'ubicazione del medesimo che deve essere tale da consentire l'utilizzazione edificatoria di quest'ultimo, per rispondere in modo attuale e concreto ad accertate esigenze edificative, senza la preventiva realizzazione di importanti opere infrastrutturali e di urbanizzazione.

     Va sottolineato che tra i predetti elementi di giudizio indicati dalla Suprema Corte, non figura la presenza, con riferimento alle aree da indennizzare per l'esproprio, di vincoli urbanistici di inedificabilità preordinati all'esproprio stesso.

     Anzi, la valenza negativa di tale elemento, in termini di decremento dell'indennizzo, è stata espressamente esclusa dalla Corte stessa, come si evince dalle decisioni rese a sezioni unite 10 novembre 1980, n. 6019 e 25 luglio 1980, n. 4823 secondo un indirizzo di cui si trova conferma anche nella più recente sentenza resa dalla prima sezione ,1º giugno 1982, n. 3346.

     L'argomento è stato, in passato, oggetto di indirizzi

giurisprudenziali contrastati, di cui al componimento sono dirette le citate pronunce, n. 6019/80 e 4823/80 rese dalle sezioni unite.

     Sembra, comunque, ormai consolidato presso la Suprema Corte, cioè al più alto livello istituzionale cui sia attribuito il potere interpretativo delle leggi e degli atti con forza di legge, il convincimento circa l'assoluta influenza, ai fini indennizzativi, dei vincoli di inedificabilità preordinati all'esproprio.

     Tale convincimento muove da argomentazioni di carattere costituzionale cui non sembra inopportuno fare un breve cenno.

     Come noto, la Corte Costituzionale (v. le sentenze n. 6/1966; n. 55/1968; n. 56/1968 e ordinanza n. 92/1982) in ordine all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, ha elaborato un'interpretazione secondo cui tale norma non si riferisce esclusivamente all'ipotesi di espropriazioni immediatamente traslative, ma anche a quelle forme di imposizione da cui consegua uno svuotamento di così rilevante entità del contenuto dei diritti riconnessi all'istituto della proprietà, da configurare la soppressione pur rimanendo formalmente intatta l'appartenenza.

     E' questo il caso, afferma la Corte Costituzionale, dei vincoli di inedificabilità preordinati all'espropriazione che, pertanto, non possono essere imposti senza la corresponsione del relativo indennizzo.

     L'illegittimità dell'imposizione dei vincoli predetti a tempo indeterminato deriva, appunto, dalla mancata previsione di un termine ragionevole per l'attuazione degli interventi cui i vincoli stessi siano preordinati e, quindi, per la conseguente corresponsione, in sede di esproprio, dei relativi indennizzi compensativi.

     Vincoli di inedificabilità preordinati all'esproprio possono, quindi, legittimamente essere imposti senza l'immediata corresponsione di indennizzi, purché, però, abbiano un termine di efficacia temporale prestabilito, entro il quale venga attuato l'esproprio con la contestuale corresponsione degli indennizzi stessi comprensivi anche della diminuzione di valore conseguente all'imposizione dei vincoli medesimi.

     Sono queste le basi concettuali di ordine costituzionale da cui muove la Suprema Corte di Cassazione per affermare (v. sentenze sezioni unite 10 novembre 1980, n. 6019; sezioni unite 25 luglio 1980, n. 4823; sezione I 1º giugno 1982, n. 3346; sezione I 10 agosto 1982, n. 4470; sezione I 5 gennaio 1985, n. 15; sezione I 17 gennaio 1985, n. 121), che quando si procede ad esproprio di un'area gravata da vincolo di inedificabilità, preordinato all'espropriazione, la determinazione dell'indennizzo deve essere fatta prescindendo dall'esistenza del vincolo stesso.

     E' vero, infatti, che sul libero mercato il valore di un'area vincolata è influenzato negativamente dalla presenza del vincolo. Ma ove si mutuasse in sede indennizzativa, tale metodologia di stima, la soppressione dei diritti in tal-modo operata, resterebbe indefinitamente priva di indennizzo.

     L'esproprio, infatti, è l'unica sede in cui sia possibile assicurare all'imposizione del vincolo, mediante il pagamento dell'indennizzo, la conformità ai principi costituzionali.

     Nel determinare l'indennità di esproprio di un'area non deve tenersi conto, perciò, dei vincoli di inedificabilità, preordinati all'esproprio, gravanti sulla stessa. Ciò sia nel caso in cui l'esproprio sia diretto a conseguire le finalità cui il vincolo è preordinato sia nel caso in cui venga effettuato per finalità pubbliche diverse da quelle originariamente prefigurate.

     L'imposizione del vincolo è da considerare, in sostanza un momento del procedimento espropriativo volto all'acquisizione delle aree occorrenti per la realizzazione degli interventi cui esso è preordinato.

     Non si pone, perciò, come elemento esterno al procedimento espropriativo, tale, quindi, da giustificare la sua rilevanza, in termini negativi, come elemento obiettivo di valutazione del valore dell'area esproprianda.

     A conclusioni diverse si perviene, avverte la Suprema Corte, per quanto attiene non ai vincoli di inedificabilità preordinati all'esproprio, bensì ai vincoli di destinazione di aree private ed ai limiti di edificabilità delle stesse. Tali vincoli non configurano, infatti, uno svuotamento tale dei diritti connessi alla proprietà da imporre l'obbligo della corresponsione di un indennizzo al proprietario. Sono, cioè, la risultante del regime giuridico cui è sottoposta Ia loro utilizzabilità.

     Si tratta dei limiti di edificabilità (zonizzazioni) e dei limiti di tipologia.

     I limiti di edificabilità che individuano l'utilizzabilità delle aree per zona ed indicano le direttrici di espansione dei centri urbani, nonché i limiti di tipologia che individuano i tipi edilizi realizzabili in ciascuna zona, con indicazione, in ordine ad esse, delle differenti volumetrie utilizzabili non prevedono, ad avviso della Suprema Corte, vincoli tali da escludere potenzialmente il diritto di proprietà nella sua pienezza e non comportano imposizioni di vincoli e previsioni di utilizzazione che incidano sull'appartenenza al privato in maniera tale da esporla, in sostanza, ad ablazione soggetta ad indennizzo.

