§ 4.4.76 - D.G.R. 22 aprile 2002, n. 709.
Linee-Guida per la progettazione, costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio e di stabilizzazione dei rifiuti. Approvazione.


Settore:Codici regionali
Regione:Basilicata
Materia:4. assetto del territorio
Capitolo:4.4 tutela dell'ambiente
Data:22/04/2002
Numero:709

§ 4.4.76 - D.G.R. 22 aprile 2002, n. 709. [1]

Linee-Guida per la progettazione, costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio e di stabilizzazione dei rifiuti. Approvazione.

(B.U. 8 maggio 2002, n. 32).

 

     LA GIUNTA REGIONALE

     (omissis)

     DELIBERA

     Di approvare ai sensi dell'art. 4 - comma 3 lett. c) della L.R. n. 6/2001, le allegate Linee guida per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio e di stabilizzazione dei rifiuti".

     La presente deliberazione e l'allegato saranno pubblicati integralmente sul BUR.

     Avverso il presente provvedimento è ammesso ricorso al TAR Basilicata nel termine di 60 gg. dalla data di pubblicazione sul BUR.

     Il presente atto non comporta oneri.

 

Linee guida per la progettazione, la costruzione e la gestione

degli impianti di compostaggio e di stabilizzazione.

 

     Premessa

     Le “Linee guida regionali per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio e biostabilizzazione” rappresentano lo strumento predisposto dell'Amministrazione per garantire che la realizzazione e l'esercizio degli impianti di trattamento biologico siano caratterizzati da standard processistici ed ambientali efficaci; contestualmente, lo strumento può coadiuvare la valutazione (es. in sede di istruttoria tecnica dei progetti) della sostenibilità, sia processistica che ambientale, delle iniziative legate alla gestione della componente organica dei rifiuti urbani (RU).

     Le Linee Guida mirano dunque ad essere contemporaneamente:

     – uno strumento di programmazione, ad integrazione dei Documenti di Piano,

     – un ausilio ai progettisti definendo il contorno operativo ed ambientale all'interno del quale possono liberamente svilupparsi le specificità progettuali (tecnologie adottate, composizione planimetrica delle diverse aree operative, caratteristiche architettoniche dei manufatti, ecc.) delle singole iniziative,

     – un supporto per la valutazione dei progetti, al fine di garantire uniformità di giudizio.

     In tale modo, le Linee Guida mirano a garantire uno sviluppo corretto, uniforme, solido delle strategie e degli impianti volti al trattamento e valorizzazione delle frazioni organiche del RU e delle biomasse in genere.

     L'obiettivo di individuare una tendenziale standardizzazione degli approcci operativi e gestionali è dunque inteso a portare al consolidamento di un sistema impiantistico proporzionato alle esigenze del territorio, ed all'avanguardia sia per il raggiungimento degli obiettivi preposti sia per la tutela dell'ambiente, che rispetti quindi criteri generali di gestione e le esigenze locali essenzialmente legate:

     – al conseguimento degli obiettivi operativi (stabilizzazione agronomica o pre-discarica delle biomasse trattate),

     – al contenimento dei potenziali impatti o molestie nei confronti dei cittadini.

     Occorre tuttavia garantire contemporaneamente la possibilità di approcci differenziati al medesimo problema, con soluzioni tecnico-progettuali che presentano importanti differenze pur rispettando tutte le esigenze di base qui presentate, sempre tenendo presente che non esiste un sistema tecnologico ottimale in tutte le situazioni sotto tutti i punti di vista (operativo, gestionale, tecnico ed economico); esistono piuttosto delle condizioni di adozione e gestione delle diverse tecnologie, con specifiche vocazioni d'uso, ed a tali condizioni cercheremo di fare riferimento nell'analisi delle diverse possibili tecnologie adottabili.

     Il documento si concentra dunque su quelle indicazioni tese a:

     a. Garantire una ottimale e proporzionata progettazione della rete impiantistica e dei singoli impianti da prevedere nella Regione Basilicata, tenendo conto delle garanzie costruttive, di sicurezza e funzionalità;

     b. Garantire le condizioni efficaci di avviamento degli impianti e della strategia cui gli stessi sono asserviti (recupero delle frazioni selezionate alla fonte mediante compostaggio, trattamento biologico delle frazioni fa selezione meccanica del rifiuto indifferenziato);

     c. Ottimizzare i processi gestionali in relazione agli obiettivi previsti;

     d. Minimizzare le esternalità ambientali degli impianti, in particolare per quanto riguarda le molestie o gli impatti ambientali;

     e. Informare e costruire il consenso dell'opinione pubblica in relazione agli obiettivi preposti e alle garanzie di sicurezza fornite.

     Per garantire quanto sopra, è evidentemente necessario fornire indicazioni sui “processi unitari”, ossia gli elementi che vanno a comporre un sistema operativo, descritti nei loro obiettivi e specificità, quali:

     – sistemi di pre-e post-trattamento,

     – sistemi di presidio ambientale,

     – fondamenti di processo,

     – strumenti per la regolazione dello stesso,

     ecc. indicando - ove opportuno - le necessità di dotazione e di dimensionamento parametrico in relazione alle differenti condizioni operative; il documento si astiene invece opportunamente da indicazioni prescrittive sui singoli sistemi di processo (ossia le proposte tecnologiche che compongono i diversi elementi tecnologici per dare risposta in forma compiuta alla domanda di impianti) pur segnalandone alcune condizioni di impiego e vocazioni d'uso. Le indicazioni riportate nelle linee guida devono mantenere infatti carattere indicativo, segnalando specificità, problemi e condizioni delle diverse situazioni operative e delle diverse soluzioni tecnologiche sviluppate per darvi soluzione.

     In tale modo, il documento mira al duplice obiettivo di salvaguardare contestualmente le garanzie di affidabilità tecnico-operativa e la propensione all'innovazione tecnologica.

     1. I TRATTAMENTI BIOLOGICI DELLE FRAZIONI ORGANICHE

     1.1 Rassegna sintetica dei materiali trattabili

     La componente organica dei rifiuti urbani rappresenta la frazione omogenea prevalente in peso, nonché la più problematica da gestire con i sistemi tradizionali di smaltimento, per gli impatti ambientali che genera. Gli impianti di trattamento biologico in genere consentono di trattare la componente organica dei rifiuti al fine di riciclarla sotto forma di fertilizzanti organici oppure di stabilizzarla al fine di ridurre gli impatti ambientali che si possono originare dal suo smaltimento definitivo in discarica.

     Si delineano quindi due linee operative strategiche complementari che originano due distinti flussi di materiale organico:

     a. compostaggio di frazioni organiche “di qualità” e biomasse separate a monte tramite raccolta differenziata, o rifiuti organici originati da specifiche attività produttive o di recupero che consentono di ottenere un flusso omogeneo e ben caratterizzabile analiticamente e merceologicamente;

     b. trattamento biologico di rifiuti indifferenziati con contenuto variabile di sostanze organiche, o frazioni organiche non di qualità derivanti dal trattamento meccanico di rifiuti indifferenziati (vagliatura) o di frazioni organiche selezionate ma con carico di elementi pericolosi relativamente elevato (es. alcuni fanghi di depurazione civile).

     Rammentiamo che nella gestione integrata dei rifiuti urbani occorre dare priorità all'avvio e consolidamento della raccolta differenziata, al fine di intercettare in purezza ed alla fonte la maggior quantità possibile di frazione organica presente. Occorre però tenere presente che la raccolta dell'organico non può raggiungere un'efficienza prossima all'unità, e ciò significa che una parte dell'organico non viene intercettato e separato, rimanendo quindi all'interno dei rifiuti indifferenziati da avviare allo smaltimento. E' necessario quindi prevedere opportuni sistemi di separazione e trattamento di questa componente organica non differenziata al fine di ridurre il carico inquinante dei rifiuti da smaltire.

     Seguendo una classificazione merceologica dei rifiuti di derivazione urbana, per quanto riguarda i rifiuti organici in purezza, separati alla fonte tramite raccolta differenziata, si individuano le seguenti categorie (si faccia riferimento all'art. 16 del D.M. 5 Febbraio 1998) di materiali che possono essere sottoposti a trattamenti biologici:

     – rifiuti di provenienza alimentare collettiva, domestica e mercatale (da raccolte “secco-umido” in ambito urbano);

     – rifiuti vegetali provenienti da attività di manutenzione del verde pubblico e privato e scarti lignocellulosici naturali (trucioli e segature non contaminati, cassette e bancali non trattati);

     – materiale cartaceo.

     A queste possono poi essere assimilate per omogeneità dei flussi e costanza delle caratteristiche chimiche e merceologiche, anche le seguenti categorie di rifiuti agricoli e speciali:

     – fanghi di depurazione civile;

     – altre biomasse agricole ed agroindustriali (paglie, lolla, graspi e vinacce, fanghi agroindustriali, ecc.).

     Per quanto riguarda invece i residui organici presenti nei rifiuti indifferenziati da destinare a smaltimento finale si possono individuare i seguenti materiali da trattare biologicamente:

     – rifiuti indifferenziati tal quali;

     – frazione organica ottenuta per separazione meccanica da un flusso di rifiuti indifferenziati.

     Si riportano di seguito alcuni specifici approfondimenti sulle condizioni di trattamento relative alle principali frazioni elencate in precedenza.

     1.1.1 Rifiuti organici di provenienza alimentare

     Spesso definiti anche come Frazione Organica dei Rifiuti Urbani (FORSU) ottenuta da raccolta differenziata “secco-umido”. Si tratta di una frazione omogenea costituita dagli scarti organici derivanti dalla preparazione dei cibi e dai resti dei pasti, sia domestici che da utenze collettive (ristorazione o mensa). A queste si aggiungono gli eventuali scarti mercatali raccolti sia nei mercati generali che in quelli locali. Le esperienze pilota sviluppate in ambito nazionale hanno dimostrato ottimi risultati quali-quantitativi, sia per la capacità di intercettazione che per il grado di purezza merceologica (tabella 1).

     Tabella 1: prestazioni tipiche dei sistemi di raccolta secco-umido

Sistema

Intercettazione complessiva

Purezza

 

di scarto di cucina

merceologica

 

(min-max)

(tipico)

Domiciliarizzato classico

170-350 g ab-1 giorno-1

96-98%

Doppio contenitore stradale

50-150 g ab-1 giorno-1

90-97%

     Dal punto di vista tecnico-gestionale questa frazione organica presenta una elevata fermentescibilità unita ad una ridotta capacità strutturante, caratteristiche che ne richiedono un veloce avvio a trattamento per evitare problemi riconducibili alle emissioni odorigene causati dall'innescarsi di fenomeni putrefattivi. Anche per quanto detto il suo stoccaggio temporaneo, pretrattamento e le prime fasi di trasformazione devono essere preferibilmente collocate in un luogo chiuso e dotato di opportuni presidi ambientali, a meno di localizzazioni particolarmente favorevoli (distanze dagli insediamenti prossimi dell'ordine dei chilometri) e di dimensioni operative particolarmente contenute (sotto le 1000-2000 ton/anno).

     1.1.2 Scarti “verdi” ed altri materiali legnosi

     Si tratta dei materiali di risulta delle attività di manutenzione e cura del verde pubblico e privato, raccolti in purezza e separati dagli altri flussi di rifiuti alla fonte. In questa tipologia di scarti organici ricadono poi, per coerenza compositiva, anche le biomasse di risulta di attività agricole e boschive, i resti legnosi delle attività industriali e artigianali che impiegano legno o fibre vegetali non trattate. I materiali compresi in questa frazione si distinguono per avere una più ridotta reattività biochimica e per essere dotati di una elevata capacità strutturante, risultando quindi complementari rispetto alla frazione precedente.

     1.1.3 Fanghi civili ed agro-industriali

     I fanghi derivanti da impianti di depurazione delle acque reflue civili e dagli impianti agro-industriali presentano un elevato contenuto di sostanza organica che li rende idonei a subire trattamenti biologici. Generalmente presentano delle caratteristiche compositive e quantitative costanti nel tempo. Occorre però monitorarne il contenuto in elementi di disturbo (microinquinanti organici ed inorganici, quali i metalli pesanti) al fine di valutarne l'ipotesi di una loro efficace valorizzazione agronomica. I ristretti limiti di qualità introdotti da Decreto MiPAF 27/3/98 (“Modificazione all'allegato 1C della L. 19 ottobre 1984 n. 748 recante nuove norme per la disciplina dei fertilizzanti”) che definisce quali compost vanno intesi come prodotti fertilizzanti liberamente ammissibili alla vendita, risultano difficilmente rispettabili da molti fanghi civili, in quanto i relativi distretti di depurazione ricevono, oltre alle acque da caditoie stradali, anche molti flussi di reflui industriali. Il controllo analitico è dunque sempre opportuno.

     1.1.4 Carta e cartone

     Da un punto di vista processistico ed agronomico, il materiale cartaceo, in relazione alle sue caratteristiche chimico-fisiche, è un ottimo costituente delle miscele di materiale organico inviate al compostaggio. La valorizzazione agronomica mediante compostaggio è:

     – senz'altro possibile per la carta bianca e da cucina;

     – ormai assodata per la carta di giornale, grazie a nuove tecniche di stampa che permettono di contenere gli apporti in elementi di disturbo;

     – generalmente ritenuta possibile anche per la carta patinata (riviste/periodici) generalmente commercializzata in Europa;

     – va ovviamente esclusa per i poliaccoppiati parzialmente cartacei, ameno di sistemi di pretrattamento che consentano la separazione delle diverse componenti.

     Le analisi disponibili attestano, nel complesso del materiale cartaceo da raccolte differenziate, livelli di contaminazione molto bassi per quanto concerne i parametri di valutazione relativi agli elementi potenzialmente inquinanti (con particolare riferimento ai metalli pesanti).

     Va evidenziato che in fondo questi materiali, per i quali localmente possono crearsi condizioni economiche sfavorevoli al recapito ai sistemi industriali di recupero della carta, costituiscono un ottimo supporto cellulosico alternativo, in grado di condizionare positivamente umidità e C/N delle miscele da compostare (scenari locali con deficit di biomasse lignocellulosiche); inoltre, se raccolti congiuntamente all'”umido” domestico (es. utilizzo di carta di giornale per il primo contenimento dello scarto di cucina) consentono una gestione più ordinata dei manufatti per il primo contenimento (bidoni, secchi) assorbendo l'umidità in eccesso e contenendo fortemente gli odori. Queste indicazioni operative e comportamentali sono da tempo in adozione in diversi comprensori esteri.

     1.1.5 Rifiuti indifferenziati e frazione organica non valorizzabile

     La frazione organica residua contenuta nei rifiuti indifferenziati può essere sottoposta a trattamento biologico sia trattando l'intera massa dei rifiuti, sia separandola meccanicamente tramite vagliatura dalla frazione inorganica ed inerte. La frazione organica che ne deriva presenta delle caratteristiche analitiche e merceologiche intuitivamente peggiori rispetto alla frazione organica da raccolta differenziata e da ciò consegue l'impossibilità di una sua piena valorizzazione in ambito agricolo. Il suo destino è dunque:

     quello dello smaltimento controllato (in tal caso il trattamento biologico si configura come trattamento pre-discarica in coerenza con quanto previsto dall'art. 5 comma 6 del Dlgs. 22/97 e dall'art. 6 della Dir. 99/31 CE sulle discariche)

     quello dell'applicazione controllata in agricoltura (1) (in base ai meccanismi di “spandimento controllato di cui alla Del. Comitato Interministeriale 27/7/84, con rispetto del massimo carico ammissibile, analisi del suolo pre-e post-applicazione, richiesta di autorizzazione al sito di spandimento e valutazione dell'apporto in metalli pesanti sull'unità di superficie) o, meglio, in operazioni di recupero ambientale di siti compromessi (2).

     1.2 I diversi tipi di trattamento biologico

     Con la definizione di “trattamenti biologici”, si intende il complesso delle operazioni, processi ed attività a carico di materiali biodegradabili di varia natura, che sfruttando le potenzialità degradative e di trasformazione da parte di sistemi biologici (essenzialmente legati all'attività di microrganismi decompositori), consentono una mineralizzazione delle componenti organiche maggiormente degradabili (processo definito anche come “stabilizzazione” della sostanza organica) e l'igienizzazione per pastorizzazione della massa di rifiuti.

     Scopo dei trattamenti biologici è quindi:

     a) raggiungere la stabilizzazione della sostanza organica (ossia la perdita di fermentescibilità) mediante la mineralizzazione delle componenti organiche più aggredibili, con produzione finale di acqua ed anidride carbonica e loro allontanamento dal sistema biochimico; tale processo è inteso a garantire la compatibilità tra i prodotti finali e le ipotesi di impiego agronomico o la loro collocazione in ambito confinato (discarica); un prodotto organico “stabile”, infatti nel suolo agricolo non produce più metaboliti (intermedi di degradazione) ad effetto fitotossico, né consuma ossigeno (necessario per la trasformazione delle componenti organiche “fresche”), sottraendolo alle piante ed alla microflora del terreno; in discarica, il materiale organico stabilizzato non comporta massicci processi di degradazione anaerobica a carico delle componenti organiche facilmente degradabili di cui la sostanza organica “fresca” è invece ricca (con conseguente produzione di biogas e percolato ad elevata aggressività).

     b) conseguire la igienizzazione della massa; ciò consente di debellare i fitopatogeni presenti nei residui vegetali, impedendo che il compost ne diventi vettore, nonché i patogeni umani veicolati presenti nei materiali di scarto (es.: fanghi civili);

     c) ridurre il volume e la massa dei materiali trattati al fine di renderne più agevole ed economico il trasporto e, nel caso di materiale da destinare a smaltimento in discarica, di ridurre il volume occupato rispetto ai rifiuti non trattati.

     Il trattamento biologico delle frazioni organiche di rifiuto può essere realizzato con differenti tecnologie e processi, riconducibili a tre tipologie, che è opportuno mantenere terminologicamente distinte:

     a) Compostaggio di qualità, a carico di biomasse di buona qualità selezionate alla fonte, indirizzato alla produzione di materiali valorizzabili nelle attività agronomiche e commerciabili in coerenza con il disposto della L. 748/84 modd. intt. sui fertilizzanti

     b) Trattamento biologico di biostabilizzazione o bioessiccazione, a carico di matrici organiche di qualità inferiore (quali frazioni organiche da separazione meccanica del rifiuto indifferenziato, fanghi biologici con presenza relativamente elevata di metalli pesanti, ecc.); l'obiettivo può essere variamente inteso come:

     – stabilizzazione pre-discarica, intesa come “trattamento” in coerenza con la Direttiva 99/31 CE sulle discariche e con l'art. 5 comma 6 del D.lgs. 22/97

     – produzione di materiali stabilizzati (spesso definite come “Frazioni Organiche Stabilizzate” o “compost da rifiuti” o “compost grigio”) per applicazioni controllate in attività paesistico-ambientali

     – bioessiccazione, ossia asportazione relativamente veloce (nell'arco di 15-20 giorni) di gran parte dell'umidità originariamente presente, in modo da aumentare il potere calorifico della massa in previsione di utilizzi energetici; l'obiettivo viene perseguito mediante lo sfruttamento delle capacità di asportazione di umidità da parte delle arie di processo insufflate nella massa, e si avvale comunque del concorso dei processi di degradazione parziale della sostanza organica, grazie all'aumento delle capacità evaporative del sistema per il calore biogeno generato appunto da tali processi di degradazione

     c) Digestione anaerobica in cui la fase di degradazione intensiva viene gestita in ambiente anossico allo scopo di conservare l'energia biochimica della sostanza organica sotto forma di biogas; la digestione anaerobica può avvenire a carico di matrici organiche di elevata qualità selezionate alla fonte (e dunque essere inserita in una filiera di valorizzazione agronomica) o di materiali di qualità inferiore (da selezione meccanica o con contaminazioni relativamente elevate in metalli pesanti); in quest'ultimo caso il digestato (ossia il materiale palabile residuato dalla fase di digestione) può essere poi indirizzato alla stabilizzazione pre-discarica, alla bioessiccazione od alla produzione di materiali per applicazioni controllate paesistico-ambientali. Per il pieno conseguimento di tali obiettivi la digestione anaerobica richiede generalmente l'integrazione con una fase di finissaggio aerobico (ossia una sezione di post-compostaggio del digestato, che altrimenti va gestito come un fango ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dal D.lgs. 99/92 sulla applicazione dei fanghi in agricoltura). Alla digestione anaerobica ed alle condizioni per la sua integrazione nel sistema dei trattamenti biologici dedicheremo una apposita sezione, mettendone in risalto le specificità rispetto al trattamento aerobico.

