§ 2.3.k - R.R. 2 dicembre 2005, n. 2.
Tipologie e requisiti delle strutture residenziali, semi residenziali e reti familiari per minori e specificazione per i presidi di ospitalità collettiva.


Settore:Codici regionali
Regione:Liguria
Materia:2. servizi sociali
Capitolo:2.3 assistenza sociale
Data:02/12/2005
Numero:2


Sommario
Art. 1.  (Definizione delle Comunità educative per minori)
Art. 2.  (Criteri per l’accesso e il trattamento del minore)
Art. 3.  (Requisiti per l’autorizzazione)
Art. 4.  (Tipologie)
Art. 5.  (Personale)
Art. 6.  (Requisiti strutturali)
Art. 7.  (Definizione delle Case Famiglia per minori)
Art. 8.  (Tipologie)
Art. 9.  (Definizione dei Centri Socio Educativi Diurni)
Art. 10.  (Requisiti per l’autorizzazione)
Art. 11.  (Personale)
Art. 12.  (Requisiti strutturali)
Art. 13.  (Definizione dei Centri di Aggregazione)
Art. 14.  (Personale)
Art. 15.  (Requisiti strutturali)
Art. 16.  (Definizione)
Art. 17.  (Personale)
Art. 18.  (Definizione, requisiti strutturali e gestionali)
Art. 19.  (Personale)
Art. 20.  (Requisiti strutturali e autorizzativi)
Art. 21.  (Definizione)
Art. 22.  (Case Famiglia per giovani e adulti)
Art. 23.  (Presidi di ospitalità collettiva)


§ 2.3.k - R.R. 2 dicembre 2005, n. 2. [1]

Tipologie e requisiti delle strutture residenziali, semi residenziali e reti familiari per minori e specificazione per i presidi di ospitalità collettiva.

(B.U. 28 dicembre 2005, n. 14)

 

TITOLO I

SERVIZI RESIDENZIALI

 

CAPO I

COMUNITÀ EDUCATIVE PER MINORI

 

Art. 1. (Definizione delle Comunità educative per minori)

1. Le Comunità Educative per minori sono strutture residenziali - a ciclo continuativo ventiquattr’ore su ventiquattro - che:

a) definiscono la loro attività (missione) con l’organigramma e il funzionigramma, esplicitano la proposta educativa, le basi metodologiche e la tipologia dei minori che sono in grado di accogliere;

b) accolgono minori e adolescenti che vivono una situazione di mancanza di tutela nella propria famiglia tale per cui il servizio pubblico e/o il Tribunale ravvedano la necessità di un allontanamento;

c) si caratterizzano per un’accoglienza basata su un progetto personalizzato;

d) si configurano come residenzialità a carattere familiare relazionata con il territorio in modo da utilizzare le sinergie e le risorse dello stesso escludendo attività dirette di istruzione e formazione;

e) hanno caratteristiche tali da non poter essere assimilate con le tradizionali forme macro assistenziali costituendo piccoli nuclei comunitari che riproducono le condizioni di vita proprie di un ambiente familiare e di una civile abitazione;

f) sono situate in zone dotate di una rete accessibile di servizi generali, sociali, sanitari, educativi e ricreativo-culturali tali da consentire una larga partecipazione alla vita sociale;

g) la tipologia edilizia è quella della civile abitazione e devono soddisfare il requisito della visitabilità;

h) possono essere disponibili all’emergenza educativa e per cause straordinarie ed urgenti, tale disponibilità deve essere esplicitata nel progetto della struttura;

i) possono essere previste all’interno delle comunità forme di accoglienza diurna.

 

     Art. 2. (Criteri per l’accesso e il trattamento del minore)

1. Per ogni minore allontanato dalla propria famiglia per esigenze di tutela è necessaria una progettualità personalizzata che si sviluppa attraverso un lavoro concertato tra servizio inviante, servizio di accoglienza e, per quanto possibile, lo stesso minore e la famiglia di origine.