     Questo punto sarà ripreso più avanti, con riguardo alle modalità applicative del sistema indennizzativo previsto dalla l. 2359/1865.

     E' doveroso, sottolineare che i vincoli di inedificabilità che la Corte di Cassazione afferma non incidenti negativamente sulla determinazione delle indennità di esproprio sono solo quelli preordinati alla concreta espropriazione e non quelli che promanino in modo obiettivo, rispetto alla generalità dei soggetti, in funzione del regime di appartenenza, dei modi di godimento dei beni in generale o di intere categorie di beni.

     In tale ipotesi, infatti, in vincolo non substanzia una compressione o svuotamento di diritti ma si configura come espressione della natura stessa dei beni vincolati, individuabile aprioristicamente per quelle intrinseche caratteristiche che siano indicate dalla legge, come ad esempio il divieto di edificare entro una determinata distanza dal mare.

 

     4. Aree agricole - Modalità di applicazione delle norme contenute nella l. 22 ottobre 1971, n. 865.

     Per l'esproprio di aree aventi esclusiva suscettività di utilizzo agricolo, l'applicazione delle norme contenute nella l. 22 ottobre 1971, n. 865 e successive modificazioni non presenta novità di ordine problematico.

     Restano ferme, perciò, le prassi procedurali da tempo consolidate.

     I valori agricoli medi determinati dagli Uffici tecnici erariali della Sardegna per il corrente anno 1985 sono già stati pubblicati da questa Presidenza sul Bollettino Ufficiale della regione Sarda, parte I e II, n. 14 del 28 marzo 1985.

 

     5. Aree edificabili - Modalità di applicazione delle norme contenute negli artt. 39 e seguenti della l. 2359/1865, anche in connessione con le norme contenute nella l. 865 / 1971.

     Più laboriosa si presenta la tematica relativa all'applicazione dei criteri indennizzativi di cui alla l. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 39 e seguenti, innestati nel tessuto procedurale della l. 22 ottobre 1971 n. 865.

     Son rilevabili, al riguardo, due ordini di problemi:

     - le modalità di applicazione dell'art 39 e seguenti della l. 2359/1865 sotto il profilo della metodologia estimativa;

     - il coordinamento di tali disposizioni con le norme di procedura contenute nella l. 22 ottobre 1971, n. 865.

     E' subito da avvertire che, per quanto compatibile con il criterio sostanziale di stima di cui alla l. 25 giugno 1865, n. 2359, nulla è mutato in ordine all'applicabilità delle norme procedurali contenute nella l. 22 ottobre 1971, n. 865 e successive modifiche.

     La Corte costituzionale ha infatti censurato, in quanto applicabile alle aree non agricole, solo il criterio sostanziale di stima contenuto nella l. 22 ottobre 1971, n. 865, e non anche, si ribadisce, (per quanto non strettamente connessi con tale criterio) gli aspetti di carattere procedurale previsti nella l. 865/1971 medesima.

     Da qui la necessità di coordinare, in modo coerente, la normativa di carattere sostanziale contenuta nella l. 2359/1865 con quella di carattere procedurale contenuta nella l. 865/1971.

     Muovendo, con ordine sistematico, dagli aspetti di carattere sostanziale per passare, poi, a quelli strumentali di carattere procedurale, è opportuno esaminare il portato della norma base, contenuta nell'art. 39 della l. 2359/1865, portante il criterio per la determinazione degli indennizzi da corrispondere - come si è precisato - per l'espropriazione di aree edificabili.

     Esso consiste, come noto, «nel giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione di compravendita».

     Operando un primo coordinamento con le norme procedurali di cui alla l. 22 ottobre 1971, n. 865, è, innanzitutto, da sottolineare che la frase «a giudizio dei periti», essendo riferita ad un contesto procedurale oggi inapplicabile, deve intendersi priva di significato operativo.

     L'indennità di esproprio delle aree edificabili va oggi determinata, infatti, ai sensi dell'art. 11 della l. 865/1971, dal Presidente della Giunta regionale sulla base, per quanto attiene alle aree edificabili, del criterio di stima previsto dalla l. 2359/1865.

     Ove, poi, l'indennità in tal modo determinata non venga accertata, resta ferma la competenza dell'Ufficio tecnico erariale a rideterminarla, sempre sulla base del criterio di stima predetto, ai sensi dell'art. 15 della l. 865/1971.

     Per quanto attiene, infine, all'indennità per l'eventuale occupazione d'urgenza, si ricorda che la determinazione spetta direttamente all'Ufficio tecnico erariale ai sensi dell'art. 20 della l. 865/1971.

     Ritornando, dopo queste precisazioni, al criterio sostanziale di stima previsto dall'art. 39 della l. 2359/1865, è da dire che esso consiste nel calcolare il «più probabile» valore di mercato dell'immobile espropriando.

     L'aggettivazione «più probabile» sta chiaramente ad evidenziare che la stima riguarda beni sottratti al normale mercato in quanto vincolati ad un uso pubblico che ne esige l'esproprio.

     I vincoli di inedificabilità o, comunque, i vincoli preordinati all'esproprio non impediscono, come noto, le transazioni private dirette al trasferimento della proprietà dei beni vincolati e dei diritti ad essi inerenti.

     I vincoli, infatti, avendo natura «reale», nel senso giuridico con cui tale termine designa la connessione con i beni e non con la sfera giuridica del titolare di diritti sui beni medesimi, seguono questi ultimi.

     E' ovvio, perciò, che su eventuali transazioni relative a beni gravati da vincoli, con previsione di esproprio, gioca un rilevante ruolo, per quanto attiene alla determinazione della correlativa controprestazione pecuniaria, la presenza del vincolo stesso.

     Ed è proprio questa diminuzione di valore che, come abbiamo più sopra visto, ove non indennizzata entro un termine prefissato, comunque congruo, determina, secondo le note statuizioni della Corte costituzionale, l'illegittimità del vincolo medesimo.