     Nel resto del documento adotteremo anche la seguente terminologia con i relativi significati:

     Biotrasformazione = bioconversione: ossia la trasformazione a carico della biomassa compiuta da agenti di tipo biologico (essenzialmente microrganismi)

     Bioconversione aerobia o Stabilizzazione aerobia: il processo di bioconversione che avviene in condizioni aerobiche, ovvero in presenza di ossigeno; comprende dunque il compostaggio e la biostabilizzazione aerobica dei rifiuti indifferenziati, ma non la digestione anaerobica. Le tecnologie di processo adottabili per il compostaggio sono dunque applicabili mutatis mutandis, anche per la biostabilizzazione aerobica dei rifiuti indifferenziati.

     1.3 Le tecnologie per la bioconversione aerobica

     1.3.1 Generalità sul compostaggio di qualità

     Il compostaggio di qualità può interessare come matrici in ingresso sia i soli scarti lignocellulosici raccolti in purezza, sia gli scarti organici da raccolta differenziata secco-umido (scarti alimentari da utenze domestiche, commerciali, di servizio) in miscela con gli scarti lignocellulosici (materiale strutturante o di “bulking”) ed eventualmente anche con fanghi che abbiano adeguate caratteristiche qualitative ed altre matrici compostabili ad elevata fermentescibilità, umidità e basso grado di strutturazione (es. scarti agroindustriali, liquami zootecnici, ecc.).

     A seconda della tipologia delle matrici trattate devono essere predisposti adeguati sistemi tecnologici di processo e di presidio; il compostaggio di soli scarti lignocellulosici, quali le risulte da manutenzione del verde, può avvalersi delle condizioni favorevoli di aerazione naturale per processi diffusivi e convettivi nella massa, favoriti dalla buona porosità della stessa, mentre il basso potenziale odorigeno di tali materiali facilita la prevenzione di fenomeni odorosi mediante alcuni accorgimenti gestionali relativamente semplici.

     Invece, la fermentescibilità tipica di scarti quali le matrici alimentari richiede di considerare la disposizione di adeguati sistemi di governo del processo mediante l'adduzione di flussi d'aria alla massa (per drenare il calore in eccesso ed apportare ossigeno) e generalmente – a meno di localizzazioni favorevoli e basse capacità operative – l'allestimento di tecnologie di presidio ambientale per il controllo e l'abbattimento degli odori.

     Come già sottolineato, l'obiettivo ultimo del compostaggio di qualità è la produzione di materiali stabilizzati ed igienizzati, con basso contenuto di sostanze potenzialmente inquinanti, manipolabili, commerciabili ed utilizzabili in agricoltura in coerenza con il disposto della L. 748/84 modd. intt. Il tutto garantendo al contempo la minimizzazione dei disturbi ambientali indotti, con particolare riferimento all'abbattimento delle potenziali molestie olfattive.

     1.3.2 I fattori di scelta delle tecnologie e la coerenza operativa degli impianti

     La stabilizzazione biologica delle biomasse di scarto è un processo naturale che può essere coadiuvato da una molteplicità di opzioni tecnologiche (fattori di scelta); il settore del compostaggio e dei trattamenti biologici in generale è ampiamente sviluppato, a livello nazionale e mondiale, ed ha generato una molteplicità di approcci in relazione alle differenti situazioni territoriali, alle diverse condizioni gestionali, alle diverse biomasse trattate all'attenzione prestata al contenimento degli impatti ambientali verso l'intorno territoriale (con particolare riferimento alle molestie olfattive) ecc.

     Molte delle aziende fornitrici propongono sistemi operativi completi, ossia comprensivi sia delle sezioni ed attrezzature per la bioconversione sensu strictu, che dei sistemi ed attrezzature per il pretrattamento (es. per il condizionamento della biomassa, o la sua selezione preliminare) od il postrattamento (generalmente, per l'allontanamento dei corpi estranei mediante raffinazione dimensionale ed a volte densimetrica). In altri casi, gli impianti vengono realizzati per composizione di diversi sistemi operativi ed attrezzature, ad es. adottando una certa tecnologia di processo e inserendo nello schema operativo un certo pretrattamento per rendere la tipologia di materiale da compostare massimamente adatto alla bioconversione con quella tecnologia.

     Nella molteplicità degli approcci possibili, è importante comunque che le scelte progettuali e gestionali tengano conto delle condizioni poste dal quadro operativo al contorno (localizzazione, capacità operative, tipologia di materiali trattati, ecc.) al fine di massimizzare l'efficacia di processo e minimizzare i disturbi ambientali.

     Va dunque ricercata la coerenza tra:

     a) Tipologia delle matrici da compostare (caratteristiche della miscela di partenza);

     b) Situazione territoriale (che influisce ad es. sul grado necessario di attenzione al contenimento degli impatti olfattivi);

     c) Sistema di processo (connotati tecnologici del progetto);

     d) Criteri gestionali (strategie di processo).

     Di seguito riportiamo dunque una rassegna delle tecnologie adottabili per la gestione dei processi di bioconversione aerobica, specificando le rispettive vocazioni specifiche e le condizioni di adozione.

     Nello sviluppo della rassegna, adotteremo il seguente schema logico:

     1) faremo inizialmente riferimento al “cuore” del sistema, cioè i fondamenti del processo biologico aerobico, in quanto alla loro ottimizzazione sono intese in gran parte le scelte progettuali;

     2) svilupperemo poi l'esame delle diverse tecnologie di processo, raggruppate per categorie in relazione alle esigenze e condizioni unitarie

     3) successivamente si accennerà ai pretrattamenti e i trattamenti finali necessari rispettivamente per predisporre le matrici all'aggressione biologica e per ottenere un prodotto finale idoneo all'impiego ed alla commercializzazione

     4) infine forniremo delle indicazioni sui presidi ambientali al contorno dell'iniziativa, con specifico riferimento a genesi e natura degli odori e criteri per la minimizzazione e l'abbattimento.

     1.3.3 I fondamenti processistici: i fattori di governo del processo biologico

     Ricordiamo che il processo di compostaggio è un processo

     – aerobico (necessità di ossigeno per la mineralizzazione delle componenti a maggiore fermentescibilità, con conseguente stabilizzazione della biomassa), ed

     – esotermico (viene prodotto calore che va in certa misura allontanato dal sistema, onde evitare il surriscaldamento della biomassa in eccesso rispetto ai valori ottimali di range delle temperature)

     Il processo di compostaggio può essere descritto e suddiviso in due fasi:

     – Fase attiva (anche definita di “Biossidazione accelerata” o “ACT - active composting time”), in cui sono più intensi e rapidi i processi degradativi a carico delle componenti organiche maggiormente fermentescibili; in questa fase, che si svolge tipicamente in condizioni termofile, si raggiungono elevate temperature, si palesa la necessità di drenaggio dell'eccesso di calore dal sistema e si ha una elevata richiesta di ossigeno necessario alle reazioni biochimiche;

     – Fase di maturazione (o fase di curing) in cui si completano i fenomeni degradativi a carico delle molecole meno reattive ed in cui intervengono reazioni di trasformazione e polimerizzazione a carico delle stesse (con particolare riferimento alla lignina) che portano alla “sintesi” delle sostanze humiche. Sia le esigenze di drenaggio di calore che quelle di adduzione di ossigeno al sistema sono minori rispetto alla fase attiva.

     I fattori principali di controllo del processo, che garantiscono le ottimali condizioni di sviluppo della microflora e che consentono di accelerare la reazione di decomposizione-trasformazione, sono rappresentati da:

     – Concentrazione di ossigeno (ed il rapporto ossigeno/anidride carbonica); la permanenza della concentrazione di ossigeno a livelli superiori al 15% garantisce il perdurare delle condizioni di perfetta aerobiosi indispensabile per la accelerazione del metabolismo batterico aerobio; ciò a sua volta consente di ridurre od annullare i fenomeni putrefattivi (causa primaria di genesi di odori molesti); il flusso di aria deputato alla adduzione di ossigeno all'interno della massa di rifiuti in compostaggio, garantisce contestualmente l'asportazione del calore in eccesso e (se necessario) l'allontanamento dell'eccesso di umidità sotto forma di vapore acqueo.

     – Temperatura; la temperatura si innalza come conseguenza del calore biogeno sviluppato dai processi degradativi; il suo accumulo nella massa dipende dall'equilibrio tra

     - sviluppo di calore (legato alla fermentescibilità degli scarti) e

     - dispersione di calore (legato alla dimensione della massa ed alla sua umidità, dal momento che l'evaporazione di acqua assorbe calore sia per l'innalzamento della temperatura dell'acqua stessa che per il suo passaggio allo stato di vapore).

     Nella fase attiva, con biomasse non eccessivamente umide e cumuli di dimensioni adeguate, la temperatura può anche superare agevolmente i 70°C, garantendo in tal modo le condizioni per la igienizzazione del materiale (3 giorni a 55°C per la legislazione italiana); le condizioni termometriche ottimali per i processi di stabilizzazione sono invece quelle tendenzialmente mesofile (attorno a 40-45°C); per tale motivo è opportuno adottare sistemi di rimozione del calore in eccesso, utilizzando efficacemente i flussi d'aria naturali (per diffusione e convezione) od indotti (sistemi di aerazione forzata della biomassa); in molti sistemi di processo la temperatura viene in realtà mantenuta attorno ai 50°C, per ricercare un compromesso tra le esigenze di asportazione del calore in eccesso (che richiederebbero flussi d'aria anche superiori), quelle di risparmio energetico e quelle di prevenzione dei disseccamenti precoci (che richiedono invece un abbassamento delle dimensioni dei flussi d'aria).

     – Umidità: è indispensabile per lo sviluppo microbico che risente fortemente sia di eccessi di umidità (con rischio di occupazione totale della porosità della biomassa da parte dell'acqua, e dunque di anaerobiosi del sistema) che di mancanza (che comporta la stasi dei processi degradativi). I valori ottimali della umidità della massa tendono a decrescere con il procedere dei processi di stabilizzazione e conseguentemente con il decremento delle attività biologiche a carico della massa in trasformazione. Il materiale iniziale deve invece presentare una umidità relativamente elevata per esaltare le funzioni di termoregolazione collegate alla evaporazione della stessa e evitare al contempo disseccamenti precoci. In tabella 2 vengono riportati – a puro titolo indicativo, e segnalando comunque la natura relativamente adattativa dei processi biologici – i range ottimali di umidità nelle diverse fasi del compostaggio per un processo mediamente veloce.

     Tabella 2: range ottimali di umidità

Settimana

Range ottimale di umidità

1

55-65

2

53-60

3

50-57

4

46-51

5

42-47

6

38-43

7

35-40

Successive

35-40 (3)

     – Nutrienti; sotto tale profilo è importante il ruolo giocato dal rapporto C/N, che esprime il rapporto tra le sostanze che forniscono ai microrganismi energia per le loro reazioni metaboliche (composti carboniosi) e materiali plastici per la loro moltiplicazione (composti azotati); il C/N ideale è compreso tra 25 e 30 unità, tenendo presente che ogni scostamento medio da questi valori porta a carenze o eccessi che condizionano fortemente le attività biologiche, determinando:

     - una massiccia perdita di azoto (nel caso di valori bassi di C/N) o

     - un rallentamento delle reazioni metaboliche, nel caso di valori alti di C/N

     In realtà gli impianti nascono ed operano per garantire il trattamento delle diverse biomasse generate sul territorio e di cui viene programmata la selezione e l'avvio a compostaggio. Il controllo su questo parametro non rientra dunque in genere nella consuetudine operativa, pur aiutando l'interpretazione di certi fenomeni (es. difficoltà di avvio della fase termofile per alto C/N) laddove questi si presentino.

     L'evoluzione della sostanza organica durante il compostaggio procede sia quantitativamente, con una evidente riduzione volumetrica e ponderale, che qualitativamente, con una modificazione anche consistente delle caratteristiche chimiche della sostanza organica contenuta nel compost rispetto a quella originaria delle biomasse ad inizio trattamento. Dal punto di vista qualitativo la sostanza organica, una volta terminato il processo di compostaggio, si presenta:

     1. Stabile, cioè con processi degradativi di natura biologica alquanto rallentati; la misura della stabilità di una biomassa si può concretizzare attraverso la determinazione analitica di

     - contenuto residuo in Sostanza Organica (od in Solidi Volatili)

     - indici di respirazione statico o dinamico (legati alla attività metabolica residua)

     - concentrazione di ammoniaca (legata alla persistenza di attività di degradazione e proteolisi in misura superiore a quelle di nitrificazione dell'ammoniaca);

     2. Matura, cioè non presenta fenomeni di fitotossicità, misurabili con l'omonimo test;

     3. Umificata, cioè dotata opportunamente di molecole umiche (humus) originatesi da reazioni di umificazione a carico delle componenti della sostanza organica più recalcitranti alla mineralizzazione;

     Definizione delle necessità di processo

     Gran parte del successo delle iniziative di compostaggio si gioca sulla corretta definizione progettuale del processo stesso di biostabilizzazione aerobica; in uno scenario in cui le raccolte differenziate spinte sono in grado di consegnare all'impianto flussi di biomassa ad un eccellente livello di purezza merceologica, preselezione e raffinazione finale tendono infatti a diventare fasi accessorie volte al solo perfezionamento delle condizioni di processo e della qualità del prodotto. Mantengono invero una certa importanza quei pretrattamenti di condizionamento della biomassa (frantumazione/sfibratura, miscelazione ed omogeneizzazione) strettamente connessi alla ricerca delle condizioni fisico-meccaniche ottimali per l'innesco e l'accelerazione dei processi biologici a carico della massa.

     In base a quanto specificato, vanno raggiunti gli obiettivi di fondo costituiti:

     a. dalla necessità di garantire l'aerobiosi del processo. Sotto tale profilo, laddove i flussi spontanei di aria indotti per diffusione e convenzione non sono in grado di bilanciare la velocità di consumo di ossigeno (correlata alla fermentescibilità della biomassa, e dunque massima nelle prime fasi di processo), bisogna intervenire con l'aerazione forzata della biomassa.

     b. dal mantenimento della struttura del materiale grazie

     - all'opportuna miscelazione con matrici di buona consistenza e pezzatura (in particolare, materiali lignocellulosici)

     - all'eventuale rivoltamento periodico della massa (in particolare a prevenzione di fenomeni di compattazione per biomasse poco strutturate) nonché

     - alla sua collocazione in cumuli opportunamente dimensionati (le dimensioni accessive determinano una più spiccata tendenza alla compattazione precoce);

     Va qui specificato che il significato precipuo del rivoltamento è quello della ricostituzione dello stato strutturale e delle condizioni di conduttività all'aria, mentre la sua adozione esclusiva non consente di garantire i flussi d'aria necessari a mantenere l'aerobiosi e il drenaggio del calore in eccesso. In altri termini, l'effetto di ossigenazione e di dispersione del calore garantito dal rivoltamento è solo temporaneo. Il mantenimento di condizioni opportune di aerobiosi e di temperatura richiede l'intervento dei processi diffusivi e convettivi, ed in caso di loro insufficienza (per bassa porosità della massa o per alta velocità delle reazioni ossidative) l'adozione della aerazione forzata.

     c. dalla ricerca di condizioni termometriche ottimali, necessarie alla massima velocizzazione delle attività microbiche (40°-50°C) ed al conseguimento della pastorizzazione (3 gg. a 55°C per la legislazione italiana), senza dimenticare d'altronde l'obiettivo coordinato

     d. della gestione, controllo ed abbattimento dei potenziali impatti delle fasi critiche, individuabili soprattutto in quelle iniziali.

     Risulta intuitivo, in base alle definizioni date, che la fase attiva si configura come “fortemente sensibile alle condizioni di processo”, laddove quella di maturazione risulta a “basso livello di sensibilità tecnologica”. In effetti ciò si evince anche dai diversi sistemi tecnologici proposti sul mercato, essenzialmente tesi al governo della fase “intensiva”, proponendo in diversa combinazione gli strumenti di governo del processo (aerazione forzata, sistemi di inumidimento, sistemi di abbattimento degli odori, ecc.) in relazione alle condizioni critiche ivi presenti.

     In sede di maturazione, aumentano invece i grado di libertà della scelta tecnologica, in quanto le condizioni meno intensive consentono l'adozione di sistemi di processo estensivi basati sul criterio del “minor costo”.

     Va anche anticipata una ulteriore considerazione: la differenziazione tra fase “intensiva” (fase attiva) ed “estensiva” (maturazione), tende a perdere significato nel caso del compostaggio di soli materiali a matrice ligno-cellulosica ed a degradabilità bassa e/o lenta. In questo caso, la bassa degradabilità dei materiali indirizza i processi biochimici verso una dinamica prolungata e rallentata, con una relativa uniformità tra le prime fasi di trasformazione e quelle successive; non sono dunque necessari approntamenti tecnologici specifici per la fase “intensiva” di trasformazione, ed il compostaggio può realizzarsi sin dall'inizio attraverso dinamiche che replicano i processi degradativi naturali, con ventilazione per diffusione spontanea (coadiuvata dalla elevata porosità di tali materiali), rivoltamenti a frequenza rada e tempi prolungati di processo.

     1.3.4 Classificazione dei sistemi per la stabilizzazione biologica aerobica

     Per quanto riguarda le necessità di processo, i sistemi di processo possono venire classificati in:

     – sistemi intensivi ed estensivi, a seconda del grado di articolazione tecnologica, dell'importanza data ai processi naturali ed a quelli indotti, e degli input energetici unitari

     – sistemi chiusi ed aperti a seconda del confinamento o meno degli stessi rispetto all'intorno ambientale

     – sistemi statici e dinamici a seconda della presenza e frequenza degli interventi di movimentazione per la ricostituzione periodica dello stato strutturale

     – sistemi areati e non areati a seconda della adozione dell'aerazione forzata o, di converso, dell'affidamento esclusivo ai processi spontanei di diffusione e convezione

     Altri tipi di distinzione, quale ad es. quella tra sistemi in continuo ed in batch, perdono significato ai fini della ottimizzazione del processo ed assumono significato sotto il solo profilo ergonomico e dell'organizzazione operativa complessiva.

     a) Sistemi intensivi ed estensivi

     Il compostaggio e la biostabilizzazione sono per definizione processi di tipo aerobico in cui le tecnologie di processo sono tesi a fornire al sistema principalmente:

     - l'ossigeno necessario a sostenere il metabolismo microbico

     - l'aria utile ad asportare il calore in eccesso dal sistema.

