§ 4.4.1112 - D.G.R. 17 novembre 1995, n. 6/4762 .
Indirizzi per una nuova legislazione sulla difesa, la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio e proposta di costituzione di un [...]


Settore:Codici regionali
Regione:Lombardia
Materia:4. assetto del territorio
Capitolo:4.4 tutela dell'ambiente
Data:17/11/1995
Numero:6

§ 4.4.1112 - D.G.R. 17 novembre 1995, n. 6/4762 .

Indirizzi per una nuova legislazione sulla difesa, la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio e proposta di costituzione di un gruppo di lavoro interassessorile per l'elaborazione di proposte finalizzate alla presentazione di un progetto di legge-quadro in materia.

 

Pubblicata sul B.U. Lombardia 9 dicembre 1995, n. 49, S.S.

 

La Giunta regionale

viste le convenzioni internazionali in materia di difesa della natura e del paesaggio e in particolare:

- la convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971 relativa alle zone umide di importanza internazionale,

- la convenzione di Bonn del 23 giugno 1979 relativa alla conservazione delle specie migratrici appartenenti alla fauna selvatica,

- la convenzione di Berna del 19 settembre 1979 relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa,

- la convenzione di Rio de Janeiro del 12 giugno 1992 sulla diversità biologica,

- la convenzione di Parigi del 16 novembre 1972 sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale;

viste le direttive comunitarie in materia di difesa della natura e del paesaggio e in particolare:

- la direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1975 concernente la conservazione degli uccelli selvatici,

- la direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992 sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche;

vista la legislazione nazionale in materia di difesa della natura e del paesaggio e in particolare:

- la legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali,

- la legge 8 agosto 1985, n. 431, per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale,

- la legge 6 dicembre 1991, n. 394, sulle aree protette,

- la legge 11 febbraio 1992, n. 157, sulla protezione della fauna selvatica omeoterma;

vista la legislazione regionale in materia di difesa della natura e del paesaggio e in particolare:

- la L.R. 30 novembre 1983, n. 86, sulle aree regionali protette,

- la L.R. 27 gennaio 1977, n. 9, sulla tutela della vegetazione nelle aree regionali protette,

- la L.R. 27 luglio 1977, n. 33, sulla tutela ambientale ed ecologica,

- la L.R. 29 dicembre 1980, n. 105, sul servizio volontario di vigilanza ecologica,

- la L.R. 27 maggio 1985, n. 57, sulla protezione delle bellezze naturali,

- la L.R. 15 aprile 1975, n. 51, sulla disciplina urbanistica del territorio e le misure di salvaguardia per la tutela del patrimonio naturale e paesistico;

valutato lo sviluppo della normativa regionale di settore, la quale, pur essendo complessivamente più avanzata di quella statale, deve essere adeguata alla normativa internazionale e comunitaria;

ritenuto ormai indilazionabile un riordino organico della detta normativa di settore, che appare eccessivamente dispersiva, al fine di assicurare il coordinamento di principi e obiettivi, misure, organizzazione, processi amministrativi e sanzionatori e facilitare la comprensione e la partecipazione dei cittadini;

ritenuto altresì che le condizioni dello sviluppo moderno rendano necessaria una nuova concezione culturale e politica, che porti ad integrare i concetti di natura e paesaggio, con la conseguente associazione nello stesso settore giuridico degli obiettivi di tutela dell'equilibrio ecologico e del quadro paesistico;

valutata l'importanza del patrimonio naturale e paesistico lombardo, che costituisce una delle maggiori risorse spirituali e materiali della nostra Regione, testimonianza di civiltà e di identità, da trasmettere, possibilmente arricchito, alle generazioni future;

ritenuta pertanto necessaria una politica regionale di alto profilo, che si sviluppi nel lungo periodo, interessi l'intero territorio ed associ alla difesa la gestione e lo sviluppo dei beni naturali e ambientali, secondo principi di prevenzione e previdenza;

considerato che gli obiettivi di difesa, gestione e sviluppo della natura e del paesaggio devono essere strettamente integrati nella politica di assetto territoriale della Regione, per il miglior equilibrio con gli obiettivi di sviluppo socioeconomico della collettività regionale;

ritenuto pertanto di dover garantire il coordinamento con l'elaborazione in corso di un documento direttore delle politiche territoriali regionali, nonché con quello per l'aggiornamento della legislazione urbanistica, anche in attuazione della legge 142/1990 sulle autonomie locali, con particolare riferimento alla pianificazione territoriale;

considerato che per la realizzazione di tali politiche devono essere coinvolte tutte le istituzioni, valorizzando i ruoli diversi dello Stato, della Regione e degli enti locali, secondo i principi di cooperazione e sussidiarietà, in una prospettiva di riforma federalista della Costituzione;

considerato altresì il ruolo fondamentale dei cittadini, che deve essere promosso mediante affermazione di un'etica della responsabilità ed applicazione, da parte della Pubblica Amministrazione, di principi di informazione e partecipazione, al fine di valorizzare l'impegno personale e le capacità professionali ed imprenditoriali dei singoli, delle famiglie e delle imprese;

considerato il ruolo della Lombardia nel contesto nazionale ed europeo, che comporta un impegno particolare per sperimentare nuove forme di difesa ambientale e di sviluppo territoriale, anche anticipando la normativa nazionale, al fine di favorire il progresso dell'intera Nazione;

ritenuto pertanto opportuno approvare un documento di indirizzi per una nuova legislazione regionale sulla difesa, la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio, che favorisca la più ampia discussione, presso le istituzioni e le forze politiche e sociali, nella prospettiva di uno specifico progetto di legge della Giunta regionale;

dato atto che la presente deliberazione non è soggetta a controllo ai sensi dell'art. 1 del D.Lgs. n. 40 del 13 febbraio 1993;

a voti unanimi espressi nelle forme di legge

delibera:

 

 

1) di approvare il documento "Indirizzi per una nuova legislazione sulla difesa, la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio", che allegato forma parte integrante della presente deliberazione, quale supporto per l'ulteriore elaborazione di proposte finalizzate alla presentazione di un progetto di legge-quadro in materia;

2) di pubblicare il documento stesso sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia, per favorirne la più ampia divulgazione e l'acquisizione di contributi da parte delle istituzioni locali e di tutti i soggetti comunque interessati;

3) di costituire un gruppo di lavoro interassessorile per l'elaborazione delle proposte di cui al precedente punto 1), con la responsabilità dei settori urbanistica e territorio e ambiente ed energia e con la partecipazione di funzionari dei settori predetti e di esperti, da individuare con separati provvedimenti;

4) di provvedere che il Presidente della Giunta regionale, entro trenta giorni dalla data della presente deliberazione, su proposta degli assessori all'urbanistica e territorio e all'ambiente ed energia, definisca con suo decreto la costituzione del suddetto gruppo di lavoro;

5) di dare mandato ai suddetti assessori di promuovere congiuntamente adeguate forme di informazione e cooperazione con le commissioni consiliari competenti, al fine di coordinare l'attività di aggiornamento della normativa;

6) di trasmettere la presente deliberazione al Consiglio regionale per opportuna conoscenza.

 

 

Indirizzi per una nuova legislazione sulla difesa, la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio

Sintesi

Una nuova visione culturale e politica porta a collegare ed integrare i concetti di natura e di paesaggio, con la conseguente associazione nello stesso settore giuridico ed amministrativo degli obiettivi di tutela dell'equilibrio ecologico e del quadro paesistico, che ormai anche nella prassi non si riesce più a considerare separatamente.

A differenza di altri settori della difesa ambientale, sviluppatisi in prevalenza dopo gli anni '70, nel nostro Paese la difesa della natura e del paesaggio ha avuto significative affermazioni giuridico-amministrative anche nella prima parte del secolo, con la legislazione sulla protezione delle bellezze naturali e quella sui parchi nazionali.

In seguito le Regioni hanno saputo sviluppare sistemi significativi di parchi e riserve naturali e lo Stato, alla metà degli anni '80, ha rilanciato la normativa sulle bellezze naturali, nel tentativo di sviluppare i piani paesistici; ma si dovrà attendere l'inizio degli anni '90 per la legge-quadro sulle aree protette.

Parallelamente si è verificato un impetuoso sviluppo della normativa internazionale (convenzioni, direttive comunitarie), che vede il nostro Paese in ritardo nel recepimento.

Complessivamente, un settore che in passato ha preceduto con importanti realizzazioni la difesa dell'ambiente dall'inquinamento, si trova oggi più arretrato rispetto a quest'ultima, perché limita la difesa della natura e del paesaggio alle componenti di maggiore rilievo, anziché estenderla, con strumenti diversi, a tutto il territorio.

Il ritardo della politica, della legislazione e della Pubblica Amministrazione coincide con un periodo storico caratterizzato da un impetuoso sviluppo economico e sociale dell'Italia, con conseguenze devastanti per i beni naturali e paesistici, che - d'altra parte - costituiscono la maggiore ricchezza spirituale e materiale del nostro Paese.

L'esigenza di un diverso, ben maggiore impegno dello Stato e delle Regioni in questo settore si intreccia con quella di riordino, integrazione e anche semplificazione della normativa vigente, nella prospettiva di una codifica, in cui le tematiche della pianificazione paesistica e della regolamentazione degli interventi sul territorio, dei parchi e delle riserve naturali, della difesa delle specie e dei biotopi, della ricreazione nell'ambiente naturale trovino spazi autonomi, ma come titoli di un'unica legge.

Il modello a cui ci si ispira non è tanto quello di un ponderoso ed esaustivo testo unico, quanto di una legge-quadro, che rimandi a regolamenti e circolari gli aspetti procedurali, organizzativi e tecnici. Quindi una legge sintetica e chiara, scritta in buona lingua italiana e facilmente comprensibile, che definisca soprattutto principi, obiettivi e criteri, diritti e doveri, strumenti e misure, competenze e rapporti tra le istituzioni e con i cittadini.

 

 

1. La normativa esistente in materia di natura e di paesaggio

Negli ultimi decenni l'affermazione della nuova politica per la difesa dell'ambiente ha avuto profondi riflessi anche sul rinnovamento della normativa in materia di difesa della natura e del paesaggio, che si è sviluppata a tre livelli: internazionale, statale e regionale. Si rende quindi opportuna una discussione contestuale, per una visione organica delle tendenze evolutive e delle sinergie potenziali.

1.1. La normativa internazionale

Il diritto ambientale manifesta una chiara tendenza a dislocare le decisioni strategiche a livelli superiori a quelli dei singoli Stati, attraverso direttive comunitarie e convenzioni internazionali, soprattutto a motivo dell'estensione ed interdipendenza di molti problemi ambientali, che a loro volta sono lo specchio dell'interdipendenza dei sistemi economici.

Questa tendenza ha avuto significative espressioni anche nella difesa della natura e del paesaggio, con particolare riferimento alla difesa delle specie e dei loro biotopi, anche attraverso la costituzione di particolari aree protette. Infatti gli areali di molte specie di piante e di animali selvatici superano i confini nazionali e, per gli animali dotati di grande mobilità (soprattutto gli uccelli migratori), perfino i singoli individui attraversano regolarmente tali confini; inoltre talune specie sono minacciate dal commercio internazionale.

Perciò una collaborazione internazionale, sia a livello scientifico che amministrativo, è non solo utile ma spesso perfino indispensabile. In tutto il mondo si va anzi diffondendo la convinzione che le specie vegetali ed animali selvatiche costituiscono un patrimonio comune dei popoli, che deve essere tutelato nell'interesse dell'umanità.

Esaminando il diritto ambientale internazionale secondo le fonti normative, possiamo distinguere due grandi filoni, facenti riferimento rispettivamente all'Organizzazione delle Nazioni Unite a livello mondiale e all'Unione europea e al Consiglio d'Europa a livello continentale.

1.1.1. Normativa di interesse mondiale

La politica ambientale delle Nazioni Unite ha avuto un ruolo decisivo nella definizione di numerose convenzioni internazionali. Particolarmente feconde di risultati sono state le seguenti dichiarazioni universali:

- la dichiarazione di Stoccolma del 16 giugno 1972, adottata al termine della conferenza generale delle Nazioni Unite sull'ambiente umano;

- la Carta mondiale della natura, adottata a Montevideo il 28 ottobre 1982 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite;

- la dichiarazione di Rio, approvata il 14 giugno 1992 al termine della conferenza sull'ambiente e lo sviluppo.

Nel settore della difesa della natura, le convenzioni più importanti di portata mondiale sono quelle di Ramsar, di Washington, di Bonn, di Barcellona e di Rio.

La convenzione di Ramsar relativa alle zone umide di importanza internazionale, del 2 febbraio 1971, a cui è stata data esecuzione con il D.P.R. 13 marzo 1976, n. 448, ha come obiettivo fondamentale la tutela delle ultime grandi zone umide, come ambienti regolatori del regime delle acque e in quanto habitat di una flora e una fauna caratteristiche e in particolare degli uccelli acquatici migratori, considerati come una risorsa internazionale. La mancanza di obblighi precisi per le Parti contraenti, opportunamente sanzionati, fa sì che la convenzione abbia soprattutto un'importanza morale. Il controllo internazionale è affidato all'inserimento delle zone umide in appositi elenchi. L'elenco italiano comprende anche alcune zone umide tutelate come riserve naturali dalla Regione Lombardia.

Molto più vincolante risulta invece la convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione, del 3 marzo 1973, a cui è stata data esecuzione con la legge 18 dicembre 1975, n. 874. Essa contiene disposizioni analitiche sul commercio di specimen, ossia animali e piante vivi o morti, parti o prodotti degli stessi, mediante permessi e certificati rilasciati da autorità amministrative, assistite da autorità scientifiche. La convenzione di Washington, che in Europa è mediata dai regolamenti comunitari (v. 1.1.2.), ha avuto riflessi importanti sul processo di internazionalizzazione del diritto sulla difesa della natura.

La convenzione di Bonn, relativa alla conservazione delle specie migratrici appartenenti alla fauna selvatica, del 23 giugno 1979, a cui è stata data esecuzione con la legge 25 gennaio 1983, n. 42, tutela le popolazioni di animali selvatici il cui stato di conservazione è considerato sfavorevole oppure che sono in pericolo di estinzione, mediante un complesso integrato di interventi per la conservazione e il restauro degli habitat, l'eliminazione o minimizzazione degli ostacoli alla migrazione, il controllo sull'introduzione di specie esotiche. Particolare importanza assumono gli accordi internazionali per la conservazione e la gestione delle specie migratrici mediante studi e piani coordinati.

La convenzione di Barcellona per la protezione del Mar Mediterraneo, del 16 febbraio 1976, comprende diversi protocolli, tra cui quello relativo alle aree del Mediterraneo particolarmente protette (Ginevra, 2 aprile 1982) a cui è stata data esecuzione con la legge 5 marzo 1985, n. 127. Esso prevede l'istituzione di aree protette, costituite da luoghi che presentino un particolare valore biologico ed ecologico o un interesse scientifico, estetico, storico, archeologico, culturale od educativo. Si tratta delle finalità generali che ispirano l'istituzione di parchi e riserve naturali, applicate alle speciali condizioni dell'ambiente marino e delle attività umane che lo interessano, incluse quelle tradizionali delle popolazioni locali. Anche in tal caso vengono promossi programmi di cooperazione internazionale tra i Paesi rivieraschi, con l'obiettivo di realizzare una rete di aree protette del Mediterraneo.

La convenzione di Rio De Janeiro sulla diversità biologica, del 12 giugno 1992, a cui l'Italia non ha ancora dato esecuzione, costituisce il punto di arrivo del diritto internazionale ambientale, particolarmente importante per la difesa della natura. Il concetto di biodiversità comprende la diversità genetica (all'interno della singola specie), la diversità di specie e quella di ecosistemi. La convenzione si propone la conservazione della biodiversità così concepita, l'uso sostenibile dei suoi componenti e un'equa divisione dei benefici che provengono dall'utilizzo delle risorse genetiche.

La convenzione di Rio distingue tra conservazione "in situ" (corrispondente alla difesa dei biotopi), che mira a conservare gli ecosistemi e gli habitat naturali ed a mantenere e ricostruire popolazioni vitali (riproducibili) di specie nelle loro condizioni ambientali e conservazione "ex situ" (corrispondente alla difesa delle specie), mirante a preservare le componenti della biodiversità al di fuori dei loro habitat naturali. La massima importanza viene attribuita al primo tipo di conservazione, nel cui ambito ogni Stato contraente si obbliga a stabilire un sistema di aree protette ove siano adottate misure speciali per conservare la biodiversità. Prende quindi forma una concezione sistemica, a rete, delle aree protette di varia importanza e dimensione.

Diversa dalle precedenti, ma significativa nell'ottica del presente documento, che si propone una sintesi delle politiche di difesa della natura e del paesaggio, è la convenzione di Parigi sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, del 16 novembre 1972, a cui è stata data esecuzione con la legge 16 aprile 1977, n. 184. Essa è stata promossa dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO).

Sono considerati patrimonio culturale mondiale monumenti, complessi di costruzioni e siti come opere dell'uomo o creazioni congiunte dell'uomo e della natura, di valore universale eccezionale dal punto di vista storico, estetico, etnologico o antropologico. Sono considerati patrimonio naturale mondiale monumenti naturali, formazioni geologiche e fisiografiche, habitat di specie animali e vegetali nonché siti e zone naturali aventi valore universale eccezionale dal punto di vista della scienza, della conservazione e della bellezza naturale. La convenzione vincola gli Stati contraenti ad identificare, tutelare, conservare, valorizzare e trasmettere alle generazioni future il suddetto patrimonio culturale e naturale mediante un insieme di misure politiche, giuridiche, scientifiche, tecniche, amministrative e finanziarie.

1.1.2. Normativa di interesse europeo

A livello europeo un'intensa attività per la difesa delle specie e dei biotopi è stata sviluppata nel corso degli ultimi decenni dal Consiglio d'Europa, che riunisce i Paesi dell'Europa occidentale e orientale. Il risultato più rilevante di tale attività è costituito dalla convenzione di Berna relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa, del 19 settembre 1979, a cui è stata data esecuzione con la legge 5 agosto 1981, n. 503. Il nucleo originario del trattato è la protezione degli habitat naturali che minacciano di scomparire, con particolare attenzione agli habitat importanti per le specie migratrici ed al coordinamento degli sforzi nelle zone di frontiera. Su queste basi si è sviluppato tra l'altro il movimento per la costituzione dei parchi europei a cavaliere dei confini tra gli Stati. La Lombardia è interessata per il versante svizzero (progetto di parco europeo delle Alpi centrali).

L'Unione europea si è impegnata in misura crescente nella difesa della natura, con la stessa tendenza, già evidenziata per l'ONU e per il Consiglio d'Europa, a passare dalla politica di difesa delle specie alla politica di difesa integrata delle specie e dei biotopi. Oltre a partecipare a diverse convenzioni internazionali, tra cui quelle citate di Bonn, Berna e Barcellona, l'U.E. ha emanato una normativa propria.

La convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate d'estinzione è stata recepita, con alcune integrazioni, mediante il regolamento CEE n. 3626/82 del 3 dicembre 1982, che ha assicurato a livello comunitario l'applicazione uniforme degli strumenti di politica commerciale previsti dalla convenzione stessa, instaurando una procedura comunitaria per le licenze di esportazione e importazione. Poiché i regolamenti, a differenza delle direttiva, si applicano immediatamente in tutti gli Stati membri senza la mediazione della legislazione nazionale, una parte essenziale della normativa sulla difesa della natura è ormai diventata diritto comunitario.

In applicazione degli obiettivi di protezione del patrimonio naturale europeo, contenuti nei programmi ambientali comunitari, l'U.E. ha approvato importanti direttive. La direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1975 concernente la conservazione degli uccelli selvatici, più volte integrata, si prefigge la protezione, la gestione e la regolazione di tutte le specie viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo, applicandosi ad uccelli, uova, nidi ed habitat, i quali ultimi devono essere preservati, mantenuti e ristabiliti con una varietà e una superficie sufficienti, in particolare mediante la costituzione di zone protette. Nell'economia della direttiva predominano comunque le disposizioni attinenti gli interventi diretti sulle popolazioni animali e in particolare la caccia e la cattura.

Di impianto più moderno è la direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992 sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, il cui scopo principale è promuovere il mantenimento della biodiversità (già affermato dalla convenzione di Rio de Janeiro), tenuto conto al tempo stesso delle esigenze economiche, sociali, culturali e regionali, per contribuire all'obiettivo generale di uno sviluppo durevole. Come indica il titolo stesso della direttiva, la priorità viene attribuita alle misure volte a garantire la conservazione degli habitat naturali, che non cessano di degradarsi in tutto il territorio europeo, rispetto alle misure dirette a tutela delle popolazioni animali e vegetali, capovolgendo quindi l'impostazione tradizionale del diritto in questo settore.

In particolare viene affermata l'esigenza di designare zone speciali di conservazione (ossia aree naturali protette), per realizzare una rete ecologica europea coerente, comprendente gli habitat di interesse comunitario, incluse le zone di protezione speciale a norma della direttiva 79/409/CEE, denominata "Natura 2000", con la previsione di un cofinanziamento comunitario. Per questo importante progetto, è stato avviato il rilevamento a tappeto dei siti potenziali, a cui partecipa anche la Lombardia, mediante una convenzione con il Ministero dell'ambiente (deliberazione G.R. n. 64324 del 28 febbraio 1995). Tale rilevamento è collegato al più generale programma comunitario avviato nel 1984 per realizzare un sistema informativo sullo stato dell'ambiente e delle risorse naturali (cartografia ecologica) detto CORINE (Coordination des Informations sur l'Environment en Europe).

Significativo appare il fatto che la direttiva 92/43/CEE si proponga anche la conservazione di habitat seminaturali, incoraggiando, nelle politiche di riassetto del territorio e di sviluppo, la gestione degli elementi di paesaggio che risultano vitali per la flora e la fauna selvatiche. Si tratta di elementi che, per la loro struttura lineare e continua (come i corsi d'acqua con le relative sponde o i sistemi tradizionali di delimitazione dei campi) o il loro ruolo di collegamento (come gli stagni e i boschetti), sono essenziali per la migrazione, la distribuzione geografica e lo scambio genetico di specie selvatiche. Emerge dunque una concezione di interconnessione a rete del sistema dei biotopi naturali e seminaturali che appare di grande interesse per la Lombardia. Infatti essa rivaluta il sistema dei parchi regionali lombardi, l'unico in Italia che realizzi un effetto infrastrutturale a rete e fornisce preziose indicazioni strategiche sui nuovi sviluppi della normativa nazionale e regionale in materia di difesa della natura e del paesaggio.

La politica di difesa della natura e del paesaggio è stata sviluppata dall'U.E. anche attraverso una normativa di tipo misto, che promuove forme di agricoltura estensiva, a partire dalla direttiva 75/268/CEE sull'agricoltura in montagna e in talune zone svantaggiate, con un sistema di incentivi volto alla conservazione di forme tradizionali di uso del suolo, economicamente marginali, ma importanti per l'ambiente.

Successivamente, la necessità di ridurre la produzione nei settori eccedentari ha determinato una modifica della politica comunitaria anche nelle aree a maggior vocazione agricola, promuovendo, attraverso numerosi regolamenti, interventi di estensivizzazione e di riconversione della produzione, che consentono di realizzare anche fondamentali obiettivi di protezione dell'ambiente e di mantenimento dello spazio naturale.

Particolare importanza rivestono il regolamento (CEE) n. 2078/92 del 30 giugno 1992, relativo a metodi di produzione agricola compatibili con le esigenze di protezione dell'ambiente e con la cura dello spazio naturale e il regolamento (CEE) n. 2080/92 del 30 giugno 1992, che istituisce un regime comunitario di aiuti alle misure forestali nel settore agricolo.

1.2. La normativa nazionale

1.2.1. Diritto costituzionale e sull'organizzazione dello Stato

L'esame della normativa nazionale in materia di difesa della natura e del paesaggio deve partire dalla Costituzione. È questo un tema di grande rilevanza non solo nell'attuale dibattito politico italiano, ma anche a livello internazionale, per la necessità da più parti affermata di ancorare alla Costituzione i principi della politica ambientale, sviluppatasi soprattutto negli ultimi trent'anni e quindi spesso non adeguatamente recepita nei testi costituzionali, che risalgono a tempi precedenti.

Per quanto nell'Italia del 1948, ancora ad economia prevalentemente agricola, non fosse presente la problematica ambientale della società moderna, a forte impronta urbana ed industriale, tuttavia la secolare tradizione culturale italiana ha consentito una significativa espressione nel principio dell'art. 9 della Costituzione, secondo cui la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Esso appare ancor oggi suscettibile di feconde applicazioni, anche se non esprime nella loro completezza le complesse esigenze della difesa ambientale, che comportano un nuovo principio etico, di responsabilità dell'uomo rispetto alla natura ed alle generazioni future, a cui si ricollega il concetto di sviluppo sostenibile.

La chiave per rivitalizzare il principio dell'art. 9 sta nella presa d'atto dell'evoluzione culturale del concetto di paesaggio intervenuta negli ultimi decenni. Mentre la concezione giuridica tradizionale, affermatasi nell'ambito dei beni culturali e ambientali, considera il paesaggio in senso estetico (quadro paesistico), l'evoluzione culturale più recente lo concepisce anche come ecosistema, che include l'uomo e le sue opere, sottolineando, accanto alla tutela del quadro paesistico, l'assicurazione dell'equilibrio ecologico. Questa evoluzione di fatto è già riscontrabile in varia misura nella più recente normativa statale e regionale in materia ambientale.

Anche l'art. 32 della Costituzione, secondo cui la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, è stato richiamato a fondamento di una politica moderna di difesa della natura, tenuto conto in particolare delle funzioni di compensazione dei carichi ambientali e delle funzioni ricreative esercitate dagli ecosistemi seminaturali.

Si può richiamare altresì la potenziale valenza ambientale di una nuova, più aggiornata concezione dell'art. 52 della Costituzione, secondo cui la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Ciò in quanto, dal punto di vista materiale, la Patria è costituita dalle città, pianure e monti, fiumi, laghi e mari ereditati dai padri e da trasmettere ai figli con tutta la ricchezza di una tradizione culturale viva, dove la bellezza e l'equilibrio tra uomo e natura sono segni caratteristici dell'identità del nostro popolo, in tutte le sue articolate componenti regionali e locali.

Per i rapporti tra difesa della natura e del paesaggio e proprietà privata, si può richiamare l'art. 42 della Costituzione, secondo cui la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto e godimento ed i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale.

Proseguendo nell'esame della normativa statale, è opportuna una rapida ricognizione del diritto sull'organizzazione dello Stato per la difesa della natura e del paesaggio. A livello ministeriale, essa è caratterizzata da una diarchia tra Ministero dei beni culturali e ambientali, istituito con D.L. 14 dicembre 1974, n. 657, e Ministero dell'ambiente, istituito con legge 8 luglio 1986, n. 349, Questo assetto riflette la diversa evoluzione di due tradizioni culturali (rispettivamente estetico-paesistica e naturalistica) e delle corrispondenti politiche, non ancora adeguatamente integrate.