2. Per progettualità personalizzata si intendono due livelli di esplicitazione dell’intervento:

a) il progetto quadro che definisce la finalità dell’accoglienza (ritorno in famiglia, affido, adozione, autonomia ecc.); i tempi dell’intervento, che devono essere congruenti col dettato della legge 28 marzo 2001, n.149 (modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro I del codice civile), le motivazioni che hanno portato alle linee progettuali adottate;

b) il progetto pedagogico/educativo, redatto da parte della Comunità, che definisce le azioni a supporto del progetto quadro, i tempi di realizzazione e le responsabilità, e si realizza attraverso: l’osservazione, la relazione educativa, la valutazione e il monitoraggio delle risorse e delle potenzialità del minore, il mantenimento e la cura dei legami familiari ed il raccordo con le risorse scolastiche, di socializzazione e di orientamento al lavoro presenti sul territorio.

 

     Art. 3. (Requisiti per l’autorizzazione)

1. Per l’autorizzazione al funzionamento è competente il Comune ai sensi:

– della legge 8 novembre 2000, n. 328 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali);

– della legge regionale 30 luglio 1999, n. 20. (norme in materia di autorizzazione, vigilanza e accreditamento per i presidi sanitari e socio-sanitari, pubblici e privati. Recepimento del D.P.R.14 gennaio 1997).

2. Sono indispensabili i requisiti progettuali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), e all’articolo 2 del presente regolamento e i requisiti gestionali e strutturali individuati nei successivi articoli. Inoltre sono necessari:

a) l’individuazione delle procedure per l’accoglienza/dimissione del minore;

b) la presenza di una cartella personale per ogni minore;

c) le procedure scritte, le linee guida per il lavoro di équipe, compresa l’organizzazione degli orari e dei turni degli operatori;

d) l’adozione della Carta del Servizio.

 

     Art. 4. (Tipologie)

1. Le Comunità educative, per la gradualità delle funzioni svolte e per la tipologia dei minori accolti, si articolano in:

a) Comunità educative ad alta intensità: caratterizzate per la capacità di accoglienza di minori, di norma dieci più eventuali due posti per le emergenze, con gravi problemi di ordine socio educativo e portatori di disagi profondi. La Comunità può fornire anche prestazioni psico-terapeutiche. All’interno di queste strutture sono presenti professionalità e competenze che permettono anche una gestione mista da parte dell’Ente pubblico (Comuni/Azienda Sanitaria Locale (ASL) e da parte di soggetti esterni. Laddove la gestione sia totalmente affidata a soggetto terzo, la tariffa dovrà comprendere, a carico del servizio sanitario, anche le funzioni terapeutiche di norma svolte ASL;

b) Comunità educative a media intensità: caratterizzate per la capacità di accoglienza di minori, di norma dieci più eventuali due posti per le emergenze, con problemi familiari e di ordine socio educativo di intensità meno elevata;

c) Comunità educative di pronta accoglienza: caratterizzate per la capacità di accoglienza di minori, di norma dieci più eventuali due posti per le emergenze, per i quali si rende necessario provvedere ad un allontanamento urgente dal nucleo familiare. Tali comunità devono essere in grado di esprimere una progettualità capace di una fase valutativa iniziale e di un successivo approfondimento che superi la situazione di emergenza. Il tempo massimo permesso per l’accoglienza è di sei mesi prorogabili di ulteriori sei mesi. Possono essere affiancati posti di pronto intervento non superiore a quattro minori (anche con modulo autonomo) che debbono trovare successiva collocazione di norma entro novanta giorni.

d) Comunità educative zero-sei anni: caratterizzate per la capacità di accoglienza di minori, non superiore a dieci, di età inferiore ai sei anni. Tali Comunità collaborano attivamente alla gestione del delicato passaggio dalla famiglia di origine ai percorsi adottivi e/o affidatari, in rete con i servizi invianti in modo da poter rispondere a bisogni anche urgenti di accoglienza. Devono sussistere a lato di tali Comunità reti di famiglie che possono accogliere il minore.

