§ 5.4.281 - Direttiva 18 giugno 2009, n. 52.
Direttiva n. 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di [...]


Settore:Normativa europea
Materia:5. diritto delle imprese
Capitolo:5.4 politica e tutela del lavoro
Data:18/06/2009
Numero:52


Sommario
Art. 1.  Oggetto e ambito di applicazione
Art. 2.  Definizioni
Art. 3.  Divieto di assunzione illegale
Art. 4.  Obblighi dei datori di lavoro
Art. 5.  Sanzioni finanziarie
Art. 6.  Pagamento degli arretrati da parte dei datori di lavoro
Art. 7.  Altre misure
Art. 8.  Subappalto
Art. 9.  Fattispecie di reato
Art. 10.  Sanzioni penali
Art. 11.  Responsabilità delle persone giuridiche
Art. 12.  Sanzioni applicabili alle persone giuridiche
Art. 13.  Agevolazione delle denunce
Art. 14.  Ispezioni
Art. 15.  Disposizioni più favorevoli
Art. 16.  Relazioni
Art. 17.  Recepimento
Art. 18.  Entrata in vigore
Art. 19.  Destinatari


§ 5.4.281 - Direttiva 18 giugno 2009, n. 52.

Direttiva n. 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare

(G.U.U.E. 30 giugno 2009, n. L 168)

 

IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l’articolo 63, paragrafo 3, lettera b),

 

vista la proposta della Commissione,

 

visto il parere del Comitato economico e sociale europeo [1],

 

visto il parere del Comitato delle regioni [2],

 

deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 251 del trattato [3],

 

considerando quanto segue:

 

(1) Il Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre 2006 ha convenuto che dovrebbe essere rafforzata la cooperazione fra gli Stati membri nella lotta contro l’immigrazione illegale e che, in particolare, dovrebbero essere intensificate a livello degli Stati membri e a livello dell’Unione europea le misure contro il lavoro illegale.

 

(2) Un fattore fondamentale di richiamo dell’immigrazione illegale nell’Unione europea è la possibilità di trovare lavoro pur non avendo lo status giuridico richiesto. È quindi opportuno che l’azione contro l’immigrazione e il soggiorno illegali comporti misure per contrastare tale fattore di richiamo.

 

(3) Il perno di tali misure dovrebbe essere un divieto generale di assunzione dei cittadini di paesi terzi non autorizzati a soggiornare nell’Unione europea accompagnato da sanzioni nei confronti dei datori di lavoro che lo violano.

 

(4) Poiché la presente direttiva introduce norme minime, gli Stati membri dovrebbero rimanere liberi di adottare o mantenere sanzioni e provvedimenti più severi e d’imporre obblighi più rigorosi ai datori di lavoro.

 

(5) La presente direttiva non dovrebbe applicarsi ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno in uno Stato membro è regolare, indipendentemente dal fatto che siano autorizzati a lavorare nel suo territorio. Inoltre, essa non dovrebbe applicarsi ai beneficiari del diritto comunitario alla libera circolazione, definiti all’articolo 2, paragrafo 5 del regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) [4]. Dovrebbero inoltre essere esclusi i cittadini di paesi terzi che si trovano in una situazione contemplata dal diritto comunitario, ad esempio che sono legalmente assunti in uno Stato membro e sono inviati in un altro Stato membro da un prestatore di servizi nel contesto di tale attività. La presente direttiva dovrebbe applicarsi fatte salve le legislazioni nazionali che vietano l’impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è regolare che lavorano in violazione del loro status di residenza.

 

(6) Ai fini specifici della presente direttiva, è opportuno definire taluni termini e tali definizioni dovrebbero essere utilizzate soltanto ai fini della presente direttiva.

 

(7) La definizione del termine "lavoro" dovrebbe comprenderne gli elementi costituitivi, vale a dire le attività che sono o dovrebbero essere retribuite, svolte per o sotto la direzione e/o la supervisione di un datore di lavoro, a prescindere dal rapporto giuridico.

 

(8) La definizione di "datore di lavoro" può includere un’associazione di persone riconosciuta come avente capacità di compiere atti giuridici senza avere personalità giuridica.

 

(9) Per evitare l’impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare è necessario che i datori di lavoro verifichino preventivamente che questi, anche nei casi in cui vengano assunti per poi essere inviati in un altro Stato membro in un contesto di prestazione di servizi, possiedano un permesso di soggiorno valido o un’altra autorizzazione equivalente attestante che soggiornano legalmente nel territorio dello Stato membro di assunzione.