     Evidentemente, per le ragioni già accennate, non potendo tenere conto dell'incidenza negativa dei vincoli di inedificabilità preordinati all'esproprio, la stima ai fini indennizzativi dell'area esproprianda non va riferita al valore che le aree hanno sul mercato ma al «più probabile» valore che le aree avrebbero se non esistessero i vincoli predetti.

     Quindi il valore delle aree edificabili deve essere determinato, ai fini indennizzativi, effettuando una comparazione con riferimento a quelle aree alle quali il terreno espropriato- sarebbe analogo se non fosse gravato da vincoli urbanistici di inedificabilità preordinati all'espropriazione (Cass. Sez. Un. 22 luglio 1978, n. 3668; Cass. Sez. I, 15 dicembre 1980, n. 6485).

     Il raffronto per la determinazione del valore va fatto, di conseguenza, con riferimento al valore delle aree immediatamente prossime a quelle espropriande, perciò urbanisticamente complementari, sulle quali non pesino vincoli di inedificabilità ad iniziativa privata e siano, perciò, disponibili sul mercato.

     Nell'eseguire tale indagine deve tenersi conto, come già sopra evidenziato dei limiti di edificabilità (di zonizzazione e di tipologia), gravanti sulle aree prese a raffronto.

     Una modalità di attuazione di tale criterio può essere, ad esempio, quella riferita alla potenzialità edificatoria media del comprensorio edilizio in cui l'area esproprianda ricade ed a cui sia legata da un nesso di complementarietà urbanistico-edilizia.

     Ogni singolo caso di specie, comunque, purché nel rispetto dei princìpi sopra enunciati, va risolto facendo ricorso alla più appropriata tra le metodologie valutative riconosciute dall'estimo.

     Attorno al criterio indennizzativo di cui all'art. 39 della l. 2359/1865 ruotano anche altre disposizioni contenute nella l. 2359/1865 stessa e del pari oggi vigenti. Si tratta delle norme di cui agli artt. 40, 41, 42, 43, 45 e 46.

     L'art. 40 riguarda l'esproprio parziale e stabilisce che l'indennizzo va computato, in tale ipotesi, sulla base della differenza tra il valore dell'intera area stimato prima dell'intervento espropriativo ed il valore della porzione di area residuata al privato.

     Quando sul valore di quest'ultima incida positivamente un qualche vantaggio speciale ed immediato derivante dall'esecuzione dell'opera pubblica, il conseguente incremento di valore va detratto (art. 41) dall'indennizzo calcolato ai sensi dell'art. 40.

     In sostanza viene prevista una duplice valutazione: la prima riferita all'intero appezzamento di terreno (da effettuarsi secondo i criteri e le modalità più sopra precisati), la seconda riferita alla porzione di area non espropriata onde evidenziare l'eventuale incremento di valore ad essa derivante, in modo specifico e diretto, dall'esecuzione dell'opera pubblica.

     L'indennizzo per la porzione espropriata va, quindi, determinato in funzione inversamente proporzionale rispetto all'incremento di valore eventualmente accertato relativamente alla parte residuata.

     Tale meccanismo di abbattimento dell'indennizzo trova comunque un limite (art. 41, ultimo comma), in quanto l'indennizzo stesso non può essere decurtato in ogni caso oltre la metà dell'importo calcolato senza tener conto, in termini negativi, dell'incremento di valore predetto.

     L'art. 41, secondo comma, offre, poi, all'espropriato, quando l'incremento porti ad una decurtazione dell'indennizzo superiore al 25%, la facoltà di chiedere l'esproprio dell'intero immobile dietro corresponsione dell'indennizzo calcolato ai sensi dell'art. 39, sempre che, però il valore della porzione espropriata sia superiore al 25% del valore dell'intera area.

     A fronte di tale facoltà, l'art. 41, terzo comma, riconosce all'espropriante la possibilità di esimersi dall'acquisizione dell'intero immobile, pagando un indennizzo non inferiore al 75%, di quello stimato ai sensi dell'art. 40 senza tener conto, quindi, dell'incremento di valore derivante al reliquato dall'esecuzione dell'opera di pubblica utilità.

     Una disposizione che riveste particolare importanza per la determinazione dell'indennizzo secondo i criteri di cui all'art. 39 della l. 2359/1865, è contenuto nell'art. 42 della medesima legge.

     In tale articolo si legge:

     «L'aumento di valore che, dall'esecuzione dell'opera di pubblica utilità sarebbe derivato alla parte del fondo compresa nell'espropriazione non può tenersi a calcolo per aumentare l'indennità dovuta al proprietario».

     Con terminologia consona all'epoca della sua formulazione, l'art. 42 espone il concetto, già sopra illustrato quale elaborazione giurisprudenziale più recente della Suprema corte di cassazione, secondo cui nel determinare il valore di un'area esproprianda non deve tenersi conto delle specifiche prescrizioni urbanistiche che la riguardano direttamente. Ciò sia per non dedurne, in considerazione del vincolo di inedificabilità preordinato all'esproprio, ed ai fini indennizzativi, che si tratti di area non edificabile, e quindi agricola, sia per non attribuire alla stessa il valore scaturente dal tipo e dalla natura dell'intervento pubblico su di essa programmato.

     Per esemplificare, quando si sia accertato che un'area esproprianda presentava, al momento dell'imposizione del vincolo, esclusiva suscettività di utilizzo agricolo, non può attribuirsi ad essa natura edificabile, ai fini indennizzativi, per il fatto che l'esproprio è preordinato alla realizzazione di un intervento edificatorio pubblico.

     Per converso, ove se ne sia accertata nel modo predetto la suscettività edificatoria, non potrà disattendersi poi, tale qualificazione, al momento dell'esproprio, corrispondendo indennizzi a valori agricoli nella considerazione che l'esproprio stesso non è preordinato ad interventi edificatori (es. verde pubblico, strade, aree di rispetto, etc.).