     In relazione ai criteri adottati per perseguire tali obiettivi possiamo distinguere tra “sistemi intensivi” ed “estensivi” di bioconversione aerobica; tale distinzione fa essenzialmente riferimento al grado di complessità tecnologica, alle condizioni gestionali, alla durata del processo, ed ai parametri unitari di consumo di area e di energia:

     Sistemi intensivi

     Per biomasse ad alta fermentescibilità (frazioni “umide” domestiche, scarti mercatali e della ristorazione collettiva, fanghi civili ed agroindustriali, ecc.) in miscelazione con percentuali più o meno elevate di materiali strutturali, quali gli scarti di manutenzione del verde.

     Tendono a presentare la differenziazione processistica tra una fase attiva (con condizioni di trasformazione intensive e critiche, estremamente sensibili alle scelte tecnologiche ed alla loro ottimizzazione) e una di maturazione o “curing” (a basso livello di complessità tecnologica, simile ai sistemi “estensivi”). Compatibilmente con le esigenze tecnologiche, si tende ovviamente a contrarre al massimo la durata della fase attiva, in quanto comporta necessità di materiali, attrezzature, energia ed i costi a ciò conseguenti;

     – Tempi di processo: 25/30 - 120 giorni (in relazione all'ottimizzazione del processo ed agli obiettivi agronomici finali); dimensionamento su 90 giorni almeno per garantire piena versatilità alle strategie commerciali collegate all'impianto

     – Consumi energetici specifici relativamente elevati (generalmente nell'ordine dei 40-60 kwh/ton) per l'alimentazione delle dotazioni elettromeccaniche e delle attrezzature con motori endotermici (rivoltatrici, sistemi di ventilazione, trituratori, vagli, ecc.);

     – Necessità specifica di superficie: 0.7-1.5 mq/ton di capacità operativa annua (tutto incluso);

     Sistemi estensivi

     Per biomasse a basso coefficiente di degradabilità e di buona consistenza (residui lignei e cellulosici: scarti della manutenzione del verde, cassette, pallets, ecc.) compostate senza aggiunta di matrici fermentescibili quali scarti alimentari, agroindustriali e fanghi.

     Non presentano la differenziazione funzionale tra fase attiva e fase di maturazione, ma generalmente adottano un unico approccio processistico a basso grado di articolazione tecnologica; la tipologia più frequente è quella a macrocumulo su piazzale, aerato per diffusione e convenzione naturale, con rivoltamenti radi per la ricostituzione dello stato poroso. Raramente questi sistemi sconfinano in forme di transizione verso i sistemi intensivi, con aumento della frequenza dei rivoltamenti o adozione dell'aerazione forzata.

     Le ridotte caratteristiche odorigene dei materiali e le caratteristiche stesse del processo (che lasciando i materiali in gran parte indisturbati evita la massiccia liberazione dei composti odorigeni verso l'esterno), determinano la possibilità di condurre l'intero processo all'aperto.

     La relativa semplicità della gestione processistica determina la possibilità di disaggregare le iniziative, decentrandole, con condivisione delle attrezzature specifiche (trituratori, vagli) tra più centri di compostaggio grazie a forme di associazione cooperativa od alla fornitura di servizi operativi specifici conto terzi.

     – Tempi di processo: 6 mesi - 1 anno ed oltre;

     – Consumi energetici specifici modesti (10-20 kwh/ton), fondamentalmente per la frantumazione, il rivoltamento saltuario con attrezzature generiche (pale meccaniche) e la vagliatura;

     – Necessità di superficie: ca. 1,5-2 mq/ton di capacità operativa annua (tutto incluso)

     b) Sistemi “aperti” e “chiusi”

     Nei sistemi chiusi il processo viene condotto in spazi confinati (container, bioreattori) o in aree coperte e tamponate, (capannoni) con il duplice scopo di un migliore controllo delle condizioni processistiche (relativa indipendenza dalle condizioni meteoriche) ma soprattutto di una maggiore efficacia dei presidi ambientali (controllo, gestione, abbattimento degli effluenti odorigeni).

     In realtà tutti i sistemi tecnologici possono essere gestiti in ambiente chiuso, tuttavia per alcuni sistemi processistici (biocontainer, sili, biotamburi) il confinamento della biomassa e la definizione dei limiti fisici del processo sono connaturati alla natura stessa della tecnologia, mentre per altre (cumuli, andane, trincee dinamiche) la chiusura delle aree per la fase attiva è opzionale e generalmente legata alla necessità di controllare, gestire, annullare i potenziali impatti olfattivi.

     L'affidabilità ed efficacia dei sistemi aperti per la conduzione del processo ed il contenimento degli impatti dipende dalla sussistenza (meglio se in sinergia) di alcune condizioni di fondo:

     – bassa fermentescibilità delle matrici; elevata percentuale (es. maggiore del 70% p/p) di “bulking” lignocellulosico, che consente d'altronde l'adozione di sistemi “statici” di compostaggio evitando i rilasci massicci di effluenti odorigeni collegati alle movimentazioni;

     – inserimento delle iniziative in situazioni tipicamente “rurali” o “semi-rurali”, con distanze dagli insediamenti abitativi dell'ordine dei 1000 metri o superiori

     – dimensioni operative limitate, nell'ordine delle centinaia o poche migliaia di tonnellate/anno.

     L'adozione dei sistemi aperti può in realtà essere ipotizzata e prevista (consentendo il contenimento dei costi di investimento e gestione) nelle fasi successive a quella attiva del processo (fase di maturazione), in cui alla diminuzione della putrescibilità ed alla dinamica metabolica tipica dei processi di humificazione conseguono una diminuzione del potenziale odorigeno ed un minore consumo di ossigeno.

     Previsioni sulla dotazione dei presidi ambientali nelle normative nazionali e locali

     Ad oggi a livello nazionale sono previste prescrizioni operative sul compostaggio solo a livello del Decr. Min. Amb. 5/2/98 sulle “procedure semplificate” in applicazione degli artt. 31 e 33 del Decreto “Ronchi”; in base al punto 16 All. 1, relativo appunto alle attività di recupero di scarti organici tramite compostaggio, gli impianti che trattano matrici fermentescibili quali fanghi, scarti alimentari e di trasformazione delle derrate (con l'eccezione dunque degli impianti che trattano solo scarti di manutenzione del verde ed altre matrici lignocellulosiche) devono essere dotati di sistemi di gestione al chiuso delle prime fasi di trasformazione e di tecnologie per il trattamento degli odori, indipendentemente da dimensioni operative e distanza dalle abitazioni.

     Queste prescrizioni generali – intese evidentemente a standardizzare in senso cautelativo le previsioni operative per gli impianti ammessi alle procedure semplificate – sono eccessivamente severe per molte delle situazioni operative in cui il potenziale odorigeno sarebbe trascurabile, a causa di basse capacità operative, localizzazioni defilate e/o specifici sistemi di processo (es. quelli di tipo statico). Va anche aggiunto che il Decreto non prevede né criteri di dimensionamento dei sistemi di presidio (solo il principio viene definito), né metodi di valutazione della loro efficacia. Questo può evidentemente portare a situazioni – invero frequenti – in cui l'installazione di sistemi di abbattimento degli odori con tempi di contatto insufficienti rispetta le condizioni prescrittive, ma non garantisce la prevenzione, né la gestione del problema.

     Allo stato attuale delle cose, comunque, va segnalato che le procedure di autorizzazione “normali” (le più utilizzate, sinora) non prevedono alcuna codificazione di aspetti prescrittivi relativi a gestione e trattamento delle arie odorigene (come d'altronde niente viene descritto per la gestione delle acque reflue, né per gli standard di processo). Le norme tecniche nazionali relative al compostaggio (D.C.I. 27/7/84 per il compostaggio di RU indifferenziato, L. 748/84 per il compost di qualità) non prevedono condizioni prescrittive su costruzione e gestione degli impianti e sistemi di presidio ambientale, dal momento che sono intese a regolare la sola qualità finale del prodotto ed i meccanismi tecnico-amministrativi di applicazione agronomica.

     Forse il Decreto Ministeriale sui trattamenti biologici in applicazione dell'art. 18 (“Competenze dello Stato”) del “Ronchi” potrà cominciare ad impostare il problema. Nelle bozze sinora circolate, vengono stabiliti alcuni criteri di principio quali:

     – la chiusura delle prime fasi di processo (in capannoni o sistemi containerizzati) fino al conseguimento di una certa fermentescibilità residua (da valutarsi mediante i Test Respirometrici) - prescrizioni semplificate per il compostaggio dei soli scarti verdi; ma anche per impianti che trattano materiali fermentescibili, se a basse potenzialità operative; questo approccio è maggiormente attinente alla articolazione della situazione territoriale italiana, che in molti comprensori collinari e montani non consegue quelle “masse critiche” operative che consentono la gestione di un sistema tecnologicamente complesso di abbattimento degli odori.

     Tabella 3: Disposizioni nazionali o regionali - tabella di sintesi

     (Omissis).

     Con ciò stesso, verrebbero salvaguardati gli approcci operativi in cui il settore può svilupparsi per diffusione sul territorio di microimpianti comprensoriali da 500-2000 tonnellate, ed in cui il tema delle potenziali molestie olfattive può venire gestito con localizzazioni congrue e con alcune attenzioni gestionali alla ottimizzazione del processo ed alla tempestività degli interventi operativi.

     Nel frattempo, comunque, alcune Regioni hanno pubblicato Regolamenti, Direttive, Linee-guida o “Codici operativi” riferiti, con maggiore o minore dettaglio, agli standard ambientali, ed in essi quelli relativi alla gestione degli odori, negli impianti di compostaggio. In tabella 3, a titolo indicativo e di confronto, listiamo sinteticamente le caratteristiche principali dei principali sistemi prescrittivi.

     c) Sistemi “statici” e “dinamici”

     Una ulteriore classificazione rilevante ai fini della individuazione dei criteri di processo è quella tra i sistemi che propongono meccanismi periodici o continui di movimentazione della biomassa (“dinamici”) e quelli che ne prevedono invece la immobilità (“statici”). Vale la pena di precisare che, essendo la movimentazione intesa, ai fini della valutazione processistica, al rimescolamento della massa ed alla ricreazione delle condizioni di porosità e strutturazione, vanno considerati tendenzialmente “statici” (dal punto di vista processistico) quei sistemi che pur traslando la massa non ne provocano rimescolamento e ristrutturazione (es. per traslazione a pistone).

     Una delle idee generatrici dei sistemi statici è quella di non disturbare i rapporti tra biomassa, ife fungine che con essa hanno preso contatto, popolazione microbica locale (che tende a creare con il tempo una “nicchia microecologica” in ogni punto della biomassa); viene al contempo evitato lo “shock termico” temporaneo dovuto alla perdita del calore per diffusione massiva durante l'operazione di movimentazione, dal punto di vista delle esternalità ambientali, l'assenza di rivoltamenti impedisce inoltre la diffusione massiva di polveri ed odori verso l'esterno.

     L'attenzione ad alcune condizioni di ottimizzazione della fisiologia microbica, può effettivamente contribuire, nel caso dei sistemi statici, ad ulteriori accelerazioni del processo di stabilizzazione: va comunque considerato che tali sistemi richiedono generalmente come presupposto gestionale, degli scenari piuttosto “rigidi” di composizione della miscela di partenza, che deve possedere un grado di strutturazione sufficiente ad evitare l'autocompattazione della massa stessa; le umidità di partenza delle miscele da trattare non devono generalmente superare il 65%.

     I sistemi dinamici possono al contrario comportare i disturbi sopra descritti per la fisiologia microbica ma presentano una maggiore elasticità di condizioni di applicazione in relazione alla composizione ponderale delle diverse matrici (in quanto adottabili anche a percentuali di materiali lignocellulosici anche relativamente basse ed umidità superiori).

     I sistemi statici si avvalgono tipicamente di operazioni di pretrattamento volte alla miscelazione ed omogeneizzazione spinta della biomassa, dal momento che l'assenza di rivoltamenti per un periodo relativamente lungo comporta la necessità di creare da subito le condizioni di composizione e strutturazione omogenea nei diversi punti della biomassa.

     E' importante segnalare anche la maggiore vocazione specifica dei sistemi statici o semi-statici (ossia a bassa frequenza di rivoltamento), per le sezioni di maturazione non presidiate da sistemi di abbattimento odori, proprio in relazione all'assenza di momenti di liberazione massiva di odori; in tali sezioni, la minore fermentescibilità ed umidità della biomassa rende in genere facilmente adottabili i sistemi statici, purché si abbia attenzione a conservare condizioni di porosità proporzionate alle dimensioni dei cumuli.

     d) Sistemi aerati e non aerati

     L'aerazione forzata della biomassa è un importante fattore di ottimizzazione delle condizioni di processo nei sistemi intesi al trattamento dei materiali a bassa consistenza (scarsa conduttività ai processi di diffusione spontanea) e elevata fermentescibilità. Non mancano tra l'altro casi, per quanto sporadici, di applicazione dell'aerazione forzata anche al compostaggio di soli scarti verdi (che generalmente si basano invece sulla sola esaltazione dei processi diffusivi e convettivi per l'ingresso spontaneo di aria all'interno della biomassa); in questo caso ci si avvale soprattutto della possibilità di governo termoigrometricodel processo che l'aerazione forzata consente.

     La capacità di intervenire, tramite adeguati sistemi di aerazione, anche sul controllo delle temperatura di processo e sull'evoluzione dello stato igrometrico della biomassa è in effetti una caratteristica importante – anche se spesso negletta – dei sistemi di processo che applicano l'aerazione forzata della biomassa. Il processo di bioconversione ha effettivamente dei range di temperatura e di umidità ottimali, ancorché differenti nelle diverse fasi del processo. L'aerazione forzata consente di intervenire, oltre che sulla ossigenazione della biomassa, anche su queste caratteristiche.

     E' importante definire e descrivere brevemente natura e ruolo delle grandezze fondamentali che regolano la ottimizzazione della aerazione forzata, assieme ad alcuni dei difetti operativi riscontrati più di frequente a livello progettuale o gestionale:

     – La portata d'aria specifica (p.a.s.) generalmente espressa in Normal metri cubi per ora e per unità di peso della biomassa (Nmc/h.ton). Va sottolineato che generalmente le necessità di aerazione relative al drenaggio del calore in eccesso sono superiori, anche di un intero ordine dimensionale, rispetto a quelle relative alla fornitura di ossigeno stechiometricamente necessario; nel caso di biomasse di origine alimentare, si tratta rispettivamente di decine ed unità di Nmc/h.ton. Ciò equivale a dire che i sistemi di aerazione vanno dimensionati ed utilizzati essenzialmente sulle necessità di controllo termometrico, mentre come effetto derivato si ottiene anche l'ossigenazione della biomassa. Quello che spesso viene sottovalutato è che contestualmente tale dimensionamento comporta una forte evaporazione della biomassa – con l'eccezione di sistemi confinati dal punto di vista igrometrico quali quelli a container con ricircolo delle arie – con intensi ed estesi processi di disseccamento. Spesso l'interruzione precoce dei processi di biostabilizzazione per l'abbassamento dell'umidità al di sotto dei contenuti minimi coerenti con la dinamica del processo nelle diverse fasi porta a collocare in maturazione esterna matrici con un potenziale metabolico elevato, che in caso di reinumidimento (anche per le semplici precipitazioni meteoriche) danno luogo ad una massiccia riattivazione di processi metabolici, in una fase non presidiata né dotata di strumenti per la conduzione di processi intensivi di stabilizzazione. Buona norma è dunque la predisposizione di sistemi di reinumidimento della biomassa ed il controllo periodico delle necessità di ristoro; questo soprattutto nei sistemi “dispersivi” da un punto di vista igrometrico, quali sono anche i sistemi confinati in capannone ma in cui l'aspirazione finale delle arie cariche di umidità ed il loro invio a trattamento/dispersione determina un massiccio drenaggio di umidità al sistema.

     – La proporzione tra tempi di accensione e spegnimento. E' una abitudine operativa diffusa negli impianti – al pari dell'aerazione in continuo – quella della ventilazione intermittente della biomassa, allo scopo di consentire durante i periodi di spegnimento l'equalizzazione di umidità e temperatura nelle diverse zone della biomassa (l'aerazione in continuo può comportare invece stratificazioni più o meno estese). La proporzione tra tempi di accensione e spegnimento viene guidata essenzialmente dal livello termometrico che si vuole mantenere nella biomassa; a parità di portata d'aria specifica e di “potere calorigeno” della biomassa (dipendente a sua volta dalla sua umidità e dalla sua ricchezza in sostanze facilmente aggredibili) una maggiore incidenza dei tempi di accensione porta a livelli termometrici medi inferiori; temperature di processo ottimizzate consentono la massima velocizzazione dello stesso processo e un sostanziale abbattimento della fermentescibilità della biomassa prima del suo recapito alle fasi di processo meno intensive e non presidiate (maturazione, deposito finale).

     – La durata assoluta dei tempi di spegnimento delle soffianti. Spesso si rilevano, in sede di gestione dell'impianto, durate eccessive dei tempi di spegnimento, con abbassamento temporaneo delle concentrazioni di O2 al di sotto – prima – dei limiti di massima velocizzazione del processo (15-17%) e – poi – di quelli di sostenibilità del processo aerobico stesso (10-12%). Tale effetto si può produrre, per biomasse ancora “giovani” e metabolicamente attive, in un tempo relativamente breve, dell'ordine dei 20'-30'. Si esamini ad esempio il grafico di figura 1:

     Figura 1: andamento del tenore in anidride carbonica all'interno della biomassa

     (Omissis).

     Il grafico è stato ottenuto per rilevamento diretto on-site, durante un intero ciclo di accensione e spegnimento, del tenore CO2 prodotta dal metabolismo microbico, il cui rapporto stechiometrico con l'abbassamento del tenore in O2 rispetto al contenuto ideale del 21%, è pari a 1,375; la rilevazione è stata condotta in una fase di stabilizzazione già relativamente avanzata (dopo circa 20 giorni in trincea aerata).

     Ci si rende subito conto che per biomasse ancora relativamente “giovani” ed il cui metabolismo aerobico è ancora attivo, tempi di spegnimento tendenzialmente maggiori di 30' possono comportare scostamenti dalla condizione di buona aerobiosi per buona parte del processo. Due gli effetti negativi ai fini della minimizzazione degli odori:

     - un rallentamento del metabolismo aerobico e del processo di biostabilizzazione per proporzioni anche rilevanti dell'intero tempo di processo; dunque si può determinare il recapito alla sezione di maturazione di una biomassa ancora fermentescibile e non coerente con i sistemi di processo generalmente non presidiati, né insufflati, predisposti in tale fase

     - una produzione diretta di composti ridotti ed odorigeni nel caso di tempi di spegnimento particolarmente lunghi, per l'attivazione di meccanismi metabolici putrefattivi; il che determina un aumento del carico odorigeno complessivo, fino a poter mettere in crisi il sistema di presidio predisposto.

     1.3.5 Descrizione dei sistemi tecnologici

     Sulla scorta dei concetti precedentemente esposti, di seguito vengono elencati i sistemi di processo, descrivendone le caratteristiche precipue, le vocazioni d'uso e le condizioni di adozione.