La permanenza del minore fino al compimento del quarto anno di età non può superare i sei mesi prorogabili di ulteriori sei mesi. Per i minori dai quattro ai sei anni la permanenza non può superare gli otto mesi prorogabili di ulteriori otto mesi.

2. Ove le comunità educative abbiano un’utenza inferiore alle proprie capacità, possono predisporre un numero di personale rapportato alle esigenze e comunque non inferiore al rapporto educatore/minore previsto dall’articolo 5.

 

     Art. 5. (Personale)

1. Il personale delle comunità educative deve essere in possesso del titolo di educatore o titoli equipollenti o, in alternativa, in possesso di diploma di scuola media superiore, con una documentata anzianità di servizio, almeno triennale, nelle strutture per minori o equipollenti, a titolo remunerativo con esclusione del servizio prestato a titolo di volontariato.

2. Ogni struttura deve dotarsi di un coordinatore, in possesso di una laurea in discipline socio psico pedagogiche, o del titolo di educatore con tre anni di esperienza documentata o, in alternativa, di operatori in possesso di diploma superiore, con una esperienza professionale di coordinamento almeno triennale nelle strutture per minori o equipollenti. Il coordinatore è di norma individuato tra gli educatori presenti nella comunità; la sua attività può svolgersi nel coordinamento massimo di due comunità.

3. All’interno delle strutture possono operare anche volontari, che non concorrono al numero degli operatori richiesti, che concordano con il coordinatore della struttura tempi e modi del loro intervento.

4. Nelle Comunità ad alta intensità e nelle Comunità di pronta accoglienza è prescritto un numero di sei educatori, compreso il coordinatore, con un rapporto educatore/minori di 1/1,6.

5. Nelle Comunità a media intensità è prescritto un numero di sei educatori, compreso il coordinatore, con un rapporto educatore/minore di 1/1,6.

6. Nelle Comunità zero/sei anni è prescritto un numero di sette educatori, compreso il coordinatore, con un rapporto educatore/minore di 1/1,4.

7. Nel caso siano presenti operatori residenti il numero di educatori, di cui ai punti 4, 5 e 6 è diminuito di una unità per ogni residente.

8. Le Comunità Educative per Minori prevedono anche la presenza di una unità di personale ausiliario.

 

     Art. 6. (Requisiti strutturali)

1. I criteri progettuali rispondono ai requisiti

delle civili abitazioni, con l’osservanza delle

seguenti regole:

a) camere da letto di norma doppie, con la possibilità, in sede di prima applicazione del provvedimento e per le strutture già funzionanti o con progettazione già approvata di camere fino a quattro letti, dotate di arredi sufficienti e con cubatura definita dai regolamenti edilizi comunali;

b) servizi igienici e bagno o docce adeguati al numero degli ospiti dei quali, se presenti soggetti portatori di handicap, uno conforme alla Legge 9 gennaio 1989, n. 13 (disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati) ed al Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 14 giugno 1989, n. 236 (prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adottabilità e la visibilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche);

c) locali comuni: cucina e soggiorno destinati ai momenti di vita collettiva.

2. È consentita la coesistenza di un massimo di quattro moduli residenziali o semi residenziali nello stesso edificio o in edifici tra loro collegati.

L’ampiezza del modulo è indicata nelle tipologie di cui all’articolo 4.

 

     Art. 7. (Definizione delle Case Famiglia per minori)

1. Le Case famiglia per minori sono luoghi di accoglienza organizzati intorno ad una famiglia giudicata idonea all’affido dai servizi. I parametri strutturali sono quelli della civile abitazione, commisurata al numero dei minori accolti.