Il Ministero per i beni culturali e ambientali promuove le iniziative necessarie per la protezione del patrimonio storico ed artistico della Nazione, nonché per la protezione dell'ambiente, con riguardo alle zone archeologiche e naturali; il principale strumento normativo di riferimento è la legge n. 1497/1939 sulla protezione delle bellezze naturali. Il Ministero dell'ambiente assicura la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale; il principale strumento normativo di riferimento allo stato attuale è la legge n. 394/1991 sulle aree protette. I due Ministeri assumono d'intesa le iniziative necessarie per assicurare il coordinamento delle attribuzioni di rispettiva competenza.

Le competenze regionali sono definite dal D.P.R. n. 616/1977. Sono trasferite alle Regioni le funzioni amministrative concernenti gli interventi per la protezione della natura, le riserve e i parchi naturali (art. 83), mentre sono solo delegate le funzioni amministrative per la protezione delle bellezze naturali (art. 82). Anche questa asimmetria rivela una diversa concezione dell'importanza dei due settori.

Le competenze provinciali sono definite dalla legge n. 142/1990, art. 14, secondo cui spettano alla Provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale, che riguardano vaste aree intercomunali o l'intero territorio provinciale, nel settore della protezione della flora e della fauna, dei parchi e delle riserve naturali. La competenza è quindi circoscritta alla difesa della natura e richiede, per la sua più concreta definizione, un'ulteriore precisazione da parte del legislatore regionale, con riferimento ai compiti di interesse provinciale e rispettivamente regionale. In definitiva emerge la figura dell'ente intermedio per la difesa della natura, ma non del paesaggio ed anche questa è una lacuna dell'attuale ordinamento.

Per quanto riguarda le competenze comunali, degno di rilievo è l'art. 77 del D.P.R. n. 616/1977, secondo cui sono attribuite ai Comuni le funzioni amministrative in materia di interventi per la protezione della natura, con la collaborazione della Regione.

1.2.2. Protezione delle bellezze naturali

La protezione delle bellezze naturali è assicurata dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497. Il concetto di bellezza naturale viene riferito a bellezze individue o d'insieme. Le prime costituiscono cose immobili con cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica, ville, parchi e giardini di non comune bellezza. Le seconde costituiscono complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico o tradizionale, le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali, i punti di vista o di belvedere accessibili al pubblico.

Questa impostazione della legge, che concepisce il paesaggio (naturale o culturale) da tutelare in termini puramente estetici e fortemente selettivi, non ha subito modifiche formali nel corso del tempo, ossia non si è adeguata all'evoluzione del concetto di paesaggio in termini ecosistemici, più adatti per affrontare i problemi della società moderna, anche se in tempi più recenti l'applicazione sempre più estesa del vincolo paesistico ha superato nella prassi i ristretti canoni estetici originari.

D'altra parte, già negli anni '60 la Commissione Franceschini aveva collegato i beni naturali, inclusi i beni ambientali (articolati in beni paesistici ed urbanistici) al concetto di civiltà (beni che costituiscono testimonianza materiale avente valore di civiltà), facendo emergere una visione storica e dinamica, che si contrappone alla precedente visione estetica e statica. I beni ambientali, evolvendo da una concezione di eccezionalità e rilevanza estetica alla concezione di testimonianza di civiltà, comprendono una serie di manifestazioni culturali minori in precedenza trascurate, ad esempio tutti i centri storici, l'edilizia rurale tradizionale, edifici e complessi di archeologia industriale, paesaggi culturali liberi, anche di non eccezionale bellezza, ma interclusi in territori molto compromessi. In parallelo, nella prassi amministrativa corrente, la natura in quanto tale viene considerata in misura crescente come valore culturale, mentre simmetricamente l'ecologia esce dal campo ristretto dell'analisi degli ecosistemi naturali per approdare agli ecosistemi trasformati dall'uomo, inclusi quelli urbani.

La crescente valenza ecologica della normativa sulle bellezze naturali è stata evidenziata nel modo più chiaro dalla legge Galasso (legge n. 431/1985), che sottopone a vincolo paesaggistico i territori costieri e quelli contermini ai laghi (300 m), i corsi d'acqua pubblici (150 m), le montagne superiori a 1.600 m (Alpi) e 1.200 m (Appennini), i ghiacciai, i parchi e le riserve naturali, le foreste.

L'aspetto più qualificante della nuova normativa in materia di paesaggio è il superamento potenziale del concetto di vincolo del singolo bene, attraverso piani paesistici speciali o anche piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali, che le Regioni devono redigere per le aree vincolate. Su queste basi sono state avviate nuove forme sperimentali di pianificazione, tra cui quella dei parchi regionali lombardi, che si staccano nettamente dalla cornice definita dal vecchio regolamento di applicazione della legge 1497/1939, concepito per la scala dei piani regolatori e per la salvaguardia dei valori estetici, mentre i nuovi piani vengono redatti per vaste aree, secondo una concezione più o meno spiccatamente ecosistemica.

Nella nuova situazione, che dilata enormemente il campo di applicazione dei beni ambientali e attribuisce importanza centrale allo strumento del piano paesistico, sottolineando l'insufficienza della tutela come vincolo passivo, emerge anche il concetto di fruibilità, che tende a coinvolgere più vasti strati sociali, facendoli partecipare alla tutela e alla valorizzazione dei beni ambientali, in precedenza affidati a pochi esperti.

1.2.3. Parchi e riserve naturali

In Europa, l'Italia è stata tra i primi Paesi a costituire parchi nazionali, nel periodo dal 1922 al 1935. I parchi del Gran Paradiso e dell'Abruzzo furono creati soprattutto per la salvaguardia di specie in pericolo (stambecco delle Alpi, orso e lupo marsicani), il parco del Circeo per la salvaguardia dell'ultimo lembo di paludi pontine non bonificate, il parco dello Stelvio per la tutela di un vasto territorio alpino di grande bellezza.

La politica dei parchi nazionali non è peraltro coerentemente proseguita nel 2° dopoguerra, con l'eccezione del parco della Calabria (1968); bisognerà attendere il 1991 per l'approvazione di una legge nazionale sulle aree protette. Nel frattempo la politica dei parchi nazionali si è sviluppata in tutto il mondo ed ha trovato una codifica da parte dell'Unione internazionale per la conservazione della natura (UICN), organizzazione internazionale indipendente composta da Governi, agenzie statali ed organizzazioni non governative, che in successivi convegni ha stabilito i requisiti per i parchi nazionali, a cui i parchi nazionali italiani corrispondono solo in parte.

A partire dagli anni '70 lo Stato ha vincolato come riserve naturali, con appositi decreti ministeriali, numerose piccole e medie aree demaniali affidate in gestione al Corpo forestale (tra queste rientra anche il Bosco della Fontana di Mantova); si tratta di terreni ed aree boschive in misura complessiva pari all'1% della superficie delle aree già costituenti il patrimonio immobiliare dell'azienda di Stato per le foreste demaniali, escluse dal trasferimento alle Regioni perché destinate a scopi scientifici, sperimentali e didattici d'interesse nazionale (D.P.R. n. 616/1977, art. 68).

Con la legge 31 dicembre 1982, n. 979 (Disposizioni per la difesa del mare), in applicazione della convenzione di Barcellona (v. 1.1.1.), sono state disciplinate le riserve naturali marine, spesso aventi grandi dimensioni.

Nel frattempo in Europa maturava il movimento per un nuovo tipo di parco, detto naturale o regionale, che integra funzioni ecologiche più complesse (di difesa della natura, ma anche di compensazione dei carichi ambientali) e funzioni ricreative e si adatta a realtà territoriali diverse da quelle dei parchi nazionali, ossia caratterizzate in prevalenza da paesaggi culturali, spesso in prossimità di aree urbane o agricole intensive. Le Regioni italiane, e in prima fila la Lombardia, si sono inserite rapidamente in questo movimento con propri contributi originali, anticipando di un ventennio la codifica da parte della legge-quadro nazionale.

Va detto peraltro che non sempre la distinzione tra parco nazionale e parco regionale è così netta, soprattutto quando vengono istituiti parchi regionali in zone di alta naturalità. Inoltre ai parchi regionali si affiancano riserve naturali regionali con finalità prevalenti di difesa della natura, in tutto simili a quelle delle riserve naturali istituite dallo Stato, a prescindere dalla loro rilevanza.

L'insieme delle esperienze statali e regionali, in parte concorrenti, ha avuto come sbocco la legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge-quadro sulle aree protette), che comprende principi generali, finalizzati a ricondurre ad una logica integrata i diversi sistemi di aree protette in via di sviluppo e norme specifiche per le aree protette nazionali e rispettivamente regionali.

Più che per il sistema di classificazione delle aree protette, tendente sostanzialmente a distinguere con qualche difficoltà sfere di competenza statale e rispettivamente regionale, lasciando alle Regioni il compito di definire le caratteristiche dei sistemi di aree protette provinciali e locali, la nuova legge-quadro statale si qualifica per il recepimento, nelle finalità generali, dei più importanti principi di tutela e gestione delle aree naturali protette emergenti dal dibattito a livello nazionale e internazionale (v. 1.1.) degli ultimi decenni, quali:

- la conservazione di specie animali e vegetali, associazioni vegetali o forestali, singolarità ecologiche, comunità biologiche, biotopi, valori scenici e panoramici, processi naturali, equilibri idraulici ed idrogeologici, equilibri ecologici;

- l'applicazione di metodi di gestione e di restauro ambientale idonei a realizzare un'integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici ed architettonici e delle attività agrosilvopastorali e tradizionali;

- la promozione di attività di educazione, formazione e ricerca scientifica, nonché di attività ricreative compatibili;

- la difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici ed idrogeologici;

- la valorizzazione e sperimentazione di attività produttive compatibili.

C'è peraltro una carenza di impostazione culturale dovuta al mancato approfondimento dell'interesse, per la Nazione nel suo complesso, rivestito dai parchi regionali di cintura, caratteristici delle aree metropolitane, dove le funzioni di difesa della natura e del paesaggio e di compensazione dei carichi ambientali, provenienti dai confinanti sistemi urbano-industriali, si intrecciano, costituendo una nuova, originale figura di area protetta, di straordinaria importanza per contesti territoriali ormai diffusi anche in Italia. Si tratta della tipologia di parchi che qualifica maggiormente l'esperienza della Lombardia nella fascia di pianura. A questa carenza si collega l'eccessiva enfasi attribuita dalla legge n. 394/1991 a taluni strumenti di tutela, come il divieto generalizzato di esercizio venatorio, caratteristici delle aree protette di alta naturalità.

Con riferimento ai principali strumenti previsti dalla legge-quadro, si sottolinea l'importanza attribuita alla pianificazione. Il piano del parco, sia nazionale che regionale, ha valore di piano territoriale e paesistico e sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione; questa figura giuridica sostanzialmente codifica le esperienze delle Regioni più avanzate. Ad essa si affianca un piano pluriennale economico e sociale per la promozione di una vasta gamma di attività compatibili, che rappresenta uno strumento fortemente innovativo, da cui dipende in larga misura il pieno successo dell'esperienza complessiva dei parchi nel nostro Paese.

Per quanto riguarda l'organizzazione amministrativa, il modello affermato o promosso dalla legge in termini generali è quello dell'ente autonomo, a cui partecipano rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni di protezione ambientale e delle università, con prevalenza dello Stato per i parchi nazionali e delle Regioni per i parchi regionali. Si deve peraltro precisare che tra i parchi nazionali fa eccezione quello dello Stelvio, per il quale è stato definito (intesa di Lucca, 1992) un Consorzio atipico tra Stato, Regione Lombardia e Province autonome di Bolzano e di Trento. Inoltre, per i parchi regionali, le Regioni possono affidare la gestione, oltre ad enti autonomi di diritto regionale, anche a consorzi obbligatori tra enti locali ai sensi della legge n. 142/90.

 

 

1.2.4. Difesa delle specie

Nel settore della difesa delle specie, si è accennato al ruolo prevalente ormai assunto dai regolamenti comunitari in materia di commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via d'estinzione ai sensi della convenzione di Washington (v. 1.1.1.). In questa materia lo Stato ha emanato la legge 7 febbraio 1992, n. 150, per la disciplina dei reati relativi all'applicazione in Italia di detta convenzione.

La normativa sulla difesa della fauna tradizionalmente in Italia è associata a quella sulla caccia e viene periodicamente aggiornata in relazione alle convenzioni internazionali e direttive comunitarie. Attualmente è in vigore la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), la quale recepisce la direttiva comunitaria sulla conservazione degli uccelli selvatici 79/409/CEE e attua la convenzione di Berna sulla conservazione della vita selvatica in Europa (v. 1.1.2.).

In attuazione delle anzidette normative internazionali, particolare importanza assume la previsione dell'istituzione, da parte delle Regioni, lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, di zone di protezione finalizzate al mantenimento e alla sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche, degli habitat interni a tali zone e ad esse limitrofi, nonché la previsione del ripristino dei biotopi distrutti e la creazione di nuovi biotopi. Si tratta chiaramente di un obiettivo a cui può dare il più valido contributo il sistema dei parchi e delle riserve naturali d'interesse regionale (v. 1.2.3.).

Al sistema delle più vaste aree protette, di cui alla legge n. 394/1991, ossia ai parchi e alle riserve naturali, con finalità complessive di difesa della natura, si associano le aree protette (in genere di estensione più piccola e spesso soggette a modifiche di confine) costituite ai sensi della stessa normativa sulla protezione della fauna e sull'esercizio venatorio, ossia le "oasi di protezione", destinate al rifugio, alla riproduzione e alla sosta della fauna selvatica e le "zone di ripopolamento e cattura", destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale e alla cattura della stessa per l'immissione sul territorio.

Oasi di protezione e zone di ripopolamento e cattura sono istituite nell'ambito dei piani faunistico-venatori provinciali, i quali definiscono altresì i criteri per la corresponsione di incentivi in favore dei proprietari o conduttori dei fondi rustici, singoli o associati, che si impegnino alla tutela e al ripristino degli habitat naturali e all'incremento della fauna selvatica nelle stesse zone. Queste possono coincidere o meno con i parchi e le riserve naturali; è quindi evidente che in questo settore si pone un problema non irrilevante di coordinamento. Aggiungasi che le Province, oltre ai piani faunistico-venatori, predispongono piani di miglioramento ambientale tesi a favorire la riproduzione naturale di fauna selvatica.

A questi più moderni contenuti, che rivelano una significativa attenzione per i problemi dell'equilibrio ecologico e dell'assetto territoriale, sia pure considerati in prevalenza per i loro riflessi sulle due fondamentali categorie di fauna selvatica oggetto di caccia, ossia gli uccelli ed i mammiferi, la legge n. 157/1992 associa lo strumentario classico della difesa delle specie; ossia prescrizioni volte a regolamentare interventi diretti, quali disturbi, cattura, ferimento, uccisione, possesso e commercio, introduzione di specie estranee. Sono particolarmente protette le specie che direttive comunitarie o convenzioni internazionali o gli appositi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri indicano come minacciate di estinzione.

Infine, agli strumenti di difesa delle specie e dei biotopi sopra illustrati, la legge n. 157/1992 associa numerose norme attinenti l'esercizio venatorio e come tali estranee allo stesso concetto di diritto ambientale. Si tratta quindi di un caso classico di normativa mista, che dovrebbe essere oggetto di radicali modifiche nell'auspicato processo di codifica del diritto ambientale, che separi le norme specifiche, valide solo per la difesa dell'ambiente, da quelle neutrali, che valgono anche per fattispecie irrilevanti per la difesa dell'ambiente.

In materia di difesa della flora, non esiste una normativa nazionale simmetrica rispetto a quella per la difesa della fauna, che si proponga una difesa sistematica delle specie e dei biotopi. A questo filone normativo possono peraltro essere collegate alcune leggi con finalità particolari, come la legge 6 gennaio 1931, n. 99 (Disciplina della coltivazione, raccolta e commercio delle piante officinali), e le più recenti legge 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati), e legge 23 agosto 1993, n. 352 (Norme-quadro in materia di raccolta e commercializzazione dei funghi epigei freschi o conservati).

Mentre in passato queste forme di raccolta interessavano in prevalenza l'economia locale rispettando l'equilibrio ecologico e con problemi di controllo solo per gli aspetti igienico-sanitari, oggi la forte intensificazione della raccolta, in particolare dei funghi, collegata al recente sviluppo della ricreazione nell'ambiente naturale, pone problemi crescenti di difesa della natura, che dovrebbero peraltro essere più razionalmente affrontati nell'ambito di una normativa sistematica sulla difesa delle specie.

1.2.5. Normative con parziale conformità di obiettivi

Altre normative statali contengono principi, obiettivi e strumenti che in varia misura risultano interessanti anche per la difesa della natura e del paesaggio.

Sotto questo profilo, da tempo è stata evidenziata la sinergia con la normativa forestale, che deve provvedere sia all'interesse dei proprietari dei boschi ad uno sfruttamento economicamente significativo sia all'interesse pubblico per un uso ordinato e per una conservazione dei boschi, che svolgono funzioni essenziali per l'equilibrio ecologico, la difesa del suolo, il bilancio idrico, la tutela dall'inquinamento, la ricreazione. C'è dunque una parziale conformità di obiettivi con la normativa sulla difesa della natura e del paesaggio, che tuttavia, nell'attuale legislazione statale, appare solo in parte recepita, a motivo dell'invecchiamento complessivo della legge fondamentale di riferimento, che non è stata adeguata alla situazione moderna.

Si tratta del R.D.L. 30 dicembre 1923, n. 3267 (Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani), che reca tra l'altro disposizioni in materia di vincolo idrogeologico. Tra il sistema delle aree sottoposte a vincolo idrogeologico e quello delle aree sottoposte a vincolo paesaggistico (v. 1.2.2.), spesso coincidenti, esiste un significativo parallelismo degli strumenti utilizzati per controllare le trasformazioni (autorizzazioni), che risultano poco efficienti e tra loro non coordinati.

Più aggiornata è la normativa statale per la difesa dei boschi dagli incendi (legge 1 marzo 1975, n. 47), che prescrive l'elaborazione di piani regionali ai fini della difesa e della conservazione del patrimonio boschivo dagli incendi; dispone un'organizzazione speciale per l'avvistamento, la spegnimento e la circoscrizione degli incendi boschivi con la collaborazione dei Comuni, del Corpo forestale e dei Carabinieri; prevede la ricostituzione dei boschi a spese dello Stato.

Un altro settore con parziale conformità di obiettivi è la normativa sulle acque, che negli ultimi decenni ha sperimentato una profonda trasformazione, evolvendosi in modo sempre più netto come diritto ambientale.

La legge 18 maggio 1989, n. 183, sulla difesa del suolo, all'art. 3 prevede, tra le attività di pianificazione nell'ambito dei bacini idrografici, la sistemazione, la conservazione e il recupero del suolo, anche attraverso processi di recupero naturalistico, botanico e faunistico; il risanamento delle acque superficiali per le esigenze del tempo libero, della ricreazione e del turismo; la razionale utilizzazione delle acque garantendo comunque il minimo deflusso costante vitale; la regolamentazione dei territori interessati dagli interventi ai fini della loro tutela ambientale, anche mediante la costituzione di parchi fluviali o lacuali e di altre aree protette.

La legge 5 gennaio 1994, n. 36, in materia di risorse idriche prevede che gli usi delle acque siano indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, la fauna e la flora acquatiche (art. 1). Nei bacini idrografici le derivazioni devono essere regolate in modo da garantire il livello di deflusso necessario alla vita degli alvei sottesi e tale da non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati (art. 3). La gestione delle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano deve essere effettuata nel rispetto della protezione della natura (art. 24). Nelle aree naturali protette nazionali e regionali, l'ente gestore dell'area protetta definisce le acque sorgive, fluenti e sotterranee necessarie alla conservazione degli ecosistemi, che non possono essere captate (art. 25).

La legge 5 gennaio 1994, n. 37, sulla tutela ambientale delle aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre acque pubbliche, modifica le disposizioni del codice civile in materia di acquisto della proprietà, stabilendo che appartengono al demanio e non più al proprietario frontista i terreni abbandonati gradualmente dalle acque correnti (inclusi il mare e le lagune), gli alvei abbandonati dai fiumi e dai torrenti negli eventi naturali cataclismatici o per fatti artificiali indotti dall'attività antropica (artt. 942, 945, 946 c.c.).

Inoltre, modificando la legge 18 giugno 1936, n. 1338 sulle coltivazioni arboree nelle pertinenze idrauliche demaniali, viene riconosciuto agli enti locali ed alle Regioni il diritto di prelazione, allo scopo di istituire riserve naturali o parchi territoriali fluviali o lacuali o comunque di realizzare interventi di ricupero, valorizzazione e tutela ambientale. Il diritto di prelazione spetta in via subordinata ai soggetti titolari di programmi di cui ai regolamenti (CEE) n. 2078/92 e 2080/92, relativi a produzioni compatibili con le esigenze di protezione dell'ambiente (v. 1.1.2.).

1.3. La normativa regionale.

La normativa sulla difesa della natura e del paesaggio in Lombardia, per quanto in taluni settori sia più avanzata di quella del resto del Paese, risente dell'applicazione non coordinata di diversi strumenti giuridici, alcuni dei quali ereditati dalla legislazione statale anteriore alla costituzione della Regione (ad es. il vincolo paesistico e la gestione faunistica) ed altri invece (come le aree protette) avviati dalla stessa Regione, in anticipo rispetto alla normativa statale.

I programmi e le leggi regionali per la difesa della natura e del paesaggio manifestano prevalentemente un carattere selettivo, ossia sono stati sviluppati soprattutto per la tutela delle componenti di maggior pregio del territorio. Essi fanno riferimento a due principi fondamentali: la difesa del paesaggio nella sua accezione estetica (quadro paesistico, bellezze naturali) e la difesa della natura come ecosistema, nelle aree di più spiccata naturalità (riserve naturali), ma anche in quelle con funzioni miste, di difesa della natura e di compensazione dei carichi ambientali (parchi naturali e di cintura metropolitana).

1.3.1. Protezione delle bellezze naturali

A differenza del settore dei parchi e delle riserve naturali, che ha avuto un forte sviluppo autonomo, anticipando la normativa nazionale, la genesi stessa della legislazione sulle bellezze naturali, già fortemente radicata nella prassi degli organi statali al momento della delega alle Regioni (1977), ha condizionato gli sviluppi successivi limitando i margini di autonomia. Le norme emanate dalla Regione hanno in prevalenza carattere procedurale.

Attualmente la protezione delle bellezze naturali viene attuata mediante i seguenti strumenti, tutti derivati dalla legge n. 1497/1939, integrata dalla legge n. 431/1985:

- apposizione di vincoli su ambiti territoriali di riconosciuta qualità ambientale;

- controllo degli interventi in tali ambiti mediante specifiche autorizzazioni;

- disciplina delle trasformazioni complessive mediante piani paesistici.

1.3.1.1. Apposizione di vincoli

La Regione, con il D.P.R. n. 616/1977 (Delega di competenze), ha ereditato dallo Stato un sistema di vincoli apposti con specifici decreti ministeriali su singole aree di pregio, a cui si è aggiunto nel 1985 un sistema di vaste aree (fasce lacustri e fluviali, aree boscate, montane, ecc.) identificate per categorie dalla legge Galasso (L. n. 431/1985.) Permane comunque la possibilità di integrare questo sistema con l'apposizione di nuovi vincoli e/o la revisione dei vincoli esistenti, a seguito dell'approfondimento delle conoscenze territoriali di singole aree.

Il procedimento di revisione o apposizione di nuovi vincoli, regolato dalla L.R. n. 57/1985, fa capo alla Giunta regionale, a partire da deliberazioni adottate dalle commissioni provinciali per le bellezze naturali, soggette a pubblicazione, osservazioni e controdeduzioni, con la procedura classica di tipo urbanistico. Le motivazioni del vincolo sono integrate con una descrizione dei luoghi e indicazioni delle modalità di tutela (criteri e norme) per orientare la gestione del vincolo.

Il suddetto strumento (di cui peraltro, anche per ragioni organizzative, finora si è fatto scarso uso) appare di valenza strategica proprio perché consente di orientare il controllo puntuale degli interventi tramite specifiche autorizzazioni; concettualmente esso si colloca per così dire a metà strada tra lo strumento dell'autorizzazione puntuale e lo strumento del piano paesistico, finora applicato solo a vaste aree. Il riordino del sistema dei vincoli esistenti assume particolare rilievo politico tenuto conto:

- della necessità di rivedere molti vincoli apposti in tempi ormai lontani con decreti ministeriali, il cui contenuto non corrisponde più alle caratteristiche attuali dei luoghi;

- dei ritardi nella pianificazione paesistica, che in Lombardia finora si è affermata solo nell'ambito dei parchi regionali.

Va altresì rilevato che, con Delib.G.R. n. 3859/85, sono state individuate le aree di primo appoggio della pianificazione paesistica, all'interno delle quali gli ambiti vincolati sono soggetti ad un regime di immodificabilità temporanea (ai sensi dell'art. 1-ter, legge n. 431/1985), che verrà meno con l'approvazione del piano paesistico, avendo quest'ultimo la possibilità sia di perimetrare aree in permanenza immodificabili sia di normare le trasformazioni delle altre aree. Questo sistema di vincoli rigidi su aree molto vaste dovrebbe per sua natura essere limitato nel tempo. Il ritardo nell'approvazione dei piani paesistici ha determinato la necessità di consentire limitati interventi di trasformazione (ad es. costruzione di strade forestali, ristrutturazione di edifici isolati nelle montagne, ecc.); si è così introdotta la possibilità di stralciare singoli lotti dal vincolo di immodificabilità, per motivazioni non solo di pubblico interesse, ma anche di carattere socioeconomico.

1.3.1.2. Autorizzazioni di singoli interventi

La competenza per l'autorizzazione dei singoli interventi di trasformazione nelle aree tutelate è in prevalenza attribuita alla Giunta regionale e solo in parte è stata subdelegata ai Comuni a partire dalla L.R. n. 57/1985, con successive integrazioni. Nel 1992 la Giunta regionale ha altresì approvato un documento di criteri per orientare la gestione della subdelega da parte dei Comuni.

La legge vigente prevede una subdelega in due tempi: un primo "pacchetto" di competenze è stato subdelegato in termini immediati, un ulteriore "pacchetto" è subordinato all'approvazione dei piani paesistici, restando in quel momento riservate alla Regione solo alcune tipologie di intervento di maggior impatto ambientale (ad es. le cave) e le opere di iniziativa pubblica, nonché il controllo della subdelega. Attualmente la subdelega ai Comuni è stata completata solo per i parchi regionali dotati di piano approvato con legge dalla Regione.

Complessivamente, l'istruttoria delle autorizzazioni tuttora in capo alla Regione con le pratiche connesse (ad es. sanzioni, sanatorie, condoni) ed il controllo delle subdeleghe ai Comuni costituiscono di gran lunga l'attività prevalente del servizio beni ambientali.

L'enorme estensione dell'universo delle pratiche trattate ed i nuovi obiettivi attribuiti alla difesa del paesaggio, anche in senso ecosistemico, conseguenti alla legge Galasso, hanno messo in crisi il modello organizzativo precedente, ereditato dallo Stato, che si era sviluppato in base ad un numero limitato di oggetti di tutela e conseguentemente di interventi, valutati unicamente con riferimento alla valenza estetica, da un gruppo ristretto di funzionari con un'elevata qualificazione professionale. Sono emersi quindi complessi problemi di riorganizzazione ai vari livelli amministrativi e di raccordo con le attività di apposizione dei vincoli e di pianificazione paesistica.