     Di conseguenza le prescrizioni urbanistiche che riguardano specificamente la destinazione e le modalità di uso pubblico dell'area esproprianda sono del tutto ininfluenti ai fini della determinazione del relativo valore, che va calcolato, si ribadisce, operando un confronto con aree analoghe disponibili sul mercato immobiliare.

     Un'altra disposizione molto importante, ai fini che qui interessano, è contenuta nell'art. 43 della l. 2359/1865. In esso si legge:

     «Non possono essere calcolate nel computo delle indennità le costruzioni, le piantagioni e le migliorie, quando avuto riguardo al tempo in cui furono fatte e le altre circostanze, risulti essere eseguite nello scopo di conseguire un indennità maggiore, salvo il diritto al proprietario di esportare a sue spese i materiali e tutto ciò che può essere tolto senza pregiudizio dell'opera di pubblica utilità da eseguirsi.

     Si considerano fatte allo scopo di conseguire una maggiore indennità, senza d'uopo di prova, le costruzioni, le piantagioni e le migliorie, che, dopo la pubblicazione dell'avviso di deposito del piano di esecuzione siano state intraprese sui fondi in esso segnati fra quelli da espropriarsi».

     Occorre avvertire che tale disposizione ha oggi portata generale. Va ricordato, infatti, che la l. 25 giugno 1865, n. 2359, non è stata mai abrogata e che, pertanto, le disposizioni in essa contenute, non sostituite da altre contenute in leggi successive quali la l. 22 ottobre 1971, n. 865, sono sempre rimaste in vigore.

     La norma contenuta nell'art. 43 sopra riportato risulta, quindi, attualmente applicabile tanto in caso di esproprio di aree agricole quanto in caso di esproprio di aree edificabili.

     Le disposizioni in essa contenute sono di chiara lettura e non richiedono particolari sottolineature fatta eccezione che per quanto attiene al secondo comma nella parte in cui fa riferimento ad una fase, «pubblicazione dell'avviso di deposito del piano di esecuzione, del procedimento disciplinato dalla l. 2359/1865, imponendo un raccordo con l'iter procedurale oggi applicabile.

     Per rinvenire tale diverso riferimento, occorre muovere dalla ratto della norma in esame.

     Il principio da essa desumibile si sostanzia nel non riconoscere l'indennizzabilità di quegli incrementi di valore del bene espropriando che non siano espressione della sua utilizzazione ma trovino il loro movente nel perseguire la corresponsione di maggiori indennizzi.

     La norma riconosce sempre all'espropriante la facoltà di provare tale circostanza ma lo esonera da tale prova quando sia oggettivamente deducibile il fine di conseguire, attraverso migliorie dei fondi, maggiori indennità.

     La «pubblicazione dell'avviso di deposito del piano di esecuzione» cui fa cenno l'art. 43, è si ricorda quella inerente alla fase di individuazione dei beni espropriandi che, nell'originaria procedura concepita nel 1865, era disgiunta da quella relativa alla dichiarazione di pubblica utilità ed a questa successiva.

     L'evoluzione legislativa ha portato come noto, per la massima parte degli espropri promossi da enti pubblici, alla fusione di tali fasi.

     Sicché può dirsi che la presunzione di cui all'art. 43 in parola opera sempre, senza onere di prova a carico dell'espropriante, quando sia intervenuta la pubblicizzazione (mediante deposito, notifica, pubblicazione od altre forme previste dalle singole fattispecie normative) dell'atto dichiarativo della pubblica utilità o del primo atto, eventualmente ad esso successivo, con cui sia stata operata l'individuazione dei beni da espropriare.

     Per finire, si riportano, qui di seguito, gli artt. 45 e 46 della l. 2359/1865, attinenti alla materia delle servitù, avvertendo che anch'essi hanno portata generale non limitata, quindi, all'esproprio di aree edificabili.

     Non sembra che queste disposizioni, di chiara lettura, pongano particolari problemi interpretativi e di attuazione.

   ART. 45. - «Non deve farsi luogo ad alcuna indennità per le servitù che possono essere conservate o trasferite senza danno o senza grave incomodo del fondo dominante o servente.

     Sono in questo caso rimborsate le spese necessarie per l'esecuzione delle opere occorrenti per la conservazione o per la traslazione delle servitù, salva a chi promuove l'espropriazione la facoltà di farle eseguire egli stesso.

     Le suddette opere e spese dovranno essere indicate nella perizia».

   ART. 46. - «E' dovuta un'indennità ai proprietari dei fondi, i quali

all'esecuzione dell'opera di pubblica utilità vengano gravati di servitù o

vengano a soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o dalla

diminuzione di un diritto.

     La privazione di un utile, al quale il proprietario non avesse diritto, non può mai essere tenuta a calcolo nel determinare l'indennità.

     Le disposizioni di questo articolo non sono applicabili alle servitù stabilite da leggi speciali».

     Restano ora, da definire alcuni problemi di coordinamento normativo, in primo luogo l'applicabilità delle maggiorazioni di cui agli artt. 12 e 17 della l. 865/1971, in caso di cessione volontaria riguardante aree edificabili, da indennizzare, quindi, facendo riferimento ai criteri di cui alla l. 2359/1865.

     L'art. 12, primo comma, e l'art. 17, primo comma, della l. 22 ottobre 1971, n. 865, prevedono, infatti, come noto, che espropriando può chiedere la definizione della procedura ablativa, in corso, mediante la stipula di cessione volontaria.

     Il prezzo da corrispondere all'espropriando è pari all'indennizzo determinato in prima istanza dal Presidente della Giunta regionale, maggiorato per una percentuale pari al 50% od al 200% nell'ipotesi, in quest'ultimo caso, che il proprietario sia coltivatore diretto o coltivi direttamente il fondo da acquisire.

     Tale meccanismo maggiorativo muove la sua ragion d'essere dall'astrattezza dei parametri medi prescritti in prima istanza dalla l. 865/1971 e dall'esigenza di incentivare la definizione delle procedure ablative sulla base di meccanismi automatici, quindi snelli e svincolati da valutazioni discrezionali. Trova, perciò, il suo presupposto essenziale di applicazione solo nel contesto organico della legge che lo contiene e non sembra, per tale motivo, possa superare questo limite per disciplinare anche fattispecie sottoposte ad un diverso regime normativo quale è quello di cui all'art. 39 della l. 2359/1865 basato sul valore venale del bene espropriando.