2. L’attività è di norma svolta presso l’abitazione della famiglia o in ambiti che mantengano comunque i caratteri della civile abitazione. La casa famiglia deve essere situata in zone dotate di una rete accessibile ai servizi generali, educativi e ricreativo- culturali tale da permettere la partecipazione alla vita sociale del territorio e facilitare le visite degli ospiti esterni.

 

     Art. 8. (Tipologie)

1. Le Case Famiglia sono individuate nel modo seguente:

a) Casa famiglia per minori su base professionale: famiglie, idonee all’affido, che svolgono su base professionale, l’accoglienza di minori con problemi, con la corresponsione di una tariffa per ciascun minore accolto. La famiglia accogliente deve essere inserita in un ente legalmente riconosciuto con caratteristiche Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale (ONLUS) (associazione, cooperativa, ecc.) che garantisce la formazione continua dei propri associati. Il numero dei minori accolti è di norma non superiore a cinque, esclusi i figli della coppia. Sono necessari requisiti di professionalità che possono essere assolti dalle figure famigliari (se uno o entrambi siano in possesso di titolo adeguato) e da un educatore esterno, a carico della famiglia, per almeno dieci ore settimanali;

b) Casa famiglia per minori su base non professionale: si avvale di famiglia “volontaria”, idonea all’affido, a cui non vengono richiesti requisiti professionali, a carico invece del servizio inviante e alla quale viene riconosciuto un contributo per le spese d’accoglienza dei minori definito concordemente tra il servizio inviante e la famiglia.

Il numero di minori accolto è di tre, esclusi i figli della coppia.

2. Per ciascun minore accolto in entrambe le tipologie di Case Famiglia è elaborato un progetto predisposto d’intesa con i servizi invianti che illustri la finalità dell’accoglienza e i tempi per il ritorno in famiglia, l’affido, l’adozione, l’autonomia, ecc.

3. La Casa Famiglia non necessita di autorizzazione ma solo di Dichiarazione di inizio attività al Comune, con allegata progettualità generale.

 

TITOLO II

SERVIZI SEMI RESIDENZIALI

 

CAPO I

CENTRI SOCIO EDUCATIVI DIURNI PER MINORI

 

     Art. 9. (Definizione dei Centri Socio Educativi Diurni)

1. I Centri Socio Educativi Diurni sono luoghi di accoglienza che prestano servizio a favore di minori che si trovano in una situazione di rischio evolutivo e per i quali il progetto di prevenzione e sostegno non necessita di un allontanamento dal nucleo familiare d’origine.

2. I Centri Socio Educativi Diurni:

a) svolgono la loro funzione sia in senso preventivo all’allontanamento dalla famiglia sia per ragazzi in uscita dai percorsi di tutela residenziale;

b) garantiscono il supporto ad alcune funzioni tipiche della famiglia, (aiuto scolastico, utilizzo del tempo libero, ecc.) e l’accompagnamento protetto durante la giornata (con eventuale somministrazione di pranzo e/o cena) sviluppando azioni di integrazione socio educativa;

c) debbono essere situati in zone dotate di una rete accessibile di servizi generali, sociali, sanitari, educativi e ricreativo- culturali tale da permettere la partecipazione alla vita sociale;

d) accolgono minori di età compresa tra i sei e i diciassette anni, divisi per fasce di età, secondo la metodologia definita nel progetto del servizio ed è aperto, di norma, undici mesi all’anno, prevalentemente durante la fascia pomeridiana, per un numero minimo di quattro ore giornaliere. Può essere previsto, oltre le quattro ore di apertura, il servizio pasto;

e) Per ogni minore accolto è redatto, di concerto con il servizio inviante, un progetto personalizzato.

 

     Art. 10. (Requisiti per l’autorizzazione)

1. Per l’autorizzazione al funzionamento dei Centri Socio Educativi Diurni è competente il Comune ai sensi della l. n. 328/2000 e della l.r. n. 20/1999.