     Sottolineiamo anzitutto che tutti i sistemi di processo possono essere confinati in spazi presidiati; alcuni di essi (es. sili, biocontainer) sono chiusi per caratteristiche intrinseche. In generale possono essere comunque individuate le seguenti condizioni normali di adozione:

     SISTEMI APERTI (eventualmente confinabili):

     – Cumulo statico aerato

     – Cumuli rivoltati

     SISTEMI CHIUSI:

     – Sili

     – Biocontainer

     – Biotamburi

     – Trincee dinamiche (nelle condizioni generali di allestimento)

     – Bacini dinamici (nelle condizioni generali di allestimento)

     SISTEMI VERSATILI:

     – Andane rivoltate

     Cumuli statici aerati

     Sistema di relativa semplicità tecnologica. Sviluppato anzitutto in America con il nome di “sistema Beltsville”, allo scopo di fornire agli agricoltori un sistema semplice di bioconversione, stabilizzazione ed humificazione delle biomasse di scarto a scopo agronomico, nelle diverse varianti si configura come un sistema statico ed aerato, tipicamente aperto: prevede la disposizione della biomassa in cumulo, con aerazione forzata in aspirazione al di sotto dei cumuli stessi ed invio delle arie esauste ad un biofiltro a compost; sulla superficie del cumulo viene disposto uno strato di compost maturo, inteso a fornire un leggero effetto di coibentazione ed a garantire la biofiltrazione degli effluenti gassosi sfuggiti dalla superficie del cumulo.

     La filosofia ispiratrice, come in tutti i sistemi statici, è la semplificazione operativa, e – dal punto di vista processistico – la mancanza di rivoltamenti del cumulo non disturba la biomassa microbica, oltre ad impedire la diffusione massiva degli odori molesti. Necessita, come sistema tipicamente statico, di una alta percentuale di materiale strutturale di natura lignocellulosica; l'umidità della miscela di partenza è un parametro dirimente per la sua applicabilità, ed il sistema si avvale efficacemente di pretrattamenti di omogeneizzazione spinta.

     In alcune interessanti varianti innovative, in corso di forte diffusione sul territorio nazionale ed estero, l'aerazione avviene per insufflazione e per la copertura dei cumuli vengono adottati appositi teli o membrane semi-permeabili, con adeguate caratteristiche di traspirabilità per la perdita controllata di umidità dal sistema. La creazione di un velo liquido nella faccia inferiore dei teli aumenta la ritenzione complessiva delle molecole odorigene all'interno del sistema, determinandone le condizioni di metabolizzazione per ossidazione fino a molecole non odorigene; la CO2 prodotta viene invece rilasciata verso l'esterno, così come il vapore d'acqua, con cinetiche di traspirazione determinate appunto dalla traspirabilità dei teli. Alcune Ditte propongono teli a diversa traspirabilità per

     - compostaggio/stabilizzazione (a traspirabilità relativamente bassa, per impedire il disseccamento precoce della biomassa e l'arresto del metabolismo a carico delle sostanze fermentescibili ancora presenti) e

     - bioessiccazione (a traspirabilità superiore per favorire l'allontanamento sollecito dell'umidità dal sistema)

     Nel caso di elevate capacità operative e/o localizzazioni critiche, è comunque opportuno istituire un ulteriore livello di presidio onde gestire i potenziali problemi di odori – resi avvertibili in conseguenza delle masse movimentate – che possono svilupparsi per le operazioni di miscelazione, costruzione e asportazione dei cumuli.

     Cumuli rivoltati

     Prevedono la disposizione della biomassa in cumuli di grandi dimensioni (3-4 mt. di altezza; larghezza da 3 ad oltre 20 mt.), tipicamente senza aerazione; adottano frequenze di rivoltamento generalmente rade (intervalli di settimane o mesi), con pala meccanica; altre volte semiintensivizzato con rivoltatrici apposite (nel caso di sistemi in continuo, descritti di seguito).

     Questo sistema è adottato generalmente per matrici ad alta prevalenza di materiale lignocellulosico (residui verdi) o per biomasse già in stato avanzato di biostabilizzazione (maturazione di biomasse già ben stabilizzate dopo fase attiva). In relazione alle condizioni di adozione tipiche (scenari non critici di gestione del processo) il sistema è generalmetne aperto.

     I cumuli possono essere gestiti in batch, su postazioni per partite coetanee di biomassa, o in continuo, con formazione del cumulo su una sezione di carico e traslazione progressiva, mediante meccanismi di rivoltamento con traslazione laterale, verso la sezione di scarico. Questa seconda soluzione elimina gli spazi inutilizzati fra cumulo e cumulo, mentre costringe ad adottare rivoltamenti a periodicità fissa e scollegata dalle effettive esigenze di processo (il che può risultare operativamente ed economicamente più impegnativo) per le esigenze geometriche di predisposizione di nuovo spazio nella sezione di carico. Ovviamente in base a quanto detto la disponibilità di spazio diventa un fattore dirimente nella scelta.

     Andane

     Le andane hanno generalmente dimensioni inferiori ai cumuli (altezza max 2,5 mt.) e possono usufruire o meno dell'aerazione forzata; il rivoltamento è generalmente frequente (tipicamente, a intervalli di qualche giorno o quotidiani) ed avviene con movimentatrici apposite. Vi è una grande varietà di rivoltatrici disponibili sul mercato, differenziabili essenzialmente in base al sistema di movimentazione (per agitazione, nel caso delle scavallatrici; per traslazione, nel caso di macchine tipo desilatrici modificate o di rulli a fresa laterale con scarico laterale o sul retro) oltre che in base alle capacità operative (da poche decine a migliaia di mc/h).

     Usate all'aperto od al chiuso, vengono adottate:

     – per la fase attiva di matrici a fermentescibilità elevata, preferibilmente al chiuso, od all'aperto in situazioni ove (per capacità operative limitate o per localizzazioni distanti da insediamenti abitativi) gli impatti olfattivi non costituiscono oggetto di preoccupazione;

     – per fasi di maturazione all'aperto (più raramente al chiuso) di materiale con fermentescibilità solo residua (dopo fase attiva in sistema controllato e presidiato).

     Biocontainer e Biocelle

     Sono reattori chiusi a sviluppo orizzontale, tipicamente statici (ma alcuni tipi prevedono sistemi di movimentazione interna) e con aerazione forzata. La biomassa viene disposta in letti dell'altezza massima di circa 3 metri, altezza che tende a prevenire il compattamento e favorisce la diffusione dell'aria all'interno. A livello terminologico si distingue generalmente tra biocontainer (nel caso di strutture in carpenteria metallica) e biocelle (nel caso di strutture in calcestruzzo). I tratti comuni dei due sistemi sono l'adozione della aerazione forzata e la canalizzazione delle arie esauste verso sistemi di trattamento (generalmente, nel caso dei biocontainer, biofiltri anch'essi predisposti su container dedicati). I caratteri distintivi dal punto di vista processistico sono invece descrivibili come di seguito:

     - biocontainer: amovibili, non coibentati; volumi unitari dell'ordine dei 20-30 mc (la tipologia più diffusa prevede volumi utili di 25 mc/container); arie esauste generalmente non ricircolate

     - biocelle: non amovibili, coibentate; volumi unitari dell'ordine di diverse decine di metri cubi; generalmente prevedono la possibilità del ricircolo dell'aria, ed a volte sono dotate di scambiatore di calore; spesso dotate di sistemi di rilevazione dei principali parametri di stato (umidità, percentuale di ossigeno nell'atmosfera interna, temperatura) e regolazione in feed-back dei flussi d'aria e delle percentuali di ricircolo

     La disponibilità di un sistema di ricircolo dell'aria dotato di scambiatore di calore consente di disaccoppiare le necessità di drenaggio del calore in eccesso dal sistema da quelle di ossigenazione della massa; dal momento che le esigenze specifiche di aerazione, come esaminato in precedenza, sono sensibilmente maggiori per il governo termometrico del sistema che per l'apporto dell'ossigeno stechiometricamente necessario, le arie “esauste” dopo un passaggio singolo attraverso la biomassa sono ancora relativamente ricche di ossigeno, mentre devono rilasciare il calore all'esterno; il ricircolo di arie passate dallo scambiatore di calore consente tale operazione evitando al contempo:

     - di aumentare il flusso di arie da inviare al trattamento finale di abbattimento odori

     - di asportare in misura eccessiva l'umidità drenata dalla biomassa, ricircolandola invece (almeno parzialmente) con le arie riutilizzate e mantenendo il sistema nello stato termoigrometrico ottimale per la prosecuzione del processo

     Tutto ciò consente un eccellente controllo integrato delle condizioni di processo, utilizzando di volta in volta l'aria insufflata come sistema di drenaggio di calore e/o vettore di ossigeno. La quota di aria esausta progressivamente sostituita da aria nuova prelevata all'esterno può venire determinata in continuo dai feed-back del sistema di controllo (in caso di abbassamento del tenore in ossigeno, aumenta la percentuale di aria immessa nel sistema dall'esterno, e corrispondentemente quella di aria esausta espulsa dal sistema ed avviata a trattamento degli odori)

     Le biocelle ed i biocontainer vengono efficacemente usati come tecnologia per la gestione della fase attiva del compostaggio della frazione organica da raccolta differenziata ed altre matrici fermentescibili; il fattore condizionante, come generalmente avviene nei sistemi statici, può essere rappresentato dal grado richiesto di strutturazione della biomassa, che prevede buone percentuali di supporto lignocellulosico.

     Altra peculiarità, grazie alle capacità operative unitarie generalmente basse (qualche tonnellata/die per unità di processo), è l'adattabilità del sistema a iniziative modulari di trattamento con linee differenziate per compostaggio di qualità e trattamento biologico di frazioni da selezione post-raccolta (disposizione in parallelo di più reattori).

     Rispetto alle biocelle, i biocontainer attestano una maggiore flessibilità operative (per le capacità ancora inferiori del singolo container rispetto a quelle di una biocella) e le condizioni di facile amovibilità (potenzialmente importanti in uno scenario impiantistico in evoluzione). Dal punto di vista economico, i costi di investimento specifici tendono ad essere favorevoli per i biocontainer a dimensioni operative medio-piccole e piccole (es. sotto le 10.000 ton/anno) mentre ad elevate capacità operative possono diventare competitive le biocelle, a causa della maggire incidenza unitaria del costo della carpenteria metallica necessaria per la realizzazione di più moduli di capacità equivalente ad una singola biocella in calcestruzzo.

     Trincee dinamiche

     Si tratta di reattori dinamici a sviluppo orizzontale, a capacità modulare suddivisa in più trincee servite da una o più linee di aerazione forzata (parzializzate in senso longitudinale o – meglio – trasversale, con modulazione delle portate d'aria specifiche nelle diverse sezioni corrispondenti alle diverse età di processo); sui montanti delle trincee corrono binari per la traslazione di movimentatrici della biomassa. Le movimentatrici generalmente comportano anche il trasferimento progressivo della biomassa dalla testa alla coda della singola trincea o da una trincea a quella adiacente (nel caso di traslazione laterale). Il sistema è dunque tipicamente in continuo.

     Le trincee sono tipicamente impiegate per la gestione delle fasi attive di biomasse ad elevata fermentescibilità (fanghi, agroalimentari, “umido” domestico) in ambienti chiusi (capannoni). Come sistema dinamico, hanno il vantaggio di potere controllare attivamente, garantendo un buono svolgimento del processo, qualunque scenario di composizione delle matrici, anche nelle condizioni più sfavorevoli di umidità di partenza, grazie alla ricostituzione periodica dello stato strutturale e poroso della biomassa ed alla prevenzione della formazione di strati saturi e compattati per il rimescolamento periodico. Sono tecnologie notevolmente diffuse in impianti di dimensioni medie e grandi, basate generalmente su abbinamenti di movimentatrice e trincea, nelle specifiche dimensioni e disposizioni proposte dalle diverse Ditte fornitrici.

     Le trincee, grazie alle capacità operative unitarie generalmente basse (qualche tonnellata/die per unità di processo), sono facilmente adattabili ad eventuali iniziative modulari di trattamento biologico con linee differenziate per compostaggio di qualità e trattamento biologico di frazioni organiche da selezione post-raccolta (grazie alla disposizione in parallelo di più reattori).

     Bacini dinamici

     Con questa tipologia impiantistica, tipicamente dinamica ed aerata il materiale viene disposto in un tappeto di biomassa, rivoltato con rivoltatrici apposite (a coclee, a ruote dentate, a tazze, ecc. generalmente montate su carri ponte) ed aerato.

     Viene generalmente gestito al chiuso ed impiegato per la fase attiva di biomasse ad elevata fermentescibilità o in alternativa per entrambe le fasi (fase attiva e di maturazione nello stesso edificio senza discontinuità; a volte in tale caso, la parte finale del processo non è aerata).

     I costi di allestimento relativi alle strutture di sostegno e guida delle rivoltatrici determinano generalmente diseconomie a piccole capacità operative, mentre tali sistemi possono rivelarsi economicamente competitivi ad elevate capacità (es. superiori a 100 ton/die).

     Valgono le considerazioni già sviluppate sulle trincee dinamiche per quanto concerne le prerogative di sistemi con rivoltamento della biomassa.

     Biotamburi

     Sono reattori a sviluppo orizzontale, generalmente dotati di adduzione forzata di aria e canalizzazione e raccolta delle arie esauste (sistemi chiusi, a loro volta confinabili in capannoni). Il sistema è dinamico e la movimentazione della biomassa viene qui garantita dalla rotazione delle stesse strutture di contenimento; il carico e lo scarico possono essere in continuo od in batch.

     Vengono usati per la fase attiva in sistemi intensivi di compostaggio, ma più spesso con bassi tempi di ritenzione (48-72 h) e come pretrattamento dinamico di omogeneizzazione e prefermentazione accelerata, prima del passaggio ad altre tecnologie di stabilizzazione in fase attiva.

     Sili

     Si tratta di reattori chiusi a sviluppo verticale con carico (e scarico) continuo o discontinuo della biomassa e adozione della aerazione forzata. La tecnologia appartiene al gruppo dei sistemi chiusi, e prevede grossi contenitori a torre, mono o pluristadio (con setti divisori orizzontali), con carico dall'alto e insufflazione generalmente dal basso. Il sistema è generalmente statico (tecnologie in batch) o semi-dinamico (es.: sili a scarico progressivo da settori superiori a quelli inferiori).

     La tecnologia a silo è relativamente poco diffusa in Italia. Questi sistemi – in particolare, quelli monostadio – tendono a presentare un limite operativo nei frequenti ed attendibili compattamenti della masa e nelle difficoltà di diffusione dell'ossigeno all'interno della intera massa contenuta, laddove le altezze della biomassa ammassata nel singolo stadio tendono a superare i 4 metri.

     1.3.6 Pre-trattamenti e trattamenti finali

     I pre-trattamenti ed i trattamenti finali (o post-trattamenti) vengono così definiti in relazione alla collocazione di questi interventi rispetto al processo di trasformazione biologica.

     In generale si può affermare che i pre-trattamenti comprendono tutte quelle operazioni tecnologiche volte ad allontanare i corpi indesiderati dalle biomasse prima di avviarle al trattamento biologico, oppure a condizionarne la natura fisico-chimica delle matrici (es. pezzatura, umidità) al fine di ottimizzare il processo, oppure ad ottenere una miscela “ottimale” e quanto più possibile omogenea con lo stesso scopo.

     I trattamenti finali possono invece essere finalizzati a condizionare il materiale finale prima di trasportarlo all'esterno dell'impianto per collocarlo a destinazione finale o commercializzarlo, con l'obiettivo specifico di uniformarne la granulometria ed allontanare i corpi indesiderati eventualmente sfuggiti ai pre-trattamenti, oppure condizionarne la natura fisica (es. umidità) o merceologica (es. granulometria, consistenza).

     I pre e post-trattamenti sono spesso fondamentali per un buon trattamento dei rifiuti fermentescibili anche se non lo sono in ogni caso e per ogni situazione impiantistica specifica.

     Riassumendo e schematizzando, i pre e post-trattamenti possono dunque essere classificati in ordine all'obiettivo di:

     a. “condizionare” la natura fisica dei materiali da sottoporre al processo biologico (pretrattamenti) o quella merceologica dei prodotti finali (post-trattamenti):

     – pre-trattamenti:

     - triturazione/sfibratura

     - miscelazione/omogeneizzazione

     - inumidimento od asportazione dell'umidità in eccesso

     – post-trattamenti

     - essiccamento

     - pellettizzazione

     b. separare i corpi estranei od indecomposti eventualmente presenti:

     – pre-trattamenti:

     - vagliatura/separazione (dimensionale, idrodinamica, ecc.)

     - separazione di corpi metallici

     – post-trattamenti:

     - raffinazione dimensionale, densimetrica o aeraulica

     L'elenco fornisce un quadro delle opzioni operative normalmente utilizzate in iniziative di compostaggio di qualità con recapito all'impianto di scarti a buon grado di purezza merceologica, come generalmente è nel caso di iniziative collegate a circuiti dedicati di raccolta differenziata alla fonte. Le stesse tecnologie trovano, applicate in modo differente, collocazione anche in impianti di trattamento biologico per rifiuti indifferenziati contenenti sostanza organica putrescibile.

     Va inoltre rilevato che in alcune situazioni pre e post-trattamenti vengono inseriti tra le fasi principali del processo biologico (es. tra la fase attiva e la fase di maturazione) per avvalersi di particolari condizioni fisiche della biomassa in tale fase e/o impedire un contatto prolungato tra certi corpi estranei e la biomassa e/o una usura accentuata dei macchinari. E' tuttavia sconsigliabile adottare raffinazioni dimensionali intermedie spinte, per evitare di impoverire di materiali di buona consistenza e capacità strutturale la biomassa, che ancora deve essere sottoposto alla fase di maturazione in cui i processi diffusivi e la conduttività all'aria devono soddisfare la richiesta d'ossigeno residuale.

     Per ciascuna tipologia di trattamento elencata sono possibili differenti ed innumerevoli soluzioni impiantistiche. Di seguito si riportano le principali considerazioni a riguardo della scelta di adozione e delle coerenze operative connesse a ciascuna opzione.

     Triturazione, lacerazione e sfibratura

     Queste operazioni devono consentire una adeguata lacerazione dei tessuti organici e/o dei sistemi di contenimento (sacchi) in modo da aumentare la superficie di contatto ed attiva per il metabolismo microbico. Ciò può essere ottenuto da sistemi tecnologici che prevedono generalmente gruppi operativi a martelli, a coltelli, oppure a coclee.

     Per gli agenti di supporto lignocellulosici vengono generalmente adottati trituratori a martelli in quanto in grado di garantire una buona apertura delle fibre ligniniche e cellulosiche mantenendo un buon grado di consistenza dimensionale e strutturale.

     Diverse esperienze hanno invece fatto rilevare l'incongruità dell'impiego di tali trituratori per la sfibratura delle biomasse alimentari da raccolte selezionate dell'”umido” in ambito urbano; la presenza eventuale – ancorché saltuaria – di corpi estranei vetrosi e di altro tipo in tali flussi di biomassa determina infatti l'inconveniente della loro frammentazione, rendendo più complicata la loro separazione in sede di raffinazione finale ed andando dunque ad aumentare la quota di inerti nel prodotto. Per le linee di triturazione di biomasse da raccolta selezionata dell'umido si dimostrano dunque più funzionali i sistemi di triturazione basso numero di giri con apparati laceranti a coclee od uncini/ramponi/coltelli, per i quali si può, in modo più congruo, parlare di “lacerazione” dei tessuti organici.