     E' principio incontroverso che, in mancanza di norma espressamente derogativa, tale valore rappresenta il limite massimo di ristoro dovuto al proprietario di un bene espropriato per pubblica utilità.

     Quindi, nell'ipotesi in cui l'indennizzo di un'area edificabile venga determinato in base all'art. 39 e seguenti della l. 2359/1865, lo stesso non può essere oggetto, in caso di cessione volontaria, di alcuna delle maggiorazioni previste dalla l. 865/1971.

     Passando a diverso problema, si ricorda quanto disposto dalla l. 865/1971, art. 17, per l'ipotesi di esproprio afferente a terreno gravato da contratto agrario.

     La predetta disposizione prevede, infatti, che all'eventuale colono, fittavolo, mezzadro o compartecipante, costretto ad abbandonare il fondo, va corrisposta una somma da determinarsi con i criteri di cui all'art. 16 della l. 865/1971 medesima (valori agricoli medi).

     Ove l'area da espropriare abbia caratteristiche edificatorie (ancorché sia coltivata) e sia, quindi, da indennizzare con i criteri di cui alla l. 2359/1865, può domandarsi se sia applicabile la disposizione predetta e quale sia, in caso positivo, l'incidenza di tale circostanza sull'indennizzo da corrispondere al proprietario espropriando.

     E' subito da sottolineare, a tal riguardo, che si è in presenza di situazioni giuridiche autonomamente tutelate rispetto a quelle inerenti alla proprietà.

     Non sembra, quindi, che sulle stesse abbiano in qualche modo influito le note vicende legate ai giudizi di legittimità costituzionale afferenti ai criteri indennizzativi delle aree edificabili.

     All'eventuale fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante che coltivi un'area da indennizzare come edificabile, va, quindi, corrisposta una somma calcolata con i criteri previsti dalla l. 865/1971 per le aree agricole.

     Resta, quindi, da definire, se l'ammontare di tale somma vada, o meno, defalcato dall'indennizzo spettante al proprietario.

     Sul punto l'Avvocatura generale dello Stato, con la già citata nota n. 3017 del 16 gennaio 1984, si è espressa nel senso di ritenere non ininfluente la presenza delle predette situazioni giuridiche agli effetti della determinazione dell'indennizzo spettante al proprietario medesimo.

     Ciò in quanto la presenza di un contratto agrario incide negativamente sul valore di mercato di un bene e l'indennizzo ad esso relativo, parametrato appunto su tale valore, non può, a sua volta, non essere influenzato da tale circostanza.

     Il bene stesso va quindi stimato non come libero, bensì come gravato da contratto agrario.

     Quindi, in altri termini, ove l'indennizzo spettante al proprietario sia riferito alla suscettività edificatoria dell'area esproprianda e sia calcolato con i criteri di cui all'art. 39 e seguenti della l. 2359/1865, la maggior somma, eventualmente spettante ad uno dei soggetti di cui all'art. 17 della l. 865/1971 va defalcata dall'indennizzo da corrispondere al proprietario medesimo.

     E', infine, appena il caso di sottolineare che, ove l'area esproprianda risulti edificata, la determinazione dell'indennizzo va effettuata ai sensi delle norme sopra citate, sulla base di una stima che sia comprensiva sia del valore del suolo, con riferimento alla posizione, alla potenzialità edificatoria, etc., sia del valore dei manufatti, sul suolo stesso insistenti, tenuto conto dello stato d'uso e di ogni altro fattore intrinseco ed estrinseco che il perito riterrà opportuno assumere a base delle argomentazioni che motiveranno il giudizio finale di stima.

 

     6. Aree edificabili - Indennità di occupazione d'urgenza.

     Per quanto attiene alla determinazione delle indennità d'occupazione d'urgenza, va innanzitutto ricordato che resta ferma la competenza degli Uffici tecnici erariali ai sensi dell'art. 20 della l. 865/1971 e successive modificazioni.

     Ovviamente, ove l'occupazione d'urgenza riguardi aree aventi anche suscettività di utilizzo edificatorio, non sono applicabili i criteri di stima di cui all'art. 20 della l. 865/1971 medesima e deve darsi, invece, attuazione all'art. 72 della l. 2359/1865, secondo le modalità applicative enucleabili dalla giurisprudenza della Corte di cassazione.

     L'orientamento di quest'ultima sembra attestato, al riguardo, (Cass. Sez. Un. 15 marzo 1982, n. 1673) sul criterio degli interessi legali calcolati con riferimento all'indennità dovuta per l'esproprio e, quindi, in caso di area edificabile, determinata ai sensi della l. 2359/1865.

 

     7. Aspetti di carattere procedurale.

     Definiti, così, per grandi linee, i problemi di carattere sostanziale afferenti alla determinazione degli indennizzi, restano da delineare alcuni aspetti del tessuto procedurale su cui va innestata la disciplina sostanziale articolata nel duplice regime indennizzativo sopra illustrato.

     Per quanto riguarda, innanzitutto, la fase relativa alla dichiarazione di pubblica utilità, è da dire che non vi sono da segnalare particolari adattamenti.

     Ovviamente la previsione degli oneri finanziari relativi all'esproprio deve già in tale sede tenere conto della duplicità del regime predetto, recentemente radicatosi nell'ordinamento a seguito delle note pronuncie della Corte costituzionale.

     E' quanto mai opportuno, quindi, che prima della definizione di questa fase procedurale, l'ente espropriante accerti, sulle base delle indicazioni più sopra evidenziate, la natura delle aree prescelte per l'intervento e, sulla base della conseguente previsione di spesa, individui, nel modo più opportuno e adeguato, i mezzi finanziari con i quali far fronte alla spesa stessa.