 

(10) Affinché gli Stati membri possano verificare che i documenti non siano falsificati, i datori di lavoro dovrebbero anche essere tenuti ad informare le autorità competenti dell’assunzione di cittadini di paesi terzi. Al fine di ridurre al minimo l’onere amministrativo, gli Stati membri dovrebbero poter prevedere che tali notifiche siano effettuate nel quadro di altri sistemi di notifica. Gli Stati membri dovrebbero poter optare per una procedura semplificata per le notifiche da parte di datori di lavoro che sono persone fisiche laddove l’impiego sia a fini privati.

 

(11) È opportuno che i datori di lavoro che abbiano adempiuto agli obblighi di cui alla presente direttiva non siano considerati responsabili di aver assunto cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in particolare qualora l’autorità competente scopra successivamente che i documenti presentati da un lavoratore erano in realtà falsificati o utilizzati illegalmente, tranne nel caso in cui il datore di lavoro sapesse che il documento era falso.

 

(12) Al fine di facilitare l’adempimento degli obblighi a carico dei datori di lavoro, gli Stati membri dovrebbero adoperarsi al massimo per espletare tempestivamente le richieste di rinnovo dei permessi di soggiorno.

 

(13) Per applicare il divieto generale e per prevenire le violazioni è opportuno che gli Stati membri prevedano sanzioni appropriate. Queste dovrebbero includere sanzioni finanziarie e contributi ai costi del rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, unitamente alla possibilità di sanzioni finanziarie ridotte per i datori di lavoro che sono persone fisiche laddove l’impiego sia a fini privati.

 

(14) Il datore di lavoro dovrebbe in ogni caso essere tenuto a pagare ai cittadini di paesi terzi ogni retribuzione arretrata per il lavoro da essi svolto e tutti i contributi previdenziali e le imposte dovute. Se il livello di remunerazione non può essere determinato, si dovrebbe presupporre che sia pari almeno alla retribuzione prevista dalla legislazione nazionale applicabile in materia di salari minimi, dai contratti collettivi o conformemente a una prassi consolidata nei relativi settori occupazionali. Il datore di lavoro dovrebbe altresì avere l’obbligo, ove opportuno, di pagare tutti i costi derivanti dal trasferimento delle retribuzioni arretrate al paese in cui i cittadini di paesi terzi assunti illegalmente hanno fatto ritorno o sono stati rimpatriati. Nei casi in cui il datore di lavoro non provveda al pagamento degli arretrati, gli Stati membri non dovrebbero essere tenuti a farsi carico di tale obbligo al posto del datore di lavoro.

 

(15) Il cittadino di un paese terzo assunto illegalmente non dovrebbe poter invocare un diritto di ingresso, soggiorno e accesso al mercato del lavoro in base al rapporto di lavoro illegale o al pagamento, anche arretrato, di retribuzioni, contributi previdenziali o imposte da parte del datore di lavoro o di un soggetto giuridico tenuto ad effettuare il pagamento in sua vece.

 

(16) È opportuno che gli Stati membri predispongano meccanismi per garantire che i cittadini di paesi terzi possano chiedere e ricevere gli importi delle retribuzioni arretrate loro dovuti. Gli Stati membri non dovrebbero essere tenuti ad associare a tali meccanismi le loro missioni o rappresentanze nei paesi terzi. Nel porre in essere meccanismi efficaci volti ad agevolare le denunce, qualora non siano già previsti dalla legislazione nazionale, gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione la possibilità e il valore aggiunto di consentire ad un’autorità competente di promuovere un’azione legale nei confronti di un datore di lavoro al fine di recuperare la retribuzione arretrata.

 

(17) È inoltre opportuno che gli Stati membri partano da una presunzione d’esistenza di rapporto di lavoro di almeno tre mesi, in modo che l’onere della prova incomba al datore di lavoro almeno per un certo periodo. Tra l’altro, il lavoratore dovrebbe anche avere l’opportunità di dimostrare l’esistenza e la durata di un rapporto di lavoro.

 

(18) È opportuno che gli Stati membri prevedano la possibilità di ulteriori sanzioni nei confronti dei datori di lavoro, come l’esclusione dal beneficio di alcune o di tutte le prestazioni, sovvenzioni o aiuti pubblici, compresi i sussidi agricoli, l’esclusione dalle procedure di appalti pubblici e il rimborso di alcune o di tutte le prestazioni, sovvenzioni o aiuti pubblici già concessi, compresi i fondi dell’Unione europea gestiti dagli Stati membri. Gli Stati membri dovrebbero poter decidere di non applicare tali ulteriori sanzioni nei confronti dei datori di lavoro che sono persone fisiche laddove l’impiego sia a fini privati.