     Ovviamente le capacità operative del/dei sistema/i di triturazione, rapportate al totale previsto di ore di impiego annue, vanno rapportate al quantitativo della sola biomassa di origine alimentare e rispettivamente di quella lignocellulosica, nel caso vengano previste linee indipendenti di sfibratura, piuttosto che alla somma delle due nel caso di convogliamento di entrambe al sistema di triturazione a coclee o coltelli.

     Occorre ricordare che in molti casi i flussi di scarti alimentari, se raccolti e conferiti in purezza, non necessitano di un vero e proprio processo di sfibratura, ma solo a blandi trattamenti in grado di assicurare la lacerazione dei manufatti di contenimento, come i sistemi lacerasacchi (es. medainte carri miscelatori a coclee).

     Miscelazione ed omogeneizzazione

     La perfetta omogeneizzazione della miscela-substrato è essenziale sempre, e soprattutto nei sistemi statici di compostaggio, in quanto:

     – devono essere garantite in ogni punto le condizioni di strutturazione della biomassa necessarie alla diffusione gassosa;

     – non vi sono effetti di miscelazione progressiva dei materiali garantiti invece dall'adozione di sistemi di movimentazione (come invece è nei sistemi dinamici, in cui la miscelazione iniziale può essere grossolanamente affrontata mediante la disposizione stessa in cumulo o trincea o tamburo con le attrezzature caricatrici).

     Per la miscelazione vengono generalmente adottati tamburi di miscelazione, carri miscelatori a coclee, ecc.

     Asportazione dell'umidità in eccesso

     La gestione delle biomasse fortemente fermentescibili (residui alimentari quali frazione organica dei RU, mercatali, scarti dei servizi di ristorazione; biomasse agroindustriali ad alta putrescibilità quali cascami di macellazione, della lavorazione delle carni e della trasformazione dell'ortofrutta; fanghi di depurazione di origine urbana ed agroindustriale) richiede considerazioni processistiche articolate che guidino le scelte progettuali e gestionali.

     Anzitutto è sempre opportuno il condizionamento delle miscele tramite l'addizione di un agente di “bulking” (“strutturante”: in genere materiali lignocellulosici quali cascami di potatura, trucioli, cortecce, paglie, lolle e pule, ecc.); l'obiettivo è quello di conferire alla massa porosità sufficiente e di contenerne l'umidità entro il limite del 70% – per sistemi “dinamici”, ossia che prevedono il rivoltamento – o meglio del 55/65%, – per sistemi statici o debolmente dinamici (basse frequenze di rivoltamento); tali limiti sono compatibili con la gestione aerobica del processo in ogni punto della massa e con il mantenimento delle condizioni di permeabilità all'aria.

     Ciò implica la destinazione di una quota rilevante del flusso di materiali lignocellulosici verso gli impianti di compostaggio delle biomasse putrescibili. Grossolanamente, in relazione all'esigenza di rispettare i contenuti di umidità sopra indicati, il materiale lignocellulosico deve rappresentare:

     - il 40/50% in peso della miscela iniziale avviata a compostaggio nel caso di sistemi statici o non aerati;

     - almeno il 20/30% in peso nel caso di tecnologie dinamiche e con aerazione forzata della biomassa.

     In alternativa, va considerato l'approvvigionamento di materiali alternativi di “bulking” dal settore agricolo e dall'agroindustria (trucioli, cortecce, lolle, paglie, ecc.), che però in diversi casi possono comportare oneri non trascurabili di acquisto e/o trasporto.

     In definitiva, in particolare in aree dove non vengono generati forti flussi di materiali lignocellulosici dalla gestione del verde pubblico e privato, sono da considerare con estremo interesse tutte le iniziative di pretrattamento della frazione umida da raccolta differenziata volte a diminuire il fabbisogno di materiale strutturante in fase di compostaggio.

     Alcuni sistemi di pretrattamento sono proprio finalizzati a separare dai rifiuti organici una frazione solida-palabile, avviabile a compostaggio con minore fabbisogno di materiale lignocellulosico, ed una liquida, avviabile a digestione anaerobica, a depurazione, o – più efficacemente – riutilizzabile in fasi successive del processo per la reintegrazione dell'umidità (progressivamente evaporata per l'effetto congiunto dell'aerazione forzata e del calore biogeno) nei range ottimali.

     Lo stesso effetto si può ottenere mediante pre-compostaggio degli scarti lignocellulosici, il che ne può abbassare l'umidità e dunque l'apporto complessivo di acqua al sistema una volta che vengono miscelati con le matrici fermentescibili.

     Vagliatura e raffinazione

     Per la pre-separazione dei corpi estranei di dimensioni macroscopiche vengono generalmente adottati vagli primari a separazione dimensionale, con maglie da 40 a 100 mm. di apertura. Tali sistemi consentono di abbassare la quota di corpi estranei (plastiche, vetri, materiale cartaceo, ecc.) nell'”umido” da raccolta differenziata dal 5–10% (valori tipici per l'”umido” da raccolte con cassonetto stradale) al 2–3% e meno, impedendo una eccessiva usura dei macchinari e garantendo, con il concorso della raffinazione finale, la purezza merceologica del prodotto. In realtà, per flussi di raccolte differenziate ad alta efficacia di separazione (tipicamente, sistemi di raccolta domiciliarizzati), laddove i corpi estranei sono attorno o sotto il 2-3%, sovente non viene adottata la vagliatura primaria; in tale caso la biomassa, dopo un eventuale lacerasacchi-miscelatore, viene portata direttamente al sistema di stabilizzazione biologica.

     Nel caso di impianti di trattamento per RU indifferenziati l'adozione di opportuni sistemi di vagliatura consente di portare la percentuale di organico nel sottovaglio fino a più dell'80% (dal 25-30% iniziale), permettendo quindi di allontanare il sopravvaglio con uno scarso contenuto di sostanze fermentescibili, reso quindi idoneo allo smaltimento finale in discarica con impatti ridotti od al recupero energetico. In questi casi si adottano generalmente vagli con Ø = 80 mm o Ø = 100 mm. il che consente di avere contestualmente un sovvallo sufficientemente secco ed un sottovaglio sottoponibile a bioconversione. In alcuni casi – se l'obiettivo è la produzione di biostabilizzati per applicazioni paesistico-ambientali, vincolati al rispetto di precisi limiti di concentrazione per metalli pesanti ed inerti vari, si adotta una vagliatura a doppio stadio, con una prima separazione a Ø = 20 mm, in modo da ottenere:

     - una frazione fine, in cui si concentrano macerie e polveri, da sottoporre a stabilizzazione pre-discarica

     - una frazione intermedia, da sottoporre a compostaggio per la produzione biostabilizzati per applicazioni controllate

     - una frazione grossolana, costituita dal sovvallo.

     La vagliatura bistadio non è ovviamente necessaria quando l'obiettivo è la collocazione a discarica del sottovaglio stabilizzato; inoltre, in moldi casi non si rivela la necessità di separare frazioni fini per l'assenza di polveri e particolati stradali, macerie, ecc., particolarmente quando la raccolta del rifiuto indifferenziato è effettuata mediante sacchi.

     E' ovvio che la separazione dimensionale comporta comunque la perdita, nel sovvallo, di quote anche importanti di materiali organici grossolani. Si dimostra più efficace, dal punto di vista del rendimento di separazione, la separazione con sistemi idraulici (es. idropulpatori), che prevedono la dispersione del materiale in acqua e la separazione su basi densimetriche dei flussi di materiale leggero (plastiche, materiale cartaceo, poliaccoppiati ecc.) e pesante (vetri, cocci, lattine, ecc.); il materiale organico, che rimane in sospensione, viene successivamente separato per centrifugazione. L'operazione garantisce anche una pre-macerazione del materiale organico, che risulta in seguito più facilmente miscelabile con gli altri materiali. L'efficacia del concetto idrodinamico di separazione è attestata dalla purezza pressoché totale dell'organico separato, mentre nel 3-5% di scarti sono contenute quote trascurabili di organico; inoltre la separazione in flusso acqueo consente un “lavaggio” di gran parte dei sali liberi dagli scarti alimentari, eliminando uno dei fattori di condizionamento del marketing dei prodotti del loro compostaggio. I costi di investimento di tali attrezzature non ne rendono tuttavia sempre possibile l'adozione.

     Per quanto riguarda la raffinazione finale, questa può essere dimensionale e/o densimetrica (quest'ultima viene generalmente adottata in combinazione con l'altra).

     La separazione densimetrico-aeraulica (tavola densimetrica, ciclone) consente la separazione di corpi di piccole dimensioni plastici o vetrosi e di sassi dal prodotto finale. Il sistema è generalmente adottato negli impianti di trattamento biologico di RSU indifferenziato, laddove si punti alla applicazione agronomica controllata del prodotto finale, in operazioni paesistico-ambientali; tale tipo di operazione può essere utilmente adottata anche nel caso di impianti per il compostaggio di qualità a servizio di circuiti a bassa purezza merceologica, quali quelli a cassonetto stradale. Negli impianti a servizio di contesti più vocati e circuiti più efficaci l'eccellente grado di purezza conseguibile in sede di raccolta (1-3% di corpi estranei) rende generalmente superflua la separazione densimetrica finale.

     Tenendo conto della eventuale presenza di materiali plastici da shoppers o sacchi, soprattutto nel flusso di residui alimentari, può essere comunque valutata opportuna l'adozione di un sistema dedicato di separazione aeraulica degli inerti plastici stessi, eventualmente solo per “pulire” sistematicamente o periodicamente i sovvalli della raffinazione dimensionale, che altrimenti concentrerebbero progressivamente (se ricircolati in testa al processo) i materiali non decomponibili; il separatore divide tali materiali dagli scarti legnosi indecomposti, riutilizzabili come agente di struttura o pacciamante. - Per quanto concerne la raffinazione granulometrica (separazione dei materiali legnosi indecomposti), vengono adottati vagli dimensionali (rotanti, vibranti o di altro tipo) a maglia stretta. In relazione all'articolazione delle richieste del mercato (essenzialmente: terriccio per coltivazioni in contenitore; ammendante in pieno campo; eventualmente pacciamante), può essere in certe situazioni opportuno prevedere una diversificazione dei passanti del sistema di vagliatura: 8/10 mm. - 20/25 mm. - eventualmente 40/45 mm. Ciò può essere ottenuto tramite l'adozione di vagli a maglia intercambiabile, piuttosto che tramite linee multiple di vagliatura, ecc. - 1.3.7 I trattamenti biologici per le frazioni non valorizzabili

     Si tratta di trattamenti biologici volti al trattamento dei rifiuti indifferenziati o dei rifiuti residuali dalle raccolte differenziate che hanno ancora un carico organico.

     Da molti anni, gli studi sugli effetti collaterali dello smaltimento in discarica sono stati focalizzati sull'importanza di ridurre il più possibile la putrescibilità dei materiali da smaltire. La sostanza organica, fermentando in condizioni anaerobiche, comporta la produzione di biogas e di percolato ad elevato carico organico e azotato; determina inoltre modifiche del profilo della discarica che richiedono rimodellamenti periodici e mettono a repentaglio l'efficacia ad es. delle linee di drenaggio del biogas. Questi impatti oltre a costituire una seria minaccia per la falda idrica e per l'atmosfera, ostacolano il risanamento dell'area e rappresentano aspetti preoccupanti sia per i gestori del territorio sia per la popolazione che abita nei dintorni dell'area. Ma soprattutto, determinano un elevato contributo da parte del metano contenuto nel biogas prodotto alla generazione complessiva dell'effetto-serra. Il metano è infatti un potentissimo gas-serra, con un effetto di trattenimento del calore all'interno dell'atmosfera terrestre circa 20 volte superiore a quello della CO2.

     Alla luce di tutte queste considerazioni la recente Direttiva 99/31/CE sullo smaltimento in discarica richiede ai diversi Paesi Europei di delineare le strategie volte a conseguire i seguenti obiettivi:

     1. diminuire sostanzialmente il quantitativo totale di rifiuti biodegradabili da avviare a discarica (25, 50, 65% di riduzione su base nazionale entro 5, 8, 15 anni)

     2. garantire che i rifiuti da collocare in discarica siano comunque adeguatamente pretrattati allo scopo di ridurre l'attitudine a fermentare e produrre anidride carbonica, biogas e percolati.

     Quest'ultima previsione era stata d'altronde sostanzialmente anticipata a livello nazionale dall'art. 5 comma 6 del D.lgs. 22/97 (Decreto “Ronchi”), il quale prevedeva che dal 1/1/2000 (termine poi posticipato al 16/7/2001) sostanzialmente solo il rifiuto trattato – o quello residuo da processi di valorizzazione e recupero – potesse essere collocato a discarica.

     Orbene, due sono gli strumenti a disposizione per conseguire pienamente gli obiettivi di riduzione del carico organico e della fermentescibilità del rifiuto posto a discarica: il primo è la raccolta differenziata dello scarto umido, il secondo è qualsiasi pre-trattamento (biologico o termico) che permetta la mineralizzazione della componente organica fermentescibile prima dell'interramento del rifiuto, o la sua stabilizzazione (ossia la degradazione delle componenti fermentescibili).

     L'avvio di sistemi integrati di raccolta differenziata consente ovviamente di ridurre in termini assoluti i quantitativi di rifiuto residuo e di allontanare, dove sono stati inseriti sistemi integrati di raccolta del tipo “secco-umido”, la gran parte della sostanza organica. Tuttavia, il rifiuto residuo presenta ancora un carico organico non intercettato dalle raccolte differenziate specifiche e legato alle componenti organiche sfuggite alla capacità o alla possibilità di selezione dei cittadini.

     Il carico organico residuo è essenzialmente rappresentato dalle seguenti componenti dei rifiuti:

     – materiali organici non o difficilmente recuperabili (pannolini);

     – componenti organiche “di sfrido” (ossia quelle che imbrattano altri materiali);

     – organico valorizzabile (scarti alimentari e carta) oggetto di errore o negligenza nella selezione.

     Va parallelamente considerato l'”effetto concentrazione” di tali materiali nel rifiuto residuo, dovuto al parallelo drenaggio dal rifiuto urbano di frazioni secche riciclabili quali plastica, vetro, metalli, ecc.

     La percentuale di organico nel “resto” è inoltre fortemente variabile con le condizioni locali (situazione urbanistica, densità demografica) ed il modello di raccolta adottato sul territorio. La quota di organico nel “resto” tende, laddove è stata attivata la raccolta differenziata spinta secco-umido, al 10-20% dei rifiuti urbani residui; l'adozione di meccanismi accessori di promozione della congruità dei comportamenti (es.: “sacco trasparente” per il “resto”, abbinato a sanzioni amministrative) comporta i migliori risultati sotto questo profilo. Nel caso di raccolte con contenitore stradale, le minori intercettazioni di organico si riflettono invece in una maggiore presenza dello stesso nel rifiuto residuo.

     Generalmente la raccolta differenziata ed i trattamenti pre-discarica devono dunque essere integrati in modo da garantire una gestione della discarica ambientalmente sostenibile.

     In generale, dunque, un sistema integrato di gestione dei rifiuti deve prevedere anche il pretrattamento alla discarica, per mineralizzare le porzioni più fermentescibili. Il punto cruciale è stabilire quali siano i sistemi di trattamento, e parallelamente i metodi più efficaci per determinare la stabilità (cioè la perdita di fermentescibilità) del materiale ammesso a smaltimento in discarica. Per avere dati oggettivi, alcuni metodi sono già stati proposti ed utilizzati nel passato.

     Il primo tentativo degno di nota per risolvere questo problema è stato quello tedesco; le Technische Anleitungen – Siedlungsabfälle, disposizioni tecniche sui RU, meglio conosciute sinteticamente come TASi indicavano nel 5% di Solidi Volatili (grossomodo corrispondenti alla sostanza organica), il valore da rispettare per poter smaltire il rifiuto in discarica. Tale limite, per quanto concettualmente in linea con la necessità di ridurre il carico di sostanza organica posto in discarica, corrispondeva in realtà alle sole scorie da incenerimento; ciò significa di fatto indicare l'incenerimento come unico pre-trattamento possibile. Va tuttavia rilevato che numerosi studi tedeschi ed internazionali hanno da tempo rilevato l'efficacia anche dei trattamenti biologici intesi a ridurre al minimo la putrescibilità del materiale, purché il trattamento biologico sia condotto per un tempo sufficientemente lungo e correttamente gestito in modo da assicurare una efficace attività microbica (Tabella 2).

     Tabella 2: Effetti dei pre-trattamenti biologici; fonti: Leikam, Stegmann, 1997 (1), Adani, 2001 (2)

Parametro

Risultato finale

% riduzione

 

 

(rispetto al valore iniziale)

Indice di respirazione

10 mg O2.g-1.s.s. (96 h) (2)

80%

 

circa 300-400 mg O2.kg-1.VS.h (2)

 

 

 

 

COD,

 

 

N totale nel percolato

< 100 mg.l-1 (1)

90%

 

< 200 mg.l-1 (1)

 

 

 

 

Predisposizione alla

20 l.kg-1 s.s (1)

80-90%

produzione di gas

40 l.kg-1 s.s (2)

 

     Sulla base di queste considerazioni recentemente anche in Germania vi è stata dunque una riflessione su ruolo e codificazione dei trattamenti pre-discarica; a seguito del riconoscimento della validità strategica del trattamento biologico come strumento integrato alle raccolte differenziate ed al recupero energetico tramite termoutilizzazione, il Governo tedesco ha licenziato nel Gennaio 2001 la Ordinanza sullo smaltimento dei rifiuti urbani (Ablagerungsverordnung), che tra le altre cose - oltre a confermare in prospettiva il divieto di posa a discarica di materiale “non trattato” - va ad emendare le precedenti disposizioni tecniche della TASi, individuando degli indici di accettabilità a discarica coerenti con le opportunità offerte dal trattamento biologico (Tabella 3)

     Tabella 3: limiti per l'accettabilità a discarica secondo la Ablagerungsverordnung

– Valutazione dei rifiuti pretrattati mediante trattamento biologico: - contenuto di sost. organica (TOC) inferiore al 18% o

- PCS (pot. calor. superiore) inferiore a 6000 kj/kg.

– Determinazione della stabilità biochimica

- indice respirometrico (AT4) inferiore a 5 mg/g s.s.

- GB21 (attitudine alla produzione di biogas) < 20 Nl/kg s.s.

     Anche il Draft della Direttiva sul Trattamento Biologico e Compostaggio assume lo stesso punto di vista, adottando indici di valutazione degli effetti dei trattamenti coerenti con le performances dei trattamenti biologici; in esso si legge infatti:

     “ (...)

     stabilizzazione' sta per la riduzione della degradabilità del rifiuto biodegradabile al punto che gli odori sgradevoli vengono minimizzati e che

     – l'Attività Respirometrica su 4 giorni (AT4) sia sotto i 10 mg O2/g S.S. oppure

     – l'indice Respirometrico Dinamico sia sotto i 1,000 mg O2/kg S.V./h

     In tale caso si intende che il rifiuto trattato non è più “biodegradabile” allo scopo della applicazione dell'art. 2 (m) della Direttiva 1999/31/CE sulle Discariche”

     Dobbiamo altresì sottolineare che un impianto per il trattamento biologico è, in pectore, un impianto che potrebbe essere convertito progressivamente in impianto di compostaggio di qualità. Ciò può avvenire anche gradualmente, con la crescita della raccolta differenziata, in tutti gli impianti in cui la sezione biologica sia sufficientemente modulare da permettere l'utilizzo separato di bacini, trincee, vasche, containers o aree rispettivamente per il trattamento biologico del rifiuto residuo, da un lato, e per il compostaggio di qualità, dall'altro.