1.3.1.3. Pianificazione paesistica

Secondo l'impostazione lombarda, la pianificazione paesistica era prevista come strumento di approfondimento successivo al processo di revisione dei vincoli, il quale doveva configurarsi sostanzialmente come un prepiano. La legge Galasso (n. 431/1985) ha invece imposto l'elaborazione in tempi molto brevi dei piani paesistici, anteponendoli alla revisione dei vincoli.

Con Delib.C.R. n. 394/86, la Regione ha definito la metodologia per la stesura dei piani, attraverso:

- il censimento delle risorse paesistico-ambientali;

- la definizione di indirizzi normativi per tutto il territorio, differenziati per gli ambiti vincolati rispetto alle altre aree;

- la definizione di un quadro di riferimento utile ad orientare la pianificazione territoriale ed urbanistica a tutti i livelli.

Nonostante la predisposizione di una notevole mole di studi e proposte a livello provinciale, ultimati nel 1989, e di una bozza di piano paesistico-quadro regionale, la Regione non ha comunque portato a termine il processo di pianificazione paesistica con approvazioni formali; fanno eccezione unicamente i piani dei parchi regionali. Il ritardo complessivo della pianificazione paesistica costituisce uno dei maggiori problemi, che condiziona l'intero sviluppo della politica regionale di difesa della natura e del paesaggio.

1.3.2. Parchi, riserve e monumenti naturali

1.3.2.1. Istituzione e pianificazione delle aree protette

La normativa lombarda in materia di aree protette si è sviluppata nei primi vent'anni dell'esperienza regionale attraverso un caratteristico processo di integrazione di diverse competenze in materia di assetto del territorio, difesa della natura e difesa del paesaggio.

L'impostazione concettuale iniziale è di carattere prevalentemente territoriale-urbanistico e si esprime nella L.R. 17 dicembre 1973, n. 58, che detta le prime norme sull'istituzione dei parchi e delle riserve naturali, e nella L.R. 9 gennaio 1974, n. 2, che disciplina l'elaborazione dei piani territoriali di coordinamento delle aree protette. I primi parchi regionali (Ticino, Groane, Nord Milano, Colli di Bergamo) vengono istituiti e pianificati in base a questa normativa.

Nella seconda metà degli anni '70 è maturato un secondo indirizzo, teso a sviluppare le potenzialità normative specifiche della difesa della natura. Particolarmente significativa al riguardo è l'approvazione della L.R. 27 luglio 1977, n. 33 (Provvedimenti in materia di tutela ambientale ed ecologica), in base alla quale sono stati identificati e tutelati con specifici provvedimenti i primi trenta biotopi e geotopi di maggior interesse naturalistico, successivamente trasformati in riserve e monumenti naturali.

Le diverse esperienze degli anni '70 confluiscono nella nuova normativa approvata all'inizio degli anni '80, ossia la L.R. 30 novembre 1983, n. 86, in materia di aree regionali protette, che costituisce una sintesi degli indirizzi territoriali e naturalistici e consente un forte rilancio dell'iniziativa regionale, portando il numero dei parchi da 4 a 24 e il numero delle riserve naturali da 30 a 64.

Si noti che i parchi regionali sono divisi in due categorie: naturali e di cintura metropolitana. Accanto alle riserve naturali esiste la figura giuridica dei monumenti naturali, peraltro poco sviluppata. Oggi circa il 20% del territorio regionale è soggetto a queste forme di tutela.

Caratteristica del sistema dei parchi della Lombardia, che lo differenzia dalle esperienze di altre Regioni, è l'importanza attribuita ai problemi delle aree metropolitane, attraverso l'anzidetta figura del parco di cintura, ma anche il numero elevato dei parchi naturali presenti nelle suddette aree, con un complessivo effetto rete di grande interesse alla luce dei moderni orientamenti della pianificazione territoriale e paesistica. Di fatto, anche i parchi detti naturali nell'area metropolitana (Ticino, Adda, Groane, Valle del Lambro, Pineta di Appiano Gentile e Tradate, Montevecchia e Valle del Curone, Campo dei Fiori, Monte Barro) svolgono funzioni simili a quelle attribuite ai parchi detti di cintura (Nord Milano, Sud Milano, Spina Verde di Corno), ossia tutela e ricupero paesistico e ambientale delle fasce di collegamento tra città e campagna, connessione delle aree esterne ai sistemi di verde urbano, ricreazione e tempo libero dei cittadini.

La L.R. n. 86/1983 attribuisce un ruolo importante agli strumenti di pianificazione delle aree protette: piani territoriali di coordinamento, piani di settore, piani di gestione e regolamenti d'uso dei parchi regionali, piani delle riserve naturali. Questa impostazione ha consentito di sviluppare un patrimonio complessivamente ragguardevole di studi e piani a vari livelli, nonostante incertezze e ritardi.

Una quarantina circa di riserve naturali sono dotate di piani di gestione, otto parchi regionali hanno il piano territoriale approvato con legge e altri otto adottato. Si ribadisce che oggi in Lombardia gli unici piani territoriali e paesistici sono quelli dei parchi regionali.

A metà degli anni '80, in coincidenza con l'approvazione della legge Galasso (legge 8 agosto 1985, n. 431), vengono rivitalizzati gli specifici strumenti di pianificazione paesistica previsti dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497, in materia di bellezze naturali. Questo sviluppo porta a riconoscere esplicitamente il valore di piani paesistici ai piani territoriali di coordinamento dei parchi, con la L.R. 27 maggio 1985, n. 57. In tal modo progredisce ulteriormente in misura significativa il processo di integrazione di diversi obiettivi fondamentali nel quadro della politica delle aree protette.

A partire dal piano del parco del Ticino (1980), i piani dei parchi regionali rivelano una caratteristica evoluzione concettuale, giuridica e metodologica, che parte da un approccio urbanistico-territoriale, prevalentemente indirizzato alla tutela, per approdare ad una pianificazione più schiettamente ambientale e più attenta ai problemi gestionali, alla ricerca di meccanismi (procedure, incentivi, azioni di coordinamento e compartecipazione) atti a favorire gli interventi concreti sul territorio per la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio, anche se le applicazioni sono ancora scarse.

Il processo di pianificazione delle riserve naturali si è sviluppato con caratteri diversi rispetto a quello dei parchi regionali. Infatti le deliberazioni istitutive delle riserve naturali applicano al territorio disposizioni di tutela sostanziale (divieti ed obblighi) che vigono a regime e non a titolo provvisorio di salvaguardia e possono essere integrate, ma non sostituite, dal piano della riserva.

Nel piano della riserva naturale prevalgono quindi gli elementi di carattere esecutivo e gestionale, quali la regolamentazione delle attività consentite, le modalità di cessazione delle attività esistenti dichiarate incompatibili, le opere necessarie alla conservazione e all'eventuale ricupero dell'ambiente, le aree da acquisire.

Accanto alle aree protette di interesse regionale, la L.R. n. 86/1983 promuove interventi autonomi dei Comuni e loro consorzi per la costituzione di parchi locali di interesse sovracomunale, riconosciuti dalla Regione (finora una ventina). Queste iniziative, che hanno un ruolo modesto nell'economia generale della legge, viceversa hanno avuto un forte sviluppo nella prassi, con la tendenza a ripetere, su scala minore, le esperienze dei parchi regionali.

Si tratta in parte di aree di pregio naturale e paesistico, in parte di aree da riqualificare con l'obiettivo del contenimento dell'espansione urbana e dell'interconnessione degli spazi verdi. Per i parchi locali di interesse sovracomunale è previsto un piano particolareggiato adottato dai Comuni ed approvato dalla Regione ai sensi della L.R. n. 14/1984, art. 5. Nella sostanza, se non nella forma, tali piani sono assimilabili a piani paesistici a scala comunale, pur tenuto conto delle minori possibilità della disciplina urbanistica di incidere sulla difesa della natura e del paesaggio.

1.3.2.2. Gestione delle aree protette

La normativa regionale sulle aree protette si caratterizza per la scelta fondamentale di affidare la gestione in prevalenza agli enti locali (Comuni, Comunità montane, Province e loro consorzi). Complessivamente tale scelta premia la partecipazione, ma comporta qualche problema sul piano dell'efficienza. Si consideri comunque che le aree protette lombarde si sviluppano in prevalenza all'interno di territori antropizzati e incidono fortemente sugli interessi delle popolazioni locali.

In aggiunta all'importante delega in materia di pianificazione, agli enti gestori dei parchi regionali sono state delegate talune funzioni amministrative. Tra queste le più importanti sono le autorizzazioni in materia di gestione forestale e vincolo idrogeologico, regolate da una legge specifica (L.R. n. 9/1977) e le attività di vigilanza e irrogazione delle sanzioni amministrative (L.R. n. 86/1983.) In aggiunta ai guardiaparco, in ogni parco è presente un gruppo autonomo di guardie ecologiche volontarie, con la figura giuridica di guardie giurate e pubblici ufficiali, disciplinate da una legge regionale specifica (L.R. n. 105/1980.) Altre funzioni amministrative vengono esercitate sotto forma di pareri obbligatori, ma per lo più non vincolanti, su piani vari (urbanistici, agricoli, estrattivi, ecc.), sulle linee elettriche di competenza regionale nonché su autorizzazioni dell'autorità idraulica. Il parere ai Comuni è vincolante in materia di bellezze naturali subdelegate (L.R. n. 57/1985.)

La L.R. n. 86/1983 attribuisce rilievo anche alla gestione economica delle aree protette, con un bilancio annuale dei contributi regionali agli enti gestori pari a circa 20 miliardi, ripartiti in parti quasi uguali tra capitoli di parte corrente e di parte capitale (investimenti). È previsto anche un meccanismo che favorisce l'utilizzo coordinato delle risorse provenienti da altri settori dell'amministrazione regionale (agricoltura e foreste, turismo, lavori pubblici, ecc.), ma ha finora trovato scarsa attuazione.

Ai contributi regionali si sommano, in misura diversa nei singoli casi, contributi degli enti locali per le spese di gestione (L. 1000/2000 per abitante l'anno) e per gli investimenti.

Prevalgono interventi nel settore del demanio (sede centrale e centri parco, aree naturali), delle infrastrutture ricreative (soprattutto sentieri e piste ciclabili), delle attività di manutenzione e gestione di ambienti naturali e delle attività culturali ed educative. Meno sviluppate, rispetto alle forme di intervento e gestione diretta, sono le convenzioni con i privati ed in particolare i proprietari del suolo (agricoltori e selvicoltori).

Lo strumento fondamentale per la gestione economico-finanziaria dei parchi regionali, peraltro finora poco applicato, è costituito dai piani triennali di gestione, in cui vengono definiti gli interventi necessari per la tutela e la valorizzazione del patrimonio naturale ed ambientale, quelli di carattere culturale, educativo, ricreativo e turistico-sportivo, nonché le previsioni di spesa.

In tal modo, i contenuti normativi dei piani territoriali e di settore dei parchi possono essere arricchiti e valorizzati da concrete prospettive di attuazione, che ne configurano la reale dinamica di sviluppo e le realistiche previsioni di finanziamento. D'altra parte questo strumento dovrebbe agevolare la stessa Regione nel compiere le necessarie verifiche e nel mettere in moto i meccanismi di finanziamento con l'utilizzo coordinato di risorse di diversa provenienza e la definizione dei necessari accordi di programma.

Le strutture di gestione delle aree protette, come si è detto, fanno capo in prevalenza agli enti locali, ma con una forte differenziazione dei vari modelli.

Per i parchi regionali, l'ente gestore è costituito prevalentemente da un consorzio specifico tra i Comuni, le Province e le Comunità montane. Quando un parco è totalmente compreso nel territorio di una sola Comunità montana, la gestione è stata affidata a quest'ultima. Una situazione atipica è quella dei parchi delle Orobie bergamasche e valtellinesi, che vengono gestiti a due livelli amministrativi: il consorzio tra le Comunità montane e la Provincia (pianificazione, coordinamento, gestione amministrativa) e le singole Comunità montane (gestione operativa). Atipica è anche la forma istituzionale del parco agricolo Sud Milano, affidato alla Provincia, che opera con un organo speciale (Consiglio direttivo) di cui fanno parte anche rappresentanti dei Comuni e delle associazioni.

Una figura centrale è costituita dal direttore del parco, definita dalle leggi istitutive approvate dopo la L.R. n. 86/1983. Nell'esperienza, la sua affermazione si è peraltro rivelata problematica, con riferimento alle funzioni esercitate e ai requisiti professionali richiesti nonché alle difficoltà pratiche di reclutamento. Assai diffusa è la pratica di avvalimento di supporti tecnici esterni (consulenti), non solo per le attività maggiormente specialistiche (ad es. la pianificazione), ma anche per l'amministrazione corrente.

Anche la maggior parte delle riserve naturali all'esterno del territorio dei parchi è stata affidata in gestione a enti territoriali o loro consorzi. Cinque riserve naturali sono state affidate all'azienda regionale delle foreste e quattro ad associazioni protezionistiche.

L'assetto istituzionale complessivo delle riserve naturali rivela quindi un'eterogeneità ancora maggiore rispetto a quella dei parchi. I Comuni difficilmente sono in grado di assicurare una gestione adeguata dal punto di vista tecnico-scientifico; anche presso enti locali di maggiori dimensioni, spesso non sono stati organizzati uffici specialistici. Questa situazione è da imputarsi anche alla dispersione delle aree protette; infatti la costituzione di un ufficio speciale si giustifica solo quando lo stesso soggetto gestisce un numero adeguato di aree protette, il che si verifica raramente. Ne consegue un atipico carico di lavoro sugli uffici regionali, chiamati a supplire carenze locali.

1.3.3. Difesa delle specie e dei biotopi

La difesa delle specie è caratterizzata anche in Lombardia da una forte dispersione normativa, derivante dall'impostazione nazionale, che è stata seguita senza innovazioni di rilievo, nonostante alcuni spunti interessanti, che purtroppo non sono stati sviluppati.

Nelle aree protette (parchi e riserve naturali) ai sensi della L.R. n. 86/1983, si verifica una forte integrazione tra difesa delle specie e dei biotopi, che si può avvalere di uno strumentario giuridico forte, dagli atti istitutivi ai piani e regolamenti, i quali prevalgono sulla disciplina generale di difesa della fauna e della flora. Grazie all'estensione del sistema delle aree protette regionali (20% del territorio), si può affermare che oggi la Lombardia è all'avanguardia in Italia nell'applicazione della normativa internazionale (dalla Convenzione di Rio alla direttiva 92/431/CEE), sempre più orientata a privilegiare la difesa integrata delle specie e dei biotopi.

Manca tuttavia una normativa che si proponga di realizzare organicamente lo stesso obiettivo su tutto il territorio regionale, con strumenti diversi da quelli delle aree protette. Un tentativo interessante in tale direzione era stato fatto con la L.R. 27 luglio 1977, n. 33 (Provvedimenti in materia di tutela ambientale ed ecologica), che al titolo II disponeva la messa sotto tutela di biotopi e geotopi inseriti in successivi elenchi adottati dalla Giunta regionale, in attesa di una puntuale definizione da parte dei piani territoriali di coordinamento comprensoriale, con la previsione di opere di conservazione attiva.

Logicamente i primi elenchi di biotopi e geotopi sottoposti a tutela con questo strumento riguardarono i siti di maggior interesse naturale, in seguito opportunamente trasformati in riserve e monumenti naturali. La contemporanea caduta dell'organizzazione dei consorzi comprensoriali avviata all'inizio dell'esperienza regionale indusse ad abrogare il titolo II della L.R. n. 33/1977, precludendo così un potenziale sviluppo normativa per la tutela diffusa dei biotopi.

Privata del titolo sui biotopi e geotopi, che ne costituiva il cuore, la L.R. n. 33/1977 si è ridotta ad una normativa per la tutela della cosiddetta fauna minore, ad integrazione della normativa sulla tutela della fauna superiore (mammiferi ed uccelli) e per la tutela della flora spontanea (fiori, funghi, frutti del sottobosco), oggetto di minaccia soprattutto da parte del movimento turistico. Si tratta in entrambi i casi dello strumentario classico della difesa delle specie (liste rosse, divieti e limiti di raccolta). Aggiungasi un titolo sulla tutela degli ambienti lacustri e fluviali, che prevede soprattutto interventi periodici di manutenzione, realizzati dalle Province e coordinati dal servizio "Tutela e gestione delle acque".

Più volte, nel corso di varie legislature regionali, si è tentato senza esito un aggiornamento della L.R. 33/1977, ormai invecchiata, per trasformarla in una legge moderna che definisse gli strumenti generali di difesa della natura validi per tutto il territorio.

La fauna selvatica costituita da mammiferi (esclusi talpe, ratti, topi ed arvicole) e uccelli di cui esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente, in stato di naturale libertà nel territorio regionale, è oggetto di tutela generale da parte della L.R. 16 agosto 1993, n. 26. Da sempre la normativa regionale in questo settore non si discosta sostanzialmente dalla legge-quadro nazionale (legge n. 157/1992), che definisce tutti gli strumenti giuridici fondamentali per la difesa della fauna, integrandoli nell'amministrazione della caccia (v. 1.2.4.).

Nella 1ª legislatura regionale è stato fatto il tentativo, poi caduto, di inserire questa tematica nell'amministrazione dell'ambiente (assessorato all'ecologia), per favorire una diversa evoluzione della normativa sulla difesa della fauna superiore.

 

 

2. Principi generali per una ricomposizione normativa

2.1. I beni da tutelare

Il primo compito di una legge è quello di delimitare in modo il più possibile preciso il proprio oggetto. Esso assume un'importanza particolare nell'ambito di una ricomposizione normativa che si prefigga di realizzare una legge-quadro con una pluralità di obiettivi in un vasto settore com'è quello della difesa della natura e del paesaggio.

Nella normativa vigente, riassunta al precedente capitolo 1, viene utilizzata una molteplicità di terminologie che riflettono diversi punti di vista ed in definitiva diverse culture di tutela dello stesso bene, sviluppate successivamente nel tempo. Termini in passato di uso strettamente scientifico (come habitat, biotopo o ecosistema) vengono sempre più frequentemente utilizzati nel linguaggio giuridico, ma senza un adeguato approfondimento delle conseguenze inerenti la loro introduzione nel complesso e delicato mondo del diritto.

Sembra dunque preliminarmente indispensabile chiarire in modo univoco i concetti di natura e paesaggio con i loro attributi particolari oggetto di disposizioni giuridiche, per assicurare un quadro normativo che sia nello stesso tempo armonico e trasparente.

2.1.1. Concetti generali di natura e paesaggio

È necessario definire i concetti generali di natura e paesaggio in modo tale da chiarire differenze ed interrelazioni.

Per natura si intende la totalità delle componenti ambientali biotiche ed abiotiche che non sono state create dall'uomo, ma vengono da lui in vario modo utilizzate: l'aria, l'acqua, le rocce, il suolo, la flora e la fauna e le unità complesse da essi formate. Dal punto di vista giuridico, la natura può essere in primo luogo tutelata nelle sue singole componenti, con interventi che possono essere definiti di conservazione delle risorse naturali; in questo quadro rientrano le normative per la difesa dell'aria, dell'acqua, del suolo, ecc. Ma la natura può essere altresì tutelata come sistema, in cui i singoli fattori abiotici e biotici interagiscono tra loro (ecosistema); non ci si pone tanto l'obiettivo di minimizzare o regolare l'impatto che i comportamenti umani possono avere sulle singole componenti ambientali, quanto di preservare le relazioni complessive tra questi elementi, ossia la funzionalità dell'ecosistema.

La legge-quadro in discussione corrisponde in larga misura a questa seconda concezione giuridica di tipo trasversale, verso cui evolve in modo sempre più netto la normativa internazionale e nazionale (v. 1). Tuttavia si deve ricordare che il nucleo più antico del diritto sulla difesa della natura comprende norme per la difesa della fauna e della flora, che rientrano piuttosto nella concezione giuridica corrispondente alla conservazione delle risorse naturali ed è proprio l'attenzione ai problemi di difesa della fauna e della flora che ha consentito di sviluppare la più recente ed incisiva politica di tutela degli ecosistemi. Di conseguenza nel diritto si è sviluppato un settore, qualificato più recentemente come difesa integrata delle specie e dei biotopi, che risulta a cavaliere tra la concezione delle risorse e quella dei sistemi.

Il concetto di paesaggio incontra oggi nel diritto italiano maggiori difficoltà di approccio, a causa dei significati diversi e sempre più complessi acquistati nel corso del tempo. In passato il paesaggio veniva considerato essenzialmente secondo i criteri dell'arte e dell'estetica, ossia come veduta, panorama, parte del territorio (per lo più con spiccati caratteri naturali) che si abbraccia con lo sguardo da un punto determinato e suscita in chi lo contempla particolari impressioni ed emozioni e si distingue per particolari caratteristiche (soprattutto la bellezza). Questa concezione estetica è ancor oggi dominante nella normativa italiana sulla difesa del paesaggio.

Il concetto di paesaggio ha subito successivamente una profonda evoluzione, a partire dai contributi della geografia, che lo considera come il complesso degli elementi fisici, biologici ed antropici che costituiscono i tratti fisionomici di una certa parte della superficie terrestre. In tal modo esso viene da un lato avvicinato al concetto di natura e dall'altro integrato con una più precisa considerazione degli elementi antropici, che nei paesaggi civilizzati acquistano ormai importanza spesso determinante sul modellamento degli elementi puramente naturali.

Infine l'ecologia considera il paesaggio come ecosistema paesistico concreto o meglio un insieme di ecosistemi variamente collegati, in una sezione territoriale estesa a piacere. Questa concezione è suscettibile di integrazione con le precedenti, distinguendo tra struttura del paesaggio, a cui si collega la nozione morfologica ed estetica di quadro paesistico, e funzioni del paesaggio, a cui si collega la nozione ecosistemica di bilancio o di equilibrio paesistico, come insieme dei rapporti tra spazi paesistici vicini, determinati dalle interrelazioni tra fattori biotici (incluso l'uomo) ed abiotici. In tal modo il concetto tradizionale di paesaggio in senso culturale ed estetico conserva tutta la sua pregnanza, legata non solo alla storia dei nostri paesaggi, ma anche ad una profonda esigenza spirituale dell'uomo; e d'altra parte esso viene integrato da una concezione ecosistemica, che oggi risulta indispensabile per un'efficace politica di tutela.

In relazione al diverso grado di incidenza delle trasformazioni antropiche, risulta opportuno distinguere tra paesaggio naturale e paesaggio culturale. Per paesaggio naturale si intende un paesaggio non influenzato dall'uomo e determinato, nella sua struttura e nelle sue funzioni, solo da elementi e fattori naturali. In Italia, Paese di antica civilizzazione ed alta densità demografica, i paesaggi completamente naturali esistono solo in zone molto ristrette; spesso con questo termine si indicano paesaggi che in realtà sarebbe più corretto definire quasi o seminaturali, poiché solo leggermente o mediamente trasformati dall'uomo.

Per paesaggio culturale si intende un paesaggio in una determinata epoca storica, più o meno influenzato dall'uomo. Il tipo e le dimensioni degli interventi antropici non sono rilevanti ai fini della definizione della categoria generale, ossia paesaggio culturale può essere sia un bosco soggetto a tagli periodici che un frutteto, sia una campagna che una città.

Con le suddette definizioni, natura e paesaggio risultano strettamente correlati, poiché il concetto di natura si può configurare come una sezione del concetto di paesaggio, il quale comprende la natura, con o senza le opere materiali dell'uomo, in una determinata parte della superficie terrestre percepibile visivamente. Avendo peraltro il paesaggio un'imprescindibile caratterizzazione fisionomica, non tutta la natura è contenuta nel paesaggio, essendo escluse la litosfera, la parte profonda dell'idrosfera e la parte alta dell'atmosfera, che non sono visibili; ma la maggior parte della biosfera è comunque inclusa nel paesaggio.

Se oggi natura e paesaggio tendono ad essere sempre più associati, quasi fino a formare un unico concetto, ciò è dovuto al fatto che gli elementi naturali e artificiali sono ormai così strettamente intrecciati che un'efficace politica di difesa della natura deve essere integrata nella politica di gestione del paesaggio. Una natura completamente separata ed autonoma ormai non esiste più e quindi, se si vuole difendere efficacemente la natura, occorre considerarla assieme al paesaggio. Ne deriva la necessità di associare nello stesso settore giuridico-amministrativo gli obiettivi di tutela del quadro paesistico e dell'equilibrio ecologico, che ormai anche nella prassi non si riesce più a considerare separatamente. In tal modo potranno essere meglio garantite la sinergia e coerenza tra i diversi strumenti normativi e le diverse strutture amministrative.

2.1.2. Attributi particolari della natura e del paesaggio

La difesa della natura e del paesaggio si realizza facendo riferimento non soltanto ad astratti concetti generali come quelli in precedenza illustrati, ma anche a concreti attributi particolari, definiti soprattutto in funzione delle esigenze materiali e spirituali dell'uomo.

Alcuni attributi hanno una spiccata caratterizzazione economico-ecologica, come la potenzialità, la fruibilità e la persistenza.

Il concetto di potenzialità è legato alle prestazioni; si possono distinguere vari potenziali naturali e paesistici, tra cui esistono di regola delle relazioni, essendo tutti collegabili al bilancio o equilibrio ecologico: il potenziale biotico di rigenerazione, ossia di riproduzione regolare delle specie vegetali ed animali, il potenziale biotico di produzione di biomasse vegetali, il potenziale ricreativo, il potenziale idrico, il potenziale climatico di rigenerazione (comprendente influssi positivi su diversi fattori climatici), il potenziale di materie prime, il potenziale di costruzione di insediamenti e infrastrutture.

Affine al precedente ma più direttamente legato alle esigenze dell'uomo, è il concetto di fruibilità o idoneità all'utilizzazione, che comunque presuppone la potenzialità degli ecosistemi. Esso si traduce nella conservazione dei beni o risorse naturali, per quantità e qualità, in modo tale da garantire la disponibilità richiesta dalla presente e dalle future generazioni.

Si affaccia quindi il concetto di persistenza; esso presuppone appunto che le funzioni della natura e del paesaggio vengano assicurate nel tempo attraverso le generazioni. Tale concetto, legato al principio di prevenzione (v. 2.2.2.), è stato utilizzato inizialmente nel diritto forestale, per assicurare nel tempo la produzione legnosa e il relativo reddito e si è successivamente affermato nel diritto ambientale e in particolare nei settori della difesa della natura e della gestione delle acque. Nel caso di risorse naturali rinnovabili, al loro sfruttamento vengono posti limiti, affinché il tasso di consumo non superi quello di rinnovamento; nel caso di risorse non rinnovabili, in senso stretto il concetto di persistenza non si può applicare, tuttavia, in senso lato esso conduce al massimo risparmio possibile di tali risorse.

Altri attributi della natura e del paesaggio tengono conto di esigenze più complesse di tipo non solo materiale, ma anche spirituale, ossia scientifiche, estetiche e più in generale culturali dell'uomo. In questo quadro si collocano i concetti di molteplicità, peculiarità e bellezza.