 

(19) La presente direttiva, in particolare gli articoli 7, 10 e 12, dovrebbe applicarsi fatto salvo il regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio, del 25 giugno 2002, che stabilisce il regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee [5].

 

(20) Dato l’alto numero di subappalti in certi settori interessati, è opportuno garantire che almeno l’appaltante di cui il datore di lavoro è un diretto subappaltatore possa essere considerato responsabile del pagamento di sanzioni finanziarie congiuntamente al datore di lavoro o in sua vece. In casi specifici, altri appaltanti possono essere ritenuti responsabili del pagamento di sanzioni finanziarie congiuntamente o in vece di un datore di lavoro che impiega cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Gli arretrati contemplati dalle disposizioni in materia di responsabilità della presente direttiva dovrebbero altresì includere contributi ai fondi ferie nazionali e ai fondi previdenziali disciplinati dalla legge o dagli accordi collettivi.

 

(21) L’esperienza ha mostrato che i sistemi di sanzioni esistenti si sono rivelati insufficienti per garantire il pieno rispetto dei divieti di assunzione di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, fra l’altro, probabilmente, perché le sole sanzioni amministrative non sono un deterrente abbastanza forte per certi datori di lavoro senza scrupoli. Il rispetto delle norme può e dovrebbe essere rafforzato con l’applicazione di sanzioni penali.

 

(22) Per garantire la piena efficacia del divieto generale in oggetto si rendono quindi necessarie sanzioni più dissuasive nei casi gravi quali le violazioni costantemente reiterate, l’assunzione illegale di un numero significativo di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, condizioni lavorative di particolare sfruttamento, la consapevolezza, da parte del datore di lavoro, che il lavoratore è vittima della tratta degli esseri umani e l’assunzione illegale di un minore. La presente direttiva obbliga gli Stati membri a prevedere nella loro legislazione nazionale sanzioni penali in relazione a tali gravi violazioni. Essa non crea obblighi per quanto riguarda l’applicazione di tali sanzioni o di altri sistemi di applicazione della legge disponibili, in casi specifici.

 

(23) È opportuno che, in tutti i casi ritenuti gravi conformemente alla presente direttiva, la violazione, se commessa intenzionalmente, sia considerata reato nell’intera Comunità. Le disposizioni della presente direttiva in materia di fattispecie di reato dovrebbero lasciare impregiudicata l’applicazione della decisione quadro 2002/629/GAI del Consiglio, del 19 luglio 2002, sulla lotta alla tratta degli esseri umani [6].

 

(24) I reati dovrebbero essere punibili con sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive. L’obbligo di assicurare sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive a norma della presente direttiva lascia impregiudicato l’ordinamento interno del diritto penale sostanziale e processuale negli Stati membri.

 

(25) Anche le persone giuridiche possono essere considerate responsabili dei reati di cui alla presente direttiva, in quanto molti dei datori di lavoro sono persone giuridiche. Le disposizioni della presente direttiva non comportano l’obbligo per gli Stati membri di introdurre la responsabilità penale delle persone giuridiche.

 

(26) Per facilitare l’applicazione della presente direttiva è opportuno predisporre meccanismi efficaci che permettano ai cittadini di paesi terzi di presentare denuncia, sia direttamente sia tramite terzi come i sindacati o altre associazioni. È opportuno che i terzi designati per fornire assistenza nella presentazione delle denunce siano tutelati contro eventuali sanzioni ai sensi delle norme che vietano il favoreggiamento del soggiorno illegale.

 

(27) In aggiunta ai meccanismi di denuncia, è opportuno che gli Stati membri possano rilasciare permessi di soggiorno di durata limitata, commisurata a quella dei relativi procedimenti nazionali, ai cittadini di paesi terzi che sono stati oggetto di condizioni lavorative di particolare sfruttamento o sono stati minori assunti illegalmente e che cooperano nei procedimenti penali nei confronti dei datori di lavoro. Tali permessi dovrebbero essere concessi con modalità comparabili a quelle applicabili ai cittadini di paesi terzi rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti [7].

