§ 58.13.1 – L. 15 luglio 1966, n. 604.
Norme sui licenziamenti individuali.


Settore:Normativa nazionale
Materia:58. Lavoro
Capitolo:58.13 licenziamenti
Data:15/07/1966
Numero:604


Sommario
Art. 1. 
Art. 2. 
Art. 3. 
Art. 4. 
Art. 5. 
Art. 6. 
Art. 7.  [7]
Art. 8. 
Art. 9. 
Art. 10. 
Art. 11. 
Art. 12. 
Art. 13. 
Art. 14. 


§ 58.13.1 – L. 15 luglio 1966, n. 604.

Norme sui licenziamenti individuali.

(G.U. 6 agosto 1966, n. 195).

 

     Art. 1.

     Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento e di contratto collettivo o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell'art. 2119 del Codice civile o per giustificato motivo.

 

          Art. 2. [1]

     Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro.

     La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato [2].

     Il licenziamento intimato senza l'osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace.

     Le disposizioni di cui al comma 1 e di cui all'articolo 9 si applicano anche ai dirigenti.

 

          Art. 3.

     Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

 

     Art. 4. [3]

     Il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza a un sindacato, dalla partecipazione ad attività sindacali o conseguente all'esercizio di un diritto ovvero alla segnalazione, alla denuncia all'autorità giudiziaria o contabile o alla divulgazione pubblica effettuate ai sensi del decreto legislativo attuativo della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, è nullo.

 

     Art. 4. [4]

     Il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali è nullo, indipendentemente dalla motivazione adottata.

 

          Art. 5.

     L'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro.

 

          Art. 6.

     Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso [5].

     L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo [6].

     A conoscere delle controversie derivanti dall'applicazione della presente legge è competente il pretore.

 

          Art. 7. [7]

     1. Ferma l'applicabilità, per il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, dell'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all'articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore.

     2. Nella comunicazione di cui al comma 1, il datore di lavoro deve dichiarare l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonchè le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.

     3. La Direzione territoriale del lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta: l'incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile.

     4. La comunicazione contenente l'invito si considera validamente effettuata quando è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta.

     5. Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro.

     6. La procedura di cui al presente articolo non trova applicazione in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto di cui all'articolo 2110 del codice civile, nonchè per i licenziamenti e le interruzioni del rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui all'articolo 2, comma 34, della legge 28 giugno 2012, n. 92. La stessa procedura, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della commissione di cui al comma 3, procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si conclude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l'incontro, fatta salva l'ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore. La mancata presentazione di una o entrambe le parti al tentativo di conciliazione è valutata dal giudice ai sensi dell'articolo 116 del codice di procedura civile [8].

     7. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l'impiego (ASpI) e può essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l'affidamento del lavoratore ad un'agenzia di cui all'articolo 4, comma 1, lettere a), c) ed e), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

     8. Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell'indennità risarcitoria di cui all'articolo 18, settimo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e per l'applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile.

     9. In caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all'incontro di cui al comma 3, la procedura può essere sospesa per un massimo di quindici giorni.

 

          Art. 8. [9]

     Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.

 

          Art. 9.

     L'indennità di anzianità è dovuta al prestatore di lavoro in ogni caso di risoluzione del rapporto di lavoro.

 

          Art. 10. [10]

     Le norme della presente legge si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio, ai sensi dell'articolo 2095 del Codice civile e, per quelli assunti in prova, si applicano dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro.

 

          Art. 11.

     (Omissis) [11].

     La materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale è esclusa dalle disposizioni della presente legge.

 

          Art. 12.

     Sono fatte salve le disposizioni di contratti collettivi e accordi sindacali che contengano, per la materia disciplinata dalla presente legge, condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.

 

          Art. 13.

     Tutti gli atti e i documenti relativi ai giudizi o alle procedure di conciliazione previsti dalla presente legge sono esenti da bollo, imposta di registro e da ogni altra tassa o spesa.

 

          Art. 14.

     La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


[1] Articolo sostituito dall'art. 2 della L. 11 maggio 1990, n. 108.

[2] Comma così sostituito dall'art. 1 della L. 28 giugno 2012, n. 92.

[3] Articolo così sostituito dall'art. 24 del D.Lgs. 10 marzo 2023, n. 24, con la decorrenza ivi prevista. Per il testo previgente, vedi infra.

[4] Testo previgente alla sostituzione apportata dall'art. 24 del D.Lgs. 10 marzo 2023, n. 24.

[5] Comma così sostituito dall'art. 32 della L. 4 novembre 2010, n. 183.

[6] Comma sostituito dall'art. 32 della L. 4 novembre 2010, n. 183 e così modificato dall'art. 1 della L. 28 giugno 2012, n. 92. La Corte costituzionale, con sentenza 14 ottobre 2020, n. 212, ha dichiarato l'illegittimità del presente comma, come sostituito dall’art. 32, comma 1, della L. 183/2010, nella parte in cui non prevede che l’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, oltre che dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, anche dal deposito del ricorso cautelare anteriore alla causa ai sensi degli artt. 669-bis, 669-ter e 700 del codice di procedura civile.

[7] Articolo sostituito dall'art. 1 della L. 28 giugno 2012, n. 92.

[8] Comma così sostituito dall'art. 7 del D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 99.

[9] Articolo così sostituito dall'art. 2 della L. 11 maggio 1990, n. 108.

[10] La Corte costituzionale, con sentenza 4 febbraio 1970, n. 14 ha dichiarato l'illegittimità del presente articolo nella parte in cui non comprende gli apprendisti tra i beneficiari dell'indennità dovuta ai sensi dell'art. 9 della presente legge; con sentenza 28 novembre 1973, n. 169, la stessa Corte ha dichiarato l'illegittimità del presente articolo nella parte in cui esclude gli apprendisti dalla sfera di applicabilità degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 11, 12, 13 della presente legge; con sentenza 22 dicembre 1980, n. 189 l'illegittimità del presente articolo nella parte in cui esclude il diritto del prestatore di lavoro, che riveste la qualifica di impiegato o di operaio ai sensi dell'art. 2095 cod. civ., a percepire l'indennità di cui all'art. 9 della presente legge quando assunto in prova e licenziato durante il periodo di prova medesimo; con sentenza 3 aprile 1987, n. 96 l'illegittimità del presente articolo nella parte in cui non prevede l'applicabilità della presente legge al personale marittimo navigante delle imprese di navigazione; con sentenza 31 gennaio 1991, n. 41 l'illegittimità del presente articolo nella parte in cui non prevede l'applicabilità della presente legge al personale navigante delle imprese di navigazione aerea.

[11] Comma abrogato dall'art. 6 della L. 11 maggio 1990, n. 108.