La molteplicità è un concetto con un ampio spettro di contenuti. Esso ha innanzitutto importanza centrale per l'ecologia, poiché per gli equilibri naturali è necessario conservare le singole tipologie di ecosistemi (e quindi paesaggi) opportunamente distribuite ed integrate tra loro nel territorio; in questo senso il concetto di molteplicità coincide con quello di biodiversità. Nella maggior parte dei casi, i paesaggi multiformi e più in generale la molteplicità dei beni naturali e dei processi fisici, chimici e biologici in un determinato territorio hanno anche un effetto estetico positivo.

Il riconoscimento e la tutela della peculiarità corrisponde a quello dell'individualità, di importanza non solo estetica, ma anche scientifica, ad esempio come testimonianza di epoche passate o segno precursore di epoche future o espressione dell'adattamento dell'ambiente naturale a condizioni modificate.

Il concetto di bellezza, in genere riferito al quadro paesistico, è totalmente estetico e appaga le esigenze più profonde dell'animo umano, costituendo inoltre un requisito essenziale per la ricreazione nell'ambiente naturale e quindi per l'equilibrio psicofisico dell'uomo. Infine si osserva che un paesaggio bello è quasi sempre un paesaggio ecologicamente in equilibrio.

2.2. I fondamenti della politica di tutela

2.2.1. Principi etici

Si è affermato che storicamente alle radici del diritto c'è l'esigenza dell'umanità di regolare la divisione e la conquista della Terra, come rivela la parola "nomos" (in greco "legge") derivata dal verbo "nemo" (divido). D'altra parte, la Terra e le sue risorse dopo la civilizzazione moderna sono apparse sempre più limitate: dalla consapevolezza dei limiti dei beni naturali e dei pericoli derivanti dal loro consumo quantitativo e degrado qualitativo, negli ultimi tempi si è sviluppata in tutto il mondo una nuova concezione della normativa, volta ad assicurare non già la divisione, ma la cura della Terra.

La storia favorisce quindi l'affermazione generalizzata di una nuova etica ambientale, ispirata al principio di responsabilità per la difesa e la gestione dell'ambiente, destinata ad influire in misura decisiva sulla coscienza dei singoli, sulle politiche dei Governi e sull'intero diritto.

L'etica della responsabilità deve essere costruita innanzitutto su basi laiche, ossia razionali, suscettibili di ricevere il più vasto consenso, difendendo la natura ed il paesaggio per l'insieme dei loro valori economici, igienici, ricreativi, scientifici, estetici, ecc., come fondamenti di vita per l'uomo, per il soddisfacimento di bisogni sia materiali che spirituali e tutelando, accanto alle esigenze della generazione attuale, quelle delle generazioni future, con uno sviluppo compatibile.

Tuttavia in una società pluralista è degna di rispetto anche una diversa concezione etica di tipo religioso, che sottolinea la responsabilità dell'uomo di fronte alla creazione, la quale ha un proprio stato ed essere per sé, indipendentemente dall'uomo e quindi un proprio valore e diritto all'esistenza. Essa ha profonde radici anche nella cultura europea e parla, oltreché alla ragione, al cuore dell'uomo.

Si deve sottolineare che questo secondo indirizzo etico, che giustifica la difesa della natura indipendentemente da considerazioni utilitaristiche, per quanto minoritario, è già presente nel diritto, con particolare riferimento alla protezione di specie vegetali ed animali rare o minacciate.

2.2.2. Principi politici

Anche nella difesa della natura e del paesaggio trova piena applicazione la triade dei principi fondamentali della politica ambientale: prevenzione, cooperazione e causalità, essendo al primo principio attribuita importanza strategica per la definizione degli obiettivi, mentre il secondo e il terzo sono considerati sussidiari e ispirano rispettivamente la ripartizione delle funzioni in un ordinamento democratico ad economia di mercato e la ripartizione economica dei costi.

Il principio di prevenzione mira a realizzare adeguate misure, che consentano di evitare o ridurre il più possibile i danni ambientali derivanti dagli interventi sulla natura e il paesaggio, prima della loro manifestazione. Tale principio può essere giustificato con la cosiddetta teoria dello spazio libero, ossia con la necessità di non esaurire la capacità di carico della natura mediante consumi eccessivi, per consentire un'ulteriore crescita della società e dell'economia e per conservare spazi liberi con funzioni di rigenerazione.

È importante peraltro riflettere che, nel caso di specie, un'azione preventiva in senso stretto, ossia diretta soltanto ad impedire il verificarsi di danni, non è sufficiente. La difesa della natura e del paesaggio richiede oggi non solo un uso il più possibile rispettoso nel presente, ma anche un insieme di misure attive per il risanamento dei danni provocati nel passato e il modellamento dell'ambiente per le generazioni future. Si potrebbe quindi affermare che il principio di prevenzione deve essere integrato da quelli di previdenza e provvidenza (v. 2.2.3.3.).

Il principio di cooperazione mira ad assicurare, tra le varie istituzioni nonché tra queste e la società, la necessaria collaborazione per la difesa dell'ambiente, migliorando le decisioni e il loro grado di accettazione ed affermando uno spirito di corresponsabilità che si estende all'Amministrazione Pubblica, alle imprese pubbliche e private ed alla collettività. Più di altri settori, la difesa della natura e del paesaggio, per il suo carattere trasversale, richiede la più ampia collaborazione, evitando di operare ad un livello ad esclusione di altri, ma piuttosto combinando strumenti ed attori a livelli diversi, nel rispetto delle diverse competenze e valorizzando le diverse potenzialità, in un equilibrato rapporto tra libertà individuali e necessità sociali. L'applicazione del principio di cooperazione apre importanti prospettive per il rilancio della politica di difesa della natura e del paesaggio su tutto il territorio nazionale e regionale, a partire dalle aree protette.

Il principio di cooperazione viene integrato da quello di sussidiarietà, avente la funzione di garantire che le finalità e gli obiettivi della politica di difesa della natura e del paesaggio siano perseguiti al livello territoriale più appropriato, tenuto conto dell'identità e della sensibilità ambientale delle varie zone e della più oculata scelta degli strumenti da porre in atto a tutti i livelli istituzionali, con la tendenza ad assumere le decisioni concrete il più possibile vicino ai cittadini.

Il principio di causalità mira ad attribuire all'agente che causa i danni ambientali i costi per evitare, rimuovere o compensare i danni stessi; solo quando non è possibile identificare l'agente, i costi vengono trasferiti a carico della collettività. Questo principio ha trovato affermazione crescente nel settore della difesa dell'ambiente dagli inquinamenti, dove si esprime con la più nota formula "chi inquina paga", essendo stato sopportato dalla teoria economica (internalizzazione dei costi esterni) prima ancora che dalla prassi politica. Al contrario, la maggior parte dei danni alla natura ed al paesaggio provocati da interventi antropici sono ancora lungi dall'essere valutati con procedure soddisfacenti e conseguentemente attribuiti ai rispettivi agenti. È questo quindi un settore della normativa ove si manifestano grosse carenze, a cui occorre porre rimedio con nuovi strumenti (v. in particolare 3.3.).

2.2.3. Strategie d'intervento

Le strategie d'intervento per la politica di difesa della natura e del paesaggio sono caratterizzate in senso temporale, territoriale e funzionale. Occorre passare da una strategia di breve ad una strategia di lungo periodo, da una difesa selettiva ad una difesa globale ed infine da una politica di mera difesa ad una politica di gestione e sviluppo.

2.2.3.1. Il fattore temporale: da una strategia di breve ad una strategia di lungo periodo

Ogni politica deve essere definita rispetto ad un intervallo temporale e ciò risulta tanto più facile quanto più breve è tale intervallo.

I programmi di trasformazione del territorio messi a punto dagli altri settori politici spesso possono essere realizzati nel breve periodo e risultano vincenti perché giudicati prioritari dall'opinione pubblica, anche se comportano grosse perdite per il tessuto regionale degli ecosistemi.

Viceversa, gli intervalli temporali di formazione e di rigenerazione degli ecosistemi sono in genere molto più lunghi (da decenni a secoli) e ciò mette in condizioni di palese difficoltà la politica di difesa della natura. Pertanto, in queste condizioni, di fatto molte perdite di ecosistemi risultano irreversibili, anche perché spesso intervengono modifiche dei fattori locali che impediscono il ripristino dell'ecosistema originario.

Aggiungasi la difficoltà di percepire tutti gli sviluppi ecologicamente sfavorevoli e quindi il lungo lasso di tempo che spesso trascorre per il riconoscimento dei danni connessi agli interventi di trasformazione del territorio, la presa di coscienza dell'opinione pubblica e le contromisure politiche.

Considerazioni simili valgono per la distruzione del tessuto storico dei beni ambientali, prodotto del lavoro di generazioni, con perdite spesso irreversibili.

Risulta dunque importante che la politica di difesa della natura e del paesaggio elabori strategie di lungo periodo per prevenire i suddetti sviluppi negativi, influendo adeguatamente su tutti gli altri settori della politica regionale.

2.2.3.2. Il fattore territoriale: dalla difesa selettiva alla difesa globale

Parallelamente alla dilatazione temporale, lo sviluppo moderno porta ad una dilatazione spaziale della politica di difesa della natura e del paesaggio, per far fronte ai danni che da locali tendono a diventare generali.

Nella fase iniziale dello sviluppo economico, per risolvere i problemi creati dai danni locali, si è fatto ricorso agli strumenti classici della difesa selettiva, quali le misure di tutela di singole specie vegetali ed animali o di cose e complessi di cose immobili con cospicui valori estetici e la costituzione di aree protette, indirizzati alla conservazione di componenti ed aree naturali e paesistiche di particolare valore, minacciate dalla civiltà moderna.

D'altra parte, negli ultimi decenni in Lombardia l'enorme crescita delle aree urbano-industriali e delle infrastrutture di trasporto, le trasformazioni in senso intensivo dell'agricoltura e i movimenti periodici delle popolazioni hanno raggiunto un livello tale da minacciare globalmente e non solo localmente il quadro paesistico e l'equilibrio ecologico.

Per risolvere questi problemi, la politica di difesa della natura e del paesaggio non può limitarsi ad adottare disposizioni isolate, ma deve avere una visione globale, cercando di influire su tutti gli spazi, le situazioni ed i possibili interventi dell'uomo. Da una difesa selettiva si deve dunque passare ad una difesa totale del territorio, mediante la messa a punto di nuovi strumenti di informazione, pianificazione e regolamentazione.

La difesa totale comprende tre classi fondamentali di obiettivi. Innanzitutto occorre sviluppare sull'intero territorio tecnologie e modalità di utilizzazione che risparmino il più possibile la natura e il paesaggio. In secondo luogo occorre assicurare, come superfici prioritarie per la difesa della natura e del paesaggio, le aree naturali e seminaturali di maggior importanza. In terzo luogo occorre sviluppare un sistema di collegamento funzionale a rete tra le suddette aree, mediante strutture paesistiche adatte, ubicate nei paesaggi intensivi.

Si sottolinea che i suddetti obiettivi consentono anche di realizzare una più alta qualità della vita per l'uomo, nei suoi vari momenti (abitazione, lavoro, ricreazione e tempo libero), integrando così obiettivi sociali, igienici e spirituali.

2.2.3.3. Il fattore funzionale: dalla difesa alla gestione allo sviluppo

La politica di difesa della natura e del paesaggio inizialmente è stata impostata per la mera conservazione dei beni tutelati, vietando o regolamentando determinati interventi sull'oggetto di tutela. Al concetto di difesa è funzionalmente collegato quello di manutenzione e gestione, che comprende tutte le misure attive aventi lo scopo di conservare lo stato esistente. Infine dal concetto di gestione si è passati a quello di restauro di componenti naturali e paesistiche gravemente danneggiate ed a quello di sviluppo di nuove componenti, in sostituzione di altre distrutte.

Le descritte forme di intervento sono tra loro collegate da un gradualismo non solo funzionale, ma anche temporale. Le prime misure da adottare sono infatti chiaramente quelle di difesa del patrimonio naturale e paesistico esistente. Si passa poi a misure di gestione e sviluppo, ossia a momenti dinamici resi necessari dalla dinamicità dei rapporti uomo-ambiente tipica della società moderna e, d'altra parte, caratterizzati dall'utilizzazione di maggiori risorse tecniche, organizzative e finanziarie. Gli strumenti necessari per realizzare una politica di gestione e sviluppo della natura e del paesaggio sono alquanto diversi e peraltro integrativi degli strumenti tradizionali della politica della difesa.

La situazione della Lombardia, Regione ad alta intensità di uso del suolo, con un ambiente notevolmente impoverito e degradato soprattutto nella parte di pianura, comporta la necessità di superare rapidamente la fase di mera tutela del patrimonio naturale e paesistico esistente, rispetto ai pericoli di compromissione, per affrontare in modo più adeguato i problemi della gestione di tale patrimonio e della sua ricostruzione, dove è già stato compromesso.

Pertanto i termini tradizionali e d'uso corrente, di "tutela" a di "difesa" della natura e del paesaggio, nel presente documento devono essere considerati comprensivi delle fasi di gestione e sviluppo.

2.3. Gli obiettivi di difesa, gestione e sviluppo della natura e del paesaggio

La discussione affrontata ai punti precedenti sulle caratteristiche dei beni da tutelare e sui fondamenti della politica di tutela consente di definire il sistema degli obiettivi di difesa, gestione e sviluppo della natura e del paesaggio, i criteri di ponderazione con gli obiettivi socioeconomici e le obbligazioni generali che ne derivano per le persone fisiche e giuridiche.

Questa materia dovrebbe formare l'oggetto del titolo I della legge (Disposizioni generali).

2.3.1. La definizione degli obiettivi

2.3.1.1. Obiettivi generali

Sembra opportuna innanzitutto una formulazione il più possibile sintetica degli obiettivi generali della legge, che faccia riferimento:

- alla natura ed al paesaggio concepiti in modo strettamente interrelato (v. 2.1.1.) ed agli attributi illustrati al punto 2.1.2. (potenzialità, fruibilità, molteplicità, peculiarità, bellezza, ecc.);

- alle motivazioni etico-politiche della politica di tutela, considerando la natura ed il paesaggio come fondamenti di vita dell'uomo e come valori propri (v. 2.2.1.);

- alla necessità di una politica di lungo periodo (v. 2.2.3.1.);

- alla totalità del territorio regionale, essendo la difesa della natura e del paesaggio non meno importante nelle aree urbanizzate rispetto a quelle non urbanizzate (v. 2.2.3.2.);

- ai concetti di difesa, gestione e sviluppo della natura e del paesaggio, con un'impostazione fortemente attiva che superi la politica meramente conservativa del passato (v. 2.2.3.3.).

2.3.1.2. Obiettivi particolari

Gli obiettivi generali della legge dovrebbero essere concretamente esplicitati mediante un successivo catalogo di obiettivi o criteri particolari. Per una migliore comprensione, tali subobiettivi possono essere raggruppati per grandi aree tematiche, tra loro intrecciate, ad esempio: aree naturali, aree agro-silvo-pastorali e corpi d'acqua (complessivamente spazi non costruiti); aree urbane, infrastrutture, cave e discariche (complessivamente spazi costruiti). In questo catalogo trovano opportunamente espressione anche i molteplici e reciproci rapporti con altri settori giuridici, in particolare in materia di difesa ambientale, pianificazione territoriale ed urbanistica, agricoltura e foreste.

Le aree naturali e seminaturali, non utilizzate o utilizzate estensivamente, svolgono funzioni tra loro sinergiche di rilevante importanza, costituendo zone ecologiche prioritarie:

- per la difesa della natura, assicurando la molteplicità di specie vegetali ed animali selvatiche storicamente consolidate nelle singole zone, comprese le loro biocenosi ed i loro biotopi caratteristici;

- per la compensazione dei carichi ambientali delle zone più intensamente utilizzate, dove si verifica un deficit di potenziale climatico, idrico e ricreativo e per la schermatura delle aree naturali più delicate.

Tali zone ecologiche prioritarie, di dimensioni grandi, medie e piccole, non possono essere isolate, ma devono essere collegate in un sistema reticolare. Laddove tale sistema è lacunoso o distrutto, esso deve essere ripristinato.

Con riferimento alle aree agro-silvo-pastorali, è auspicabile preliminarmente una formulazione sintetica che attribuisca importanza strategica all'ordinato esercizio delle tradizionali attività primarie, al fine di promuovere, mediante opportune intese, la valorizzazione dell'enorme potenziale delle aziende agro-silvo-pastorali per il conseguimento degli obiettivi di difesa della natura e del paesaggio.

Nelle aree agricole è necessario incentivare:

- la riduzione del carico di sostanze chimiche e l'applicazione di metodi di lotta biologica agli organismi nocivi;

- la riduzione degli allevamenti di massa non connessi con aziende agricole;

- la conservazione e la reintroduzione delle strutture tipiche del paesaggio tradizionale quali siepi, boschetti, filari di alberi, ecc.;

- la realizzazione di fasce utilizzate estensivamente in adiacenza a componenti paesistiche prossime alle condizioni naturali.

Nelle aree forestali si devono perseguire i seguenti obiettivi:

- la conservazione e l'incremento delle superfici boscate, compensando ogni diminuzione con la formazione di nuove superfici boscate di pari valore biologico e aumentando le superfici boscate nelle zone povere di boschi;

- lo sviluppo di una selvicoltura di tipo naturalistico, realizzando associazioni forestali più vicine a quelle naturali tipiche dei luoghi.

Nelle aree agro-silvo-pastorali, prioritaria rispetto a tutti i suddetti obiettivi, poiché condiziona fortemente gli ecosistemi ed il paesaggio, è la conservazione del suolo fertile, evitando sia perdite quantitative per erosione sia peggioramenti qualitativi per inquinamento o disturbi al bilancio idrico.

Per i corpi d'acqua superficiali, stagnanti e fluenti, gli obiettivi fondamentali sono:

- la conservazione di tutti i corpi d'acqua ancora in condizioni naturali, in particolare nei tronchi superiori dei bacini idrografici;

- la rinaturalizzazione - nei limiti del possibile - dei corpi idrici degradati, con riferimento all'alveo, alle rive, alla qualità e quantità delle acque, promuovendo il risanamento delle acque e le sistemazioni e manutenzioni con criteri di ingegneria naturalistica, anche ai fini di migliorare la capacità autodepurante e realizzando una diversa gestione delle aree demaniali e patrimoniali, che privilegi gli usi ecologici e sociali.

Con riferimento all'insieme degli usi del suolo potenzialmente più distruttivi nei confronti della natura e del paesaggio, ossia insediamenti, infrastrutture, cave e discariche (spazi costruiti) è auspicabile la formulazione preliminare di un obiettivo sintetico, che consenta di realizzare un maggior equilibrio con gli spazi aperti esterni (aree naturali e agrosilvopastorali) ed interni alle aree edificate (verde urbano). Precisamente:

- gli spazi aperti esterni devono essere conservati in misura sufficiente per la loro funzionalità, ossia per assicurare l'equilibrio ecologico complessivo del territorio, la fruibilità duratura dei beni naturali (ad es.: attingimento di acque potabili), il quadro paesistico e la ricreazione nella natura e nel paesaggio; questo principio pone in particolare limiti alla frantumazione o "tarmatura" del paesaggio;

- nelle aree urbane e in particolare metropolitane, gli spazi verdi interni e marginali, sia pubblici che privati, devono essere il più possibile conservati, mantenuti e sviluppati con i loro popolamenti vegetali ( in particolare arborei) per le finalità di compensazione dei carichi ambientali e di ricreazione di vicinato.

Con riferimento alle aree urbane ed alle infrastrutture di trasporto, obiettivi particolari sono:

- la riduzione delle superfici e la razionalizzazione delle tecnologie costruttive, per contenere il più possibile il consumo del territorio (bene limitato non rinnovabile);

- la localizzazione ed il modellamento delle nuove edificazioni conformi alle caratteristiche naturali e paesistiche dei luoghi;

- il rinverdimento degli insediamenti e delle infrastrutture e la manutenzione estensiva delle aree verdi;

- le piantagioni come misure integrative di difesa contro l'inquinamento atmosferico ed i rumori;

- l'interconnessione degli spazi verdi.

Con riferimento alle cave ed alle discariche, obiettivi particolari sono:

- la salvaguardia delle componenti paesistiche di pregio;

- la prevenzione dei danni duraturi all'equilibrio naturale;

- la ricoltivazione o il rimodellamento il più possibile conformi a condizioni naturali.

Ai suddetti obiettivi di tipo ecologico-territoriale è opportuno associare obiettivi socioculturali e precisamente:

- la difesa delle componenti paesistiche e dei paesaggi culturali storici, incluso l'ambiente circostante i monumenti, sia in ambito extraurbano che in ambito urbano e in particolare la tutela, conservazione e corretta gestione di parchi, giardini e altre architetture vegetali storiche;

- l'assicurazione per tutti i cittadini di forme adeguate di fruizione ricreativa della natura e del paesaggio, compatibili con la conservazione dei beni tutelati, che nella società moderna assumono fondamentale importanza per il loro ruolo compensativo, ossia di riequilibrio fisico e psichico, in particolare delle popolazioni inurbate;

- la conseguente promozione dell'accesso ad aree naturali e paesistiche particolarmente adatte per le loro caratteristiche alla fruizione ricreativa, nel rispetto dei diritti dei proprietari del suolo e delle esigenze delle attività agrosilvopastorali;

- la valorizzazione del patrimonio naturale e paesistico della Regione come risorsa educativa nell'ambito dei programmi di informazione e formazione ambientale.

2.3.2. La ponderazione degli obiettivi

Definiti gli obiettivi generali e particolari della legge-quadro, occorre formulare con la necessaria precisione il principio di ponderazione, che deve informare tutti gli strumenti di attuazione della legge stessa. In termini generali si può affermare che gli obiettivi di difesa, gestione e sviluppo della natura e del paesaggio devono essere confrontati tra loro e con le esigenze socioeconomiche della collettività, che comportano richieste di prestazioni alla natura ed al paesaggio.

La stessa normativa sulla natura ed il paesaggio è ormai così sviluppata che anche al suo interno si possono verificare dei conflitti, in particolare quando la difesa delle specie e dei biotopi si confronta con la gestione del paesaggio per fini ricreativi; a sua volta quest'ultima è soggetta alla tensione competitiva tra diverse categorie di utenti. La composizione di questi conflitti, attraverso gli opportuni compromessi, potrà essere realizzata senza particolare difficoltà con gli strumenti di pianificazione speciale per la difesa della natura e del paesaggio.

Più difficile è il confronto con gli obiettivi socioeconomici; si tratta soprattutto di nuovi insediamenti e infrastrutture, approvvigionamenti idrici ed energetici e forme di agricoltura industriale, interventi tutti potenzialmente conflittuali con la natura e il paesaggio. Ma non si devono dimenticare gli obiettivi di taluni settori dello stesso diritto ambientale (in particolare in materia di rifiuti).

La soluzione più equilibrata di questo complesso problema dovrebbe partire dalla concezione delle zone ecologiche prioritarie per la difesa della natura e del paesaggio e per la compensazione dei carichi ambientali, di cui al precedente punto 2.3.1.2. Tale concezione implica per definizione la priorità degli obiettivi del settore natura-paesaggio rispetto agli obiettivi degli altri settori giuridici. In caso di conflitto, nelle dette zone si deve assicurare comunque la prevalenza delle esigenze ecologiche, qualora si tema un danno rilevante e di lungo periodo alla natura ed al paesaggio.

Per il resto del territorio, dove la suddetta priorità non è assicurata ai sensi di legge, il principio di ponderazione dovrebbe stabilire l'obbligo, in tutti i processi di pianificazione e progettazione di interventi sul territorio, di riconoscere e di valutare attentamente gli interessi di difesa della natura e del paesaggio a confronto con gli altri interessi pubblici e privati, al fine di identificare le soluzioni più equilibrate.

Compito della legge-quadro sulla natura e sul paesaggio è anche quello di predisporre i necessari strumenti conoscitivi e organizzativi per poter colmare il grosso deficit attuale in materia di conoscenza del patrimonio naturale e paesistico e di valutazione degli effetti esercitati sullo stesso dagli usi del suolo esistenti o programmati. Le procedure per assicurare una corretta ponderazione degli interessi naturali e paesistici potranno essere oggetto di definizione parallela e coordinata all'interno di diversi settori giuridici, in particolare quello inerente la pianificazione territoriale ed urbanistica.

Se si riflette che molti interventi sulla natura ed il paesaggio con finalità socioeconomiche vengono realizzati nel posto e nel modo sbagliati, si può dedurre che esistono ancora ampi margini per assicurare il massimo soddisfacimento possibile di tutte le necessità, mediante un miglior coordinamento ed una diversa qualità degli interventi.

2.3.3. Compiti delle istituzioni. Diritti e doveri dei cittadini

La difesa della natura e del paesaggio è compito primario delle pubbliche istituzioni, ma dovrebbe costituire un'obbligazione anche per tutti i cittadini, o meglio per tutte le persone sia fisiche che giuridiche, nelle attività private ed in quelle economiche, con un richiamo alla responsabilità generale per la difesa di un patrimonio che non è solo una risorsa, ma anche una testimonianza di civiltà e di identità del nostro popolo, da trasmettere non solo conservato, ma se possibile arricchito, alle generazioni future (v. 2.2.1.).

Per quanto riguarda le istituzioni, occorre affermare innanzitutto il principio dell'autonomia ed unità delle competenze primarie per la difesa della natura e del paesaggio, facenti capo ad autorità generali e autorità speciali (v. 7.1.).

Ma anche le altre autorità ed uffici pubblici, nel quadro delle loro attribuzioni, devono sostenere gli obiettivi di difesa della natura e del paesaggio. A tal fine esse devono informare e consultare le autorità aventi la competenza primaria già nella fase preliminare della predisposizione di piani e progetti pubblici che possono interferire con la sfera di interessi della natura e del paesaggio, salve procedure più incisive di partecipazione previste in casi singoli.

Viceversa le autorità preposte alla difesa della natura e del paesaggio, nell'elaborazione dei propri piani e progetti, devono coinvolgere le altre autorità per gli aspetti di competenza di queste ultime. In tal modo si realizza simmetricamente il principio di cooperazione (v. 2.2.2.).

Per quanto riguarda i cittadini, occorre affermare i principi dell'informazione e della partecipazione. L'informazione costituisce un diritto per i cittadini ed un dovere per l'autorità preposta alla difesa della natura e del paesaggio, la quale si deve attivare per fornire informazioni sia alla generalità dei cittadini che a gruppi di utenti del territorio. I cittadini devono contribuire alla difesa della natura e del paesaggio con un comportamento personale corretto, che eviti azioni nocive e realizzi azioni utili, ma possono altresì collaborare con l'autorità mediante forme diverse di partecipazione, come singoli e come gruppi associati, mediante osservazioni e suggerimenti nell'ambito di processi formali di consultazione, prestazioni personali volontarie in qualità di pubblici ufficiali con funzioni onorarie, convenzioni per la gestione di attività programmate dalla Pubblica Amministrazione (v. 7.2.).

 

 

3. Strumenti e misure generali per la difesa, la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio

3.1. La pianificazione paesistica

3.1.1. Principi generali

Con il termine di "pianificazione paesistica" si intende la pianificazione speciale per la difesa, la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio, così come precisati al precedente capitolo 2, quindi con un significato più ampio rispetto all'accezione corrente in Italia. Tale forma di pianificazione rientra nella più vasta famiglia degli strumenti di pianificazione ambientale, che si ispirano al principio di prevenzione (v. 2.2.2.), mirante ad evitare o ridurre il più possibile i danni ambientali prima della loro manifestazione. In tal caso il principio di prevenzione deve essere integrato da quello di previdenza, mirante ad apprestare misure sistematiche di cura e restauro della natura e del paesaggio.