 

(28) Per garantire un grado di applicazione soddisfacente della presente direttiva e ridurre, per quanto possibile, divari nei livelli di attuazione nei vari Stati membri, questi ultimi dovrebbero assicurare che siano effettuate ispezioni efficaci e adeguate nel loro territorio e dovrebbero comunicare alla Commissione dati sulle ispezioni che effettuano.

 

(29) Gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati a determinare ogni anno un obiettivo nazionale per il numero di ispezioni relative ai settori di attività in cui si concentra l’impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare sul loro territorio.

 

(30) Per aumentare l’efficacia delle ispezioni ai fini dell’applicazione della presente direttiva, gli Stati membri dovrebbero assicurare che la normativa nazionale conferisca poteri adeguati alle autorità competenti per lo svolgimento delle ispezioni, che le informazioni relative all’assunzione illegale, inclusi i risultati delle ispezioni precedenti, siano raccolte e trattate ai fini dell’applicazione efficace della presente direttiva, e che siano messe a disposizione risorse umane sufficienti dotate delle competenze e delle qualifiche necessarie per lo svolgimento efficace delle ispezioni.

 

(31) Gli Stati membri dovrebbero assicurare che le ispezioni ai fini dell’applicazione della presente direttiva non incidano, sul piano quantitativo o qualitativo, sulle ispezioni condotte per valutare le condizioni di assunti e di lavoro.

 

(32) Nel caso di lavoratori distaccati cittadini di paesi terzi, le autorità di ispezione degli Stati membri possono avvalersi della cooperazione e dello scambio d’informazioni di cui alla direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi [8], al fine di verificare se i cittadini di paesi terzi siano assunti legalmente nello Stato membro di origine.

 

(33) La presente direttiva dovrebbe essere considerata complementare alle misure volte a contrastare il lavoro non dichiarato e lo sfruttamento.

 

(34) Conformemente al punto 34 dell’accordo interistituzionale "Legiferare meglio" [9], gli Stati membri sono incoraggiati a redigere e a rendere pubblici, nell’interesse proprio e della Comunità, prospetti indicanti, per quanto possibile, la concordanza tra la presente direttiva e i provvedimenti di recepimento.

 

(35) Qualsiasi trattamento di dati personali effettuato in applicazione della presente direttiva dovrebbe essere conforme alla direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati [10].

 

(36) Poiché l’obiettivo della presente direttiva, vale a dire combattere l’immigrazione illegale agendo contro il fattore di richiamo rappresentato dal lavoro, non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque, a causa delle dimensioni e degli effetti della presente direttiva, essere realizzato meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire, in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.

 

(37) La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti in particolare dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Più particolarmente, essa dovrebbe essere applicata nel rispetto della libertà d’impresa, dei principi di uguaglianza davanti alla legge e di non discriminazione, del diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale e dei principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene, conformemente agli articoli 16, 20, 21, 47 e 49 della Carta.

 

(38) A norma degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea e fatto salvo l’articolo 4 di detto protocollo, tali Stati membri non partecipano all’adozione della presente direttiva e di conseguenza non sono vincolati da essa, né sono soggetti alla sua applicazione.

 

(39) A norma degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione della Danimarca allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea, la Danimarca non partecipa all’adozione della presente direttiva e di conseguenza non è vincolata da esso o tenuta ad applicarlo,

 

HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:

 

Art. 1. Oggetto e ambito di applicazione

La presente direttiva vieta l’impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare al fine di contrastare l’immigrazione illegale. A tal fine essa stabilisce norme minime comuni relative a sanzioni e provvedimenti applicabili negli Stati membri nei confronti dei datori di lavoro che violano tale divieto.

 

     Art. 2. Definizioni

Ai fini specifici della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

 

a) "cittadino di un paese terzo" : chiunque non sia cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1 del trattato, né un beneficiario del diritto comunitario alla libera circolazione, quale definito all’articolo 2, paragrafo 5 del codice frontiere Schengen;

 

b) "cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare" : un cittadino di un paese terzo presente nel territorio di uno Stato membro che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni di soggiorno o di residenza in tale Stato membro;

 

c) "lavoro" : l’esercizio di attività comprendenti qualsiasi forma di manodopera o lavoro disciplinata dalla legislazione nazionale o conformemente a una prassi consolidata per conto o sotto la direzione o la supervisione di un datore di lavoro;

 

d) "lavoro illegale" : l’impiego di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare;