     Per gli interventi in corso di attuazione, tale accertamento si impone prima dell'inizio della procedura espropriativa definitiva, al fine di integrare i mezzi finanziari che risultassero evidentemente inidonei a coprire la spesa derivante dall'applicazione dell'attuale regime indennizzativo.

     Per quanto riguarda la fase iniziale della procedura espropriativa definitiva si sottolinea, poi, che l'art. 10 della l. 865/1971 prevede il contraddittorio con gli interessati, i quali possono presentare le loro osservazioni.

     Tale contraddittorio riguarda tra l'altro, ma si potrebbe dire in modo preminente, gli elementi che siano influenti ai fini della determinazione degli indennizzi.

     E' necessario, quindi, che tra gli atti che l'ente espropriante deposita si sensi della predetta norma figuri anche una relazione tecnica con la quale, secondo le indicazioni sopra illustrate, venga apprezzata la natura agricola od edificatoria delle aree espropriande con riferimento, si sottolinea, alla data di imposizione del vincolo preordinato all'esproprio, coincidente di regola, come già sopra ricordato, con il momento della dichiarazione di pubblica utilità.

     Per agevolare l'ulteriore iter è opportuno, poi, che gli elenchi e le planimetrie individuative degli immobili da espropriare vengano redatti in modo separato al fine di distinguere quelle aree cui l'ente espropriante, sulla base della relazione predetta, attribuisca esclusivo carattere agricolo da quelle cui venga riconosciuto anche carattere edificatorio.

     Gli atti di cui all'art. 10 della l. 865/1971, così integrati, vanno poi, come di consueto, inviati al Presidente della Giunta regionale unitamente alle eventuali osservazioni degli interessati, alle controdeduzioni dell'espropriante ed alle eventuali deduzioni del comune presso cui il deposito è stato effettuato.

     Contestualmente, l'ente espropriante, secondo una prassi peraltro già consolidata sulla base di precedenti circolari, deve far pervenire al Presidente della Giunta regionale una relazione tecnica recante, sulla base di un'adeguata motivazione e documentazione, una proposta di stima delle aree espropriande.

     L'istanza con cui viene richiesto l'esproprio deve, ovviamente, far riferimento alla normativa attualmente vigente e deve essere corredata dalla documentazione attestante l'avvenuta presa d'atto, da parte dell'organo deliberante dell'ente, della spesa occorrente per la definizione degli espropri e l'indicazione dei mezzi finanziari all'uopo approntati.

     Si ricorda che il rappresentante dell'ente deve ricevere, dall'organo deliberante dell'ente stesso, espresso mandato a promuovere le procedure ablative.

     Il Presidente della Giunta regionale, ricevuta la documentazione trasmessa ai sensi dell'art. 10 della l. 865/1971, con le integrazioni sopra indicate, provvede, conseguentemente, a determinare gli indennizzi secondo i criteri ed alla luce degli orientamenti precedentemente illustrati, pronunciandosi, nel contempo, sulle osservazioni eventualmente presentate.

     Riguardo all'ulteriore iter non è da segnalare nessun'altra variazione di rilievo, ad eccezione di quanto già sopra avvertito in ordine alle cessioni volontarie.

     Per i motivi già specificati ed a cui si rinvia, qualora l'indennizzo sia stato determinato sulla base dei criteri contenuti nell'art. 39 e seguenti (agganciati al valore venale) tenuto conto, quindi, della caratteristica edificatoria dell'area esproprianda, non possono essere corrisposte le maggiorazioni sull'indennizzo stesso in caso di stipula della cessione volontaria di cui agli artt. 12 e 17 della l. 865/1971, in quanto connaturate ed intimamente legale al sistema parametrale e non reale di cui all'art. 16 della l. 865/1971 medesima, non applicabile agli indennizzi relativi ad aree edificabili.

     Non è preclusa, quindi, la conclusione non autoritativa dell'acquisizione, a condizione, però, che la controprestazione della cessione volontaria si identifichi nell'ammontare del solo indennizzo determinato ai sensi dell'art. 39 della l. 2359/1865.

     Ove non si pervenga alla cessione volontaria, l'iter va concluso con l'emissione del decreto definitivo di esproprio, come di rito, tanto nel caso in cui vi sia stata accettazione dell'indennità (ma non cessione volontaria) quanto nel caso in cui l'indennità stessa sia stata rifiutata.

     In tale ultima ipotesi la rideterminazione dell'indennità rifiutata viene automaticamente demandata all'Ufficio tecnico erariale competente per territorio.

     Anche per quanto attiene alla procedura di occupazione d'urgenza, non sono da segnalare particolari problemi di adattamento procedurale.

     E' da sottolineare, ancora una volta, la necessità che gli stati di consistenza relativi agli immobili occupati vengano redatti con la massima cura, affinché dagli stessi possano desumersi con chiarezza, e con ampia dovizia documentativa, tutti quegli elementi di giudizio tali da consentire l'individuazione della caratteristica meramente agricola od anche edificatoria degli immobili stessi nonché, in tale ultima ipotesi, tutti quegli elementi, anche di riferimento urbanistico sopra evidenziati, che siano influenti ai fini della determinazione del valore degli immobili medesimi.

     Si ricorda che nel caso di aree aventi suscettività edificatoria, da indennizzare, quindi, con i criteri di cui alla l. 2359/1865, la presenza di contratti agrari gravanti sul terreno espropriando è influente ai fini della determinazione dell'indennizzo nel senso più sopra accennato e quindi, ove accertata, va debitamente documentata all'atto della formazione dello stato di consistenza.

     Per le occupazioni già eseguite ed ove, quindi, gli stati di consistenza siano stati già formati, si rende necessario che gli enti esproprianti inviino al competente Ufficio tecnico erariale, incaricato della determinazione dell'indennità di occupazione d'urgenza, una relazione tecnica integrativa degli stati di consistenza già formati dai quali, eventualmente, non dovessero emergere con chiarezza tutti gli elementi necessari per una corretta valutazione degli immobili occupati.