È importante chiarire anche il principio dell'autonomia dei piani paesistici. La difesa della natura e del paesaggio si qualifica come uno degli interessi diffusi, ma deboli nella società, ai quali si deve quindi dedicare particolare attuazione per assicurarne l'effettivo riconoscimento, ad evitare il rischio che solo gli interessi più fortemente organizzati possano efficacemente incidere sulle decisioni di politica territoriale.

Il modo migliore per ottenere questo risultato è appunto l'affermazione in tutto il territorio di piani paesistici a vari livelli, con un adeguato margine di autonomia, prima della ponderazione e del coordinamento generale di tutte le istanze di uso del territorio e delle sue risorse.

La pianificazione territoriale ed urbanistica costituisce il momento di ponderazione e coordinamento tra le istanze socioeconomiche (spesso anch'esse definite da piani speciali) e le istanze di difesa della natura e del paesaggio, che a loro volta è opportuno siano formalmente considerate come una particolare richiesta di utilizzazione, da confrontare con le altre.

Tra queste due categorie di piani emergono molte sinergie potenziali, per il carattere trasversale di entrambe, ma anche significative differenze, non solo per l'accennata diversità dei ruoli (rispettivamente di "avvocato della natura e del paesaggio" e di "arbitro" di tutte le istanze), ma anche per l'impossibilità di omologare tutti i contenuti. Infatti, mentre la pianificazione territoriale ed urbanistica si occupa fondamentalmente del governo degli usi del suolo, la pianificazione paesistica come sopra definita contiene anche la previsione di misure attive per la difesa, la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio. Aggiungasi che una parte di tali misure non hanno un preciso riferimento territoriale (come nel caso della difesa delle specie).

La forma storicamente assunta dalla pianificazione paesistica in Italia corrisponde in prevalenza ad una strategia di misure dall'alto verso il basso, che risulta comunque anche in prospettiva necessaria, ma deve essere integrata da misure dal basso verso l'alto, per favorire l'interazione degli attori istituzionali, economici e sociali. Occorre dunque attribuire un ruolo più importante agli enti locali, sviluppando maggiormente rispetto al passato i principi di cooperazione e sussidiarietà ed evitando di operare ad un livello ad esclusione di altri, con particolare attenzione al bilanciamento dei poteri.

Ciò comporta che i processi di pianificazione di competenza dei livelli superiori di Governo devono prevedere forme di partecipazione sostanziale dei livelli inferiori e viceversa i processi di competenza dei livelli inferiori devono prevedere momenti di confronto con i livelli superiori, prima della loro conclusione. In sostanza si deve attuare una continua e paziente concertazione, mettendo a confronto gli interessi ai vari livelli, secondo un principio di reciprocità: l'ordinamento territoriale e ambientale locale deve essere armonizzato con l'ordinamento generale e viceversa quest'ultimo deve tener conto delle peculiarità e delle esigenze locali.

3.1.2. Livelli e competenze

La sinergia accennata al precedente punto 3.1.1. suggerisce di sviluppare i piani paesistici a tre livelli, paralleli a quelli della pianificazione territoriale e urbanistica, ossia Regione, Provincia e Comune, essendo i piani di ciascun livello approvati dall'autorità del livello superiore.

Mentre l'esigenza di articolare la pianificazione paesistica sovralocale ai due livelli superiori (Regione/Province) è ormai matura nel dibattito culturale e politico italiano, la definizione di un terzo livello comunale ha un carattere più fortemente innovativo, di cui occorre sottolineare la concretezza e l'efficacia, secondo i già richiamati principi di cooperazione e sussidiarietà, che tendono a valorizzare le comunità locali sviluppando, accanto ad una pianificazione discendente e deduttiva, una pianificazione ascendente e induttiva.

Considerati i tempi necessari per l'elaborazione dei piani e la dinamica delle trasformazioni del territorio in Lombardia, è opportuno che i Comuni, partendo dalla propria esperienza in materia urbanistica (a conti fatti oggi la forma di pianificazione più matura), inizino subito a confrontarsi con i problemi della pianificazione paesistica alla loro scala, senza attendere la definizione dei piani paesistici di livello superiore (provinciale), ai quali peraltro si dovranno adeguare in un secondo momento, in un processo interattivo di successive approssimazioni e di stretta cooperazione tra le istituzioni per il conseguimento dei comuni obiettivi. Il medesimo principio può applicarsi ai rapporti tra i piani paesistici provinciali e regionali.

D'altra parte, è ormai diffusa la consapevolezza che molti problemi concreti di difesa della natura e del paesaggio comportino soluzioni locali, che rientrano nei margini delle potenzialità di affermazione autonoma dei singoli Comuni. Il riorientamento ecologico della pianificazione è un processo culturale che investe tutta la società e deve pertanto coinvolgere contemporaneamente tutte le istituzioni. Non è quindi ragionevole attendersi una maturazione ai piani bassi successiva a quella dei piani alti, ma piuttosto occorre assecondare un processo di circolazione e di osmosi tra tutti i livelli.

Per quanto riguarda le modalità processuali, sembra opportuno che Comuni e Province sviluppino una pianificazione paesistica contestuale, in forma tecnicamente autonoma, ma che riceve efficacia giuridica solo nella misura in cui viene recepita dai piani urbanistici comunali e rispettivamente dai piani territoriali provinciali.

L'autonomia tecnica significa che il piano paesistico deve essere redatto, con il metodo e i contenuti definiti dalla legge regionale (v. 3.1.3.), come documento separato oggetto di forme adeguate di consultazione delle autorità competenti per la difesa della natura e del paesaggio (v. 7.1.) e di divulgazione presso la popolazione. Nell'ambito del processo di ponderazione delle varie istanze, una parte dei contenuti di tale piano verrà integrata nel piano urbanistico e rispettivamente nel piano territoriale provinciale, costituendone la componente ecologica.

Particolare importanza si deve attribuire al ruolo pianificatorio regionale, tenuto conto delle esigenze specifiche della Lombardia, che è la Regione più urbanizzata ed industrializzata d'Italia, con la massima complessità dell'intreccio dei problemi territoriali ed ambientali, i quali non rispettano i confini amministrativi, come è evidenziato in particolare dall'enorme estensione assunta dalle aree metropolitane.

Molte forme di pianificazione ambientale moderna, e più spiccatamente quelle che si occupano dei problemi del verde e delle acque, tendono quindi a prescindere dalle circoscrizioni amministrative, facendo riferimento a comprensori ritagliati con criteri di omogeneità geografico-paesistica (nelle aree naturali ed agro-silvo-pastorali) oppure di funzionalità, in relazione all'intensità dei rapporti e delle interdipendenze territoriali-strutturali (nelle aree metropolitane).

Pertanto, accanto ad un documento direttore generale (programma paesistico regionale), è importante che alla Regione sia riservata la competenza di piani paesistici in forme non solo tecnicamente, ma anche giuridicamente autonome, nell'ambito di grandi aree di interesse regionale, a partire dalle aree protette regionali (v. 4.).

Il problema del necessario raccordo tra la pianificazione paesistica regionale e quella territoriale provinciale può trovare un'adeguata soluzione innanzitutto facendo ricorso ad un principio - di carattere del tutto generale - secondo cui i piani paesistici dovrebbero considerare - nei limiti del possibile - i principi e gli obiettivi della pianificazione territoriale e viceversa simmetricamente quest'ultima dovrebbe tener conto delle esigenze di difesa, gestione e sviluppo della natura e del paesaggio. In pratica ciò significa che, oltre ad un'attenta delimitazione dei rispettivi settori di competenza, la massima importanza deve essere attribuita ad una procedura di reciproca consultazione in itinere dei soggetti istituzionali protagonisti della pianificazione, sviluppando una nuova prassi di concertazione.

3.1.3. Metodo e contenuti

Il processo tecnico corretto, che consente di far emergere i valori naturali e paesistici da proteggere e di definire le misure di gestione e sviluppo, è già stato sostanzialmente messo a punto, con una significativa sintesi di concezioni ecosistemiche ed estetico-paesistiche, per i piani dei parchi regionali ed è suscettibile di estensione, con le necessarie modifiche di scala, all'insieme dei piani paesistici ipotizzati al precedente punto 3.1.2.

Tale processo passa attraverso le fasi di analisi, ossia di inventario degli elementi naturali e paesistici e delle forme di utilizzazione in atto; di diagnosi, ossia di valutazione delle possibilità e dei limiti degli esistenti usi del suolo in rapporto ai potenziali naturali ed ai danni già verificatisi o possibili; di proposta finale, prendendo posizione rispetto alla futura ripartizione degli usi e alle superfici da vincolare, ma anche alle misure attive di risanamento, cura e sviluppo della natura e del paesaggio.

Una corretta procedura di analisi e diagnosi richiede la disponibilità di strumenti conoscitivi adatti, in gran parte oggi insufficienti o inesistenti (ad es. mancano la cartografia dei biotopi e l'archivio dei beni ambientali). Per ragioni di economia, questi strumenti dovrebbero essere predisposti in primo luogo dalla Regione e messi a disposizione delle Province e dei Comuni. Non si esclude peraltro la possibilità di costituire sistemi informativi integrativi a livello locale, coordinati dalla Regione.

I contenuti dei piani paesistici di scala sovralocale (regionale/provinciale) dovrebbero riguardare:

- lo sviluppo urbano, con particolare riferimento alle zone in cui non sono ammissibili nuove edificazioni;

- l'utilizzazione e la strutturazione del paesaggio libero: aree naturali, aree agrosilvopastorali, corpi d'acqua;

- le misure generali per l'eliminazione o la prevenzione dei danni alla natura ed al paesaggio e per il miglioramento del loro valore ricreativo;

- le zone ecologiche prioritarie per la difesa della natura e la compensazione dei carichi ambientali, incluse le aree per la protezione del suolo e delle acque.

I contenuti dei piani paesistici di scala locale (comunale) dovrebbero riguardare prioritariamente:

- gli ambiti dove esistono danni alla natura e al paesaggio provocati da utilizzazioni anteriori, da risanare;

- gli ambiti dove si temono nuovi danni alla natura ed al paesaggio provocati da trasformazioni, in corso o previste, dell'uso del suolo;

- gli ambiti dove esistono o sono previste attività ricreative;

- gli ambiti che confinano con i corpi d'acqua.

3.2. Le misure generali per la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio

Una legge fortemente orientata alle misure attive di manutenzione e gestione della natura e del paesaggio, nonché al risanamento dei danni e allo sviluppo di nuove strutture naturali e paesistiche deve promuovere in termini generali tali misure.

Innanzitutto, con lo stesso pragmatismo già affermato per i piani paesistici, che porta a favorire contemporaneamente sviluppi dall'alto in basso e dal basso in alto, non sembra opportuno attendere, per la realizzazione di misure singole, l'elaborazione dei piani paesistici, anche se questi indubbiamente costituiscono il quadro più razionale per la definizione dell'insieme delle misure di difesa, gestione e sviluppo della natura e del paesaggio. In assenza dei piani paesistici, può essere sufficiente il riferimento agli obiettivi generali e particolari definiti al punto 2.3.

I progetti di intervento, anche se partono da iniziative locali, devono fare capo alle autorità competenti per la difesa della natura e del paesaggio (v. 7.1), che possono intervenire direttamente, oppure tramite corporazioni di diritto pubblico (in particolare i Comuni e loro consorzi e i consorzi di bonifica), associazioni naturalistiche o ricreative, aziende agricole e forestali singole o associate (ad es.: consorzi forestali). La forma prevalente di intervento deve essere quella convenzionale, mediante intesa tra le parti, che valorizzi le capacità imprenditoriali degli enti pubblici funzionali e dei privati (soprattutto gli agricoltori).

Un problema particolarmente delicato è costituito dal coinvolgimento dei proprietari delle aree interessate dagli interventi.

Innanzitutto sembra opportuno affermare il principio che prioritariamente devono essere utilizzate per le finalità della legge le aree pubbliche, patrimoniali e demaniali (in particolare il patrimonio forestale e il demanio idrico). Potranno inoltre essere interessate anche superfici private, mediante la stessa convenzione che consente di utilizzare il personale e le attrezzature delle aziende agroforestali per la realizzazione degli interventi progettati. Non si può tuttavia ignorare l'esistenza da una parte di vaste aree agroforestali in condizioni di abbandono e dall'altra di vaste periferie urbane in condizioni di disordine, dove le precedenti modalità d'intervento, basate su bonarie intese, non sembrano sufficienti o pertinenti.

Per risolvere questi problemi, occorre in primo luogo stabilire in termini generali il principio, già presente nel diritto forestale, che consente di occupare provvisoriamente terreni privati per realizzare interventi di miglioramento a spese della Pubblica Amministrazione, con opportune limitazioni. Innanzitutto tali interventi non devono compromettere gli esistenti usi economici del suolo. Inoltre essi dovrebbero essere ammessi in termini generali per le aree protette (v. 4.) e per il resto del territorio solo qualora lo stato dei terreni, in particolare a causa dell'interruzione di una forma ordinata di utilizzazione, comprometta l'equilibrio ecologico e il quadro paesistico.

Infine è opportuno stabilire l'obbligo, a carico dei proprietari del suolo in aree urbane e periurbane, di mantenere in uno stato ordinato la loro proprietà, per evitare che siano danneggiati in modo rilevante e duraturo la natura e il paesaggio. L'adempimento di tale obbligazione è certamente connesso ad oneri, che tuttavia nelle aree urbane i proprietari dovrebbero essere in grado di sostenere senza compensi da parte della mano pubblica, essendo riconducibili alla funzione sociale della proprietà ai sensi dell'art. 42 della Costituzione.

3.3. La regolamentazione degli interventi sulla natura e il paesaggio

3.3.1. Principi generali

Le forme di pianificazione e le misure di gestione e sviluppo della natura e del paesaggio illustrate ai precedenti punti 3.1. e 3.2. non sono sufficienti per assicurare il conseguimento degli obiettivi della legge ad un livello adeguato su tutto il territorio. È infatti necessario anche il confronto con una molteplicità di interventi puntuali, che comportano processi di trasformazione della natura e del paesaggio determinati dalle esigenze di sviluppo socioeconomico, assai vivaci in una Regione sviluppata come la Lombardia.

Un bilancio complessivo degli attuali strumenti giuridici di regolamentazione puntuale degli interventi sul territorio (in prevalenza autorizzazioni) consente di evidenziare numerose carenze, con riferimento al campo di applicazione (molti interventi sfuggono ad ogni disciplina riferita alla tutela della natura e del paesaggio), all'efficacia delle singole procedure (spesso vengono valutati solo aspetti parziali dei beni tutelati), al coordinamento amministrativo (spesso procedure sullo stesso oggetto di tutela fanno capo ad autorità diverse).

Occorre dunque procedere ad una revisione organica dell'intera materia, che consenta innovazioni radicali per la più efficace realizzazione degli obiettivi di difesa della natura e del paesaggio. A tal fine, le procedure di regolamentazione devono essere nello stesso tempo estese, approfondite tecnicamente e semplificate amministrativamente.

Si è già accennato al punto 2.2.2. all'importanza del principio di causalità, il quale mira ad attribuire all'agente che provoca i danni ambientali i costi per prevenire o compensare i danni stessi; esso dovrebbe costituire il principio ispiratore della nuova normativa sulla regolamentazione degli interventi. La natura ed il paesaggio non devono più essere disponibili come beni gratuiti. Perciò, quando un progetto di trasformazione del territorio comporta danni alla natura ed al paesaggio, è compito del responsabile evitare, se possibile, e se non è possibile compensare o risarcire a sua spese i danni stessi.

3.3.2. Interventi da regolamentare

In via preliminare, la legge dovrebbe definire concretamente l'universo degli interventi suscettibili di procurare danni alla natura ed al paesaggio e pertanto da regolamentare. Si tratta di un problema di grande rilevanza politica, tenuto conto degli interessi coinvolti, ma anche dei costi per la Pubblica Amministrazione, legati a procedure più o meno laboriose, che non si possono, per ovvia economia, applicare senza un'attenta valutazione della loro effettiva necessità.

La soluzione adottata più frequentemente nella prassi consiste nel definire con legge un catalogo degli interventi soggetti a regolamentazione o viceversa un catalogo degli interventi di minore importanza sottratti alla regolamentazione (liste positive o negative). Questo sistema favorisce la certezza del diritto, tuttavia ha il difetto della rigidità e dell'associazione negli elenchi di interventi con un impatto assai diverso sulla natura e il paesaggio. Inoltre, dal punto di vista formale, esso appesantisce il testo della legge, che nel caso in esame, proponendosi di riunificare ed integrare una materia assai vasta, dovrebbe avere l'impostazione di una legge-quadro, rimandando a regolamenti ed atti amministrativi (circolari) una serie di discipline di dettaglio.

Sembra quindi preferibile una diversa soluzione, consistente nel fornire una definizione giuridica generale degli interventi soggetti a regolamentazione, che favorisca sin dall'inizio la comprensione del processo di valutazione dei danni da parte dell'autorità competente. Precisamente dovrebbero essere regolamentati tutti quegli interventi che costituiscono modifiche della forma o dell'utilizzazione del territorio, suscettibili di danneggiare in modo rilevante e/o duraturo taluni attributi fondamentali della natura e del paesaggio illustrati al punto 2.1.2.; tra questi si possono scegliere la potenzialità naturale (a cui è connesso l'equilibrio ecologico) in rappresentanza degli interessi ecologici dell'uomo ed il quadro paesistico, in rappresentanza degli interessi estetici e culturali.

Questa definizione deve essere integrata da regolamenti e circolari, che concretamente sviluppino i concetti di modifiche e di danni astrattamente definiti dalla normativa; in tal modo si potrà definire con sufficiente precisione e duttilità l'universo degli interventi da regolamentare, adeguandosi empiricamente ai risultati dell'azione amministrativa ed alle capacità organizzative delle autorità competenti (v. 3.3.4.).

È opportuno che una serie di piani di settore, espressione di interessi particolari all'uso del territorio (ad es. in materia di infrastrutture, attività estrattive, smaltimento dei rifiuti, sistemazione dei corsi d'acqua, ecc.), che potenzialmente possono condurre ad interventi fortemente lesivi della natura e del paesaggio, siano esplicitamente inseriti nell'universo degli interventi da regolamentare, con la prescrizione di un piano paesistico di accompagnamento, avente le caratteristiche di cui al successivo punto 3.3.3. Viceversa, l'ordinato esercizio delle attività agro-silvo-pastorali (v. 2.3.1.2.) dovrebbe essere escluso dalla regolamentazione, eccettuata la ricomposizione dei fondi e le correlate modifiche dei corsi d'acqua e delle strade campestri. Sono parimenti da escludere in quanto regolamentati da leggi ambientali specifiche, quei danni che si trasmettono indirettamente all'equilibrio ecologico ed al quadro paesistico attraverso carichi inquinanti su singole componenti (aria, acqua, suolo).

3.3.3. Criteri di regolamentazione

In funzione della valutazione dei danni all'equilibrio ecologico ed al quadro paesistico, può essere effettuata la regolamentazione dei singoli interventi in base a principi generali che seguono una logica precisa, così concatenata:

- innanzitutto il responsabile dell'intervento è tenuto ad astenersi dal provocare danni evitabili (principio di prevenzione);

- se i danni sono inevitabili, devono essere compensati in un determinato lasso di tempo, mediante misure di ripristino dell'equilibrio ecologico e del quadro paesistico, il più possibile simili a quelli originari, in modo tale che non residui alcun danno rilevante o duraturo; il luogo di compensazione deve essere in connessione funzionale con il luogo dell'intervento;

- se l'intervento non può essere come sopra compensato nella misura necessaria e - nella ponderazione generale degli interessi in gioco - prevalgono le esigenze di difesa della natura e del paesaggio, l'intervento stesso deve essere vietato;

- se nella detta ponderazione prevalgono le esigenze del progetto (ad es. economiche, infrastrutturali), si applicano misure di risarcimento dei danni all'equilibrio ecologico ed al quadro paesistico, anche in luoghi diversi e non in connessione funzionale con quelli dell'intervento.

Di regola le necessarie misure di difesa della natura e del paesaggio sono integrate nel progetto dell'intervento presentato dal responsabile. Nei casi più complessi, costituiti dai piani di settore indicati al precedente punto 3.3.2. e dai progetti di grandi dimensioni, esse devono invece essere oggetto di uno specifico piano paesistico di accompagnamento che:

- analizzi lo stato attuale della natura e del paesaggio;

- esamini e discuta le conseguenze del piano di settore o progetto speciale con riferimento ai carichi ambientali ed ai limiti di tolleranza;

- discuta le località e i tracciati più adatti;

- definisca le misure per la compensazione e il risarcimento dei danni all'equilibrio ecologico ed al quadro paesistico.

In complesso questa strategia, in cui predominano le misure di riparazione, ossia compensazione e risarcimento dei danni, appare molto più flessibile della strategia dei divieti per la conservazione. In ogni caso le prescrizioni fanno sì che gli interventi diventino più costosi, perché si deve valutare come fattore di costo anche la qualità ecologica della località del progetto, quindi i responsabili possono essere indotti a non realizzare il progetto stesso, oppure a ridurne l'ampiezza oppure a localizzarlo altrove.

Anche questa parte della normativa dovrà essere integrata da dettagliate circolari amministrative.

3.3.4. Autorità competenti per la regolamentazione

Dal punto di vista processuale, occorre adottare una soluzione tendente a conciliare le esigenze, talora contrastanti, di semplificazione amministrativa e di specializzazione nella valutazione dei danni all'equilibrio ecologico ed al quadro paesistico e delle relative misure di prevenzione e compensazione.

Qualora il progetto o piano, che costituisce anche un intervento sulla natura e il paesaggio, da regolamentare ai sensi del precedente punto 3.3.2., necessiti già di un'approvazione, autorizzazione, concessione, notifica in un altro processo disciplinato per legge, l'autorità competente per quest'ultimo dovrebbe essere investita anche del compito di applicare la disciplina sulla difesa della natura e del paesaggio, in modo tale da unificare le procedure in un unico momento. Questa soluzione soddisfa sicuramente l'esigenza della semplificazione amministrativa, ma non sempre quella della specializzazione tecnica, soprattutto quando si tratta di Comuni piccoli o medi.

Per risolvere questo problema, è necessario da un lato codificare in modo molto puntuale il processo di regolamentazione (v. 3.3.3.), con circolari amministrative che costituiscano un valido supporto per i soggetti istituzionali chiamati ad applicarlo, dall'altro sostenere questi ultimi con l'azione consultiva da parte delle autorità con competenze generali e speciali per la difesa della natura e del paesaggio (v. 7.1.), che in alcuni casi potrà assumere la forma del parere obbligatorio o dell'intesa, ma di regola può limitarsi all'obbligo di informazione e al tentativo di accordo tra le due autorità, lasciando intatta la responsabilità di quella competente per l'atto amministrativo finale.

Qualora non esistano processi amministrativi paralleli, si deve prevedere un'autorizzazione specifica da parte delle autorità competenti per la difesa della natura e del paesaggio.

 

 

4. Difesa di superfici e di singole componenti della natura e del paesaggio.

4.1. L'identità delle aree protette lombarde. La strategia delle zone ecologiche prioritarie

Le aree protette hanno costituito il principale strumento della politica di difesa della natura e del paesaggio nei primi 25 anni di vita della Regione. La ridefinizione di tale politica nell'ambito di una legge-quadro di vasto respiro, che preveda un insieme articolato di strumenti e interessi l'intero territorio regionale, comporta la necessità di un chiarimento preliminare sull'identità e la strategia delle aree protette, che parta dal significato più profondo e vitale delle esperienze del passato e sia proiettato verso le esigenze della Lombardia del 2000.

Si può affermare che le aree protette della Lombardia si qualificano in modo peculiare nel contesto nazionale per il loro tendenziale carattere sistemico, ossia come rete regionale di infrastrutture ambientali al servizio di una delle Regioni più sviluppate d'Europa, che per sua natura richiede non solo una pianificazione speciale, ma anche una gestione efficace, attraverso un'organizzazione specifica per ambiti unitari, fondata sulla collaborazione stretta tra la Regione, gli enti locali e la società.

Nel sistema delle aree protette lombarde si sono gradualmente affermate due funzioni fondamentali. La prima consiste nella difesa di ecosistemi prossimi alle condizioni naturali e di paesaggi di grande bellezza e corrisponde alla politica più tradizionale di difesa della natura e del paesaggio. La seconda consiste nella difesa di paesaggi culturali anche di qualità non eccezionale o addirittura degradati, ma con elevate potenzialità ricreative e compensative dei carichi ambientali provenienti dalle adiacenti aree ad utilizzazione intensiva (soprattutto urbane) e presenta caratteri maggiormente innovativi, tenuto conto dei più recenti orientamenti ecologici dello sviluppo territoriale.

Si tratta di due distinte categorie di zone ecologiche prioritarie già illustrate in termini generali al punto 2.3.1.2., largamente sinergiche e tra loro intrecciate, che costituiscono con la loro integrazione la realtà unitaria di molti parchi regionali, in una sintesi originale, che pone la Lombardia all'avanguardia in Italia, particolarmente per l'organizzazione del verde metropolitano.

Per comprendere pienamente la valenza strategica del sistema delle aree protette regionali, occorre riflettere che il sistema territoriale lombardo, e al di là di esso l'intero sistema padano, tende a costituire un tessuto di insediamenti e infrastrutture sempre più strettamente interconnesse, con densità di popolazione, attività economiche e carichi ambientali fortissime. Mentre alle città ottocentesche isolate nella campagna potevano bastare i parchi urbani, alla Regione metropolitana moderna sono necessari parchi regionali, costituenti un "continuum" di aree verdi a rottura delle conurbazioni, come dimostrano le scelte di politica territoriale e di interventi per la riqualificazione delle aree verdi effettuate in situazioni analoghe da tutti i paesi industriali avanzati.

Si deve quindi confermare la validità strategica per l'avvenire della comunità lombarda di un vasto sistema di aree protette che comprenda non solo le aree con maggiori valori naturali e paesistici, ma anche aree verdi di minore qualità o aree degradate da riqualificare affinché svolgano funzioni ecologiche vitali nel contesto in cui sono inserite. Partendo da questa premessa, si possono identificare alcune linee fondamentali di sviluppo del sistema delle aree protette costituito dalla Regione.

Secondo i più recenti orientamenti scientifici, recepiti dalle convenzioni internazionali e direttive comunitarie (v. 1.1.) e dal programma di maggioranza della 6ª legislatura regionale, occorre realizzare il collegamento a rete delle aree verdi di campagna e città, provvedendo se necessario a rinaturalizzare alcune aree, in particolare lungo i corsi d'acqua, nonché ad ampliare e connettere le attuali isole verdi. Questo complesso sistema reticolare dovrà comprendere aree protette di diversa scala, ossia di interesse regionale, provinciale e locale.