 

e) "datore di lavoro" : qualsiasi persona fisica o soggetto giuridico, comprese le agenzie interinali, per il cui conto o sotto la cui direzione e/o supervisione è assunto l’impiego;

 

f) "subappaltatore" : qualsiasi persona fisica o soggetto giuridico cui è affidata l’esecuzione di una parte o dell’insieme degli obblighi di un contratto già stipulato;

 

g) "persona giuridica" : qualsiasi soggetto giuridico che possieda tale status in forza del diritto nazionale applicabile, ad eccezione degli Stati o delle istituzioni pubbliche che esercitano i pubblici poteri e delle organizzazioni internazionali pubbliche;

 

h) "agenzia interinale" : qualsiasi persona fisica o giuridica che, conformemente alla legislazione nazionale, sottoscrive contratti di lavoro o inizia rapporti di lavoro con lavoratori tramite agenzia interinale al fine di inviarle presso imprese utilizzatrici affinché vi prestino temporaneamente la loro opera sotto il controllo e la direzione delle stesse;

 

i) "condizioni lavorative di particolare sfruttamento" : condizioni lavorative, incluse quelle risultanti da discriminazione di genere e di altro tipo, in cui vi è una palese sproporzione rispetto alle condizioni di impiego dei lavoratori assunti legalmente, che incide, ad esempio, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori ed è contraria alla dignità umana;

 

j) "retribuzione dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare" : il salario o trattamento e tutti gli altri vantaggi, in contanti o in natura, pagati direttamente o indirettamente dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo e che è equivalente a quello di cui beneficerebbero lavoratori analoghi in un rapporto di lavoro legale.

 

     Art. 3. Divieto di assunzione illegale

1. Gli Stati membri vietano l’assunzione di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

 

2. Alla violazione di tale divieto si applicano le sanzioni e i provvedimenti previsti dalla presente direttiva.

 

3. Uno Stato membro può decidere di non applicare il divieto di cui al paragrafo 1 ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e il cui allontanamento è stato differito e che sono autorizzati a lavorare conformemente alla legislazione nazionale.

 

     Art. 4. Obblighi dei datori di lavoro

1. Gli Stati membri obbligano i datori di lavoro:

 

a) a chiedere che un cittadino di un paese terzo, prima di assumere l’impiego, possieda e presenti al datore di lavoro un permesso di soggiorno valido, o un’altra autorizzazione di soggiorno;

 

b) a tenere, almeno per la durata dell’impiego, una copia o registrazione del permesso di soggiorno o altra autorizzazione di soggiorno a disposizione delle autorità competenti degli Stati membri, a fini di un’eventuale ispezione;

 

c) a informare, entro un termine fissato da ciascuno Stato membro, le autorità competenti designate dagli Stati membri dell’inizio dell’impiego di un cittadino di un paese terzo.

 

2. Gli Stati membri possono prevedere una procedura semplificata di notifica ai sensi del paragrafo 1, lettera c) laddove i datori di lavoro siano persone fisiche e l’impiego sia a fini privati.

 

Gli Stati membri possono prevedere che la notifica di cui al paragrafo 1, lettera c), non sia richiesta qualora al lavoratore sia stato accordato uno status di soggiornante di lungo periodo ai sensi della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo [11].

 

3. Gli Stati membri assicurano che i datori di lavoro che hanno assolto gli obblighi di cui al paragrafo 1 non siano ritenuti responsabili di una violazione del divieto di cui all’articolo 3 tranne nel caso in cui i datori di lavoro fossero a conoscenza del fatto che il documento presentato come permesso di soggiorno valido o altra autorizzazione di soggiorno era falso.

 

     Art. 5. Sanzioni finanziarie

1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché i datori di lavoro che violano il divieto di cui all’articolo 3 siano passibili di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive.

 

2. Le sanzioni inflitte in caso di violazioni del divieto di cui all’articolo 3 includono:

 

a) sanzioni finanziarie che aumentano a seconda del numero di cittadini di paesi terzi assunti illegalmente; e

 

b) pagamento dei costi di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi assunti illegalmente, nei casi in cui siano effettuate procedure di rimpatrio. Gli Stati membri possono invece decidere che le sanzioni finanziarie di cui alla lettera a) riflettano almeno i costi medi di rimpatrio.

 

3. Gli Stati membri possono prevedere sanzioni finanziarie ridotte nei casi in cui il datore di lavoro sia una persona fisica che impiega a fini privati un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare e non sussistano condizioni lavorative di particolare sfruttamento.