     Stato e prospettive del trattamento biologico dei rifiuti indifferenziati in Italia

     Il trattamento biologico dei rifiuti residuati dalla raccolta differenziata (“resto” o “rifiuto residuo”) è in fase di sviluppo in quanto – come già menzionato – il Decreto 22/97 specifica che essi devono essere trattati prima dello smaltimento in discarica.

     Negli anni passati, diversi impianti per il compostaggio del rifiuto tal quale (indifferenziato o misto), miravano alla produzione di compost per uso agricolo. L'ultimo rapporto dell'ANPA sui rifiuti urbani (ANPA, 1999) ha rilevato la presenza in Italia di circa 30 impianti – operanti – per il “compostaggio” di rifiuto indifferenziato. Nel 1997 questi impianti, hanno trattato 1.850.000 ton di rifiuto, mentre la loro capacità complessiva era di circa 3.200.000 ton.anno-1. Molti di loro erano però solo parzialmente utilizzati, con attività temporaneamente sospesa o chiusi definitivamente.

     Questi relativi insuccessi sono stati causati da diversi fattori:

     - scarsità di presidi ambientali (es. mancanza di appropriati sistemi per il trattamento delle arie di processo)

     - cattiva gestione del processo (con la produzione di compost non maturo) o, la maggior parte delle volte

     - inadeguatezza rispetto all'obiettivo di impiego stabilito per il prodotto finale. Gli agricoltori, salvo poche eccezioni, non hanno attestato fiducia nel compost ottenuto da rifiuto indifferenziato per le applicazioni di pieno campo, a causa della presenza di microinquinanti (metalli pesanti) e contaminanti macroscopici (pezzi di vetro, plastica, ecc.) in misura relativamente elevata.

     Queste considerazioni hanno fatto recentemente modificare gli obiettivi strategici per tale tipologia di impianti; sempre più spesso gli impianti di compostaggio già esistenti son stati totalmente o parzialmente convertiti, in parte in impianti di compostaggio di qualità altre volte, appunto, per il trattamento biologico del rifiuto residuo. Recentemente ne sono stati addirittura aperti altri. In particolare, l'impianto di Milano-Via Rubattino può essere considerato l'impianto di trattamento biologico più grande del mondo: la sua capacità operativa raggiunge le 2.000 ton.giorno-1 di rifiuto residuo.

     Oggigiorno il trattamento biologico per il rifiuto residuo può essere dunque finalizzato ad ottenere differenti scopi:

     - Stabilizzazione (abbattimento della fermentescibilità) del rifiuto prima dello smaltimento in discarica

     - Aumento del potere calorifico del rifiuto residuo finalizzato al trattamento termico, (“stabilizzazione a secco” o “bioessicazione”, corrispondente al Trockenstabilat tedesco)

     - Uso di materiali (“Compost grigio” o F.O.S. “Frazione Organica Stabilizzata”) per recuperi ambientali e bonifiche di siti contaminati.

     Per quanto concerne le particolarità processistiche, va sottolineato che:

     – la produzione di materiali per applicazioni paesistico-ambientali richiede una maturazione relativamente prolungata (per l'abbattimento spinto della potenziale fitotossicità) e l'applicazione di sezione di raffinazione finale accurata, con adozione della separazione densimetrica, accanto a quella granulometrica, per allontanare dal prodotto i materiali inerti leggeri e pesanti di piccola dimensione (cocci, sassi, vetri, pezzi di plastica, ecc.) e dare dunque un aspetto accettabile e dignità d'uso al materiale.

     – La stabilizzazione pre-discarica e la bioessiccazione non richiedono una raffinazione finale (anche se questa viene a volte eseguita per separare un bioessiccato ad alto P.C.I. – costituito essenzialmente da carta e plastica – e da quello a medio P.C.I. – costituito dallo scarto alimentare bioessiccato).

     – La bioessiccazione inoltre richiede di evitare la separazione dimensionale iniziale tra frazioni fermentescibili e sovvalli leggeri; è infatti importante mantenere la sostanza fermentescibile (che costituisce il “combustibile” biochimico per l'innalzamento della temperatura e del potere evaporativo delle arie) assieme ai materiali cellulosici e plastici.

     – La stabilizzazione pre-discarica non comporta necessariamente la vagliatura dimensionale iniziale, anche se questa viene generalmente eseguita onde diminuire la volumetria del materiale da avviare a stabilizzazione (il solo sottovaglio) e con ciò stesso il dimensionamento volumetrico e gli oneri di allestimento delle aree e tecnologie di processo.

     Va sottolineato che la grande necessità di sostanza organica dovuta alle peculiari condizioni climatiche e di coltivazione dell'agricoltura dei paesi del Mediterraneo determina la necessità di riservare il compost di qualità per l'agricoltura di pieno campo ed i settori della vivaistica e del giardinaggio. Ciò apre parallelamente la necessità di ammendanti – anche di qualità relativamente inferiore – per operazioni di intervento sul territorio in siti degradati. Alcune Regioni hanno dunque già emanato linee guida e/o regolamenti tecnici per permettere l'utilizzo di “compost” da selezione meccanica del rifiuto misto (spesso definito come “Frazione Organica Stabilizzata” o “biostabilizzato”) per i ripristini ambientali: miniere abbandonate, consolidamento di scarpate, barriere antirumore, ecc.

     Tabella 4: norme regionali venete (DGR Veneto # 766, 10 Marzo 2000) sui criteri di accettabilità del “Biostabilizzato Maturo” (ossia “compost” per recuperi ambientali). (4)

Parametro

Valore limite

Cadmio

10 ppm s.s.

Cromo totale

500 ppm s.s.

Mercurio

10 ppm s.s.

Nickel

200 ppm s.s.

Piombo

500 ppm s.s.

Rame

600 ppm s.s.

Zinco

2500 ppm s.s.

Plastica

0,5% p/p

Materiali inerti (inclusa la plastica)

3% p/p

     Questi regolamenti si basano sull'ipotesi di un'unica applicazione (“una tantum”) con quantitativi elevati allo scopo di promuovere l'attività biologica dello strato superficiale. Per quel che riguarda le restrizioni d'uso, i regolamenti si riferiscono soprattutto alla necessità di controllare il carico di metalli pesanti e quello di azoto. - I valori limite sono generalmente fissati in modo da contenere la massima concentrazione di elementi potenzialmente tossici (metalli pesanti) nel suolo e prevenire che l'azoto in eccesso percoli in falda (Tabella 4).

     1.4 La digestione anaerobica e le condizioni della sua integrazione nel sistema

     1.4.1 Generalità

     La digestione anaerobica è un processo biologico complesso per mezzo del quale, in assenza di ossigeno, la sostanza organica viene trasformata in biogas o gas biologico, costituito principalmente da metano e anidride carbonica. La percentuale di metano nel biogas varia a secondo del tipo di sostanza organica digerita e delle condizioni di processo, da un minimo del 50% fino all'80% circa.

     Il vantaggio del processo è che l'energia biochimica contenuta nella sostanza organica, anziché venire liberata sotto forma di calore da allontanare dal sistema, si conserva grazie alla parziale conversione in metano ed è utilizzabile a scopo energetico.

     Affinché il processo abbia luogo è necessaria l'azione di diversi gruppi di microrganismi in grado di trasformare la sostanza organica in composti intermedi, principalmente acido acetico, anidride carbonica ed idrogeno, utilizzabili dai microrganismi metanigeni che concludono il processo producendo il metano.

     I microrganismi anaerobi presentano basse velocità di crescita e basse velocità di reazione e quindi occorre mantenere ottimali, per quanto possibile, le condizioni dell'ambiente di reazione. Nonostante questi accorgimenti, i tempi di processo sono relativamente lunghi se confrontati con quelli di altri processi biologici.

     Il rendimento in biogas e quindi energetico del processo è molto variabile e dipende dalla biodegradabilità del substrato trattato. Relativamente al trattamento della frazione organica dei rifiuti urbani derivante da raccolta differenziata e/o alla fonte, in letteratura si riportano valori di conversione in biogas compresi tra un minimo di 0,40-0,50 m³/kgSValimentati, per la digestione in mesofilia, ed un massimo di 0,60-0,85 m³/kgSValimentati, per la digestione in termofilia. In genere durante la digestione anaerobica si ottiene una riduzione di almeno il 50% dei Solidi Volatili (SV) alimentati.

     Le tecniche di digestione anaerobica possono essere suddivise in due gruppi principali:

     – Digestione a secco (dry digestion), quando il substrato avviato a digestione ha un contenuto di solidi totali (ST) ≥ 20%;

     – Digestione a umido (wet digestion), quando il substrato ha un contenuto di ST ≤ 10%.

     Processi con valori di secco intermedi sono meno comuni e vengono in genere definiti processi a semisecco.

     Il processo di digestione anaerobica è anche suddiviso in:

     – processo monostadio; le fasi di idrolisi, fermentazione acida e metanigena avvengono contemporaneamente in un unico reattore;

     – processo bistadio; il substrato organico viene idrolizzato separatamente in un primo stadio, ove avviene anche la fase acida, mentre la fase metanigena viene condotta in un secondo stadio.

     La digestione anaerobica può, inoltre, essere condotta, come già ricordato, o in condizione mesofile (circa 35°C) o termofile (circa 55°C); la scelta tra queste due condizioni determina in genere anche la durata (il tempo di residenza) del processo. Mediamente in mesofilia si hanno tempi di residenza compresi nel range 14-30 giorni, mentre in termofilia il tempo di residenza è in genere inferiore ai 14-16 giorni.

     Tra le uscite dal sistema vi è anche un materiale semitrasformato palabile o pompabile rappresentato dal residuo della biomassa digerita – chiamato anche digestato – per il quale, allo scopo di conseguire lo status merceologico ed amministrativo necessario alla commercializzazione e libera applicazione in coerenza con il dettato della L. 748/84, occorre prevedere una fase di finissaggio con maturazione aerobica (post-compostaggio) che garantisca il completamento della fase di stabilizzazione della componente organica.

     Il digestato, in uscita dalla digestione anaerobica, è infatti meno versatile del compost in quanto a possibili applicazioni in ragione del potenziale fitotossico ancora relativamente elevato (per la presenza di ammoniaca e la natura ancora relativamente fermentescibile della sostanza organica residua) e va dunque generalmente inteso e gestito come un fango ai sensi e per gli effetti del D.lgs. 99/92 sulla applicazione dei fanghi in agricoltura. Le applicazioni di elezione del digestato sono dunque in pieno campo secondo i meccanismi dello spandimento controllato previsti dal D.lgs. 99/92 stesso (autorizzazione al sito di impiego, analisi del suolo pre- e post- applicazione, contingentamento delle dosi applicabili, ecc.), mentre il compost può trovare spazi di applicazione anche in giardinaggio, vivaistica in vaso ed in terra, semine di prati, ecc. e può essere liberamente impiegato e commercializzato in coerenza con la L. 748/84 (sui fertilizzanti) modd. intt.

     Per valutare le potenzialità e le condizioni di integrazione dei processi di digestione anaerobica nel sistema integrato dei trattamenti biologici, la digestione anaerobica va dunque intesa come sostitutiva delle prime fasi di trasformazione in un sistema di trattamento aerobico (quelle intensive), mentre permane la necessità – per una sostituzione con equivalenza di effetti – e di dotare l'impianto di una sezione di maturazione finale aerobia, a carico del digestato, con tecnologie estensive.

     1.4.2 Opportunità e condizioni di integrazione tra sistemi anaerobici ed aerobici

     L'integrazione dei processi di digestione anaerobica nei sistemi di trattamento biologico va valutata alla luce delle seguenti opportunità e condizioni:

     – si ha l'opportunità di migliorare il bilancio energetico dell'impianto, in quanto nella fase anaerobica si ha in genere la produzione di un surplus di energia rispetto al fabbisogno dell'intero impianto;

     – si ha un minor impegno di superficie a parità di rifiuto trattato, pur tenendo conto delle superfici necessarie per il post-compostaggio aerobico, grazie soprattutto alla maggiore compattezza architettonica delle strutture dedicate (digestori) ed al loro sviluppo verticale

     – gli impianti anaerobici trovano la loro migliore vocazione per il trattamento di tipologie di rifiuti ad umidità elevata, mentre il compostaggio richiede un tenore di sostanza secca nella miscela di partenza dell'ordine – generalmente – del 30-35%; in distretti a bassa disponibilità di materiali strutturali (quali gli scarti vegetali da manutenzione del verde), la digestione anaerobica consente dunque una efficace gestione delle prime fasi di bioconversione delle matrici ad elevata umidità (tipicamente, scarti alimentari, fanghi, deiezioni zootecniche); il digestato successivamente presenta un quantitativo totale di solidi volatili fermentescibili inferiore e può convenientemente essere compostato con i limitati quantitativi di scarto lignocellulosico disponibile.

     – nella digestione anaerobica si ha acqua di processo in eccesso che necessita di uno specifico trattamento, mentre nel compostaggio le eventuali acque di percolazione possono essere ricircolate come agente umidificante sui cumuli praticamente fino alla fine del processo; da un punto di vista strategico, la necessità di trattamento delle acque di supero richiederebbe una buona integrazione tra sistemi di trattamento delle acque e dei rifiuti; le situazioni più favorevoli sono quelle in cui gli impianti di depurazione dei reflui civili e/o industriali e quelli di trattamento degli scarti organici fanno parte di una unica gestione di impresa o di una strategia integrata pubblica di gestione ambientale (situazione abbastanza diffusa in Europa Centrale). In tale caso infatti non si hanno costi sensibili di avvio delle acque di supero della digestione anaerobica al trattamento di depurazione, fattore che invece comporta costi aggiuntivi a forte incidenza unitaria nel caso di avvio a depurazione in impianti gestiti da terzi. A livello indicativo, si può generalmente valutare la consistenza dell'eccesso di acque rispetto alle capacità di ricircolo nella fase di maturazione aerobica nel 20-50% rispetto alla massa in ingresso all'impianto.

     – gli impianti di digestione anaerobica richiedono investimenti iniziali maggiori rispetto a quelli di compostaggio; gli investimenti specifici si collocano mediamente attorno a:

     - 300-500.000 ITL/ton.anno per il compostaggio (dimensionato su 90 gg. di processo, e con sistemi di trattamento delle arie esauste almeno per la fase di pretrattamento e di biossidazione accelerata)

     - 800.000-1.000.000 ITL/ton.anno per la digestione anaerobica (con un post-trattamento di finissaggio aerobico mediante compostaggio allo scopo di dare versatilità di applicazione e commercializzazione al prodotto); gli oneri unitari tendono ad “impennarsi” particolarmente al di sotto di alcune capacità operative minime (10.000/20.000 tonnellate) per la scarsa modularità delle opere ed attrezzature, mentre il compostaggio è caratterizzato da una discreta linearità di rapporto tra capacità operative, necessità logistiche e costi di investimento.

     Alcune condizioni favorevoli per il superamento del problema relativo ai maggiori oneri di investimento unitari – e dunque ai maggiori costi di ammortamento incidenti sul costo complessivo unitario di esercizio – possono essere le seguenti:

     - disponibilità di finanziamenti a fondo perso (es. sui progetti relativi all'innovazione tecnologica, od alle risorse energetiche alternative); questo sembra essere ad oggi il maggiore driver per l'espansione della digestione anaerobica, sia in Italia che in altri Paesi. Non a caso si prevede che la Spagna a breve diventi il Paese con la maggiore capacità complessiva di digestione anaerobica, grazie ai fondi strutturali della CE che hanno consentito l'adozione di massicci programmi di allestimento di logistica dedicata. Il finanziamento a fondo perso, abbattendo il costo di ammortamento relativo, elimina dal confronto con il compostaggio tout-court il fattore di maggiore differenziale sui costi di esercizio.

     - sovvenzioni alla produzione di energia elettrica, quali i provvedimenti relativi al Decreto “CIP 6” ed ai “Certificati verdi”; va tuttavia segnalato che l'entità di tali sovvenzioni, ai livelli di produzione elettrica unitaria tipici per la digestione anaerobica, non sembrano in grado di bilanciare i maggiori oneri di investimento e costi di ammortamento unitario (né con i livelli di integrazione finanziaria garantita dal “CIP 6”, né tanto meno con quelli – inferiori – previsti dai “Certificati verdi” e dalla Direttiva europea sulle fonti energetiche rinnovabili di prossima emanazione).

     2. PROCEDURE AUTORIZZATIVE

     2.1 Tipo di procedura

     Gli impianti di recupero per la produzione di compost di qualità possono avvalersi:

     – delle procedure semplificate di cui agli artt. 31 e 33 del D.Lgs. 22/97 e successive modifiche ed integrazioni qualora gli impianti, le materie prime ed i prodotti finali siano del tutto conformi alle prescrizioni del D.M. 5/2/1998, all. 1, suball. 1, punto 16. In particolare, i prodotti finali devono rispettare le caratteristiche indicate nell'all. 1C alla l. 748/84, così come modificato dal D.M. 27/3/98. La suddetta procedura non esime dal rispetto della disciplina contenuta nel DPR 203/88, per le emissioni in atmosfera, e quella prevista dal D.Lgs. 152/99, per gli scarichi liquidi. A parte vanno conseguiti tutti i visti, pareri e concessioni necessari per la realizzazione dell'impianto (in particolare, la concessione edilizia eventualmente necessaria)

     – delle autorizzazioni di cui agli artt. 27 e 28 del D.Lgs. 22/97 e successive modificazioni. Tale procedura è obbligatoria nel caso in cui le matrici in ingresso o il tipo di trattamento non rientrino o rientrino solo parzialmente nelle fattispecie di cui al D.M. 5/2/98, all. 1, suball. 1, punto 16 o il prodotto commercializzato non rientri o rientri solo in parte nelle caratteristiche indicate nell'all. 1C alla L. 748/84 e modifiche. Al trattamento biologico di rifiuti indifferenziati va dunque applicata sempre questa procedura.

     Ai sensi del comma 5 art. 27 del D.lgs. 22/97, l'autorizzazione è in questo caso sostitutiva di ogni altro visto, parere, autorizzazione o concessione da parte di altri organi regionali, provinciali o comunali.

     2.2 Documentazione

     2.2.1 Documentazione generale

     Il progetto degli impianti, oltre a quanto previsto all'art. 27 del D.Lgs. 22/97, deve contenere la seguente documentazione:

     – Certificato di destinazione urbanistica del sito

     – Attestazione di possesso o disponibilità del sito

     – Documentazione relativa ad eventuali pozzi ad uso idropotabile nelle zone contigue

     – Inquadramento corografico del sito, aggiornato ai più recenti insediamenti abitativi o produttivi, in modo da valutare la coerenza dei sistemi di presidio ambientale previsti

     – Informazioni relative alla profondità della falda ed alle relative escursioni

     – Elenco delle matrici di ingresso, con riferimento sia alle classi merceologiche di cui al punto 16. del DMA 72 del 5/2/98 che all'elenco dei codici CER, con relativi quantitativi.

     – Studio di impatto ambientale: alla luce del DPCM 3 settembre 1999, la procedura di “V.I.A. regionale” (allegato. A, D.P.R. 12/04/1996) è necessaria solo se l'impianto ha una potenzialità maggiore di 100 ton/giorno. Nel caso di potenzialità minore, per impianti di recupero come il compostaggio (lettera R3, all. C D.Lgs. 22/97) anche se ricadenti in aree naturali protette, non è necessaria nemmeno la procedura di screening regionale (verifica della necessità o meno della V.I.A. regionale) secondo i criteri dell'all. D, del DPR 12/04/96 citato.