Sia per le esigenze di difesa della natura e del paesaggio che per quelle di compensazione dei carichi ambientali e di ricreazione della popolazione, è innanzitutto necessario che tale sistema reticolare comprenda vaste aree verdi, le cui funzioni non possono essere sostituite da quelle di una molteplicità di piccole o medie aree verdi aventi la stessa superficie complessiva. Risulta dunque confermato il ruolo delle aree protette di interesse regionale, che dovranno altresì comprendere le aree di maggior qualità naturale a prescindere dalle dimensioni, con particolare riferimento agli habitat più importanti per l'interesse scientifico o la rappresentatività dei fenomeni naturali in essi presenti.

Il sistema attuale delle aree protette regionali, a cui si aggiunge il Parco nazionale dello Stelvio (da gestire come grande area protetta di livello europeo) a grandi linee realizza già l'ossatura fondamentale della rete verde da interconnettere. Esso dovrà essere completato con alcune aree verdi di importanza strategica per il collegamento tra i parchi regionali esistenti, quali la Brughiera comasca e il Monte di Brianza. Dovrà infine essere perseguito l'obiettivo di realizzare le più ampie intese interregionali per il coordinamento e la gestione unitaria di aree protette ai confini regionali, a partire dai parchi del Ticino e del Mincio.

L'indicata strategia binaria delle zone ecologiche prioritarie deve essere applicata non solo alla scala regionale, ma anche a quelle provinciale e locale. In piena sintonia con il nuovo ruolo delle Province definito dalla legge n. 142/1990 e con la valorizzazione dei Comuni già affermata in termini generali nel presente documento, devono quindi essere promossi sistemi integrativi di aree protette di interesse provinciale e locale, che consentano di completare il complesso disegno della rete di infrastrutture verdi.

Una seconda linea fondamentale di sviluppo delle aree protette deve essere identificata nel passaggio da una politica di mera difesa ad una politica di gestione e sviluppo (v. 2.2.3.3.). Se consideriamo la qualità effettiva delle aree potenzialmente idonee a svolgere le funzioni di difesa della natura e del paesaggio, di compensazione dei carichi ambientali e di ricreazione delle popolazioni, nonché il volume e il livello degli interventi e dei servizi realizzati nelle aree protette, dobbiamo constatare che in molti casi essi sono attualmente insufficienti, peraltro con alcune significative eccezioni tra i parchi più maturi. Entrambe le indicate categorie di zone ecologiche prioritarie richiedono quindi importanti interventi di riqualificazione naturale e paesistica e di valorizzazione, che comportano un deciso mutamento di rotta.

In effetti si deve ritenere che la debolezza dell'attuale sistema delle aree protette lombarde non stia nella concezione strategica per l'equilibrio territoriale, che anzi al contrario deve essere confermata ed ulteriormente sviluppata, ma nella carenza di strumenti, organizzazione e risorse atti a realizzare una politica fortemente attiva e non solo reattiva.

Questa carenza va peraltro collegata al periodo storico che segna l'avvio della politica ambientale, in maggior o minor misura caratterizzato in tutta Europa da una prevalenza di prescrizioni e vincoli.

Il programma ambientale dell'Unione europea 1° febbraio 1993 afferma che tale strategia risulta anche in prospettiva necessaria, ma deve essere integrata da un'altra strategia, che favorisca l'interazione degli attori istituzionali, economici e sociali con un equilibrato dosaggio tra vincoli e incentivi. In altre parole, il momento dell'autorità deve essere coniugato con il momento della libertà, che valorizzi il contributo di cittadini, famiglie, imprese, associazioni e cooperative e garantisca all'insieme della popolazione servizi adeguati alle necessità sociali. Sarà così possibile, tra l'altro, superare anche i problemi di consenso che in molte situazioni hanno ostacolato la politica delle aree protette.

Il sistema delle aree protette regionali, provinciali e locali deve essere modernamente concepito come un servizio a rete per il verde. Ciò comporta una duplice attenzione: da una parte alle infrastrutture verdi ed alle loro potenzialità in rapporto ai possibili fruitori, dall'altra alla gestione di tali infrastrutture, che deve essere capace di garantire concretamente l'intera gamma dei servizi ecologici e sociali richiesti, con l'efficienza necessaria per l'equilibrato sviluppo territoriale ed economico della Lombardia.

Definita in tal modo l'identità e la strategia delle aree protette della Lombardia, si deve constatare che esse rientrano solo in parte nel quadro definito dalla legge sulle aree protette naturali (legge n. 394/1991) e dalla legge sulla protezione delle bellezze naturali (legge n. 1497/1939.) Ribadita l'autonomia delle scelte di assetto territoriale della Regione e quindi la possibilità di definire forme specifiche di difesa della natura e del paesaggio funzionali a tali scelte, risulta peraltro opportuna un'azione tendente ad adeguare la normativa statale, tenuto conto che il modello lombardo, particolarmente adatto per le aree metropolitane, assume una valenza nazionale.

4.2. La classificazione e le finalità particolari delle aree protette

Precisata l'identità del sistema delle aree protette (v. 4.1.), è necessario definire un'adeguata classificazione delle aree stesse, indicando per ogni categoria le finalità particolari.

Nell'esperienza lombarda si sono affermate tre categorie fondamentali di aree protette, che rientrano negli schemi internazionali di classificazione (in particolare elaborati dal Consiglio d'Europa e dall'Unione internazionale per la conservazione della natura). Dimensionalmente possiamo così distinguere le attuali aree protette: oggetti e piccole superfici (monumenti naturali), superfici da piccole a medie (riserve naturali), superfici da medie a grandi (parchi). Questa tripartizione dimensionale, integrata da indicazioni qualitative e funzionali, appare idonea per una classificazione razionale, ma deve costituire la base di un sistema più articolato, per la maggior complessità degli obiettivi associati alle aree protette e la pluralità dei soggetti istituzionali coinvolti con un ruolo da protagonisti.

L'impostazione generale della legge-quadro qui definita prevede di valorizzare, oltre alla Regione, anche le Province e i Comuni per tutti gli strumenti di difesa, gestione e sviluppo della natura e del paesaggio. In particolare la definizione dei piani paesistici regionali, provinciali e comunali (v. 3.1.) consente di affermare agli stessi livelli, su basi di razionalità e di efficienza, anche le attività legate alle aree protette. D'altra parte, questa tripartizione è funzionale alla strategia del collegamento a rete, poiché moltiplica le sinergie.

Seguendo parallelamente i due indicati criteri di tripartizione, più facilmente comprensibili, vengono di seguito elencate le varie figure di superfici e singole componenti della natura e del paesaggio particolarmente protette nel nuovo ordinamento. Va precisato che la competenza si intende riferita alle funzioni concernenti l'istituzione e la pianificazione; per le funzioni di gestione si rimanda al punto 7.1.3.2.

Le aree protette regionali devono essere concepite come un sistema costituente generale riferito per la collettività lombarda, a motivo dell'importanza delle funzioni svolte dalle singole aree e dall'intero sistema a rete. A grandi linee, l'attuale sistema dei parchi regionali, opportunamente integrato (v. 4.1.), possiede tali caratteristiche. Per quanto riguarda invece le attuali riserve naturali, alcune aree di minor rilevanza potranno essere trasferite alle Province assieme a tutti i monumenti naturali.

Sembra opportuno abolire l'attuale distinzione tra parchi naturali e parchi di cintura metropolitana, unificando entrambe le categorie in quella dei parchi regionali. Ciò in quanto il parco regionale comprende paesaggi naturali e culturali (e quindi riserve naturali e paesistiche) tra loro associati in diverse proporzioni a seconda delle condizioni locali, per realizzare con il massimo dell'efficienza l'insieme delle funzioni attribuite alle zone ecologiche prioritarie per la difesa, la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio descritte ai punti 2.3.1.2. e 4.1., con prevalenza ora dell'una ora dell'altra, ma senza l'esclusione di nessuna.

Sembra altresì opportuno abolire l'attuale distinzione tra riserve naturali integrali, orientate e parziali, unificando queste categorie nelle riserve naturali regionali, quali aree specificamente destinate alla conservazione della natura in tutte le sue manifestazioni, di rilevante interesse a livello regionale o superiore. Alle riserve naturali dovrebbero essere affiancate riserve paesistiche, comprendenti complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, nonché bellezze panoramiche come quadri naturali ai sensi della legge n. 1497/1939.

Le aree protette di interesse regionale devono essere inserite in appositi elenchi, oggetto di possibili integrazioni e modifiche con gli strumenti di pianificazione paesistica riservati alla Regione (v. 3.1.). Ciò consente tra l'altro di risolvere nel modo più semplice il problema del rapporto con le aree protette provinciali, identificando l'interesse provinciale con il criterio dell'esclusione. Le aree protette provinciali vengono definite e messe sotto tutela nel piano paesistico provinciale (v. 3.1.) e sono distinte in tre categorie: parchi provinciali, riserve naturali provinciali e monumenti naturali, che possono comprendere in varia misura aree protette ai sensi della legge n. 1497/1939.

I parchi provinciali sono ambiti territoriali unitari con caratteristiche naturali e paesistiche significative in relazione al territorio provinciale, con funzioni di protezione e ripristino della natura e del paesaggio, uso culturale e ricreativo, sviluppo compatibile delle attività economiche, in particolare di tipo agro-silvo-pastorale. In sostanza il parco provinciale dovrebbe riprodurre in scala minore la pluralità di funzioni tipica dei parchi regionali, già evidenziata per i parchi locali di interesse sovracomunale (v. 1.3.2.l.); tra questi ultimi i più importanti (in particolare quelli intercomunali) dovrebbero essere trasformati in parchi provinciali.

Le riserve naturali provinciali sono aree specificamente destinate alla conservazione della natura nel suo complesso, particolarmente pregevoli per valore naturalistico o rarità nel territorio provinciale. A questa categoria dovrebbero essere ricondotte una parte delle attuali riserve naturali regionali.

I monumenti naturali sono costituiti da singole formazioni o strutture naturali geologiche o botaniche, meritevoli di essere conservate nella loro integrità per motivi ecologici, scientifici, estetici e storico-culturali; si tratta in particolare di affioramenti geologici, formazioni erosive e carsiche, alberi singoli o in gruppo, caratteristici per età, imponenza, bellezza o importanti per i ricordi storici e popolari. I monumenti naturali dovrebbero comprendere anche cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica ai sensi della legge n. 1497/1939.

Questa figura giuridica, che in alcuni Paesi europei si è molto affermata, è stata introdotta nel diritto regionale lombardo nel 1983, ma non ha sperimentato una grande diffusione, essenzialmente per motivi organizzativi. Infatti il numero rilevante degli oggetti da tutelare, anche se di elevata qualità, simile a quella delle riserve naturali, non è compatibile con il livello regionale. Si ritiene quindi più opportuno attribuire questa competenza alle Province, eccettuati i monumenti naturali inclusi nel perimetro dei parchi e delle riserve naturali e paesistiche di interesse regionale.

La decisione di costituire un terzo gruppo di aree protette comunali discende innanzitutto da motivazioni ecologiche, poiché la strategia delle zone ecologiche prioritarie (v. 4.1.) ha carattere globale e deve essere applicata a tutte le scale, quindi anche a quella comunale, tutelando e ricostituendo, all'interno delle aree agricole intensive e delle aree urbane, una rete minuta di piccole aree verdi e componenti vegetali di pregio, anche con funzioni socioculturali. Inoltre la ricchezza del patrimonio di verde storico tipico della Lombardia e dell'Italia intera richiede interventi particolari di tutela e gestione, dove viceversa prevalgono le finalità socioculturali rispetto a quelle ecologiche. Le aree protette comunali comprendono pertanto due categorie: le componenti paesistiche e le architetture vegetali; entrambe sono identificate e messe sotto tutela con lo strumento del piano paesistico comunale (v. 3.1.), escluse le aree di interesse regionale o provinciale.

Le componenti paesistiche sono spesso simili per tipologia e dimensioni ai monumenti naturali e, anche se meno interessanti dal punto di vista estetico, scientifico o culturale, tuttavia arricchiscono il potenziale naturale e ravvivano e articolano il paesaggio. Trattasi in particolare di piccoli corpi d'acqua, alberi isolati o in gruppo, formazioni vegetali ai confini di proprietà, siepi e macchie di campo, muri a secco, scarpate e terrazzamenti. A differenza dei monumenti naturali, le componenti paesistiche non devono necessariamente essere protette in modo assoluto, bensì come parti di un patrimonio naturale e paesistico degno di difesa nel suo complesso più che nelle singole componenti puntualmente delimitate. La difesa è quindi di tipo più duttile e può essere effettuata anche definendo la categoria degli oggetti all'interno di una data zona ed assicurandone una consistenza complessiva.

Le architetture vegetali sono siti progettati soprattutto per fini estetici, culturali, scientifici e di decoro, con prevalente uso delle componenti vegetali. Trattasi di giardini e parchi storici ed altre forme vegetali architettonicamente rilevanti, quali gruppi di piccoli giardini privati coordinati in un progetto urbanistico unitario, giardini e parchi pubblici, piazze e viali alberati urbani ed extraurbani, arredi vegetali di edifici pubblici, percorsi sacri e/o commemorativi, verde d'arredo e di decoro. Le architetture vegetali devono essere tutelate nella loro complessità ed estensione storica, in relazione alla loro importanza documentaria ed al valore paesistico. Ovviamente le forme di tutela sono più rigide rispetto a quelle delle componenti paesistiche, con le quali peraltro le architetture vegetali hanno in comune l'importanza dei problemi di manutenzione e gestione.

4.3. Dalla pianificazione alla gestione delle aree protette

L'attività di pianificazione delle aree protette, classificate come al precedente punto 4.2., si realizza fondamentalmente attraverso i piani paesistici illustrati al punto 3.1., ai vari livelli di competenza della Regione, delle Province e dei Comuni, ove si evidenzia un carattere di specializzazione, tanto maggiore quanto più si affermeranno progressivamente i nuovi strumenti di pianificazione territoriale, accanto a quelli di pianificazione urbanistica, per l'assetto complessivo del territorio.

Va altresì richiamata l'opportunità di nuovi meccanismi procedurali che consentano la partecipazione ed il confronto tra i vari livelli istituzionali prima della conclusione dei processi di pianificazione paesistica. In tal modo si potrà realizzare la necessaria cooperazione tra le istituzioni per uno sviluppo armonico del sistema a rete delle aree protette.

In base al principio di sussidiarietà, ciascun livello istituzionale potrà attivare il sistema di aree protette di sua competenza senza attendere la definizione dei piani paesistici dei livelli superiori, ma nel rispetto del già richiamato principio di esclusione.

Per le aree protette di maggiori dimensioni o di maggior pregio, i piani paesistici devono essere integrati da successivi più dettagliati strumenti pianificatori e regolamentari. Per verificare il successo delle misure volte al conseguimento degli obiettivi formulati, si devono eseguire controlli di efficienza ad intervalli di tempo regolare, adeguando i piani alle nuove situazioni.

Una nuova strategia come quella illustrata, tendente a costruire un vasto e funzionale sistema a rete di aree protette, non può soltanto mirare ad un più stretto rapporto di cooperazione tra tutti gli enti territoriali, ma deve anche coinvolgere tempestivamente una pluralità di persone fisiche e giuridiche interessate.

Occorre operare in base ad un principio di integrazione delle aree protette nel contesto socioeconomico locale, ponendo al centro dell'attenzione, anziché gli atti regolamentari ed amministrativi (peraltro necessari), i processi dialettici di incontro e collaborazione con la gente del luogo. Occorre identificare con chiarezza gli obiettivi e cercare di raggiungere un grado di consenso sufficiente da parte di tutti gli utenti del territorio, dialogando professionalmente e motivando adeguatamente le popolazioni locali.

Lavorare con efficienza significa realizzare, con una spesa il più possibile piccola, il massimo degli obiettivi prefissati. La scarsità di risorse umane e finanziarie deve essere compensata mediante azioni innovative, processi orientati a realizzare gruppi integrati di obiettivi e forme di cooperazione, con una più spiccata disposizione alla creatività. In relazione alla problematica dei vari obiettivi, potrà di volta in volta essere definito il grado di accettazione da parte delle popolazioni locali: disponibilità a tollerare l'obiettivo, a concordarlo, a collaborare per il suo conseguimento oppure ad assumerlo come obiettivo proprio. Per aumentare il grado di accettazione degli obiettivi, si deve ricorrere contemporaneamente a diverse soluzioni: processi di partecipazione, campagne di informazione, programmi di formazione per gruppi di obiettivi integrati definiti con esattezza.

Determinante per il successo della politica delle aree protette e per la sua accettazione da parte degli utenti del territorio è che gli usi compatibili con la natura e il paesaggio non abbiano come conseguenza alcuna perdita finanziaria. Se a determinate aree vengono riconosciute funzioni prioritarie dalle quali proviene un flusso di benefici per il territorio circostante (v. 4.1.), mediante prestazioni difficilmente suscettibili di apprezzamento sul mercato, queste prestazioni devono essere onorate con un trasferimento di risorse finanziarie a favore dei soggetti (pubblici e privati) che le assicurano. Si pone quindi il problema di pagamenti compensativi e incentivi da parte della collettività in misura superiore rispetto al passato.

In questo quadro assume particolare importanza la pianificazione economico-finanziaria di ciascuna area protetta e soprattutto dei parchi. In essa l'ente gestore non dovrà limitarsi a programmare i propri interventi e attività nei settori tipici dell'organizzazione del parco (ad es. studio e ricerca, didattica, divulgazione, ecc.), ma dovrà anche incentivare le attività economicosociali compatibili o strumentali alle finalità dell'area protetta, a partire dalle attività agrosilvopastorali, anche con formule di tipo contrattuale.

Queste attività devono essere sostenute adeguatamente dalla Regione, anche mediante progetti intersettoriali d'intervento ed accordi di programma, con particolare riferimento ai seguenti settori: agricoltura e forestazione; difesa dei boschi dagli incendi; difesa idrogeologica; opere igieniche, opere di conservazione e di risanamento ambientale; restauro dei centri storici e degli edifici di particolare valore storicoculturale; ricupero dei nuclei abitativi rurali; agriturismo, attività turistiche, sportive e ricreative compatibili.

Occorre reperire nuove fonti di finanziamento a livello regionale, nazionale e comunitario, anche mediante la presentazione all'Unione europea di progetti comuni elaborati assieme a Regioni associate. Oltre alle risorse finanziarie pubbliche, è necessario promuovere possibilità di finanziamento private, in particolare mediante sponsorizzazioni, donazioni, vendita di prodotti tipici con marchio, tariffe di ingresso. Potrà essere studiata anche la possibilità di istituire fondazioni locali per sostenere la realizzazione e gestione di singole aree protette.

 

 

5. Difesa delle specie e dei biotopi

5.1. I principi generali

La normativa sulla difesa delle specie è stata una delle prime ad essere sviluppata, esprimendosi mediante una regolamentazione amministrativa costituita dal divieto di interventi diretti su alcune specie di piante e di animali selvatici, considerate come manifestazioni singole, rare ed attraenti della natura, per obiettivi di carattere scientifico, estetico ed ideale.

Oggi deve essere riconosciuto a tutte le specie vegetali ed animali selvatiche tipiche dei luoghi, comprese quelle degli ordini inferiori, un ruolo decisivo nell'equilibrio degli ecosistemi. Esse pertanto devono essere difese soprattutto per ragioni ecologiche, non solo dagli interventi umani diretti, ma anche da quelli indiretti, che modificano o distruggono i luoghi di insediamento (habitat, biotopi), in modo tale da assicurare consistenze adeguate di stazioni e popolamenti. Di conseguenza lo strumentario giuridico classico deve essere esteso a nuove specie ed integrato da altri strumenti che consentano la difesa dei biotopi.

Va rilevato che, pur essendo questo il settore giuridico maggiormente sviluppato a livello internazionale, mediante numerose direttive comunitarie e convenzioni internazionali (v. 1.1.), se si prescinde dalle specie animali che sono oggetto potenziale di caccia (parte dei mammiferi, uccelli) e pesca e vengono tutelate attraverso la normativa venatoria ed alieutica, l'Italia risulta in grave ritardo nella tutela delle altre specie di fauna minore (micromammiferi, anfibi, rettili, artropodi, molluschi) e della maggior parte delle specie vegetali selvatiche e dei relativi habitat compresi negli elenchi allegati all'indicata normativa internazionale.

Si presenta quindi la necessità per la Regione di adottare una disciplina organica della materia, riordinando ed integrando la propria legislazione di settore (v. 1.3.3.), che risulta molto dispersiva. Particolare interesse per la normativa regionale, a motivo dello stretto legame con il territorio e delle sinergie con gli altri strumenti di difesa, gestione e sviluppo della natura e del paesaggio definiti nel presente documento, riveste la nuova concezione di difesa integrata delle specie e dei biotopi.

5.2. La difesa integrata delle specie e dei biotopi

La difesa integrata si propone la conservazione dell'intero spettro delle specie vegetali ed animali selvatiche nella loro molteplicità tipica dei luoghi, come risultato di un processo naturale e storico consolidato, attraverso la difesa, la gestione e lo sviluppo degli habitat e dei biotopi. Per habitat di una specie si intende un luogo spazialmente ristretto in cui vive una data specie in una delle fasi del suo ciclo biologico. Per biotopo si intende l'intero ambito spaziale di cui le specie hanno bisogno per la loro esistenza, essendovi insediate come biocenosi o comunità di esseri viventi e quindi è comprensivo degli habitat.

La difesa integrata delle specie e dei biotopi di tutta la Regione costituisce un obiettivo politico di grande rilevanza, che deve essere condiviso da ampi strati sociali e numerose categorie di operatori del territorio, pubblici e privati, sollecitando l'impegno personale e forme molteplici di collaborazione, attraverso misure conoscitive, pianificatorie, regolamentari, amministrative e contrattuali.

La misura di portate più generale consiste nella realizzazione di un nuovo importante strumento conoscitivo, costituente un sistema informativo-territoriale continuamente aggiornato, definito come cartografia dei biotopi, che includa i dati relativi a popolazioni, biocenosi, habitat e biotopi delle specie vegetali ed animali selvatiche di tutto il territorio regionale, con particolare attenzione per le specie minacciate.

La cartografia dei biotopi, a partire dalle esperienze già realizzate nelle aree protette regionali e dal programma di rilevamento dei siti di importanza comunitaria della direttiva Natura 2000 (v. 1.1.2.), dovrà essere gradualmente estesa con metodi diversi, adeguati alle diverse realtà territoriali, incluse le aree di uso più intensivo e farà capo organizzativamente alle autorità competenti per la difesa della natura e del paesaggio (v. 7.1.), in modo da costituire una banca dati unitaria.

Sulla base della cartografia dei biotopi, deve essere sviluppata una strategia integrata, in grado di comprendere le strutture della biodiversità e la dinamica della distruzione degli habitat e di guidare l'attività di conservazione e ricostruzione. In particolare occorre definire per ogni specie la popolazione minima e l'area minima di ecosistemi necessari per la sopravvivenza in condizioni di vitalità.

Il rilevamento, la rappresentazione cartografica e la divulgazione di questi dati presso tutti gli operatori del territorio consentiranno una tutela diffusa, favorendo la migliore conoscenza dei complessi problemi di equilibrio ecologico e di impatto ambientale derivanti dai processi di trasformazione territoriale. La cartografia dei biotopi svolge dunque un ruolo fondamentale per l'affermazione degli strumenti e delle misure generali per la difesa, la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio illustrati al capitolo 3 e in particolare per i piani paesistici dei vari livelli e per una miglior qualità dei progetti di intervento sul territorio.

In base alle esperienze internazionali più avanzate in materia, sembra altresì opportuno che la cartografia dei biotopi costituisca anche la base per piani speciali di difesa integrata delle specie e dei biotopi, elaborati dalle autorità competenti per la difesa della natura e del paesaggio. I detti piani, dopo aver analizzato le caratteristiche generali del territorio e particolari delle specie e dei biotopi, dovranno procedere ad un'articolazione in zone ecologicamente omogenee, definendo per ogni zona gli obiettivi e le misure, da distinguere con un ordine di priorità,

I piani stessi non dovrebbero avere efficacia giuridica immediata, ma fare riferimento, per la realizzazione concreta delle misure previste, ad altri strumenti di diritto pubblico e privato, coinvolgendo una pluralità di soggetti, chiamati a concorrere in un clima di largo consenso sociale.

Per molte misure previste dai detti piani dovrà essere promossa la collaborazione di agricoltori e selvicoltori, anche mediante azioni di incentivazione finanziaria, sotto forma di contributi "una tantum" o di veri e propri contratti a durata annuale o pluriennale.

La difesa integrata delle specie e dei biotopi richiede anche misure regolamentari. Tra queste rientra in primo luogo l'istituzione di aree protette ai sensi del precedente capitolo 4, comprendenti gli habitat ed i biotopi di maggiore rilevanza a livello regionale, provinciale e comunale. Sembra altresì opportuno che la legge-quadro contenga un'indicazione sintetica sui biotopi più rari e in pericolo, per i quali dovrebbero essere vietate le misure che possono condurre alla distruzione o a danni rilevanti o duraturi, con possibilità di deroghe solo per prevalenti motivi di interesse pubblico. L'elenco di tali biotopi potrebbe formare oggetto di uno specifico regolamento.

5.3. La difesa della specie da interventi diretti sulle popolazioni

Il quadro normativo ed operativo tradizionale della difesa delle specie da interventi diretti, se adeguatamente esteso, consente ancora di realizzare risultati soddisfacenti.

Poiché tutte le specie di piante e animali selvatici sono meritevoli di essere conservate, è necessario stabilire un livello minimo di difesa mediante misure di tutela generali a cui fare riferimento nel giudicare la molteplicità degli interventi diretti dell'uomo. A tal fine, occorre vietare le azioni di danneggiamento e distruzione fine a se stesse, ovvero motivate da un vantaggio, ma oltre limiti ragionevoli, da precisare con regolamenti aventi rilevanza settoriale e locale.

In aggiunta alle suddette misure generali, per talune specie inserite nelle cosiddette liste rosse vengono adottate misure di tutela particolari.

Presupposti per l'inserimento nelle liste rosse sono la rarità, lo stato di pericolo, l'interesse scientifico e la particolare utilità ed importanza per l'equilibrio ecologico. Le liste rosse, sistematicamente aggiornate per riconoscere miglioramenti e peggioramenti, costituiscono uno dei fondamenti per i programmi speciali di difesa delle specie e dei biotopi (v. 5.2.) ed adempiono altresì ad un'esigenza essenziale di informazione dell'opinione pubblica sullo stato di pericolo di piante ed animali selvatici.

I divieti più rigorosi per le specie in pericolo comprendono:

- qualsiasi forma di cattura o uccisione deliberata di esemplari di specie animali nell'ambiente naturale;

- perturbare deliberatamente tali specie, soprattutto durante il periodo di riproduzione, di allevamento, di ibernazione e di migrazione;

- distruggere o raccogliere deliberatamente le uova nell'ambiente naturale;

- deterioramento o distruzione dei siti di riproduzione o delle aree di riposo;

- raccogliere, nonché collezionare, tagliare, estirpare o distruggere deliberatamente esemplari delle specie vegetali nell'ambiente naturale, nelle loro aree di ripartizione naturale;

- possedere, trasportare, commercializzare o scambiare e offrire a scopi commerciali o di scambio esemplari di specie animali e vegetali raccolti nell'ambiente naturale.