 

     Art. 6. Pagamento degli arretrati da parte dei datori di lavoro

1. Per ogni violazione del divieto di cui all’articolo 3, gli Stati membri garantiscono che il datore di lavoro sia responsabile del pagamento di:

 

a) ogni retribuzione arretrata ai cittadini di paesi terzi assunti illegalmente. Il livello di remunerazione concordato è considerato pari almeno alla retribuzione prevista dalle leggi applicabili sui salari minimi, dai contratti collettivi o conformemente a una prassi consolidata nei relativi settori occupazionali, salvo prova contraria fornita dal datore di lavoro o dal lavoratore, nel rispetto, ove opportuno, delle disposizioni nazionali vincolanti in materia salariale;

 

b) un importo pari a tutte le imposte e i contributi previdenziali che il datore di lavoro avrebbe pagato in caso di assunzione legale del cittadino di un paese terzo, incluse le penalità di mora e le relative sanzioni amministrative;

 

c) se del caso, tutti i costi derivanti dal trasferimento delle retribuzioni arretrate al paese in cui il cittadino di un paese terzo assunto illegalmente ha fatto ritorno o è stato rimpatriato.

 

2. Per assicurare la disponibilità di procedure efficaci di applicazione del paragrafo 1, lettere a) e c), e tenuto debitamente conto dell’articolo 13, gli Stati membri mettono in atto meccanismi volti a garantire che i cittadini di paesi terzi assunti illegalmente:

 

a) possano presentare domanda, soggetta ad un termine di prescrizione stabilito dalla legislazione nazionale, e ottenere l’esecuzione di una sentenza nei confronti del datore di lavoro per ogni retribuzione arretrata, anche nei casi di rimpatrio volontario o forzato; o

 

b) ove previsto dalla legislazione nazionale, possano chiedere all’autorità competente dello Stato membro di avviare le procedure di recupero delle retribuzioni arretrate, senza che il cittadino di un paese terzo debba presentare domanda.

 

I cittadini di paesi terzi assunti illegalmente sono informati sistematicamente e oggettivamente circa i loro diritti ai sensi del presente paragrafo e dell’articolo 13 prima dell’esecuzione di qualsiasi decisione di rimpatrio.

 

3. Ai fini dell’applicazione del paragrafo 1, lettere a) e b), gli Stati membri presuppongono l’esistenza di un rapporto di lavoro di almeno tre mesi salvo prova contraria fornita, tra l’altro, dal datore di lavoro o dal lavoratore.

 

4. Gli Stati membri assicurano che siano posti in essere i meccanismi necessari a garantire che i cittadini di paesi terzi assunti illegalmente possano ricevere il pagamento di tutte le retribuzioni arretrate di cui al paragrafo 1, lettera a), che sono dovute in virtù delle domande di cui al paragrafo 2, anche nei casi di rimpatrio volontario o forzato.

 

5. Per quanto riguarda i casi in cui sono stati accordati permessi di soggiorno di durata limitata a norma dell’articolo 13, paragrafo 4, gli Stati membri definiscono ai sensi del diritto nazionale le condizioni che consentono l’estensione della durata di tali permessi fino a quando l’interessato non abbia ricevuto il pagamento di tutte le retribuzioni arretrate dovute ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo.

 

     Art. 7. Altre misure

1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché un datore di lavoro sia anche soggetto, se del caso, ai seguenti provvedimenti:

 

a) esclusione dal beneficio di alcune o di tutte le prestazioni, sovvenzioni o aiuti pubblici, compresi i fondi dell’Unione europea gestiti dagli Stati membri, per un periodo fino a cinque anni;

 

b) esclusione dalla partecipazione ad appalti pubblici definiti nella direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi [12], per un periodo fino a cinque anni;

 

c) rimborso di alcune o di tutte le prestazioni, sovvenzioni o aiuti pubblici, inclusi fondi dell’Unione europea gestiti dagli Stati membri, concessi al datore di lavoro fino a dodici mesi prima della constatazione dell’assunzione illegale;

 

d) chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti in cui ha avuto luogo la violazione, o ritiro temporaneo o permanente della licenza d’esercizio dell’attività economica in questione, se giustificata dalla gravità della violazione.

 

2. Gli Stati membri possono decidere di non applicare il paragrafo 1 laddove i datori di lavoro siano persone fisiche e l’impiego sia a fini privati.