2. Sono indispensabili i requisiti progettuali di cui all’articolo 9, e i requisiti gestionali e strutturali descritti nei successivi articoli. Inoltre sono necessari:

a) l’individuazione delle procedure per l’accoglienza/dimissione del minore;

b) la presenza di una cartella personale per ogni minore;

c) le procedure scritte, linee guida per il lavoro di équipe, compresa l’organizzazione degli orari e dei turni degli operatori;

d) l’adozione della Carta del Servizio.

 

     Art. 11. (Personale)

1. Il personale del Centro deve essere in possesso del titolo di educatore o titoli equipollenti o, in alternativa, in possesso di diploma di scuola media superiore, con una anzianità di servizio documentata almeno triennale nelle strutture per minori o equipollenti, a titolo remunerativo con esclusione del servizio prestato a titolo di volontariato.

2. Ogni struttura deve dotarsi di un coordinatore, in possesso di una laurea in discipline socio psico pedagogiche, o del titolo di educatore con tre anni di esperienza documentata o, in alternativa, di operatori in possesso di diploma superiore, con una esperienza professionale di coordinamento almeno triennale nelle strutture per minori o equipollenti. Il coordinatore è di norma individuato tra gli educatori presenti nel Centro; nel caso sia una figura esterna, la sua attività può svolgersi nel coordinamento massimo di due Centri.

3. All’interno del Centro possono operare anche volontari che non concorrono al numero degli operatori richiesti e si impegnano a rispettare i tempi e le modalità del loro intervento concordati con il coordinatore della struttura interessata.

4. Il numero massimo di minori accolti è di venticinque con un rapporto educatore/minori di 1/5 compreso il coordinatore.

 

     Art. 12. (Requisiti strutturali)

1. I Centri Socio Educativi Diurni debbono prevedere:

a) spazi destinati ad attività collettive e di socializzazione nella misura di uno ogni gruppo;

b) un servizio igienico ogni quindici minori con almeno un servizio adeguato per i portatori di handicap;

c) un servizio igienico per il personale che può essere anche condiviso con altri servizi igienici riservati al personale presenti nella struttura;

d) una cucina e sala da pranzo se i pasti sono consumati nel centro locali che possono anche essere condivisi con altri servizi presenti nella struttura. Nel caso in cui il servizio pasto sia fornito dall’esterno, occorre prevedere un locale scalda vivande.

 

     Art. 13. (Definizione dei Centri di Aggregazione)

1. I Centri di aggregazione costituiscono una offerta strutturata di carattere educativo e di animazione, per minori i cui bisogni afferiscono all’area della prevenzione e si definiscono in termini di socializzazione, accompagnamento scolastico e animazione del tempo libero. La loro funzione è anche quella di “ luoghi sicuri” dove proporre attività aggregative a sfondo sociale.

2. I centri di aggregazione:

a) possono essere organizzati anche all’interno dei plessi scolastici e fornire una proposta di tipo aggregativo ed educativo nei tempi non impegnati dalle attività didattiche;

b) possono sviluppare un supporto alla scuola, istituiscono laboratori e “animazione di strada” e possono raccordarsi con altre esperienze settoriali. Rientrano nei Centri di Aggregazione varie tipologie di servizi denominati anche “ludoteche” “centri ragazzi” “educative territoriali” strutture a bassa soglia” ecc.;

c) debbono essere situati in zone dotate di una rete accessibile di servizi generali, sociali, sanitari, educativi e ricreativo- culturali tale da permettere la partecipazione alla vita sociale;

d) sono aperti di norma undici mesi all’anno ma possono anche strutturarsi come centri di proposta per il periodo estivo o per le vacanze scolastiche; l’apertura è prevista per un minimo di quattro ore giornaliere e non è necessario il servizio pasto;

e) l’accesso ai centri, su richiesta della famiglia o dei servizi, è permesso per tutte le fasce di età dei minori a partire dai sei anni ed è possibile una organizzazione variabile a seconda delle esigenze del territorio (per fasce di età o per gruppi di interesse);

f) il numero massimo di minori accolto è stabilito, in relazione alle norme edilizie, nella misura della dimensione dei locali a disposizione;

g) l’apertura di centri di aggregazione non necessita di autorizzazione ma solo di Dichiarazione al Comune di inizio attività, con allegata progettualità generale.