Per altre specie, il prelievo dalla natura e lo sfruttamento sono oggetto di misure di regolamentazione e gestione, quali ad esempio:

- prescrizioni relative all'accesso a determinati settori;

- il divieto temporaneo o locale di prelevare esemplari nell'ambiente naturale e di sfruttare determinate popolazioni;

- la regolamentazione dei periodi e/o dei metodi di prelievo;

- l'istituzione di un sistema di autorizzazione di prelievi o di quote;

- l'allevamento in cattività di specie animali nonché la riproduzione artificiale di specie vegetali, a condizioni controllate, onde ridurne il prelievo nell'ambiente naturale;

- la valutazione dell'effetto delle misure adottate.

Appare necessario da una parte proteggere con l'anzidetto regime tutte le specie selvatiche vegetali ed animali inserite negli allegati alle convenzioni internazionali e direttive comunitarie, anche in anticipazione della legislazione nazionale e dall'altra integrare i suddetti allegati, che spesso risultano carenti con riferimento alle specie tipiche dell'Italia e della Lombardia, a motivo di un insufficiente approfondimento in seno alle commissioni scientifiche che hanno elaborato le suddette normative internazionali.

Occorre altresì promuovere forme di collaborazione utili con le altre Regioni padane e dell'arco alpino, per armonizzare i programmi di difesa delle specie.

 

 

6. Fruizione culturale e ricreativa della natura e del paesaggio

6.1. La politica regionale per la fruizione culturale e ricreativa degli spazi aperti

6.1.1. Domanda sociale di fruizione della natura e del paesaggio. Riqualificazione del territorio e riequilibrio dei flussi ricreativi

Le condizioni della vita moderna richiedono che la ricreazione nel tempo libero sia riconosciuta come un diritto fondamentale dei cittadini, accanto a quelli del lavoro, dell'abitazione, della sanità e dell'istruzione e sia quindi oggetto di cure adeguate da parte delle istituzioni a tutti i livelli. In questo ambito, acquista sempre maggiore importanza la ricreazione negli spazi aperti e in particolare negli ambienti di maggiore pregio naturale e paesistico.

Pertanto, nel processo di maturazione della politica di difesa della natura e del paesaggio, accanto a finalità ecologiche ed estetiche, si sono da tempo affermate finalità di fruizione sociale, in particolare ricreative ed educative, anche attraverso movimenti di opinione e iniziative di associazioni, che hanno contributo validamente al sostegno dei nuovi programmi, soprattutto delle aree protette regionali.

Questa situazione rivela l'esistenza di una grossa domanda sociale di fruizione della natura e del paesaggio, solo in parte soddisfatta, di cui è necessario che la Regione si faccia carico, compatibilmente con i prioritari obiettivi ecologici, per realizzare soluzioni equilibrate in tutto il territorio regionale.

Tra le cause più rilevanti degli imponenti movimenti ricreativi e turistici che interessano periodicamente la nostra Regione, va sicuramente annoverato il netto peggioramento della qualità della vita nelle aree urbane. La carenza di spazi aperti urbani disponibili per una ricreazione tranquilla è diventata in molti casi drammatica. Lo squallore di tanti quartieri periferici realizzati negli ultimi decenni frustra il bisogno di bellezza dei cittadini, un tempo appagato da tutte le città italiane.

Si può affermare che la domanda sociale di ricreazione nell'ambiente naturale è gonfiata dalla carenza di parchi urbani, anche se nonostante tutto è nell'ambiente urbano che la gente trascorre ancora la maggior parte del proprio tempo libero. Analogamente, la domanda di ricreazione nei grandi parchi urbani è a sua volta gonfiata dalla carenza di spazi aperti urbani adeguatamente attrezzati, distribuiti capillarmente nelle città.

Di conseguenza, un obiettivo irrinunciabile della politica regionale deve essere la modifica nel lungo periodo delle condizioni ambientali delle città e delle aree confinanti, in modo tale che gli abitanti possano trascorrervi una parte rilevante del proprio tempo libero, con profitto per la salute e lo spirito. Questa operazione di riequilibrio consentirà altresì di riqualificare la ricreazione nelle aree con maggiori valori naturali, in modo tale da favorire la compatibilità con l'equilibrio ecologico e fornire ai cittadini veri e propri servizi ricreativi, oggi troppo spesso mancanti.

Se i flussi ricreativi vengono riequilibrati, anche mediante un accesso agli ambienti naturali meglio distribuito nelle stagioni, la difesa della natura e la ricreazione diventano obiettivi largamente compatibili, anzi si integrano e rafforzano a vicenda per la capacità di coinvolgere più ampi strati della popolazione.

I flussi ricreativi, finora sviluppati in forme largamente incontrollate e disordinate, dovranno essere adeguatamente organizzati, mantenendo e integrando le infrastrutture soprattutto leggere legate al paesaggio e migliorando il quadro e la struttura dei paesaggi ricreativi, mediante adeguate misure di ripristino. Nella aree turistiche sovraccariche, è necessario promuovere il miglioramento della qualità dell'ambiente e l'eliminazione dei carichi ambientali.

Accanto agli aspetti ricreativi e ludici della vacanza, devono essere promossi altri valori, di carattere culturale ed educativo, proponendo a giovani ed adulti a contatto con l'ambiente naturale conoscenze ed esperienze alternative.

È importante considerare che la politica del riequilibrio dei flussi ricreativi attraverso la riqualificazione del territorio trova già una delle espressioni più significative nei parchi regionali, molti dei quali sono direttamente confinanti con le aree urbanizzate. La strategia di interconnessione a rete delle aree verdi di varia estensione e qualità, inclusa la penetrazione nelle aree urbane, costituirà un decisivo passo avanti, non solo per gli obiettivi ecologici (collegamento dei biotopi), ma anche per quelli ricreativi e potrà essere realizzata sia con lo strumento dei piani paesistici (v. 3.1) sia con quello delle aree protette ai livelli provinciale e comunale (v. 4.1).

6.1.2. Valorizzazione delle aree protette per la fruizione culturale e ricreativa

Data la maturità del sistema delle aree protette regionali, queste dovranno costituire nei prossimi anni il punto di forza della nuova politica regionale per la fruizione culturale e ricreativa, con adeguate iniziative pianificatorie, organizzative e finanziarie.

Non mancano nella vigente normativa sulle aree protette riferimenti alla fruizione culturale e ricreativa. Infatti i parchi naturali regionali sono stati concepiti come zone costituenti generale riferimento per la comunità lombarda, con preminente riguardo non solo alle esigenze di protezione della natura e dell'ambiente, ma anche di uso culturale e ricreativo. I parchi di cintura metropolitana sono intesi come zone di importanza strategica non solo per l'equilibrio ecologico delle aree metropolitane, ma anche per la tutela ed il ricupero paesistico e ambientale delle fasce di collegamento tra città e campagna, per la connessione alle aree esterne dei sistemi di verde urbano, per la ricreazione e il tempo libero dei cittadini. Anche l'accesso del pubblico a talune riserve naturali è consentito per fini culturali e didattici.

Va altresì evidenziato che l'attività di pianificazione generale delle aree protette ha consentito di affrontare i problemi prioritari del riordino degli usi del territorio, della difesa degli ambienti naturali dal consumo irreversibile da parte di insediamento ed infrastrutture e del ricupero delle aree degradate, problemi tutti la cui soluzione è indispensabile per poter sviluppare adeguatamente i nuovi servizi ricreativi. Tuttavia si deve sottolineare un ritardo complessivo nella valorizzazione delle potenzialità ricreative delle aree protette regionali, comprese quelle che appaiono ormai mature per interventi organici in questo settore.

Per il rilancio della politica ricreativa nei parchi regionali, occorre potenziare gli interventi della mano pubblica (piani speciali, acquisizione e sistemazione di aree, realizzazione di infrastrutture), ma anche considerare l'uso ricreativo come una vera e propria risorsa che, gestita con un'adeguata offerta di beni e servizi, può contribuire a creare nuovi posti di lavoro, con un beneficio per le popolazioni locali. Occorre in particolare promuovere nuove iniziative nel settore socioeconomico, che coinvolgano le popolazioni locali, con investimenti relativamente modesti e ritorni in tempi brevi, valutando correttamente le potenzialità ricreative delle varie zone, nonché le aspettative e la capacità di spesa dei visitatori, per creare una nuova offerta di beni e servizi educativi, ricreativi e ricettivi.

La gamma delle possibili attività è molto estesa: gestione di centri di informazione e/o di educazione ambientale e musei locali, prodotti artigianali o gastronomici locali vendibili ai visitatori, segnaletica e manutenzione dei sentieri, raccolta dei rifiuti, prevenzione degli incendi, gestione delle aree di picnic, servizi ecoturistici (ricreazione, assistenza e guida di visitatori), ristrutturazione e gestione di rustici da affittare a rotazione, gestione di campeggi e ostelli della gioventù, agriturismo, iniziative di animazione culturale e sportiva; attività di commercializzazione di prodotti tipici locali, ecc.

Gli strumenti di pianificazione dei parchi, oltre a tener conto delle capacità di carico delle varie zone rispetto all'uso ricreativo, devono servire per stimolare uno sviluppo equilibrato delle attività ricreative compatibili e di qualità ambientale, prevedendo gli interventi e l'organizzazione necessari, le modalità di gestione, i sistemi di controllo. In particolare dovranno essere promosse le convenzioni con privati (soprattutto associazioni e cooperative) per la gestione dei servizi.

Dovrà trovare adeguata attenzione in sede organizzativa la presenza di capacità manageriali e comunicative, indispensabili per la gestione economica delle aree protette, che deve in parte autofinanziarsi ed anche produrre ricchezza per la comunità locale, con particolare riferimento all'aggregazione di cooperative giovanili, ai corsi di formazione, al reperimento di finanziamenti pubblici e privati, alle campagne di promozione, alla comunicazione con i possibili utenti, gli operatori economici e le popolazioni locali.

Alla politica della ricreazione nelle aree protette dovrà essere collegata quella dell'informazione ed educazione ambientale, che dovrà sviluppare tre distinti servizi di base, tra loro il più possibile integrati, riferiti ai residenti, ai visitatori ed alla popolazione scolastica.

6.2. La disciplina della fruizione culturale e ricreativa come nuovo settore giuridico

Si è visto che gli strumenti delle aree protette e della pianificazione paesistica consentono di realizzare, in forme significative per razionalità ed efficacia, l'obiettivo della ricreazione nella natura e nel paesaggio; si avverte tuttavia l'esigenza di un ulteriore approfondimento giuridico di questa tematica.

Se esiste un diritto del cittadino al godimento della natura e del paesaggio, esso dovrebbe essere definito in termini generali e delimitato nei suoi rapporti con i diritti degli altri cittadini ed in particolare con quelli dei proprietari del suolo.

Se la Pubblica Amministrazione deve promuovere e disciplinare la ricreazione nella natura e nel paesaggio, a beneficio di tutta la collettività, non basta che orienti in questa direzione la pianificazione territoriale e paesistica e non basta neppure che gestisca in forma specializzata taluni servizi ricreativi ed educativi nelle aree dei parchi. È altresì necessario che essa sia dotata dei necessari mezzi finanziari per effettuare interventi capillari sul territorio e sia messa in grado di definire, con gli idonei strumenti amministrativi, una molteplicità di conflitti che inevitabilmente si presentano nei casi concreti di applicazione del diritto al godimento della natura e del paesaggio.

Tutto ciò è possibile solo se si giunge a sviluppare la fruizione culturale e ricreativa come settore autonomo nell'ambito della legislazione sulla difesa, la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio, accanto a quelli già trattati nei capitoli precedenti, ossia la pianificazione paesistica, la regolamentazione dei singoli interventi sulla natura e il paesaggio, le aree protette, la difesa integrata delle specie e dei biotopi. Non si tratta di cancellare la valenza ricreativa dei settori "pianificazione paesistica" e "aree protette" o la capacità di regolazione dei possibili conflitti tra attività ricreative e difesa della natura inerente a tutti i quattro settori citati, ma piuttosto di integrarle con altri strumenti giuridici; del resto problemi simili di coordinamento esistono già per i suddetti settori (in particolare tra il primo e il secondo e tra il terzo e il quarto).

6.2.1. Diritto dei cittadini alla fruizione della natura e del paesaggio

Ad ogni cittadino dovrebbe essere riconosciuto il diritto al godimento della natura e del paesaggio. In sostanza esso si traduce in un diritto di accesso e di breve soggiorno, indispensabile per l'esercizio delle attività ricreative. Meno importante è invece il diritto di appropriazione di piante e frutti spontanei, in una misura minima compatibile con la difesa delle specie (v. 5.3.). L'ambito del diritto di fruizione è costituito dalla natura e dal paesaggio liberi, inclusi i piccoli centri abitati di tipo tradizionale e le superfici libere all'interno delle aree metropolitane.

Il diritto di ogni cittadino alla fruizione della natura e del paesaggio deve essere armonizzato con il diritto di proprietà, facendo riferimento al principio costituzionale della funzione sociale della proprietà. Sono ammissibili solo quelle limitazioni al diritto di proprietà che si mantengono nei limiti di tale funzione sociale.

Il diritto alla fruizione della natura e del paesaggio comporta altresì la possibilità di conflitti con altri diritti di singoli cittadini o della collettività, che occorre dirimere facendo riferimento al principio di compatibilità. Per rendere compatibili attività ricreative diverse che si esercitano contemporaneamente negli stessi luoghi, occorre stabilire un ordine di priorità, favorendo le attività più leggere rispetto a quelle più pesanti, che in genere sono anche esercitate da un numero inferiore di persone. Infine le attività ricreative non possono danneggiare beni collettivi, tra cui in primo luogo la natura e il paesaggio.

La ricreazione nella natura e nel paesaggio può comportare l'accesso a luoghi con un margine più o meno elevato di pericolosità. Di norma tale accesso avviene a totale rischio e pericolo per i cittadini, essendo i proprietari del suolo e la Pubblica Amministrazione sollevati da ogni responsabilità. Tuttavia la Pubblica Amministrazione ha l'obbligo di promuovere l'esercizio del diritto di fruizione anche con misure attive (v. 6.2.4.), realizzando e mantenendo adeguate installazioni ricreative (ad es. sentieri) nelle migliori condizioni di sicurezza possibili.

6.2.2. Esercizio del diritto di accesso

Di norma il diritto di accesso deve poter essere esercitato nei confronti di tutte le superfici che si trovano in uno stato naturale o sono soggette a misure di selvicoltura od agricoltura, salve le limitazioni di cui al punto 6.2.3. Il diritto di accesso include la breve sosta, ma non la facoltà di realizzare modifiche allo stato dei luoghi.

In linea generale l'accesso ai corpi d'acqua dovrebbe essere consentito a tutti i cittadini nell'ambito degli usi comuni, tuttavia con limiti posti alla navigazione ed anche alla balneazione, nell'interesse della difesa della natura e del paesaggio, nonché per ragioni igieniche c/o di sicurezza e tranquillità dei luoghi. Nel caso dei corpi d'acqua, le disposizioni dell'autorità competente per la difesa della natura e del paesaggio (e quindi anche per la fruizione ricreativa) dovrebbero avere valore sussidiario, essendo l'autorità idraulica tenuta ad applicare, per gli aspetti di competenza, anche la normativa che riconosce ai cittadini il diritto al godimento dei corpi d'acqua.

Per l'accesso alla natura e al paesaggio, la massima importanza deve essere attribuita all'enorme rete di sentieri distribuiti nelle campagne, nei boschi, nei pascoli e sui pendii rocciosi, sia pubblici che privati. Per evitare la chiusura o il degrado per mancanza di manutenzione dei sentieri privati di uso pubblico, è necessario stabilire non solo il diritto di accesso a tali sentieri da parte dei cittadini, ma anche la facoltà per l'autorità competente di autorizzare lavori di segnaletica e di manutenzione realizzati dai Comuni, Comunità montane ed associazioni (v. 6.2.4.). Una parte della rete delle strade pubbliche dovrà essere attrezzata o riservata con apposita segnaletica a pedoni, ciclisti e cavalieri.

Nel diritto di accesso alla natura ed al paesaggio, da assicurare a tutti i cittadini senza particolari notifiche, licenze o autorizzazioni, è opportuno includere una gamma abbastanza vasta di attività sportive, da valutare comunque in base al principio di compatibilità (v. 6.2.1.). Fanno in ogni caso eccezione le attività con i veicoli a motore, con l'uso di animali e nell'ambito di manifestazioni organizzate, che vanno al di là dell'uso comune e richiedono uno specifico controllo amministrativo.

Il diritto di accesso alla natura ed al paesaggio deve essere fondamentalmente gratuito, per ovvia coerenza con l'impostazione generale della legge; la gratuità riguarda in particolare l'accesso ai sentieri. Tuttavia possono essere ammessi compensi per prestazioni particolari, che mettono a disposizione dei cittadini altre installazioni e servizi che non esistono in natura. Per i servizi ecoturistici, vedasi il punto 6.1.2.

6.2.3. Limitazioni del diritto di accesso

Al diritto di accesso alla natura ed al paesaggio devono essere poste talune limitazioni di carattere generale stabilite dalla stessa legge e altre di carattere particolare, discendenti da provvedimenti dell'amministrazione competente o da iniziative dei proprietari del suolo.

Innanzitutto devono essere adeguatamente tutelate l'agricoltura e la selvicoltura, con norme di carattere generale che limitino l'accesso, il quale in linea di massima dovrebbe invece essere consentito senza limiti ai pascoli e agli incolti.

Per le manifestazioni organizzate da circoli aziendali, associazioni ricreative e sportive, aziende turistiche, ecc., che possono determinare un afflusso concentrato di persone, pericoloso per la natura e per i legittimi interessi della proprietà, è opportuno prevedere un obbligo generale di notifica all'autorità competente per la difesa della natura e del paesaggio.

Per la risoluzione di tutti i possibili conflitti nelle situazioni più varie che si possono verificare, si devono ammettere interventi puntuali da parte dell'autorità competente, mediante disposizioni amministrative, che possono limitare il diritto di accesso a determinate superfici c/o in determinati periodi, per difendere la natura e il paesaggio, ovvero per regolamentare il traffico turistico, riducendo il conflitto tra le varie categorie di utenti.

Si deve infine ammettere anche il diritto di iniziativa dei proprietari dei fondi per la tutela dei loro diritti, quando la fruizione ricreativa per motivi particolari supera il limite che può essere ragionevolmente associato alla funzione sociale della proprietà. I proprietari hanno comunque il diritto di chiudere le superfici pertinenti alle abitazioni e possono chiedere la chiusura dei fondi utilizzati per agricoltura e selvicoltura, in presenza di gravi danni o per esigenze particolari delle colture. I fondi devono essere chiusi con barriere di tipo fisico o cartelli.

6.2.4. Interventi dell'autorità

Alle autorità competenti per la difesa della natura e del paesaggio (v. 7.1.) spettano innanzitutto interventi di regolamentazione amministrativa per le limitazioni del diritto di accesso di cui al punto 6.2.3.

Un'altra categoria di interventi è costituita dalla rimozione di barriere esistenti. Le barriere abusive devono essere rimosse senza risarcimento. Per le barriere legittime deve poter essere valutata la possibilità di rimozione parziale o totale, per le finalità e nei limiti della legge, ma previo risarcimento.

Analogamente l'autorità competente deve poter disporre l'apertura di passaggi pubblici attraverso fondi legittimamente chiusi, qualora tali passaggi siano indispensabili per raggiungere aree ancora libere, di grande valore ricreativo, quali boschi e corpi d'acqua. Anche queste operazioni sono connesse ad un adeguato risarcimento.

Ma la ricreazione nella natura e nel paesaggio non può essere realizzata soltanto con un sistema giuridico che assicuri in astratto ai cittadini il diritto al godimento di questi beni e l'intervento della Pubblica Amministrazione per risolvere i conflitti di interesse. Il nuovo obiettivo giuridico deve anche tradursi in un'obbligazione generale per la Regione e gli enti locali a promuovere le attività ricreative con interventi adatti ed adeguate risorse finanziarie. A grandi linee i Comuni dovrebbero provvedere alle misure di carattere locale e gli altri enti a quelle di carattere sovralocale, in stretta collaborazione tra loro.

Gli interventi di promozione e gestione delle attività ricreative comprendono la pianificazione, la messa a disposizione e l'acquisto di aree, la realizzazione di infrastrutture, la manutenzione e la pulizia.

I piani paesistici descritti al precedente punto 3.1. sono gli strumenti migliori non solo per contrastare le tendenze in atto, che portano alla progressiva riduzione delle superfici ancora libere e disponibili alla ricreazione, ma anche per aprire nuove aree di interesse naturale e paesistico, orientando in tal senso in modo più razionale gli stessi interventi per la rimozione di barriere e l'apertura di passaggi pubblici.

I punti e le linee di forza della strategia della fruizione culturale e ricreativa sono costituiti dalle aree di proprietà pubblica, in grado di assorbire maggiori aliquote della domanda ricreativa, senza portare l'impatto sulla proprietà privata a limiti di rottura. Perciò i demani e i patrimoni pubblici dello Stato, della Regione e degli enti locali dovranno essere adeguatamente valorizzati per la ricreazione, a partire dal demanio idrico e dal patrimonio forestale. Queste aree dovranno essere integrate da altre di nuova acquisizione, in particolare nei punti di maggior concentrazione dei flussi ricreativi.

Gli enti pubblici dovrebbero poi provvedere all'equipaggiamento delle aree aperte alla ricreazione, con installazioni adeguate: sentieri specializzati per pedoni, ciclisti e cavalieri, passaggi, parcheggi, punti di sosta, rifugio, picnic, belvedere, campi-gioco, ecc. I sentieri sono in gran parte già esistenti, ma devono essere spesso sistemati ed opportunamente collegati, non solo nelle aree pubbliche, ma anche in quelle private; le altre strutture sono invece in prevalenza di nuovo impianto e devono essere collocate preferibilmente in aree pubbliche. È altresì importante esercitare una continua ed attenta manutenzione delle installazioni ricreative, nonché provvedere alla pulizia.

Per dare impulso all'insieme degli interventi di promozione e di gestione delle attività ricreative, dovrà essere realizzato uno specifico programma regionale, che identifichi, in termini sintetici per tutto il territorio regionale a partire dalle aree protette (v. 6.1.2.), gli obiettivi ed i risultati che si intendono raggiungere, i costi d'investimento e di gestione e le relative fonti di finanziamento, i soggetti responsabili, la localizzazione territoriale degli interventi in coerenza con i piani paesistici, la durata del programma, i modi ed i tempi di attuazione, le modalità atte a verificare il conseguimento degli obiettivi. Potrà così concretamente essere realizzata una pianificazione integrata delle aree, delle infrastrutture e dei servizi, che risulta di fondamentale importanza per il riequilibrio dei flussi ricreativi, per un nuovo turismo di qualità ambientale ed in definitiva per la qualità della vita dei lombardi.

 

 

7. Organizzazione per la difesa, la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio

7.1. Le autorità competenti

7.1.1. Principi generali

Una legge quadro di ampio respiro come quella ipotizzata nel presente documento, che riunisce, rielabora ed estende diversi filoni normativi, necessita dì un'impegnativa riforma amministrativa, di cui si riassumono i principi generali.

Un primo principio è quello dell'autonomia. Nella politica ambientale, parallelamente allo sviluppo di corpi normativi autonomi, procede l'organizzazione di autorità specificamente preposte alla loro esecuzione, che si confrontano con gli altri settori amministrativi, portatori di diversi interessi. Ciò deve avvenire anche per la difesa della natura e del paesaggio la quale, se vuole affermarsi, deve disporre di forze autonome di adeguata consistenza.

Lo stretto collegamento tra natura e paesaggio su cui si basa l'intero impianto della legge costituisce un'incisiva innovazione, che non può non riflettersi coerentemente in sede amministrativa, mediante applicazione del principio di unità delle competenze: la difesa della natura non può essere separata da quella del paesaggio, pur nel rispetto della necessaria, differenziata specializzazione professionale, che determina un'articolazione degli uffici.

È opportuno un chiarimento sulla collocazione nell'ambito della difesa ambientale, la quale nella prassi si è sviluppata in due rami distinti, che si possono definire rispettivamente "difesa tecnologico-igienica", applicata ad aree elementari (difesa dell'aria dall'inquinamento, difesa dai rumori, difesa delle acque, smaltimento dei rifiuti, ecc.) e "difesa ecologico-paesistica", applicata ad aree complesse, ossia a sistemi. Nel primo caso l'obiettivo è quello di rendere minimo l'impatto su singole componenti ambientali, nel secondo caso quello di preservare la funzionalità degli ecosistemi ed i quadri paesistici. Questa distinzione rivela la diversità, ma anche la complementarità dell'approccio.

In tutti i Paesi avanzati la difesa dell'ambiente tende altresì a svilupparsi sia mediante organi autonomi all'interno di enti territoriali aventi competenze generali di tipo politico-amministrativo, sia mediante agenzie, aziende ed enti autonomi aventi competenze tecnico-specialistiche, in relazione alla complessità dei problemi della società moderna. Questo indirizzo deve essere coerentemente applicato anche alla difesa della natura e del paesaggio, associando alle autorità generali autorità speciali.

Le autorità competenti per la difesa della natura e del paesaggio devono essere dotate di personale con un'adeguata qualificazione professionale, da cui dipende in larga misura la qualità delle decisioni adottate.

Presso le autorità generali, accanto a competenze di tipo giuridico-amministrativo, si deve assicurare la presenza di almeno due professioni tecniche fondamentali e precisamente quelle del naturalista e dell'architetto del paesaggio. Per architetto del paesaggio si intende una nuova figura professionale presente in alcuni Paesi europei, nata come incrocio tra l'ingegnere/architetto e l'agronomo/forestale; tale figura dovrà essere promossa mediante nuovi corsi di laurea presso le università lombarde; fino alla sua completa maturazione, occorre supplire associando le componenti originarie per le funzioni di gestione del paesaggio.

Per le attività più complesse, come quelle di pianificazione, sono necessarie competenze di diversi settori professionali, quali geologia/pedologia, geografia, meteorologia/climatologia, idrologia, biologia (botanica e zoologia), scienze agrarie e forestali, architettura del paesaggio, arte dei giardini, che in mancanza di esperti interni possono essere assicurate mediante rapporti di consulenza. Le autorità speciali e in particolare quella costituita sul modello dell'agenzia (v. 7.1.3.1.) richiedono per loro natura una gamma più diversificata di specialisti a tempo pieno.

È importante realizzare un'adeguata articolazione territoriale a più livelli dell'amministrazione con competenze generali per la difesa della natura e del paesaggio. Si tratta di un problema strettamente connesso con il riassetto istituzionale, oggi al centro del dibattito politico in Italia, con ipotesi di modifiche profonde delle competenze attuali, nel segno di una maggior valorizzazione delle autonomie regionali e locali. D'altra parte, non solo gli interessi generali del Paese, ma le esigenze peculiari della politica ambientale richiedono un rafforzamento della collaborazione tra i vari livelli istituzionali.

Si è già accennato (v. 1.1.) che negli ultimi decenni in tutti i Paesi si è accentuata la tendenza alla dislocazione dei poteri decisionali strategici in materia di politica ambientale ai livelli superiori di Governo. Da questa situazione deriva che, anche nei Paesi a struttura federale e dove è più forte la tradizione di decentramento amministrativo, le decisioni politiche e giuridiche più importanti per la difesa dell'ambiente tendono ad essere attribuite allo Stato ed ai livelli sovranazionali. Ciò è evidenziato dal gran numero delle convenzioni internazionali e direttive comunitarie in materia di difesa della natura. Si deve quindi riconoscere il ruolo fondamentale dello Stato nella definizione di una politica nazionale per la natura ed il paesaggio ed auspicare un rinnovamento profondo della normativa statale di settore.