     2.2.2 Documentazione tecnica

     – Cartografia in scala 1:5000 o 1:10000 con l'indicazione dell'ubicazione dell'impianto, la viabilità, i centri abitati, altri elementi significativi;

     – Relazione tecnica, corredata da calcoli dimensionali, cartografia e disegni tecnici; in particolare, vanno indicati:

     - Dati catastali e limiti di proprietà dell'area interessata

     - Superfici dell'impianto: complessiva, impermeabilizzata, coperta, piantumata

     - Indicazione dell'obiettivo finale del trattamento, in particolare se si intende:

     - produzione di ammendanti compostati di qualità ex L. 748/84 come modificata dal DM 27/3/98

     - trattamento di stabilizzazione pre-discarica

     - produzione di biostabilizzato per applicazioni vincolate in operazioni di recupero ambientale

     - esecuzione di una bioessiccazione del materiale, per aumentarne il potere calorifico ed impiegarlo come CDR; in questo caso i requisiti specifici del prodotto finale del trattamento devono fare riferimento a quanto previsto al DMA 72 del 5/2/98.

     - Criteri di dimensionamento che portano al calcolo del tempo di processo e della potenzialità annua di cui si richiede l'autorizzazione, in particolare: peso specifico delle varie matrici, sezione e lunghezza ed altezze dei cumuli/trincee, calo volumetrico stimato etc.

     - Modalità di stoccaggio provvisorio (messa in riserva) del materiale di ingresso: dimensionamento e capacità in giorni di stoccaggio

     - Rete di raccolta delle acque meteoriche, di percolazione e relativo punto di scarico e/o modalità di stoccaggio e ricircolo

     - Dimensionamento delle portate d'aria predisposte per l'insufflazione della biomassa e relativo criterio di calcolo

     - Vanno descritti, in una sezione a parte all'interno della Relazione Tecnica di progetto, i flussi delle arie esauste aspirate dalle singole sezioni, ed il loro destino finale (riutilizzo in altre sezioni, od avvio a trattamento finale). E' importante che gli elaborati tecnici (sia la Relazione Tecnica che gli elaborati planivolumetrici) mettano in risalto le opere di presidio ambientale per l'abbattimento degli odori. Vanno specificati tra gli altri:

     - I criteri di dimensionamento dei sistemi di presidio

     - I particolari costruttivi, con particolare riferimento ai sistemi di distribuzione delle arie da trattare - - Le caratteristiche di modularità dei sistemi di presidio stesso, e le capacità di disattivare singoli moduli in fase di manutenzione, in modo da garantire sempre una certa potenzialità di trattamento (almeno il 66% del normale, ossia 2 moduli su 3).

     3. CRITERI GUIDA

     3.1 Criteri di ubicazione

     3.1.1 Vincoli escludenti

     Costituiscono vincoli escludenti all'ubicazione degli impianti di recupero mediante trattamento biologico (compostaggio e stabilizzazione pre-discarica):

     – Le aree individuate ai sensi dell'art. 17, comma 3 lettera m) della legge 183/89;

     – Le aree individuate dagli artt. 2 e 3 del DPR 8/9/97 n. 357;

     – Le aree collocate nelle zone di rispetto (art. 6, DPR 236/88) per un raggio non inferiore a 200 metri dal punto di approvvigionamento idrico a scopo potabile pubblico, salvo eventuali deroghe da parte delle autorità competenti supportate da analisi di rischio;

     – Le aree a distanze dai centri abitati < 200 m (distanza dal nucleo abitato così come definito dal Codice della Strada), derogabile per il compostaggio di scarti verdi;

     – Le aree soggette a esondazione; per la verifica relativa ad aree in fregio ad aste fluviali deve, al riguardo, essere presa come riferimento la piena con tempo di ritorno pari a 50 anni. (20 anni nel caso di compostaggio di scarti verdi)

     Le distanze fanno riferimento al limite dell'area di impianto, intendendo con tale termine l'area strettamente connessa al ciclo di lavorazione dei rifiuti, ivi compreso lo stoccaggio dei prodotti recuperati e degli scarti.

     3.1.2 Vincoli da considerare

     Per ciascun sito di ubicazione devono essere esaminate le condizioni locali di accettabilità dell'impianto in relazione a:

     – aree collocate entro le fasce di rispetto delle diverse infrastrutture (strade, autostrade, gasdotti, oleodotti, ferrovie, cimiteri, beni militari, aeroporti);

     – beni storici, artistici, archeologici, paleontologici ex lege 1089/1939;

     – vincoli paesistici e paesaggistici ex lege 431/1985 e 1497/1939;

     – aree sottoposte a vincolo idrogeologico ex RD 3267/1923;

     – aree individuate a parco o riserva naturale a livello Regionale, Provinciale e Comunale

     Per tali tipologie di aree va conseguito specifico nulla-osta, in base ai meccanismi di legge previsti, dalle autorità competenti.

     Costituisce inoltre un vincolo da considerare con particolare attenzione, verificando la coerenza dei sistemi di processo e dei presidi adottati, la presenza di insediamenti abitativi anche singoli nel raggio di 1000 metri; la presenza di insediamenti singoli entro i 200 metri può costituire, dopo verifica delle condizioni topografiche ed operative locali, specifico motivo di esclusione delle possibilità di autorizzazione.

     3.2 Dotazioni tecnologiche, dimensionamento e presidi ambientali

     Il capitolo, inteso a fornire elementi di valutazione omogenei in sede di elaborazione progettuale – da parte dei proponenti – e di istruttoria tecnica – da parte degli Enti preposti all'Autorizzazione ed al controllo – si riferisce a:

     – impianti di compostaggio di biomasse selezionate ad elevata fermentescibilità (scarti “umidi” domestici e da servizi di ristorazione; scarti agroindustriali; fanghi biologici civili ed agroindustriali; reflui zootecnici, ecc.) in miscelazione con biomasse lignocellulosiche (scarti di manutenzione del verde ornamentale, materiali legnosi, cortecce, ecc.).

     – impianti di trattamento biologico del rifiuto indifferenziato o residuo di raccolte differenziate, per la stabilizzazione pre-discarica o la produzione di materiali per applicazioni controllate in operazioni paesistico-ambientali

     Per il compostaggio delle sole matrici lignocellulosiche, quali gli scarti di manutenzione del verde, si faccia riferimento al capitolo 4.

     Di seguito vengono riportati gli schemi operativi tipici cui conformare i lay-out progettuali degli impianti. Successivamente, vengono specificati in dettaglio i criteri progettuali, suddivisi in due categorie come segue:

     – Elementi tecnologici e processistici tendenzialmente prescrittivi, quelli necessari cioè (anche se non sufficienti) a garantire l'efficacia del processo, la qualità del prodotto, il contenimento degli impatti; si tratta dunque della impostazione di base e delle relative dotazioni tecnologiche, rispetto alle quali le mancanze o difformità di impostazione progettuale e gestionale vanno valutate attentamente, e sulla base di giustificazioni tecnico-processistiche e referenze operative già in atto (da presentarsi a cura del soggetto proponente);

     – Ulteriori elementi di qualificazione delle ipotesi progettuali, atti a determinare condizioni di maggiori livelli di protezione ambientale e/o una maggior efficacia del processo; questi elementi vengono qui forniti solo per coadiuvare l'impostazione progettuale, pur riservando ai soggetti titolari ed ai loro tecnici di fiducia la scelta definitiva; la adozione o meno di questi criteri, va dunque valutata in sede di elaborazione progettuale – e di istruttoria tecnica successiva – nel quadro delle coerenze complessive di progetto.

     3.2.1 Schemi operativi

     Gli impianti – coerentemente agli obiettivi operativi di ciascuna fattispecie di trattamento biologico – devono presentare la configurazione operativa di seguito schematicamente raffigurata: - (Immagine 2) - (Immagine 3) - (Immagine 4)

     3.2.2 Elementi prescrittivi (dotazioni ed allestimenti di base)

     Strutture e logistica

     – predisposizione di strutture confinate per lo stoccaggio in ingresso dei materiali ad elevata fermentescibilità (fanghi, residui alimentari, biomasse mercatali, ecc.); tali strutture (sili, trincee coperte, vasche, ecc.) vanno diversificate per tipologia di biomassa e dimensionate su un minimo di 2 giorni ed un massimo di 5 (onde evitare estesi fenomeni putrefattivi); le strutture di ricezione e stoccaggio vanno rese accessibili mediante portali ad apertura e chiusura rapida

     – gestione delle fasi di pretrattamento (lacerazione sacchi, triturazione, miscelazione, vagliatura primaria, ecc.) e trasformazione attiva (ACT) in strutture chiuse; vengono considerate strutture chiuse i tunnel, le biocelle/biocontainer, i capannoni tamponati integralmente, i sili, i bioreattori dinamici a cilindro.

     Da tali prescrizioni sono esentate le iniziative che ricadono nella casistica seguente:

     - impianti di compostaggio del solo scarto verde in eventuale miscelazione con altri materiali di esclusiva natura lignocellulosica (matrici di cui ai punti b), c), h) ed l), punto 16 del DM 5/2/98, All. 1, suball. 1)

     - impianti con capacità operative inferiori a 1000 ton/anno se posti a distanze superiori a 500 metri da abitazioni singole

     - impianti con capacità operative inferiori a 3000 ton/anno se posti a distanze superiori a 1000 metri da abitazioni singole

     - impianti con tecnologia di tipo statico per almeno 14 gg. e potenzialità compresa tra 3000 e 6000 ton/anno, se posti a distanze superiori a 1000 metri da abitazioni singole; l'esenzione dalle necessità di confinamento delle aree operative si applica limitatamente alla fase attiva, mentre le fasi di ricezione e pretrattamento vanno confinate e dotate di un sistema di abbattimento degli odori

     Durata del processo

     – La fase attiva presidiata, se distinta da quella di maturazione, deve avere una durata tale da garantire un prodotto in uscita con una sufficiente stabilità biologica, ovvero rispettare in alternativa uno dei due valori seguenti:

     - Indice respirometrico (I.R.) statico < 500 mg O2 / kg s.v. * h (5)

     - Indice respirometrico (I.R.) dinamico < 1.000 mg O2 / kg s.v. * h (6)

     Tali obiettivi sono conseguibili con tempi di ritenzione indicativamente attorno ai 14 gg. in biocella/biocontainer con ricircolo d'aria e 21/28 gg. in sistemi a trincea/cumulo

     – Nel caso del compostaggio di qualità, la fase di maturazione (curing) deve avere durata tale da garantire un tempo di processo totale non inferiore a 90 giorni e garantire il rispetto in alternativa di uno dei due valori seguenti:

     - Indice respirometrico (I.R.) statico < 250 mg O2 / kg s.v. * h 1

     - Indice respirometrico (I.R.) dinamico < 500 mg O2 / kg s.v. * h 2

     – Nel caso della stabilizzazione pre-discarica, l'impianto deve essere dimensionato su una durata complessiva del processo deve essere indicativamente di almeno 40 giorni o comunque tale da garantire il rispetto in alternativa di uno dei due valori seguenti:

     - Indice respirometrico (I.R.) statico < 500 mg O2 / kg s.v. * h 1

     - Indice respirometrico (I.R.) dinamico < 1000 mg O2 / kg s.v. * h 2

     Nel caso di produzione di materiali stabilizzati per applicazioni controllate nel settore paesistico-ambientale, la fase di maturazione (curing) deve avere durata tale da garantire un tempo di processo totale indicativamente non inferiore a 60 giorni o comunque tale da garantire il rispetto in alternativa di uno dei due valori seguenti:

     - Indice respirometrico (I.R.) statico < 400 mg O2 / kg s.v. * h 1

     - Indice respirometrico (I.R.) dinamico < 800 mg O2 / kg s.v. * h 2

     Strumenti di governo del processo e dimensionamento

     – previsione, in fase attiva, della aerazione forzata della biomassa, per aspirazione e/o insufflazione;

     – dimensionamento del sistema di ventilazione nella prima fase di trasformazione non inferiore ad una portata specifica media continuativa (ossia tenendo conto dei tempi eventuali di spegnimento) di 15 Nmc/h*ton. di biomassa (tal quale);

     – previsione di tempi di spegnimento non superiori a 30'

     – predisposizione di strumenti di controllo del processo, con dotazione almeno di sonde termometriche

     – predisposizione di sistemi per l'inumidimento periodico della biomassa, in particolare nella fase attiva

     – altezza del letto di biomassa in fase attiva non superiore a 3 metri (con tolleranza del 10%) per sistemi statici; non superiore a 3,5 metri (con tolleranza del 10%) per sistemi dinamici

     Gestione delle acque reflue

     Deve essere prevista l'impermeabilizzazione di tutte le zone operative (stoccaggio matrici, pretrattamenti, fase attiva, maturazione, post-trattamenti e stoccaggio del prodotto finito e degli scarti di lavorazione);

     La gestione delle acque deve essere differenziata a seconda della provenienza delle stesse, come di seguito elencato.

     Vengono forniti anche i criteri per il dimensionamento parametrico delle vasche di stoccaggio, se previste o necessarie. In caso di presenza di falda affiorante nell'area prescelta per l'intervento, va predisposta una doppia camera per la/e vasca/e di raccolta delle acque reflue. In alternativa, possono essere realizzate vasche fuori terra (es. in elementi prefabbricati), soluzione da preferire nel caso in cui lo spazio disponibile non costituisca fattore limitante.

     Acque di processo

     Le acque derivanti dai processi spontanei di rilascio da parte delle biomasse in fase di stoccaggio iniziale o durante il processo (acqua di rilascio), devono essere prioritariamente riutilizzate per i processi di reinumidimento delle biomasse stsse. Qualora non vengano riutilizzate, tali acque devono essere trattate nel rispetto della normativa vigente in materia di scarichi (Decreto Legislativo 11 maggio 1999, n. 152) prima del loro recapito al sistema fognario o ad acque superficiali. Per le acque provenienti dalle prime fasi di gestione al chiuso di biomasse ad elevata fermentescibilità va previsto un riutilizzo esclusivamente nella fase attiva (in strutture chiuse) a causa del carattere fortemente odorigeno delle stesse.

     Nel caso si provveda al riutilizzo delle acque di stoccaggio e di processo per l'inumidimento delle biomasse è richiesta la predisposizione di un sistema di contenimento avente una capacità minima tale da assicurare lo stoccaggio per un periodo compreso fra due successivi prelievi.

     La capacità dell'invaso dedicato allo stoccaggio dei reflui – nel caso di riutilizzo nel processo – deve dunque avere dimensioni minime determinate secondo il seguente procedimento di calcolo:

     C = R x Q x T : 1000

     ove:

     C = capacità dell'invaso in metri cubi

     R = coefficiente di rilascio in litri/tonnellata*giorno; R deve assumere valori minimi compresi fra 2 e 5, ove il valore minimo si applica ai processi con aerazione della biomassa per insufflazione, il valore massimo a quelli con aerazione per aspirazione. Per gli stoccaggi iniziali di biomasse a elevata umidità quali i fanghi di depurazione, le frazioni umide da raccolte differenziate o da selezione meccanica, prima della loro miscelazione con materiali di struttura, si applica il coefficiente 5.

     Q = quantità (in tonnellate) di biomasse in fase ACT al coperto a cui si applica il calcolo

     T = tempo massimo (in giorni) di stoccaggio delle acque tra due interventi successivi di prelievo per l'inumidimento

     Acque di percolazione su piazzali di maturazione all'aperto

     Tali acque devono essere inviate a depurazione o riutilizzate per l'umidificazione della biomassa.

     La capacità dell'invaso dedicato allo stoccaggio – nel caso di riutilizzo nel processo – deve essere dimensionato in relazione alla superficie dedicata allo stazionamento dei cumuli all'aperto e alla piovosità media annua della zona.

     La capacità dell'invaso dedicato allo stoccaggio dei reflui, espressa in metri cubi – nel caso di riutilizzo nel processo – deve avere dimensioni minime determinate secondo il seguente procedimento di calcolo:

     Q = S * (P:1000) / 30,

     ove:

     S = superficie della zona di maturazione in mq,

     P = piovosità media annua espressa in millimetri.

     Acque meteoriche

     Le acque meteoriche delle aree esterne di transito e manovra (escluse le aree di maturazione), nel caso di scarico in acque superficiali o su suolo, devono avere una separazione delle acque di prima pioggia. Le acque di prima pioggia dei piazzali di solo transito e manovra possono essere inviate a depurazione o riutilizzate sulla biomassa. In questo caso è opportuno predisporre un sistema di disoleazione delle stesse previamente al riutilizzo.

     La capacità dell'invaso dedicato allo stoccaggio – nel caso di riutilizzo del processo – deve avere dimensioni minime determinate in relazione all'altezza delle precipitazioni di “prima pioggia”.

     Le acque meteoriche da gronde pluviali e le acque di seconda pioggia possono essere destinate allo scarico, nel rispetto delle norme vigenti, o al riutilizzo per l'umidificazione della biomassa.

     Acque nere

     Tali acque devono essere inviate al sistema fognario e/o trattate nel rispetto della normativa vigente.

     Acque di lavaggio degli automezzi

     Tali acque possono essere destinate allo scarico nel rispetto delle norme vigenti.

     Gestione delle arie esauste

     Al fine di garantire l'annullamento delle molestie olfattive connesse all'immissione nell'ambiente delle arie aspirate dalle diverse sezioni, laddove viene previsto l'allestimento di edifici od ambienti chiusi, vanno previsti:

     – aspirazione e canalizzazione delle arie esauste per l'invio al sistema di abbattimento degli odori;

     – numero di ricambi d'aria/ora uguale o superiore rispettivamente a 2 (zone di stoccaggio e pretrattamento, capannoni di contenimento di reattori chiusi) e 3 (capannoni per la biostabilizzazione accelerata in cumulo/andana liberi). Per gli edifici deputati a processi dinamici e con presenza non episodica di addetti devono essere previsti almeno 4 ricambi/ora. Per le sezioni di maturazione finale, laddove allestite al chiuso, il numero minimo di ricambi/ora è pari a 2;

     – costituzione di biofiltro, adeguatamente dimensionato, per l'abbattimento del carico odorigeno delle arie da recapitare all'esterno; allo scopo di garantire un tempo di contatto di almeno 36'' (meglio 45''), il biofiltro va dimensionato sulla base di un rapporto con il flusso orario di effluenti gassosi da trattare pari ad almeno 1 mc (di letto di biofiltrazione) : 100 Nmc/h di effluenti gassosi da trattare (meglio 1 mc : 80 Nmc/h);

     – altezza del letto di biofiltrazione compreso tra 100 e 200 cm;

     – costituzione modulare del biofiltro, con almeno 3 moduli singolarmente disattivabili per le manutenzioni ordinarie e straordinarie

L'efficienza dei sistemi di trattamento degli odori deve essere determinata secondo i principi della Olfattometria Dinamica riportati nel Draft CEN 064/e TC 264 WG2 "Odours"

Il valore limite da rispettare per tutti i punti campionati è pari a 300 Unità Odorimetriche / Nm³ (U.O./Nm³), tenendo conto degli intervalli di confidenza statistica previsti dalla metodica citata.