 

     Art. 14. (Personale)

1. Il personale del Centro deve essere in possesso del titolo di educatore o titoli equipollenti o, in alternativa, in possesso di diploma di scuola media superiore, con una anzianità di servizio documentata almeno triennale nelle strutture per minori o equipollenti a titolo remunerativo ad esclusione del servizio prestato a titolo di volontariato.

2. Ogni struttura deve dotarsi di un coordinatore, in possesso di una laurea in discipline socio psico pedagogiche, o del titolo di educatore con tre anni di esperienza documentata o, in alternativa, di operatori in possesso di diploma superiore, con una esperienza professionale di coordinamento almeno triennale nelle strutture per minori o equipollenti. Il coordinatore è di norma individuato tra gli educatori presenti nel Centro; nel caso sia una figura esterna, la sua attività può svolgersi nel coordinamento massimo di due Centri.

3. All’interno del Centro possono operare anche volontari a supporto degli educatori.

4. Il rapporto educatore/minori è di 1/15, compreso il coordinatore.

 

     Art. 15. (Requisiti strutturali)

1. I Centri di aggregazione debbono prevedere:

a) spazi destinati ad attività collettive, di socializzazione, atelier, laboratori;

b) un servizio igienico ogni quindici minori/adolescenti;

c) un servizio igienico per il personale che può essere anche condiviso con altri servizi igienici riservati al personale presenti nella struttura.

 

TITOLO III

PROGETTI PER L’AUTONOMIA, COMUNITÀ GENITORE/BAMBINO E RETI DI FAMIGLIA

 

CAPO I

PROGETTI PER L’AUTONOMIA

 

     Art. 16. (Definizione)

1. Si definiscono “progetti per l’autonomia” i servizi a bassa intensità assistenziale che sono funzionali al processo di tutela nel momento di dimissione dell’adolescente/giovane dai percorsi assistenziali precedenti. I progetti per l’autonomia aiutano lo sviluppo della capacità dell’adolescente/giovane di auto-gestirsi, insistono sulla creazione di reti territoriali che possano essere di aiuto nella fase di reale e definitivo affrancamento dall’esperienza assistenziale precedente.

2. Tutte le strutture e i servizi a ciclo residenziale definite nel presente regolamento possono attivare progetti per l’autonomia, tranne le case famiglia su base non professionale.

3. I “progetti per l’autonomia” devono predisporre ed aggiornare periodicamente un documento che esplicita le azioni educative in grado di accogliere e di avviare alla vita autonoma con particolare riferimento ad agenzie del lavoro, alle agenzie del tempo libero, alle reti di famiglie per l’appoggio nella forma del vicinato solidale ecc.

4. Per ciascun giovane è predisposto un progetto personalizzato sviluppato attraverso un lavoro concertato tra il servizio inviante l’adolescente/giovane e l’organismo gestore.

5. I “progetti per l’autonomia” non necessitano di autorizzazione, in quanto si svolgono in strutture già autorizzate o attraverso affidi.

 

     Art. 17. (Personale)

1. Il personale deve essere in possesso del titolo di educatore o titoli equipollenti o, in alternativa, in possesso di diploma di scuola media superiore, con una anzianità di servizio documentata almeno triennale nelle strutture per minori o equipollenti, a titolo remunerativo escluso il servizio prestato a titolo di volontariato.

2. A ciascun educatore possono essere affidati non più di quattro adolescenti/giovani.

 

CAPO II

COMUNITÀ GENITORE/BAMBINO

 

     Art. 18. (Definizione, requisiti strutturali e gestionali)

1. Le Comunità Genitore/Bambino accolgono di norma gestanti anche minorenni e/o nuclei familiari monoparentali, rispondono al bisogno di protezione e sostegno delle capacità genitoriale e tutela dei minori attraverso:

a) risposte residenziali;

b) collaborazione con i Servizi di riferimento nella definizione del bisogno e delle risorse del genitore e del minore/i;

c) supporto educativo;

d) avviamento ed accompagnamento ai percorsi di autonomia.