Tuttavia proprio le soluzioni federali garantiscono un miglior bilanciamento dei poteri tra istituzioni centrali e periferiche, con ampi spazi di autonomia nell'applicazione delle politiche ambientali definite dall'Unione europea e dallo Stato. Ciò consente di tener conto del diverso grado di sviluppo socioeconomico delle varie Regioni e di tutelare e valorizzare meglio le identità territoriali e sociali locali, che con la loro diversificazione concorrono alla ricchezza ed all'equilibrio complessivo delle Comunità nazionali ed europee.

In particolare, con una costituzione di tipo federale, lo Stato dovrebbe rinunciare a definire nel dettaglio le competenze degli enti locali, lasciando questo compito alle Regioni, in modo tale da valorizzare gli enti locali per le attività amministrative e gestionali correnti, ma in un quadro di forte coerenza tra strutture regionali e locali, che oggi spesso non è garantito. Nell'attuale fase di transizione verso un diverso assetto istituzionale dello Stato, occorre, identificare soluzioni di raccordo con la vigente normativa (in particolare la legge n. 142/1990 sulle autonomie locali), ma proiettate più decisamente verso un modello di tipo federale.

La complessità e fragilità della politica ambientale e i ritardi nell'applicazione dei suoi programmi rendono ancor più inaccettabile il clima di conflittualità permanente tra Stato e Regioni da una parte e Regioni ed enti locali dall'altra, che ha caratterizzato la prima fase storica del regionalismo in Italia. Fondamentalmente si deve tendere a valorizzare le capacità di tutte le istituzioni, in un rapporto di collaborazione. La difesa della natura e del paesaggio non è fatta solo di decisioni strategiche, ma anche di una miriade di piccole azioni periferiche, che sommandosi determinano grandi risultati.

Occorre quindi assicurare innanzitutto la massima cooperazione tra le autorità con competenze generali e speciali in materia di difesa della natura e del paesaggio ai vari livelli territoriali. Inoltre, poiché la difesa della natura e del paesaggio non opera su singole componenti ambientali, ma sii aree complesse, per essere veramente efficace presuppone il collegamento trasversale con tutti i settori amministrativi che intervengono sul territorio, promuovendo la collaborazione con le rispettive autorità competenti (urbanistiche, agricolo-forestali, idrauliche, stradali, ecc.). A tal fine, è indispensabile che le autorità competenti per la difesa della natura e del paesaggio vengano tempestivamente informate su tutte le misure che possono toccare gli interessi da esse tutelati ed abbiano un diritto di iniziativa per l'elaborazione di perizie e progetti,

7.1.2. Autorità con competenze generali

La Regione e le Province dovrebbero costituire le autorità con competenze generali per la difesa della natura e del paesaggio, rispettivamente di 1° e di 2° livello.

La Regione esercita attualmente queste funzioni attraverso i servizi "Tutela dell'ambiente naturale e parchi" e "Beni ambientali", che difendono rispettivamente la natura come ecosistema ed il paesaggio come quadro paesistico. Un'organizzazione di tipo binario, facente capo al medesimo responsabile politico, può considerarsi soddisfacente anche in prospettiva, tenuto conto che la nuova normativa dovrebbe rielaborare due distinte tradizioni culturali e giuridiche, ma nello stesso tempo rispettarne i principi fondamentali. Tuttavia i nuovi strumenti definiti dalla legge-quadro e le strette interrelazioni stabilite tra natura e paesaggio comportano modifiche anche profonde all'assetto organizzativo attuale.

Nel servizio "Tutela dell'ambiente naturale e parchi", sono già presenti le due fondamentali funzioni di pianificazione e coordinamento della gestione che devono essere sviluppate a livello regionale, anche se la prima è più affermata della seconda ed entrambe sono in prevalenza limitate alle aree protette. Perciò è necessario da un lato promuovere una maggiore integrazione delle aree protette nel contesto socioeconomico e dall'altro applicare i nuovi strumenti di difesa della natura previsti su tutto il territorio. L'attività di coordinamento del volontariato ecologico appare già proiettata verso il nuovo assetto auspicabile in futuro, poiché interessa l'intero territorio regionale ed è caratterizzata da una notevole versatilità dell'impiego dei volontari.

Nel loro insieme le attività svolte dal servizio "Tutela dell'ambiente naturale e parchi" appaiono conformi al ruolo regionale e pertanto non si presentano se non marginalmente problemi di trasferimento di funzioni a livelli inferiori di Governo. In particolare, assai ridotto è il numero degli atti amministrativi puntuali (ad es. autorizzazioni in deroga al regime delle aree protette) e questo costituisce un fattore che agevola la riorganizzazione.

Al contrario, presso il sevizio "Beni ambientali" sono proprio gli atti amministrativi puntuali di tipo esclusivamente reattivo (autorizzazioni ex legge n. 1497/1939 e controllo della subdelega ai Comuni) a costituire l'attività di gran lunga prevalente, con effetti penalizzanti nei confronti delle altre attività ed in primo luogo della pianificazione paesistica, che non è riuscita a decollare. Di conseguenza è del tutto assente un approccio gestionale moderno volto alla promozione di interventi per la cura e lo sviluppo del paesaggio, sia pure inteso nel tradizionale senso culturale che, per quanto più limitato della concezione moderna (v. 2.1.1.), offrirebbe comunque spazi importanti d'intervento (ad es. per la manutenzione delle architettura vegetali ed il restauro dei centri storici).

Il servizio "Beni ambientali" appare quindi complessivamente in grave ritardo nello sviluppo degli strumenti più moderni per la difesa del paesaggio e appesantito da una mole di pratiche burocratiche che in larga misura non sono congrue con il ruolo di una Regione vasta e complessa come la Lombardia, nonostante siano già state in parte delegate ai Comuni. Di conseguenza, le esigenze di riassetto sono più radicali.

La riorganizzazione dovrà mirare non soltanto a conseguire un equilibrio tra autorizzazioni, pianificazione e gestione attiva, ma anche a stabilire forme nuove di collaborazione tra i due servizi regionali, atte a garantire l'integrazione della politica di difesa, gestione e sviluppo della natura e del paesaggio. L'analisi dei nuovi strumenti normativi descritti ai capitoli 3, 4, 5 e 6 consentirà di ridefinire parallelamente in modo armonico le competenze di ciascuno dei due servizi e gli apporti specialistici ai prodotti più complessi, che esigono un'istruttoria congiunta (come i piani paesistici), anche con una più articolata presenza di diverse figure professionali, che appare giustificata dal ruolo di maggiore specializzazione della Regione e di indirizzo e coordinamento delle autorità di livello inferiore.

Se al livello regionale il problema che emerge è la riorganizzazione delle strutture in campo, che hanno comunque una certa consistenza, al livello provinciale si tratta invece di costituire "ex novo" uffici oggi pressoché inesistenti. Ciò è dovuto al fatto che le funzioni in materia di natura e paesaggio attribuite in passato alle Province dallo Stato e dalla Regione sono state di peso modesto e spesso gestite da uffici con competenze promiscue, facenti capo a settori diversi (in prevalenza all'ecologia per l'ambiente naturale, che è residuale rispetto .alla difesa dagli inquinamenti ed al territorio per il paesaggio, che è residuale rispetto alla pianificazione territoriale).

Per il successo della nuova politica di difesa della natura e del paesaggio, appare fondamentale giungere in tempi brevi alla costituzione di robuste strutture provinciali, autonome e professionalmente qualificate, simmetriche e in rapporto di stretta collaborazione con le strutture regionali. Ciò tenuto conto del fatto che l'ipotizzata legge-quadro dovrà attribuire alle Province competenze importanti in tutti i settori (pianificazione paesistica e regolamentazione degli interventi, aree protette, difesa delle specie e dei biotopi, fruizione culturale e ricreativa) e che, in assenza di un decollo delle Province, lo stesso ruolo strategico della Regione risulta penalizzato. Per assicurare l'organizzazione più soddisfacente, si devono identificare le opportune formulazioni giuridiche ed intese politiche.

La costituzione di un'autorità di 3° livello per la difesa della natura e del paesaggio non trova, nell'attuale assetto istituzionale italiano, i necessari presupposti, perché molti Comuni ed anche alcune Comunità montane sono troppo piccoli per garantire i requisiti di autonomia e qualificazione professionale degli uffici illustrati al punto 7.1.1. In alcuni casi potrebbe essere presa in considerazione l'ipotesi di costituire uffici provinciali decentrati presso le Comunità montane.

Va ribadito comunque che ai Comuni la nuova legge-quadro dovrà attribuire un ruolo da protagonisti, evidenziato da una molteplicità di competenze: una forma autonoma di pianificazione paesistica (v. 3.1.), la delega alle autorizzazioni di numerosi interventi suscettibili di procurare danni alla natura ed al paesaggio, che contemporaneamente richiedono la concessione edilizia (v. 3.3.), l'attribuzione con convenzione di misure attive per la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio (v. 3.2.), la possibilità di identificare un sistema di aree protette di interesse locale (componenti paesistiche e architetture vegetali, v. 4.2.), interventi di promozione e gestione di attività per la fruizione culturale e ricreativa della natura e del paesaggio (v. 6.2.4.).

Si è infatti convinti che le grandi energie potenziali delle comunità locali e le tradizioni storiche dei Comuni italiani debbano essere pienamente valorizzate anche per la difesa della natura e del paesaggio, trovando in alcuni casi il supporto delle stesse strutture comunali (per i Comuni maggiori) ed in altri casi potendo contare su apporti specialistici esterni (incarichi professionali) e comunque sul sostegno sistematico delle autorità generali e speciali competenti per la difesa della natura e del paesaggio. Potrà essere presa in esame anche la costituzione di stazioni biologiche locali, mediante convenzioni tra Comuni confinanti.

7.1.3. Autorità con competenze speciali

7.1.3.1. Autorità regionali

L'esperienza indica che alcune funzioni specialistiche, associate agli uffici amministrativi, non possono essere adeguatamente sviluppate, per mancanza di tempo, mezzi strumentali adatti e personale qualificato; esse devono quindi essere più opportunamente attribuite ad agenzie, ossia a strutture completamente dedicate e sottratte ai compiti amministrativi.

Tale indirizzo è ancor più accentuato nella difesa ambientale, che si caratterizza per i rilevanti contenuti tecnici, presenti nella stessa normativa e per la forte tensione innovativa nei confronti dei principali processi di trasformazione dell'ambiente, che comporta la necessità di uno stretto rapporto con il mondo della ricerca.

La costituzione di Agenzie per la protezione dell'ambiente all'estero si è affermata da tempo, con riferimento prevalente ai modelli americano (EPA) e tedesco (UBA) e solo da pochi anni viene discussa anche in Italia, a partire dal referendum che nel 1993 ha abolito le competenze delle Unità sanitarie locali in materia di controlli ambientali esterni. Peraltro, proprio in relazione all'esigenza prioritaria di riorganizzare i detti controlli, non sono state approfondite altre esigenze, tra cui quelle in materia di natura e paesaggio.

Di conseguenza, è necessario che il progetto dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) venga integrato con la previsione di una struttura dedicata ai problemi tecnico-specialistici inerenti la difesa, la cura e lo sviluppo della natura e del paesaggio, tra cui:

- i sistemi informativi territoriali dei beni naturali e ambientali;

- l'archivio di tutte le aree protette di interesse regionale, provinciale e locale;

- la ricerca in materia di difesa della natura e gestione del paesaggio;

- l'informazione, attraverso pubblicazioni periodiche, con particolare riferimento alla realtà lombarda;

- la consulenza alla Regione, alle Province, ai Comuni ed agli enti gestori della aree protette e in particolare la collaborazione agli studi per i piani paesistici e gli altri piani speciali di settore.

I problemi della difesa della natura e del paesaggio evidenziano anche una grossa domanda di operatività per gli interventi concreti sul territorio, a cui occorre rispondere mobilitando le energie di tutti gli enti territoriali ed associando in larga misura i privati. In questo contesto, un ruolo particolare può essere svolto dalla Regione attraverso il proprio demanio forestale e la struttura ad esso preposta, ossia l'Azienda regionale delle foreste (ARF), come hanno dimostrato anche le esperienze di collaborazione nelle aree protette.

Si ritiene quindi opportuna un'integrazione dei compiti dell'ARF, istituita con L.R. 2 gennaio 1980, n. 4, da trasformare in Azienda regionale per le foreste e la natura (ARFN), affinché costituisca uno strumento operativo della Regione, che provveda tra l'altro a:

- gestire il demanio forestale e naturale regionale;

- fornire assistenza tecnica agli enti gestori delle aree protette nella progettazione ed esecuzione di lavori.

I beni dell'attuale demanio forestale e quelli ulteriori acquisiti dalla Regione dovrebbero essere valorizzati prioritariamente per gli obiettivi della legge sulla difesa della natura e del paesaggio, con la possibilità di essere conferiti agli enti gestori delle aree protette.

In futuro un ruolo speciale sarà svolto dalla Regione anche in materia di vigilanza e controllo, in relazione al previsto trasferimento del Corpo forestale dello Stato (CFS), secondo il modello già sperimentato per le Regioni a statuto speciale. Questa riforma istituzionale avrà importanti conseguenze anche sugli assetti organizzativi nel settore della difesa della natura e del paesaggio, con particolare riferimento alle sinergie con il servizio ecologico volontario (v. 7.2.2.) e con la gestione delle aree protette. In questa prospettiva è opportuno realizzare una larga intesa per la cooperazione tra la Regione e il CFS, mediante una specifica convenzione con il ministero competente.

7.1.3.2. Enti gestori delle aree protette

La complessità del nuovo sistema di aree protette ipotizzato comporta una pluralità di forme di gestione, che dovranno essere scelte dagli enti competenti per l'istituzione, con il criterio fondamentale dell'adeguatezza rispetto agli obiettivi.

In avvenire i soggetti a cui sono affidate le aree protette si dovranno qualificare sempre più per le capacità operative (v. 4.3.), anche tenuto conto della parallela affermazione della pianificazione paesistica regionale, provinciale e comunale (v. 3.1.) e del sistema generale di regolamentazione degli interventi sulla natura ed il paesaggio (v. 3.3.). Di conseguenza l'organizzazione dovrà essere il più possibile di tipo aziendale e manageriale, caratterizzata da una forte, capacità di rapporto con il territorio e la popolazione (v. ad es. 6.1.2.).

Per i parchi e le riserve naturali, le esperienze effettuate negli ultimi 20 anni indicano la necessità di una gestione affidata a strutture completamente dedicate e con un grado sufficiente di autonomia, pena la scarsa efficienza e l'eccessivo riferimento agli uffici centrali (regionali-provinciali), che hanno altre funzioni.

La Regione e le Province, nello scegliere la forma di gestione delle aree protette, dovranno realizzare intese con gli enti dì livello inferiore, per assicurare un equilibrio tra partecipazione ed efficienza. A tal fine, nei casi singoli, dovranno essere attentamente valutate diverse soluzioni alternative, tra cui la costituzione di enti autonomi regionali o di aziende provinciali, ovvero di consorzi secondo le norme previste per le aziende speciali (in quanto compatibili), ovvero la formazione di istituzioni provinciali dotate di autonomia gestionale, ovvero il supporto tecnico da parte di aziende regionali e provinciali ed istituzioni provinciali a Comunità montane e Comuni, mediante apposite convenzioni obbligatorie, ovvero l'affidamento ad associazioni protezionistiche (per le riserve ed i monumenti naturali di loro proprietà o su aree pubbliche).

Al pragmatismo nella scelta tra una molteplicità di forme di gestione possibili e concretamente utili nei casi singoli deve corrispondere, da parte della Regione e delle Province, una capacità di governo complessiva del sistema di aree protette di loro competenza, per consentire l'impiego più efficiente delle risorse organizzative, di cui sopportano la maggior parte delle spese. L'esperienza delle aree protette regionali rivela una troppo forte disparità nella consistenza delle varie strutture di gestione, solo in parte giustificata dalle diverse date di costituzione.

Occorre dunque assicurare alla Regione ed alle Province forme adeguate di programmazione e controllo in materia di piante organiche ed agevolare la mobilità del personale e in particolare dei direttori, da utilizzare eventualmente per più aree protette minori. Occorre altresì valutare la possibilità che ad un unico ente possa essere affidata la gestione di più aree protette vicine o addirittura confinanti, a seguito del programma di interconnessione a rete (v. 4.1.).

Per le aree protette di interesse comunale (componenti paesistiche e architetture vegetali), i problemi istituzionali sono più semplici, perché lo stesso soggetto (il Comune) è competente per l'istituzione e la gestione. In molti casi, la necessaria efficienza potrà essere assicurata facendo ricorso a convenzioni con i privati ed utilizzando il supporto tecnico della Regione e delle Province.

7.2. Le forme di partecipazione alla difesa della natura e del paesaggio

L'organizzazione per la difesa della natura e del paesaggio può essere rafforzata dalla collaborazione dei cittadini. Nella legislazione e nella prassi in Lombardia si sono già affermate tre forme di partecipazione, che devono essere ulteriormente sviluppate: le commissioni consultive, il volontariato istituzionale e il volontariato autonomo.

7.2.1. Commissioni consultive

Le commissioni consultive sono una forma di partecipazione dei cittadini, con una rappresentanza specializzata onoraria, all'attività svolta dalle autorità con competenze generali e speciali in materia di natura e paesaggio. Particolare rilevanza assumono le commissioni consultive a supporto della Regione e delle Province, che dovranno ereditare ed integrare le funzioni svolte attualmente dalle commissioni per l'ambiente naturale e per i beni ambientali. La composizione e il funzionamento di tali commissioni dovranno essere definite nel dettaglio con apposito regolamento e prevedere adeguate forme di raccordo tra il livello regionale e quello provinciale.

In ogni caso è essenziale il requisito della specializzazione tecnico-scientifica nelle materie direttamente o indirettamente connesse con la difesa, la gestione e lo sviluppo della natura e del paesaggio. Le commissioni consultive non sono invece il luogo del confronto con interessi socioeconomici diversi, che deve avvenire in altre sedi.

Sembra opportuno selezionare i membri delle commissioni in modo tale che comprendano specialisti a livello universitario, esperti nell'ambito delle professioni, anche designati attraverso le associazioni di categoria ed esperti di associazioni che in base allo statuto si dedicano esclusivamente o prevalentemente alla difesa della natura e del paesaggio ed alla ricreazione nell'ambiente naturale. Possono far parte delle commissioni anche rappresentanti di altre amministrazioni.

Molto importante è la definizione delle funzioni di consulenza specialistica che per alcune materie determinano, a favore della Commissione, un diritto di collaborazione e quindi l'obbligo per l'amministrazione di chiedere il suo parere, assicurando ai commissari la necessaria informazione, mediante accesso a documenti, partecipazione a sopralluoghi, ecc. In altre materie, non specificamente elencate, l'amministrazione ha solo la facoltà di consultare la Commissione.

Oltre al diritto di collaborazione, deve essere riconosciuto alle commissioni anche un diritto di iniziativa, ossia la possibilità di attivarsi per sollecitare misure di difesa della natura e del paesaggio e fare proposte in materia di informazione.

Per assicurare la funzionalità delle commissioni consultive, è indispensabile un'adeguata organizzazione degli uffici di segreteria.

7.2.2. Volontariato istituzionale. Il servizio ecologico volontario

Negli ultimi 15 anni, con la L.R. n. 105/1980, la Lombardia ha saputo sviluppare una forma originale di volontariato ecologico, detto istituzionale in quanto integrato nelle istituzioni; in esso interagiscono un'offerta di collaborazione da parte dei cittadini ed una domanda di collaborazione da parte delle istituzioni, in relazione al moltiplicarsi dei compiti esecutivi e di controllo in materia ambientale ed all'esigenza di ridurre il deficit dell'amministrazione rispetto alla legislazione. Questa esperienza si inserisce nel più vasto fenomeno sociale del volontariato, basato su un principio etico superiore, per la gratuità che connota attività rientranti nell'economia del dono. Le linee fondamentali del volontariato ecologico istituzionale dovranno essere definite dalla legge-quadro, rimandando ad un regolamento specifico gli aspetti organizzativi di dettaglio.

Il modello istituzionale a cui ispirarsi per l'organizzazione del servizio ecologico volontario deve innanzitutto tener conto del previsto trasferimento alle Regioni di tutte le funzioni di vigilanza ambientale e delle relative strutture operative, tra cui in particolare il Corpo forestale dello Stato (v. 7.1.3.1). In prospettiva, la presenza capillare sul territorio di due strutture simmetriche con competenze generali in materia di vigilanza ambientale, l'una professionale e l'altra volontaria, dovrebbe consentire di sviluppare sinergicamente questa funzione con il massimo dell'efficacia. Ne discende l'opportunità di confermare gli elementi di regionalità già presenti nel servizio ecologico volontario (selezione, nomina, disciplina), che contribuiscono ad attribuire a questi volontari la qualifica di funzionari onorari della Regione.

D'altra parte, appare necessaria una maggior valorizzazione del ruolo delle Province, le quali, come ente intermedio per la difesa dell'ambiente, dovrebbero affiancare la Regione per aspetti organizzativi di carattere generale (ad es. il coordinamento dell'impiego). Occorre infine realizzare una maggior integrazione dei gruppi di volontari nelle istituzioni locali, sia territoriali (Comunità montane e Comuni) che funzionali (enti gestori delle aree protette).

L'esperienza regionale di questi anni ha evidenziato la particolare vocazione che caratterizza i volontari ecologici e li rende disponibili a partecipare ad attività plurime che associano alla vigilanza l'informazione, il rilevamento e gli interventi di soccorso in casi di disastri ecologici. La nuova normativa dovrà promuovere lo sviluppo di un insieme articolato di funzioni attinenti materie diverse in complessivo equilibrio, che connota una figura nuova e originale di operatore ambientale.

I requisiti tecnici e morali che rendono il volontario idoneo al servizio corrispondono, alla compresenza di due caratteri fondamentali, di cui uno attiene alla figura del collaboratore (nelle attività di informazione, rilevamento e soccorso) e l'altro a quella del controllore con funzioni di accertamento di illeciti amministrativi. Questa doppia valenza comporta che il soggetto aspirante debba possedere doti di equilibrio e di moralità, ma nel contempo nozioni specifiche nel campo tecnico-scientifico ed in quello del diritto.

In relazione alla molteplicità e delicatezza dei compiti assegnati al servizio ecologico volontario, particolare importanza riveste quindi il sistema di formazione, aggiornamento e specializzazione dei volontari, per il superamento di appositi esami ed il conseguimento di brevetti di idoneità all'attività corrente ed all'esercizio di attività specializzate.

L'integrazione dei volontari nelle pubbliche istituzioni determina rapporti interpersonali caratterizzati, secondo l'esperienza, da una maggior tensione potenziale, derivante dalla diversa motivazione (rispettivamente ideale e professionale) di volontari e funzionari chiamati a convivere. Peraltro questa situazione non deve essere vista solo in termini problematici, ma come un'occasione di crescita, mediante il confronto tra mentalità ed esigenze diverse, a patto che si stabilisca un rapporto equilibrato tra le due componenti. Questo equilibrio potrà essere favorito mediante la definizione di due figure giuridiche: il responsabile locale del servizio ed il gruppo di guardie ecologiche locali.

Il responsabile locale è un funzionario dipendente dall'ente organizzatore del servizio ecologico volontario, identificato con atto formale, con il compito di sovrintendere all'attività del gruppo di volontari ecologici. L'esperienza indica che dai poteri attribuitigli, nonché dalle sue capacità personali e dai collaboratori e dai mezzi che gli vengono messi a disposizione, dipende in misura rilevante il successo del servizio.

Il gruppo di guardie ecologiche locali è un'organizzazione di volontariato ai sensi della legge n. 266/1991, che svolge la propria attività nell'ambito delle strutture pubbliche, nelle forme e nei modi previsti dal regolamento regionale. Il gruppo rafforza e valorizza nel suo insieme l'operato dei volontari, formulando proposte sui programmi di impiego ed ha diritto ad una convocazione periodica, nonché all'informazione ed all'accesso ai documenti.

Al di fuori di questi momenti, pur importanti, di collegialità, si deve confermare il fondamentale rapporto diretto tra il singolo volontario e la Pubblica Amministrazione in tutte le fasi che vanno dalla selezione all'incarico, agli ordini di servizio ed all'attività in servizio, che comportano sempre una responsabilità personale.

7.2.3. Volontariato autonomo. Associazioni protezionistiche e ricreative

A partire dagli anni '70, anche in Italia, come in tutti i Paesi industriali avanzati, si sono moltiplicate le associazioni aventi come obiettivo la difesa dell'ambiente, operanti su scala nazionale, regionale o locale. Anche vecchie associazioni con finalità turistiche ed escursionistiche, ma da sempre attente ai problemi della natura e del paesaggio, hanno accentuato il loro interesse per le attività protezionistiche.

Si deve riconoscere che la presenza attiva nella società delle associazioni protezionistiche e ricreative. portatrici di interessi sociali diffusi e non ancora adeguatamente riconosciuti nel diritto e nella Pubblica Amministrazione, è di fondamentale importanza per il processo di sviluppo della politica ambientale e in particolare della difesa della natura e del paesaggio. Gli interventi di protesta e di denuncia contro le compromissioni del territorio in parte equivalgono ad una richiesta insoddisfatta di partecipazione. Pertanto anche a tali associazioni deve essere riconosciuto il diritto all'informazione ed alla partecipazione alle decisioni sull'uso del territorio, già esercitato dalle associazioni a carattere professionale, sindacale o produttivo, che da tempo costituiscono interlocutori abituali della Pubblica Amministrazione.

Occorre dunque che la legge-quadro definisca la possibilità, a certe condizioni, di prendere visione ed esprimere osservazioni e suggerimenti su alcuni atti istruttori relativi a decisioni di portata generale o locale. Trattasi in primo luogo di strumenti aventi rilevanza strategica, come leggi, regolamenti e piani (v. 3.1.) e secondariamente di atti amministrativi che si riferiscono ad interventi particolarmente pesanti sulla natura ed il paesaggio (v. 3.3.). Il diritto di consultazione deve essere riconosciuto solo alle associazioni iscritte al registro regionale del volontariato, che esercitano la propria attività sull'intero territorio dell'autorità che ha l'obbligo di consultazione.

Un altro settore importante di collaborazione si riferisce alle attività gestionali. Molte associazioni protezionistiche e ricreative svolgono modeste, ma preziose attività pratiche di difesa della natura e del paesaggio (come la manutenzione di piccoli biotopi e sentieri), ovvero attività di supporto ai programmi di educazione ambientale nelle scuole. Alcune associazioni hanno tra i propri fini la salvaguardia di beni naturali e paesistici mediante acquisto, donazione, eredità, usufrutto, uso di beni immobili. Queste iniziative devono essere promosse in vario modo: dall'affidamento in gestione di piccole aree protette alle convenzioni con l'autorità competente per l'esercizio di determinate attività e servizi, con risultati generalmente più efficienti ed economici, tenuto conto della preparazione specifica e dell'ampio ricorso al volontariato.