 

     8. Aspetti di carattere transitorio.

     Per concludere, restano da esaminare alcuni aspetti di carattere transitorio che riguardano le procedure espropriative iniziate sotto il vigore del le norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale e non definite alla data di pubblicazione delle relative sentenze.

     Le norme costituzionalmente illegittime cessano, come è noto, di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza che le ha dichiarate tali (art. 136 Costituzione).

     Esse, cioè, sono inapplicabili.

     L'inapplicabilità investe sia i rapporti giuridici successivi alla dichiarazione di illegittimità costituzionale, sia i rapporti giudici sorti antecedentemente, ad eccezione di quelli qualificabili «esauriti» alla data della pubblicazione della sentenza.

     Cioè, ad esempio, i rapporti consolidatisi in virtù di atti giurisdizionali aventi autorità di giudicato e di atti amministrativi aventi carattere di totale definitività ed intangibilità.

     Nel caso di specie, quindi, vanno individuati quegli atti del procedimento già compiuti alla data di pubblicazione delle note pronuncie della Corte costituzionale che possano dirsi non toccati dagli effetti di queste ultime.

     E' opportuno ricordare che la sentenza n. 5/1980 è stata come noto, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 6 febbraio 1980. La sentenza n. 223/1983 che attiene, si rammenta, alla l. 385/1980, è stata, invece, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 205 del 27 luglio 1983.

     I termini di riferimento temporale sono quindi il 6 febbraio 1980 per le procedure espropriative iniziate prima di tale data sotto il vigore della l. 865/1971 ed il 27 luglio 1983 per le procedure promosse prima di tale data sotto il vigore della l. 385/1983 (c.d. «Legge tampone»).

     Il problema in parola non sussiste, chiaramente, per quelle procedure che attengano ad aree aventi esclusiva suscettività di utilizzo agricolo.

     Come è stato chiarito, infatti, non c'è sostanziale soluzione di continuità nella disciplina di tale fattispecie.

     Non essendo mai stata dichiarata incostituzionale in quanto applicabile alle aree agricole, la l. 865/1971 è, quindi, oggi vigente «a regime» e pertanto le procedure iniziate anche, eventualmente, quelle promosse sotto il vigore della l. 385 (che non prevedeva criteri indennizzativi diversi} possono essere proseguite facendo capo alle norme contenute nella l. 865/1971 medesima avendo, ovviamente, perso rilievo per i motivi sopra illustrati le eventuali clausole «salvo conguaglio».

     Nel riavviare le procedure sospese occorre, ovviamente, verificare la persistente validità ed efficacia degli atti presupposti per l'ulteriore iter, riprendendo l'iter procedurale medesimo dall'ultimo atto ancora valido ed efficace.

     Verificata la persistente validità degli atti presupposti, le procedure vanno rinviate documentando la natura esclusivamente agricola delle aree espropriande con riguardo alla situazione esistente al momento della dichiarazione di pubblica utilità.

     Per quanto attiene, invece, alle procedure pendenti relative ad aree suscettive di utilizzo edificatorio, vanno individuati gli atti che per la loro definitività possano considerarsi validi ai fini della prosecuzione dell'iter stesso e non siano quindi, da rinnovare.

     Relativamente alla procedura espropriativa ordinaria, possono considerarsi definiti:

     - gli atti di accettazione delle indennità, anche con richiesta di cessione volontaria;

     - i provvedimenti di rideterminazione delle indennità di cui all'art. 15 della l. 865/1971, pubblicizzati nei modi di cui all'art. 15 medesimo, avverso ai quali non sia stata proposta, in termini, impugnativa nanti la Corte d'Appello.

     Per quanto attiene alla procedura di occupazione di urgenza, possono, invece, considerarsi definiti:

     - i provvedimenti determinanti le indennità di cui all'art. 20 della l. 865/1971, pubblicizzati nei modi di cui all'art. 20 medesimo, relativamente ai quali vi sia stata accettazione ovvero avverso ai quali non sia stata proposta, in termini, impugnazione nanti la Corte d'Appello.

     Quindi, se la definitività di tali atti emessi in applicazione della l. 865/1971 o della l. 385/1980 non sia intervenuta, rispettivamente, alle date del 6 febbraio 1980 e del 27 luglio 1983, gli atti stessi vanno rinnovati riprendendo la procedura dall'ultimo atto valido.

     Va considerato a parte un problema di carattere transitorio legato alla particolarità procedurale della l. 865/1971.

     L'iter previsto dalla l. 865/1971 predetta si apre, come noto, con l'espletamento degli adempimenti di cui all'art. 10, preordinati all'emissione del provvedimento di cui all'art. 11, con il quale il Presidente della Giunta regionale determina le indennità di esproprio a titolo provvisorio.

     Ove tali indennità non siano accettate, le stesse sono depositate nella Cassa depositi e prestiti (art. 12) e viene, conseguentemente, emesso il decreto definitivo di esproprio.

     Le indennità depositate - è da sottolineare - non sono definitive nel loro ammontare ed hanno, quindi, carattere cauzionale.

     Dal momento della mancata accettazione (ed è qui la particolarità procedurale sopra accennata) si apre, infatti, un sub-procedimento diretto alla rideterminazione dell'indennità in sede amministrativa.

     Tale sub-procedimento può chiudersi con l'accettazione delle indennità rideterminate dagli organi di cui all'art. 15 (attualmente, in Sardegna, gli Uffici tecnici erariali) ovvero con la mancata proposizione in termini avverso alle stesse, da parte degli interessati, del ricorso nanti la Corte d'Appello di cui al successivo art. 19.

     Nel caso si radichi contenzioso nanti il predetto Organo giudiziario, la definitività dell'indennizzo segue le sorti della vertenza.

     Da quanto sopra emerge che il decreto di cui al predetto art. 11 è atto esauriente i suoi effetti od al momento dell'accettazione dell'indennizzo con esso determinato ovvero con la mancata accettazione dell'indennizzo stesso entro il termine di cui all'art. 12.