2. Di particolare rilievo per queste comunità è la funzione di “osservazione” rispetto alle competenze genitoriali e al benessere del minore.

3. Le cure non si svolgono, di norma, all’interno della Comunità.

4. Le comunità debbono sviluppare percorsi di mediazione familiare con il genitore esterno alla comunità. In questa dinamica tali Comunità rappresentano un luogo di agevolazione dell’affido congiunto. Per la loro flessibilità si prestano anche a sperimentazioni concordate con l’Ente Pubblico.

5. In termine di personale all’interno di queste strutture possono essere presenti professionalità e competenze tali da permettere una gestione mista da parte dell’Ente pubblico (Comuni/ ASL) e da parte di soggetti esterni. Laddove la gestione sia totalmente affidata a soggetto terzo, la tariffa deve comprendere, a carico del servizio sanitario, anche le funzioni terapeutiche di norma svolte dall’ASL.

6. Oltre alla Comunità Genitore/Bambino, possono essere attivati appartamenti per la famiglia quali strutture in grado di accogliere, per un periodo di tempo limitato, nuclei famigliari in uscita da percorsi residenziali di strutture di accoglienza ad alta intensità assistenziale, con l’obiettivo di costruire una sequenzialità del percorso di tutela verso l’autonomia dei nuclei familiari.

7. L’appartamento non prevede la presenza di personale educativo per l’intero arco della giornata ma solo la presenza di un educatore in momenti particolari della giornata per seguire gli ospiti e l’andamento della struttura.

8. Le tipologie di cui al comma 6 possono comprendere anche una tipologia di accoglienza finalizzata all’autonomia denominata Comunità per l’autonomia. Intese tra Ente Pubblico, Reti familiari ed Enti gestori possono prevedere anche sperimentazioni di altre forme di accoglienza, con intensità graduata, o pronta accoglienza, per le situazioni in cui minore/ genitore debbano disporre di una accoglienza immediata.

9. Le comunità Genitore /Bambino, gli appartamenti per la famiglia devono essere situati in zone dotate di una rete accessibile ai servizi generali, educativi e ricreativo-culturali tali da permettere la partecipazione alla vita sociale e facilitare le visite agli ospiti esterni.

10.Il numero massimo di nuclei accolti nella Comunità non può essere superiore a otto e il numero

massimo di nuclei accolti nell’appartamento per la famiglia non può essere superiore a quattro.

 

     Art. 19. (Personale)

1. Il personale deve essere in possesso del titolo di educatore o titoli equipollenti o, in alternativa, in possesso di diploma di scuola media superiore, con una anzianità di servizio documentata almeno triennale nelle strutture per minori o equipollenti, a titolo remunerativo escluso il servizio prestato a titolo di volontariato.

Ogni struttura deve dotarsi di un coordinatore, in possesso di una laurea in discipline socio psico pedagogiche, o del titolo di educatore con tre anni di esperienza documentata o, in alternativa, con operatori in possesso di diploma superiore, con una esperienza professionale di coordinamento almeno triennale nelle strutture per minori o equipollenti. Il coordinatore è di norma individuato tra gli educatori presenti nelle Comunità; nel caso sia una figura esterna, la sua attività può svolgersi nel coordinamento massimo di due Comunità. Nelle Comunità Genitore Bambino è prevista la presenza di due/quattro educatori. (compreso il coordinatore) secondo la necessità e intensità assistenziale ed è presente anche una unità di personale ausiliario. Nel caso sia presente un operatore residente il numero di educatori è diminuito di una unità.