     Igiene e sicurezza

     Allo scopo di prevenire il rischio biologico di inalazione, da parte degli operatori, di polveri sospese e di aerosoli contenenti patogeni, gli addetti al processo devono eseguire o presiedere alle operazioni di movimentazione, di rivoltamento, di triturazione e di raffinazione in mezzi cabinati e dotati di appositi filtri o devono indossare mascherine anti-polvere.

     Il processo di bioconversione, deve garantire la igienizzazione della biomassa, allo scopo di inattivare i patogeni eventualmente presenti nel materiale trattato. A tale scopo, la igienizzazione si intende conseguita quando ogni parte del materiale è stata soggetta per almeno 3 giorni ad una temperatura minima di 55°C.

     3.2.3 Ulteriori elementi di qualificazione delle ipotesi progettuali

     – realizzazione di una capacità aggiuntiva di stoccaggio in ingresso per la “quarantena” di biomasse su cui vanno saltuariamente eseguiti accertamenti analitici per l'accettazione o i programmi di miscelazione (es. fanghi biologici)

     – per la parte di scarto alimentare (nel caso del compostaggio di qualità) e per il rifiuto indifferenziato (nel caso di produzione di materiali per applicazioni paesistico-ambientali) adozione di sistema di pretrattamento (macchinario di trito-miscelazione o lacerasacchi) che eviti la frammentazione di eventuali inerti vetrosi (sfibratori e basso numero di giri/minuto, quali macchinari a coclee, a denti, a coltelli, ecc.)

     – collegamento automatico della ventilazione e/o della movimentazione della massa al sistema di monitoraggio delle condizioni di processo; possibilità di monitoraggio a distanza (es. con rete GSM o internet)

     – possibilità, in fase attiva, di modulazione delle portate d'aria specifiche in relazione ai riscontri di processo, o almeno nelle diverse sezioni (corrispondenti a biomassa a diversi stadi di maturazione)

     – adozione di un sistema di aerazione forzata della biomassa anche in fase di maturazione

     – riutilizzo preferenziale delle arie aspirate dalle sezioni di ricezione e pretrattamento per l'ambientalizzazione delle sezioni di compostaggio attivo e/o per l'insufflazione della biomassa; il bilancio complessivo tra arie immesse ed estratte dalle sezioni di compostaggio attivo deve comunque essere negativo, con saldo netto pari ad almeno 2 ricambi/ora

     – previsione, a monte del sistema di biofiltrazione degli odori, di un sistema di lavaggio ad acqua delle arie esauste

     – per impianti di dimensione medio-grande e grande (superiori a 50-100 tonnellate/die in ingresso alla sezione di bioconversione) ed in siti a forte sensitività (topograficamente contigui ad abitazioni sparse od aggregate, indicativamente entro i 500 metri) tunnel, biocelle, biocontainer e altri sistemi a bioreattore confinato vanno preferibilmente dislocati all'interno di edifici chiusi onde captare le emissioni in fase di carico/scarico; alternativamente, si può prevedere l'allestimento di una apposita area di carico dei biocontainer (se mobili) all'interno degli edifici adibiti alla ricezione e pretrattamento

     – chiusura delle aree di processo anche per la fase di maturazione, od adozione di sistemi statici semiconfinati (es. mediante teli); tale indicazione diventa tendenzialmente prescrittiva nel caso di localizzazioni critiche (indicativamente, entro i 500 metri) e/o ad alte capacità operative (indicativamente superiori alle 50-100 ton/die in ingresso alla sezione di bioconversione)

     – svolgimento al chiuso delle operazioni di vagliatura, per il contenimento delle emissioni acustiche e la dispersione eolica; in questo caso non è necessaria l'aspirazione ed il trattamento odori delle arie esauste, mentre può essere valutata la predisposizione di sistemi di aspirazione localizzata con abbattimento delle polveri (es. tramite filtro a maniche) - – previsione di una sistemazione ed un inserimento paesistico in linea con l'ambiente circostante

     4. CRITERI DI REALIZZAZIONE E GESTIONE PER IL COMPOSTAGGIO DELLO SCARTO VERDE

     4.1 Fonti normative

     Il compostaggio di scarti ligno-cellulosici su strutture semplificate – aree all'aperto, eventualmente sul terreno drenante non pavimentato – è da tempo esplicitamente ammesso e promosso in:

     – Lombardia: in base al disposto congiunto delle D.G.R. V/40516 e V/51028; tali disposizioni prevedono la conduzione all'aperto; inoltre, è ammesso il compostaggio su terreno non pavimentato per strutture pubbliche con capacità operative sino a 400 ton/anno e/o al servizio di meno di 10.000 abitanti.

     – Veneto: in base al disposto della D.G.R. 766; terreno non pavimentato sino a 500 ton/anno

     – Piemonte: in base al disposto della D.G.R. 63-8317; terreno non pavimentato sino a 1000 ton/anno

     Le norme nazionali – che fanno sostanzialmente riferimento alla D.C.I. 27/7/84, ove sono incluse solo prescrizioni generiche sulle temperature per l'igienizzazione e la durata delle stesse – non attestano attualmente una esplicita legittimazione o divieto per tale approccio operativo. Va però notato che le norme tecniche per l'ammissione delle attività di compostaggio a procedure semplificate ex artt. 31 e 33 del D. l.vo 22/97, ne prevedono l'ammissibilità, con conduzione all'aperto a qualunque dimensione e possibilità di operare su terreno non pavimentato per iniziative sotto le 1000 ton/anno.

     Le bozze della normativa tecnica ex art. 18 D.lgs. 22/97 riprendono coerentemente tali concetti, confermandoli integralmente.

     Vale dunque la pena di dedicare una sezione alla alutazione del ruolo strategico di iniziative di questo tipo nel quadro della gestione integrata dei RU, definendone al contempo alcune condizioni operative qualificanti.

     4.2 Significato operativo

     In uno scenario evolutivo in cui le raccolte differenziate delle frazioni organiche si allargano progressivamente ad intercettare altri scarti compostabili (es. di origine alimentare) che richiedono anche la miscelazione con materiali lignocellulosici, l'attivazione di iniziative di compostaggio del solo scarto ligno-cellulosico su strutture semplificate ed eventualmente provvisorie – es. nel caso di conduzione su terreno non pavimentato – può rispondere a due ruoli ed obiettivi:

     – ruolo “tattico”: inteso a dare risposta immediata a necessità di conferimento e valorizzazione di materiali provenienti dalle raccolte differenziate degli scarti del verde ornamentale; la semplicità e la eventuale provvisorietà dei siti attrezzati in questo caso è intesa a rendere agevole la loro attivazione, nonché, sul medio periodo, la eventuale dismissione alla attivazione dei centri comprensoriali per il co-compostaggio con gli scarti di origine alimentare ed altre biomasse (es. fanghi biologici); questi possono infatti avvalersi, parzialmente o totalmente, del flusso di scarti ligno-cellulosici per l'ottenimento delle condizioni ideali di processo all'interno della biomassa.

     – ruolo “strategico”: inteso a promuovere, consolidare e preservare, eventualmente anche sul lungo termine, una rete operativa che si avvale di sistemi “naturaliformi” in strutture frequentabili; con ciò viene generato consenso per il compostaggio in generale e in particolare per la separazione degli scarti “verdi” e l'acquisto in impianto dei prodotti compostati da parte di cittadini ed operatori professionali.

     Una rete territorialmente coordinata di strutture semplificate può costituire dunque un sistema operativo modulare, flessibile, parzialmente o totalmente dismissibile e dunque adattabile alle evoluzioni dello scenaio operativo.

     4.3 Linee-guida e standard operativi

     4.3.1 Superficie necessaria

     In prima istanza 1,5-2 mq/ton.anno di capacità operativa, con un minimo di 1000 mq e forma delle aree – nel caso di piccoli impianti – tendenzialmente allungata (es. 50x25; 40x30).

     4.3.2 Presidi ambientali

     Nel caso di iniziative con terreno pavimentato, allestimento di una rete di drenaggio con canaline e/o cunette e/o caditoie collegate a vasca/vasche di accumulo; il destino normale dei reflui è il recupero a scopo di inumidimento dei cumuli; per gestire agevolmente il ricircolo anche in periodi a forte piovosità, i bacini di stoccaggio devono essere dimensionati su un rapporto di almeno 1 mc/30 mq di superficie drenata. Le eccedenze vanno avviate a depurazione.

     Può essere prevista, per sole acque reflue dai piazzali di solo transito e manovra, la separazione delle acque di prima pioggia, da avviare a recupero o depurazione, da quelle di seconda pioggia che possono essere recapitate a suolo o in corpi idrici superficiali.

     4.3.3 Caratteristiche del sito

     Servito da viabilità adeguata. Avuto riguardo del peso specifico medio annuale delle biomasse vegetali da manutenzione del verde (0.2-0.25 circa), il tonnellaggio annuo va moltiplicato per 4-5 allo scopo di desumere la volumetria annualmente conferita. Il numero di viaggi annuali e dunque medi giornalieri può essere valutato considerando il trasporto con cassoni scarrabili da 20 mc (da Piattaforme Ecologiche comunali), e con automezzi da 2-3 a 20 mc. (per utenze professionali del settore della paesaggistica).

     Nel caso di piccole iniziative condotte su terreno non pavimentato (con fruizione diretta da parte della popolazione comunale), questo non deve essere soggetto a ristagni; la viabilità di accesso deve essere di tipo vicinale ma agevolmente transitabile anche da autoveicoli dei privati cittadini. Non essendo previste strutture edificate o pavimentazioni permanenti, è possibile ipotizzare l'inserimento anche in aree agricole. La localizzazione ideale è accanto a Piattaforme Ecologiche (Stazioni per la Raccolta Differenziata) esistenti od in progetto per le evidenti sinergie operative ed organizzative.

     4.3.4 Distanze

     – 200 m. da pozzi ad uso idropotabile (DPR 236/88) salvo deroghe da parte dell'Autorità Sanitaria Locale (il percorso di valutazione per la deroga è invero relativamente lungo e prevede di norma una indagine idrogeologica in situ)

     – almeno 200 m. da abitazioni (100-200 per piccole iniziative su terreno nudo), essenzialmente per l'impatto acustico generato dalle operazioni di triturazione (sino a 85-90 dB A); va considerato che tali operazioni hanno carattere episodico per le iniziative fino a 1000 ton/anno (per un massimo di circa 50 ore/anno.sito)

     4.3.5 Sistemi di sorveglianza

     – Recinzione anche leggera su tutto il contorno o analoghi sistemi di interdizione e controllo degli accessi.

     – Presidio di sorveglianza durante gli orari di apertura.

     4.3.6 Orari di apertura

     Nel caso di piccole iniziative comunali con consegna diretta da parte dei cittadini, almeno 2 mezze giornate/settimana. Prioritariamente il Sabato, apertura almeno pomeridiana, con preferibile estensione a tutta la giornata.

     4.3.7 Altri allestimenti

     Nel caso di iniziative su terreno non pavimentato, eventuale consolidamento della zona longitudinale centrale, più soggetta a transito, con mista o ghiaia o legno triturato (10-20 cm).

     4.3.8 Dotazione operativa standard

     E' preferibile la disponibilità di allacciamenti idrici per l'inumidimento periodico dei cumuli.

     Opportuna la disponibilità in zona di pale meccaniche o muletti agricoli per il rivoltamento periodico dei cumuli.

     Le dotazioni specifiche (trituratore, vaglio), fanno generalmente parte del parco-macchine nelle iniziative di media e grande dimensione (dalle 3000-5000 ton/anno); nelle piccole iniziative vengono invece normalmente procurate tramite noleggi o messe in dotazione dalle Istituzioni di livello superiore (es. Consorzi, Province), e condivise dunque tra più siti. In occasione degli interventi specifici i noleggiatori possono anche provvedere ai rivoltamenti dei cumuli.

     5. GLOSSARIO

     DEFINIZIONI

     ACT (Active Composting Time) o Biossidazione accelerata o Fase attiva

     Rappresenta la prima fase del processo di compostaggio con decomposizione delle molecole organiche più facilmente degradabili e formazione di composti intermedi parzialmente trasformati. In questa fase l'intesa attività microbica causa un elevato consumo di ossigeno ed un innalzamento della temperatura. Al termine di questa fase il carico di composti fermentescibili nel materiale organico è significativamente ridotto.

     Ammendante

     Prodotto atto al miglioramento delle proprietà fisiche, meccaniche e biologiche del terreno. Gli ammendanti sono commercializzati in Italia secondo i criteri individuati dalla Legge n. 748/84 e succ. modd.

     Bioconversione

     L'insieme dei processi biologici, effettuati da microrganismi aerobici ed anaerobici, di trasformazione del materiale organico sottoposto al trattamento biologico.

     Biomassa

     Materiale a matrice prevalentemente organica. Nel settore del compostaggio si indica come “biomassa” il materiale oggetto di raccolte selezionate e sottoposto a trattamento.

     Biostabilizzazione

     Processo di bioconversione aerobica che si differenzia dal compostaggio per l'impiego di matrici non selezionate, come i rifiuti urbani indifferenziati, o selezionate a valle (frazione organica da selezione meccanica). Il processo può essere finalizzato alla sola riduzione della fermentescibilità (stabilizzazione pre-discarica) oppure alla produzione di materiali per applicazioni controllate di tipo paesistico-ambientale.

     Biostabilizzato per applicazioni paesistico-ambientali

     Prodotto simile al compost ma proveniente dalla biostabilizzazione, compresa la fase di maturazione, di rifiuti urbani indifferenziati. Tale matrice è sottoposta ad una vagliatura, che può avvenire prima del processo e/o in una fase intermedia e/o finale. Il biostabilizzato maturo deve rispettare limiti di legge meno restrittivi del compost di qualità (attualmente D.C.I. 27/7/1984) e può essere utilizzato in applicazioni controllate per operazioni paesistico-ambientali.

     Compost

     Prodotto ottenuto mediante il compostaggio di matrici organiche preselezionate di varia natura e che viene impiegato in agricoltura come ammendante o come substrato colturale (ad integrazione o sostituzione della torba ed altri terricci).

     Compost verde

     Prodotto ottenuto attraverso il compostaggio di matrici organiche costituite da scarti della manutenzione del verde ornamentale, residui delle colture ed altri scarti di origine vegetale.

     Compost misto

     Prodotto ottenuto attraverso il compostaggio di matrici organiche costituite dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani proveniente da raccolta differenziata, da scarti di origine animale compresi i liquami zootecnici, da residui di attività agroindustriali e da lavorazione della carta, del legno e del tessile naturale non trattati, da fanghi biologici civili, nonché dalle matrici organiche previste per il compost verde.

     Compostaggio

     Processo biossidativo esotermico che avviene in condizioni controllate a carico di matrici organiche in fase solida. Esso evolve attraverso due fasi (fase attiva e di maturazione) e porta alla produzione di acqua, anidride carbonica, calore e compost.

     Digestione anaerobica

     Bioconversione di sostanza organica effettuata in assenza di ossigeno, finalizzata alla produzione di biogas e di frazione organica residua parzialmente stabilizzata.

     Fermentescibilità

     Attitudine di una matrice organica a subire reazioni biologiche con liberazione di energia (calore) e di cataboliti di varia natura, parzialmente rilasciati in atmosfera (es. vapor d'acqua e anidride carbonica) e parzialmente reincorporati nel processo di umificazione.

     Fertilizzante

     Sostanza che si aggiunge al terreno con l'obiettivo di migliorare o comunque di mantenere inalterata la sua fertilità. La commercializzazione dei F. è disciplinata dalla Legge n. 748/84 e successive modifiche.

     Frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU)

     Matrice organica putrescibile ad elevata umidità, proveniente dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani e costituita da residui alimentari, ovvero scarti di cucina.

     Granulometria

     Caratteristiche dimensionali delle particelle costituenti un materiale quale il compost. La granulometria generalmente viene indicata in mm.

     Igienizzazione

     Disattivazione degli agenti patogeni per l'uomo e per le colture e dei semi vitali nelle matrici organiche in corso di trasformazione. L'igienizzazione avviene nel compostaggio per pastorizzazione (grazie all'autoriscaldamento naturale provocato dall'attività microbica soprattutto durante la fase attiva) e per modifica delle caratteristiche biochimiche delle matrici organiche, sino a renderle inospitali alla ricolonizzazione da parte dei patogeni.

     Impianto

     Insieme delle strutture ed attrezzature che costituiscono l'unità operativa in grado di gestire un'attività di compostaggio.

     Inerti

     Frazione merceologica, da allontanare, di una biomassa o di un compost costituita da plastica, pietre, ghiaia e materiali terrosi.

     Matrice organica

     Prodotto costituito prevalentemente da sostanza organica di origine naturale (animale o vegetale), la cui tipologia sia facilmente identificabile e riconoscibile: scarti della manutenzione del verde, letame, fanghi, frazione organica dei rifiuti solidi urbani, scarti colturali, etc.

     Matrice fermentescibile

     Matrice organica con alta percentuale di componenti facilmente aggredibili; tra queste matrici, gli scarti alimentari, gli scarti agroindustriali ed i fanghi.

     Matrice strutturale o Matrice lignocellulosica

     Matrice organica con alta percentuale di materiali di buona consistenza e pezzatura, in grado di conferire alla miscela cui viene aggiunta caratteristiche di buona conduttività all'aria; tra queste gli scarti vegetali da manutenzione del verde ed altri materiali legnosi.

     Maturazione

     Nel processo di compostaggio la maturazione segue la fase di attiva e consiste in una lenta trasformazione della sostanza organica, nel corso della quale avviene l'umificazione.

     Pacciamatura

     Applicazione di compost o di materiali legnosi compostati (es. i sovvalli legnosi) in modo da coprire il terreno con uno strato di materiale dello spessore di 3-10 cm allo scopo di impedire la crescita di malerbe, conservare l'umidità, ecc.

     Raffinazione

     Operazione di nobilitazione del compost al termine della fase di maturazione. La raffinazione consente di raggiungere il grado di pulizia e omogeneità granulometrica prefissato e può avvenire per vagliatura, riduzione della granulometria, deferrizzazione, classificazione aeraulica, etc..

     Scarti verdi

     Scarti della manutenzione del verde pubblico e privato così come identificati dal p.to 16.1, lettera l, Allegato 1, decreto 5 febbraio 1998 (codice 200201).

     Sostanza organica

     Insieme di sostanze biodegradabili di origine animale e/o vegetale. La sostanza organica può essere presente in forme diverse in funzione del suo grado di trasformazione (da sostanza organica fresca così come è contenuta nelle matrici organiche non trasformate ad humus).

     Stabilizzazione

     Perdita permanente della biodegradabilità, della fermentescibilità e della fitotossicità della sostanza organica indotta dal compostaggio.

     Substrato colturale

     Materiale atto a sostituire il terreno in tutte le sue funzioni per tecniche di coltivazione in contenitore (vaso, fioriera, o comunque fuori suolo).

     Umificazione

     Processo attuato da microrganismi che comporta la sintesi di composti di lenta degradazione, con buone capacità di ritenzione idrica, di agglomerazione dei minerali del suolo, ecc.

     Vagliatura - Operazione che consente di separare le particelle di un compost in classi granulometriche differenti secondo le diverse dimensioni. La vagliatura è un'operazione necessaria per la preselezione delle matrici da compostare e/o per la raffinazione finale del compost.


[1] Abrogata dall'art. 8 della L.R. 23 settembre 2021, n. 39, limitatamente alle prescrizioni e disposizioni concernenti le emissioni odorigene.