 

     Art. 8. Subappalto

1. Se il datore di lavoro è un subappaltatore e ferme restando le disposizioni di diritto nazionali riguardanti i diritti di contributo o di regresso o le disposizioni di diritto nazionale in materia di previdenza sociale, gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché l’appaltante di cui il datore di lavoro è un subappaltatore diretto possa essere ritenuto responsabile, congiuntamente al datore di lavoro o in sua vece, del pagamento:

 

a) delle sanzioni finanziarie irrogate ai sensi dell’articolo 5; e

 

b) degli arretrati dovuti ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettere a) e c), paragrafo 2 e paragrafo 3.

 

2. Se il datore di lavoro è un subappaltatore, gli Stati membri provvedono affinché l’appaltante principale e tutti i subappaltatori intermedi, qualora sapessero che il subappaltatore datore di lavoro impiegava cittadini di paesi terzi il cui soggiorno era irregolare, possano essere ritenuti responsabili dei pagamenti di cui al paragrafo 1 congiuntamente al o al posto del subappaltatore datore di lavoro o dell’appaltante di cui il datore di lavoro è un subappaltatore diretto.

 

3. Un appaltante che ha adempiuto ai suoi obblighi con la debita diligenza come previsto dalla legislazione nazionale non è ritenuto responsabile ai sensi dei paragrafi 1 e 2.

 

4. Gli Stati membri possono prevedere norme più rigorose in materia di responsabilità ai sensi del diritto nazionale.

 

     Art. 9. Fattispecie di reato

1. Gli Stati membri garantiscono che la violazione del divieto di cui all’articolo 3, se intenzionale, costituisca reato in ciascuno dei seguenti casi, come previsto dalla legislazione nazionale:

 

a) la violazione prosegue oppure è reiterata in modo persistente;

 

b) la violazione riguarda l’impiego simultaneo di un numero significativo di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare;

 

c) la violazione è accompagnata da condizioni lavorative di particolare sfruttamento;

 

d) la violazione è commessa da un datore di lavoro che, pur non essendo accusato o condannato per un reato di cui alla decisione quadro 2002/629/GAI, ricorre al lavoro o ai servizi del un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare nella consapevolezza che lo stesso è vittima della tratta di esseri umani;

 

e) la violazione riguarda l’assunzione illegale di un minore.

 

2. Gli Stati membri provvedono affinché siano perseguibili penalmente l’istigazione, il favoreggiamento e la complicità a commettere intenzionalmente gli atti di cui all’articolo 1.

 

     Art. 10. Sanzioni penali

1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le persone fisiche che commettono il reato di cui all’articolo 9 siano punibili con sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive.

 

2. A meno che ciò non sia precluso dai principi generali del diritto, le sanzioni penali di cui al presente articolo possono essere applicate ai sensi della legislazione nazionale fatte salve altre sanzioni o misure di natura non penale,, e possono essere accompagnate dalla pubblicazione della decisione giudiziaria pertinente al caso.

 

     Art. 11. Responsabilità delle persone giuridiche

1. Gli Stati membri provvedono affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili del reato di cui all’articolo 9, quando è stato commesso a loro vantaggio da qualsiasi soggetto che, agendo a titolo individuale o in quanto parte di un organo della persona giuridica, detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica, in virtù:

 

a) del potere di rappresentanza della persona giuridica,

 

b) dell’autorità di prendere decisioni per conto della persona giuridica; oppure

 

c) dell’autorità di esercitare un controllo in seno alla persona giuridica.

 

2. Gli Stati membri provvedono altresì affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili qualora la carenza di sorveglianza o di controllo da parte di un soggetto di cui al paragrafo 1 abbia reso possibile la commissione di un reato di cui all’articolo 9 a vantaggio della persona giuridica da parte di una persona soggetta alla sua autorità.

 

3. La responsabilità della persona giuridica ai sensi dei paragrafi 1 e 2 non esclude azioni penali nei confronti delle persone fisiche che commettano uno dei reati di cui all’articolo 9, istighino qualcuno a commetterli o vi concorrano.

 

     Art. 12. Sanzioni applicabili alle persone giuridiche

Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché una persona giuridica dichiarata responsabile ai sensi dell’articolo 11 sia punibile con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, che possano comprendere misure quali quelle di cui all’articolo 7.

 

Gli Stati membri possono decidere di rendere pubblico un elenco di datori di lavoro aventi personalità giuridica e dichiarati responsabili del reato di cui all’articolo 9.