     Ciò induce a ritenerlo non caducato a seguito delle note pronuncie n. 5/1980 e n. 223/1983 della Corte costituzionale ove, entro le rispettive date di pubblicazione di queste ultime (il 6 febbraio 1980 ed il 27 luglio 1983), si sia verificata la duplice condizione dell'emissione del decreto stesso e dell'infruttuosa scadenza del termine previsto dall'art. 12 per l'accettazione dell'indennità.

     In tal caso, cioè, poiché funzione della determinazione presidenziale non è quella di dare una pronuncia definitiva sull'ammontare delle indennità ma di stabilire una base indennizzativa su cui operare un accordo tra enti esproprianti e proprietari espropriandi, ovvero, in caso di mancata accettazione da parte di questi ultimi, consentire l'emissione del decreto definitivo di esproprio sulla base di un deposito che potremmo definire «cauzionale» e fatte salve le eventuali maggiori indennità scaturenti da una rideterminazione amministrativa ai sensi dell'art 15 della l. 865/1971 e da una rideterminazione in sede contenziosa ai sensi dell'art. 19 della l. 865/1971 medesima, può ragionevolmente sostenersi che, ove il più sopra citato provvedimento di cui all'art. 11 della l. 865/1971 sia stato emesso prima del 7 febbraio 1980 o del 28 luglio 1983 e gli interessati non abbiano accettato le indennità con il medesimo determinate ai sensi della l. 865/1971 o della l. 385/1980, il provvedimento stesso abbia esaurito i suoi effetti e possa considerarsi non toccato dagli effetti delle pronuncie n. 5/1980 e n. 223/1983 della Corte costituzionale, conseguentemente può ammettersi l'utilizzabilità del provvedimento medesimo quale atto presupposto (unitamente al deposito delle indennità nello stesso indicate) del provvedimento definitivo di esproprio.

     A maggior ragione, quando ricorrano le condizioni sopra citate, detto provvedimento di determinazione delle indennità può essere utilizzato quale presupposto per gli atti di cessione volontaria di cui all'art. 12 della l. n. 865/1971 che, quindi, dovranno contenere, nel caso in cui il provvedimento di determinazione delle indennità e l'accettazione siano intervenuti sotto il vigore della l. 385/1980, la riserva di conguaglio eventualmente prevista dal dispositivo del provvedimento stesso.

     A tale ultimo riguardo potrebbero manifestarsi perplessità in considerazione del fatto che intanto gli enti pubblici potevano stipulare atti di cessione volontaria, prima del 28 luglio 1983, con siffatta ultima riserva, in quanto sussisteva una norma (la l. n. 385/1980) che tale riserva consentiva.

     Si tratta, in effetti, di una clausola contrattuale con cui l'ente pubblico si accolla un'obbligazione pecuniaria futura e quantitativamente incerta che, in carenza di legge autorizzativa, non sarebbe consentita. I contratti degli enti pubblici debbono prevedere infatti obbligazioni, a carico degli stessi, di contenuto determinato, o comunque determinabile.

     E' da considerare, però, che la cessione volontaria stipulata in presenza delle condizioni sopra citate non fa altro che formalizzare un rapporto considerabile esaurito al momento in cui vi è stata offerta ed accettazione dell'indennità non richiesta di cessione volontaria, rapporto, quindi, in quanto esaurito, che non sembra toccato dagli effetti della pronuncia della Corteo costituzionale n. 233/1983.

     E' ovvio che in caso di mancata accettazione dell'indennità, collateralmente all'emissione del decreto definitivo di esproprio, va richiesta, agli organi competenti ai sensi dell'art. 15 della l. 865/1971 (in Sardegna tuttora gli Uffici tecnici erariali), la rideterminazione, ai sensi dell'art. 39 e seguenti della l. 2359/1865, dell'indennità non accettata.

     In caso, invece, di cessione volontaria, la rideterminazione delle indennità avverrà nei modi che verranno indicati nella norma di futura emanazione che disciplinerà la materia ed a cui i relativi contratti facciano rinvio per la corresponsione di conguagli.

     Quindi, riepilogando, l'ammontare delle indennità d'esproprio determinate sotto il vigore delle ll. 865/1971 e 385/1980 può considerarsi definitivo ove entro, rispettivamente, il 6 febbraio 1980 ed il 27 luglio 1983:

     - sia stato accettato dagli espropriandi puramente e semplicemente o con richiesta di cessione volontaria;

     - sia stato rideterminato, ai sensi dell'art. 15 della l. 865/1971 e previo espletamento degli atti di pubblicità in esso previsti, non sia stata proposta in termini, avverso il medesimo, impugnazione nanti la Corte d'Appello ai sensi dell'art. 19 della l. 865/1971 medesima.

     Se intervenuto entro tali date, e non vi sia stata accettazione, non va rinnovato il provvedimento di cui all'art. 11 della l. 865/1971 di determinazione provvisoria delle indennità. Queste ultime, pertanto, vanno depositate, come di rito, e può procedersi all'emissione del decreto definitivo di esproprio.

     Resta ferma, in tal caso, l'automaticità della richiesta al competente UTE, ai sensi delle norme oggi vigenti per le aree edificabili, della rideterminazione delle indennità stesse.

     Analogamente, non vanno rideterminate quelle indennità di occupazione d'urgenza che, emesse, alle date di cui sopra ed ai sensi dell'art. 20 della l. 865, non siano state ritualmente, in termini, impugnate nanti la Corte d'Appello ai sensi dell'art. 20 della l. 865/1971 medesima.

     E' evidente che ove non ricorra nessuna delle ipotesi di definitività sopra illustrata, la procedura va rinnovata partendo dall'ultimo atto che risulti attualmente ancora valido.

     Si ritiene opportuno sottolineare che, essendo un elemento imprescindibile di giudizio per l'applicazione dell'attuale duplice regime indennizzativo, sia nel caso di instaurazione ex novo delle procedure, sia nel caso di riavviamento delle procedure già iniziate, occorre che l'ente espropriante, unitamente alle relative istanze dirette al Presidente della Giunta regionale, produca sempre una relazione tecnica da cui sia desumibile, alla luce di quanto più sopra indicato, la natura esclusivamente agricola od anche edificatoria delle aree espropriande.