2. Negli appartamenti per la famiglia e nelle altre forme di cui all’articolo 18 è prevista la presenza di personale educativo per un arco temporale ricompreso tra dieci e diciassette ore settimanali, secondo le necessità assistenziali.

 

     Art. 20. (Requisiti strutturali e autorizzativi)

1. Le comunità Genitore/Bambino, gli appartamenti per la famiglia e altre soluzioni abitative debbono rispondere ai requisiti delle civili abitazioni.

2. Per la Comunità Genitore/Bambino sono inoltre necessari i seguenti requisiti:

a) una camera da letto per ciascun nucleo con la possibilità di camere per due nuclei in armonia con la cubatura definita dai regolamenti edilizi comunali. Nei casi sia presente un genitore con più figli di età diverse, la definizione del numero di posti letto nelle camere è orientata da un criterio di opportunità pedagogica;

b) servizi igienici e bagno o docce adeguati al numero degli ospiti rispettando anche i diritti dei portatori di handicap se presenti;

c) una sala per le attività comuni e i colloqui.

3. Per l’autorizzazione al funzionamento delle comunità sono necessari:

a) L’individuazione delle procedure per l’accoglienza/dimissione del nucleo;

b) La presenza di una cartella personale per ogni nucleo;

c) Le procedure scritte, linee guida per il lavoro di équipe, compresa l’organizzazione degli orari e dei turni degli operatori.

4. Gli appartamenti non necessitano di autorizzazione ma solo di Dichiarazione di inizio di attività al Comune, con allegata progettualità generale.

 

CAPO III

RETI DI FAMIGLIA

 

     Art. 21. (Definizione)

1. Le reti di famiglie sono espressioni aggregate di famiglie orientate all’accoglienza e alla cura di situazioni di disagio che coinvolgono minori e adolescenti che vivono una situazione di mancanza di tutela da parte della famiglia di origine. Le reti sono generalmente composte da famiglie legate da un vincolo associativo con l’obiettivo di creare una cultura del rispetto dei diritti dei minori e del potenziamento delle famiglie disponibili all’affido creando anche percorsi di formazione per le famiglie stesse.

2. Le famiglie che compongono la rete sono disponibili all’affido o a forme di sostegno differenti. (affido diurno, appoggio ad altri affidi, forme di aiuto alla famiglia di origine ecc.) Per le famiglie affidatarie si rende necessario il possesso dell’idoneità all’affido.

 

CAPO IV

 

     Art. 22. (Case Famiglia per giovani e adulti)

1. Le disposizioni di cui all’articolo 7 si applicano anche alle Case Famiglia per giovani e adulti prevedendo anche la compresenza di più famiglie.

2. I requisiti strutturali delle Case Famiglia per giovani e adulti sono quelli di civile abitazione con spazi commisurati al numero degli ospiti.

Ai fini autorizzativi non si debbono pertanto applicare alle Case Famiglia i requisiti per le residenze turistiche.

 

     Art. 23. (Presidi di ospitalità collettiva)

1. Ai presidi di ospitalità collettiva, con carattere di residenzialità temporanea, non si applica il Decreto del Ministro per la Solidarietà Sociale 21 maggio 2001, n. 308 (regolamento concernente “requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semi residenziale, a norma dell’articolo 11 della legge 8 novembre 2000 n. 328”). I requisiti perimetrali delle camere da letto sono così definiti:

– camera singola - otto metri quadrati;

– camera doppia - tredici metri quadrati;

– camera a tre letti - diciotto metri quadrati;

– camera a quattro letti - ventitrè metri quadrati.

 

Il presente regolamento regionale è pubblicato nel Bollettino ufficiale della Regione Liguria a norma dell’articolo 50 dello Statuto ed entra in vigore il quindicesimo giorno successivo alla sua pubblicazione.


[1] Abrogato dall'art. 56 della L.R. 9 aprile 2009, n. 6, fatto salvo quanto previsto dai commi 2 e 3 dell’art. 54 della stessa L.R. 6/2009.