 

     Art. 13. Agevolazione delle denunce

1. Gli Stati membri provvedono affinché siano disponibili meccanismi efficaci per consentire ai cittadini di paesi terzi assunti illegalmente di presentare denuncia nei confronti dei loro datori di lavoro, sia direttamente sia attraverso terzi designati dagli Stati membri, quali sindacati o altre associazioni o un’autorità competente dello Stato membro, qualora previsto dalla legislazione nazionale.

 

2. Gli Stati membri provvedono affinché i terzi aventi, conformemente ai criteri stabiliti dalle rispettive legislazioni nazionali, un interesse legittimo a garantire che la presente direttiva sia rispettata possano, per conto o a sostegno di un cittadino di un paese terzo assunto illegalmente, e con il suo consenso, avviare tutte le procedure amministrative o civili previste ai fini dell’applicazione della presente direttiva.

 

3. L’assistenza fornita ai cittadini dei paesi terzi per presentare denuncia non è considerata favoreggiamento di soggiorno illegale ai sensi della direttiva 2002/90/CE del Consiglio, del 28 novembre 2002, volta a definire il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali [13].

 

4. Per quanto riguarda il reato di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettere c) o e), gli Stati membri definiscono ai sensi della legislazione nazionale le condizioni alle quali possono essere concessi, caso per caso, permessi di soggiorno di durata limitata, commisurata a quella dei relativi procedimenti nazionali, ai cittadini di paesi terzi implicati, con modalità comparabili a quelle applicabili ai cittadini di paesi terzi rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/81/CE.

 

     Art. 14. Ispezioni

1. Gli Stati membri garantiscono che siano effettuate ispezioni efficaci e adeguate sul loro territorio ai fini del controllo dell’impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Tali ispezioni si basano anzitutto su una valutazione dei rischi effettuata dalle autorità competenti degli Stati membri.

 

2. Al fine di rendere più efficaci le ispezioni, gli Stati membri, sulla base di una valutazione dei rischi, identificano periodicamente i settori di attività in cui si concentra nel loro territorio l’impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

 

Relativamente a ciascuno di tali settori, gli Stati membri, entro il 1 luglio di ogni anno, notificano alla Commissione il numero di ispezioni effettuate l’anno precedente, espresso come numero assoluto e come percentuale dei datori di lavoro in ciascun settore, e ne riferiscono i risultati.

 

     Art. 15. Disposizioni più favorevoli

La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di adottare o mantenere disposizioni più favorevoli ai cittadini di paesi terzi cui si applica in relazione agli articoli 6 e 13, purché compatibili con le norme in essa stabilite.

 

     Art. 16. Relazioni

1. Entro il 20 luglio 2014, e successivamente ogni tre anni, la Commissione presenta al Parlamento europeo ed al Consiglio una relazione contenente, ove appropriato, proposte di modifica degli articoli 6, 7, 8, 13 e 14. Nella relazione la Commissione esamina in particolare l’attuazione da parte degli Stati membri dell’articolo 6, paragrafi 2 e 5.

 

2. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le informazioni necessarie all’elaborazione della relazione di cui al paragrafo 1. Le informazioni comprendono il numero e i risultati delle ispezioni svolte ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, le misure applicate a norma dell’articolo 13 e, per quanto possibile, le misure adottate ai sensi degli articoli 6 e 7.

 

     Art. 17. Recepimento

1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 20 luglio 2011. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

 

Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.

 

2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

 

     Art. 18. Entrata in vigore

La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

 

     Art. 19. Destinatari

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva conformemente al trattato che istituisce la Comunità europea.

 

 

[1] GU C 204 del 9.8.2008, pag. 70.

 

[2] GU C 257 del 9.10.2008, pag. 20.

 

[3] Parere del Parlamento europeo del 4 febbraio 2009 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale) e decisione del Consiglio del 25 maggio 2009.

 

[4] GU L 105 del 13.4.2006, pag. 1.

 

[5] GU L 248 del 16.9.2002, pag. 1.

 

[6] GU L 203 dell’1.8.2002, pag. 1.

 

[7] GU L 261 del 6.8.2004, pag. 19.

 

[8] GU L 18 del 21.1.1997, pag. 1.

 

[9] GU C 321 del 31.12.2003, pag. 1.

 

[10] GU L 281 del 23.11.1995, pag. 31.

 

[11] GU L 16 del 23.1.2004, pag. 44.

 

[12] GU L 134 del 30.4.2004, pag. 114.

 

[13] GU L 328 del 5.12.2002, pag. 17.